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GES NELLA TEOLOGIA NICENO-CALCEDONIESE E NELLISLAM

CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RADD AL-JAML ATTRIBUITO AD AL-GHAZL E AI FU AL-IKAM DI IBN ARAB

Daniele Capuano

Il est tout fait digne dattention que dans ce fonds commun aux uns et aux autres, ce qui est doctrine vulgaire chez les Gentils [i.e. la pluralit in Dio], est sotrique pour les Juifs, tandis que ce qui pour ceux-ci est exotrique [i.e. lunitunicit di Dio], demeure enseignement secret chez les paens. E. BENAMOZEGH, Isral et lhumanit

Ascensione di Is, miniatura ottomana, XVI sec.

Andrej Rublv, Il Salvatore, 1420 ca.

INTRODUZIONE Voi, chi dite che io sia? (Mt 16,14). La domanda, che Ges di Nazareth rivolse ai suoi discepoli nella regione di Cesarea di Filippo, e alla quale Simone figlio di Giona diede una risposta decisiva per la nascente comunit di fedeli, risuonata poi lungo i secoli e in quasi tutti i luoghi, sfidando lintelligenza e limmaginazione, la volont e le convinzioni di innumerevoli uomini. Quando parlava di s, lo sconvolgente rabbi galileo talora offriva cenni enigmatici ed elusivi, talora formulava, con unimmediatezza pi accecante di ogni enigma, dichiarazioni piene di quellautorit che i redattori dei Vangeli chiamano exousia, e che sembrava provocare nel modo pi radicale una civilt del commento, salda e molteplice insieme, come il giudaismo. Spesso si appoggiava alle Scritture ebraiche, ma applicando loro unesegesi brusca, folgorante, talvolta inaudita. Ora si faceva sottile e scaltro col suo uditorio, mostrando astuzia di serpente; ora, di fronte a detrattori ed accusatori, taceva, oppure ripeteva il proprio annuncio nella sua forma pi urtante e pericolosa, offrendosi ai lacci con semplicit di colomba. La domanda di Ges ha avuto, ed ha, molte risposte, dopo quella quasi rapita di Simon Pietro. Quando parliamo di religioni abramiche, delle fedi scaturite da quellantico strappo, da quellesodo archetipico, in cui un caldeo si mise in viaggio obbedendo ad una parola misteriosa senza nulla sapere e prevedere, parliamo di tre religioni che credono nel Dio Unico: parliamo di un paradosso, di una uni-trinit dolorosa e lacerata di fronte alla quale lUnitrinit professata dai soli cristiani sembra unimmagine ironica, pacificata, capovolta. Quando pensiamo alle tre religioni abramiche, ai tre monoteismi, pensiamo anche a tre o pi risposte su Ges: perch non c e non c mai stato un solo Ges, come non c un solo Abramo, un solo Giacobbe, un solo Mos... E un solo Dio? Noi chiamiamo volentieri fratelli, figli di un unico Padre, secondo la parabola medievale ripresa da Boccaccio e da Lessing, i tre monoteismi abramici: ma le Scritture e la comune vita degli uomini non ci insegnano qualcosa di terribile sullessenza della fraternit, che certo chiamata alla concordia, ma proprio per questo si impregna di tutte le ombre di un cos difficile cammino? Dov il pericolo, cresce/anche ci che salva, cantava Hlderlin in Patmos. Lesodo nel buio di Abramo ci ha segnati tutti irrevocabilmente: il nesso tragico fra male e salvezza stato consegnato, insieme alla vita, da una generazione allaltra, e pi infallibilmente del peccato originale secondo la dottrina cristiana. Se il dialogo fra le religioni non vuol essere solo (sar sempre comunque anche questo) il ct debole, di lusso, della diplomazia e della geopolitica, non pu non partire, nel caso specifico delle religioni abramiche, dalla consapevolezza impietosa di cosa significhi essere fratelli. Oggi dovremmo aver compreso a fondo limpotenza della teologia a condurre questo dialogo. La teologia istmo, esercizio della ragione che parte dallesperienza profetica, o della Rivelazione, per confermarla e darle pi salde fondamenta. vero, si guarda spesso con favore ad una possibilit di condivisione sul piano dellesoterismo o, ancor meglio, della pratica spirituale: ci si volge allo spirito come portatore di un logos pi libero e comune, mentre il logos della teologia sempre, irremediabilmente, apologia. Eppure, anche da questa prospettiva, le cose non sembrano affatto facili. Ogni religione, quasi come ogni individuo, in certo modo un assoluto, una totalit: ma una totalit che chiamata alla relazione; al paradosso, cio, di ogni relazione autentica e davvero felice. Linteriorit ardua da mettere in comune quasi quanto il rito. Lesoterismo non meno faticosamente plurale dellessoterismo. Le pagine che seguono cercano di essere unofferta indiretta al dialogo. Indiretta, perch vi si parla piuttosto di differenze fra le tre religioni, anche se con unintuizione unificante, generata dal pensiero del cuore di quel gigante del 900 che stato Avraham Yehoshua Heschel. Si esporranno i lineamenti essenziali della teologia cristiana intorno a Ges Cristo e a Dio come Trinit; si proseguir leggendo un piccolo e prezioso trattato attribuito ad al-Ghazl, ar-Radd al-Jaml, in cui condotta una serrata discussione filosofico-teologica contro la divinizzazione cristiana del profeta Ges e contro il dogma irrazionale della Trinit: ci si accoster al Ges di Ibn Arab, 3

esaminando in particolare il capitolo dei Fu al-ikam a lui dedicato, e si cercher di mostrare come il salto vertiginoso dalla polemica filosofica alla penetrazione teosofica possa aprire un pi lucido e acuto sguardo sulle importanti differenze e su una prospettiva sottilmente unitaria. Nella discussione finale si proporr una chiave di lettura che giustifichi gli accostamenti precedenti. Ciascuno dei tre fratelli della storia medievale custodir gelosamente il proprio anello, per sempre: del Padre, che anche in natura per sempre incerto, non possiamo dire se non ci che Egli stesso ha voluto comunicare nelle Scritture. Finch dura il tempo, ogni relazione con laltro governata da una legge terribile ed esaltante, di cui il grande rabbino chassidico Mendel di Kotzk ha rivelato un articolo fondamentale con un detto enigmatico e chiarissimo: Se io sono io perch tu sei tu, e tu sei tu perch io sono io, allora io non sono io, e tu non sei tu. Ma se io sono io perch io sono io, e tu sei tu perch tu sei tu, allora io sono io, e tu sei tu.

GES, IL DOGMA TRINITARIO E IL DOGMA CRISTOLOGICO. BREVE STORIA DEI PRIMI SECOLI DELLA TEOLOGIA CRISTIANA1 Il kerygma evangelico, data la sua crescente ricezione nelloikoumene, culla del pensiero filosofico ellenistico, si dovuto confrontare assai precocemente con le istanze culturali extrasemitiche, che, non di rado, dal punto di vista ebraico-giudaico erano antisemitiche. Prototipo celebre, ed intenso, di questo confronto-affrontamento Atti 17,22-34, in cui Paolo brevemente presenta nellAreopago ateniese il messaggio cristiano come disvelamento dellenigmatico Dio Ignoto (agnostos theos) propiziato da uno dei tanti altari del politeismo tardoellenico. La filosofica risata di tutto luditorio (salvo le famosissime eccezioni) , per la sensibilit ebraica, lo scherno dei lesm (derisori), degli afiqorsm (negatori di Dio).2 In effetti solo il milieu giudaico-cristiano, che rifiutava assolutamente lantinomismo della predicazione di Paolo Apostolo delle genti (cio dei goyim, dei pagani), vide in Ges un profeta messianico, un uomo adottato dallunico Dio quale suo figlio in unaccezione non troppo difforme dal monoteismo ebraico, secondo uninterpretazione della famosa scena del battesimo di Ges (Lc 3,22) in virt della quale le parole che si odono dal cielo3 (Tu sei mio figlio: oggi ti ho generato) andrebbero intese come nella loro fonte scritturale (Sal 2,7): cio come mera metafora. I primi giudeo-cristiani, detti ebioniti (dallebraico evyonm, poveri), hanno in effetti una cristologia povera che una profetologia messianica, in cui luomo Ges di Nazareth riceve uninvestitura divina paragonabile ad una affiliazione: e il suo pendant esoterico proprio lo gnosticismo delle prime generazioni, che Elia Benamozegh ha dimostrato essere impregnato di acroamatismo ebraico, talora eterodosso, 4 e che, nella forma del docetismo (Ges non aveva un corpo umano vero e proprio, ma apparente, e non stato realmente crocifisso), propone un rovescio complementare dellebionismo: un Cristo-avatar, energia divina che si manifesta in forma umana. La cristologia, cio la riflessione su Cristo, misterioso messaggero del Divino, non poteva che iniziare cos: meravigliosamente, e minacciosamente, fluttuante. Ges talora chiamato angelo (anghelos) per la sua natura di inviato e in virt della allora molteplice significazione di questo termine: oltre allangelologia gnostica, che ha probabili legami con langelologia esoterica del giudaismo, nel Pastore di Erma Ges viene identificato col primo degli angeli e con lo Spirito, che in effetti, come Haghion Pneuma (Spirito Santo), ha un rapporto peculiare con il Cristo evangelico. In ambito giudeo-cristiano, noto il passo del cosiddetto Vangelo degli Ebrei (pi volte citato poi dai Padri cristiani) in cui Ges dice: Mi afferr per uno dei miei capelli mia madre, lo Spirito Santo (he meter mou, to haghion pneuma), e mi trasport sul grande monte Tabor, quello della Trasfigurazione (cfr Origene, In Io. II 12,87). Spirito in ebraico ruah, che di genere femminile: latmosfera sembra ancora quella dellebraismo esoterico.5 Con scritti come quelli di Giustino Martire (II sec.), si affaccia decisamente unintuizione fondamentale, di chiara origine gi evangelica e poi paolina: quella della lettura tipologica della
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Il testo pi lucido e appassionato che io conosca sulla Trinit Dio che amore. Trinit e vita in Cristo, Citt Nuova, di Giuseppe Maria Zangh. Rimando alla lettura delle sue pagine chiunque resti giustamente inappagato di questa mia sommaria presentazione, senza dubbio non scevra di errori di diversa entit. 2 Interessante la metonimia-generalizzazione nella definizione islamica ed ebraica delleretico: per lIslam leretico ipso facto uno zindq, un dualista, uno che scinde lUnit divina; per lebraismo un afiqors, un epicureo, uno che nega la Provvidenza divina a favore di un deus otiosus (la bestemmia ebraica archetipica : Let din we-let dayn, Non c Giudizio n Giudice). Epicureismo e dualismo si congiungono nel pi famoso apostata ebreo, il tann Elisha ben Avuy. 3 In termini rabbinici, una bath qol, lett. figlia della voce. Si tratta dellultima forma di comunicazione profetica rimasta ad Israele dopo la chiusura del tempo della Profezia in senso stretto: ma un famoso passo talmudico (Baba Mesia 59 b) insegna che una bath qol non va presa in considerazione da un consesso di dotti riuniti per prendere una decisione giuridica, perch la Torah non nei cieli. 4 Cfr Lorigine des dogmes chrtiens, tr. it. Lorigine dei dogmi cristiani, Marietti. 5 Nella Qabbalah, la Madre la Ruah ha-Qodesh (Spirito Santo), congiunta al Padre-Sapienza (Hokhmah) per generare un Figlio ed una Figlia, la Shekhinah o Immanenza-Presenza divina nel mondo.

Scrittura ebraica. Eventi e personaggi di quello che viene chiamato Antico Testamento (la berith anteriore, superata dalla Nuova) in particolare i sacrifici, come quello di Isacco, le teofanie, come quella del roveto ardente, e personificazioni gnomiche, come la Hokhmah (Sapienza) del Libro dei Proverbi e dellomonimo libro in lingua greca vengono considerati typoi (in latino figurae), annunci velati dellevento-Cristo, che venuto a compiere (plerosai, Mt 5,17) le promesse lasciate in sospeso nella Rivelazione fatta agli ebrei:6 ...Ho letto che ci sarebbe stata una Legge definitiva ed unAlleanza/Patto migliore delle altre... La Legge consegnata sul Sinai solo per voi (ebrei), questa (quella del Cristo) vale per tutti gli uomini senza distinzioni (Giustino, Dialogo con Trifone). Soprattutto le riflessioni dei pensatori cristiani di matrice culturale non ebraica sulla Torah (nomos nellebraismo ellenistico e in Paolo), sulla Hokhmah dei Proverbi e sulla Sophia del libro omonimo (ovviamente non accolto nel canone ebraico), corroboreranno lidea di Ges come Logos, secondo il difficile prologo giovanneo. Negli scritti di Filone dAlessandria, il grande pensatore ebreo contemporaneo di Ges in cui le dottrine acroamatiche ebraiche e i termini e i concetti di certa filosofia ellenistica si integrano in modo singolare, il Logos, al pari della Sapienza dei Proverbi che stava presso Dio (come il Verbo giovanneo, pros ton then) durante la creazione, il mediatore tra lUnico Creatore e il creato, modello della molteplicit come il mundus intelligibilis platonico e Parola che enuncia ed opera simultaneamente come nella Genesi. Unidea simile sembra ispirare ancora Ireneo di Lione, quando scrive che il Padre-Creatore assistito nelle sue opere dalle Sue Mani, il Figlio-Verbo e lo SpiritoSapienza, cui il mondo angelico subordinato. Ad ogni modo la riflessione sul Logos, pronunciato da Dio eppure da Lui distinto, fornisce uno strumento per pensare il kerygma: Ges Signore/Ges Dio. Ges Dio-e-uomo perch, dice Ireneo, il mediatore fra Dio e luomo doveva avere affinit/parentela con entrambi per condurli alla concordia. Ma come pensare questa mediazione in modo radicalmente diverso dalla filosofia pagana, con i suoi daimones che fanno da metaxy (tramite) fra gli immortali e i mortali? La fede d la certezza che Ges Dio: ma anche uomo, come evidente da ogni passo dei Vangeli. Se ora la sua divinit, il suo essere-Dio, identificato col Logos-Verbo, in che senso il Logos Dio, dal momento che Ges al tempo stesso tuttuno col Dio che chiama Padre e da Lui distinto? Nel dialogo con lebreo Trifone, Giustino parla di unalterit fra Dio-Padre, che lunico Dio, e il suo Verbo: ma allora il Verbo sar una sorta di etton thes, di dio inferiore gnostico? No, risponde Giustino: il Verbo un altro Dio... per numero, non per distinzione di pensiero. Lalterit , misteriosamente, compresente con ununit di volont e di conoscenza, come non accade mai fra gli uomini, dove la differenza tra individui comporta sempre una differenza di intenti e di pensiero. Ma non si tratta forse di un sottile paradosso filosofico che allontana il cuore del credente dalla viva parola di Ges, che tra laltro si sempre dichiarato Figlio di Dio Padre, non suo Logos? La questione sembra farsi vieppi grave ed intricata quando si deve spiegare come il Logos sia eterno al pari del Padre, pur derivando da Lui: allora Giustino ed altri recuperano la distinzione, di origine stoica, tra Logos endiathetos (immanente nel Padre o inerente a Lui) e Logos prophoriks (proferito), come la parola creata che prima pensata nel cuore e poi enunciata, attraverso il respiro, con la bocca. In effetti il Figlio-Logos viene generato, e la generazione sembra implicare qualcosa di affine alla vecchia idea filosofico-mistica di emanazione. Sembra non si possa uscire dallambito filoniano di un Logos-strumento, e quindi creatura: e infatti saranno tacciati di puro ebraismo coloro che, per preservare la rivelazione monoteistica di cui Ges si fa garanzia vivente, esprimeranno una posizione nota come monarchianismo. Come dir pi tardi Sabellio (imitato molti secoli dopo da Abelardo), Padre, Figlio e Spirito sono i nomi che la Scrittura adopera per indicare tre modi di manifestazione ed azione dellUnico Dio Creatore e Salvatore. Lunit fra Dio e Ges si riduce cos allunit divina in quanto tale: ma questo pu condurre alcuni a ritenere che sia stato il Padre stesso, Dio di Ges e tuttuno con lui, ad incarnarsi, soffrire sulla croce, morire ed essere sepolto. Questa idea, che forse modula in maniera estremistica le intuizioni rabbiniche sulle
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La apokaradokia (ansiosa attesa) delle Cose Ultime che Paolo attribuisce allintera creazione (Rm 8,19) cos trasferita alla Rivelazione stessa.

sofferenze della Shekhinah (Presenza) di Dio, entrata nelleresiologia col nome di patripassianismo.7 La parola di Ges Cristo non si pu cancellare: Eg kai ho patr hen esmen, Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). Anche se i tre nomi, Padre, Figlio e Spirito Santo compaiono insieme in un solo testo evangelico (Mt 28,19) e in un passo paolino (2Cor 13,13), e nel primo caso solo in riferimento alla formula battesimale, il pensiero cristiano inizia a cogliere nella Trinit il centro della Rivelazione delluomo-Dio di Nazareth. In effetti, la cristologia inconcepibile senza la riflessione trinitaria, la quale a sua volta il fondamento della cristologia. Si tratta di pensare simultaneamente Dio e uomo in Cristo, cos come bisogna concepire simultaneamente in Dio lunit e lalterit, lUnicit rivelata nellAntica Alleanza (mai rifiutata, se non da alcuni gnostici) e la pluralit rivelata dal Messia, e nel Messia. Uomini dalla notevole e variegata preparazione filosofica (ed esoterica), come Origene, propongono parole greche maneggevoli ma anche sfuggenti, dotate forse di troppo vaste risonanze: ad esempio hypostasis, che nel neoplatonismo indica i singoli gradi dellemanazione dellUno. Ma in questi autori luso della parola si appoggia alletimo (ci che sta sotto, ci che sussistente)8 per confutare il modalismo sabelliano-monarchiano: il Figlio (che il perno della prima speculazione trinitaria) non una qualit di Dio, ma un essere sussistente, e Padre e Figlio sono due quanto allipostasi, ma una cosa sola per la conformit di volont. Tertulliano, provando disagio per questa parola troppo greca, va a cercare, da buon latino, nel lessico giuridico romano e, nellAdversus Praxean, inaugura un termine ad un tempo arcaico e modernissimo, persona. Il primo significato quello di maschera teatrale, ed anche connesso allantico costume romano delle imagines, i calchi funebri degli antenati conservati dalla famiglia ed indossati dai discendenti, nello spazio del rito, per mostrare che lindividuo accede alla comunit e alla responsabilit giuridica solo assumendo di nuovo la parte dei propri maiores. Inoltre, nella traduzione greca della Bibbia (quella dei Settanta), abbiamo lequivalente di persona, prosopon (altra parola che avr un grande futuro), per rendere lebraico panm, volto, soprattutto volto di Dio, la presenza personale di Dio. Ma luso latino di persona era anche sommamente utile per tradurre una delle espressioni bibliche pi frequenti, be-shem, in nome di: il profeta che parla e agisce in nome del Signore (be-shem YHWH) parla e agisce in persona Domini, impersonando il Signore per gli uomini destinatari del Suo messaggio. Secondo un midrash (commento rabbinico alla Scrittura), YHWH ha detto a Giacobbe: Io sono Dio per quelli in alto, tu sei dio per quelli in basso. Comunque, le parole ipostasi e persona vengono utilizzate per esprimere la distinzione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che sono lUnico Dio. Ma molti insorgono. Il pi carismatico degli oppositori un presbitero alessandrino, Ario, che d una formulazione coerente alle resistenze monarchiane. Innanzitutto, Ges ha pregato il Padre, che per lui il solo Dio, e ha manifestato chiaramente la propria sottomissione: Il Padre pi grande (meizon) di me (Gv 14,28). Dire Figlio equivale a dire creatura: certamente la prima creatura, come la Sapienza dei Proverbi (Pr 8,22); ma stata pur sempre la volont dellunico creatore a trarla dal nulla originario. Ario insiste molto sulla preposizione da (ek): se Ges stato generato dal Padre, cio deriva dal Padre, o si tratta appunto di creazione, oppure, se il Figlio Dio come il Padre, avremo due principi, insomma due di. Ricaduta nel paganesimo! Ges ha sofferto, ha subito mutamenti, il che non proprio di Dio: i numerosi passi neotestamentari in cui si legge, ad esempio, che Dio ha generato Ges oggi, cio nel giorno del suo battesimo, oppure che lha esaltato etc., indicano che Ges stato reso simile al Padre nel tempo e per grazia, sebbene in modo specialissimo. Le ragionevoli osservazioni del prete dAlessandria, che a differenza di alcuni suoi seguaci era invero abbastanza moderato, sollecitarono una difesa appassionata, ma tuttaltro che concorde, della follia del messaggio, della stoltezza di Dio rivelata nel Nuovo Testamento. Il contenuto della fede cristiana indubbiamente paradossale: non bisogna rinunciare a nessuno dei termini che sono
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Il suo ultimo estimatore, probabilmente, stato il giudaizzante Sergio Quinzio. In Eb 11,1 leggiamo che la fede (pistis) fondamento delle cose sperate, elpizomnon hypostasis. I latini tradurranno con substantia.

