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ASSOCIAZIONE CATTOLICA OPERATORI SANITARI

Ente Morale D.P.R. n. 975 del 17-11-1986

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EDUCATORI NELLE FEDE PER AIUTARE A SERVIRE I FRATELLI NELLA CARITA I Incontro Nazionale dei Consulenti Ecclesiastici Regionali ACOS Roma, Centro Congressi CEI 18 giugno 2012

Carissimi Confratelli, sento nel cuore gioia nellaccogliervi tutti in questo luogo simbolo di comunione e di unit della Chiesa che in Italia. Inizio a condividere con voi un cammino di crescita valoriale, significativa allinterno dellACOS e nel contempo formativa e propositiva per tutti coloro che operano in un settore ampio e delicato quale il mondo della salute. Ringrazio il Consiglio Permanente della CEI nella persona dellEm.mo Sig. Cardinale Presidente Angelo Bagnasco che mi ha nominato Consulente Ecclesiastico Nazionale di questa Associazione. Ringrazio il Presidente Nazionale per le parole affettuose di presentazione e a lui rinnovo la pi ampia collaborazione per la crescita dellACOS. Conosciamo tutti molto bene la sfida educativa che come Chiesa siamo chiamati ad affrontare, secondo gli Orientamenti dei Vescovi Italiani, in un momento particolarmente caratterizzato da una crisi antropologica, che investe tutti i settori della vita e in special modo quello della sanit. Sono tanti i tentativi di dimostrare che le scelte economiche delle aziende ospedaliere e gli standard di qualit sono centrati sullumanizzazione della medicina, ma contestualmente verifichiamo che le allocazioni delle risorse vertono, invece, su metri di misura completamente contrari alluomo stesso e in definitiva al Vangelo di Ges Cristo. Chi vive nelle corsie degli Ospedali o dei Centri di Ricerca, Ricovero, Cura e Riabilitazione sperimenta sulla propria pelle tali tendenze e gli squilibri che ne derivano. Dinanzi a questo scenario, per, non mancano le luci di speranza, che provengono innanzitutto dalla presenza di uomini e donne che animati dal Vangelo della Carit e della Vita si spendono incondizionatamente accanto alluomo che soffre, sollevandolo nel corpo e nello spirito, facendogli cos sentire il calore della tenerezza del Cristo Buon samaritano che si china a lenire le loro piaghe e ferite. ineludibile che, in tale contesto, siamo chiamati come ACOS a formarci per formare ad uno stile nuovo nella qualit, ma antico nella sostanza. Siamo chiamati a diventare educatori nella fede per aiutare gli operatori sanitari ACOS a servire i fratelli ammalti nella carit di Ges Cristo. Ne va di mezzo la credibilit del cristiano laico inserito in contesti in cui necessariamente non pu esimersi dal rendere ragione della Speranza, Cristo Ges, che lo abita. I verbi che caratterizzano lazione del Samaritano: lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasci le ferite, lo caric, lo port ( Lc 10, 29-37) dovranno costituire una sorta di programma di vita per una ripresentazione nelloggi del vissuto degli Operatori Sanitari di quanto realizzato da Cristo; e noi Consulenti a cosa siamo chiamati? La domanda potrebbe sembrare del tutto superflua, se non errata, per almeno tre ordini di ragioni: ragioni di fatto, ragioni pastorali e ragioni teologiche. 1

