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ACHAB

Speciale Etnografie Bicocca


Rivista Studentesca di Antropologia
2004 numero II
Universit degli Studi di Milano-Bicocca

Se volete capire che cosa sia una scienza, non dovete considerare anzitutto le sue teorie... dovete guardare che cosa fanno quelli che la praticano, gli specialisti. Clifford Geertz

Editoriale
Si pu essere antropologi senza fare ricerca sul campo? Una questione antica, affrontata e sviscerata da molti antropologi fin dagli esordi della disciplina. Alla fine del XIX secolo quasi nessun antropologo conosceva i propri "indigeni" se non attraverso resoconti di seconda mano raccolti grazie al solerte lavoro di informatori "sul campo" (missionari, funzionari...). Oggi, forse, un antropologo armchair sarebbe impensabile, e qualora ve ne fossero, non avrebbero certo la stessa considerazione dei pi "esperti". Tuttavia se guardiamo al mondo della didattica, a come si formano gli antropologi, questa antica questione sembra trovare ancora una sua attualit. In questo senso proviamo a riformularla e chiediamoci: si pu studiare antropologia senza imparare ad essere o fare esperienza sul campo? Fino ad un certo punto ed entro certi limiti... E ancora, cosa si intende per "campo" oggi? Sicuramente il mito del villaggio incontaminato abitato da pochi indigeni svanito: il "campo" allora il luogo dell'antropologia ed ovunque, "qui ed ora". Questo numero speciale di Achab raccoglie alcuni dei lavori etnografici elaborati dagli studenti della laurea specialistica in antropologia per il corso di "Metodi e Teorie della Ricerca Antropologica" tenuto dal dott. Setrag Manoukian nel corso dell'anno accademico 2002/2003. I lavori qui raccolti hanno tutti un unico comune denominatore: la Bicocca. Un luogo in cui alcuni studenti hanno scelto di occuparsi di antropologia e di acquisire gli strumenti teorici per praticarla. Un luogo che diventato, quindi, un oggetto d'indagine e dunque uno spazio per sperimentare l'antropologia che dell'esperienza sul campo fa uno dei suoi cardini. Chi ha seguito quel corso sa di aver avuto un'occasione importante per sperimentare, spesso per la prima volta, l'essere sul campo in antropologia. A distanza di un anno raccogliamo questi primi, e forse per certi versi "acerbi" lavori, con la sensazione di aver fatto qualche passo in pi verso l'acquisizione di una maggior consapevolezza delle difficolt e della complessit dell'incontro etnografico.

La Redazione

Achab - Rivista studentesca di Antropologia dell'Universit Bicocca - Anno I , Numero II


Redazione: Lorenzo D'Angelo, Antonio De Lauri, Michele Parodi Impaginazione: Niccol De Giorgio e Amanda Ronzoni Grafica copertina: Lorenzo D'Angelo Responsabile del sito: Antonio De Lauri Tiratura: 200 copie Se desiderate collaborare al progetto della rivista con vostri lavori o commentare gli articoli, potete scrivere a: achab@studentibicocca.it oppure achabrivista@libero.it La rivista disponibile anche in versione elttronica scaricabile in formato pdf dai siti www.studentibicocca.it/achab.

Indice:
Presentazione Da Aldo - Trattoria Toscana
Dal Borgo Pirelli alla Bicocca della Pirelli Real Estate

di Setrag Manoukian

pag. 2

di Daniela Carosio

pag. 3

Bicocca in movimento
Un tentativo di lettura etnografico

di Bruno Tuia

pag. 11

Generazioni in Bicocca: come in un paese L'abito fa' il monaco? La Bicocca: un luogo di culto

di Chiara Maestroni

pag. 17

di Anna Felcher

pag. 25

L'Universit Bicocca: il bar dell'U7 La Biblioteca


Luogo del sapere?

di Stefania Carbonelli

pag. 31

di Anna Canuto

pag. 36

Antropologia di uno spazio bibliotecario Verso un analisi dello spazio poietico Camminare per la Bicocca
Una descrizione densa dei percorsi per le informazioni

di Lorenzo D'Angelo

pag. 43

di Rossana Borretti

pag. 50

Gli individui nella burocrazia elettronica


Gli studenti a confronto con l'organizzazione

di Tatiana Tartuferi

pag. 57

La piazza Bicocca di notte La ricerca etnografica

di Roberta Ghidelli di Antonio De Lauri

pag. 63 pag. 70

Presentazione
di Setrag Manoukian
Nella primavera del 2003 ho proposto (ed imposto) ai partecipanti al corso di "teoria e metodi della ricerca antropologica" della laurea specialistica in scienze antropologiche di condurre degli esercizi etnografici sull'universit di Milano-Bicocca. Questa proposta muoveva da alcune considerazioni. Penso che per comprendere le implicazioni di una ricerca etnografgica sia necessario compierla; mi sembra che l'etnografia si possa imparare, ma non insegnare, se con questo termine si intende una modalit prescrittiva che detti "ci che bisogna fare". Questo non implica appiattire la ricerca sulla pratica, n ridurre l'importanza delle teorie e dei modelli di ricerca. Ma, a mio avviso, solo facendo etnografia che si pu sperimentare la complessit delle implicazioni anche teoriche e considerare le questioni epistemologiche sul vivo, non riducendole a semplici metacommentari, a "discorsi su" che spesso -ben articolati teoricamente-risultano avere poca incidenza nelle etnografie. Queste considerazioni sono a loro volta strategiche - proprio perch in questi anni si sono scritte molte teorie dell'etnografia che tempo di fare etnografia. La difficolt di questa impostazione d'altro canto che la pratica sfugga alla teoria e diventi trasparente, invece che esercizio di riflessione. Per questo pensavo che la scelta di un tema comune per tutti i partecipanti avrebbe facilitato il confronto e la discussione, lasciando poi a ciascuno la possibilit di scegliere il tema che preferiva all'interno del contenitore "Bicocca". Gli antropologi hanno spesso insistito sulla difficolt di compiere ricerche in luoghi familiari, perch sarebbe difficile notare quanto socialmente costruiti sono gli ambienti e le situazioni con cui si ha troppa consuetudine. Questo a volte divenuto un pretesto per scoraggiare ricerche troppo "vicine" alla vita dei ricercatori. Oggi d'altro canto, sia per ragioni storiche che per questioni teoriche, lo "straniamento" sempre pi un meccanismo, piuttosto che una dislocazione. Pensavo che anche per questo la Bicocca, vicina alla vita dei partecipanti ma non troppo, sarebbe potuto essere un buon campo di ricerca. La mia proposta suscit un certo stupore e non poca incertezza tra i partecipanti. Le immagini e le aspettative di alterit ma forse anche l'attesa per il racconto delle "avventure" degli antropologi sembravano infrangersi su una imposizione cos banale, realistica, vicina. La traiettoria di fuga dell'antropologia veniva riterritorializzata proprio sul luogo pi opaco e quotidiano. Un diffuso senso di inadeguatezza attraversava i nostri incontri. Chi sono io per fare etnografia? Che autorit ho io per parlare? Cosa ne so di? Come faccio? Ma a poco a poco le cose sono cambiate e le etnografie hanno preso forma. Gli esercizi etnografici miravano soprattutto a produrre una riflessione implicita o esplicita sull'etnografia stessa e non avevano pretese di diventare descrizioni analitiche della Bicocca. Queste pagine sono soprattutto delle "prove tecniche di etnografia". Tuttavia a posteriori possibile considerare che queste etnografie, esplorando la Bicocca senza confrontarsi con forti idee teoriche, aprono la strada a quella densit descrittiva che viene spesso evocata seguendo Clifford Geertz e pi in generale le richieste della disciplina. Questa una idea limite di "descrizione densa", forse un poco contraddittoria-proprio perch la descrizione densa non potrebbe stare in piedi da sola ma dovrebbe essere accompagnata dalla riflessione teorica in cui si articola l'interpretazione. Ma sono etnografie come queste che spingono a riflettere sul potere delle descrizioni e confrontandosi a fondo con questo esercizio di stile ne sperimentano le possibilit. Le descrizioni della Biblioteca, del sistema informatico di gestione degli esami, dei servizi di sicurezza, dei rumori, delle bacheche, della vita sociale sul piazzale, della memoria, dei distributori automatici di bevande, dell'abbigliamento, della Bicocca di notte, pur senza azzardare delle riflessioni sulla Bicocca dicono qualche cosa a proposito di questa realt sociale, mettendo in evidenza la complessit ed indicando alcune delle possibili traiettorie per futuri approfondimenti. Questi lavori indicano come la Bicocca rappresenti per molti versi un laboratorio della societ italiana contemporanea, attraverso cui passano molti dei fenomeni cruciali di questi anni. Le contraddizioni che segnano la trasformazione della fabbrica fordista in "fabbrica del sapere," le articolazioni del lavoro materiale ed immateriale, le riconfigurazioni della trasmissione del sapere, ma anche l'esperienza dello spazio e del tempo, le concatenazioni tra esseri umani e macchine, sono tutte dinamiche che attraversano la Bicocca e che attendono etnografie pi approfondite. All'inizio molti partecipanti al corso intesero l'idea di una etnografia della Bicocca come una esplorazione di ci che non funzionava, e con grande solerzia dettagliarono le idiosincrasie del luogo. Tuttavia poi a poco a poco questo atteggiamento scettico ha ceduto il passo ad un maggiore interesse per situazioni concrete, soprattutto di interazione che ha messo in luce sia la complessit dei meccanismi sociali della Bicocca sia la loro molteplicit. Lo scetticismo negativo infatti si sa consono alla riproduzione sociale, non, come potrebbe apparire, alla sua critica. Alla Bicocca invece c' molto bisogno di analisi critica, di una riflessione approfondita sulle dinamiche che la compongono che non sono il semplice risultato della (dis)organizzazione ma che segnalano processi sociali meno univoci e pi incisivi, che stanno segnando a fondo la societ italiana e non solo. Forse infatti, ma lo dico senza aver fatto alcuna etnografia e dal mio punto di vista particolare, una delle caratteristiche della Bicocca come luogo sociale che produce molta disattenzione (quasi protettiva) nei confronti di ci che vi avviene e di come si va configurando questa istituzione e le pratiche che la sostengono. Queste etnografie, al contrario, sono molto attente.

Da Aldo - Trattoria Toscana


Dal Borgo Pirelli alla Bicocca della Pirelli Real Estate
di Daniela Carosio
Premessa - La memoria del Borgo Pirelli La memoria del Borgo Pirelli non vive nei musei, ma negli uomini e nel loro rapporto con il territorio. La trattoria da Aldo rappresenta per me la memoria del passato. Su di un territorio percorso da ruspe, sovrastato da gru, attraversato da macchine veloci in viale Sarca, gli studenti si muovono frettolosi attorno alle principali stazioni e linee di trasporto di collegamento con il resto del mondo. Oppure, pigramente sdraiati a prendere il sole sul piazzale della U6, con un libro in mano o a piccoli crocchi a giocare al pallone o nei cortiletti interni, nei corridoi, con i loro jeans, spesso le gonne lunghe zingaresche, spesso i capelli rasta, su visi per pallidi della pianura del Nord. Ogni tanto qualche viso colorato, l'Italia che si mescola, l'Italia divenuta rapidamente terra d'immigrazione. Aldo rappresenta il sogno di quella che era una delle fabbriche pi rappresentative dell'Italia del dopoguerra e di masse operaie con una forte coscienza di classe, che da lui si riunivano per mangiare, bere, discutereAldo rappresenta per me la memoria storica e la coscienza di ci che la "reificazione" attuale del quartiere Bicocca vorrebbe fare dimenticare. Cito Herbert Marcuse: "all reification is a process of forgetting 1". Qualche elemento ridotto a pezzo museale non rende il senso di ci che era, come la ciminiera avvolta nell'edificio della Pirelli Real Estate di fronte all'edificio dell'U6. Da Aldo mi sembra, invece, di ritrovare questo senso. Inoltre, la reificazione e la dilatazione del presente accentuano la divisione, peraltro ambigua, di centro e periferia. In questo presente dilagante aumentano i confini spaziali e delle pratiche, valori, usi e tradizioni sembrano diventare desueti e chi li continua a praticare viene percepito come partecipe di una cultura marginale. Ma c' una profonda differenza tra il divenire marginali con memoria storica e il divenirlo senza. I capitolo - Il divenire della Bicocca Cerco di dipingere alcuni quadri di questo quartiere, la Bicocca, nel suo divenire. Ancora c' spazio per immaginare, anche tra gli enormi palazzoni universitari, le costruzioni abitative e gli edifici direzionali. Ancora l'area che fronteggia il teatro degli Arcimboldi ampia, non ben delimitata e c' spazio per respirare. Tra poco, forse, la citt si sar mangiata tutti gli spazi liberie Aldo rimane forse ancora come un interstizio, un piccolo baluardo di vecchio, ma io dico di umanamente negoziato in uno spazio pensato da pochi (architetti, consulenti, finanzieri, uomini di business) per molti (gli studenti della fabbrica del sapere, gli abitanti della crema di Milano e del parco dei ciliegi, i dipendenti delle aziende tecnologiche che qui si trasferiranno o lo hanno in parte gi fatto). La prima volta sono arrivata in Bicocca cambiando 3 linee metropolitane, da Sondrio (M3), a Centrale (M2), a Precotto (M1)io che abito al villaggio dei giornalisti, dietro Greco. Mi aspettava un amico brasiliano di Belo Horizonte, venuto qui a studiare informatica, figlio di un musicista e di una dentista e dal nome indio, Raoni. Mi ha portato a pranzo da Aldo, spiegandomi con lo sguardo di chi conosce la zona, che si tratta di un luogo culto per veri intenditori, un simbolo di ci che era la Bicocca quando c'era ancora la Pirellinell'entrare in quel locale stretto dove quasi sulla soglia gi si incontrano dei tavoli, in uno spazio circondato da muri carichi di immagini, per lo pi di lotta politica, di trofei sportivi, la bandiera in mezzo al muro con scritto "W la figa", mi sentivo un po' intimorita, io appartenente alla media borghesia milanese, in fondo una privilegiata, nella casa di "vecchi compagni", di quelli che hanno fatto le lotte in fabbrica e che hanno segnato la nostra storia recente. Le coincidenze della vita: questo succedeva nell'aprile del 2002, alcuni mesi dopo, nell'ottobre del 2002, di ritorno dal Brasile mi sono iscritta ad antropologia, cos senza pensarci molto, non sapevo bene cosa facevo, ma avevo nel cuore ancora la leggerezza brasiliana"nao tem problema, puxa, tudo em ordem, meo!2 ". Mia sorella mi ha accennato al corso cui voleva iscriversi e che sapeva interessarmi. Di fatto, lei non si iscritta ed io s. Con architettura andata in modo speculare, l'ha fatta lei, io no. Ora vengo spesso in Bicocca in bicicletta, attraverso il ponte, costeggio il cimitero di Greco dove seppellita la sorella di mio padre, la zia Teresa, saluto la sua croce dall'alto e al ritorno guardo la distesa di lumini rossi che scintillano, come tante anime a festa, tra una ciminiera, i binari della ferrovia e qualche grosso edificio popolare. Diversamente dai Rom descritti da Leonardo Piasere costeggio il cimitero e non scelgo la strada pi lunga, Viale Sarca, perch troppo trafficata, ma, come i Rom, sento il bisogno di fare una sosta e comunque un saluto. Anche il traffico sul ponte osceno, molta polvere e molto smog. Spesso guardo i cartelloni pubblicitari con occhio critico, mi chiedo a chi rivolto quel messaggio posizionato in quel punto. Svolto sul ponte e costeggio un terreno scosceso dove c' di tutto, una sorta di minidiscarica dove stato buttato persino un carrello della spesa, pneumatici, bottiglie di plastica e, purtroppo, qualche siringa. Sotto c' un vivaio, dei Fumagalli, separato da una rete. Dietro, parte una stradina con delle casette basse, spesso ho visto dei cinesi attraversare quella strada, credo ci siano dei laboratori in nero. Poco pi avanti, inizia viale dell'Innovazione e colpisce la vista una casa fatiscente con un cartello "Dimora prestigiosa, tel. 02 66 00 909". Il viale che porta all'U6 costeggiato da edifici moderni, una piccola "Canary Wharf" all'italiana, uffici, edifici universitari, pi