in apparente contraddizione, e nemmeno alla stessa apparenza di contraddizione; il pensiero, il logos in quanto manifestazione creata del Logos che Dio, deve cercare mediazioni rigorose, e a tal fine gli strumenti della filosofia greco-latina, background di quasi tutti i convertiti colti dellecumene, andavano usati con la semplicit della colomba e lastuzia del serpente. Secondo la celebre esegesi allegorica dellEsodo, i cristiani dovevano servirsi di quegli strumenti come gli ebrei degli arredi e delle suppellettili portate via dallEgitto, oggetti idolatrici piegati al culto del Signore. Il concilio di Nicea (325), voluto da Costantino, e quello di Costantinopoli (381), voluto da Teodosio, cercheranno di tenersi su questo necessario ed esaltante filo di rasoio. Il symbolon di Nicea, leggermente modificato a Costantinopoli ed ancora vigente nella liturgia occidentale ed orientale (con la famosa differenza cui accenneremo), impone una formulazione universale della fede trinitaria, un dogma (termine che indicava prima anche gli editti e i decreti imperiali). A proposito del Figlio, vi si dice: Credo in un solo Signore Ges Cristo, il Figlio di Dio...Dio da Dio (then ek theo), Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato (ghennethenta ou poiethenta), consustanziale al Padre (homoousion t patr). Dettagliata risposta agli ariani: la derivazione dal Padre non implica creazione; lanalogia con la luce (il Padre la fonte luminosa, il Figlio la luce illuminante, e le due cose sono una) aiuta a comprenderlo per mezzo dellimmaginazione e dellesperienza: Padre e Figlio (e Spirito) sono distinti, ma hanno la medesima ousia. Che vuol dire? E perch scomodare un altro termine greco, ancor pi ampio e scivoloso, che non sembra avere una netta ed immediata differenza di significato rispetto a hypostasis? Forse maggiore chiarezza pu venirci da alcuni pensatori cristiani assai distanti fra di loro (non solo cronologicamente). Loccidentale Agostino preferisce parlare di sostanza (substantia), che corrisponde allousia nicena, e di personae, come Tertulliano. Nel De Trinitate dice che niente di ci che in Dio accidentale: come si formuler poi, tutto ci che in Dio, Dio; ma non tutto ci che in Dio si dice secondo la sostanza, che lalternativa aristotelica allaccidente. Sebbene lessere Padre e lessere Figlio siano cosa diversa (diversum), non una diversa sostanza, perche ci non si dice secondo la sostanza, ma secondo la relazione (secundum relativum); quando si chiede cosa siano il Padre, il Figlio e lo Spirito, il linguaggio umano si trova in grandi ristrettezze, sicch stato detto Tre Persone, non per esprimere la cosa, ma per non tacere al riguardo. Tommaso dAquino andr ancor pi a fondo, sottolineando la differenza tra la sfida del pensiero cristiano e omnes antiqui doctores, tutti i sapienti antichi che hanno ripreso lontologia platonicoaristotelica, categoria che comprende, come il Limbo dantesco, non solo i filosofi pagani, ma anche i pensatori ebrei e mauri (musulmani) medievali. Tutto ci che in Dio, Dio: la relazione espressa da ogni Persona (relatio in divinis) non un accidente inerente ad un soggetto, ma la stessa essenza divina; la Persona divina significa una relazione in quanto sussistente (relationem ut subsistentem), una relazione reale. La molteplicit, in Dio, non una divisione dellUno che al di fuori (praeter) dellUno e quindi al di sotto di Esso: il tre delle Persone non appartiene al numero come principio quantitativo, ma esprime una molteplicit interna a Dio, trascendente (sumuntur a multitudine secundum quod est trascendens).9 Abbiamo quindi tre relazioni reali, ma non tre di: abbiamo ununica Divinit, ma non ununica Persona. Dopo diversi secoli, il grande filosofo russo ortodosso (e platonizzante) Pavel Florenskij dir che lo homoousion niceno la rivelazione definitiva della unimolteplicit presentita dai misteri pagani (lo hen kai poll, Uno-e-molti): ogni Persona relazione, ma relazione-sostanza, cio Dio; la ousia del dogma non la sostanza dei filosofi, ma lamore (agape), vero centro della Rivelazione cristiana (Dio Amore, 1Gv 4,16). Il Dio Ignoto e nascosto dei platonici e degli altri antichi, Uno e Assoluto e anteriore ad ogni molteplicit e manifestazione, si rivela ai cristiani come il Dio Noto, Amore che fonda in Se stesso unidentit plurale ed indivisa.10 Senza divisione e senza confusione (adiairtos kai
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Tutti i passi citati sono nella Summa Theologica. Cfr La colonna e il fondamento della verit. Secondo una formulazione classica, Padre, Figlio e Spirito sono, rispettivamente, lAmante, lAmato e lAmore. Il Padre la Fonte (pegh) o lOrigine (arch) della vita trinitaria: il Figlio leterno oggetto dellAmore, ed la Conoscenza (in quanto Verbo e Sapienza) del Padre. Ma poich, come
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asynchytos, indivise et inconfuse), dice il dogma: a questa comunione chiamato, per partecipazione, attraverso Cristo, luomo, ogni uomo. Ecco il nocciolo mistico-soteriologico della apparentemente sottile teologia. Il dogma niceno suscit, com ovvio, lopposizione monarchiana e sabelliana e, paradossalmente, anche quella di molti che accusarono lo homoousion di monarchianesimo, in quanto sembrava sacrificare le articolazioni interne allenfasi sullunit. In effetti, la quasi equivocit fra termini come ousia ed hypostasis, nonch le incomprensioni tra i greci e i latini, richiedeva maggiore specificazione nel nascente lessico teologico, nonch unattenzione pi rigorosa alle peculiarit dello Spirito, la persona pi impersonale della Trinit, e quindi la pi trascurata fino ad allora. A Costantinopoli gli sforzi pi o meno congiunti (almeno della Chiesa orientale) portarono alla redazione pressoch definitiva del simbolo: il cristiano deve credere alla dottrina di Nicea, nel senso che c ununica divinit, potenza e sostanza (ousia) del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo...in tre ipostasi perfette o anche tre persone (la parola prosopa) perfette. Il linguaggio dogmatico sembra mirare alla concordia tra le posizioni occidentali e orientali: ma rester per sempre la controversia sullo Spirito, che per gli orientali procede (ekporeuetai) solo dal Padre, mentre per gli occidentali procede congiuntamente dal Padre e dal Figlio; la questione del filioque, che qui ci impossibile trattare diffusamente. Resta solo da ricordare lo strenuo lavoro teologico e politico di Atanasio, il grande niceno, e dei Cappadoci, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo, di origine patrizia e di ottima formazione intellettuale, ispiratori del Concilio costantinopolitano. Ma, una volta messe a tacere (non certo annientate) le pur sensate obiezioni degli ariani, il quinto secolo, fatale anche sul piano politico per la poco compatta cristianit, doveva infiammarsi intorno alla definizione di un dogma cristologico condiviso. Le grandi questioni sollecitate dal pensiero di Apollinare di Laodicea portarono ad applicare le intuizioni della teologia trinitaria alla persona Christi: il dogma niceno, scendendo alla concretezza dellevento evangelico, lincarnazione, la passione, la morte e la resurrezione del Verbo-uomo, mostr le sue ardue nuances e la sua tenuta concettuale ad un tempo. Apollinare era amico e seguace di Atanasio, il campione di Nicea: ne riprese e svilupp alcune idee, arrivando a conclusioni abbastanza razionali, ma molto inquietanti. Il Verbo divent carne, dice la Scrittura (kai ho logos sarx egheneto, Gv 1,14): ci significa che ha assunto (verbi lambanein e analambanein) la corporeit umana, ma non lanima (psych) e lintelletto (nos) umani, il cui posto stato preso dal Verbo stesso come Persona divina. Il Logos non si incarnato totalmente, non si unito alla natura umana nella sua interezza, altrimenti non sarebbe stato impeccabile (anamartetos): per salvare luomo, intimamente segnato dal peccato, DioVerbo ha dovuto in un certo senso afferrare e guidare il passivo ricettacolo della carne creaturale, prescindendo dalla presenza e dalla mediazione di ci che specificamente umano, lanima razionale e pensante (psych loghik); quindi: Il Figlio non due nature [divina ed umana], ma una sola natura, quella del Verbo di Dio, incarnata (Confessione a Gioviano 1). Era iniziata la stagione della controversia monofisita (da monos, uno solo e physis, natura, laffermazione di una sola natura in Cristo). Cerchiamo di accostarci al nodo cristologico, senza pretendere di esplorarne tutte le pieghe. Dopo lemarginazione della grande effervescenza gnostica, con le sue visioni e le sue proliferanti narrazioni simboliche, la sfida che Ges Cristo lancia al pensiero dei suoi fedeli ortodossi, che seguono cio la orth doxa, la retta opinione sulle verit di fede (definita dal dogma), molteplice: concepire insieme, non solo lumano e il divino in lui, ma anche la convergenza fra due movimenti opposti; da Dio-Verbo alluomo (lincarnazione, liberamente voluta da tutta la Trinit), e dalluomo a Dio, da Ges di Nazareth, che lentamente ed enigmaticamente si rivela Figlio nel
ricorda S. Weil, loggetto, in Dio, non pu essere meramente passivo, ma al tempo stesso soggetto (e quindi Dio), lAmore infinitamente e realmente corrisposto, ed cos totalmente donato da essere una terza Persona, lo Spirito (quindi detto anche Dono). Questa koinonia (comunione) pu essere sperimentata nellamore fra uomini, che non a due, perch, come fra il Padre e il Figlio media e distingue lo Spirito, cos dove due o tre sono riuniti nel nome di Ges, Egli in mezzo a loro (en meso autn).

battesimo, nella predicazione, nella Trasfigurazione e, in modo sommamente misterioso, nella Passione, Morte e Resurrezione (lesaltazione o divinizzazione delluomo). Il Verbo, che Dio ma nella sua specificit relazionale di Persona, assume, prende su di s liberamente non un individuo umano, n la sola corporeit (come per Apollinare), ma lumanit secondo natura, come stata creata, cio senza peccato. Questa lopera della salvezza: poich la caduta delluomo, in Adamo, stata radicale e totale (qui evidente il tratto pessimistico ed apocalittico soprattutto della prima predicazione cristiana), la riconciliazione fra creatura e Creatore pu avvenire solo per la amorosa iniziativa del Creatore stesso, che deve intimamente entrare nella natura di ci che suo eppure alienato per salvarlo; cio, come suggerisce il ventaglio semantico del greco sozein, per ricondurre luomo a se stesso, al proprio modello autentico, traendolo da ci che crede di essere. La cristologia dunque il fondamento dellantropologia cristiana: Cristo il Nuovo Adamo, quindi luomo perfetto proprio mentre vero e perfetto Dio; il Verbo, Sapienza di Dio Padre, si incarnato in tutto ci che veramente e propriamente umano, perch ci che non viene assunto, non viene neanche risanato (to gar aproslepton atherapeuton), invece ci che unito a Dio, questo si salva (h de henotai t the toto kai sozetai) (Gregorio di Nazianzo, Lettera a Cledonio 1). La theandria, la divino-umanit del Logos fatto carne o fatto uomo (si parla sia di ensarkosis che di enanthropesis per sottolineare le due diverse sfumature e prospettive), il fondamento di una dottrina importante, nota come comunicazione delle propriet (idiomaton koinonia, communicatio idiomatum): in Ges Cristo, lumano e il divino sono cos intimamente ed amorosamente congiunti, al pari di una sposa con il suo sposo (la simbologia nuziale biblica viene usata ampiamente, a partire da Paolo), che le loro rispettive propriet, pur restando in s distinte, sono messe in comune e quindi continuamente scambiate, in una circolazione dessere che manifesta la comunione (koinonia) della Trinit stessa. Si pu e si deve quindi dire che Dio nato, ha patito ed morto (in Ges), cos come luomo Dio (in Ges) e resuscita i morti e risorge lui stesso. In realt proprio questa la prova sperimentale del dogma, e il telos della Rivelazione: Dio divenuto uomo affinch luomo diventi Dio; lumanazione (enanthropesis) del Verbo rende possibile la deificazione (theosis) delluomo. Il Verbo, che Figlio di Dio per natura, diventa Figlio dellUomo affinch tutti i figli duomo diventino Dio per grazia, cio per partecipazione a Lui e in Lui. 11 Dopo molti secoli, Meister Eckhart e i suoi seguaci (soprattutto Angelus Silesius) diranno, con urgenza biblica e mistica insieme: Che mi serve se Dio si incarnato in Ges una volta, ma non nasce qui ed ora dentro di me? Resta per quella differenza essenziale: Ges Figlio e Dio per natura, gli altri uomini per grazia e attraverso di lui. Non immediatamente comprensibile, e del resto non pu che essere, prima di tutto, oggetto di fede.12 Ma per ora basti. Linsegnamento di Apollinare rendeva urgente una reazione che sottolineasse la piena e perfetta umanit di Ges congiunta alla divinit: ma a Costantinopoli le opinioni del nuovo arcivescovo, Nestorio, rivolsero lattenzione di molti ad altri aspetti del dogma, ancora pi riposti. Nestorio rifiutava la dottrina della comunicazione delle propriet: poich il Verbo Persona divina e davvero si unisce allumanit, per non cadere nel monofisismo bisogna ammettere che anche lumanit, nellincarnazione, sia una persona, un prosopon; quindi abbiamo un prosopon umano e un prosopon divino, che per si congiungono (synapheia) in un solo prosopon, detto prosopon di unione e chiamato Cristo. Questa congiunzione o unione rende impossibile la comunicazione delle propriet in senso forte: non si pu dire che Dio nato, ma che Cristo nato; meglio chiamare Maria madre di Cristo (Christotokos), piuttosto che, come si iniziava a fare allora, madre di Dio
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Come membra del Corpo Mistico di cui Cristo il Capo, e che il Christus Totalis di Agostino e Isaac de Stella, Capo-e-membra, Ges-e-i-credenti. Mentre, come abbiamo visto, Ges dice di essere una cosa sola (hen, unum) con il Padre, Paolo dichiara che gli uomini sono una sola persona (heis, unus) in Ges Cristo (en Christ Ieso) (Gal 3,28). 12 I Padri greci si accostarono a questa differenza con grande sottigliezza. Non basta dire che Ges fu preservato dal peccato, perch anche sua madre Maria lo fu: inoltre, la professione di fede chiede allintelletto una pi vasta articolazione. Massimo il Confessore, il campione dellortodossia nel VII secolo, dir che Ges ha avuto volont umana, ma non la volont gnomica che caratterizza tutte le persone umane altre da lui: si tratta della volont di ogni persona in quanto separata, che sa alcune cose ed altre ne ignora, e quindi si pone di fronte alla possibilit con la propria facolt di scelta (proairesis).

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(Theotokos). La asperrima controversia fra lui e lalessandrino Cirillo port, lentamente e con pesanti colpi di mano, ad uno dei concili pi importanti dopo quello niceno, il Concilio di Calcedonia (451). Cirillo si appoggia ai Padri niceni come a suo tempo Apollinare, ma con maggiore equilibrio fra il dato della fede e il movimento del raziocinio. Il Verbo ha assunto lumanit nella sua interezza, ma proprio per questo non ha assunto una persona umana, perch la persona umana separata dalla totalit del genere, non ha lunit della Persona divina: appunto la Persona divina a personizzare lumanit assunta; lunit di Ges Cristo nel Verbo, che il Soggetto e il punto di partenza dellincarnazione. Anche la posizione di Cirillo non immune dal razionalismo monofisita, ma la sua tempra di lottatore aprir rudemente la strada alla laboriosa definizione del dogma calcedoniese. Nella formula di unione del 433 si cerca un equilibrio tra le diverse fazioni: Ges Cristo consustanziale (homoousios) al Padre secondo la divinit, e consustanziale a noi secondo lumanit: infatti avvenuta lunione di due nature (dyo gar physeon henosis ghegone)... senza confusione (o mescolanza, aggettivo asynchytos). Quanto alle espressioni riferite a Ges dagli evangelisti e dagli apostoli, alcune le hanno rese comuni [alle due nature] (koinopoiontas), riferendole allunica persona (os efhens prospou), altre le hanno divise (diairontas), riferendole [di volta in volta] alle due nature, e ci hanno tramandato quelle divine (theoprepes) riferendole alla divinit del Cristo, quelle invece che indicano abbassamento (tapeins) riferendole alla sua umanit. gi la fede calcedoniese: come in Dio c una sola natura in tre persone, cos in Cristo (nellincarnazione) ci sono due nature in una sola persona; quasi un riflesso speculare della Trinit sulla terra, che la conferma e realizza. Di nuovo, si trattato di pensare insieme unit-emolteplicit, identit-e-alterit: forse al prezzo di trascinare la robusta fede evangelica, la semplicit del kerygma, in dispute taglienti e interminabili, ma con indubbia coerenza di cuore ed intelletto. Il Messaggio stato accolto dalle genti, e le genti erano impregnate di metafisica ellenica e di pensiero giuridico romano. Il dogma-decreto parla di sostanza, ipostasi, mescolanza e via filosofeggiando, ma il fine la novit, il novum cristiano: aprire la metafisica della sostanza alla Rivelazione di Ges come Figlio di Dio e Dio; ferire lontologia, il Dio Essere Assoluto o Dio dei filosofi (Pascal), per dischiuderlo alla mistica escatologica della palingenesi, quando Cristo sar tutte le cose e in tutte le cose (panta kai en psin Christs, Col 3,11), e quindi ricondurr il creato nel seno del Padre (Gv 1,18). Con efficace sintesi, scriveva il vescovo di Roma Leone Magno al vescovo di Costantinopoli Flaviano: Restando dunque integre (salva) le propriet di entrambe le nature e sostanze confluenti (coeunte) in ununica persona, la Maest assunse la bassezza, la Forza la debolezza, lEternit la mortalit; per pagare il debito della nostra condizione [=per riscattarci dallumanit caduta], bisognava che lUnico Mediatore Ges Cristo potesse da una parte morire, e dallaltra essere immortale. La communicatio idiomatum una realt irrefutabile: il Figlio dellUomo sceso dal cielo, il Figlio di Dio nato e morto. La coincidenza degli opposti, che in ogni tradizione spirituale il livello pi alto e mistico del discorso sul Divino, trova qui unarticolazione razionale difficile, ma in qualche modo richiesta dal concreto formarsi della Chiesa di Cristo nella storia. I sudditi cristianizzati dellImpero Romano non potevano pensare la loro fede, di lontana origine semitica, se non applicando avventurosamente gli strumenti del loro logos, di meno lontana origine greca. Se poi questo logos abbia finito con imporsi al Logos che Cristo, non dato dire: loleastro pagano innestato sul nobile ulivo semitico (cfr Rm 11,16-24), Paolo ne era gi consapevole, avrebbe avuto un destino complesso e tortuoso. E non poteva impedire che altri pensieri sul suo Capo, Cristo, sorgessero nelle contrade dellimpero sempre pi vasto ed anche fuori del limes: soprattutto non poteva prevedere che il sogno di unit imperiale andasse ad urtare, proprio nel secolo di grandi difensori della fede come Massimo il Confessore e, pi tardi, Giovanni Damasceno, contro lespansione politica di un piccolo popolo semitico, e soprattutto contro la comparsa di una Rivelazione che sembrava riaprire i conti con una visione non romana, e non universale, di Ges il Messia, figlio di Maria di Nazareth.

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LETTURA DEL RADD AL-JAMIL Non intendiamo qui esaminare la questione dellattribuzione del Radd al-Jaml, se lopera sia di al-Ghazl, la prova dellIslam (come ancora pensava, ad esempio, Massignon), o se sia di un cristiano copto convertito, secondo la ben argomentata ipotesi di G. S. Reynolds. 13 Non mancano elementi a sostegno delluna come dellaltra posizione: diremo qui molto brevemente che loperetta non sarebbe indegna del grande mujaddid di s per lequilibrio del pensiero e lacribia scientifica, nonch per la diffidenza pi volte sottolineata nei confronti della filosofia, congiunta per alla pia calliditas di utilizzarne gli strumenti logico-euristici a fini apologetici e polemici;14 del resto, la non comune conoscenza delle Scritture, delle dottrine e delle confessioni cristiane, nonch un ricorso alla lingua copta in uno dei passi cruciali, potrebbero giustificare il sospetto di un passato cristiano dellAutore, dando cos alle frequenti stoccate di devota indignazione commil faut le drammatiche risonanze della psicologia del convertito. Proveremo a leggerla semplicemente seguendo il filo delle sue argomentazioni, in attesa di riprendere il nostro nellultima parte di questo lavoro. I cristiani si dividono in coloro che, non avendo pratica delle scienze (filosofico-teologiche), contraggono labitudine dellignoranza e restano attaccati a uwar, immagini; e in coloro che, avendo un po di intelletto e di pratica delle scienze, si attengono allimitazione pedissequa (taqld) del Filosofo (per antonomasia: cio, come in tutto il medioevo ebraico, cristiano e musulmano, Aristotele) sulla questione dellunione dellumanit e della divinit in Ges (ittid), che essi riconducono al nesso esistente tra lanima (nafs) e il corpo di carne (jasad).15 Ma si tratta di un ragionamento analogico (qiys) assurdo: infatti non c alcun elemento comune tra littid e lunione anima-corpo; se essi tuttavia obiettano che una forma di paragone ed esempio (tashbh wa-tamthl), bisogna rispondere che in Aristotele non c nulla di chiaro sullanima e sul suo nesso col corpo:16 dunque un qiys da rifiutare, ambiguo (qiys at-taqd), perch cerca di spiegare qualcosa di ignoto ricorrendo a ci che ancor pi ignoto (ignotum per ignotius). Inoltre, secondo Aristotele il rapporto che lanima ha col corpo quello della forma che lo organizza (tadbr), e ci accade in virt di una corrispondenza e di una convenienza reciproche, che non possono darsi affatto tra lumano e il Divino. Al di l dei puntelli filosofici, i cristiani si appoggiano direttamente alle loro Scritture, e fanno dei miracoli di Ges (in particolare la revivificazione dei morti, iy l-mayyt) la prova della sua divinit. Se vero che il miracolo profetico (mujiz)17 comporta uninterruzione delle leggi ordinarie (o delle consuetudini, kharq al-awid), ci sar valido per tutti i miracoli di tutti i Profeti, a cominciare dal legislatore degli Ebrei, Mos-Ms, che trasform la verga in serpente ed
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Gabriel Said Reynolds, The ends of Al-Radd Al-Jamil and its portrayal of Christian Sects [Islamochristiana], 1999, n 25 , pagg. 45 65. 14 In realt, nonostante il suo rifiuto della filosofia ellenizzante (falsafa: celebre il suo Tafu al-falsifa, Lincoerenza dei filosofi [ellenizzanti], noto nel medioevo latino come Destructio philosophorum) in quanto potenzialmente ed attualmente innovatrice rispetto alle verit rivelate, al-Ghazl considerava la logica (maniq) uno degli strumenti dellijtihd, lo sforzo ermeneutico che uno dei compiti sacri della comunit musulmana nel suo insieme. Devo questa rettifica al prof. Adnane Mokrani. 15 In effetti la teologia cristiana si servita spesso della psicologia aristotelica ed ha evocato, a proposito dellincarnazione, lunione tra lanima ed il corpo umani per analogiam: questa infatti ununio personalis simplex, in cui i due componenti, ciascuno dei quali in s incompleto, si congiungono per divina creazione a formare una persona integra; quella tra la natura umana e la natura divina in Ges invece unio personalis hypostatica, sostanziale, soprannaturale e indissolubile, perch qui non abbiamo due componenti incompleti che si completano a vicenda, e perch laddove il soggetto della prima unione il prodotto di questa stessa unione, nel caso di Cristo il soggetto (il Verbo) a produrre lunione (assunzione Dio-Verbo il soggetto che unisce a s lumanit sua creatura, e la salva anche nel senso che la conserva nella distinzione). 16 Pi avanti lAutore proporr lobiezione definitiva: Aristotele ha insegnato dottrine contrarie alla Rivelazione (una per tutte, leternit del mondo contro la creazione), quindi inaffidabile sul piano dei contenuti, sebbene non del metodo. 17 Il miracolo del santo (wal) si chiama invece karma.

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ebbe la mano bianca come per la lebbra senza esser malato. Anzi, il miracolo della verga un essere inanimato che diventa animato superiore a quello della revivificazione dei morti un essere che gi stato animato e che viene ricondotto al suo stato primo miracolo che, tra laltro, era stato precedentemente compiuto anche da Elia ed Eliseo. Inoltre, anche i Profeti (anbiy) che non furono Inviati (rusul) possono aver avuto questa relazione (nisba) con Dio, ma senza manifestarla. A questo punto, lAutore inizia lesame del Vangelo di Giovanni, il quarto dei vangeli canonici, che per i cristiani il pi chiaro (awa).18 Mentre la maggior parte dei polemisti musulmani accusa i cristiani di tarf an-na o bi-l-laf (alterazione del testo scritturale nella sua letteralit, nella fattispecie il testo dei Vangeli), lAutore imputa loro un tarf bi-t-tawl, o tarif al-maan (alterazione sul piano dellinterpretazione del testo, quindi sul piano dei significati e non dei significanti),19 salvo poi recuperare, almeno come sospetto, la posizione maggioritaria nellesame di un unico, ma fondamentale, versetto giovanneo. Le armi vengono subito snudate: nel Vangelo di Giovanni ci sono 1) passi manifesti (awhir, plurale di hir) che indicano lumanit di Ges e 2) passi di cui i cristiani rifiutano il tawl. Infatti, se i testi concordano con lintelligenza (almaql) vanno lasciati nel loro senso manifesto, ma se contraddicono levidenza razionale necessario interpretarli: il loro senso proprio (aqqa, cio verit) non il senso voluto, bisogna quindi rinviarli (radduha)20 al senso metaforico-traslato (majz). I primi passi esaminati sono proprio quelli che hanno bisogno del tawl, i testi cio sullittid di Ges con Dio. Il locus classicus Gv 10,30-36, in cui Ges dice: Io e il Padre siamo uno (an wa-l-bu widun).21 Ges stesso ha detto chiaramente agli Ebrei, interlocutori del discorso, che queste parole non andavano intese nel senso manifesto ma nellaccezione traslata-metaforica, e lo ha fatto proponendo loro un esempio (mathal) tratto dalla Torah, il versetto 6 del salmo 82: Io ho detto: voi siete di (liha, in ebr. elohim); Ges associato (verbo shraka) ai suoi interlocutori in virt di questo significato non proprio. Qui lAutore tenta un accostamento con il adth attaqarrub,22 un importante testo della tradizione islamica (Il Mio servo non si avvicina a me con qualcosa che Io ami di pi delle opere da Me prescrittegli. Ed egli si avvicina a Me con le opere supererogatorie finch io non lo amo. E quando Io lo amo, Io sono ludito con cui egli ode, la vista con cui vede, la mano con cui afferra, il piede con cui cammina etc.): Dio non pu essere presente (llan) nelle membra delluomo, n essere quelle membra tout-court (ibratan anha); il senso : se il servo si sforza di obbedire a Dio, riceve da Lui potere ed aiuto (qadra wa-maawana), e cos pu usare le proprie membra con lunico fine di avvicinarsi a Dio, non di identificarsi con Lui. In questo modo, i servi non sono pi separati da Dio nel senso che non sono pi in contrasto con la Sua volont: vogliono ci che Egli vuole. LAutore ha poi buon gioco nel sottolineare che la traduzione araba del verbo apostello (da cui apostolo), usato per indicare la missione di Ges, arsala, inviare, da cui rasl: Ges sta dicendo di condividere con tutti gli uomini il significato generale della metafora dellittid, e di esser loro superiore per i gradi della profezia e dellessereinviato (faaltukum bimartibi n-nubwwa wa-r-risla). Ha mostrato (bayyana) agli uomini il Dio da adorare: come pu essere egli stesso Dio? Torniamo dunque allargomento principe della polemica ariana.