Ragioni di fatto, legate allesperienza. Di fatto il sacerdote, educatore perch nel suo operare quotidiano, insegna, testimonia, accoglie, ascolta, consiglia, si prende cura, rassicura, incoraggia, rimprovera, esorta, accompagna, coordina, forma altri operatori, organizza corsi (es. nel nostro caso: pastorale della salute; bioetica; scuole di volontariato; fattiva vicinanza e presenza costante nei gruppi ACOS siano essi Regionali o Locali), ecc. Tutto questo dura tanti anni quanti sono gli anni del mandato, quindi vi anche laspetto evolutivo dei rapporti, che si rafforzano e si approfondiscono nel tempo. In fondo, si potrebbe dire che il lavoro pastorale non altro che lavoro educativo, svolto in un contesto particolare, quello della comunit credente. In questo senso, nello svolgimento del suo compito essenziale (lannuncio del Vangelo, la celebrazione liturgica e il servizio alla comunit), il presbitero incrocia realmente la dimensione educativa in virt dellesercizio del proprio ruolo. Ragioni pastorali, legate al ruolo di presbitero. Essendo tra i suoi doveri, il prete non pu non elaborare ed organizzare il complesso servizio comunitario della educazione alla fede, nei suoi diversi momenti e aspetti. Si potrebbe dire che lesperienza educativa del prete coincide in gran parte con la sua esperienza di pastorale e di catechesi, anche se laspetto educativo vissuto anche in altri contesti, non solo catechistici o liturgici, vale a dire nel vivo dellincontro con le persone di tutte le et, (pensiamo agli stessi ospedali o centri di ricovero e cura). Ragioni teologiche: se Ges il maestro1 che insegna con la sua parola e con i suoi gesti ed educa con la sua vita e se anche la Chiesa, in quanto madre e maestra2 chiamata ad educare, da ci sembra derivare, con tutta evidenza, che ogni sacerdote non possa non essere anchegli maestro ed educatore, con la sua parola, i suoi gesti e con il suo modo di vivere. Le ragioni che mettono in discussione tale correlazione e le loro implicazioni Come poteva essere pensata in passato la relazione tra sacerdozio ed educazione. Il fatto che un prete svolga, di fatto, una funzione educativa, non significa che lessere prete coincida automaticamente con lessere educatore: si pu essere sacerdoti, infatti, senza essere educatori o al limite potendo essere anche pessimi educatori. Le due realt non sono coincidenti n sovrapponibili, quindi non si possono identificare automaticamente. La funzione sacerdotale non presuppone costitutivamente di essere anche educatori, n si richiede che un candidato al sacerdozio abbia necessariamente delle doti educative. Lo conferma indirettamente il fatto che il compito educativo del sacerdote anche per gli aspetti catechistici e pastorali non giustificato a partire da questioni educative, ma dal mandato ecclesiale, quindi da motivazioni teologiche ed ecclesiologiche. Se le due realt non coincidono strutturalmente, che cosa le ha tenute unite fino ad ora, al punto tale da considerare tale legame come naturale? Si potrebbe dire almeno come ipotesi, che andrebbe verificata che forse le ha tenute insieme un certo modo di pensare, fondato sulla convinzione che la dimensione educativa del lavoro sacerdotale, in fondo non era da considerarsi come una realt necessaria ma distinta (e quindi da coltivare in modo specifico), ma discendeva direttamente dalla verit dei contenuti di fede insegnati, considerati essenziali per luomo e dunque da accogliere e da mettere in pratica in nome del loro valore veritativo, da cui discende anche la loro forza educativa. In altri termini: la Parola di Dio che educa e chi la accoglie non pu che impegnarsi a viverla in nome della sua verit.

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CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, nn. 16-18. Idem, nn. 20-21.