avanti a destra la stazione di Greco, il Teatro degli Arcimboldi e di fronte all'U6 una vasta area con ancora edifici della Ex Pirelli in demolizione. In lontananza si scorge la scritta rossa 'Pirelli' su un edificio ancora in piedi. Capitolo II - In trattoria da Aldo Sono tornata da Aldo varie volte, sempre con il timore di invadere uno spazio privato e sempre sorpresa dall'accoglienza simpatica ed informale del figlio di Aldo, Luciano, che poco per volta mi sta dischiudendo i segreti della trattoria. La prima volta mi sembrava mi guardasse con sospetto e che il mio amico brasiliano fosse riuscito a farmi accettare, perch Luciano molto severo, deve amare i suoi clienti e i suoi clienti devono sentirsi a loro agio, devono amare il posto una sorta di patto non scritto, ma chiaro gi all'ingresso della trattoria. Dall'esterno quasi non sembra una trattoria c' una semplice scritta Bar Trattoria da Aldo con dei vetri piuttosto scuri che non fanno bene capire che cosa ci sia dentro. Di questi tempi si intravede subito una bandiera della paceforse l'unica cosa che dall'esterno si intravede chiaramente. Ci sono tanti tavoli apparecchiati con tovaglie a scacchi rossi. Appesa sulla colonna centrale in mezzo alla stanza una fotografia in bianco e nero che riprende la scritta con lo spray su di un muro "E' un momentaccio!" Firmata: falce e martello. Nel centro della parete a sinistra dell'ingresso, varie bandiere di Cuba, tante foto del Che, dei ripiani con varie coppe e trofei. Un cappello dell'armata rossa, regalato dal Teratlon Club Dinamo Ucraino. Una bandiera dello stesso club datata 30-05-1992 e i guantoni del baseball, in quanto dal 1968 da Aldo venivano a mangiare i giocatori italo-americani del Baseball Club di Milano. Avevano il conto aperto che alla fine del mese pagava il loro sponsor, la societ Europhon. Poi di lato, accanto al bancone del bar, un quadretto documenta l'onorificenza che nel 1982 fu consegnata ad Aldo (Edoardo Stipiti) dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, ossia la Croce di cavaliere al merito della Repubblica per grandi meriti civili e sportivi. Quell'onorificenza l'avevo notata la seconda volta che ero entrata da Aldo, senza per capirne il valore. N Luciano l'aveva sottolineata, quando in quell'occasione gli avevo comunicato che volevo fare una ricerca sulla storia della Bicocca e avevo pensato alla sua trattoria come luogo storico e punto di partenza. Mi aveva invece fatto vedere un altro quadretto con dentro un ritaglio di giornale, anch'esso appeso accanto al bancone del bar nella zona retrostante del locale. L'articolo tratto dal giornale di zona 9 del settembre 2000 e intitolato "Un'antica trattoria toscana alla Bicocca" racconta brevemente la storia del locale in occasione dei suoi 50 anni. La trattoria stata fondata nel 1950 da Edoardo Stipiti (diventato Ardo e poi sciur Aldo a Milano) e sua moglie Elsa, entrambi originari di Ponte Buggianese (Pistoia) e poi un articolo sul Venerd di Repubblica del 2002 dal titolo "Compagno Cofferati, torna in fabbrica: ti aspetto da 25 anni", dove Cofferati racconta che, tra un'assemblea e l'altra, in attesa del turno di notte, il Consiglio di fabbrica si trasferiva da "Aldo", la trattoria di viale Sarca, e le discussioni continuavano davanti a un bicchiere di rosso. D'altronde in quegli anni il Consiglio di fabbrica della

Pirelli vigilava anche sulla qualit del vino servito in mensa". All'epoca da Aldo si mangiava solamente polenta e pesce al sale, il locale apriva alle 5 e mezza del mattino e poco prima delle 6 si riempiva dei primi turnisti, quelli delle 6, che alle 7.30 avrebbero fatto la pausa per mangiare il pesce al sale. Poi nel corso della giornata arrivavano gli altri turnisti, quelli delle 14.00 e delle 22.00. Il locale chiudeva a mezzanotte. Elsa e Aldo inizialmente gestivano un negozio di rosticceria che occupava la met della superficie dell'attuale trattoria. Poi nel tempo incominciarono a diversificare il menu, includendo un primo, un secondo e due panini che gli operai e gli impiegati andavano a mangiare alla Casa del Popolo, un locale che serviva vino e che si trovava all'angolo della strada dallo stesso lato di Aldo, dove oggi sorge l'agenzia di una banca. In seguito, ampliarono il negozio e vi collocarono i primi tavoli per i clienti. Oggigiorno la trattoria gestita da Luciano e da Alberto, il fratello pi giovane nato 14 anni dopo. Mamma Elsa per sempre presente come ospite, si lamenta un pochino delle gambe che le fanno male e dei piedi gonfiforse deve curare l'alimentazione e seguire le prescrizioni della biomedicina, ma mi sento ridicola mentre le raccomando queste cose. Lei mi guarda incuriosita con quei suoi occhi vivaci, non credo abbia intenzione di seguire i miei consigli. D'altronde chi sono io per darli. Capitolo III - L'incontro con il gruppo musicale Gli Esuli In una sera di aprile ho deciso di andare insieme al mio compagno musicista a cena da Aldo. Sasha mi sembrato piacevolmente sorpreso, difficile sentirsi cos a proprio agio in una trattoria a Milano Subito Aldo ci ha accolto come amici della casa e ci ha fatto sedere vicino a due musicisti del gruppo degli Esuli, Daniele e Felice. Loro ci hanno raccontato dell'atmosfera degli anni '70, del quartiere e della Bicocca e della mitica Trattoria. Alla fine mi hanno regalato il loro CD live "Caldarroste e Gelati", un CD "pensato e realizzato ricercando e ricreando le atmosfere e le sonorit tipiche degli anni '60 (la nostra mania e il nostro amore)". Il testo della canzone "Caldarroste e gelati" che da' il titolo al CD recita cos:
"Un autunno tra i cancelli grigie case popolari foglie gialle sulla strada che fra gli orti si perdeva Pietro in bilico sul carretto a pedali rigirava caldarroste scoppiettanti e un po' bruciate Pietro fugge dai ricordi e chi fosse non si sa certo era un uomo ricco solo di semplicit Coi bambini dalle toppe malcucite sui calzoni lui scambiava caldarroste con promesse d'esser buoni mentre il vento trasportava quel profumo di amicizia che accomuna tutti quanti quando i soldi non son tanti Pietro era l'orologio che girava ore ed ore ma nelle vie di quel quartiere non cercarlo non c' pi di quei dolci e bei ricordi resta solo il circolino dove spesso lui entrava per un sorso di buon vino dove un mare di cazzate soffocavano i problemi dove oggi come ieri dove non si smette mai di parlare ore ed ore di ci che bello e ormai passato dove oggi come ieri forse non si invecchia

mai di parlare ore ed ore di ci che bello e ormai passato dove oggi come ieri e non vuoi invecchiare mai."

Eppure, Daniele e Felice non sono nostalgici nei loro racconti. I testi s per, rievocano con il suono degli anni 70' un mondo di affetti e ricordi. Entrambi hanno un buon lavoro e una famiglia. Daniele vive fuori Milano, spesso per si ritrova da Aldo con gli amici, come ai vecchi tempi. Entrambi hanno la capacit di leggere il presente in prospettiva, cos come la trasformazione dello spazio del loro passato. Daniele ha delle foto aeree della Bicocca, che ha dato ad una ragazza per una tesi. Lo contatter per vederle. Capitolo IV - Mamma Elsa La canzone numero 8 del CD degli Esuli intitolata "Trattoria da Aldo" ed dedicata a mamma Elsa:
"Quello che tu sogni ancora gi un ricordo del passato Elsa fatti una ragione cambia in fretta una stagione speri ancora di vedere affacciandoti sul viale tante insegne di Pirelli ma son bianchi i tuoi capelli ti ricordi in trattoria arrivavano i turnisti bianche tute di cotone e una fame da leone raccontavano di ore che il padrone mal pagava ma azzittivano sul piatto che Aldo preparava chi beveva tanto vino chi metteva troppo sale c'era chi cedeva il posto gi finito di magiare cara Elsa innamorata di quei giorni ormai lontani tanti amici pochi soldi cara Elsa ti ricordi ed in trattoria da Aldo c'era gioia c'era caldo c'era pronto tutto a posto c'era trippa c'era arrosto c'era tanta simpatia ed Emilio che scherzava c'era Jole per lui persa c'era amore in mamma Elsa c'era Cesare col pane c'era chi aveva fame c'era Volpi con la mini sempre pieno di casini c'era Ivan Gavazzano con la mazza ed il guantone c'era sempre chi gridava per avere pi ragione cara Elsa innamorata di una vita ormai passata tra gelati non pagati siamo tutti maturati sono grandi quei ragazzi che scendevano in cantina con chitarre e batteria gi alle dieci di mattina mentre Aldo sulla soglia con le braccia incrociate lento il capo lui scuoteva con Luciano si arrabbiava cara Elsa ti ricordi i pittori tanti artisti e di quei sindacalisti che chiedevano a te s'era giusto continuare uno sciopero a fatica era l'anno sessantotto cara Elsa che casotto cara Elsa quanta gente hai visto tu passare cara Elsa tu per noi sei la mamma da amare ed in trattoria da Aldo c'era gioia c'era caldo c'era pronto tutto a posto c'era trippa c'era arrosto c'era tanta simpatia ed Emilio che scherzava c'era Jole per lui persa c'era amore in mamma Elsa c'era Cesare col pane c'era chi aveva fame c'era Volpi con la mini sempre pieno di casini c'era Ivan Gavazzano con la mazza ed il guantone c'era sempre chi gridava per avere pi ragione."

erano pi simpatici, non le piaceva servire le donne, spesso chiedevano una porzione in tre e allora preferiva farle servire dal marito. Si ricorda quando il gruppo degli Esuli andavano a suonare in cantina, dice che erano dei bricconi e Luciano loro coetaneo li accompagnava, talora di nascosto. Daniele degli Esuli mi racconta che ogni tanto tengono ancora dei concerti. Gli esuli sono coetanei di Aldo e lui credo che sia molto fiero dei suoi amici. La vita nel quartiere scorre tranquilla, ma non c' pi tutto ci che c'era prima e la prima canzone del CD Borgo Pirelli racconta l'attuale situazione:
"Ride Barbara a un cliente dietro al banco dei tabacchi S'alza il tono delle voci dalla sala degli scacchi nel bar Preto tanto fumo sempre gente che si lagna del dissesto del quartiere e del Milan che non segna Fuori ruspe spianan muri capannoni nostalgie Ci son camion gru macerie per le polverose vie Sta nascendo quel teatro dedicato agli Arcimboldi Verde finto appartamenti tanto spazio per studenti ora Barbara i tuoi occhi chiudi e prova immaginare prova ancora a raccontare oggi ci che non c' pi Borgo Pirelli tante piccole case tra rossi rosai d'inizio estate Ragazzi in gara su dei carrellotti con cerbottane e bussolotti gi dai balconi scendevan drappi C'eran ragazze lungo la via gettavan fiori tra lumini accesi Giorno di festa per Santa Maria Borgo Pirelli accendi un ricordo di calde notti e grilli felici di quel dolce silenzio prima del sole Del concerto di mille assordanti cicale e sentivi il treno che passava lento Scricchiolavan tramezzi sotto i binari gigante di ferro potenza e rumore lo vedevi sparire e batteva il tuo cuore Ora Barbara apri gli occhi in quest'attimo fatato Ora che tu hai raccontato ci che perso e non c' pi Ora Barbara apri gli occhi Non permettere a nessuno di far male a questo borgo che lo scrigno del tuo cuor".