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Senzaltro il vangelo teologico per eccellenza, quello che meglio accosta alla conoscenza di Dio come Trinit e di Ges come Verbo del Padre incarnato (lanimale simbolico di Giovanni laquila, che nei bestiari antichi era detta lunico essere vivente capace di fissare il sole). 19 Posizione del resto implicita nel titolo completo dellopera: Ar-radd al-jaml l-ilahyati-Is biar al-Injl (La bella refutazione della divinit di Ges com chiaramente espresso dal Vangelo). 20 Si comprende dunque che il Radd una refutazione nel senso specifico di unargomentazione che rinvia i testi evangelici alla loro corretta interpretazione. 21 Da notare che il testo greco usa il verbo essere (esmen) e dice uno al neutro (hen=una cosa sola: Eg ki ho patr hn esmen). Su queste differenze tra la lingua greca (lingua della redazione neotestamentaria, ma non lingua parlata da Ges) e le lingue semitiche si torner pi tardi. 22 Si tratta di un adth quds, un testo cio in cui Dio parla in prima persona.

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Il passo seguente Gv 17,11, tratto dal discorso sacerdotale dellUltima Cena: Padre Santo, conservali nel Tuo Nome che mi hai dato, affinch siano uno con Te come noi. qui ancor pi chiaro che si tratta di un paragone (mathal), perch Ges usa una particella comparativa (arf attashbh), come: egli prega Dio che conservi i discepoli nel Suo Nome come conserva lui, affinch conseguano in virt di ci lunit con/in Dio (wada bi-Llh). Se la sua unit con Dio gli avesse dato il diritto alla divinit, egli avrebbe chiesto, per i suoi discepoli, che diventassero di:23 ma, come si tratta di ununione metaforica se riferita agli altri uomini, cos anche se riferita a Ges. paragonabile alla conformit di volont che si ha con un amico, e che ci spinge a dire: Io e lui siamo uno. Il testo seguente appartiene ancora al discorso o preghiera sacerdotale: il famoso ut unum sint: E io ho dato loro la gloria che Tu mi hai dato, affinch siano uno come noi siamo uno (Gv 17,22). Ges chiede la gloria (majd) anche per gli uomini affinch essa dia ordine alla loro dispersione, e possano cos allearsi per obbedire a Dio (o: gareggino nellobbedirgli). Infatti, obbedire a Ges obbedire a Dio, e viceversa: questa la propriet dei Profeti e deglInviati. In quanto profeta ed inviato, egli dichiara che, se ci avvenisse (se gli uomini obbedissero a Dio per mezzo di lui), saremmo tutti come una sola essenza (ka-dhtin widatin). La qualit di inviato particolarmente evidente in Gv 12,44: Chi crede in me, crede anche a Chi mi ha inviato: cio: Io do notizia di Lui secondo verit (ukhbiru an-hu aqqatan). La prima parte di 17,22 indica la gloria in generale (ala al-umm), poi Ges la intende in senso specifico (waafahu), cio nel senso della gloria propria dei Profeti e degli Inviati: ma egli non ha chiesto per i discepoli che diventassero profeti ed inviati, quindi ha donato loro la conoscenza di ci che conviene alla Maest di Dio (ilmihim bim yaliq bijalli-Llh), cio la conformit a Lui attraverso gli ordini, le proibizioni e le decisioni che ha rivelato, ed ha richiesto lassistenza (tawfq) di Dio perch agissero secondo questa conoscenza. Lespressione: E santificali nella Tua Verit (aqq) allude al fatto che Dio, secondo il Suo Nome al-aqq, il creatore degli atti umani, come vuole lortodossia musulmana. Obiezione cristiana: perch nella gloria donata non pu esser compresa lunione che ha dato a Ges il diritto di essere un dio (ilahan)? Ma si tratta di una tipica petizione di principio: forse che lessere-dio (ilahya) pu essere donato?24 Ci sono poi i passi in cui lumanit di Ges manifesta, e coincidono proprio con i testi della controversia ariana. LAutore richiama sin dallinizio lattenzione su quella che, secondo la loro [dei cristiani] opinione (al rayihim),25 la sofferenza di Ges sulla croce, espressa (in Mt 27,46) con il grido del salmista, che qui viene tradotto in arabo: Dio mio, Dio mio, perch mi hai abbandonato? (ilah ilah lima taraktan?). Ci contraddice la divinit (munfiya li-l-ilahya), come pure lepisodio del fico (Mc 11,12-14), in cui Ges maledice la pianta perch, contro le sue aspettative, priva di frutti, episodio che dimostra insieme la sua fame e la sua ignoranza, qualit eminentemente creaturali. Egli tuttavia, in quanto profeta, ha compiuto il prodigio (la pianta sar sterile in eterno) per consolidare i discepoli nella loro fede (ci suggerito dal passo seguente, 11,20-25, secondo il quale chi crede pu ottenere, con le sue sole parole, che un monte si getti nel mare) e per insegnar loro a sostenere le prove ascetiche che conducono in Paradiso. 26 A proposito poi del testo sulla montagna che si precipita nel mare, va rilevato che Ges ha conferito ai suoi discepoli, in virt della walya (santit-amicizia con Dio, in questo caso sinonimo di fede), il potere di compiere prodigi ben pi grandi del fico disseccato, il che si collega immediatamente ad un
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Abbiamo visto, e vedremo ancora, come per il cristianesimo, specialmente orientale, sia proprio questo il fine dellIncarnazione. 24 Secondo il dogma trinitario proprio cos: anzi lo Spirito Santo, nesso del Padre e del Figlio, ha fra i suoi appellativi quello di Dono. 25 noto che lIslam tende a negare la morte ignominiosa di Ges sulla croce, recuperando lantico docetismo per ribadire, almeno nella prospettiva sunnita, la visione pi biblica (ma non del tutto biblica) del profeta divinamente assistito anche negli aspetti mondani della sua missione, in quanto manifestazione della potenza di Dio fra gli uomini. Cfr soprattutto Cor 4, 157-158. 26 Ges per lIslam, ed in particolare per i sufi, soprattutto maestro di pratica spirituale. I detti e fatti, per lo pi apocrifi, riportati da al-Ghazl nellIy ulmi d-dn sono tutti degli apophtegmata di carattere ascetico.

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versetto molto importante,27 Gv 14,12: Chi osserva i miei comandamenti far opere anche superiori (afal) alle mie. Altro versetto lungamente discusso anche nella cristianit: Quanto a quel giorno e a quellora [il giorno e lora delleschaton], nessuno li conosce, n gli angeli del cielo, n il Figlio, ma il solo Padre (ill al-b wadahu) (Mc 13,32). Qui Ges fa una dichiarazione di pura umanit (alinsniyya al-maa), negando di avere la conoscenza (ilm) propria della Divinit: ne consegue che, quando Ges dice Figlio, intende se stesso (nafsahu), e quando dice Padre, intende la Divinit (alilah). Intorno al passo seguente (Gv 17,1-3), lesegesi si fa pi sottile: E questa la vita eterna, che conoscano Te come il solo Dio vero (al-ilah al-aqq wadaka) e colui che hai inviato, Ges Cristo (Yas al-Mas). Abbiamo ora, secondo lAutore, la prova che il linguaggio neotestamentario non rigoroso: per i cristiani, infatti, la parola Mas, Cristo, indica la totalit di una sostanza composta di divinit e di umanit (majmu aqqa murakkaba min lht wa-nst);28 ma qui si parla dellinvio di Ges, cio del suo essere, islamicamente, rasl e quindi mero uomo. Si tratta insomma di una sorta di metonimia totum pro parte, come se dicessimo di aver visto dellinchiostro (composto), intendendo il solfato di ferro (uno dei suoi componenti). Vengono poi allegati diversi passi neotestamentari per corroborare le idee gi esposte: (Quando ci sar la Resurrezione), il Figlio si sottometter a Colui che gli ha sottomesso tutte le cose (1Cor 15,28): sottomettersi (kha) alla Sublimit di Dio proprio dei servi (shan al-abd), mentre sottomettere proprio di Dio il Possente (ilah al-Qdir). In Ef 1,16-17 si parla del Dio di Nostro Signore Ges Cristo; in 1Tm 2,5 il fatto che Ges Cristo sia lunico mediatore (was, in gr. mesites) fra Dio e gli uomini viene esplicitamente connesso alla sua umanit (larabo dice insn, il greco anthropos). Mt 23,9, un solo maestro (muallim), il Cristo; un solo Padre, Colui che in cielo, indica chiaramente una distinzione (taghyur), perch Ges assegna a s lunicit dellinsegnamento (wadati-t-talm) sulla terra, e alla Divinit lunicit della Paternit. La sottomissione di Ges esclude la sua divinit: egli ha spesso pregato (per la resurrezione di Lazzaro, cfr Gv 11,41-42, nel Getsemani, cfr Mt 26,39 e, come si gi ricordato, sulla croce), ed in particolare la preghiera nellOrto esprime prima dubbio (shakk) (Padre mio, se possibile, passi da me questo calice) e poi distinzione (ghyara) tra la propria volont e quella del suo Dio (per non come voglio io, ma come vuoi Tu).29 LAutore formula a questo punto una sentenza efficacemente lapidaria: Chi invia non chi inviato (al-mursil ghayr al-mursal). Dopo altre citazioni giovannee dello stesso tenore (Gv 8,39-40, in cui Ges chiama se stesso un uomo che vi ha detto la Verit che ho sentito da Dio, Gv 8,26, Colui che mi invia Verit [alaqq] e Gv 12,49-50, Perch io non ho parlato da me stesso [min nafs] etc.), un passo particolarmente mistico della Epistola agli Ebrei di S. Paolo (3,1-2) consente paradossalmente di introdurre nellargomentazione due spunti interessanti, che potremmo definire, come tutti gli altri, ebioniti, in riferimento alla piccola setta giudeo-cristiana delle origini: Guardate questo Inviato, il sommo sacerdote della nostra fede, Ges Cristo, che ha la fiducia di colui che lo ha inviato (almuattaman inda mursilihi, in gr. pistn onta t poiesanti autn), come Mos in tutta la sua casa. Da una parte, si sottolinea che, nella lingua originale in cui fu redatta lEpistola, la parola muattaman sinonimo di colui che serve-adora Chi lha creato; dallaltra, la casa (bayt) di Mos non se non la sua umma di credenti, il popolo ebraico, e Chi lha costruita Dio, che costruisce ogni cosa (cfr Eb 3,4); quindi entrambi questi rusul, Mos e Ges, sono un dono per il loro popolo, e il Donatore non che Dio. Notiamo che il testo originale (sebbene tradotto in arabo) accettato, come sempre (tranne lunica eccezione che vedremo), ma , pi evidentemente che altrove, sottoposto ad una ri-lettura pesantemente islamizzante: nel primo caso, la parola muattaman, si fa
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E pregiatissimo da tutti coloro che hanno interpretato la profezia del Paraclito, di cui si parler dopo, come unapertura a rivelazioni ulteriori: fra questi ci sono appunto i musulmani. 28 Cio lunione ipostatica, ma espressa qui con parole che fanno trasparire (imperfettamente) la cristologia nestoriana, probabilmente la meglio conosciuta dallAutore. 29 Si ricordi la controversia sul monotelismo e il ditelismo nellepoca di San Massimo il Confessore.

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un riferimento, difficile da giustificare, allUrtext; nel secondo caso, si omette strategicamente il versetto 3 (Infatti Ges stato reso degno di una gloria tanto maggiore di quella di Mos, quanto lonore di chi costruisce la casa maggiore di quello della casa), in cui gi in nuce tutto il pensiero cristiano sulla pienezza della rivelazione di Ges rispetto a quella mosaica in virt del suo irripetibile rapporto con Dio.30 Dopo questo primo studio di passi neotestamentari, lAutore trae una conclusione chiara ed originale: le espressioni di Ges riferibili al ull (linabitazione di Dio nelluomo) e laffermazione Io e il Padre siamo uno (nonch, come verr sviluppato in seguito, la terminologia della relazione Padre-Figlio) non sono state permesse (lam yuadhan) al fondatore (o latore) della nostra Legge (ib sharatin), Muammad, e a nessuno della sua comunit; ma anche Ges fondatore di una Legge, ed ogni Legge ha ricevuto dei privilegi particolari (ikhtaat bi-km). Ora, poich egli si discolpato dal sospetto di intendere le suddette espressioni nel loro senso manifesto proponendo un paragone (cfr supra su Gv 10,30-36), dimostrato che aveva il permesso di pronunciarle (udhina lahu b-ilqiha) e di utilizzare quel tipo di accezione metaforica. Ma in ci il cristiano non ha affatto seguito il Maestro: la sua pseudoesegesi consiste, in breve, nel ricondurre alla natura umana (nst) di Ges i testi che ne indicano lumanit, lessere-uomo (insniyya), e di riferire alla sua natura divina (lht) ogni passo manifesto (hir) che non in grado di interpretare (ajiza an tawlihi); sicch egli fa del suo Dio ora un uomo, ora una divinit (yajalu ilahahu tratan insnan wa-tratan ilahan). In questultima proposizione implicito tutto il giudizio dellAutore sui dibattiti cristologici: ma una cospicua parte delloperetta dedicata alla confutazione per extensum delle fazioni cristiane, rappresentate dai giacobiti (yaqbyya, la chiesa monofisita siriana), dai melchiti (malkyya, sensu latiore i cristiani ortodossi di lingua araba)31 e dai nestoriani (nusryya).32 La discussione tutta condotta sul filo di una logica filosofica piuttosto razionalistica, che con i suoi acidi va ad attaccare i nodi dottrinali in cui il dogma media tra la Rivelazione e lintelletto umano. La confutazione della cristologia giacobita si giova dellequivocit del concetto di mescolanza e delle sue implicazioni nel linguaggio monofisita.33 Secondo questa chiesa, la Divinit avrebbe creato la natura umana di Ges, e si sarebbe manifestata in essa con un legame che come quello dellanima col corpo: con questo legame, si sarebbe prodotta (adatha) una terza realt (aqqa), distinta da ciascuna delle due nature ma composta da entrambe, lht e nst, dotata di tutti gli attributi (mawfa) propri di entrambe e quindi insieme Dio e uomo: il Cristo. Si obietta che lesistenza di ogni composto dipende dallesistenza delle sue parti componenti e dal loro modo specifico di composizione, cos come ciascuna parte, entrando in composizione, ha bisogno degli altri componenti: ma, in questo caso, ne seguirebbe che la natura divina ha bisogno delluomo.34 Inoltre, se la Divinit, creata la natura umana, si fosse manifestata in essa unendosi ad essa, si sarebbe prodotto un attributo divino (lunione=ittid) dopo la creazione di qualcosa: ma gli attributi divini sono necessariamente esistenti (wjiba al-wujd), mentre la relazione di una creatura con la potenza divina che la fa esistere fa parte della categoria dei rapporti relativi (nisab waiaft), che non sono una realt di per s esistente, ad es. lesser sopra e lesser sotto e... essere padre e figlio!35

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Va detto, per, che non sarebbe difficile islamizzare anche il terzo versetto: vedere lultima parte sulla relazione Mos-Ges nella prospettiva musulmana. 31 La riunione dei Melchiti con la Chiesa Cattolica Romana risale a Serafino Tanas (Cirillo VI, 1724-1759). Devo questa precisazione al prof. Adnane Mokrani. 32 Non qui il caso di sottolineare la specificit di ciascuna delle Chiese nominate (spesso le differenze dottrinali sono state, nel corso della storia, piuttosto limitate), soprattutto perch lAutore fa unesposizione sui generis della cristologia, completamente funzionale ad una refutatio che investe la tradizione cristiana nel suo complesso. 33 La presentazione di questa dottrina fa pensare piuttosto al nestorianesimo storico vero e proprio. 34 Si mostrer poi come questa idea, apparentemente eretica ed irrazionale, sia (esotericamente) alla base delle rivelazioni monoteistiche. 35 gi implicito in questa asserzione il modalismo estremo della successiva confutazione della Trinit.

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La cristologia melchita somiglia di pi a quella cattolica: la natura umana di Ges e lessenza divina (dht al-ilah) sono due nature distinte (mutamayyazatni), fra le quali non c mescolanza (ikhtil) n fusione (imtizj), ma ciascuna conserva le sue attribuzioni specifiche. Ora, il Cristo la persona (uqnm) della natura divina soltanto, ed una natura senza composizione, estratta (ukhidat) dalle due nature, unita alluomo universale (al-insn al-kullyy, la natura umana come genere).36 Le due obiezioni sono particolarmente interessanti: se ci fosse vero, allora il Crocifisso stesso (almalb huwa) sarebbe Dio (superfluo dire che questo il retto insegnamento cristiano, se bene inteso);37 inoltre, o luomo universale esiste solo concettualmente (fi dh-dhihn), oppure, se anche esistesse ad extra (fi l-khrij), avremmo, come assurda conseguenza, lunione di Dio con tutti gli uomini.38 La confutazione dei nestoriani meno articolata e meno interessante, anche perch il bersaglio sembra poco individuato.39 invece assai notevole la parte iniziale della sezione successiva (dedicata allo studio delle principali designazioni di Ges Cristo), perch, con brusco e sapido passaggio, la geometria della controversia scolastica cede ad un accostamento tra la persona di Ges ed uno dei gangli pi vivi e dolorosi della mistica musulmana. Infatti, prendendo ad esame il significato del nome Dio (ilah) in quanto riferito a Ges, lAutore si chiede se i cristiani lo usino per magnificarlo (tamihi), cio in senso traslato, oppure per intendere la sua divinit (ilahya), cio in senso proprio. A questo punto osserva che la situazione paragonabile a quella di alcuni grandi personaggi dellIslam, ad esempio di Ab Yazd al-Bistm, che ha pronunciato le espressioni subn (Sia gloria a me!) e m aama shan (Quanto sublime la mia condizione!) ma lAutore attribuisce la seconda ad un altro e soprattutto di usayn ibn Mansr al-allj, che disse an Allh (Io sono Dio, pi nota la versione an al-aqq, Io sono il Vero i.e. Dio) e m fi l-jubba ill Allh (In questa veste non c che Dio). Si tratta delle famose shaat, le locuzioni teopatiche che sembrano esprimere un livello estremo di unione uomo-Dio (ittid) e di inabitazione della Divinit nellumanit (ull).40 Queste frasi, spesso brevi ed interiettive, vengono imputate agli stati spirituali dei santi (awl al-awliy), potremmo dire alla loro estasi, che impedisce il controllo del linguaggio (taaffu fi l-maql). Si dice che i santi (i mistici) siano ebbri (sukra); i consigli dellebbrezza (majlis as-sukr) devono essere nascosti, e

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LAutore espone, in modo piuttosto avventuroso, la dottrina calcedoniese ortodossa: in Ges Cristo le due nature, perfettamente distinte, sono anche perfettamente unite nellunica persona del Verbo che Dio, il quale ha assunto la natura umana in quanto tale, non una persona umana individuata. Da notare che la parola uqnm, dal greco gnome (conoscenza-volont), ancor pi di hypostasis e persona esposta allaccusa di triteismo, laddove nel dogma trinitario chiaramente espresso che le tre ipostasi-persone hanno in comune una sola natura e quindi una sola conoscenza-volont. 37 Infatti lAutore dice la divinit, il che non vero se si intende la Natura una della Trinit in quanto tale: vero per del Verbo, che coinvolge la Trinit nellincarnazione, ma lunica persona ad incarnarsi in senso proprio. chiaro che questi fraintendimenti sono altrettanti corollari di una visione di Dio incompatibile con la Rivelazione trinitaria. 38 In altri termini: o littid, concepito in questo modo, impossibile; oppure possibile e reale per tutti gli uomini. Questo argomento apparentemente banale , a giudizio di chi scrive, suscettibile di unamplificazione esoterica, come si vedr nellultima parte. 39 Si parla di unittid che ha avuto luogo nella volont (fi l-masha), con probabile riferimento al monotelismo, gi confutato. Ges, oltre a pregare per la propria salvezza, ha anche desiderato una cosa non avvenuta, la salvezza degli Ebrei. Notiamo che lAutore conclude per una separazione tra la Volont divina quia talis e la volont creaturale di Ges, sebbene egli, come tutti i Profeti e i Santi, abbia mantenuto il proprio volere sempre conforme alle prescrizioni (akm) di Dio 40 Le locuzioni di allj citate dallAutore esprimono soprattutto quella che potremmo chiamare una percezione del fan, cio, nel linguaggio sufico, dellestinzione dellindividualit creata nellUnit/Unicit divina. Il ull, invece, limmanenza di Dio in un individuo umano e nel suo corpo, suppone (come del resto lunione, ittid) una certa permanenza della creatura come ricettacolo del Divino: di qui il possibile accostamento alla dottrina cristiana. Il testo classico hallagiano sulla questione del ull una sua poesia: Io son Colui che amo e Colui che amo me,/ siamo due spiriti che dimorano in un corpo./ Da quando siamo in stretta intimit,/ la gente ci cita come esempio./ Se dunque vedi me, vedi Lui,/ e se vedi Lui, vedi noi (Diwan, tr. it. di A. Ventura, Marietti, 1987). Laccostamento tra il linguaggio di Ges e quello di allj anche in Alaoddawleh Semnani, citato a questo proposito da Massignon e da Corbin (cfr. R. Arnaldez, Ges nel pensiero musulmano, tr. it. di F. Caponi, Ed. Paoline 1988, pagg. 168 ss.).