Secondo questo modo di pensare, la capacit educativa del prete si misura anzitutto dalla profondit della sua conoscenza della Scrittura: pi la conosce e pi sa non solo insegnarla, ma anche viverla in prima persona, e sa educare altri ad incarnarla nella propria vita. Dunque, se la dimensione educativa nascosta o dissolta allinterno della dimensione religiosa, della quale un semplice corollario, ne consegue che lessere educatore discende naturalmente dallessere prete. Dunque: pi si comunica (si insegna?) la Parola di Dio e pi si educa; lautorevolezza educativa appare strettamente legata alle competenze relative al ruolo di sacerdote e, di riflesso, anche al suo prestigio sociale. Prima ragione di crisi: la non identificazione o sovrapposizione delle due funzioni. Questo modo di pensare il rapporto tra funzione presbiterale ed educazione messo seriamente in discussione nel momento in cui la continuit tra i due momenti non appare pi cos immediata e lineare. La conferma della sostanziale differenza tra i due momenti data dalle fatiche o dalle difficolt che si incontrano. Alcuni esempi, puramente indicativi: La fatica di comunicare ci in cui si crede e si ritiene importante, ma che sembra non interessare chi ascolta; si comunica una verit che non incontra pi laltro perch questi non ne capisce pi il senso o non lo considera pi importante per la propria vita. Si pu tentare di cambiare linguaggio o modo di comunicare, ma il risultato finale spesso non cambia. Perch non cambia? Che cosa venuto meno: il valore della Parola o il fatto che il rapporto tra prete e fedeli (e tra la Parola e la vita) non pi pensabile in termini di linearit e immediatezza comunicativa? La fatica di vedere concretizzato lo sforzo pastorale: perch, nonostante limpegno profuso, i risultati appaiono deludenti, se non fallimentari? Perch non si vedono i frutti del proprio lavoro? Dove si sbaglia? Ancora una volta: si sbaglia a comunicare la Parola o il fatto di comunicarla, in assenza di altre attenzioni, non pi sufficiente? La fatica di avere collaboratori adulti nel lavoro educativo, oltre che pastorale: in particolare, perch si riesce con molta fatica a coinvolgere le famiglie nel lavoro educativo verso i pi giovani? Il paradosso del prete: doversi prendere cura dei figli degli altri, quando i loro genitori non lo fanno. Perch questi non se ne occupano o se ne occupano per certi aspetti e non per altri, in certi modi e non in altri? Per cattiveria, per irresponsabilit o perch anche loro si trovano di fronte al medesimo problema: come si educano i figli? Certamente si potrebbero approfondire le singole difficolt e per ciascuna individuare cause specifiche, ma la questione di fondo dello stato di crisi, potrebbe essere questa: Sembra essere venuto meno il rapporto diretto tra ci che si comunica (la sfera dei significati, in senso lato) e la realt esistenziale dei destinatari, qualcosa si rotto o, per dirla in un altro modo, apparsa evidente una frattura che forse esisteva da sempre, ma di cui non si era consapevoli. Questo venir meno, non dovuto alla perdita di verit dei valori in s (in primis la Parola di Dio), ma alla scomparsa di un terreno comune di incontro tra gli interlocutori; questa scomparsa ha le sue giustificazioni ultime nel mutato clima culturale, che Papa Benedetto XVI pone a fondamento della attuale situazione di emergenza educativa3, e le sue ragioni pi prossime nella incomprensione tra gli individui, che si trovano a comunicare da punti di vista esistenziali profondamente diversi, se non opposti. Dove prima vi era una strada ben definita da percorrere in un senso come nellaltro, ora si aperto un fossato. Prima di chiedersi come si affronta il fossato, bisognerebbe capire che cosa significa questo apparire di uno spazio intermedio tra valori e persone, e se lo si debba considerare sempre e solo come un ostacolo. Potrebbe voler dire che tra la sfera dei significati che si
BENEDETTO XVI, Lettera alla diocesi e alla citt di Roma sul compito urgente delleducazione (21 gennaio 2008).