La signora Elsa una toscana verace, che quando si menzionano gli operai di un tempo, li rivorrebbe tutti da lei. Di tutti parla molto bene, gli operai erano comunque meglio degli impiegati,

Capitolo V - L'incontro con Pol Pot Un mezzogiorno di met aprile vado a trovare Aldo con un amico di origine calabrese, il cui pap si era trasferito dalla Calabria in Francia per trovare lavoro nella regione delle miniere, al confine con il Belgio. Aldo ci accoglie sempre con molta simpatia e poco dopo ci fa sedere accanto il suo amico Pol Potmi bisbiglia all'orecchio che Checco, detto Pol Pot un grande. Di origine veneta, primo di una grande famiglia, arriva a Milano per lavorare sodo e aiutare i suoi, ma anche per conoscere il mondo e va a lavorare a Malpensa dove gi c'era all'inizio degli anni '60 un piccolo aeroporto. Poi arriva in Pirelli, dove fa amicizia con dei calabresi"chiusi, ma gente forte e in gambaogni tanto facevano dei piccoli lavoretti per sbarcare il lunario, ma persone di grande dignitho appreso molto da loro". E pi volte questo ricordo dei calabresi e dell'insegnamento di vita da loro ricevuto ritorna nel corso del racconto fatto da Checco. "Perch ti chiamano Pol Pot?" gli chiedo. E lui sorride, varie volte riformulo la domanda nel corso della conversazione. Mi risponde indirettamente. Checco una persona di grande resistenza, misurato nelle parole e un po' schivo, se per si entusiasma, allora

si apre e manifesta tutto il suo carattere profondamente umano. Checco indossa un cappellino blu con la visiera, forse come quello degli operai di una volta, oggi per diventato di moda soprattutto nei giovani della comunit afro. Sotto, i ricci quasi bianchi e gli occhi azzurri. Un viso minuto e pacato, l'aria mesta e distaccata di un uomo che ha vissuto intensamente, ha dei segreti e degli ideali, ma se li tiene per s. Per, non si mai tirato indietro, quando si trattava di passione politica e di portare il suo contributo alla causa dei suoi compagni di fabbrica e dei lavoratori. Per questo in molti lo stimavano e lo stimano. Ha lavorato sempre, molto e sodo, inizialmente era nel reparto di ricerca e sperimentazione materiali, ma poi finito nel "Nero fumo". Sono tanti a nominare quel reparto, mamma Elsa si ricorda degli operai del "Nero fumo" con le tute tutte sporche che venivano da lei per mangiare nelle pause di lavoro. Il nome evoca qualcosa di sinistro e i protagonisti ne parlano, ma non lo descrivono propriamente, quasi bastasse il nome ad evocarne lo spettro. Elsa dice che si trovava all'incirca dove oggi sorge il teatro degli Arcimboldi, dietro alle case residenziali con facciata pubblicitaria e giardinetto del Bicocca Point. Checco, incalzato dalle nostre domande racconta che, anche se il lavoro era pesante, era secondario. La politica era al centro della sua vita, forse per quello non ha fatto carriera ed stato messo in cassa integrazione dal 1972 al 1974. Quelli sono stati anni difficili di forti tensioni e per miracolo non si perso. Ci racconta che la moglie stata pi furba, ha fatto carriera nella sua azienda acquisendo una posizione dirigenziale, aveva un informatore privilegiato in casa sul clima aziendale di quegli anni e ne ha fatto tesoro. Nelle parole di Checco non c' rancore, ma comprensione, lei si mossa con prudenza e ha lavorato per s. Nel corso degli anni si sono separati e oggi sono tornati insieme, il loro legame sembra pi forte di tutto il resto. Non deve essere stato facile avere accanto un uomo come lui, penso ad alta voce. Abbozza un mesto sorriso affermativo. Non ci spiega la ragione del suo soprannome, Pol Pot, ma si intuisce dai racconti che stato un leader, che voleva cambiare il mondo e che pensa con la sua testa e vola pi in alto degli altri. Non beve molto ed morigerato con il cibo, parla poco, ma la sua presenza forte. Luciano con il suo viso bonario lo serve con affetto e ammirazione. Del periodo in cui stato in cassa integrazione racconta due esperienze, il viaggio a Cuba e poi in Angola, attraverso la Cecoslovacchia. Non racconta i dettagli, n sottolinea l'avventura. Credo che gli volessero tutti bene, i cubani, gli africani, i compagni. Pol Pot non parlava tanto, anche oggi continua a non parlare tanto. Ma noi siamo curiosi di rivivere con lui piccole parti della sua e della nostra storia. In alcuni frangenti della sua vita deve avere provato i brividi alla schiena e la sensazione di camminare su di un crinale, guardando indietro preferisce non ricordare quei momenti. Ha anche provato a fare il rappresentante e il commesso viaggiatore, si muoveva da solo in macchina. Il lavoro era pi semplice, meno faticoso e pesante che in fabbrica e avrebbe guadagnato di pi. Nel 1974, allo scadere del periodo di cassa integrazione, di fronte alla biforcazione della sua vita, continuare a fare il rappresentante o tornare in fabbrica si trovato

inizialmente in difficolt. Ma non poteva abbandonare i suoi compagni in fabbrica, la sua era una missione. Cos tornato in fabbrica, finch a poco a poco i tempi sono cambiati e in Pirelli iniziato lo smantellamento. Oggi torna ogni tanto in Bicocca a coltivare il suo giardinetto in un'area adiacente alla ex-fabbrica e quando viene, si ferma a pranzo da Aldo, come ai vecchi tempi, ma di vecchi tempi non si parla, cos come non dice niente sulla Bicocca di oggi, preferisce non ricordare. Ama leggere, fare sport e la natura. Conserva un fisico sportivo e anche nel mangiare morigerato. Quando incontro Mario Mosca a casa di amici e gli dico di avere conosciuto Checco, Mario ne felice. Checco un grande. Checco si ricorda di Mario e dice che Mario, diversamente da lui, stato pi equilibrato, ogni tanto si assentava per vivere la sua vita privata. Lui no, non ci riusciva, giorno e notte consacrato alla politica. Sergio Cofferati stato il tempista di Mario Mosca, quando erano entrambi in Pirelli. La storia di Mario stata raccontata in un libro da 5 donne diverse. Checco non aveva altro tempo che per la politica, la moglie era la prima a soffrirne e meno male che si anche lei concentrata su alcune soddisfazioni professionali. Ora che si lasciato le esperienze forti dietro alle spalle, non ne vuole pi parlare, quasi gli faccia male ricordarne la temerariet e l'incoscienza, prevale la misura. Eppure, un sentimento profondo di libert dentro di lui lascia intravedere un fuoco non spento, pronto a ricominciare se ce ne fosse l'occasione. Capitolo VI - Luciano Un sabato mattina di tarda primavera, mentre sto dietro alla colonna seduta di fianco al bancone del bar, ho modo di osservare Luciano nei preparativi della giornata. Entrano varie persone. Un giovane tremante nella voce e nel portamento chiede di potere mangiare da lui. E' Fabio e si rovinato il cervello con gli acidi, porta una maglietta del ELZN di E. Zapata e gli occhiali scuri. Aldo lo rassicura e lo prega di tornare pi tardi e continua a preparare il pranzo in cucina. Poi, mentre non mi stanco di curiosare tra l'infinito materiale appeso ai muri che racconta tanti pezzetti di storia, entra un giovane con un grande cesto pieno di Ficus Benjamin nani. Insiste per vendere una di quelle piantine a Luciano per 10 euro. Luciano inizialmente interagisce con lui in modo burbero, non costano poco quelle piantine e non il suo lavoro quello di comprare piantine, si schiva un po' scocciato, l'altro insiste per un buon dieci minuti. Infine, la situazione si ribalta, al contatto umano Luciano si scioglie, fa contento il venditore e gli compra la piantina. Continua a non essere convinto della piantina, ha poca terra, ma in fondo non importante, ha rallegrato il venditore. Sul muro ci sono vari trofei, sono quelli vinti dagli aderenti allo Sporting Club Baronchelli Oberman - Ghisa e Acciaio - di cui Aldo era Presidente e Luciano uno dei direttori sportivi, l'associazione costituita nel 1972 promuoveva sottoscrizioni popolari per promuovere l'attivit ciclistica dei giovani del quartiere, ai ragazzi veniva comprata una bicicletta e li stimolava nell'attivit sportiva. L'associazione fu sciolta nel 1992 quando

ormai i prezzi, anche delle biciclette erano decuplicati rispetto a venti anni prima. Tra i clienti della trattoria all'epoca c'era importanti ciclisti come Moser, Saronni, Gavazzi, Baronchelli che frequentavano il Centro Sportivo Atleti della Caserma dei Bersaglieri di Viale Suzzani, di cui all'epoca era comandante Umberto Raza, ci tiene a precisare Luciano. Poi Luciano tira fuori da un cassetto un articolo apparso sulla cronaca di Milano de Il Giornale dell'11 ottobre 1998 intitolato "Nasce il primo club Che Guevara. I fondatori: cossuttiani e bertinottiani. I fan: un prete, un anarchico, un ex pannelliano". La giornalista che ha scritto il pezzo conosce uno dei fondatori bertinottiano e decrive la tessera del "Club amici di Ernesto Che Guevara" nel modo seguente: "Alla trattoria "Da Aldo" di Viale Sarca se la rigirano tutti tra le dita quella tesserina blu, con le lacrime appese alle ciglia. E non importa se il governo caduto da otto orendr e di varia estrazione e corrente politicatutti l, guancia a guancia, a cantare Hasta Sempre di Carlos Puebla e La canzone del Sole di Lucio Battisti sulla tovaglia a scacchi rossi. Per Don Carlo, il parroco del quartiere BicoccaChe Guevara un punto di riferimento importante per i giovani". Apprendo da Luciano che, poco dopo, Don Carlo stato allontanato da S. Giovanni Battista alla Bicocca e mandato a Monza ad insegnare catechismo in una scuola, senza incarico pastorale. Capitolo VII - La Bicocca della Pirelli Real Estate Luciano parla a bassa voce anche del progetto Bicocca e forse non vuole sbottare. Erano stati fatti progetti bellissimi, promessi molto soldi, la costruzione di una piscina e di un campo di calcio. Purtroppo la realt molto diversa, si fermeranno ad un centro commerciale. Persino le persone di fantasia, come Luciano, non possono fare a meno di constatare lo scarto tra le promesse e la realt. Il tutto si risolto in una operazione economica di vendita di appartamenti. Mentre parla Luciano continua a lavorare, quasi che quel pensiero non meritasse troppa attenzione, quasi a ricacciarlo dentro, per non farsi togliere il buon umore. Cos Luciano continua a lavorare nella sua Trattoria, continua a muoversi nel suo territorio, dove traspare un senso e una logicamentre l'operazione Bicocca condotta dalla Pirelli Real Estate appare logica forse per gli azionisti della societma per tutto il resto, quelli che con un termine in voga nella comunicazione finanziaria si chiamano gli 'stakeholders', un pietoso disastrogli studenti passano frettolosi, le macchine sfrecciano su viale Sarca, i nuovi inquilini non possono rivendere i loro appartamenti per i prossimi 5 anni, gli spettatori della Scala transitanochi resta non ha voce in capitolo, deve solo mangiare molta polvere, degli interminabili cantieri ed assistere impotente alla nascita di mostri, senza relazione e contatto con il territorio e i suoi cittadini, interessante sarebbe incrociare questi giudizi con i conti economicopatrimoniali del progetto Bicocca. Ma lo lasciamo per un prossimo capitolo. Ad un convegno accademico, mi trovo a parlare con i relatori nel corso di un intervallo della etnografia della Bicocca e raccolgo il

commento riportato di Richard Sennett3 sulla Bicocca "questo edificio una negazione del concetto di socialit e universit manca anche di senso esteticopersino le piante fanno ombra sul lato sbagliato". Laura Balbo, che presente allo stesso convegno, dimostra interesse per un lavoro etnografico sulla Bicocca e suggerisce di prendere contatto con la ricercatrice, Genevieve Mokaping 4, che sta conducendo un lavoro simile sull'universit della Calabria, progettata 25 anni fa dallo stesso Gregotti. Collocata in un contesto paesaggistico particolarmente ameno, quell'universit viene descritta quasi senza finestrechi la frequenta si lamenta che non c' vista sul territorio magnifico che la circonda. Tutto questo provoca disagio5. Almeno la Bicocca ha dei grandi finestroni, tuttavia sormontati da grate decorative e pericolanti. Capitolo VIII - L'archeologia industriale L'altra faccia della Bicocca che sta scomparendo sono le archeologie industriali nell'area retrostante a via delle Chiese dove ci sono vecchie e nuove realt industriali: la divisione dell'Ansaldo venduta ai bresciani della Camozzi che produce turbine per le centrali elettriche e la Pirelli Lab, situata in un edificio ex Ansaldo ristrutturato, mantenendo la struttura originale a mattoni, tipica anche delle rivalorizzazioni di ex aree industriali in giro per il mondo. Ricorda in piccolo l'immensa area ristrutturata dei docklands lungo il Tamigi, completata dalla piccola Manhattan di Canary Wharf. Un pomeriggio alla ricerca del giardinetto che coltiva Checco, tornando in macchina da Monza ho pensato di rientrare a Milano da viale Sarca. Ho girato in via delle Chiese e con la macchina sono entrata nella recinzione che circonda tutta l'area ex Ansaldo, perch uno degli ingressi della recinzione era in quel momento aperto. Entrando si apre un ampio spazio dove si muovono gru e scavatrici, contornato da qualche edificio industriale restaurato nel mezzo di molta archeologia industriale abbandonata. E' un paesaggio interessante quello che poi continua dietro la Pirelli Lab fino a sbucare alla Breda Fucine. Alla Pirelli Lab, dove mi reco per chiedere informazioni, un signore sta fumando fuori nello spazio antistante la costruzione e che poi per centinaia di metri d sul nulla, finch non arrivano le recinzioni e dietro ad esse il paesaggio di ci che della Pirelli rimasto nelle dirette adiacenze del complesso universitario e residenziale della nuova Bicocca. Ha un forte accento jugoslavo, un ingegnere elettronico croato, che lavora in Pirelli dal 1994. Dice che prima erano in 14.000, ora sono in 200. L'incertezza del futuro e il carattere approssimativo di ogni considerazione esistenziale convivono anche nel suo discorso. Anche lui una volta si definiva serbo-croato o meglio jugoslavo, in meno di un decennio tutto questo cambiato drasticamente. Nel frattempo il cancello dal quale sono entrata stato chiuso con un lucchettone e per uscire con la macchina sono costretta a costeggiare gli edifici della Breda Fucine prima e della Mercegaglia poi.