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non riportati.41 In altri termini, le suddette locuzioni non implicano estremismo speculativo, o consapevole, e quindi blasfemo, antinomismo (tanto leresia quanto il peccato presuppongono un pieno uso delle proprie facolt), ma sono la traccia dellexcessus mentis, o per meglio dire delleccesso divino, nel fragile contenitore del linguaggio umano. LAutore termina la breve digressione sui toni delleloquenza religiosa: i mistici ebbri (ma forse sta anche parlando, di nuovo, dei cristiani) attirano su di s la derisione come gli ebbri tout court, ed anzi non trovano negli altri alcuna empatia e compassione: la via duscita, lalternativa, per loro, sarebbe quella di non opporsi frontalmente alla ragione, prendendo i testi nel modo opportuno (diciamo, sobriamente). Continuando a passare in rivista le designazioni di Ges, lAutore nota che Rabb (Signore) un appellativo comune a Dio e al proprietario (al-mlik) di un bene; cos come Ilah, Dio, pu essere applicato a tutto ci che grande (am), a tutto ci che viene adorato, rettamente o a torto, e alluomo investito da Dio di autorit sugli altri uomini (Es 7,1: Ti [i.e. Mos] ho posto come dio per Faraone). Singolarmente, commentando 1Cor 8,5-6 (Non c altra divinit che Dio solo, anche se ci sono cose in terra e in cielo che vengono chiamate di: e sebbene ci siano molti di e molti signori [arbb], noi abbiamo un unico Dio, che Dio Padre... e un unico Signore, che Ges Cristo, che ha tutte le cose nella sua mano, ed anche noi siamo in suo potere [fi qabatihi]), osserva che, dopo la chiara testimonianza dellUnico Dio, viene attribuita a Ges solo la mano del possesso (yad al-mulk): il che rimanda, forse, al ruolo non pi solo profetico, assunto da Ges nella sua vita mortale, ma anche messianico, alla fine dei tempi (si ritorner pi tardi sullargomento). Vengono lasciati alla fine gli appellativi neotestamentari pi importanti: quello di Figlio per Ges Cristo, e di Padre per Dio. Dopo aver ricordato che, nella tradizione ebraica, la parola figlio indica sempre il popolo di Israele (cita lespressione Israele mio figlio primogenito, e Es 4,22-23, Sal 103,13), esplicitamente introdotta, per la prima volta, quella che forse lintuizione, lesperienza semitica fondamentale: la Misericordia. Lc 6,35-35 connette limpidamente filialit e misericordia: Sarete i figli dellAltissimo, perch misericordioso (ram) con chi non benevolo e con i malvagi: siate misericordiosi come il Padre vostro. 42 Le propriet del padre (del Padre) sono: uninclinazione ad essere ricco di tenerezza (anan),43 dolcezza (rafa), misericordia (rama), compassione (shafaqa) verso suo figlio: e in questo Dio superiore ad ogni padre.44 Le propriet del figlio sono: rispettare (muwaqqiran) suo padre, glorificarlo (muaiman), essere ricco di venerazione (ay) per lui, ubbidiente (mumtathilan) ai suoi ordini: e in questo i profeti sono superiori a qualunque figlio. Insomma, quando Ges promette ai suoi discepoli la partecipazione alla filialit, sta semplicemente dicendo: se obbedite a Dio, egli far con voi ci che un padre fa con i suoi figli. I termini padre e figlio sono dunque accettabili, se ricondotti al loro statuto di metafore della Misericordia: tutti i passi coranici in cui si nega che Dio abbia un figlio (ad es. Cor 6, 101; 4,171 e, ovviamente, la sura al-Ikhls, 112) negano quindi la filiazione stricto sensu (la dottrina cristiana della filiazione naturale), non il libero gioco dei traslati che non possono mai definire Dio, ci che Dio .45
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Cfr Abd el-Kader, Il libro delle soste, Mawqif 322 (a cura di M. Chodkiewicz, Bompiani, 2001, pag. 100 ss.). Lesoterico va celato: chi lo mette in luce pur essendo nel pieno possesso della ragione (come allj stesso, secondoAbd el-Kader), viene sanzionato sia dai dottori della Legge che dai mistici. Interessante la prospettiva escatologica (o di escatologia esoterica): Colui che, in questo mondo, dichiara di essere Allah, dunque biasimato. Bench ci sia vero, di fatto lo solo nella vita futura, allorch il servo diventa egli stesso creatore e se dice a una cosa: Sii!, la cosa . 42 C nella seconda parte del versetto un suggerimento che lAutore non sviluppa, e che invece centrale in Ibn Arab, come vedremo. 43 Corrisponde alla hanna ebraica, da cui hannn. 44 Cosa che ovviamente sottolineata anche dal Cristianesimo, ma qui serve per suggerire lo scarto, il salto ontologico che c fra lEssenza divina, Dio in se stesso, e i suoi attributi e nomi come ci che di Dio in qualche modo comunicabile agli uomini. 45 Particolarmente efficace il commento successivo a Gv 1,12-13 (A coloro che credono nel suo nome e che non sono nati n dal sangue, n dalla carne, n dalla volont di un uomo, ma da Dio [Allah]): la filiazione non va intesa

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il momento giusto per affrontare il testo giovanneo pi importante, il Prologo del quarto vangelo, e attraverso di esso la dottrina della Trinit. Lampia discussione segna il ritorno in forze dellargomentazione filosofica, come del resto sembra richiedere il dogma cristiano, formulato in un linguaggio in cui i dati della Rivelazione e il lume della ragione cercano un difficile equilibrio. Lessenza (dht) del Creatore una nel suo sostrato (maw: in greco si direbbe che una lousia), ed ha degli aspetti (itibart): abbiamo dunque la tipica tesi del modalismo monarchiano. Infatti, si dice, usando la stessa radice verbale, che se lessenza considerata (utubirat) come determinata (muqayyada) da un attributo (ifa) la cui esistenza non dipende dallesistenza anteriore di un altro attributo cio se la consideriamo come Esistenza (al-wujd) abbiamo la persona del Padre. Se considerata come specificata da un attributo la cui esistenza dipende dallesistenza anteriore di un attributo cio se la consideriamo come Scienza (al-ilm), perch se unessenza conosce, deve prima esistere abbiamo la persona del Figlio. Se considerata come conosciuta (maqla), abbiamo la persona dello Spirito Santo (R al-Quds). In realt, lAutore qui compone una triade in cui si confondono due livelli che il dogma cristiano distingue: quello dellessenza, che corrisponde alla natura divina unica, e quello delle relazioni o articolazioni interne (livello delle persone); ma , la sua, una tipica posizione del monarchianesimo estremo.46 Anche linterpretazione successiva monarchiana: il Padre lIntelletto Puro (al-aql al-mujarrad), cio lessenza in se stessa, il Figlio il Conoscente (al-qil), lessenza in quanto conosce se stessa, lo Spirito il Conosciuto (almaql), lessenza in quanto conosciuta da se stessa. La triade cristiana sarebbe piuttosto, come abbiamo visto, il Padre-Conoscente, il Figlio-Conosciuto e lo Spirito-Conoscenza: ma anche questa, se non compresa nellaccezione nicena, pu essere di nuovo una triade di modi o nomi dellUnico Dio. La lettura del prologo giovanneo non fa che estendere questa prima esegesi. La Parola era presso Dio (wa l-kalima kna inda Llh, gr. pros ton then) vuol dire che il Conoscente (al-lim) non ha mai cessato (lam yazal) di essere un attributo della Divinit, che Gli appartiene stabilmente (thbitan). Cos la luce del Vero (nr al-aqq, gr. to phs to alethinn=la Luce Vera) appunto la luce di Dio-al aqq, di Dio in quanto Dio. A questo punto lAutore ricorre, per la prima ed unica volta, allimputazione di tarf bi-l-laf (alterazione della lettera del testo), seppure come sospetto ed ipotesi di lavoro, e non a caso riguardo al versetto pi indigesto per la sensibilit monoteistica, il 14: E la Parola divenne carne (kai ho logos sarx egheneto), in arabo ra jasadan (=divenne un corpo di carne). Il sostrato di questo testo, lUrtext insomma, sarebbe quello copto, dove, in luogo del verbo diventare (ra), abbiamo afara o afer, che significa fare (anaa). La Parola, che Dio in quanto Conoscente, ha fatto un corpo,47 e questo corpo Ges, ed Ges che si manifestato (ahara): come preciser pi tardi, nelle cose dello spirito il venire (maj) indica il mostrarsi (uhr); non c discesa n inabitazione, ma la manifestazione della luce divina in una creatura fatta essere dal nulla. LAutore qui esplicito e definitivo: come si pu usare il verbo diventare nel suo senso letterale, quando possibile una lectio facilior ortodossa, che evita la conclusione assurda di un Dio divenuto carne e seppellito dopo una morte di croce! Bisogna quindi concludere che Parola, essendo un appellativo ambiguo (mushkil), non esclusivo della Divinit; pu essere applicato ad un attributo divino, ma anche ad una creatura corporea in quanto dotata di conoscenza e linguaggio. Se si vuol sottolineare che appartiene esclusivamente alla Divinit, si deve
letteralmente, ma come leccesso nella vicinanza di Dio (ifr fi l-qurbi) e nella dolcezza (rafa) che ha verso gli uomini. Cfr Cor 50,16: E Noi siamo pi vicini a lui della sua vena giugulare (wa-nanu aqrab ilayhi min abli lward) 46 Ci evidentissimo nella definitiva confutazione logica della Trinit che lAutore propone a suggello della discussione: il tawl che i cristiani fanno della dottrina delle Persone li porta o al triteismo (esistenza di tre di sia nella mente, come concetto, che ad extra), oppure alla negazione dellEssenza divina. Questultima non fa parte delle realt relative (mutaifa), quindi non pu essere considerata padre sotto una condizione e figlio sotto unaltra. Se si obietta che lEssenza una/unica, ma pu essere qualificata da quegli attributi, si deve rispondere che lessenza e lattributo non sono sullo stesso piano di realt, perch altrimenti avremmo cause necessarie con effetti altrettanto necessari: togliendo leffetto (attributo), avremmo cos tolto anche la causa (essenza divina)! 47 Cfr Eb 10,5: un corpo invece mi hai preparato.

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ritornare al principio esegetico pi importante delloperetta: cio diremo che Ges Parola per via di metafora, in quanto c unassociazione di significato (mushrikatan fi mafhmiha) tra i due usi dellappellativo. Il verbo usato shraka: quasi a dire che non c shirk (associazione, il massimo peccato secondo lIslam) ontologico tra Dio e altri da Lui, ma solo una certa partecipazione della creatura agli attributi di Colui che lha creata, il che in fin dei conti implicito nellidea di creazione e, pi intimamente, in quella di Misericordia. Questa traccia seguita anche nellesame degli ultimi passi neotestamentari, in particolare Gv 14,8-12.48 un discorso di Ges allapostolo Filippo: Chi vede me, vede il Padre... Non credi tu che io sono nel Padre e il Padre in me? Questa parola che dico non viene da me (laysa huwa min ind), ma mio Padre che presente in me (llun fiyya) compie queste opere... In verit, in verit vi dico, chi crede in me far le azioni che io faccio, e ne far di ancor pi grandi. Da una parte, quelle che sembrano senzaltro dichiarazioni di ull; dallaltra laffermazione altrettanto netta, e assai pi compatibile con le idee del commentatore musulmano, che Dio solo ad operare. Il nodo sciolto ancora una volta con il riferimento ad una profetologia immutabile: poich Dio non pu essere visto dai suoi servi-adoratori, Egli ha designato i profeti affinch comunichino i Suoi decreti in Sua vece (maqma nafsihi), come i re che si velano al cospetto degli uomini. In altri termini, luomo khalfatu-Llah, vicario di Dio sulla terra, e lattribuzione di questo vicariato (istikhlf) risplende massimamente nei Profeti e negli Inviati, che sono il tramite dellunica conoscenza di Dio possibile alluomo, quella dei Suoi ordini o decreti (akm). Lettura squisitamente semitica: si deve richiedere la conoscenza di Dio solo per avere la certezza che i comandamenti provengano da Lui, e quindi per essere responsabile (mukallaf) di fronte alla Legge divina. La parte finale del Radd prende in esame invece pochi e fondamentali versetti coranici, iniziando da 4,171: Gente del Libro, non siate eccessivi nella vostra religione (l taghl f dnikum) e non dite di Dio se non la verit: il Cristo (al-Mas), Ges figlio di Maria, inviato di Dio e la Sua Parola gettata in Maria (wa-kalimatuhu alqha il Maryam) e uno Spirito da Lui (run minhu). Credete dunque in Dio e nei Suoi Inviati e non dite: Tre!.... Ogni cosa ha una causa prossima ed una causa remota: la causa prossima dellordine delle causae secundae o cause create, la causa remota sempre Dio, Colui che veramente opera (a-ni al-aqqyy) in ogni cosa. un principio coranico che ha ricevuto una formulazione filosofica nelloccasionalismo atomistico (A. Bausani) di buona parte del kalm musulmano: Dio Causa Prima, e le cause seconde o create non hanno consistenza ontologica; il mondo stesso non ha quindi continuit dessere, ma creato da Dio ad ogni istante. Se vediamo prati verdeggianti, la causa prossima ed evidente (ma che non ha solidit ontologica) lopera della pioggia, sebbene il vero Agente sia Dio; se vediamo piante robuste in una terra arida in piena estate, la nostra attenzione si rivolge immediatamente a Dio, Causa remota e vera, perch venuta meno la causa ordinaria e apparente. Ora, per quando riguarda la generazione (takwn=esistenziazione) di Ges, la Rivelazione coranica ci indica chiaramente lassenza di una causa prossima, ed quindi un evento che viene messo in relazione con la sua causa remota, cio la kalima, la Parola di Dio: ogni creatura infatti creata dalla Parola di Dio, che dice a ciascuna Sii!, ed essa (kun fayaknu, Cor 36,82 et alia). La Parola di Dio gettata in Maria insomma lordine di esistenziazione (al-amr bi-t-takwn) rivolto alla creatura Ges: unaltra espressione da intendere nellaccezione metaforica, non in senso proprio, come fanno i cristiani. Il Radd, prima di chiudersi su una questione filologica che non fornisce spunti per il presente studio, ricorda il passo coranico in cui la generazione di Ges, con

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Meno interessante il commento di Gv 8,56-58, in cui Ges dice: Abramo ha desiderato di vedere il mio giorno... In verit, in verit vi dico: io (sono) prima che Abramo fosse. Abramo, come tutti i profeti, desiderava che durasse lobbedienza a Dio nel mondo e che continuasse la rivelazione delle Leggi (shari), per questo gio nel vedere in ispirito la missione dellinviato Ges. Quanto allanteriorit di Ges rispetto ad Abramo, semplicemente la Conoscenza che Dio ha ab aeterno di tutti gli inviati che vuole manifestare agli uomini nel tempo. LAutore allega a questo punto il famoso adth in cui Muammad dice: Ero profeta quando Adamo era tra lacqua e largilla.

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madre e senza padre, accostata a quella di Adamo, senza padre n madre, creatura uscita direttamente dalle mani e dal soffio di Dio.49 Questopera, che senzaltro un adversus Christianos, fa riecheggiare nel lettore cristiano la profetologia dimenticata dei giudeo-cristiani o ebioniti (il Cristo semplice uomo), che dopo la sua breve stagione storica ricomparsa, in forma meno radicale, nel monarchianesimo di Ario: cio nella risposta razionale del monoteismo puro alla sfida che Ges rappresenta per il pensiero di chi crede in lui, o semplicemente di chi gli si accosta. Pur nella sua esemplarit, il Radd altres ricco di prospettive originali, spesso implicite, che solo un occhio del cuore pi acuto ed appassionato pu articolare e sintetizzare in una visione unitaria. GES IN IBN ARAB, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL 15 CAPITOLO DEI FU AL-IKAM Muyddn ibn Arab, uno dei massimi maestri spirituali di ogni tempo, luogo e tradizione, ha avuto unesperienza travolgente di Ges: ha incontrato ed accolto lo Is ibn Maryam del Corano, della Sunna e dellIslam in genere, ma ad un livello ben diverso dalla polemica teologica del Radd. Se il tagliente e ordinato filosofo che ha composto la Refutazione della divinit di Ges incalzava i versetti evangelici, le affermazioni dogmatiche e le possibili obiezioni del masiyy dimostrando una buona preparazione scientifica, e scoprendo solo di rado, ma con intensa sobriet, i propri interessi spirituali; il Sommo Maestro (ash-shaykh al-akbar), Ibn Arab, prescinde quasi del tutto dai testi e dai dogmi cristiani, e quando riprende le allocuzioni coraniche contro i loro errori, si pone spontaneamente non sul piano del kalm (la teologia), ma dello irfn (la gnosi, la conoscenza esoterica). Seguiremo le sue intuizioni su Ges come Sigillo dei Santi, e soprattutto, commentando pi da vicino il capitolo dei Fu al-ikam a lui dedicato, sulla sua stessa natura di simbolo metafisico. La profezia (nubwwa), sia nella sua forma assoluta o tout-court (mulaqa), sia nella forma di profezia legislatrice o invio di un messaggio normativo (risla), una relazione Dio-uomo volta agli uomini e al loro essere-agire nel mondo (si parla non a caso di discesa, tanzl). La santit (walya) intimit e amicizia: come ogni cosa, appartiene principalmente e principialmente a Dio (al-walyatu Llhi l-Haqqi, 18,44), ma in un senso particolarmente forte e pregnante. Se riferita a Dio, protezione, tutela misericordiosa del debole, delluomo, ma esercitata, a differenza della Misericordia quia talis, su uno sfondo di affinit e prossimit: Dio il wal dei credenti (3,68), cio li perdona ed misericordioso con loro (anta walyyuna faghfir lan waramn, 7,155), ma lo in special modo dei alin, gli uomini conformi alla Sua volont, che Egli liberamente sceglie (S, il mio wal Dio che ha fatto scendere il Libro e fa Suoi amici i alin, wa-huwa yatawall a-alin, 17,196). Riferita agli uomini, la designazione di wal/plur. awliy indica la partecipazione di/a questo compiacimento divino: i santi/amici di Dio sono coloro che Lo temono, nel senso forte, religioso-mistico (al-muttaqn, 9,34), ma che quindi, al tempo stesso, secondo la vecchia idea biblica e in genere monoteistica, non hanno paura di altri da Lui (l khaufun alayihim, 10,62). Nella profetologia musulmana, i santi sono i seguaci/continuatori (at-tbin) di un particolare profeta e, al pari dei sapienti (ulam), i suoi eredi (waratha), coloro che trasmettono il suo messaggio, il suo deposito, custodendone il significato interiore e spirituale.50 Come dice per Ibn Arab nelle Futt (vol. II p.252), la walya in quanto tale superiore alla profezia legislatrice (risla), ma nel senso che la santit di un profeta superiore alla sua missione normativa, non nel senso che un santo in quanto tale sia superiore ad un profeta in quanto tale,
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In verit Ges presso di Dio come Adamo, che Dio cre dalla polvere e poi gli disse: Sii!, ed egli fu. In un passo delle Futt si dice che i santi comunicano con Dio attraverso incontri notturni (asmr) e rivelazioni di adth quds, parole divine enunciate alla prima persona. Si suggerisce insomma che la santit il lato notturno e quindi esoterico del chiaro e diurno annuncio profetico.

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perch, come si appena visto, non c santit senza profezia: non c custodia interiore senza la manifestazione del decreto divino alla comunit. Quello che appare un paradosso, o una subtilitas teologica estranea alla semplicit della Rivelazione, in realt uno dei fondamenti della profetologia, non solo islamica. Con bella sintesi, Amad Sirhindi, il Rinnovatore del Secondo Millennio (Mujaddid-i Alf-i Thn), parler di quattro viaggi spirituali: un viaggio verso Dio e un viaggio in Dio, che corrispondono alle stazioni del fan (estinzione dellindividualit creata nellUnicit Divina) e del baq (la permanenza disindividuata in Dio), e che possiamo riferire allintimit, alla prossimit spirituale della walya; e infine un viaggio da Dio attraverso Dio e un viaggio nelle cose, cio un ritorno alla molteplicit, al creato e allumano che appare una discesa ma la pienezza del rapporto tra Dio e uomo, perch porta la Vicinanza tutta interiore dei primi gradi nel cuore stesso dellalterit e della ferialit; questo ritorno pu essere riferito senzaltro alla nubwwa.51 Come c una profezia assoluta, una nubwwa mulaqa (quella comune a tutti i profeti della storia, a coloro che hanno portato un messaggio divino agli uomini), e una profezia legislatrice (nubwwatu-t-tashr o risla, quella degli inviati, rusul, latori di un messaggio in senso forte, di un Libro e quindi di una rivelazione giuridicamente-religiosamente vincolante); cos c una walya mulaqa, la santit comune a tutti i santi in quanto seguaci dei diversi profeti, e la santit muammadica (muammadiyya), quella cio vissuta nella sequela del Profeta che ha portato agli uomini la legge (shara) definitiva, abrogatrice delle anteriori, e che quindi giustamente designato come khatm an-nubwwa, Sigillo della Profezia: dopo di lui, dopo il Corano, non c pi spazio per unaltra missione divina agli uomini prima delle cose ultime. In questa prospettiva escatologica, la profezia muammadica, come stabilisce sul piano giuridico, sharaitico, la tutela dietro tributo (dhimma) delle comunit che hanno ricevuto unautentica Parola profetica segnata in un Libro (ahl al-Kitb), cos, su un piano pi generale, di storia sacra, ricapitola tutte queste Parole riconducendole allunit e alluniversalit, le sigilla e quindi, superandole, ne garantisce anche la parziale validit agli occhi di Dio. A questo punto sorge una domanda, in cui lescatologia coranica e il suo approfondimento esoterico si connettono inestricabilmente: poich esiste un Sigillo della Profezia, esister anche un Sigillo della Santit, che custodisce spiritualmente la Profezia? E se s, in che senso? E chi khatm al-walya, come Muammad , indubitabilmente, khatm annubwwa? La domanda compare per la prima volta, senza esplicita risposta (il che ci pone gi sul livello del bin, il ventre o interiorit, lesoterico insomma dello hir, ci che della Rivelazione manifesto ed esterno), nel Kitb Khatm al-Awliy (Libro del Sigillo dei Santi) di al-akm alTirmidh (m. 898 ca.), il grande sufi khorasaniano in odore di ghulww: ma stato Ibn Arab, ashshaykh al-akbar, a riprenderla e a darle una risposta, complessa ma limpida, che si integra mirabilmente nel suo vasto disegno metafisico-profetologico. Muammad ha sigillato la profezia, non la santit: anzi, come abbiamo visto, il sigillo apposto sulla profezia custodisce la santit e la specifica come santit muammadica, che a sua volta custodisce spiritualmente la missione del Profeta. Ma se, al di fuori di questo significato, la santit non stata sigillata storicamente, lo sar per nelleschaton, nel punto di fuga delle cose ultime che il Libro dellIslam disceso a rivelare e a collegare ad una figura messianica, ad una persona (pi esplicitamente della Bibbia ebraica, e meno del Nuovo Testamento), il Mahdi. Mentre nellinterpretazione sciita, in cui il piano esoterico innova (dal punto di vista sunnita) la profetologia, il Mahdi il Dodicesimo Imam, che anche il Sigillo della Santit; nella lettura akbariana, che esoterismo puro, il Sigillo della Santit Is ibn Maryam, Ges, il penultimo profeta, il profeta della santit. Cercheremo ora di capire, leggendo alcuni testi akbariani ed in particolare le pagine dei Fu, perch sia proprio Ges il Sigillo dei Santi e in che senso lo sia: cio che senso abbia questa sua ultimit che, se non certo quella riconosciutagli dai cristiani, ne per cos dire una traccia pi povera e pi esoterica al tempo stesso.
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Vedi Shh Amad Sirhind, Linizio e il ritorno, a cura di D. Giordani, Introduzione pp. 23-26.