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vuole comunicare e i soggetti cui sono destinati vi necessit di un elemento terzo, mediano: la cultura (a livello generale), la comunicazione (a livello sociale), ma anche leducazione, quando si tratta di relazione interpersonale finalizzata alla realizzazione. In questo caso saremmo di fronte alla dilatazione dello spazio di incontro e di mediazione, che al tempo stesso, e paradossalmente, dapprima allontana per poi ricercare la correlazione. Seconda ragione di crisi: la mancanza di una preparazione pedagogica specifica Che leducazione, almeno in passato, non sia stata parte costitutiva della realt sacerdotale, ma solo una sua componente implicita, potrebbe essere provata dal fatto che il sacerdote non ha mai avuto, nel corso della sua formazione al ministero, una preparazione pedagogica specifica. Il sacerdote, oggi, si ritrova nella stessa situazione dei genitori e degli insegnanti: dover svolgere un compito educativo, inerente al ruolo che riveste, senza avere una preparazione pedagogica specifica. Come i genitori e gli insegnanti, anche il prete finisce per fare affidamento sul proprio buon senso, sulla propria capacit di autoformazione e, soprattutto, sui modelli del passato, salvo il fatto di doversi accorgere che tali modelli spesso non sono proponibili automaticamente nelloggi e che richiedono di essere interpretati prima di essere attualizzati. Nella mancanza di preparazione specifica, e nella conseguente formazione fondata solo sullesperienza, nascosto il pericolo del riduttivismo, ossia di cogliere alcuni elementi particolari, che caratterizzano lattivit educativa, e di assumerli come elementi generali. In altri termini, si attua un grande processo di semplificazione, secondo cui si riduce il tutto ad una sua parte, poi si scambia la parte per il tutto. Ad esempio, per il prete, il riduttivismo pu assumere la forma della riduzione dellintero discorso educativo alla sola dimensione morale e religiosa o, peggio ancora, alla sola dimensione psicologica, per cui si ritiene che il buon prete debba essere anche un po psicologo, cio conoscitore delle dinamiche evolutive pensando con ci che la conoscenza di queste dinamiche sia motivo sufficiente per sapere come intervenire positivamente su di esse. La mancanza di una preparazione pedagogica specifica, potrebbe essere anchessa frutto di un certo modo di pensare (paradigma di pensiero), secondo cui il compito educativo connaturato al ruolo, dunque, quando si esercita quel ruolo e si fa (o si dice) ci per cui quel ruolo esiste, per ci stesso anche si educa, esattamente come poteva pensare linsegnante di un tempo per il quale poteva bastare il fatto di essere un buon insegnante (culturalmente parlando) per essere anche un buon educatore dei suoi alunni; o come pu continuare a pensare un genitore quando ritiene di essere un buon educatore perch non fa mancare niente ai figli (tranne la sua presenza e la sua capacit di ascolto e di comprensione, perch ritiene che il suo compito sia quello di lavorare per il benessere della famiglia). Non di per s sbagliato, pensare che lelemento educativo sia legato al ruolo, ma questo solo una parte di verit. Le difficolt che si incontrano dimostrano che si pu essere tecnicamente competenti nel ruolo, ma non essere per questo dei buoni educatori (potrebbe accadere anche il contrario: essere buoni educatori, senza avere particolari competenze di ruolo). Questo accade forse perch la dimensione propriamente educativa non legata al ruolo in quanto tale, ma alla persona che incarna quel ruolo, anzi alle persone, in quanto devono essere due perch ci sia educazione: educatore ed educando! La distinzione tra ruolo e persona comporta la distinzione tra catechesi ed educazione. Se si educa mediante la propria persona e non attraverso il ruolo che si esercita, ne deriva per il sacerdote che la distinzione tra ruolo e persona apre la via ad una duplice fondamentale distinzione: 1. tra catechesi ed educazione (assunta la prima come simbolo di tutto ci che attiene alleducazione alla fede, quindi anche le attivit pastorali); 4