Rifletto sul fatto che nessuno si chiede delle esistenze degli altri, dove sono andate a finire tutte quelle persone? Neanche lui, neanche l'altro operaio della Camozzi che incontro pi avanti, impegnato a mettere a posto la sua macchina, una vettura di serie molto curata. E' un operaio dell'Ansaldo, stato trasferito alla Bicocca nel 1985, prima lavorava in zona Porta Genova. Dice che in tutto il periodo passato in Bicocca non aveva mai incontrato gli operai della Pirelli, li vedeva, ma non c'era modo di conoscersi. Dice che il lavoro duro, dall'aspetto esteriore sembra pi un impiegato che un operaio. Nel capannone immenso che si vede anche da Viale Sarca vengono assemblate le turbine delle centrali e poi esportate in tutto il mondol dentro dice c' un inferno, ad entrarci ci si spaventa per le dimensioni del posto e il rumore. C' un certo smarrimento nei suoi occhi, il futuro incerto. Tutto intorno regna un'atmosfera surreale. Capitolo IX - Dall'archeologia industriale al postmoderno L'atmosfera dell'archeologia industriale mi ha sempre attratto, per la fisicit delle strutture, abituata come sono ai pronai dei templi della finanza, al carattere asettico degli ambienti finanziari, oppure al design postindustriale, diritto, funzionale, innovativo nei materiali e nelle forme. L'archeologia industriale ha in comune con l'archeologia vera e propria la costruzione in mattoni o laterizi, una modalit di segnare il territorio diversa, pi variata nelle soluzioni, anche in rapporto ai beni e materiali che vengono prodotti fisicamente. I moderni uffici del terziario avanzato sono informali e inconsistenti, tutto impalpabile, cos come le manifestazioni del potere e dello statussempre pi intangibili e impalpabili, nell'era del valore economico prevalentemente generato e giustificato dagli intangibles! Borgo Pirelli era una comunit? Dai racconti raccolti da Aldo e dalle canzoni degli Esuli sembrerebbe di s. La Bicocca della Pirelli Real Estate pu cercare di riprodurre artificialmente una comunit residenziale e abitativa, tuttavia appropriato il richiamo paradossale di Hobsbawn che "mai il termine 'comunit' stato usato in modo tanto insensato e indiscriminato come nei decenni in cui le comunit in senso sociologico del termine sono diventate sempre pi difficili da trovare nella vita reale 6 ". Ho gi accennato in premessa a come la "reificazione" da un lato e il "collassamento del tempo"7 dall'altro, nella societ globale dell'informazione, hanno come riflesso rapporti umani frammentari e discontinui, contrari alla costruzione di reti di doveri e obblighi reciproci che siano permanenti. Nella categoria estesa del presente, il tempo, una volta nascosto e non pi vettore, non struttura pi lo spazio, n consente il formarsi di comunit8. Nell'et della 'razionalizzazione' del posto di lavoro, del lavoro flessibile o interinale che ha soppiantato il posto fisso, dell'amore confluente, della sessualit plastica, importante imparare a vivere alla giornata, possibilmente dimenticare il futuro e isolare il presente da entrambi i lati, separandolo dalla storia9 . L'incertezza comporta costi individuali, sociali ed economici10 elevatissimi in quanto relativizza le mappe di significato, porta ad una "crisi di intelligibilit" e ad una esperienza costante di ambivalenza nelle rappresentazioni e nelle interazioni.

Nella citt, il luogo rappresentativo della vita postmoderna, ciascuno di noi straniero quando esce di casa. L'alterit data dalla distanza tra le nostre mappe cognitive e quelle degli altri. La distanza tra ci che occorre per sapere navigare e ci che si sa o si crede di sapere circa i problemi reali e probabili del prossimo. Lo spazio vuoto generato dalla separazione attrae e allo stesso tempo respinge, un territorio ambivalente di libert e pericolo, che pu generare sia avventura eccitante sia confusione paralizzante. Secondo Barman, la costruzione delle citt ha rispecchiato i due poli opposti del problema: nostalgia della communitas e paura di smarrire la propria identit11. Capitolo X - L'iconema e la nostalgia come continuit Fuori da Aldo inizia un territorio con una pluralit di significati, la zona ricostruita dalla Pirelli Real Estate con l'universit, l'area uffici e residenziale, a blocchi non comunicanti simili al lego, che riprendono, esaltandone le dimensioni, probabilmente la successione degli edifici dell'area ex industriale. Accanto le aree dell'archeologia industriale, con qua e l piccole isole industriali ancora attive. Credo che sia utile a questo proposito richiamare le riflessioni di Eugenio Turri sul territorio nel suo testo Il paesaggio come teatro:
"L'iconema12 in quanto incarna il genius loci, l'anima vera e profonda di un territorio diventa il riferimento, l'oggetto sacro a cui adeguare la pianificazione. In tal senso una ricerca importante e urgente da fare in ogni territorio, come auspicano tra l'altro architetti e ideatori di forme spaziali (tra gli altri, Gregotti, 1991) l'individuazione dei luoghi di forte carica simbolica e spettacolare, cio dei topoi o, detto in altro modo, degli iconemi e dei relativi luoghi che la cultura (culti religiosi, arte, letteratura, cinema, fotografia, saggistica storica, geografia, naturalistica, ecc.) ha riconosciuto come riferimenti importanti dell'identit culturaleQueste considerazioni vogliono mostrare come il progettare fuori dai riferimenti che hanno valore sacralizzante nel senso sopra richiamato, operare fuori dalla dimensione tempo, fuori dalla storia. Pu essere un'operazione funzionale alle pure logiche dell'economia, di una divinit cio divenuta troppo esclusiva ma che oggi qualcuno, mi pare, comincia a vedere con un certo sospetto in quanto fonte continua di crisi (Latouche, 1995). E' significativo che solo un ideale produttivistico (per il quale ben-essere voglia dire ben-avere) abbia ispirato nei decenni appena trascorsi l'agire territoriale in Italia, se appena si guardano i risultati delle pi recenti trasformazioni. Esse hanno fatto saltare i raccordi storici con i paesaggi ereditati e oggi ci troviamo di fronte paesaggi che sono brutti soprattutto in quanto illeggibili nel loro sviluppo diacronico e nel loro sovrapporsi storico13."

Credo che sia opportuno richiamare alcune considerazioni riferite da un amico architetto, che sostiene che, al di l del giudizio estetico, stato commesso un errore politico, in quanto si affidata la progettazione dell'intera area ad un solo architetto. Tale scelta della Pirelli Real Estate, di mancanza di diversificazione e pluralismo nella creazione architettonica, stata intensificata dal Comune di Milano, che ha poi affidato allo Studio Gregotti la progettazione del Teatro Arcimboldi senza indire un concorso. Contro questa decisione ha fatto ricorso l'ordine degli architetti. Se un senso di omologazione e standardizzazione prevale in Bicocca, difficile dare la responsabilit unicamente all'architetto

Gregotti. In tema di innovazione, Giuseppe Ardrizzo14, afferma che per essere innovativo l'oggetto nuovo ha bisogno di essere accolto da una parte di mondo che deve scendere a patti con il nuovo oggetto. L'ultimo nato detta le leggi, "performativo", ma non pu darsi come "assoluto", perch se no diventa impositivo. Credo che, anche alla luce di queste considerazioni, si possa spiegare il disagio provocato da una eccessiva pianificazione monotonica, indipendentemente dalle considerazioni estetiche intrinseche. Indubbiamente, se il committente persegue una logica esclusivamente economica molto pi semplice gestire un unico mandato piuttosto che una pluralit. Il mio amico architetto per afferma che va anche rispettato un piano urbanistico nella progettazione di aree cos vaste e quindi l'interesse privato non pu avere completamente mano libera. Cito ancora Turri e il suo un richiamo all'importanza della memoria e del rapporto con il territorio:
"Nostalgia in tal senso qualcosa di pi di un sentimento, la forza che assicura la continuit, che giustifica l'esistenza stessa degli individui e che d senso alla vita come rappresentazione: il primo copione al quale ispiriamo il nostro agire. Il culto degli antenati nelle antiche societ rurali una risposta alla nostalgia e al bisogno di vedere confermato il rapporto positivo con il territorio, con i geni del suolo e le divinit che ne presiedono gli usi, sebbene il legame con gli antenati sia anche al servizio delle identificazioni familiari, delle unit sociali elementarila distruzione del paesaggio italiano negli anni cinquanta e sessanta, ad esempio, trova qui la sua profonda motivazione. Essa cio il risultato di uno stato generazionale, del desiderio delle nuove generazioni di cancellare il ricordo dei padri, delle loro sofferenze, umiliazioni, miserie, accettate troppo supinamente a vantaggio delle classi dominati: sorta di rivalsa, quindi, impugnata politicamente dal partito comunista, non a caso di cos largo seguito nel nostro paese, anche se storicamente chiaro ora che esso andava contro ogni nostalgia, ogni legame con la cultura dei padri. Giustamente Pier Paolo Pasolini se ne avvide nella sua ricerca delle radici contadine (Pasolini, 1975), implicitamente condannato un progressismo che si saldava con il consumismo15".

documentario in cui Pasolini intervista alla fine degli anni '60 gli abitanti di Orte, un bellissimo borgo arroccato in provincia di Viterbo, sui mostri edificati l vicino. Gli abitanti di Orte per non ci facevano caso. Erano interessati alla moto e ad apparire bene davanti alla cinepresa, volevano distrarsi, pensare ad altro. Conclusioni - La vita continua e una certa ironia anche Vorrei concludere questo lavoro con l'immagine di Luciano che non si d per vinto, porta avanti la sua visione del mondo, non perde tempo a criticare troppo quelli di fronte, per lui sono tutti potenziali clienti e lui i clienti li tratta bene. Sono abituata ad associare questo termine ad altri contesti. Il cliente il soggettooggetto del marketing contemporaneo, messo al centro di ogni visione strategica aziendale, simbolo e mito del linguaggio di una pletora di consulenti, cos che vengono prodotte definizioni come "client is the king", Customer Care e l'acronimo che giustifica l'utilizzo di folle di consulenti aziendali da tutte le parti del globo, il CRM, ovvero il Customer Relationship Management. Per Elsa, Luciano e Alberto, il cliente prima di tutto un essere umano, qualcuno con il quale comunicare e dare senso alle proprie giornate. Il cliente trova una casa da Aldo, dove un essere umano a tutto tondo e non ridotto alle dimensioni del portafoglio. Qualche volta al pomeriggio si siede a cavalcioni sulla sedia girata con la pancia appoggiata sullo schienale e guarda davanti sulla strada, chiacchera con i passanti suoi amici. Il fondale finto della costruzione residenziale che la Pirelli Real Estate sta ultimando di fronte a lui, di fianco al Bicocca Point (la boutique della consulenza immobiliare o del real estate, visto che l'inglese rende tutto pi importante), probabilmente lo disturba, ma non troppo. Luciano ha senso dello humor e poi una fucina di idee. Talora indossa la maglietta nera con la scritta che campeggia sulla pancia "Vorrei sapere chi il mandante di tutte le cazzate che faccio"complimenti al mandante e magari ce ne fossero di pi come te!

Quest'ultimo richiamo a Pasolini molto interessante, ricordo un

NOTE
"To make structural change, to change society, is to make history. To make history it is necessary to retain the empowered imaginery of the past which condemns the distortions of humanity that are wrought normal by the objective pretentions of the present". Herbert Marcuse, Eros and Civilization: A philosophical enquiry into Freud, The Penguin Press, 1969. 2 "Giria" della strada, modo di dire comune in Brasile per rassicurare e ridimensionare le preoccupazioni. 3 Professore di "Social and Cultural Theory" alla London School of Economics. 4 Cfr. Genevieve Mokaping, Sguardi incrociati, Rubettino, 2002. 5 Il prof. Ardrizzo, docente di Teoria della Conoscenza all'Universit della Calabria, la fonte di queste considerazioni. 6 Eric Hobsbawn, The Age of Extremes, London, 1994, pag. 428. 7 Interessante la definizione utilizzata da Fabietti per descrivere il cambiamento del rapporto con lo spazio ed il tempo che hanno avuto le societ indigene venendo a contatto con la colonizzazione e che le ha portate a ripensarsi in termini identitari, un'altra spiegazione dei fenomeni di profetismo, millenarismo o messianismo che si sono sviluppati in gran parte del mondo colonizzato, quali "i riti del cargo" in Oceania, "l'harrismo" in Costa d'Avorio, la riscossa dell'identit afro-americana attraverso una serie infinita di sette e confraternite. 8 Cfr. la lucida analisi del sociologo Zygmunt Barman, in particolare, in La Societ dell'Incertezza, Il Mulino, 1999 e Voglia di Comunit (Missing Community), Laterza, 2001.
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Questo tipo di disposizione spiritualmente pi vicina alla visione orientale o al misticismo di paesi meticci quali il Brasile. Ma non tipica della tradizione culturale e spirituale dell'Occidente. Qui ancora una volta prevale il mercato e attualmente si assiste al fenomeno di guide spirituali e guru di varia estrazione che predicano questo tipo di atteggiamento stoico attraverso i pi svariati pacchetti di offerta corsi e seminari. 10 Bauman tratta il discorso economico, in particolare come evoluzione delle teorie organizzative aziendali e guardando alla figura dei top managers nella societ contemporanea che si sono sempre pi deresponsabilizzati delle sorti delle istituzioni che guidano. Le istituzioni stesse devono diventare flessibili sotto la guida di tali personalit, pronte a cambiare strategia rapidamente, ad essere ristrutturate e a cedere all'esterno gran parte delle attivit che prima venivano svolte al loro interno (outsourcing). 11 Cfr. Nota 8. 12 A pag. 19 iconema viene definito come "unit elementare di percezione, come segno all'interno di un insieme organico di segni, come sineddoche, come parte che esprime il tutto, o che lo esprime con una funzione gerarchica primaria, sia in quanto elemento che meglio d'altri incarna il genius loci di un territorio sia in quanto riferimento visivo di forte carica semantica del rapporto culturale che una societ stabilisce con il proprio territorio". Da Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Edizioni Marsilio, 1998. 13 Pag. 21-22, Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Edizioni Marsilio, 1998. 14 Cfr. Ragioni di confine - Percorsi dell'innovazione, a cura di Giuseppe Ardrizzo, Il Mulino, 2003. 15 Pag. 157, Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Edizioni Marsilio, 1998.