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Ges chiude ed apre. Come nab e rasl, egli sigilla il ciclo storico adamico, cio il tempo intercorso tra la creazione del primo uomo (che per lIslam anche il primo profeta) e il proprio stesso invio al popolo ebraico. Secondo la rivelazione coranica, egli venuto a confermare (muaddaqan) la Torah consegnata attraverso Mos, ma anche per dichiarare lecite (li-uilla) agli ebrei alcune delle cose che in essa erano state proibite, dichiarate arm e qui abbiamo una ripetizione, gi relativizzata ma abbastanza fedele, dei principi enunciati nel Discorso della Montagna ; ma soprattutto Ges ha recato la buona notizia, leuanghelion (mubashsharan), dellinvio dopo di lui di un Profeta gi annunciato velatamente nella Torah,52 e che egli chiama col nome di Amad (61,6). Questo rasl nab, che altrove chiamato umm (probabilmente illetterato, cfr 7,157), Muammad stesso, identificato con loggetto dellenigmatica profezia di Gv 15,26: [Ges disse:] Quando verr il Parakltos, che io vi mander dal Padre, lo Spirito della Verit (to pneuma tes aletheias) che procede (ekporeuetai) dal Padre, egli testimonier di me. Secondo unipotesi largamente accettata dai commentatori musulmani, avremmo qui un caso di tarf an-na: non bisogna leggere Parakltos, lAvvocato-Consolatore (probabile traduzione dellebraico Menahem, Consolatore, appellativo di Dio in quanto redentore e, per partecipazione, del Messia), ma Paraklytos, lInclito, il Lodato, che il significato immediato dei nomi arabi Muammad e Amad. Si tratta quindi di unumile apertura al futuro Sigillo dei Profeti e, in lui, alleschaton: Ges veramente Annuncio dellOra escatologica (ilmun li-ssati, 43,61), e molti adth estendono questi cenni, precisano le allusioni. Se il Corano (4,159) rivela che non c fra la Gente del Libro nessuno che non creda in lui [in Ges] prima della sua morte, 53 ed egli sar un testimone contro di loro nel Giorno della Resurrezione, un adth del Profeta recita: Per mezzo di Colui che tiene la mia anima tra le Sue mani, in verit con estrema prontezza che il figlio di Maria discender tra voi come arbitro inviato per espandere con equit la giustizia tra voi. In altri termini, Ges sovrapponibile al Mahdi, e quindi confermer messianicamente la parabola della Rivelazione muammadica, che coincide con il secondo ciclo o ciclo muammadico, il tempo cio della storia sacra-profetica in cui il Nome divino lOcculto (al-Bin) cede al Nome il Manifesto (a-hir): il tempo insomma in cui non ci sono pi residui di non-manifestazione nella comunicazione Dio-uomo, perch la Legge data attraverso Muammad , in quanto Legge, definitiva, abrogazione delle rivelazione normative anteriori ma, appunto, ricapitolazione e sigillo del loro intimo significato. In un altro adth, il Profeta enuncia con grande semplicit questa scansione della storia sacra, e distingue fra lultimit di Ges e la propria mettendole in relazione: Tra gli uomini, io sono il pi vicino al figlio di Maria; tra lui e me non c nessun profeta, in virt appunto della promessa del Paraclito-Amad. Pi specificamente escatologico il testo seguente: Ges figlio di Maria discender sulla terra; si sposer, avr dei figli e vivr quarantacinque anni. 54 Poi morir e sar sepolto con me nella mia tomba. Allora Ges figlio di Maria ed io ci alzeremo da una sola tomba alla resurrezione, tra Ab Bakr e Umar, cio tra i primi e i pi importanti dei khulaf ar-rashidn, i califfi (successori del Profeta) ben guidati. Qui Ges perfettamente ed icasticamente integrato nella storia profetica musulmana, ed anzi strettamente congiunto alla persona stessa dellInviato dellIslam. Secondo Ibn Arab, che parte da questi dati per dare un
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In particolare in Dt 18,15.18-19. Qabla mawtihi: prima della morte del credente abramico, o prima della morte di Ges? Nel secondo caso, avremmo un rinvio esplicito, confermato dal resto del versetto, alle Cose Ultime: Ges non davvero morto, secondo il docetismo coranico, ma Dio lo ha elevato a S in una ascensione simile a quella di Elia e di Idris-Enoch, e lintera Gente del Libro creder al suo messaggio prima del suo ritorno definitivo suggellato dalla morte ( una prospettiva messianica con cui Paolo stesso, in un senso evidentemente molto diverso, aveva letto la drammatica questione dellincredulit giudaica). 54 Notiamo, en passant, che questa parusia ancor pi umana (dopo la prima venuta che, per i cristiani, la discesa del Verbo nellumilt della carne, in similitudine carnis peccati, e per i musulmani la missione di un profeta specialmente designato ad insegnare agli uomini il cammino ascetico) rappresenta, ad occhi semitici, un riempimento, quasi una compensazione di quei vuoti (soprattutto il celibato e ci che ne consegue) in virt dei quali la pretesa e difficilmente imitabile sublimit della vita del Ges storico si configura piuttosto come una deminutio rispetto allesempio totale del profeta (e, in particolare, del Profeta in senso stretto).

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esoterico colpo di sonda, Ges torner nellOra conosciuta da Dio solo (egli ilmun dellOra, e non lim, come ben rilevava nella sua esegesi lAutore del Radd) per assimilarsi, con evidenza messianica, alla umma muammadica e, in questa prospettiva, egli sar il Sigillo della Santit muammadica (della walya come specifica sequela di Muammad), cos come storicamente stato Sigillo della santit dei profeti venuti prima di lui e di cui ha chiuso il ciclo: in tal modo, Ges, bench sia egli stesso un Sigillo, sar lui stesso sigillato da questo Sigillo muammadico (Futt III p. 514). Egli non il Mahdi, che, come il Messia ebraico discendente carnale del re profeta David, sar del lignaggio umano del Profeta, Muammad: egli Sigillo della santit assoluta (mulaqa) proprio in quanto erede spirituale di Muammad, perch la walya, lo abbiamo gi visto, questa eredit spirituale, questo lignaggio interiore; e quando ci sar il suo Secondo Avvento, sar pienamente vero che non ci saranno dopo di lui dei santi per una profezia assoluta (Futt II p.50). Per accostarsi alla luce di questo mistero, bisogner esaminare pi da vicino la lettura akbariana di Ges alla luce della profetologia e della metafisica del Maestro di Murcia. In diversi passi delle Futt, Ibn Arab ha messo in rilievo due peculiarit della rivelazione coranica a proposito di Ges. Nella sua totalit, il Corano dhikr (menzione-ricordo) in un senso unitario ma complesso: ricordo-menzione di Dio consegnata ai mondi (li-l-lamn), tanto da configurarsi, al pari della Torah nella tradizione ebraica, come un unico Nome Divino il cui dhikr rende in parte presente lAssente per eccellenza;55 ed anche ricordo-menzione degli uomini di Dio, dei profeti-inviati, la missione di ciascuno dei quali custodita nel Corano come ibra (insegnamento) e mithl (modello, paradigma) per tutti gli uomini. Ogni profeta ha portato nel mondo il dhikru-Llh in una forma imperfetta ma reale, e il Libro che porta questo dhikr alla sua pienezza li ricorda-menziona a sua volta, spesso con la formula udhkur (Ricorda il tal profeta), adempiendo cos, in chiave profetologica, una delle maggiori promesse divine: Ricordatevi di Me. Io Mi ricorder di voi (2,152). Ma il profeta Ges non viene menzionato-ricordato in questo modo nel Corano: riprendendo in parte la visione neotestamentaria, secondo la quale in lui si compiono quelle che nella Scrittura ebraica erano anticipazioni e promesse, egli soprattutto oggetto di annuncio: Dio insegner a Ges il Libro, la Sapienza, la Torah e il Vangelo (2,48); O Ges, in verit Io ti chiamer a me (inn mutawaffka) e ti far ascendere a Me; e Ges stesso parla dei suoi miracoli al futuro (cfr 3,49), in una prospettiva che non gi pi quella evangelica, ma lo sguardo a volo daquila, metastorico, con cui il Libro riconduce a s i profeti del passato e ne fa, appunto, insegnamento e modello per gli uomini e i mondi. Qui entra la seconda peculiarit del discorso coranico su Ges: Ibn Arab affianca pi volte i due saluti, uno rivolto a Giovanni Battista ( ) e laltro a Ges, nella Sura di Maria, che ripercorre la storia sacra ebraica menzionandoricordando tutti i suoi profeti (secondo lIslam). Giovanni, la cui nascita appena annunciata sotto il segno del miracoloso veterotestamentario (la gravidanza della sterile), viene salutato in questo modo: Pace su di lui (salmun alayhi) nel giorno in cui nacque, nel giorno in cui morr e nel giorno in cui sar resuscitato (19,15). Ges invece, che da poco nato attraverso un miracolo nuovissimo ed inaudito, parla agli ebrei increduli dalla culla come il puer prodigioso degli Apocrifi, e dopo aver enunciato brevemente la propria futura missione, rivolge a se stesso un saluto quasi identico a quello di Yay: La pace sia su di me (as-salmu alayya) nel giorno in cui nacqui, nel giorno in cui morir e nel giorno in cui sar resuscitato (19,33). Come i primi testi sembrano suggerire lo statuto messianico di Ges, il suo essere segno (ya) in modo unico ed irripetibile, cos queste parole di saluto alludono, per Ibn Arab, ad un tratto
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questo uno dei fondamenti della pratica spirituale del dhikr.

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ancor pi essenziale della sua natura di uomo ed Inviato. La somiglianza fra i due versetti non nasconde due vistose differenze: Ges non riceve la pace da una parola divina a lui esterna, ma la invoca su se stesso in prima persona; inoltre non chiede una pace, salmun, ma la pace, assalmu. La prima osservazione rimanda ad una delle principali intuizioni di Ibn Arab su Ges: il suo uso frequente e pregnante (che invero molto pi significativo e pervasivo, come ovvio, nei Vangeli) della prima persona, la persona del mutakallim, di colui che parla. Nella fede e nel pensiero cristiani questo iodi Ges, confrontato con il noi (Io e il Padre) specialmente giovanneo, il nous di Cristo, la sua persona in senso cristologico-trinitario. Ad Ibn Arab le implicazioni appaiono del tutto diverse, ma rimane questa singolarit (khuiyya, direbbe lAutore del Radd) di Ges: il saluto non gli viene indirizzato nella terza persona, la persona dellassente (alghib), ma lui stesso, Parola di Dio (kalimatu-Llh), la parola che Dio gli rivolge, e quindi egli, pur essendo nientaltro che un uomo, se la assume.56 Mentre il ricordo-menzione degli altri profeti postula immediatamente unalterit tra il profeta e la parola che lo nomina, la parola-Ges sembra identificarsi (o rischia di identificarsi) con la parola di Ges su Ges. La seconda osservazione, quella sul saluto pace in forma indeterminata per Giovanni e determinata per Ges, entra ancor pi in profondit: la Pace (as-salm) uno dei Nomi di Dio e quindi uno dei Suoi attributi; nel caso di Giovanni, la Pace divina si manifesta su di lui come su tutte le altre creature, in modo generale: nel caso di Ges, egli stesso la manifestazione del Nome e dellAttributo la Pace. Secondo il commento di Abd ar-Razzq Qashani: Dio d a Se stesso il saluto di pace, a causa della Sua auto-determinazione nella sostanza cristica (isaw): Dio saluta Se stesso attraverso Ges; ma questo , come vedremo, ci che secondo il pensiero akbariano accade in ogni creatura, e in modo speciale, ma non essenzialmente diverso, in quelle creature spirituali che ne sono consapevoli: i mistici, ovvero gli awliy. Invece di esporre i lineamenti della profetologia di Ibn Arab e di inserire Ges nel suo complesso disegno (impresa per la quale ci difettano e lo spazio e le conoscenze), tenteremo di accostarci al Ges akbariano leggendo il Fa ikma nabawyya fi kalima isawyya (Castone della sapienza profetica nella parola di Ges) alla luce di una designazione di Ges che troviamo nel breve poema di apertura del capitolo: mathal bi-takwn, un simbolo dellesistenziazione. Il nesso tra la persona, lessenza di Ges e il miracolo del suo concepimento e della sua nascita ben chiaro tanto ai cristiani quanto ai musulmani. Se per la coscienza del credente ingenuo tende a vedere nel miracolo la lacerazione divina ed improvvisa di un tessuto di leggi stabili perch create, Ibn Arab sottolinea spesso, come anche lultima sezione del Radd, che la creazione stessa un miracolo continuo e che qualunque fenomeno in qualunque mondo risale immediatamente, come effetto, alla Causa Prima ed Unica. Non c rottura di un saldo intreccio, perch non si d alcun saldo intreccio fuori dallazione divina. Secondo il Maestro andaluso, esistono quattro modi della generazione umana, che si sono tutti manifestati nella storia sacra: Adamo stato generato dal soffio di Dio per mezzo dellargilla, come lopera di un vasaio; Eva stata generata dal solo maschio, cio dal corpo di Adamo, come unimmagine scolpita nel legno (per via di levare). Con unintuizione perfettamente gnostica, che ricorda anche passi upanishadici, Ibn Arab sostiene che il vuoto cos apertosi in Adamo diventato desiderio, eros, per la creatura vivente uscita dal suo fianco. Dallunione dellacqua o seme maschile e dellacqua femminile sono nati tutti gli altri uomini: lembrione-golem si costituisce come un grumo di sangue (alaq, cfr sratu l-alaq 96), cui Dio poi d la forma umana e sul quale infine soffia il Suo spirito. In questi tre casi, abbiamo sempre una materia prima (beninteso gi creata e plasmata da Dio) e, successivamente, leffusione del Soffio che la vivifica: Dopo che lavr [i.e. Adamo, ed ogni uomo] formato in modo armonioso
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In un passo dei Fu evidente che Ibn Arab non considera questa differenza un segno della superiorit di Ges su Giovanni: se infatti le parole di Ges sono pi perfette sul piano dellunificazione (akmal fi l-ittid), quelle di Giovanni sono pi perfette sul piano dellunificazione e della credenza insieme (fi l-ittid wa-l-itiqd) (I pp.175176). Infatti la prima persona pi ingannevole della terza (sembra quasi una rilettura esoterica dei passi del Radd sulla scarsa prudenza espositiva di certi santi a proposito di unione e ull), che invece rimanda chiaramente a Huwa, il Lui per eccellenza, il Divino come Assente.

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(sawwaytuhu) e che avr soffiato il lui il Mio Spirito (fanakhaftu fi-hi r), prosternatevi a lui [sono parole che Dio rivolge agli angeli] (15,29). La generazione di Ges, pur essendo in tutto e per tutto la generazione di un uomo, cio di un discendente di Adamo, invece singolare gi secondo il testo coranico, che la accosta alla prima, cio a quella di Adamo stesso: In verit Ges presso di Dio come Adamo, che Dio cre dalla polvere e poi gli disse: Sii!, ed egli fu (3,59): egli stato creato da Dio attraverso il grembo di una donna, che in qualche modo per Ges ci che la terra vergine stata per il Progenitore; nato da una donna come ogni altro uomo, ma senza padre, e direttamente da Dio in senso proprio e forte (non nel senso reale, ma limitato, comune a tutti) come Adamo. Tuttavia per Ibn Arab c una differenza notevole, che cercheremo di studiare pi tardi: nella creazione di Ges, leffusione dello Spirito non successiva alla formazione del corpo, ma inerente ad essa; il corpo di Ges stato formato nellistante stesso in cui lo Spirito stato insufflato. Leggiamo brevemente il poema sopra menzionato. Lo Spirito [che qui indica Ges stesso, come si vedr] fu posto in esistenza (takawwana) a partire dallacqua (seme) di Maria e dal soffio (nafkh) di Gabriele nella forma (ra) delluomo fatto dargilla (Adamo e, in lui, tutti gli altri uomini), in unessenza purificata dalla natura (aba)... Uno spirito da Dio, non da altri (cfr Cor 4,171, run minhu), e per questo fece rivivere i morti e form luccello dargilla: egli ha una relazione (nasabun) tale da parte del suo Signore, che mediante essa agisce (yuaththiru) in alto e in basso. Dio lo purific nel corpo (jisman) e lo mantenne intatto nello spirito (ran), e lo rese simbolo di esistenziazione (mathalan bitakwn). Notiamo anzitutto che qui, come in tutti i passi seguenti, lo Spirito, lungi dallessere lipostasi divina dei cristiani, piuttosto lenergheia creatrice e trasmutatrice di Dio nel mondo considerata nei suoi molteplici aspetti: talora ricorda il pneuma stoico diffuso in ogni cosa, o il pneuma phantastikn del platonismo tardo, in cui si profilano le immagini anteriori ai fenomeni materiali, o lo spiritus ermetico come agente della trasformazione e mediatore tra materiale ed immateriale. Infatti le righe successive ci trasportano in unatmosfera indubbiamente ermetica: vi si legge che propriet degli spiriti di non mettere i piedi su alcuna cosa senza che essa viva e la vita si diffonda (saraa) in essa. poi citato il passo su as-Samr che anima il vitello doro con una manciata di polvere raccolta dallimpronta di Gabriele, essere spirituale (20,96): lepisodio dellidolo aureo venerato dagli ebrei nel deserto stato assunto, negli esoterismi di tutte e tre le tradizioni abramiche, come metafora massima dellopus alchemico.57 Qui da segnalare che le parole lht (natura divina) e nst (natura umana), gi incontrate nel Radd per tradurre i concetti della cristologia, vengono utilizzate in modo liberissimo: lht il potere della vita diffusa in tutte le cose, mentre nst il ricettacolo (maall, luogo epifanico secondo Corbin) che prende vita attraverso lo spirito-lahut, e a causa sua viene anchesso chiamato Spirito. Iniziamo ad intuire perch Ibn Arab, allinizio della poesia, abbia usato il nome R con chiaro riferimento a Ges. Nel passo seguente, di estremo interesse e di vertiginosa densit, il Maestro riprende unidea comune allesoterismo ebraico (ad esempio la Yiggereth ha-qodesh attribuita a Nachmanide) e al pensiero ermetico di matrice cristiana (valga per tutti Paracelso): quella del ruolo della fantasia nel concepimento, che evidentemente un corollario della dottrina dellimmaginazione creatrice. Ne isoleremo gli spunti pi importanti. Con una serrata esegesi dei famosi versetti della sura di Maria, Ibn Arab ricorda che Gabriele si manifest a Maria assumendo laspetto (tamaththala) di un uomo ben fatto, ed ella immagin (takhayyalat) che si trattasse di un uomo che voleva avere rapporti con lei: sapendo che ci non era lecito, prese rifugio in Dio con tutta se stessa, ed ottenne uno stato di Presenza perfetta (ur tmm), che lo spirito intellettuale (ar-r al-manawyy).58 Qui

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Quella polvere non pu non ricordare la polvere di proiezione, che la pietra filosofale specificata per agire sul mondo metallico, per mutare cio i metalli vili in oro. 58 Potremmo dire, in altri termini: Maria, rifugiandosi in Dio, speriment unintensa concentrazione (un indiano direbbe un forte stato di tapas), che coincide con il piano interiore del r; ci le rese possibile, sia pure allinizio sotto le specie di una prova, accogliere lo Spirito fuori di lei.

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losservazione notevole: se Gabriele avesse soffiato in lei in quel momento (waqt)59 mentre era in quello stato spirituale (la),60 Ges sarebbe stato un profeta scontroso ed insostenibile per gli uomini. Ma poich Gabriele le spieg il significato della sua missione, Maria si distese da quella contrazione (inbasaat an dhlik al-qab),61 il suo petto si dilat (anshara), e in quel momento Gabriele soffi in lei Ges. Importante la similitudine seguente: Gabriele era il trasmettitore (nqil) della parola di Dio a Maria, come lInviato trasmette la parola di Dio alla propria umma; Maria immagine del popolo intero, come nella tradizione cristiana, sebbene ovviamente in un senso ben diverso. Ma ecco ora il passo forse pi esoterico e provocante: in Maria, ormai fiduciosa e pronta, si diffonde il desiderio damore (shahwa), leros; e il corpo di Ges fu creato a partire dallacquaseme reale (muaqqaq) di Maria e dallacqua-seme illusoria (mutawahham) di Gabriele. Quindi Ges fu partorito in forma umana a causa della madre che davvero apparteneva alla specie umana e a causa del padre Gabriele che si era manifestato a lei come uomo ben fatto : la legge ordinaria della generazione umana stata, anche in questo caso miracoloso, rispettata. Il modo del concepimento di Ges mette per sempre la sua natura sotto il segno di quella che potremmo chiamare una dualit apparente, o una dualit non-duale: la madre ha veramente offerto il proprio seme e il proprio ventre, ma spinta dal wahm, cio dallillusionistica suggestione indotta in lei dalla parvenza umana di un angelo, che prima laveva sollecitata a rifugiarsi in Dio (e in se stessa) e poi lha mossa fuori di s in un empito di desiderio amoroso; ma questo wahm veicolo di una realt, perch langelo uno spirito, e nello spirito c la vita al suo stato principiale e sottile. Quindi, Ges nato davvero, ma con un corpo di natura ambigua, oserei dire enigmatica. Le righe successive sono particolarmente difficili. Come di Dio la parola che ha creato Ges (e che crea tutti: il Kun!, Sii!, di Dio), ma di Gabriele il soffio che lha generato; cos, nei miracoli pi grandi di Ges (la revificazione dei morti e la coranica animazione di un uccello dargilla), la vivificazione in s (iy), latto, era di Dio, e il soffio (nafkh), lenergia che ha fatto da ricettacolo allatto, di Ges. La sua azione di revivificare i morti era illusoria (mutawahham) in quanto proveniente da lui, ma anche reale (muaqqaq) in quanto proveniente da Dio e dal suo soffio di uomo, cos come era reale il seme di sua madre che lha concepito. Poich Ges riuniva nella sua natura (bi-aqqatihi) illusione e realt, si prodotta quella che i cristiani chiamano communicatio idiomatum, cio la possibilit di scambiare gli attributi della divinit e dellumanit di Ges in virt dellunione ipostatica (per cui si pu dire che Dio nato e che luomo Ges era Signore); ma che, per il Maestro andaluso, in realt effetto della perplessit (ayra)62 di coloro che furono testimoni degli atti di Ges, ed oscillarono cos tra i due poli della sua persona. Infatti Ges, mentre ridava vita ai morti, era cos identificato col potere del suo padre immaginale, Gabriele, che gli uomini dicevano che era lui e non era lui (huwa l huwa), perch vedevano la sua forma umana accompagnata dallinflusso (athar) divino. Per questo molti arrivarono a parlare di ull (=la Divinit era presente in lui), e dissero che Ges era Dio, cadendo cos nella miscredenza (kufr). Ma Ibn Arab d unetimologia esoterica del termine scritturale-teologico: la radice k-f-r vuol dire nascondere, perch quegli uomini, i primi cristiani, velarono (verbo satara) Dio che realmente ridava vita ai morti attraverso (bi) la forma umana di Ges.63 La critica alla visione cristiana
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Il waqt il concreto istante spirituale. Il l uno stato spirituale in genere impermanente, a differenza del maqm (stazione), che invece durevole. 61 Si tratta, come in tutto il passo, di termini tecnici del sufismo: il qab (contrazione) lo stato di chi, afferrato da Dio, viene sottratto o rapito alla molteplicit e a se stesso; il bas (distensione), spesso successivo al qab, invece la fiduciosa apertura dellanima sotto il tocco della Misericordia divina. quindi unidea legata a quella (espressa poco dopo) di inshir, la dilatazione del petto quando pu respirare il Soffio della Misericordia. 62 Secondo un adth spesso citato da Ibn Arab, il Profeta chiese a Dio di accrescere la sua perplessit nei Suoi confronti. La si pu considerare una sorta di corrispettivo mistico del thaumazein o della docta ignorantia filosofici. 63 Bi (particella che vuol dire in, attraverso) correttamente usato nellespressione coranica biidhni-Llh, col permesso di Dio (cfr 3,49): Ges riconosce di agire attraverso Dio, o meglio, riconosce che lagente Dio e che luomo ne lo strumento. Ma luso della preposizione en nei Vangeli (soprattutto in Giovanni), che ha significato non dissimile dal be-bi ebraico ed arabo, viene piegato, dal punto di vista del commentatore musulmano, ad esprimere lo ull (in locativo), e poi, nella teologia cristiana, lipostatizzazione trinitaria (in come spazio giovanneo, cio lo spazio dellunit-distinzione delle Persone).