2. tra istruzione ed educazione. Infatti, attraverso il ruolo, il sacerdote parla, agisce, compie gesti che sono dovuti e che i fedeli si aspettano da lui; a sua volta si attende che i fedeli si comportino secondo il loro ruolo, per lappunto quello di fedeli, appartenenti alla comunit. Nel fare tutto questo il prete certamente insegna, ossia rimarca, richiama lattenzione, mette in evidenza (mette in alto come si fa con il signum, linsegna, il vessillo, la bandiera), ma non detto che per ci stesso egli educhi, perch leducazione ha a che fare con le persone, non con quanto le persone sono obbligate a dire o fare in nome del ruolo che esercitano; infatti chi destinatario del loro dire o fare pu a sua volta rispondere in relazione al ruolo che anchessi ricoprono, ma non sentirsi per questo coinvolti direttamente come persone! Perch ci sia educazione, occorre il coinvolgimento diretto di entrambe le persone della relazione che si viene a creare. Lesercizio del ruolo pu essere il pretesto, la condizione e il contesto in cui avviene la relazione educativa, ma lesperienza educativa avviene al di sotto del contesto di ruolo. Il rapporto tra ruolo ed educazione potrebbe essere pensato non solo come biunivoco, ma anche asimmetrico: perch si possa educare necessario un contesto relazionale, che pu essere dato dai ruoli, ma leducazione non avviene grazie ai ruoli perch avviene nellincontro tra le persone; perch lesercizio del ruolo sia davvero efficace, necessario che al suo interno avvenga specie in determinati contesti, come quello dellACOS, unesperienza di carattere educativo, cio di carattere interpersonale; in assenza di tale esperienza, anche il valore realizzativo del ruolo viene fortemente ridimensionato. Occorre spendersi nellACOS senza se e senza ma. lo stile dellabnegazione che crea anche i presupposti per uno scambio dialogico e interelazionale con e tra i Soci ACOS. Se vi armonia e compenetrazione profonda tra ruolo e persona (aspetto antropologico), possibile che vi sia sintonia tra istruzione ed educazione (aspetto pedagogico) e vi sia fusione tra catechesi ed educazione (aspetto pastorale). La possibilit di realizzazione della condizione antropologica (armonia tra ruolo e persona), dipende non dal ruolo ma dalla persona; cos per laspetto pedagogico: se la persona educa, pu anche insegnare qualcosa, mentre il contrario molto pi difficile, e in certi casi impossibile. Se tutto questo vero, ne deriverebbe che solo se il Consulente ecclesiastico ACOS sa educare, pu anche fare catechesi; il contrario sarebbe molto pi difficile e con esiti forse aleatori se non fallimentari. Snodi operativi per i Consulenti ecclesiastici dellACOS A partire da questa riflessione , dunque, possibile tracciare un percorso comune di presenza da Consulenti nellACOS. Radicati in Cristo, attraverso unopera capillare di Educazione alla vita buona del Vangelo, vogliamo divenire lievito che scuote le coscienze, nei luoghi di sofferenza e di aiuto alla vita: Ospedali, Parrocchie e territorio, stimolando gli Operatori Sanitari a vivere secondo licona del Buon Samaritano per farsi instancabilmente prossimi. Occorre divenire educatori nella fede per aiutare i Soci a servire i fratelli nella carit. Lesperienza dellessere prossimi, come abbiamo sottolineato, si snoda attraverso la relazione. Pertanto, sar nostro compito essere dentro lAssociazione ACOS educando ad essere chiesa. La Chiesa comunit di uomini in relazione con il Risorto, che li abilita allannuncio del Regno. LACOS stessa esperienza ecclesiale ed in questa ottica che va concepita e vissuta. A questo dobbiamo educarci se desideriamo educare al vivere ecclesiale. La presenza del Consulente, allora, sar motivo di riscoperta della fede, ovvero della relazione con la persona di Ges Cristo. Solo cos posssibile far emergere ci che caratterizza e specifica il servizio della carit offerto dallOperatore Sanitario ACOS accanto al sofferente e tra i colleghi. Il percorso scelto dalla nostra Associazione nel quadriennio 2010-2014 ha una sua logica: si parte (1 anno) da uno studio sulloperatore come persona: Dallio al tu, al noi: il circuito che 5