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Bicocca in movimento
Un tentativo di lettura etnografica.
di Bruno Tuia
Mi toccata in sorte questa " etnografia" e nella mia attuale condizione di studente-geriatrico iscritto al primo anno della Laurea Specialistica in Scienze Antropologiche ed Etnologiche mi accingo a questo "sperimento" consapevole dei limiti spazio temporali che mi trovo davanti. Ma cos' un'etnografia? Prendo a prestito questa definizione che mi sembra utile 1 :"una descrizione scritta o pi in generale, una rappresentazione dell'organizzazione sociale, delle attivit sociali del simbolismo, delle pratiche interpretative e comunicative di un dato gruppo di persone". Oppure, per usare una frase molto bella di Leonardo Piasere, il giorno della presentazione del suo libro L'etnografo imperfetto, l'etnografia "usare la vita come metodo per acquisire parzialmente il senso comune altrui, perch la conoscenza non pu essere una cosa rapida". E credo che l'essenza di chi svolge questo lavoro consista proprio nell'esperienza di una vita. Riflessioni ed impressioni sull' area della Bicocca Il giorno 30 Ottobre 2002 mi trovavo alle ore 9,30 di fronte agli edifici U-6 ed U7 della Universit degli Studi di Milano - Bicocca:"la fabbrica del sapere"come viene definita oppure, " centro della periferia" il rubando un'altra metafora dalla pagina 83 del catalogo Electa che presenta l'opera di ristrutturazione della ex area Pirelli . Non posso fare a meno di ammettere il mio stupore di fronte ad una architettura cos audace ed imponente, abituato ai vecchi, fatiscenti edifici dell'Universit di Pavia in cui avevo studiato, ahim, parecchi anni or sono, ed anche il motto dell'Universit Bicocca " Audentes Fortuna iuvat" fa presagire le aspettative future... (o forse si tratta pi semplicemente di una mia proiezione!). Ebbi una sola occasione di recarmi in questo quartiere alcuni anni or sono, che era considerato dopo l'epoca della dismissione del polo industriale un'area degradata e degenerata dal punto di vista architettonico e soprattutto sociale, ed il mio primo pensiero stato:"fabbrica era prima e fabbrica ora", anche se l'oggetto della produzione decisamente cambiato. Nell'osservare il flusso continuo di giovani universitari mi domandavo quanti di loro potrebbero forse essere i figli di coloro che per anni hanno lasciato sudore e sangue alla "Pirelli"e che oggi calcano lo stesso suolo in un contesto profondamente differente. Dopo lo stupore iniziale l'interrogativo scivolato sulla speculazione edilizia, a "Bicocca Point", dove si vendono a caro prezzo gli immobili che sono sorti in concomitanza al polo universitario ed a tutto ci questa nuova "fabbrica del sapere" pu muovere anche in termini commerciali. Appena messo piede all'interno dell'edificio U-6 in cui ha dimora la segreteria degli studenti lo stupore iniziale stato sostituito da un senso di smarrimento: la coda gli sportelli rigorosamente regolamentata dai contrassegni numerati e l'imbarazzo di trovarmi in fila con miei possibili figli. Senza sapere cosa fosse, lo avrei appreso solo dopo qualche mese di letture antropologiche, stavo sperimentando quello che viene definito uno "shock culturale" caratterizzato da disagio, imbarazzo, disorientamento e da uno stato di lieve regressione. Dopo avere espletato le formalit burocratiche relative all'iscrizione ed avere acquisito ufficialmente lo "status" di matricola (sebbene ci lottasse con l'identit anagrafica) mi sentii letteralmente inghiottito dai giganteschi corridoi di quell'edificio che nei mesi successivi mi sarebbe diventato consueto ed oserei dire anche familiare. Mai avrei pensato che la Bicocca sarebbe divenuta l'oggetto di questo "lavoro sul campo": quegli studenti seduti ai tavoli, l'andirivieni sulle scale mobili, quel brulicare di corpi che emanavano giovent dai loro pori, il piazzale gremito e la stazione, luogo di transito e di smistamento degli studenti. Dopo un paio di tentativi falliti di ricerca dell'aula U6 - 24 si materializzarono nel corridoio antistante l'aula alcune persone con l'espressione smarrita e dubitante che mi fecero tirare un sospiro di sollievo: erano gli studenti del mio corso. Per la verit le due ore di lezione trascorsero anche nel dissimulare l'imbarazzo e nello studio reciproco dei comportamenti altrui, come credo facciano tutti gli studenti inseriti in un contesto totalmente differente da quello in cui hanno vissuto sino a poco prima, ed a cercare di carpire le sensazioni dei compagni di corso in una sorta di identificazione proiettiva. "Che fa l'etnografo? Scrive" recita una famosa affermazione di Clifford Geertz, ed eccomi qua dopo un balzo nel tempo di qualche mese mentre mi accingo a stendere un tentativo, il pi dignitoso possibile, di etnografia "dinamica" sulla "Bicocca in movimento", su tutto ci che osservo dal momento in cui mi immergo nel flusso diasporico (direbbe Appadurai) di studenti che dall'Universit si recano a casa in treno e viceversa. Il mio lavoro "in itinere" si svolge in orari talvolta diversi, ma prevalentemente in andata verso Milano con il treno diretto delle ore 11.25 con arrivo alle 13.52 e al ritorno alle ore 19.10 oppure 20.12 con arrivo a Sondrio alle ore 21.20 o 22.18!!! Per recarmi alla stazione ferroviaria di Greco Pirelli, devo percorrere circa 800 metri, passando davanti al nuovo edificio postmoderno del Teatro degli Arcimboldi per poi salire sul treno dei pendolari, siano essi studenti o lavoratori, che mi riporta a casa dopo due ore e quindici minuti di viaggio. La mente ronza per tutto ci che ci stato raccomandato e per ci che nella mia breve esperienza ho letto nei "sacri" testi: concetti vicini, concetti lontani, osservazione partecipante, s ma non troppo perch poi c' il paradosso, accidenti sembra facile osservare, ma come far? Ho viaggiato per tutta la mia vita, ho avuto contatti con le

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popolazioni pi disparate nei cinque continenti, ma adesso che devo osservare ed interpretare ci che mi circonda e che mi dovrebbe essere consueto, tutto mi sembra pi difficile, e poi "scripta manent"nonostante Tedlock2 ci abbia ricordato che anche "verba manent" forse pi di quanto l'antropologia di un certo periodo potesse pensare. La prima constatazione che mi pongo che molto pi facile cogliere e descrivere qualcosa che ci nuovo e che non appartiene alla nostra cultura perch la diversit essa stessa, almeno per me lo sempre stata, fonte di interesse e curiosit, e come sia molto pi difficile osservare in maniera "thick"3 ci che passa tutti i giorni davanti al nostro sguardo, che non sempre riesce ad essere "da lontano"! Tutto imponente ed nuovo alla Bicocca ed anche gli aggettivi della toponomastica te lo ricordano:"Piazza dell'Ateneo Nuovo", "Via dell'Innovazione"anche se osservando bene si intravedono gi le prime avvisaglie dell'usura e dell'incessante passaggio umano. Il nuovo ancora cos nuovo che tutto intorno un movimento: operai, molti dei quali sono immigrati, spostano transenne di tubi "innocenti", molte gru d'acciao "nidificano" sui tetti dei numerosi edifici ancora in costruzione; qua e l pozzanghere fastidiose sparse sul viale ricordano ancora il provvisorio dell'asfalto misto a sprazzi di terra e sterpaglie. Due mondi si sfiorano quotidianamente senza toccarsi: ho osservato parecchie volte gli sguardi degli immigrati posarsi su un mondo che probabilmente percepiscono come molto lontano e chiss se i loro figli un giorno potranno essere dall'altra parte della strada. Gli studenti sono da parte loro immedesimati nella dimensione universitaria e sembrano apparentemente non accorgersi del mondo parallelo appena a due passi da loro. Ci sono le la trattorie "Da Aldo" e "Da Maria" testimonianza vivente di un'altra Bicocca che sta tentando, fra gli spasmi pre-agonici di una morte annunciata, di re-inscriversi in una etnografia in cui la loro identit quotidianamente in bilico fra il passato ed il presente. "La cucina chiude alle 14,30" afferma perentoriamente un residuo di avviso cartaceo redatto a mano ed ingiallito e logorato da troppi fumi ed odori di cucine mai sopite e nelle poche volte in cui ho osato penetrare quelle mura ho percepito come il passato ed il nuovo, la tradizione e la modernit si sfiorino senza quasi toccarsi. La tipologia dei clienti ben diversificata: nell'orario del pranzo caratterizzata quasi esclusivamente da studenti e dagli operai del cantiere, tutti in pausa pranzo rigorosamente veloce, durante la quale non rimane molto tempo da perdere. E'alla sera che "Aldo" rinverdisce i suoi vecchi fasti, se di fasti possiamo parlare in questa periferia, nel momento in cui si popola di personaggi che si potrebbero situare oramai nella storia in cui Enzo Jannacci e Giorgio Gaber li hanno collocati qualche decina di anni fa. E' forte il contrasto fra i colori sbiaditi dell'antica trattoria, cos discreta ed anonima quasi a volersi nascondere dagli enormi e forse un po' arroganti edifici del potere e del sapere, che si

stagliano contro un tentativo di cielo azzurro di un pomeriggio d'Aprile annullandolo con il loro esagerato rosso carminio . Gli edifici con la loro pianta rettangolare e massiccia, edifici grandi per una grande universit, emanano un'idea di modernit e di solidit, forse vessilliferi della solidit del sapere che ivi si produce in una dimensione e con una modalit nuove? Ci sono gli inevitabili graffiti post-moderni in cui tutti si sentono Keith Haring, i bagni sono gi in parziale disfacimento, qualche computer al piano terra sembra gi "out of order", i nostri tesserini magnetici non ci permettono di entrare in biblioteca, e nelle aule alcuni banchi sono gi feriti a morte dagli inevitabili, indelebili messaggi erotico-sentimentali. La constatazione successiva : "quanti siamo!!!" e "quanto brusio"prodotto da questa minuscola umanit in perenne movimento, nel suo affannoso tentativo di contribuire quotidianamente all'aumento dell'entropia. Questa sera sto camminando affrettatamente, come sempre trafelato, verso il treno che mi attende, almeno spero, alla stazione di Greco Pirelli e passo davanti al nuovo Teatro degli Arcimboldi, in uno slalom con gli altri che verosimilmente fanno la stessa cosa. Gli studenti , si sa, sono rumorosi per definizione, passano con i loro visi un po' acerbi, ed alcune ragazze con un visibile eccesso di testosterone sui loro volti sfiorano signori avvolti da eleganti soprabiti di cammello e signore in parure da sera nel foyer del Teatro degli Arcimboldi. Se qualcuno non avesse la percezione del luogo in cui si trova o dimenticasse cosa si produce in questo contesto, gli basterebbe alzare lo sguardo ed in fronte all'edificio U4 - Scienze geologichela toponomastica gli ricorderebbe che ci troviamo in "Piazza della scienza." Scienza e mondanit, lirica e filosofia, abiti da sera e jeans, fondotinta ed acne, limousine e motorini: che identit profondamente diverse coabitano alla Bicocca, seppure per poche ore. Ed il gioco si ripete all'infinito con questo flusso ininterrotto ed inarrestabile di merce umana che attraversando questo spazio in tempi ben definiti e codificati (gli orari delle lezioni, l'orario del pranzo, la pausa dopo il pranzo) viene in questo luogo di produzione e ri-produzione del sapere, alla ricerca di una futura identit e di speranze che molte volte rischieranno di rimanere purtroppo disattese. Osservando Ma che sapere e che identit sociali si costruiscono alla Bicocca? E' quello che cercher di approfondire durante le mie peregrinazioni ferroviarie nelle spoglie di Antenore viaggiatore cercando di entrare in contatto e vincere la diffidenza dei miei pi giovani compagni di viaggio e di studio. Vincere la diffidenza, poich non impresa sempre facile al giorno d'oggi, entrare in comunicazione con gli altri, siano pur essi di giovane et, senza suscitare dubbi, preoccupazioni frammiste a curiosit e diffidenza: "sar uno che lavora per l'ufficio delle tasse, o uno della finanza, o peggio ancora un giornalista o semplicemente un perverso seduttore sotto le sembianze di una persona per bene, che cerca di agganciarci?".

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Questi sono gli interrogativi che in maniera pi o meno implicita mi sono sentito porre durante alcuni tentativi di approccio con i passeggeri del "cavallo d'acciao" in partenza dalla stazione di Greco-Pirelli. All'interno dell'edificio U6 mi confronto con un andirivieni di giovent di cui percepisco malinconicamente l'odore e che mi fa pensare di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato confrontando con loro i miei pesanti anni; vengo inevitabilmente richiamato alla mia condizione di studente al lavoro da un oggetto che accomuna tutte queste persone, docenti ed alunni: il "mobile phone" o telefono cellulare o in gergo "telefonino" Il telefono cellulare, questo oggetto oramai diventato quasi una prolunga degli arti, e del quale sembra che nessuno possa pi fare a meno: una simbiosi dell'era moderna alla quale probabilmente nessuno dei miei futuri interlocutori rinuncerebbe per nulla al mondo. Con i suoi molteplici trilli, le miriadi di suonerie, dalla "Cavalleria Rusticana" a "Guerre stellari, da Mozart al Rap l'impietoso, petulante oggetto della modernit ci ricorda la sua presenza e ci inserisce, nostro malgrado, in mondi a noi sconosciuti, proiettandoci in amori disperati o semplicemente nella pi banale quotidianit: "prepara gli spaghetti, sto arrivando a casa". Sulle scale mobili, negli ascensori, nei luoghi in cui non dovrebbe essere usato (aule scolastiche), nei bagni, quest'oggetto si impossessato della vita di tutti, diventato parte integrante del s, soprattutto dei giovani, che quando ne sono privi vivono la medesima sensazione di chi amputato di un arto. Esco sul piazzale dell'Ateneo Nuovo ed osservo: alcune coppie che si baciano, si accarezzano giustamente indifferenti alla restante umanit che gioca a pallone, parla dell'esame che verr e soprattutto telefona, telefona, telefona. Scendendo le scale che mi portano lungo via dell'Innovazione verso la stazione del treno vedo gli studenti (mi incuriosiva conoscere il modo in cui si identificavano fra loro nello "slang", "bicocchini" forse?, ma non sono riuscito ad ottenere risposta) che mentre si avviano al treno riescono a parlare fra di loro e telefonare nel contempo. Avvicinandosi il fine settimana ho notato che i discorsi vertono quasi stereotipatamente su discoteca, musica, " cosa facciamo Domenica, andiamo al concerto?" con le eccezioni di chi afferma: "non posso, marted ho l'esame, e non so ancora niente!" Mi stato raccontato che questa zona prima della costruzione dell'Universit fosse una specie di "Bronx" milanese, pericoloso e rigorosamente "off limits"e mi immaginavo come anche la stazione dovesse apparire allora nel suo tipico squallore di edificio "provvisorio" periferico. Come la rendono viva tutti questi studenti in movimento, verso dove e verso che cosa? Nei prossimi giorni cercher di risolvere questi interrogativi approfondendo la conoscenza estraendo dalla manica gli argomenti per intavolare una tipica conversazione che si pu instaurare fra coloro che devono trascorrere parte della loro vita fra una stazione ed i binari del treno.