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radicale e complessa: essi non sono solo incorsi nella miscredenza, ma hanno anche errato nel senso del ghulww, della mancanza di equilibrio (cfr 4,171); infatti non hanno semplicemente detto che Ges Dio (il che, come vedremo, nella prospettiva akbariana avrebbe un significato preciso), n che era il figlio di Maria e basta, ma lo resero uguale a Dio (adl) attraverso il tamn, cio rinchiudendo il divino in Ges. Insomma, non fecero della divinit lessenza (ayin) della forma umana di Ges (altra espressione non incompatibile con lesoterismo akbariano), ma anzi fecero dellIpseit Divina, di Dio in quanto lAssente (al-huwiyya al-ilahiya), il principio (ibtid, arch) della forma umana che il figlio di Maria (=il Verbo si incarna in un uomo), e poi distinsero tra questa forma e il suo principio divino (=distinzione tra natura umana e divina in Ges). LAutore poi fa una originale presentazione delle pi antiche divisioni teologiche cristiane: 1) Ges, a causa della sua forma umana apparente, messo in relazione con lapparizione di Gabriele (cristologia ebionita e cristologia di Ges-angelo); 2) a causa della sua natura spirituale (riyya), in virt della quale risuscitava i morti, chiamato Spirito di Dio, ru-Llh (cristologia di Gesspirito). Ma il punto che non hanno mai centrato la questione della natura di Ges, la conoscenza della quale, a causa della compresenza di un principio immaginario e di un principio reale e positivo, non pu che manifestarsi sotto forma di congetture; quindi egli era, per chiunque lo guardasse (inda kulli nirin), conforme a ci che si imponeva a lui in quel momento (bi-asbi m yaghlabu alayhi):64 Parola di Dio, Spirito di Dio e Servo di Dio. Ci non accaduto con nessunaltra creatura, a causa del modo singolare della generazione di Ges, su cui lAutore trova qui una parola defintiva: mentre nella generazione di tutti gli altri uomini, come si visto, lo Spirito viene soffiato sul corpo gi formato in modo armonioso (15,29) e quello, chiosa Ibn Arab, risale a Dio sia nella propria essenza che nella propria esistenza nel concepimento di Ges la formazione del corpo era compresa, o inclusa (indarajat), nellatto stesso del soffio di Gabriele. Lessenza di Ges spirito: per questo, nelle Futt, Ibn Arab lo chiama direttamente Spirito e Figlio dello Spirito; ma, come ha detto allinizio, anche il ricettacolo materiale vivificato dallo spirito spirito. Il corpo di Ges, insomma, alchemico: come la pietra filosofale, caro spiritualis, materia spirituale, mediazione tra materia e spirito. Per questo tutto ci che egli toccava, prendeva vita. Per questo il suo passaggio allesistenza somiglia alla resurrezione (Futt III p.514), ed egli un segno, e una primizia, della resurrezione. Da questultima considerazione dato vedere chiaramente che, se il discorso si fosse limitato alla constatazione sulla perplessit dei testimoni dei miracoli, lo si sarebbe potuto ridurre ad una riedizione, dal timbro esoterizzante, di certe affermazioni del Radd: i santi spesso non sono prudenti nel linguaggio, e chi li vede e li segue pu incorrere nella stessa, pericolosa, mancanza di adab, di convenienza spirituale. Ma la perplessit davanti allirripetibile fenomeno Cristo, in cui convivono wahm e aqqa, suggestione e verit, pu aprirsi, secondo Ibn Arab, alla comprensione di ci che valido per tutti gli uomini e le creature, perch inerente alla struttura metafisica del mondo, allontologia e non solo alla percezione e al linguaggio. Lillusione pu e deve aprirsi allimmaginazione, al khayl, in virt del quale, come ha commentato magistralmente Corbin, perveniamo allappercezione mistica, perch il mondo immaginale (lam al-mithl) ha uno statuto ontologico specifico, ha esistenza. Ovviamente non qui possibile presentare in modo esauriente il grande edificio metafisico akbariano: cercheremo solo di mostrare come esso si fondi su quella che , a nostro giudizio (o meglio, a giudizio di grandi maestri come A. Y. Heschel e, in parte, Corbin stesso), lintuizione semitica ed anzi abramica originaria; quella della Misericordia. Partiamo da una densissima poesia che il centro di questo Fa. Senza di Lui, Dio (lawlhu), e senza di noi, creature (lawln), nulla esisterebbe di ci che .65 Io adoro (abudu) secondo verit, e
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Da notare ci che Dio dice di Se stesso in un adth quds: Io sono conforme allopinione che il Mio servo si fa di Me. 65 Non si possono non ricordare, sin da ora, alcune parole del grandioso sermone Beati pauperes spiritu di Meister Eckhart: Se io non fossi, neanche Dio sarebbe; che Dio sia Dio, io ne sono causa prima; se io non fossi, Dio non sarebbe Dio (tr. di M. Vannini). Qui per lo sfondo la presenza del Verbo, che Dio-Figlio di Dio, nellanima delluomo.

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Dio nostro Signore (mawln). E io sono lui stesso (ayinuhu), sappilo; anche se consideri in me un uomo, non lasciarti velare dalluomo, e ci sar per te una prova evidente (burhnan). Sii Verit [Dio] e sii creatura (fakun aqqan wa-kun alqan), e sarai misericordioso per mezzo di Dio/in Dio (bi-Llh ramnan): nutri di Lui la Sua creazione... Noi diamo a Lui ci con cui Egli appare attraverso di noi (ma yabd bihi fn), e Lui d a noi noi stessi (an). Fermiamoci su queste affermazioni fiammeggianti, ricche di pathos mistico. Nel pensiero akbariano, lEssenza (dht) divina si manifesta in primo luogo nei Suoi Nomi ed Attributi (asm wa-sift). Questa prima autodeterminazione dellEssenza il tesoro nascosto di un famoso adth quds: [Dio dice:] Ero un tesoro nascosto (kanzan makhfyyan) e ho desiderato essere conosciuto (faababtu an urafa). La seconda parte del adth chiarisce il modo di questa conoscenza: E ho creato le creature e la creazione per essere conosciuto. I Nomi divini sono in uno stato principiale di nascondimento, che paragonabile, sul piano dellesperienza mistica, alla contrazione di cui si parlava prima; a distenderli da questa concentrazione sopravviene, come nel caso del mistico, la Misericordia, Ramaniyya, il Respiro (o Sospiro) del Misericordioso (nafas ar-Ramn), che consente ai Nomi di manifestarsi negli archetipi eterni o essenze immutabili (ayn thbita) delle creature. Questi ayn, sussistenti nella stessa Essenza divina, al di fuori della quale non si d alterit, sono cos le forme epifaniche (Corbin), i ricettacoli della manifestazione (mahir) dei Nomi che, nel loro nascondimento, erano gi manifestazione del Divino ineffabile ed incondizionato. Nella relazione fra ogni Nome e il suo ricettacolo creato, il Nome diventa Signore (rabb) di un essere che il suo specifico marbb: come ricordavano i versi di Ibn Arab, non pu darsi la manifestazione del primo senza il secondo; questo ci che viene chiamato, con formula pregnante, sirr ar-rubbyya, segreto del rapporto Signore-servo, potremmo dire. Questo sirr, questo segreto, sono io, sei tu (parafrasiamo ancora i versi precedenti): ogni esistente (mawjd) teoforo, portatore di un Nome divino ( quindi marbb), proprio in quanto marm, oggetto della Misericordia divina, che si manifesta anzitutto come Misericordia di Dio per i propri Nomi (per Se stesso); come lAmore (il verbo del adth ababtu) di cui Dio lAmante lAmato. Dunque proprio questa estasi di Dio che pone S al di fuori di S a custodire lUnicit, e a rendere tutto uno in Dio. questo il vero tawd, il tawd esoterico: lUnicit dellEsistenza (wadat al-wujd), che per Ibn Arab ha avuto la cura di esporre in modo da schivare ogni taccia superficiale di panteismo o di monismo ingenuo. Infatti luomo Dio-e-creatura: o meglio, il suo essere servo, la sua ubdyya, proprio il nulla su cui si manifesta la Divinit; il segreto della Sua manifestazione. Qui evidente come lidea di creazione, enunciata dal adth, sia una sorta di espressione duale di una struttura metafisica che in realt non-duale, basata com sullidea di teofania (tajalli); ed altrettanto evidente che lannientamento dellindividualit umana (il fan dei sufi) la ubdyya perfetta, che apre alla permanenza non individuale della creatura nellEssenza divina (il baq): tanto vero che, secondo Ibn Arab, luomo chiamato ad essere misericordioso in Dio, a partecipare cio del Nome pi alto, ar-Ramn, attraverso un nulla-di-s che riflette, e compie, lestasi della Misericordia divina. Certo, Dio, creando, stato benefico verso Se stesso (imtanna ala nafsihi), cio verso il Suo nafs, ponendo lesistenza in Se stesso (bim awjadahu binafsihi), ed ha dato sollievo, o liberazione (naffasa), ai Suoi propri Nomi immanifesti: ma il nafas ar-Ramn ha accolto (qabila) in S le forme del mondo, ed per esse come la materia prima (kal-jawhar alhayln); cio si manifesta come il principio passivo e femminile dellesistenza, conformemente al significato primo di Misericordia (Ramaniyya da raim, utero, come in ebraico, Rahamim da rehem),66 e tutto nel grembo della Misericordia perch e in quanto la Misericordia gli ha fatto spazio. Nellultima parte del capitolo, lintuizione si dispiega in diverse direzioni: ne accenneremo alcune. Anzitutto, si legge che Dio si rivel (tajall) a Mos come fuoco perch egli era in cerca di un tizzone: se avesse cercato altro, avrebbe visto Dio sotto unaltra forma, e non viceversa. Il
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Nel greco dei Settanta e del NT, abbiamo una traccia di questo significato originario in termini come splanche, visceri, e splanchizomai, fremere nelle viscere, nonch, e pi notevolmente, nellespressione di Gv 1,18 eis ton kolpon tou Patrs (nel grembo del Padre, detto del Verbo-Cristo)

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rapporto tra Rabb e marbb custodisce lUnicit/Unit divina proprio attraverso la molteplicit delle teofanie, che sono determinate dal soffio di Misericordia spirante tra il Nome divino e il suo ricettacolo creato. In questo senso, il nafas ar-Ramn il Dio Creato (aqq makhlq), listmo (barzakh) in virt del quale limmaginazione vera e il Vero immaginale: un livello intermedio e mediatore dellessere, attraverso il quale lImmanifesto si manifesta come creatura, e la creatura accede allesperienza dellImmanifesto. Il testo poi si chiude con una mirabile esplorazione, mistica e teosofica, del significato della preghiera alla luce della metafisica sopra tratteggiata. Nella preghiera, quando Dio ne ordina lesecuzione, Egli lordinante (al-mir) e luomo, che investito dellobbligazione giuridico-religiosa (mukallaf), il destinatario dellordine (al-mamr); ma quando il servo/adoratore (abd) chiede al suo Signore di perdonarlo, lui lo mir, e Dio il mamr. Poich, secondo la metafisica akbariana, Dio agisce secondo gli archetipi immutabili presenti nella Sua Scienza, ogni cosa che si manifesta in tutti i livelli dellesistenza si colora (yansabighu) di ci che proprio della realt di quel livello, cio del suo archetipo: quindi, in virt di questa corrispondenza, ogni invocazione (du) senza dubbio esaudita; se Dio sembra ritardare la risposta, non perch si sia allontanato dallorante, ma solo affinch questi ripeta la preghiera per amore (ubban). bene ora esaminare alcune delle riflessioni finali del capitolo a proposito di Ges. La sua peculiarit di uomo e profeta essenziale, come si visto, ma solo in quanto egli la vivente chiave per accedere alla conoscenza metafisica di tutti gli esseri attraversando la prova del wahm e della perplessit sulla sua natura. Analizzando finemente una conversazione coranica tra Dio e Ges (5,116-118), il Maestro osserva che la risposta di questultimo alla domanda divina (Hai detto tu agli uomini: Prendete me e mia madre come di al di fuori di Dio?) conforme alla convenienza spirituale (adab), cio alla teofania di Dio inerente a quella conversazione stessa. La sapienza (ikma) esigeva da Ges la massima operazione mistica: che egli distinguesse allinterno dellunificazione (tafriqa bi-ayini l-jam), cio, secondo quanto prima detto, che riconoscesse al tempo stesso la propria identit di essenza con Dio e la propria condizione creaturale. Per questo egli inzi affermando la trascendenza (tanzh) divina con la formula: Sia gloria a Te (subnaka); luso della seconda persona (il suffisso ka) indica chiaramente il faccia-a-faccia (muwjaha) tra luomo e un Altro, lo scambiare parole (khib). La gloria non appartiene a me (prima persona) in quanto me, individuo (an li-nafs), cio in quanto sono al di fuori di Te (dnaka); ma al tempo stesso Dio Colui che parla in ogni parlante, ed la lingua stessa con cui luomo parla, secondo il adth at-taqarrub, perch Egli identifica la propra Ipseit, il proprio S (huwiyya), con la lingua di colui che parla in prima persona (mutakallim). Come luomo Dio in Dio, ma in se stesso nulla creaturale: cos il Parlante Dio, e la parola del servo. Il mirabile anello si chiude. Lesegesi va ancora pi a fondo: Ges si dichiara testimone (shahd) per la propria comunit, come tutti i profeti finch sono in vita. Ma la testimonianza (shuhd) non va intesa solo in senso profeticoessoterico, bens anche come la conoscenza/contemplazione mistica: ora, la conoscenza-shuhd che luomo ha di se stesso, la stessa conoscenza-shuhd che Dio ha di lui.67 Dopo che Ges morto, o meglio dopo che, coranicamente, stato richiamato ed elevato a Dio, stato Dio stesso il Testimone per gli uomini a cui Ges parlava, nel senso che Dio non ha pi esercitato la propria conoscenza di S attraverso il ricettacolo-Ges (il testo dice sostanza, mdda), ma attraverso di loro; anzi, per parlare in termini metafisicamente pi esatti, essi hanno avuto, dopo la dipartita di Ges, la possibilit di aprire gli occhi a ci che era sempre stato, a ci che sempre. Questa interpretazione sembra quasi uneco esoterica delle parole di commiato di Ges ai suoi discepoli in Gv 16,7: opportuno per voi che io me ne vada. Se infatti non me ne andr, il Paraclito [lo Spirito] non verr a voi.... Un Ges perturbante, quello di Ibn Arab: Sigillo dei Santi e della Santit; concepito e generato in modo miracoloso, ma quasi come la pietra filosofale, che lanticipazione tangibile sulla terra
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In modo diverso e simile, Meister Eckhart: Locchio con cui io Lo conosco lo stesso occhio con cui Egli mi conosce. Cfr uno degli adth pi amati dai mistici: Chi conosce se stesso, conosce il suo Signore (man arafa nafsahu arafa rabbahu).

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del corpo di resurrezione futuro: quasi una cristologia gnostica, o addirittura ermetica, con un corpo in parte apparente e in parte reale, e le conseguenti congetture di coloro che lo hanno guardato, toccato o solo amato e pensato, abbagliati dalla suggestione; ma soprattutto Ges come accesso privilegiato alla imaginatio vera che il principio della conoscenza metafisica, e mathal bitakwn, simbolo del modo in cui Dio fa essere le cose, di quella Misericordia che il segreto esultante dellUnit. Cos, non difficile comprendere perch il Sommo Maestro di Murcia abbia confidato di essersi convertito per lintermediazione di Ges,68 suo primo maestro fra i profeti e i santi: probabilmente non alludeva soltanto al pentimento (tawba) ascetico, che certo ci fu, e sotto il segno del Ges islamico, esempio di austerit e rinuncia; ma anche e soprattutto allirreversibile ingresso nel bin, nellesoterico, nella gnosi. DISCUSSIONE
Nulla tanto dissomigliante quanto il Creatore e qualsivoglia creatura. Inoltre, in secondo luogo, niente tanto somigliante quanto il Creatore e qualsivoglia creatura. Ma ancora, in terzo luogo, niente tanto dissomigliante e insieme somigliante a qualcosaltro, quanto Dio e qualsivoglia creatura sono, insieme, somiglianti e dissomiglianti. MEISTER ECKHART, Commento allEsodo, 113

Iniziamo con un paradosso: il paradosso del monoteismo, secondo la parola di Henri Corbin. Il monoteismo potenzialmente pi incline allidolatria del politeismo. Ladoratore di una pluralit di di non fa troppa fatica a riconoscervi la pluralit degli archetipi del mondo, non ha grandi difficolt a vedere in trasparenza la molteplicit degli eidola-immagini per quello che sono, manifestazioni limitate ma essenziali del Divino, che non esauriscono il Divino. Il Dio Uno-Unico, invece, persona infinita, pone il pensiero e la sensibilit umani, e la coscienza religiosa in generale, in una drammatica aporia, in uninquietudine radicale che investe ed incrina lapparente semplicit dellEssere. Nel suo Isral et lhumanit, il rabbino Elia Benamozegh (di antico lignaggio cabalistico marocchino) individua limpidamente la dialettica monoteismo-politeismo: il monoteismo rivela ci che nel politeismo esoterico, anzi lesoterico, cio lUnit-Unicit (come Mos ha in fondo trascinato nella nudit del deserto lessenza del messaggio dellegizio Ekhnaton); 69 il politeismo mette in piena luce ci che il monoteismo nasconde nel riserbo come il suo segreto pi geloso, lintima fecondit e pluralit del Dio Unico. un gioco di specchi dalla chiarezza forse sospetta, ma pu aiutarci a vedere dov, se c, la remota affinit tra i politeismi dei popoli (i goyim) e i monoteismi abramici, e quindi, il che di maggior importanza, comprendere qualcosa di pi sottile sulla loro fin troppo vistosa e sottolineata differenza. Si pu parlare di essenza del monoteismo? Sicuramente i testi sacri dei monoteismi sono molto consapevoli (ma in modo profetico, non filosofico o scientifico) dellabisso che la rivelazione dellUno scava fra chi la accoglie e tutti-gli-altri (i popoli, le genti, quasi aggregati confusi e indistinti): anzi, la rivelazione fondata sulla paternit di Abramo si manifesta innanzitutto in una migrazione, un esodo da una cultura religiosa fortemente sentita come laceratrice dellUno; da un politeismo pensato (o immaginato) come idolatria. Ma qui cercheremo di seguire, per intravedere lidentit abramica, un sentiero spesso interrotto e senzaltro tortuoso, la cui mappa stata disegnata da un grande pensatore ebreo del 900, Avraham Yehoshua Heschel. Lintuizione radicale, fondamentale della profezia abramica, la Misericordia. Ma la Misericordia, cos? Uno degli aspetti pi immediati dei tre monoteismi senza dubbio lessenziale incommensurabilit fra il Dio Unico e gli enti, implicita nellidea stessa di creazione: da un lato la pienezza del Creatore, di fronte alla quale sta dellirriducibile povert della creatura; noi, qui in basso, contingenti, impermanenti: Lui, pi in alto di ogni altezza, assoluto e necessario,
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Cfr Futt XII p.122; III p.341 J. Assmann, Mos legizio, Adelphi, 2000.

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indipendente da ogni cosa proprio perch ogni cosa dipende da Lui. Se questa fosse tutta la verit, il monoteismo sarebbe ipso facto un criptodualismo, il che in parte , come hanno ben visto (polemicamente) diversi maestri di sapienze e tradizioni extra-abramiche. Ma la rivelazione della Misericordia complica questa prima intuizione, che potremmo definire quella della Giustizia e Verit divine: un commento ebraico al primo capitolo della Genesi arriva a dire che, se Dio avesse seguito i consigli del Suo Sigillo, la Verit, luomo, menzognero e criminale, non sarebbe mai stato creato; quindi, che fece il Santo, sia benedetto? Prese la Verit e la butt per terra (o: la seppell in terra)!70 Gi si vede come sia difficile esprimere positivamente la Misericordia, proprio a causa della sua massima positivit: potremmo definirla, per, linterdipendenza radicale fra il Creatore e la Sua creatura; la percezione, profonda e quasi segreta, ma incancellabile, che noi abbiamo da Dio lessere e lesistenza, ma precisamente per questo Dio non pu manifestarSi, e quindi essere Se stesso, senza il creato. Lidea appare eretica: in effetti, ogni volta che compare nel Talmud e nelle raccolte di midrashim (commenti ebraici alla Scrittura) unespressione che sembra in contrasto con il principio dellindipendenza assoluta di Dio, la si trova sempre accompagnata dalla formula kevyakol. Kevyakol (o kevayakol)!: come se ci fosse possibile! facciamo conto che sia possibile!; siamo, cio, sul terreno della metafora, che per , appunto, un terreno, non la mera irrealt. I testi da allegare sarebbero numerosissimi:71 Se non vi gloria per Me sulla terra, il Mio Nome non sulla terra n nellalto dei cieli. Se il Mio popolo non Mi fa regnare sulla terra, non vi Regno per Me se ci fosse possibile nellalto dei cieli (Shir Hashirim Zuta); Se voi siete miei testimoni, Io sono Dio; se voi non siete miei testimoni, Io non sono Dio se ci fosse possibile (Pesiqta de-Rav Kahana 102b); per bocca di Rabbi Yochanan, si ripete che luomo ha bisogno di Dio, per bocca di Rabbi Resh Laqish si dichiara che Dio ha bisogno delluomo (Bereshith Rabbah): Dio salva luomo, luomo salva Dio, Dio salva Se stesso nelluomo: La Mia redenzione la vostra redenzione. Se ci fosse possibile, Io Mi sono riscattato insieme a voi (Esodo Rabbah).72 Queste affermazioni fiammeggianti e dialettiche (tutte appartenenti alla tradizione ebraica non esoterica) riposano sullintuizione fondamentale della Shekhinah di Dio, la Dimora di Dio (cio la Sua Presenza-Immanenza) che discende nel mondo (metaforicamente, ma realmente) quando viene consegnata la Rivelazione, ma anche quando il popolo soffre ed in esilio: si tratta di una delicata e umbratile immagine femminile, che cerca di esprimere il mistero della visceralit divina, quella Misericordia che nelle lingue semitiche ha evidentissima parentela con la fecondit e laccoglienza dellutero (rehem in ebraico, da cui rahamim: raim in arabo, da cui Ramaniyya). Lessenza del Divino, cui si deve alludere con una cauta segnalazione di traslato, sottile come un velo, sembra essere la misteriosa, ed umile, Misericordia che intreccia lalto e il basso, il necessario e il contingente. Secondo la Qabbalah di Yitzhaq Luria, Dio ha creato ritirandoSi, limitandoSi (simsum) per fare spazio allaltro da S. come se esistesse, dal principio, un punto virtualmente privo di Divino, che lo spazio del timore della creatura-servo nei confronti del Creatore-Signore: nel trattato talmudico Berakhoth (33b) leggiamo che tutto nelle mani di Dio, fuorch il timore di Dio;73 il dubbio, il tremore della creatura spirituale di fronte allUnico consente allUnico di uscire da S. Il Dio del monoteismo un Salvatore che devessere salvato: un Dio cio che il rapporto con laltro-da-S deve riscattare dal rischio, sempre imminente, di essere (come dice Corbin) un Ens Supremum, un Io Divino, una Persona chiusa in Se stessa e, in definitiva, un assurdo vivente. Sarebbe lungo, ma non troppo difficile, mostrare le ramificazioni di questa radice nei tre monoteismi abramici, dalla intima solidariet fra Dio e il Suo popolo (che appunto la Shekhinah) nellebraismo, alla Prossimit fra Allah e il Suo servo nellIslam (Noi siamo pi vicini a lui della
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Il che pu ricordare lidea indiana di My, ma con un tratto di follia personalistica che tutto abramico (e soprattutto ebraico). 71 Rimando a A. Y. Heschel, Torah min ha-shamayim (Soncino, 1965; in Italia ne stata tradotta una sezione, col titolo La discesa della Shekinah, Qiqajon 2003). 72 La dottrina gnostica del Salvator salvandus come una lettura pi razionale di questa Unicit divina straziata in se stessa. 73 Vedi A. Neher, Il pozzo dellesilio, Marietti.