promuove la vita; si analizza (2 anno) la: Formazione delloperatore sanitario: una sfida a servizio della persona malata; si studia (3 anno) La persona malata: perno e soggetto dellassistenza sanitaria; ed infine si conclude (4 anno) con: Lalleanza terapeutica: un coinvolgimento in toto delloperatore sanitario, tutto alla luce del magistero della Chiesa, studiando i problemi che interessano le varie professioni socio-sanitarie e la ricerca di soluzioni conformi al progresso sociale e scientifico nel rispetto della giustizia e della dignit della persona umana. Obiettivo a breve termine analizzare ed interiorizzare lessere ed il saper essere come elementi irrinunciabili della competenza tecnico-professionale e morale, a partire dal Catechismo della Chiesa Cattolica e della sua Dottrina Sociale, nella relazione terapeutica con le persone e fra le persone, integrando nel concetto di assistenza tutte le figure sanitarie e non: infermieri, medici, OSS, OSA con formazione complementare in assistenza sanitaria, e tutte le altre figure operanti in ambito sanitario, compreso il personale amministrativo. Dall essere e dal saper essere si passer al saper divenire, ovvero allobiettivo a lungo termine: invertire la tendenza attuale, che purtroppo orientata allegocentrismo, giungendo finalmente al riconoscimento e allaccettazione dellaltro come persona in toto, sia essa la persona malata che loperatore sanitario stesso, facendosi realmente carico delle situazioni di fragilit e incarnando cos il Vangelo annunciato. La sostanza la stessa; dunque la modalit qualitativa della proposta evangelica che ci cambia formandoci ad essere segno di Cristo. A tutto ci guardiamo con fede perch proprio questa ad introdurci a vivere in modo nuovo. Loccasione propizia ci data dallAnno delle fede che il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto con la Lettera apostolica Porta Fidei dell11 ottobre 2011 e che avr il suo inizio il prossimo 11 ottobre 2012: La PORTA DELLA FEDE (cfr. At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette lingresso nella sua Chiesa sempre aperta per noi, dice il Papa. possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita.4 gi questo un vero e proprio processo educativo che porta in una prospettiva di fede e che aiuta a vivere lintera vita dellACOS nella Chiesa e con la Chiesa. Afferma ancora il Pontefice: Capita ormai di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non pi tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamao ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra pi essere cos in grandi settori della societ, a motivo di una profonda crisi di fede che tocca molte persone.5 Questanalisi deve essere loccasione per ricordare a tutti i nostri soci e operatori sanitari che il fondamento della fede cristiana lincontro con un avvenimento, con una Persona che d alla vita un nuovo orizzonte e con ci la direzione decisiva.6 La fede, inoltre, si rende operosa attraverso la carit (Gal 5,6). Asserisce a tal proposito il Pontefice: LAnno della Fede sar anche unoccasione per intesificare la testimonianza della carit. A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede pu forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Cos anche la fede: se non seguita dalle opere, in se stessa morta. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrer la mia fede (Gc 2,14-18). La fede senza la carit non porta frutto e la carit senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carit si esigono a vicenda, cos che luna pemette allaltra di attuare il suo cammino.7
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BENEDETTO XVI, , Lettera apostolica in forma di motu proprio Porta Fidei, 11 ottobre 2011, n. 1. BENEDETTO XVI, Ibidem, n. 1. 6 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus Caritas Est, 25 dicembre 2005, n. 1. 7 BENEDETTO XVI, , Lett. Ap. Porta Fidei, n. 6.7.14.