Sul treno I soggetti studiati dagli antropologi raramente hanno abitudini stanziali4 ed io mi accingo ai miei brevi viaggi andata e ritorno con la speranza che mi portino degli incontri proficui con i miei "nativi" pensando che in questo contesto tutti sono pi o meno permanentemente in transito e non vale tanto il "di dove sei?" quanto il "tra quanti posti fai la spola?", come scrive Clifford. Quando mi reco alla Bicocca con il treno delle ore 13.00 incontro rarissimi studenti mentre quando ritorno alla sera alle 18,45 o alle 19,40 l'affollamento sia alla stazione che sul treno inverosimile. Molti leggono e le letture pi diffuse sono i libri di testo seguiti da "Ken Follett", "Wilbur Smith" oltre naturalmente alla "Gazzetta dello Sport" ed ai vari quotidiani. Oggi, nonostante sia gi Marzo inoltrato, molti tossiscono, compreso l'"etnografo apprendista" poich l'influenza arrivata tardi ma arrivata "tosta" come si apprende dalle conversazioni. Alcuni devono frequentare lo stesso perch c' un corso interessante, altre frequentano perch c' un professore "molto figo", altri perch comunque hanno i loro compagni e stanno meglio in Universit che a casa con i genitori che "rompono". Sono trascorsi una decina di giorni, iniziata la guerra in Iraq, io sono venuto a Milano per l'esame di Antropologia Applicata, l'influenza imperversa a dispetto del vaccino antinfluenzale; l'argomento degli studenti sul treno verte inevitabilmente sul conflitto e sui drammi che esso ripropone in questo sempre pi tormentato secolo, che appena iniziato, ripropone i deliri e le arroganze del potere che ci hanno tormentato per buona parte del secolo scorso. Molti hanno paura e temono una possibile estensione e prolungamento di questa catastrofe voluta dall'uomo, i pi sono decisamente contrari, ma si ode fra tutte una voce favorevole: ed ecco improvvisamente che il tono della conversazione si fa sempre pi acceso, volano epiteti e parole offensive, anche la gestualit si fa pi convulsa e la mimica di alcuni assume espressioni fra il minaccioso e l'adirato. Questa conversazione appena accesa muore sul nascere in quanto uno dei protagonisti (il sostenitore degli U.S.A.) deve scendere alla stazione successiva e forse questa sosta provvidenziale impedisce che il prosieguo possa assumere dei contorni decisamente pi drammatici. Questo per non impedisce che il passeggero "guerrafondaio"sia incalzato dalle frasi di scherno e di commiserazione dei "bicocchini" pendolari che lo bersagliano con oggetti vari, dalle bottiglie di plastica semivuote ai tetrapak ed a tutto ci che pu assumere la connotazione di un corpo contundente. Molti studenti oggi indossano sopra il bavero della giacca o sui pullover delle pins con la scritta "no war" oppure "pace" e dalle borse di molte ragazze fuoriescono delle bandane inneggianti alla pace cos pure molte piccole bandiere multicolori. Da allora sono trascorsi quattro giorni ed oggi, mercoled, sono arrivato alla stazione in ritardo ed il treno se ne era gi andato: trafelato sono corso in garage e dopo un'ora e cinquanta ero nel Piazzale dell'Ateneo Nuovo. Dopo altri quaranta minuti mi trovavo ancora nel piazzale dell'Ateneo Nuovo dopo avere pi

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volte girovagato in tutti i piani del parcheggio sotterraneo nella drammatica quanto inutile ricerca di un posto auto, ma questo inconveniente del treno perso aveva contribuito a farmi rendere conto dell'altra realt della "Bicocca in movimento", la realt degli studenti che si recano in Universit in auto anzich in treno e che sono molti pi di quelli che avrei potuto immaginare. Intervistando alcuni ragazzi e ragazze, anch'essi in trepida attesa di qualche buon'anima che lasciasse libero il parcheggio ho appreso che il traffico veicolare degli studenti molto sostenuto ed caratterizzato soprattutto da coloro che abitano nell'hinterland milanese. Si recano in Universit alla mattina e ritornano a casa in serata, risparmiando cos su affitti proibitivi ed altri costi di soggiorno che inciderebbero in maniera significativa sui loro budgets familiari. La settimana successiva, durante il viaggio di ritorno dopo la lezione, mi ritrovo sul treno Milano - Sondrio delle ore 19.10, in uno scompartimento afflitto da una tale densit umana per centimetro quadrato da fare invidia alla migliore tradizione dei taxi - brousse africani o da citazione nel Guinness dei primati . Alla stazione di Lecco lo scompartimento si spopola, permettendomi di sedermi in compagnia di alcune ragazze che scoprir subito dopo, frequentano la facolt di Scienze della Formazione alla Universit della Bicocca. Conoscendo superficialmente una di loro, figlia di un mio ex compagno di liceo, riesco abbastanza agevolmente ad instaurare una conversazione, cercando di conoscere i loro vissuti di studentesse pendolari, discorrendo inizialmente dei soliti "argomenti da treno", che vertono sui ritardi e sugli affollamenti dei mezzi di trasporto, considerati con rassegnazione una malattia endemica del nostro Bel Paese sempre pi antropizzato. Il dramma dell'affollamento e dei ritardi dei mezzi pubblici, in particolar modo dei treni, molto sentito dagli studenti e dai lavoratori pendolari, i quali oltre che perdere tempo di lavoro, sono spesso costretti in piedi nei viaggi di spostamento che durano spesso due ore o anche pi. Scesi metaforicamente dal treno come argomento siamo passati alla conoscenza ed al luogo che le ragazze identificano come quello in cui si produce il sapere, che permetter loro di formarsi un'identit ed avere il loro ruolo sociale un domani. Dalle loro lamentele mi rendo conto che il loro corso di studi, in contrapposizione ad altri come "Economia e commercio" e "Giurisprudenza", non prevede i cosiddetti "moduli"; questo il termine che viene usato per definire la possibilit di sostenere un esame di profitto frazionato in pi parti, richiedendo quindi un investimento minore di tempo quando questo limitato, per esempio nei periodi intensi delle lezioni. La seconda constatazione concerne la diversa applicazione del test di ammissione ai diversi corsi di studio, che mi hanno riferito gli studenti stranieri non debbono sostenere, e che per alcune facolt non previsto mentre l'anno corso per Scienze dell'Educazione le domande sono state 1600 per una disponibilit di 800 posti . Scopro che non c' un luogo per depositare valigie o bagagli che, quando arrivano il luned mattina con il treno, sono costrette a portarsi in aula ed apprendo che i tempi di attesa alla segreteria

studenti sono dilatati all'inverosimile costringendo molte volte gli studenti a desistere ed a ritornare il giorno successivo con dispendio notevole di tempo ed energie (cosa che ho verificato personalmente il giorno della mia iscrizione alla Universit) . Secondo l'interpretazione delle mie compagne di viaggio ci si verifica perch gli impiegati demotivati e disinformati: " per fortuna abbiamo il SIFA" esclama una di loro, spendendo parole di elogio ed ammirazione per la razionalizzazione informatica dell'Universit e della biblioteca, "peccato che molti studenti si portino a casa i libri e spesse volte non li restituiscano". Gli edifici sono troppo grandi, dispersivi, i corridoi enormi rispetto alle aule che sono piccole, addirittura per una lezione nell'aula U6-23 i miei interlocutori mi raccontano di essere stati stipati in circa 120 con una capienza di circa sessanta persone. Il doversi talvolta spostare nell'intervallo fra una lezione e l'altra dall'edificio U-6 all'U-4 comporta una notevole perdita di tempo riducendo l'intervallo ad una lotta contro i minuti, riducendo quindi gli scambi sociali che si sarebbero potuti avere nel tempo libero. Altro treno, altra conversazione, questa volta con un gruppetto pi vario, anche questo costituito essenzialmente da studenti provenienti dal lago di Como e dalla Valtellina. Un ragazzo, alla mia domanda su cosa pensasse della Bicocca mi ha risposto di sentirsi oppresso, quasi schiacciato dalla dimensione degli edifici "mi sembra un'istituzione totale", ribadisce, "che ti controlla con il terzo occhio e ti scruta dentro; troppo grande, e poi quel colore da Soviet". Vedo ed odo provenire anche dagli altri cenni di assenso ed affermazioni verbali di condivisione di questo vissuto, con l'aggiunta che si sentono poco partecipi di un'identit collettiva della Bicocca, che per loro un luogo di transizione durante uno dei riti di passaggio della cultura occidentale (la laurea) penso io, pi che di aggregazione. L'unico motivo di socialit temporanea e frammentaria costituito dalla pausa pranzo, in cui molti si radunano durante la bella stagione nel "giardino di cemento" come viene definita la piazza antistante l'edificio U-6, o nei pergolati interni per un fugace panino. "Al bar no", afferma una ragazza con espressione fra il disgustato ed il compassionevole, "il bar troppo triste, non si pu!" mentre apprendo che la mensa entrata in funzione da pochi mesi, invece funzionale, pulita, moderna, con tempi di attesa ragionevoli e soprattutto caratterizzata da un buon rapporto qualit/prezzo. Sono tutti concordi nel criticare la mancanza di spazi di aggregazione nella zona, un campetto di calcio, un centro sportivo, piscina o un centro commerciale in cui poter fare acquisti veloci, e sono stupiti della mancanza di una libreria/cancelleria all'interno degli edifici, che li costringe alle non amate copisterie ed alle uniche due mini-librerie non molto ben fornite situate in viale Sarca. La loro impressione quindi che la periferia, nonostante l'apparenza, sia rimasta periferia, con i servizi pubblici tranviari non molto efficienti, pochissimo verde e dove una delle poche occasioni per ritrovarsi al di fuori del contesto scolastico di recarsi una volta alla settimana per la serata Bicocca al

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"Propaganda", discoteca situata nel centro di Milano. Per quanto riguarda lo scopo principale del loro essere alla Bicocca, sono tutti concordi nel giudicare il "sapere" qui prodotto, riprodotto e rappresentato di un ottimo livello qualitativo, come pure la preparazione dei docenti ed il loro rapporto con gli studenti che viene ritenuto "non cattedratico" e abbastanza informale. La sensazione che ho potuto percepire anche da altri studenti molto positiva sulla trasmissione del sapere e sulla fama che una pur giovane Bicocca si sta conquistando; una ragazza di cui non ricordo il nome, mi ha reso partecipe del fatto che nel suo corso "ci sono addirittura cinque ragazze provenienti dalla Sardegna, che si sono iscritte qui dopo avere avuto ottime informazioni su questa Universit". "La Bicocca ti lascia spaesata, asettica, sembra un Ospedale Psichiatrico" mi dicono Annalisa e le sue compagne, studentesse del quarto anno di corso alla facolt di Psicologia (vecchio ordinamento). "E' poco viva e troppo moderna eppure cade gi in pezzi, sempre in ristrutturazione!" aggiunge dal sedile di fianco un'altra ragazza. Riferisce di avere appreso da un addetto alla manutenzione che, secondo il suo giudizio, la Bicocca non durer molto perch stato usato un materiale facilmente deteriorabile: difatti ci sono sempre ponteggi di operai al lavoro a ridipingere. Scopro cos che il mese scorso sono crollati i pannelli delle aule U7-2 ed U7-3 e che talvolta assistono alle loro lezioni nelle aule U6-28 e U6-40 sedute per terra per mancanza di banchi. Ci sono studenti con due anime diverse alla Bicocca, quella degli studenti del vecchio ordinamento e quella del nuovo "corso": frequentano la stessa universit, hanno gli stessi docenti ma vivono vite parallele ignorandosi a vicenda. E' come se fossero situati in due dimensioni spazio-temporali diverse pur contemporanee come in un racconto di Edgar Allan Poe. Questo vissuto comune in molti studenti che mi hanno confermato di non conoscere o di non avere quasi rapporti sociali con gli "altri" e questo vocabolo lascia correre la mia immaginazione a quando gli "altri" erano i "Nuer" o gli "Azande". Oggi gli "altri" di un tipo passano di fianco agli "altri" studenti che hanno probabilmente gli stessi interessi di studio, frequentano la discoteca "Propaganda", ballano l'uno di fianco all'altro ma non si conoscono. "Comunque", mi ribadisce Annalisa, "qui in Bicocca tutti siamo di passaggio, e secondo me non c' un senso di identit collettiva fra gli studenti". Le ricordo come ai tempi in cui frequentavo l'"Alma Ticinensis" a Pavia ci fosse un profondo senso di appartenenza e di coesione fra gli studenti assieme l'orgoglio di appartenere ad una delle Universit storiche italiane, pur frequentando facolt e corsi di studi diversi. "Forse la Bicocca troppo nuova per creare questa identit, o forse i tempi sono cambiati, ma noi del vecchio ordinamento siamo diversi e non abbiamo nulla da spartire con gli altri" mi rispondono in coro i miei interlocutori, riaffermando cos la loro appartenenza al gruppo. Affermano che il loro corso di studi molto pi approfondito del

nuovo perch "con i moduli si studia di meno" e non sono soddisfatti che il 75% delle loro tasse scolastiche serva a finanziare il nuovo ordinamento quando alcuni corsi previsti per loro non avevano finanziamenti sufficienti e sono stati modificati. Mi citano l'esempio del corso di "Teorie e tecniche del questionario" che stato mutato in "Teorie e tecniche dei tests" specifico per psicologia aziendale, non tenendo conto della specificit dei vari indirizzi scelti dagli studenti e sono preoccupate perch i posti per i tirocini e per le domande di tesi sono gi abbondantemente esauriti a causa del divario docenti/studenti. "Ho una visione abbastanza contraddittoria riguardo alla Bicocca", mi racconta Ombretta che iscritta a sociologia, "da una parte oltre che come scuola in s anche come luogo di ritrovo vivace, si possono incontrare altri ragazzi e stare a parlare in cortile o a studiare, dall'altra la vedo come un luogo abbastanza asettico, tutto di cemento, dei casermoni color mattone praticamente tutti uguali". La Bicocca le sembra un luogo abbastanza artificiale, forse anche perch ancora un cantiere, pieno di gru: essendo ancora in costruzione ha molti spazi vuoti ed appare molto ampio, sembra effettivamente di essere in una grande periferia urbana. Sotto il profilo funzionale dal suo punto di vista abbastanza efficiente, le aule sono ampie, il sistema Sifa e il sito della facolt di sociologia sono sempre facilmente accessibili e ben organizzati, i professori mettono quasi sempre a disposizione materiali e appunti sul sito e in generale sono disponibili con gli studenti. Per quanto concerne la didattica ha avuto insegnanti molto bravi che l'hanno saputa appassionare, raramente qualche docente l'ha delusa: in generale il giudizio qualitativo molto positivo. E' iscritta con il nuovo ordinamento, frequenta quattro settimane di lezione, una di sospensione e gli esami che sono divisi in moduli cosicch un esame lo si pu dare in due o tre appelli in base a com' stato suddiviso. Si trova bene con questo metodo perch afferma di riuscire a gestirsi e ad arrivare a fine anno avendo sostenuto quasi tutti gli esami, anche se bisogna studiare quasi ininterrottamente e si ha sempre effettivamente un mese per preparare due o tre materie: perci ci si pu concentrare pi su una o due e preparando le altre in modo molto pi affrettato. Gli esami sono quasi tutti scritti e non sempre la settimana degli esami organizzata bene; talvolta ci si pu ritrovare a dover sostenere due esami nello stesso pomeriggio. La Bicocca sicuramente una grande fabbrica di sapere ed un grande centro di ricerca. E' comodamente accessibile con la navetta o gli autobus, che sono sempre troppo affollati, ed abbastanza fuori mano, ci vorrebbe la metropolitana cos secondo Ombretta molti pi giovani ci andrebbero a vivere e si potrebbero aprire locali e spazi ricreativi: diventerebbe un luogo vivace; infatti di sera quando gli edifici dell'universit sono chiusi non un luogo molto bello da frequentare. Per quanto riguarda il tempo che si vive in Bicocca nel suo caso, molto. Infatti abitando a pi di un'ora di autobus da l, quando ci si reca si trattiene tutto il giorno, spesso nel "giardino di cemento"