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sua vena giugulare, Cor 50,16), al mistero centrale del cristianesimo, lincarnazione di Dio: tuttavia in questa discussione si cercher principalmente di rilevare le cospicue differenze tra i monoteismi semitici e il monoteismo gentile dei cristiani, e soprattutto fra la nemesi semitica del Patto abramico, che lIslam ha voluto rappresentare sulla scena della storia sacra, e luni-trinit affermata nellelaborazione del dogma cristiano, nel cui cuore ovviamente lannuncio propizio (euanghelion) di Ges di Nazareth Salvatore del mondo. Il cristianesimo, pur sottolineando che lincarnazione e la salvezza sono opera della Misericordia, si centra su unidea che il greco neotestamentario esprime con una strana parola, agape. Agape, infatti, fuori delle Scritture cristiane indica insieme un amore di preferenza e un amore di benevolenza: raccoglie i significati di sollecitudine, stima, devozione umana, tutti connessi alla volont e, in qualche modo, al dominio delletica. Sebbene i redattori ebrei del Nuovo Testamento mirassero, per suo mezzo, a tradurre nella lingua dellecumene la parola biblica ahavh (che ha con quella una lontana assonanza, ma indica lamore in tutte o quasi le possibili accezioni), il risultato fu sentito come nuovo e peculiare, e i latini ne rilevarono la curvatura semantica rendendola, a loro volta, con termini come dilectio e caritas. Ad ogni modo, lagape lessenza di Dio: Dio amore (ho theos agape estin, 1Gv 4,15). Ma cos lagape e, soprattutto, cos di nuovo rispetto al misericordioso amore semitico? Possiamo tentare di rispondere a due livelli, uno psicologico ed uno ontologico. Per il primo ci soccorre il grande teologo Massimo il Confessore: nelle sue Centurie sullamore, dopo aver parlato a lungo, come uno scrittore ascetico stoico, della negativit dei pathe (le passioni o condizionamenti dellanima), parla dellamore stesso come di un makarion pathos: una passione beata, un vincolo divino (il pathos anche la passivit dellanima nei confronti di qualcosa)! Ossimori, per la mente filosofica: paradossi, che rimandano tutti al paradosso fondamentale, lIncarnazione di Dio, culminata appunto nella Sua Passione (pathos), nelle Sue mortali sofferenze. Lamore dunque la redenzione dalla schiavit proprio perch una redenzione della schiavit, che diventa libert di servire, principio di glorificazione del patimento cos com. Sul piano ontologico, ricordiamo le parole di Agostino a proposito delle Persone divine: ogni Persona relatio subsistens, una relazione che tuttuno con la sostanza; poich lessenza di Dio, cio della Trinit, lamore, questo movimento di vita nelle Persone e fra di Loro proprio lagape-caritas, la relazione essenziale. Tutto ci che ha, Dio anche lo , dice ancora Agostino. In altri termini, lamore rivelato da Ges e in Ges mediazione essenziale ed intradivina: lestasi del Divino un uscire da S in Se stesso, un porre ed amare lAlterit nel cuore stesso dellUnicit ed identit divina. Ma la Misericordia semitica mediazione proprio in quanto extradivina o, per meglio dire, proprio in quanto lidentit divina fa spazio allalterit in una relazione con ci che fuori-di-S (il creato). Questo non vuol dire che, per ebrei e musulmani, il creato sia necessario (in senso logico-filosofico) alla manifestazione di Dio: anzi, la posizione mediana della Misericordia preserva proprio quellinquietudine radicale del profetismo abramico, per cui Dio, pur manifestandosi (come vuole appunto la Misericordia), non pu manifestarSi essenzialmente; Essenza e Manifestazione non possono essere, nella Rivelazione, una cosa sola. La differenza fra Amore e Misericordia, che in questa prima formulazione appare piuttosto un innocuo dissenso filosofico, pi nitidamente illuminata dalla diversit fra lidea semitica e lidea cristiana di Rivelazione, che qui non si pretende certo di trattare in modo adeguato. Semitico viene da Sem, il figlio di No cui la Bibbia fa risalire quella famiglia di popoli e lingue: e Sem in ebraico Shem, Nome. La Rivelazione abramica anzitutto rivelazione del Nome, in cui Dio stesso Si rende presente. Heschel ci consegna, al riguardo, unintuizione semplice ma preziosa: nella Scrittura non si dice ci che Dio in S (=il Testo non ci porge la Sua Essenza), ma Chi Egli in relazione al mondo e agli uomini; la Rivelazione, dunque, esprime ed attua la sollecitudine divina, che egli chiama col nome di pathos, intendendo il fremito della Misericordia, in cui compreso anche il disgusto della Giustizia violata ed offesa. Sia la Torah che il Corano iniziano, non con la prima consonante dellalfabeto semitico, la alef-lif, simbolo dellUnicit divina, ma con la seconda, la beth-b, che vocalizzata una preposizione: in, per mezzo di; simbolo del 33

limite, della relazione, dello scambio che si apre e si realizza a met strada fra cielo e terra, fra l e qui. Lo spazio di mezzo uno spazio di mutue e reciproche benedizioni fra Dio e luomo (e, nelluomo, il mondo intero): la radice b-r-k indica proprio questa inclinazione nelle due direzioni, una reale e viva comunicazione di potenza veicolata dalla preghiera, dal culto, dalla profezia. La profezia abramica (sulla cui chiusura storica c sostanziale accordo tra ebraismo e cristianesimo, ma non, ovviamente, fra lIslam e gli altri due monoteismi) estasi della Parola divina, del Nome divino, cui per la Rivelazione non pu essere adeguata, perch ci fermerebbe il movimento stesso della profezia. C dunque una tensione dialettica, e messianica, fra Rivelazione e Mistero (ci che resta nascosto), la cui oscillazione arrestata solo nella prospettiva delle Cose Ultime: ma una prospettiva che la Scrittura in quanto tale lascia in perpetua sospensione, mentre la sensibilit apocalittica (come dice la parola greca apokalypsis, scoprimento, disvelamento) la rende, pur enigmaticamente, levento-limite della storia sacra in quanto tale. In questo senso si comprende perch lApocalisse di Giovanni parli della rivelazione di un nome nuovo di Dio nelleschaton (3,12 e 19,12): coincider con la rivelazione definitiva di Dio, quando non ci sar pi mistero, quando nulla rester pi nascosto. Ma la profezia, che per il semitico la massima relazione fra Dio e uomo, culmina nel dono di una Legge, in un Patto cio (berith, mithq) custodito da una fede che fedelt (emunah, imn), e che ha unimmediata dimensione attiva, di atti: una fede-fedelt che senzaltro pegno (secondo la parola paolina) per il Mistero, per il Nascosto, ma non ha per oggetto un evento ultimo, bens un evento cruciale e dinamico proprio per la sua incompiutezza metafisica, per il suo rimandare ad Altro; proprio perch, insomma, custodisce e preserva, con il Patto, la distanza (il chorismos, direbbe un platonico) fra Nascosto e Manifesto, fra Essenza e Relazione (di Misericordia). La fede cristiana (pistis), invece, si rivolge a quellevento in certo modo ultimo che il Cristo-Messia Ges, in cui le cose nascoste diventano manifeste (non totalmente, ma in modo realmente definitivo ed irrevocabile), ed fede-fedelt alluomo-Dio come separato (santo) da tutti e da tutto, ma anche e per questo come mediazione sostanziale della teandria (divino-umanit) di tutto e tutti in Lui. In altri termini, la Rivelazione cristiana mistico-apocalittica:74 una rivelazione di salvezza e iniziazione, che ritiene insufficiente la grazia effusa dalla Misericordia divina nelle comunicazioni profetiche, perch postula una lacerazione cosmica originaria causata dal peccato, e quindi offre (come un dono che anche, in certo modo, una necessit) il superamento dellumano in quanto solo umano o, per meglio dire, una conciliazione sovrabbondante (secondo la parola paolina) fra uomo e Dio. Questa sovrabbondanza si manifesta, come accennato, in una convergenza fra listanza mistica e quella escatologica: Ges rivela pienamente in se stesso ci che nel profeta era segnato dallinquietudine; porge in piena luce ci che nel Patto ebraico restava esoterico: come dice Florenskij, il Dio Ignoto diventa il Dio Noto. La pistis sar dunque sussistenza (hypostasis) delle cose sperate: non a caso il termine paolino sar fortunato nella teologia nicena; la fede fondamento e presenza gi in atto di ci che, per labramico, resta sempre imminente. Se Mos morto sulla frontiera di Moab, il cristiano invitato ad entrare, in un certo senso gi qui ed ora, nella Terra Deliziosa. Da questo principio, sorgono molte ed importanti conseguenze, che cercheremo di esprimere con una metafora. Riprendendo il linguaggio di E. Lvinas, la religione ebraica (e, a giudizio di chi scrive, in buona parte anche quella islamica) una religione della carezza: 75 lo Spirito di Elohim di Gen 1,2 aleggia sulla superficie delle acque, le cova (merahefet), non le tocca; c come un asintoto perpetuo fra Dio e uomo, fra Creatore e creatura, in cui la distanza stessa a fondare la relazione. Troviamo, nellebraismo e nellIslam, discussioni apparentemente letteralistiche, che in realt porgono un tratto semitico incancellabile: nel Talmud si discute spesso della distanza fra acque superiori e acque inferiori (tra mondo celeste e terrestre), e sappiamo che Muammad vide Gabriele, Spirito di Dio (o Dio stesso?), alla distanza di due archi o meno (fakna qba qawsayini aw adn, 53,9). Tutti i forse, i magari, i se fosse possibile! del discorso semitico alludono a
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Non a caso Giovanni ritenuto lautore sia del Quarto Vangelo, quello teologico, sia dellApocalisse. Cfr soprattutto Totalit et Infini, La Haye, Nijhoff, 1961.

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questa oscillazione fra Nascosto e Manifesto, con un forte pathos del Non-manifesto che come un eros inestinguibile, anche se un eros-di-Misericordia: e credo che nessun testo lo dica meglio dellOracolo del Silenzio in Isaia: Sentinella, a che punto la notte? Sentinella, a che punto la notte? venuto il mattino ed anche la notte: se volete interrogare, interrogate; domandate, venite (Is 21,11-12). Nel cristianesimo diventa fondamentale una metafora biblica ormai riempita di significati nuovi: quella nuziale; il divino e lumano si sposano in Ges. Il contatto vietato avvenuto, ma non , secondo la fede cristiana, una riedizione dellidolatria, la divinizzazione di un uomo: anzi il farsi uomo di Dio, un moto di Misericordia che si compie come Amore. Se Ges figlio di Dio per natura, e non nel metaforico (carezzevole) senso ebraico, allora il Nascosto si fa evento, lesoterico diventa storia: la Parola diventa carne. La Verit Ultima detta, ma non in una parola umana, bens in unesistenza umana, in un evento che , nel linguaggio cristiano, mysterion: sacramento (simbolo reale ed efficace) ed iniziazione non solo nascosta nel cuore, ma esplosa nella storia, identificata in una persona. Uno dei verbi cristiani pi pregnanti compiere: Ges lo us nel Discorso della Montagna (Non crediate che io sia venuto ad abrogare katalysai la Legge e i Profeti; non sono venuto ad abrogare, ma a compiere plerosai, Mt 5,17). un punto in cui si fa particolarmente evidente la differenza tra la Rivelazione semitica e quella cristiana. Nei due monoteismi semitici, la Parola divina (che gi non Dio nel senso cristiano dellipostasi-persona) si manifesta come parola umana che impegna nellazione: il profeta ne veicolo, ma la Parola, in quanto donata come messaggio e fissata nella scrittura, lo supera, e deve superarlo. Nellebraismo questo superamento, questa oltranza, si esprime nella catena dellinsegnamento rabbinico, nella tradizione che apre le dure consonanti dello Scritto, paragonato ad un corpo, con la vocalizzazione che ne permette la lettura e, in un senso pi ampio, con la sua interpretazione, che ancora e sempre principalmente volta allazione comunitaria e quindi, agli occhi gentili, appare tout-court come un commento giuridico. Questa apertura della tradizione il derash (da cui midrash), la ricerca amorosa ed inesauribile di nuovi volti (panm hadashm), cio nuovi sensi ed applicazioni, nella Scrittura: pur sempre uno dei tantissimi midrashim a restituirci il senso e lo straniamento del derash stesso nei confronti della Bibbia, quando ci si racconta che Mos, vedendo ed ascoltando profeticamente uno dei pi grandi rabbini della futura storia ebraica, Aqiv, si crucci oltremodo di non capire neanche una parola...finch il rabbino stesso non dichiar che tutte le sue interpretazioni si fondavano soltanto sugli insegnamenti consegnati a Mos da Dio! Linterpretazione rabbinica umile e audace: rinnovandosi senza soste, traccia un recinto di azioni (la halak) che garanzia della consegna della Parola alla vivente pratica degli altri uomini: garanzia cio della tradizione. Anche il Profeta dellIslam, sebbene la sua natura stessa fosse il Corano, secondo le parole di isha (e sebbene Ibn Arab lo chiami fratello del Corano in accezione pi mistica), latore di uninterpretazione ispirata del Libro che senzaltro privilegiata, e infatti fonda la Sunna: ma il recinto della sharia, edificato dai sapienti in quanto eredi del Profeta stesso, non molto dissimile dal recinto halakico del giudaismo rabbinico; custodisce e porge in qualche modo il Nascosto, che si realizza nella pratica comunitaria, ma proprio tenendosene distante. Come ogni mediazione, protegge, avvicina e separa al tempo stesso. Torniamo allidea di compimento: nel giudaismo rabbinico si parla di compimento (verbo le-qayyem), ma in riferimento proprio al derash, alla ricerca-commento; il derash che compie la Scrittura, aprendola a quel compimento comunitario che la pratica delle miswoth (i precetti rivelati): solo attraverso questa mediazione si arriva al compimento messianico, cio allinverarsi definitivo delle promesse bibliche, che tuttavia sempre ulteriore. Secondo la tradizione ebraica, il derash impedisce lidolatria del Libro: Mos ha dovuto rompere le prime tavole prima di consegnarle, riscritte; il Talmud al proposito dice che lannullamento della Torah il suo compimento (qiyyum, dallo stesso verbo sopra citato). Il commento salva il Libro distruggendolo. Sebbene lIslam sia in questo meno radicale, per ancor pi netto nella sua prospettiva escatologica: il commento apre il Libro, che Parola di Dio, ma lapertura definitiva, a cui il Corano sempre rinvia il ricordo, il ritorno di tutte le cose a Dio. Se il commento riporta il Libro al suo senso primo (tawl), lo fa appunto nella direzione delle Cose 35

Ultime, che non sono tanto e soltanto il futuro escatologico, ma la realt del mondo e di Dio nel suo continuo farsi. Il verbo semitico, piuttosto che i nostri tempi, conosce ed esprime modi dellunica Azione divina, in un continuo e sottile rimbalzo tra ci che manifesto e ci che non lo ancora. Nel cristianesimo, lidea di compimento molto diversa: vi risuona il Consummatum est (Tutto compiuto), le ultime parole di Ges secondo Giovanni. C nella Rivelazione cristiana uno slitttamento, per cui la Persona, il Corpo di Cristo (lEvento-Cristo) diviene ci che per lIslam e lebraismo il corpo della Legge rivelata, recinto di azioni oltre il quale non pu spingersi il libero commento umano. Da una parte, langoscia, la sospensione delle promesse e delle domande scritturali trova riposo e pienezza nella Legge-di-carne che Ges Cristo, e nella misteriosa salvezza da lui operata; dallaltra abbiamo per ununit (paradossale, come tutto il kerygma cristiano) tra compimento e attesa, amore e fede, in virt della quale si riapre la storia sacra (con un altro popolo, unaltra comunit, universale), e levento Ges viene custodito, non dal complesso commento soprattutto giuridico dei semiti, ma dalla formulazione del dogma. Il dogma legge per il pensiero: il Mistero e la Manifestazione offerta a tutti vi coesistono in un equilibrio paradossale, in un tentativo di mediazione tra il linguaggio filosofico dellessere e la parola profetica sul Dio Vivente. Lesoterico, portato alla luce da Ges, che per deve ritornare di nuovo nella sua Gloria, si fa legge, mentre luomo semitico preferisce che la legge religiosa lasci lesoterico ai margini del Testo, l dove comunque rester fino alla fine dei tempi. La tradizione ebraica stata particolarmente vigile al riguardo: la sua opposizione mirabilmente riassunta in una breve nota a lungo espunta (per giustificata cautela) dal trattato talmudico Shabbat: il vero significato della parola greca euanghelion sta nellebraico awn ghilayn, trasgressione dei margini. Il Logos incarnato in Ges ha oltrepassato il testo e riempito i margini vuoti. LAmore, unit di Essenza e di Manifestazione, di Nascosto e Manifesto, ha chiuso lo spazio del commento midrashico: se la Parola si fatta carne, lo spazio che stava fra la Parola e la carne, in mezzo al cielo e alla terra, identificato con Ges. La Legge, che per Paolo stata un pedagogo ed quindi schiavit e prigionia (cfr Gal 3,23-25.4,1ss.), per lebreo libert;76 lunione uomo-Dio, che per il cristiano pienezza e compimento delle Scritture, per lebreo e il musulmano regresso al caos anteriore alla creazione, anteriore alla benedetta distinzione fra Dio e creatura. Va ripetuto, tuttavia, che il cristianesimo si professa abramico, e quindi antiidolatrico, e che la sua continuit con la Antica Alleanza non solo nella direzione di un compimento che la uccide: la morte di Ges la cristiana rottura delle Tavole; levento-Cristo paragonabile (ed stato paragonato da molti Padri della Chiesa) al roveto ardente apparso a Mos, che consumato e insieme non consumato dal fuoco. Il corpo di Ges la vera Scrittura cristiana: i Vangeli, scritti in una lingua non sacra ma solo di grande diffusione nel mondo imperiale dellepoca, sono s testi ispirati, ma stanno al cospetto della Parola, non sono Parola. Ges, con le sue parole e i suoi atti, gi interpreta la Parola che egli stesso , ma non chiude il commento, anzi apre ad una tradizione, ad una Chiesa che, secondo la lettura mistico-messianica paolina, il suo vero Corpo ancora nascosto, costituito da tutti i cristiani suoi fratelli, divenuti figli di Dio nel Figlio, cio Cristo in Cristo. Il discorso sacerdotale di Ges prima della cattura e della morte, che per gli ariani era lennesima dichiarazione di inferiorit rispetto allUnico Dio Padre, in effetti unapertura che annulla ogni idolatria: opportuno per voi che io me ne vada. Se infatti non me ne andr, il Paraclito [lo Spirito] non verr a voi (Gv 16,7). Il dogma calcedoniese ripete che Ges non individuo (e non va quindi adorato come individuo), ma una persona: la sua identit tutta nel suo rapporto con Dio, con il suo Dio, il Padre. Il dare la vita (psychn thenai) evangelico proprio alle radici dellidea di Uni-trinit divina: lAmore trinitario dice lAssoluto senza residui (Dio amore) proprio perch il dare la vita di Dio nelle Persone. Ed proprio qui che ebraismo ed Islam dissentono: lEssenza di Dio (Dio in Se stesso) resta il Nascosto, il ghayb; sebbene la Misericordia sia la relazione prima e principiale fra Dio e il creato, Egli il Misericordioso, non Misericordia. Sebbene Ibn Arab, ad esempio, dica che la Misericordia lEssenza dei Nomi di Dio, e chiami
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A proposito dellincisione della Torah sulle tavole di pietra, si commenta: Non leggere incise (harut), ma libert (herut) (Mishna Avoth).

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Dio lAmore, lAmante e lAmato come Agostino, pur nel suo excessus mistico-esoterico questa posizione ben distinta da quella cristiana: qui il Divino pur sempre Uno che ama (o lUno che ama), mentre, sintetizza P. Florenskij, il Dio cristiano non uno-che-ama, ma agape estin, nel senso trinitario. Se la speculazione trinitaria del tutto estranea alla sensibilit semitica, ricordiamo per che il dogma trinitario illumina quello cristologico e ne illuminato: il vero punctum dolens chi Cristo, la persona di Cristo. E non c dubbio che nei Vangeli lumanit di Cristo, il suo essere semiticamente servo, sia presente ed anzi radicale e fondamentale: ma questa umanit, che sfolgora tragicamente nel tremore del Getsemani e nel grido della Croce, non raggiunge (e non salva) gli altri uomini se non in quanto separata ab origine dal peccato; anzi, Massimo il Confessore sostiene che Ges, pur avendo una volont umana distinta da quella divina, non aveva una volont gnomica, cio una volont di scelta legata al suo essere individuo.77 Ges, modello di tutto, non pu essere per (se non in senso mistico, e non nel senso della Sunna o della Legge) modello della penitenza o conversione, cio dellatto principale delluomo abramico (teshuvah in ebraico, tawba in arabo): il ritorno a Dio dal peccato condizionato da quella distanza perpetua fra Creatore e creatura che Islam ed ebraismo difendono, e che nel cristianesimo si ferma a questa soglia. Forse qui che gli abramici semitici sentono il vero punto di rottura, la vera separazione nei confronti della tradizione cristiana. ora opportuno accostarci alloggetto principale di questa discussione: se infatti il cristianesimo si presentato sin dallinizio come lerede autentico del Patto abramico ed ebraico, e in seguito il dogma trinitario stato proposto, da parte di alcuni Padri, come il perfetto equilibrio tra il monoteismo degli ebrei e il politeismo delle genti; lIslam si riconosciuto, non meno nitidamente, la posizione di rinnovatore dellantico Patto, ma nel senso di una ri-vendicazione dello spirito semitico nei confronti di quello romano, o gentile che dir si voglia. Una tavola trovata da A. J. Arberry in un manoscritto delle Mawqif del sufi Niffr78 pu introdurci validamente alla questione: vi leggiamo il nome divino pi importante insieme ad Allh, ar-Ramn, affiancato dallattributo divino al-Jaml, la Bellezza, e dal nome di Is; il nome al-Jabbr, Colui che costringe, affiancato dallattributo al-Jall, la Maest, e dal nome di Ms: e infine entrambi i nomi divini precedenti a fianco dellattributo al-Kaml, la Perfezione, e del nome di Muammad. Partendo da questa triade, cerchiamo di schizzare la mappa della storia sacra secondo la Rivelazione coranica e lIslam che ne nato. LAbramo coranico, Ibrhm, chiamato con lappellativo, perfettamente aderente alla Bibbia e alla tradizione ebraica, di intimo amico di Dio (khallu-Llh, cfr 4,125), che per gli ebrei il primo ebreo nel senso del primo attraversatore di confini, e per i cristiani il padre dei credenti, da una parte anticipa lavvento dellIslam con tratti e gesti chiaramente extrabiblici (il figlio di cui gli viene ordinato il sacrificio non menzionato nel Libro, cfr 37,99-110, ma sarebbe per generale consenso Isml, capostipite degli arabi, che ricostru con lui la Kaba, cfr 2,125-132);79 dallaltra, come la maggior parte dei profeti ricordati nel Corano, ripete alcuni atti e parole di origine biblica o midrashica: ma soprattutto considerato il primo anf: Ibrhm non era n ebreo n cristiano, ma era un anf sottomesso a Dio (anfan musliman), e non era del numero di coloro che associano (wa-m kna min al-mushrikna) (3,67,
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Molto efficace la seguente esposizione di Piero Coda, applicabile anche alla differenza tra Ges Figlio per natura e gli altri uomini figli per grazia: Per s, le creature e, in special modo, le persone create non possono realizzare questatto [il dono di s totale dellamore trinitario], appunto perch sono create: e cio ricevono lessere da Dio e non hanno la possibilit di privarsene ontologicamente. Al massimo loro possibile negar-si, perder-si intenzionalmente (a livello, cio, dellatto di conoscenza e damore), ma non fino a dimettere totalmente il proprio essere in quanto essere. Solo la morte costituisce la dimissione nelle mani di Dio, che per s simpone e va accolta, di tutto il proprio essere di creatura (Quaestio de alteritate in divinis. Agostino, Tommaso, Hegel. Pontificia Universit Lateranense. A questo testo si rimanda per i passi di Agostino e Tommaso citati in precedenza, e in generale per la presentazione del dogma trinitario). 78 Cfr A. J. Arberry, The Mawqif and Mukhabt of Muammad ibn Abdil l-Jabbr al-Niffr, Cambridge University Press, London 1935, e R. Arnaldez, Jsus dans la pense musulmane, Descle, Paris, 1988. 79 Cfr inoltre il velato annuncio dellavvento di Muammad in 2,129: Signore nostro, manda loro un inviato preso fra di loro (raslan minhum)..., che a sua volta rimanda allinterpretazione islamica di Dt 18,15.18 (cfr anche Cor 7,157).