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Obiettivi e strategie 1. La conoscenza un elemento indispensabile; pertanto dedicheremo tempo a conoscere personalmente il cammino degli operatori ACOS ascoltandoli e comprendendoli, al fine di entrare in relazione per una educazione nella fede. 2. Stabilire percorsi di fede che aprano allincontro con la grazia santificante di Cristo: celebrazione del Sacramento della Riconciliazione e dellEucarestia almeno nei tempi forti (Avvento e Quaresima). 3. Ritiro spirituale con spazio per la direzione spirituale: unopportunit da offrire ai soci ACOS. Lo spessore caritativo delloperatore sanitario ACOS non pu che trovare linfa vitale nel suo essere radicato in Cristo. 4. Sollecitare gesti di donazione (es.: sangue, cordone ombellicale) e la responsabilit di tutti verso la vita nascente (es.: Progetto Gemma: adozione prenatale a distanza); cura dei malati particolarmente fragili e in situazione di povert (es.: gli operatori sanitari ACOS si potrebbero far presenti ai rispettivi parroci dando la propria disponibilit, compatibilmente con gli impegni lavorativi, ad essere accanto a chi soffre o nelle famiglie della parrocchia o collaborando con la Cappellania ospedaliera del proprio territorio). 5. A livello nazionale prevedere delle Giornate residenziali di formazione e spiritualit al fine di formarsi, confrontarsi, conoscersi per sentire in comune diventando cos una grande famiglia che serve la vita. Gli incontri nazionali ci permettono di camminare insieme e vanno favoriti, superando la probabile insidia dellautosufficienza e autoreferenzialit a livello Regionale o locale. A ciascun Consulente Regionale demandato con responsabilit il compito di comunicare ai Consulenti locali gli Orientamenti di questo primo incontro nazionale, sollecitando i confratelli a predisporre un programma di massima da sottoporre ai rispettivi organi competenti dellACOS territoriale al fine di essere approvati e comunicati al Consulente Ecclesiastico Nazionale per una comune partecipazione alla vita ACOS. Vi ringrazio per ci che siete, rappresentate e farete per la crescita dellACOS. Seminiamo a larghe mani, senza la paura di osare! I nostri fratelli laici ci ringrazieranno anche per questo. Del resto il coinvolgimento di nuovi soci allinterno di questa Associazione potr avvenire solo se ci sar limpegno personale di accostarli trasmettendo loro in maniera significativa, lesperinza vissuta. Uno non porta mai laltro ad un luogo se non c stato egli stesso prima. cos che Andrea fece incontrare suo fratello Simone con il maestro Ges. Vi ringrazio anche per lattenzione riservata. A tutti assicuro la mia costante preghiera per il vostro ministero ed il buon esito del cammino dellACOS, rinnovando la disponibilit a visitare personalmente le vostre sedi regionali con il coinvolgimento e la partecipazione dei gruppi locali per meglio conoscerci, riflettere insieme ed orientarci secondo le direttive dei Vescovi italiani e della Chiesa Universale. Maria, solerte madre di tenerezza e amore, accompagni i desideri di ciascuno di voi e invochi per tutta lACOS labbondanza di benedizioni celesti. Roma, 18 giugno 2012

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Che cosa ti chiede il Signore tuo Dio?


( Messaggio per la Festa di San Camillo de Lellis protettore dellACOS) E linterrogativo che ha scandito la vita del popolo eletto, Israele, che passato identico nel cuore della Chiesa e in quello di ogni suo figlio che voglia fare sul serio con lEterno (Dt 10,1213,17-19). Questa domanda ha accompagnato la vita di San Camillo de Lellis, scandendo la sua ricerca, nutrendo le sue inquietudini, aprendolo al dono della pace, che solo il Signore pu dare. Che significa porsi questa domanda? Comprendere che la vita ci stata data in dono dal Signore e deve essere restituita con un analogo dono damore. Accettare che nessuno vive per se stesso, ma sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore. Perci, questa lunica vera questione su cui valga la pena di impegnarsi. E la sfida con cui confrontarsi. E la ferita dellanima che apre il cuore al mistero santo di Dio e lo rende pronto ad ascoltare e a