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con i compagni o in aula studio. Ha usufruito molto poco della biblioteca, ma quando ne ha avuto bisogno l'ha trovata molto efficiente come anche l'aula studio, comunque se uno vuole, spazi per studiare, tavolini, panchine ne trova in quantit. "Per quanto concerne i pasti lo standard della mensa buono, come pure l'igiene, l'unico aspetto negativo l'affollamento: c' sempre una gran fila con attese lunghe; al contrario il bar fa passare la fame ed veramente triste", ribadisce una amica di Ombretta, usando, senza saperlo, lo stesso aggettivo dell'altra studentessa. In alternativa ci sono trattorie molto rustiche come "da Aldo" che agevolano gli studenti facendo pagare un pasto 4.50 euro, altrimenti ci sono un piccolo negozio di generi alimentari e camioncini alimentari "volanti"che preparano panini molto buoni, anche se il prezzo da pagare una fila interminabile. In Bicocca c' sempre un gran flusso di gente, ma in primavera sembra che si raddoppi perch tutti stanno fuori in cortile, e c' un via vai di persone di tutte le et. "Io penso" conclude la conversazione Ombretta, "che sar necessario molto di tempo ma la Bicocca creer una forte identit come Universit e laboratorio di ricerca e, anche come centro culturale dell'arte, essendo stata spostata per un po' di anni la "Scala" al "Teatro degli Arcimboldi". Conclusioni Ombretta viene richiamata dal gruppo a cui l'ho sottratta perch c' da terminare una partita di carte, credo una "briscola", ed osservo i vari gruppi di studenti riflettendo sulla perduzione e sul consiglio di Deveroux, ripreso da Piasere 5 sull'"indugiare con la gente e imparare come la gente indugia, lasciarsi condurre la vita dagli altri". La difficolt di questo "tentativo etnografico" credo sia stata proprio la mancanza del tempo dell'indugio, anche se ho cercato di usare al meglio la mia empatia, l'"einfhlung", il mio sentire dentro i miei interlocutori occasionali. Senz'altro l'etnografo ha gi tante cose "nella testa e nel cuore" 6, che interagiscono e a volte configgono con ci che vuole o deve apprendere inavvertitamente e per arrivare alla acquisizione del "saper fare" nella ricerca sul campo il ruolo della ripetizione e della mimesi sono fondamentali,come afferma Olivier de Sardan. Credo che per raggiungere uno stato di "imbombegamento" nel senso di impregnazione, sempre rubando da Piasere due vocaboli che rendono, sarebbe stato necessario un periodo lungo di esperienze condivise in tempi e spazi in cui potersi imbattere in cose importanti senza cercarle (serenditipy) che solo il tempo e l'esperienza, oltre alle particolari capacit innate di ognuno possono modellare. Penso inoltre alla surmodernit di Marc Aug 7 , alla stazione ferroviaria ed al treno come "non luoghi" o "contenitori di
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funzioni", come anonimi siti di frequentazioni fugaci, di appuntamenti veloci, che vengono attraversati e non abitati similmente ad altri "non luoghi" come gli ipermercati, centri commerciali, i villaggi turistici, Disneyland, etc. Spesso infatti la frequentazione di questi spazi non legata solamente alla soddisfazione delle esigenze pi immediate per cui essi sono stati creati, ma attribuisce nuove identit agli individui per mezzo di un processo tranquillizzante e di omologazione. Mi sovviene l'affermazione di Lev-Strauss in "Tristi Tropici" a proposito del soggiorno nell'albergo moderno ed anonimo in Brasile nel '37: "Ci si sentiva sempre come in una stazione o in un ospedale, sempre passeggeri e mai residenti" 8. Ed proprio questa la sensazione trasmessa dalla stazione ferroviaria di Greco-Pirelli, un non- luogo che si attraversa ed in cui si incrociano ignorandosi centinaia di itinerari individuali, nei marciapiedi della stazione o nella sala d'attesa, dove i passi si perdono, luogo dell'incontro fortuito dove si pu provare fuggevolmente la possibilit residua dell'avventura. Il treno, con i suoi ritmi pi lenti pu diventare un luogo dialogico per eccellenza: raro che gli studenti, anche se si conoscono superficialmente, non instaurino una conversazione che spesse volte nasce da argomenti generali, un po' banali e stereotipati per arrivare a confessioni di intimit molto particolareggiate, dalla salute fisica all'amore o ai problemi relativi allo studio. Il treno, dai racconti degli studenti, ha contribuito molte volte a formare o a rafforzare delle identit collettive: gli studenti si aspettano, si tengono il posto, creano dei micro-vicinati in contrapposizione ad altri contesti distanti forse anche solo un vagone, e sembra che ogni gruppo difenda il suo territorio, che in ogni viaggio muta lo spazio fisico, ma mantiene e consolida la realt sociale dei suoi componenti. Quindi il treno come un viaggio, anche se di breve durata, dentro noi stessi attraverso gli altri, per vivere emozioni, condividere momenti belli e meno belli, fare esperienza e costruire nel viaggio da e verso la Bicocca, identit collettive. Ho avuto la sensazione che traspaiano negli studenti due vissuti di una stessa Bicocca: una come un luogo di transito, associata al viaggio dagli studenti pendolari, con una contrattualit anonima in cui si perde la soggettivit, un luogo da attraversare velocemente, con relazioni occasionali mutuate da un comune interesse temporaneo. Ma c' anche l'altra anima della Bicocca, quella di crescita non solo individuale ma sociale, di esperienze ed emozioni condivise, quella che risponde ai requisiti di "luogo di attivit di formazione e ricerca di livello elevato, dove sia vantaggioso e gradevole per gli studenti svolgere il proprio lavoro, una universit che sappia essere un valido esempio di comunit", come recita il Catalogo Electa nella sua presentazione.

NOTE
Dal tribale al globale, di Fabietti, Matera, Malighetti pag. 83. 2 Verba manent, di Dennis Tedlock. 3 Interpretazione di culture, di Clifford Geertz, pag. 12. 4 Culture in viaggio, di James Clifford, pag. 29- 27. 5-7 L'etnografo imperfetto, di Leonardo Piasere, pag. 157-166.

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Generazioni in Bicocca:
come in un paese
di Chiara Maestroni

1. Introduzione: il quartiere La mia ricerca nasce da una curiosit: mi capitato di frequentare l'universit negli orari pi diversi della giornata e in alcuni momenti, prima delle otto la mattina e dopo le sette di sera, per le strade, dove durante la giornata si incontra un formicolio di centinaia di studenti, ho incontrato anziani signori dai capelli grigi e il passo stanco a volte accompagnati da bambini. Mi sono chiesta di quante vicende potevano essere testimoni quegli spazi, in quanti modi diversi potevano essere vissuti, quante generazioni e storia potevano aver visto trascorrere. Mi incuriosiva poter sapere chi e in che modo viveva la Bicocca, apparentemente luogo che ospitava passi cos diversi, senza che mai potessero incontrarsi. Era necessario, per poter condurre una ricerca, che un pensiero cos vago, nato da una sensazione, prendesse forma. La mia etnografia ha avuto inizio con la definizione del soggetto della ricerca e del luogo in cui effettuare tale ricerca. In prima istanza ho deciso che avrei svolto l'etnografia sul quartiere Bicocca e non solo sull'area dell'universit. Da una prima ricerca di informazioni mi sono resa conto che la zona dell'universit era inserita nella zona 9 all'interno della suddivisione che stata fatta nel 1999 dei diversi quartieri milanesi. Per avere informazioni pi dettagliate mi sono recata alla sede del Consiglio di Zona 9 del Comune di Milano in Via Guerzoni 38. L il geometra Zara mi ha allora fatto avere una piantina della zona 9 in cui erano stati inseriti i confini fra i vari quartieri, tale suddivisione stata ottenuta recuperando i dati del censimento del 1931. In realt in questa cartina (Allegato n.1) possibile riscontrare un ulteriore suddivisione del quartiere Bicocca in Bicocca di Niguarda e Bicocca di Greco, nella mia ricerca si far riferimento alle due zone senza distinzione. I confini del quartiere possono essere identificati a est con la linea ferroviaria Greco Pirelli-Monza, a sud con Via Sernanino a ovest con Viale Suzzani e Viale Finanzieri d'Italia, a nord il quartiere si estende fino ai confini di Milano. Il quartiere Bicocca prende il nome da una villa nobiliare edificata nella seconda met del XV secolo. La villa, residenza di villeggiatura, era situata nella zona nord di Milano, oltre che per controllare da vicino i possedimenti terrieri della famiglia, anche perch la zona era pi salubre rispetto a quella sud per la presenza di coltivazioni asciutte (cereali, viti e gelsi). Attorno alla Bicocca degli Arcimboldi si situa il Progetto Bicocca. L'area, che si estende per circa 75000 mq, stata ricavata dalla dismissione degli impianti produttivi dello stabilimento Pirelli. Lo stabilimento produceva articoli in gomma e raggiunse la

massima espansione negli anni 40 con 20.000 addetti. L'azienda era caratterizzata da una politica aziendale di attenzione per il lavoratore. I dipendenti venivano assunti dopo il controllo della fedina penale, delle vaccinazioni e della buona condotta (dopo un periodo di prova). Con l'assunzione il dipendente poteva contare su un trattamento assistenziale comprendente casse di soccorso per malati e feriti sul lavoro; sussidi alle dipendenti partorienti e, dal 1900, furono previste mutue per impiegati e operai e incentivi pecuniari per chi restava nell'azienda per pi di 20 anni. Per i figli dei dipendenti Pirelli finanzi la costruzione di scuole materne adiacenti allo stabilimento. Il legame con l'azienda veniva spesso rafforzato con l'assunzione di pi generazioni della stessa famiglia. Oltre alla Pirelli nella zona Bicocca avevano sede anche alcuni stabilimenti della Breda per la produzione di materiale

ferroviario, lo stabilimento raccoglieva manodopera proveniente dalla citt di Sesto e dalle prealpi lombarde.
Con la met degli anni '70 iniziato il decentramento produttivo che ha avviato il recupero dell'area per nuove funzioni. Tale recupero a seguito di una gara d'appalto bandita da Pirelli &C. stato affidato dallo studio Gregotti Associati International. Gregotti ha proposto nel Progetto Bicocca l'insediamento di tutte le funzioni che caratterizzano un abitato: residenze, terziario, servizi, universit, ricerca. Tra viale Sarca e la stazione di Greco Pirelli si situa l'universit: il polo scientifico ospitato in quattro edifici nuovi, situati dove negli anni '70 ancora esisteva la mensa per i dipendenti della Pirelli e il reparto "Segnanino" dove i dipendenti erano in maggioranza donne, gli edifici sono disposti a due doppie "C" ai due lati del tratto sud di Via Emanuelli; il polo umanistico alloggia a sud della Bicocca degli Arcimboldi in due edifici industriali recuperati, mai completamente abbattuti. I poli universitari sono riconoscibili dal colore rosso scuro e dagli elementi frangisole bianchi situati alle finestre che dovrebbero riparare gli interni dagli irraggiamenti solari. Avrebbe dovuto far parte dell'universit anche il CNR a cui era destinato un edificio industriale ampliato, mi stato detto che per l'insediamento non ancora avvenuto. Perimetralmente ai luoghi destinati al C.N.R. vi sono edifici nuovi, per ora adibiti per lo pi ad abitazioni caratterizzate dal motivo "a ringhiera", richiamo alla societ dei cortili delle case popolari milanesi. Secondo proiezioni il "Progetto Bicocca" interesser 60.000 persone che graviteranno quotidianamente sull'area tra abitanti, addetti ai lavori, e studenti. Ai margini dell'area occupata dal Progetto Bicocca si situa il " Borgo Pirelli", testimonianza della costruzione di alloggi della

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Pirelli per i propri dirigenti. Il Borgo stato costruito negli anni '20 ed costituito da villette mono e plurifamigliari distribuite in vialetti dal percorso sinuoso. Ogni villetta provvista di un giardino di circa 100mq, in cui spesso si trova coltivato un orto. Il caseggiato , oltre ai numerosi alloggi, ospitava anche sale ricreative ed esercizi commerciali, rappresentando una sorta di cittadella operaia. Nel 1943 il caseggiato fu bombardato per la vicinanza all'aeroporto di Bresso e alla caserma dei Bersaglieri, ha in seguito subito ristrutturazioni. La grande espansione edilizia ebbe il suo culmine negli anni del dopoguerra con l'arrivo di emigranti dal sud Italia e di sfollati dalla guerra. Tra il 1947 e il 1948 viene costruito in Via S. Miniato 2-6 un quartiere IACP-Pirelli su progetto di Diotallevi, a questo si aggiunsero numerosi alloggi privati. Negli anni '50 iniziarono a costruire alloggi cooperative fra cui di maggior rilievo il costruttore Cerutti che edific la zona da p.zzale Istria a viale Sarca fino ai confini di Milano. La struttura dell'originario insediamento industriale a maglia ortogonale volutamente mantenuta da Gregotti, ha la sola accezione nel Teatro degli Arcimboldi, disposto in obliquo secondo l'orientamento dei terreni in epoca preindustriale e posto tra la stazione di Greco Pirelli e gli edifici dell'universit. Compiuto in soli 27 mesi il teatro sta inaugurato nel dicembre 2001. Davanti all'ingresso del teatro si erge la scultura "Scogliere" di G. Spagnulo. Ho ritenuto opportuno descrivere il quartiere Bicocca nei suoi tratti pi appariscenti per dare un'idea delle dimensioni in cui le persone di cui andr a raccontare si muovono e poich lo spazio in Bicocca riveste particolare importanza e si rivelato normativo rispetto alla vita degli abitanti. 2. Dagli abitati agli abitanti: osservazioni Dopo le prime interviste al consiglio di zona ho deciso di svolgere osservazioni nel quartiere Bicocca per avvalorare la mia prima sensazione sulla convivenza sullo stesso territorio di diversi gruppi/generazioni che non si incontrano. In un primo momento mi sono attenuta ad osservare la realt, sinceramente in modo abbastanza casuale, in diversi orari e in diverse giornate. In questa fase ogni oggetto o avvenimento si traduceva in appunti in un modo indiscriminato e un po' folle. Una sera verso le sette per esempio ero in universit nella via fra U6 e U7 ad osservare il via-vai delle persone, quando ho notato un uomo di mezza et, tra i cinquantacinque e i sessant'anni fermo all'angolo tra l'edificio U7 e Viale Pirelli. L'uomo, alto circo 1.70 portava dei jeans e una felpa, si guardava intorno, e pi di una volta aveva dato uno sguardo all'orologio. Questi tratti mi avevano fatto pensare ad un'attesa, l'abbigliamento disimpegnato e piuttosto casalingo mi aveva indotto a pensare che fosse un abitante del luogo, uscito allo scoperto dopo la ritirata dell'orda studentesca. Io continuavo ad osservarlo senza dissimulare il mio interesse, indecisa se avvicinarlo o no. L'uomo si era accorto del mio sguardo e, dopo