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cfr anche 2,135). anf, che in siriaco (anf) indica il pagano tout-court e in ebraico (verbo hanf allhifil) indica colui che macchia e inquina e colui che seduce Israele ad assimilarsi alle genti (cfr Dn 11,32), anche in arabo connesso ad una radice che esprime deviazione dei passi e seduzione, ma nel lessico coranico indica il monoteista aconfessionale, il pagano sinceramente animato dal desiderio di avvicinarsi al Dio Unico, come il giovane Ibrhm, contestatore del padre idolatra. importante la definizione di anf muslim riferita ad Ibrhm: in effetti, lIslam si presenta come restauratore del puro din al-anf, che anche din al-fitra, la religione primordiale. Ora torniamo alla triade dello schema di Niffr. C una consapevolezza forse originaria nellIslam: ebraismo e cristianesimo costituiscono una diade, c una tensione polare fra lantico monoteismo semitico e il nuovo monoteismo gentile. Questa dualit si radica nellopposizione complementare fra i profeti delle due religioni: da un lato Ms, kalmu-Llah, linterlocutore di Dio; dallaltra Is, kalimatu-Llah, parola di Dio. Attraverso Ms stata trasmessa al popolo ebraico una Legge, una shara; attraverso Is, gli ebrei e il mondo intero hanno ricevuto soprattutto una via spirituale, una tarqa. Ms, a cui Dio rivolge la parola normativa, provvisoria ma valida in principio, maestro degli atti cultuali, legislatore e capo politico. Il suo dominio archetipico quello dello hir, la manifestazione, correlativo del Nome divino a-hir, il Manifesto, lApparente: tanto che il misterioso servo di Dio della sura al-Kahf (cfr 18,60-82), identificato dalla tradizione con al-Khir (limmortale che ha pi di un punto di contatto con lElia dei midrashim e dellesoterismo ebraico), non riesce ad aprire i suoi occhi interiori ai segni incontrati nel corso di un breve viaggio iniziatico, e gli lascia, come unico (e pur prezioso) insegnamento, quella della sua ignoranza. Ogni profeta, in quanto uomo, conserva questa ottusit, questo fondo di tenebra e fragilit (anche Muammad non lo nascose mai): Is stesso, quindi, in quanto profeta-inviato, ha ed ammette di avere lirriducibile ignoranza dello abd, del servo, nei confronti della Scienza divina. Tuttavia il suo dominio non quello normativo, cultuale e politico, ma quello del bin, dellinteriorit nascosta, corrispondente al Nome divino al-Bin, il Nascosto. Il Ges evangelico annuncia di compiere le Scritture ebraiche (e in particolare la Torah, il Pentateuco consegnato a Mos, e le rivelazioni fatte ai profeti di Israele) prescindendo dalla tradizione degli uomini (il giudaismo rabbinico), e di svelare il significato spirituale-escatologico celato nella lettera del Testo, irreperibile ad una lettura fatta secondo la carne, cio, come preciser Paolo, forse tagliando troppo bruscamente il nodo, una lettura normativo-giuridica come quella giudaica. Il Ges coranico, Is, si presenta come un rasl che conferma la Torah e in parte ne abroga i precetti negativi (cfr 3,50): tuttavia i suoi detti sapienziali, che hanno qualche profumo evangelico ma un pi spiccato tratto di amore per lascesi e lausterit, e le sue taumaturgie, hanno fatto s che la tradizione islamica recepisse Is soprattutto come un maestro di pratica spirituale e quindi di interiorit. Insomma, Is ha portato alla luce ci che era nascosto nella shara consegnata ad Israele, nella Torah: ha manifestato il Nome della Misericordia divina, che apre il petto del credente, e lAttributo della Bellezza, perch Allh Bello e ama la Bellezza, secondo il adth, e la bellezza loggetto del desiderio damore, nonch manifestazione dellinteriorit. Ms, invece, come abbiamo visto, ha manifestato al mondo il Nome della Costrizione divina, perch la Legge sacra servit, e lAttributo della Maest ed incomparabilit di Dio, la Sua trascendenza rispetto agli uomini e agli stessi atti che la Legge prescrive.80
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Per esprimere la dualit ebraismo-cristianesimo in termini pi filosofico-teologici, possiamo dire che nellebraismo particolarmente forte il pathos della distanza o trascendenza divina: se di Mos si dice che parlava con Dio faccia a faccia (il che da accostare allappellativo coranico di interlocutore di Dio), altrove Dio gli comunica che non potr vedere il Suo volto (panm), ma la Sua Schiena (ahr) (il che in parte da accostare al termine hir, connesso a ahr, dorso, parte posteriore). Nel cristianesimo pi intenso il pathos dellimmanenza e della prossimit (il Tu del dialogo Dio-Mos diventa lio del discorso di Ges, che il profeta della walya, della santit come vicinanza di Dio alluomo). Non forse inutile anche un accostamento allesoterismo cabalistico: nellalbero sefirotico, i due aspetti divini del Rigore (Din), connesso alla norma legale e cultuale, e della Clemenza (Hesed), connessa alla Torah primordiale e totalmente spirituale, sono rispettivamente alla sinistra e alla destra dellasta centrale, che come quella di una bilancia li mette in equilibrio e in contatto. Questo aspetto centrale e mediatore Tifereth, Bellezza, detto talora anche Verit (Emeth), ed connesso alla rivelazione del Tetragramma e della Torah.

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Il Cristo dunque segno di contraddizione (Lc 2,34) e di dualit rispetto allebraismogiudaismo: se le Tavole di Mos, distrutte per sdegno contro lidolatria, sono agli occhi dellebraismo immagine suprema di libert (non leggere incise, ma libert), agli occhi del cristiano paolino la libert rappresentata tout-court dalla distruzione delle Tavole, che per non antinomismo, perch la fede in Cristo conserva e porta a pienezza lo spirito (interiorit) della Legge. Tuttavia, nella visione coranica, Ges, che pur abroga, da rasl, la legge precedente, apre non solo in direzione messianica (attesa escatologica, promessa dellinvio del Paraclito etc.), ma anche in quanto sollecita un terzo che dia a sua volta compimento a quella dualit: un testimone, un gesto di ricostituzione-rammemorazione (dhikr) dellesodo di Abramo e del Patto monoteistico originario. Questa terza religione, quasi sintesi in una sorta di dialettica della storia sacra, ricostituendo il Patto ricostituisce anche il Libro (kitb), che il Ges cristiano aveva annullato in s, nella sua carne: ma un Libro che non mera Legge, mero hir, bens equilibrio fra bin e hir. Il Libro che sigiller la Profezia avr in s la Legge e la norma, essenziali al Patto nella visione semitica: ma, inserito nella traiettoria messianica avviata da Is, e consapevole del richiamo di questi allinteriorit e alla purificazione, sar un semplice dhikr, un ricordo-menzione del passato profetico e un ricordo-menzione di Dio. Il Libro distrutto dai cristiani ritorna, ma soprattutto come invito ad un tawd (professione dellUnit-Unicit) assoluto, nella corrente di un ritorno mistico e profetico di tutte le cose e di tutti i cicli storici a Dio. Muammad, secondo lo schema di Niffr, manifesta la conciliazione fra i due Nomi divini opposti e complementari (ar-Ramn e al-Jabbr), e trasmette al mondo la aqqa, la Verit intesa come retta conoscenza di Dio, e come via mediana (ricordiamo il adth: La migliore delle cose quella che sta nel mezzo, khayr al-umr awsauha): lAttributo divino corrispondente la Perfezione, al-Kaml, inteso in un senso affine a quello del compimento evangelico, ma con maggior enfasi sullequilibrio, sulla mediazione fra due opposti. Infatti Ms ed Is sono grandi e veri profeti, ed hanno rivelato aspetti del Divino che si completano lun laltro, ma ciascuno dei quali pienamente reale in se stesso: tuttavia le comunit religiose che hanno ricevuto il loro messaggio hanno tralignato dalla religione primordiale, dal patto inscritto nella creazione stessa e rinnovato nella storia. Ebrei e cristiani, pur custodendo entrambi lunica Parola divina in due sue rivelazioni autentiche e parziali, non ne hanno custodito la aqqa, il significato reale e dinamico, la totalit del senso. I commentatori musulmani hanno interpretato in questa chiave il settimo ed ultimo versetto della Ftia: [Guidaci sulla via retta], la via di coloro sui quali hai effuso la Tua grazia, non la via di coloro che incorrono nella Tua ira, n quella di coloro che sono smarriti (irt alladhna anamta alayhim, ghayri al-maghbi alayhim, wa-l a-llna). Coloro sui quali hai effuso la Tua grazia sarebbero i musulmani, coloro che incorrono nella Tua ira gli ebrei, e coloro che sono smarriti i cristiani: ebrei e cristiani hanno mancato il segno, si sono allontanati dalla via retta (mustaqm), dalla via mediana che lIslam venuto a manifestare. Ma perch i cristiani si sono smarriti? Come abbiamo gi visto in precedenza, il Corano esorta i cristiani a non eccedere nella loro religione, ed usa il verbo ghal, che poi sar applicato dai sunniti a tutte le grandi eresie islamiche, in particolare alla sha estrema non solo per la centralit che assegna al talm, lautorit e linsegnamento ispirato degli imm (tratto che ha in comune con lo sciismo duodecimano o imamita), ma anche e soprattutto per la divinizzazione del maestro, comunque essa venga intesa dalle varie sette. Dopo la tesi semitica (ebraismo) e lantitesi gentile (cristianesimo), il tawd islamico un ripristino-dhikr del puro monoteismo abramico come unit originaria di legge e santit, di shara e walya: ed un rinnovamento semitico (fondato cio sullestasi del Nome e della Parola nella parola umana), in virt del quale Muammad ricettacolo del messaggiosapienza divina senza cadere nei due opposti errori dellebraismo-giudaismo e del cristianesimo. Rileggiamo la prima parte del singolare verso 30 della sura 9 (at-tawba): Gli ebrei hanno detto: Uzayr figlio di Allh, e i cristiani hanno detto: Il Cristo (al-Masih) figlio di Allh. Questo ci che dicono con le loro bocche, ripetendo ci che dicevano i miscredenti (alladhna kafar) prima di loro. Se lo Uzayr coranico il biblico Esdra, il sacerdote e sofr (scriba) che dopo la cattivit babilonese ebbe il mandato di riformare la comunit gerosolimitana, gettando le basi del giudaismo 39

in senso proprio, assurdo dire che gli ebrei lo abbiano considerato figlio di Dio: ma forse qui la polemica coranica accomuna ebrei-giudei e cristiani per via del loro tralignamento dalla Rivelazione originaria. Muammad ha portato il semplice messaggio primordiale senza la mediazione costituita dallo spazio troppo umano dellincessante derash giudaico, rappresentato da Uzayr-Esdra: il derash stato divinizzato dagli ebrei, un po come nellaccusa rivolta loro da Ges (Tralasciando i comandamenti di Dio, voi [farisei] vi attenete alle tradizioni degli uomini, Mc 7,8). Ma Muammad ha evitato anche che questo spazio vuoto tra Dio e uomo fosse riempito da una parola non pi profetica, la Parola fatta carne, Ges Dio-uomo. La breve analisi, condotta nei capitoli precedenti, di un testo come il Radd al-jaml e di alcuni passi di Ibn Arab su Is, pu dare una prospettiva particolarmente interessante sulla polemica musulmana nei confronti della teologia cristiana. Letto in questa luce, il Radd fornisce unaccurata preparazione essoterica alle tesi akbariane su Ges: e la metafisica visionaria del Maestro di Murcia offre un ricchissimo sfondo esoterico agli argomenti razionali del Radd, e alla cristologia musulmana in genere. Le obiezioni del Radd, tutte riducibili alle grandi questioni della controversia ariana e, ancor pi radicalmente, allesperienza presto rimossa (emarginata) del giudeo-cristianesimo primitivo, riposano su un principio esegetico implicito: mentre il Corano Parola di Dio cos com, Ges stesso ad essere (in senso coranico) parola-di-Dio, kalimatu-Llah; i Vangeli e il Nuovo Testamento, pur essendo libro (anche i cristiani sono ahl al-kitb, gente del Libro), sono parole ispirate e non Parola, quindi, per farne lesegesi, si pu estendere luso del qiys e degli altri strumenti che aprono un testo non immediatamente chiaro. La maggior parte delle espressioni neotestamentarie non vanno lette secondo la loro accezione propria (aqqa), ma secondo unaccezione traslatametaforica (majz). Qui entra in gioco Ibn Arab e, in generale, la profetologia dei sufi: Ges il profeta che ha manifestato il versante bin (lesoterico) della missione legislatrice di Mos-Ms: si potrebbe dire che colui che ha reso hir la walya, la santit/intimit con Dio. In quanto wal, egli quindi gi erede (writh) dei profeti: egli gi, in un certo senso, commento, come la santit gi commento, approfondimento esoterico del ruolo che il profeta ha nel mondo. Nella cristologia akbariana (soprattutto come sviluppata nei Fu al-ikam) Is, in quanto rasl della walya (e suo Sigillo), il medium che fa accedere al mondo degli archetipi (lam almithl, mundus imaginalis), piano ontologico della conoscenza profetico-esoterica e luogo in cui si invera il tawl, cio linterpretazione intesa come continuo, ermetico passaggio fra il Nascosto e il Manifesto, tra il bin e lo hir. Abbiamo esaminato la sorprendente trattazione di Ibn Arab nei Fu: Is era (come profeta storico) ed (come profeta sempre presente nel mondo sottile o immaginale) in grado di far penetrare il suo seguace nel khayl, in quella che il Rosarium philosophorum, grande testo ermetico tardomedievale, chiama vera imaginatio, contrapponendola allillusione della fantasticheria. Ma qui il tratto forse pi esoterico di Is: questo suo ruolo iniziatico si realizza proprio attraverso lillusionismo del wahm; gli spettatori dei suoi miracoli sperimentavano una perplessit (ayra) radicale, uno stupore vertiginoso riguardo alla sua natura: uomo? Dio? uomo-e-Dio? Limmaginazione di chiunque guardi e pensi Ges sottoposta ad una prova inevitabile e decisiva: poich stato concepito dal r (seme di Jibrl) e dallacqua (seme di Maryam) anche attraverso lillusione sperimentata da sua madre al cospetto dellangelo in forma umana, egli non solo in grado di operare miracoli col permesso di Dio, secondo la precisazione coranica, ma fa s che gli spettatori si meraviglino dicendo che era lui e non era lui al tempo stesso. Si cercato di mostrare come questa lettura di Is dia un abbrivo particolarmente forte in direzione del centro della metafisica akbariana, il sirr ar-rubbyya: il segreto del legame (misericordioso) tra rabb e marbb, tra Signore e servo, che ha una consonanza con linsegnamento perfettamente cristiano (e perfettamente esoterico) di Meister Eckhart nel sermone Beati pauperes spiritu. In effetti, il maestro domenicano medievale, partendo dalla dottrina mistica della generazione del Verbo (Dio) nel fondo (Grund) dellanima umana, d un insegnamento molto semplice, e tuttavia sconvolgente per la coscienza religiosa ordinaria: Prima che le creature fossero, Dio non era Dio: era invece quello che era. Quando le creature furono e ricevettero il loro 40

essere creato, Dio non era Dio in se stesso, ma era Dio nelle creature. LEssenza divina, superiore ad ogni determinazione, Dio nella sua relazione con le creature, in particolare con luomo: Signore in relazione a dei servi; ma si tratta appunto di una relazione autentica, di una vera corrente di essere-amore che per il domenicano senzaltro il dinamismo della vita trinitaria, con il Verbo al suo centro: Se io non fossi, neanche Dio sarebbe; che Dio sia Dio, io ne sono la causa prima; se io non fossi, Dio non sarebbe Dio. Queste affermazioni non possono non ricordare la poesia di Ibn Arab nel Fa su Is, come anche i passi rabbinici citati allinizio di questa discussione. Lapofatismo sublime della dottrina akbariana porta con s unidentit di essenza Creatore-creatura che sembra superare la dottrina ortodossa della prossimit Dio-uomo, del taqarrub, lasintoto della Misericordia: ma identit di essenza non n immanenza n inabitazione (ull), e nemmeno, in profondo, unione (ittid), perch nella manifestazione del creato la verit Signoreservo, rabb-abd; ed propria del servo lassoluta povert, lassoluta impotenza ed inconsistenza. Fuori da Dio, tutto illusione e nulla, ma nellEssenza tutto lEssenza stessa. N monismo panteista, dunque, n, del resto, il complesso edificio del dogma trinitario: una non-dualit esoterica, che cerca di ricondurre il tawd alla sua concretezza mistica di fare-unit ( il masdar della seconda forma faala) nel cuore delluomo e in Dio. N la Mia terra n il Mio cielo hanno la capacit di contenerMi. Ma il cuore del Mio servitore fedele, pio e puro, ha la capacit di contenerMi (adth quds). Ritorniamo un istante allesegesi del Radd. Leggendo i Vangeli, i cristiani per lo pi si smarriscono a causa di un tawl errato: volendo riassumere, con terminologia quasi ariana, la Parola-Ges non Dio ma da Dio come il R angelo di Dio; tanto il Verbo che lo Spirito non sono ipostasi-persone, ma creature, oppure eterni attributi di Dio, che per, in quanto ift, sono su un piano diverso rispetto a quello dellEssenza (Dht) indipendente dai mondi. In un caso, per, lecito parlare anche di un testo (na) contraffatto: la Parola divenne carne, su cui si basa linaudita dottrina dellIncarnazione. La Parola non diviene carne, ma crea una carne, che la creatura Ges. Ora, per volgerci di nuovo verso Ibn Arab, vero che il Sommo Maestro parla di Dio creato (aqq makhlq) a proposito della prima determinazione del nafas ar-Ramn, cio del barzakh (istmo) tra gli opposti metafisici: ma non lo dice certo nel senso cristiano del Creatore che si fa creatura, perch questo un livello di lettura in cui storia ed esoterismo si intrecciano, il livello cio dellIncarnazione; invece la dottrina akbariana si fonda sul tajall, sulla teofania, non sullincarnazione, che viene identificata con eresie come il ull e littid (valido solo come percezione soggettiva del mistico). La mediazione rappresentata dalla teofania salva la distinzione Creatore-creatura nel tempo, e quindi nella storia: la wadat al-wujd riafferma lUnicit in senso islamico, non lUnione in senso cristiano. In altri termini, risuona ancora la domanda formulata sopra: se la Parola diventata carne, cosa resta in mezzo? Ricordiamo lo stupore e il dubbio di Paolo sulla propria ascesa al terzo cielo: se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio (cfr 2Cor 12,2). Tertium non datur: eppure per Ibn Arab il tertium fondamentale, ed la gnosi. Come fra ebraismo e cristianesimo media lIslam in quanto religione, cos, fra corpo e spirito, fra hir e bin, media il mondo immaginale, luogo della gnosi.81 LIncarnazione tende a rendere impossibile lesoterismo, la sua oscillazione di bilancia fra Nascosto e Manifesto: lIslam e lebraismo lo tengono ai margini, pur con il rischio, ineliminabile e in parte previsto, che lessoterismo della Legge, votato a preservarlo, lo espunga dal libro vivente della comunit in modo pi o meno cruento. Cos, laccostamento fra Is e lalchimia, che sembra appartenere al repertorio illimitato e pressoch arbitario delle amplificazioni esoteriche, acquista un sapore nuovo. Il corpus spirituale che Ibn Arab gli assegna, da una parte conferisce uno sfondo autenticamente gnostico al vago ed enigmatico docetismo coranico (Ges non morto sulla croce) e alla sua parentela, per via dellassunzione/elevazione, con gli altri immortali Ilys-Elia ed Idrs-Enoch, profeti dellesoterismo anche nella tradizione ebraica: dallaltra sembra quasi un tawl genuinamente
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Per questa idea si rinvia ovviamente a Henri Corbin, Limagination cratrice dans le soufisme de Ibn Arabi, Paris 1958.

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ermetico di alcuni temi propri della mistica cristiana sin dalle origini paoline. Al di l dellalchimia nata in terre cristiane, e senzaltro profondamente legata a molte metafore ed immagini della tradizione religiosa di quelle, gi nella predicazione di Paolo molto forte lannuncio messianico e mistico della palingenesi del creato, del suo passaggio, in Cristo, dalla phthor (corruzione) alla aphtharsia (incorruttibilit: cfr ad es. Rm 8,18-22; 1Cor 15,35 ss.): la resurrezione di Ges Cristo il principio effettivo della resurrezione di tutti e della trasmutazione del mondo, come la fede fermento segretamente operante nella pasta, e la presenza nascosta del Cristo risorto nelle specie eucaristiche principio attivo della trasformazione (in spirito, anima e corpo) del fedele che le assume. Ma anche qui evidente la distanza fra il mondo akbariano e la sensibilit cristiana: per Ibn Arab lalchimia pur sempre, riprendendo il detto attribuito ad Al, sorella della profezia, sua compagna esoterica, che traduce gli annunci palingenetici della parola pubblica del profeta nellopus devoto dellArtista ermetico, necessariamente appartato ed iniziato; la mistica eucaristica, invece, cerca lequilibrio fra esoterico ed essoterico nel corpo di Cristo, nella sua Incarnazione. Dopo questo riesame delle intuizioni akbariane alla luce del dibattito filosofico del Radd, forse possibile cogliere una particolare sfumatura in uno dei termini pi pregnanti utilizzati dal Maestro andaluso per stigmatizzare il kufr cristiano: tamn, inclusione di Dio in Ges. Forse, oltre che al ull propriamente detto, la parola vuole alludere al fatto che i cristiani identificano Ges e Dio su un piano, quello del rapporto Creatore-creatura, in cui appunto ogni identificazione impossibile. Questo errore potrebbe essere dovuto alla gi citata perplessit dei credenti davanti alluso, nel discorso di Ges cos frequente, della prima persona. La prima persona singolare , in effetti, fonte di illusione in chi parla e in chi ascolta: ricordiamo il rimprovero dellAutore del Radd ad al-allj quando proclama: Io sono il Vero, rimprovero condiviso da buona parte degli stessi sufi. Ma il cristiano potrebbe obiettare che lio di Ges si realizza nel noi del rapporto con il Padre: Io e il Padre siamo uno. Abbiamo gi osservato come il greco evangelico dica pi cose rispetto ad una lingua semitica correntemente parlata: il neutro hen-unum, una cosa sola, e il verbo essere, esmen, siamo, su cui si appoggiata la riflessione trinitaria e cristologica per definire lunit-distinzione fra Padre e Figlio, e quindi la comunione fra le Persone divine. Ma questa unit-distinzione inaccettabile per la mente semitica, che, come si detto pi volte, vuole che il Nascosto e il Manifesto comunichino in modo sottile e carezzevole, non che si tocchino prendendo la forma di una creatura di Dio.

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