ricevere il dono dellAltissimo, da cui veniamo, in cui viviamo, verso cui andiamo. Evadere questa domanda significa negarsi. Confrontarsi con questa domanda significa misurarsi sullunico orizzonte per cui valga la pena vivere e morire. Perci, un grande pensatore cristiano come Soren Kierkegaard non esita ad affermare: ciascuno diventa grande in rapporto alla sua attesa. Uno diventa grande con lattendere il possibile, un altro con lattendere lEterno. Ma colui che attende limpossibile diventa pi grande di tutti. S, stare in ascolto delle esigenze di Dio significa aprirsi allimpossibile possibilit del suo Amore. Essere pronti a lasciarsi sovvertire da Dio per andare non dove avremmo voluto, pensato, ma dove Dio sa che bene per noi. E questa la sola posizione in cui ci si pu veramente domandare: Signore, che cosa vuoi che io faccia? Alla radicalit di questa domanda, la sola risposta adeguata il totale affidamento allAmore di Dio. Noi abbiamo riconosciuto e creduto allAmore che Dio ha per noi (1Gv 4,7-9,11-12,16). Credere allAmore e riconoscere lAmore con cui siamo stati amati. Credere allAmore Solo chi si riconosce amato capace di amare. Lo afferma S. Agostino con una frase folgorante: non c invito pi grande allamore che prevenire nellamore. E cos che il Signore agisce con noi. Il suo Amore previene ogni nostra risposta e proprio cos ci consente di riconoscerci amati e di credere in Lui. Noi abbiamo creduto allAmore. Ecco la risposta allinterrogativo su quanto lEterno chiede da noi. Pi che luna o laltra risposta quanto Dio chiede di fidarsi, affidarsi e confidare in Lui. In una parola, credere non solo che Dio c, ma che Dio Amore e che solo credendo al suo Amore il cammino si apre, la luce della verit ci illumina, il fuoco dellEternit ci riscalda. Un solo atto damore per Dio e per i fratelli ci fa comprendere la Sua volont per noi pi di tutti i ragionamenti che possiamo fare su di Lui e sulla nostra esistenza davanti a Lui. Come fu per Camillo de Lellis cos e sar per ogni credente. Solo credendo allAmore la strada si apre. Solo seguendo, la volont di Dio rapisce il nostro cuore. Solo dimorando nellAmore, il cuore che batte discerne e compie le opere che danno gioia allAmato. Ed cos che la domanda: Signore che cosa vuoi che io faccia? E la risposta: ho creduto allAmore, si fondono in una decisiva scelta di vita. E amando il fratello che si vede che potremo amare chi non si vede (Mt 25, 31-40). E servendo linfermo che San Camillo vede Cristo ed amando con tutto il cuore chi ha bisogno di aiuto che Camillo diventa a sua volta trasparenza di Ges, Buon Samaritano che si avvicina a curare

le piaghe del prossimo. Chi, credendo allAmore, si mette totalmente in gioco nella sequela dellAmato, diventa al di l della sua stessa consapevolezza mediatore della vicinanza dellAmore di Dio per gli altri. Pi che le sue parole, la sua presenza che vale. Pi che tante dichiarazioni, leloquenza silenziosa della carit umile e della compassione del cuore, che rende presente Ges fra gli uomini. Essere il Sacramento di Cristo San Camillo ha compreso con evidenza folgorante e totale, mai pi venuta meno, che laffamato, lassetato, il forestiero e lignudo, il malato e il carcerato sono il Sacramento di Cristo. Credere allAmore vuol dire adorare il Dio vivente nel rispetto e nel sacramento del prossimo con gesti inequivocabili di accoglienza, di servizio e di compassione. Come diceva San Camillo: essere accanto ad ogni malato come una madre accanto al suo figlio unico. In questa luce, la missione di Voi Operatori Sanitari aderenti allACOS diventa un dono prezioso che dilata il sacrificio eucaristico. La tenerezza che manifestate per lammalato, sullesempio di San Camillo sar tenerezza per Dio. E la preghiera che elevate nutrir le vostre opere e giorni in attesa del Signore per essere riconosciuti da Lui. Laugurio che siate servi degli infermi, consolatori dei poveri e dei sofferenti, madri e padri degli infelici. San Camillo, nostro protettore, ci aiuti a rispondere con la vita alla chiamata del Signore.

Roma, 1 luglio 2012 Sac. Francesco Coluccia Consulente Ecclesiastico Nazionale

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