pochi minuti, aveva abbandonato la sua posizione per avviarsi sulla via Pirelli. Pensavo di aver indispettito il mio primo "nativo", invece, dopo poco, vedo riapparire l'uomo al fianco di una ragazza in stampelle che era appena uscita dall'universit. L'uomo apre la portiera di una macchina parcheggiata lungo via Pirelli, aiuta la ragazza a salire, poi entrambi si allontanano in automobile. Niente di quello che avevo osservato era stato ricondotto da mie congetture a fatti reali, verosimili forse, ma non reali. Quel giorno mi sono accorta di quanto fosse difficile attenersi all'osservato senza immaginarsi rapporti di causa - effetto. Le mie osservazioni della zona universitaria del quartiere avvaloravano le mie prime sensazioni: nella zona solo prima delle otto e trenta di mattina e dopo le sei e trenta era possibile trovare persone diverse dagli studenti, spesso sui cinquant'anni che passeggiavano soli o con il cane al guinzaglio; altre volte ho visto anziani con bambini, questi ultimi a volte in bicicletta. Una sera ho incontrato anche bambini di 10-13 anni che pattinavano nella via tra U6 e U7. Dopo le otto e trenta di mattina il quartiere viene "invaso" da un'orda di studenti provenienti dalla stazione di greco Pirelli, dal tram n.7 e dalla navetta che collega l'universit a Precotto. L'invasione non si attiene a particolari ore della giornata: vi un incessante via vai di ragazzi tra i diversi edifici dell'universit, da questi ai mezzi di trasporto e un consistente flusso su viale Sarca. In questa Via infatti si possono trovare pizzerie al trancio, fotocopisterie e bar, servizi di cui i ragazzi usufruiscono. Questi studenti popolano la zona fino alle 18 e trenta di sera circa, col termine delle ultime lezioni e la partenza degli ultimi treni utili l'universit si svuota e gli abitanti del quartiere si riappropriano dello spazio occupato dai ragazzi. Il 23.03.2003 alle 18 ero seduta su un "panettone" di cemento grigio all'entrata del palazzo di fonte all'U 7. In quell'occasione ho potuto osservare uno scorcio preciso del "cambio della guardia" tra studenti e abitanti della zona. Lo scorcio su cui si posava il mio sguardo spaziava dall'uscita del parcheggio sotterraneo all'U6, alla via che dal parcheggio conduce fuori dall'universit. La mia posizione mi permetteva di vedere anche l'interno del cortile del palazzo di fronte all'edificio dell'universit. Tutti i pavimenti che mi circondavano erano ricoperti di mattonelle grigie, dai marciapiedi al cortile del palazzo, salvo la strada asfaltata. L'intera palazzina disposta a ferro di cavallo ricorda la disposizione delle vecchie corti milanesi, fatto salvo per i sei piani di altezza e per le due torri di 12 piani presenti alla parte opposta a quella della mia posizione. L'intera palazzina piastrellata di mattonelle 50 per 50 di colore grigio-bordeaux con gli infissi delle finestre e le ringhiere dei balconi bianchi. Quello che colpisce della scena il progressivo diminuire della presenza degli studenti che, sempre in meno, si avviano dall'universit verso la stazione di Greco. Contemporaneamente, in proporzione inversa gli abitanti rientrano nel palazzo: sempre pi automobili, di modello "famigliare" con seggiolini per bambini sul sedile posteriore, con una sola persona a bordo (uomo o donna sui trenta-quaranta anni), vengono introdotte nei parcheggi sotterranei del palazzo, la cui entrata posta vicino al panettone

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della mia postazione. Ad entrare nel palazzo non sono solo gli automobilisti ma anche persone anziane sui sessantacinque anni che giungono al palazzo in bicicletta con bambini sui seggiolini o a piedi con bambini per mano. Mano a mano che le persone rientrano nel palazzo il cortile si popola di bambini : alcuni sotto i cinque anni che girano il cortile in triciclo, altri in et scolare giocano tra loro, ci sono anche alcuni ragazzi sopra i diciotto anni che palleggiano tra loro con un pallone da calcio. Il cortile piastrellato con una fila di alberi ancora "giovani" sul lato destro, ora popolato di bambini e ragazzi chiuso all'accesso di estranei da un cancelletto bianco a cui sono appesi cartelli che pubblicizzano la vendita di alcuni appartamenti. I citofono non sono accessibili da estranei perch invece dei pulsanti con i cognomi vi una tastiera con cui digitare un codice. Alle 20.00 i ragazzi del cortile sono stati tutti richiamati negli appartamenti, e nelle strade non ci sono pi n studenti n abitanti. Lo stesso giorno, il 20.03.2003 mi sono recata alla parrocchia di quartiere in viale Fulvio Testi per capire se poteva essere un centro di aggregazione per gli abitanti della Bicocca. Da una prima osservazione decisi che poteva esserlo visto che fuori da chiesa era riunito un gruppo di quattro ragazzi e che diverse persone ,entrando dal cancello di Fulvio Testi , salivano i quattro gradini di marmo che conducono al sagrato entrando nell'edificio. La parrocchia non doveva essere un luogo di ritrovo solo per le funzioni religiose perch la chiesa era affiancata da un campo da calcio, in pi sul sagrato erano presenti due bacheche con molti avvisi riguardo gite o incontri di preghiera. Sulle bacheche di legno, una ad entrambi i lati della porta della chiesa, sono disposti i volantini in modo ordinato, nessuno si sovrappone all'altro e ognuno dista dall'altro circa due centimetri. Nessun avviso scaduto, in seguito, ogni volta che ho potuto osservare queste bacheche le ho trovate aggiornate e spesso ho trovato persone, sempre diverse, a consultarle. Per quello che ho potuto vedere sono fonte di informazione per le persone che gravitano intorno alla parrocchia. Non posso scrivere riguardo alla effettiva partecipazione dei parrocchiani alle iniziative, per ho potuto reputare la chiesa e l'oratorio di via Fulvio Testi un buon punto di osservazione di cui accenner in seguito. Oltre ad annotare sul mio quaderno tutti gli avvisi presenti in bacheca, sempre soggetta all'ansia di perdere informazioni che potrebbero rivelarsi interessanti, sono entrata in chiesa: edificio di tre navate , nella centrale ho contato 22 file di panche da cinque posti l'una, nelle navate laterali vi erano file di quattro sedie. Mentre ero intenta ad osservare i particolari architettonici della chiesa di recente ristrutturazione (come mi riferir il macellaio) mi si avvicina un ragazzo con occhi, barba e capelli scuri, vestito con maglione e pantaloni scuri, si presenta come Don Alessandro e mi chiede per quale motivo stessi prendendo appunti. Dopo aver spiegato chi ero e cosa stavo cercando, velocemente e senza convinzione, lui mi spiega di essere in parrocchia da poco e di non conoscere la realt che a me interessa ma mi suggerisce di tornare per la funzione domenicale verso le 10.30 perch raccoglie

parecchie persone del quartiere. Quella che doveva essere una prima fase di esclusiva osservazione era invece gi sfociata in un momento di comunicazione informale. Ho cos deciso di non separare ulteriormente la fase dell'osservazione da quella delle interviste, mi sarei inserita progressivamente nel quartiere alla ricerca di uno stato di "perduzione"1, osservando luoghi e persone e intervistando abitanti qualora vi fossero state favorevoli circostanze, in modo da rendere il pi fluida possibile la mia etnografia. Poteva essere piacevole vagare per la Bicocca senza particolari aspettative percependo la cultura del quartiere, anche vero che avendo dei tempi da rispettare abbastanza ristretti era necessario definire da subito una linea lungo la quale condurre la mia ricerca. Il mio scopo era raccogliere informazioni su "chi aveva abitato " la Bicocca nei decenni dell'ultimo secolo. Volevo arrivare a sapere il pi verosimilmente possibile che specie di famiglie avevano abitato quella zona , quali generazioni, se i figli degli ex operai della Pirelli abitavano ancora il quartiere, se vi erano dei contatti fra gli abitanti dei vecchi palazzi e quelli degli edifici in costruzione, se gli studenti costituivano una popolazione completamente estranea al quartiere. Ho pensato che fosse necessario scegliere una porta di ingresso alla comunit dei nativi. Ne individuai due, cercando di mantenere due linee parallele di ricerca come negli esperimenti si costituisce un gruppo su cui si svolge l'esperimento e l'altro gruppo viene usato come controprova. Decisi di mantenere i contatti con la parrocchia che effettivamente poteva rivelarsi un buon punto di osservazione perch era l'unico luogo pubblico in cui si potevano incontrare abitanti del quartiere di ogni et e genere. In pi decisi di intervistare i negozianti pi anziani della zona facendomi raccontare la loro storia. Decisi di non utilizzare strumenti quali questionari o interviste strutturate: avrei condotto conversazioni seguendo gli interessi e le inclinazioni delle persone, ascoltando gli argomenti che ognuno aveva pi piacere ad affrontare. In modo che le persone avessero piacere a conversare e quindi fossero maggiormente disposte ad aprirsi e a raccontare aneddoti e ad esporre il proprio punto di vista senza reticenze. Gli unici punti fermi che avrei mantenuto per ogni intervistato sarebbero stati il farmi dire quali fossero i confini del quartiere Bicocca e quale fosse il loro albero genealogico. Pensavo che dopo aver creato un rapporto rilassato ed aver ascoltato ognuno potevo permettermi di porre domande personali sul nucleo famigliare senza essere respinta. 3. Interviste: la svolta Alla ricerca di vecchi negozi una sera di aprile ho iniziato a percorrere viale Sarca dall'universit verso il centro della citt. Ho trovato pizzerie, bar, fotocopisterie, una carrozzeria, sul lato sinistro del viale la schiera di negozi stata interrotta da un cantiere di una nuova palazzina in costruzione, mentre sulla destra

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si vedono abitazioni di due o tre piani il cui piano terra occupato da negozi che variano da banche, agenzie di lavoro interinale, agenzie immobiliari. Uno di questi negozi era una merceria; la scritta bianca merceria bianca su sfondo azzurro e la piccola vetrina (2m per 2) che aveva in esposizione capi "non firmati" in stile classico, tinte unite, e taglie forti, mi ricordava lo stile datato di alcuni negozi di paese. In effetti le mie supposizioni furono confermate dalle proprietarie del negozio. Entrando trovai dietro ad un bancone di legno due signore sui sessant'anni alte un metro e sessanta, con capelli corti, grigi. Le due donne mi accolsero con gentilezza, ma continuando a sistemare gomitoli di cotone in alcune scatolette di cartone che poi riponevano in appositi ripiani situati alle loro spalle. Il negozio , una piccola stanza di tre metri in profondit per cinque di larghezza era stipata di merce, sia ripiegata in confezioni di plastica sia appesa alle pareti e ad appendiabiti posti ai lati della stanza. Mi presento alle due donne e chiedo loro da quanto sono in Bicocca. Sfoderando penna e quaderno per gli appunti. Le signore mi rivelano di essere sorelle, originarie di Civitate del Piano in provincia di Bergamo. Loro padre lavorava a Civitate in uno stabilimento della Pirelli, dopo la chiusura di questa fabbrica l'uomo fu trasferito alla sede di Pirelli-PiBicocca nei primi anni del dopoguerra. Inizialmente la famiglia and ad abitare in un appartamento messo a disposizione dalla Pirelli in C.so Genova.. In quel periodo l'unico reddito era costituito dallo stipendio del padre delle due donne cos i figli e la madre cercarono del lavoro da poter fare a domicilio e trovarono una ditta di ombrelli che commissionava loro l'assemblaggio dei vari pezzi: "era un lavoro come in catena di montaggio, ognuno aveva il suo compito dal pap a mia sorella pi piccola anche una cosa interessante da sapere perch chi sa come si fanno gli ombrelli, te lo raccontonoi siamo cresciute cos" e poi sospirando: "lo proverai anche tu quando avrai dei ricordi che ti commuover ripensare". A Civitate del Piano, continuano le due donne, venivano prodotti bottoni di madreperla cos il padre delle donne, oltre che i turni in Pirelli e l'aiuto nell'assemblaggio degli ombrelli girava per i vari negozi milanesi rivendendo i bottoni prodotti nel paese di origine, nel '55 capit anche presso la merceria dove ci trovavamo cos chiedendo trov anche un lavoro come commessa alla figlia maggiore. Pochi anni pi tardi alla famiglia stata assegnata uno degli appartamento che venivano assegnati agli operai Pirelli in Bicocca. Intanto anche la seconda delle sorelle inizi a lavorare come commessa in merceria che nel '61 venne rilevata dal padre. Da allora le signore della merceria, di cui non ho chiesto il nome, ma che dal macellaio Mario sono state nominate come "sorelle materassi", si sono alternate nella gestione della merceria guardando passare dalla vetrina 50 anni di Bicocca. Da questo loro particolare punto di vista hanno visto il periodo della grande industria in cui le principali clienti erano le turniste della Pirelli, sono state testimoni degli anni degli scioperi e del movimento operaio, hanno visto "la fabbrica che si svuotava piano piano e sempre meno operai, facevano

impressione i capannoni vuoti e le erbacce che crescevano", hanno assistito alla distruzione dei padiglioni Pirelli, quegli stessi che le avevano condotte fino al quartiere Bicocca. Continuando a sistemare cerniere, gomitoli, e scatolette di cui non conosco il contenuto le due signore dicono di avere clientela affezionata, donne che sono cresciute con loro, e figlie e nipoti di queste, raramente persone sconosciute. Tra un gomitolo e una cerniera mi dicono di essersi sposate nel frattempo ed aver avuto dei figli che per non abitano in zona. Le due donne si alternano nel racconto, ammiccano fra di loro facendo gesti di approvazione l'una per le parole dell'altra. Due sorelle, insieme dalla nascita che tra un gomitolo e una cerniera hanno visto scorrere vite a storia e che guardano ai nuovi cambiamenti con la pazienza e il mite sorriso di chi ha "gi visto passare molta acqua sotto i ponti e dietro la propria vetrina". Le signore mi consigliano altri negozianti storici da cui recarmi: il tabaccaio all'angolo tra Via Emanuelli e Viale Sarca, Luciano alla trattoria "Da Aldo" su Viale Sarca, il garage di Viale Rodi dal sig. Clerici. Mi consigliano anche di andare a visitare Borgo Pirelli, le case che si affacciano su Via Emanuelli, costruite negli anni '20 dalla Pirelli e messe a disposizione dei dirigenti della ditta. Avendo trovato chiuso il tabaccaio decido di fare un giro a Borgo Pirelli. Via Tassoni, Via Sacceni, queste case sono state costruite tra il '19 e il '22 cos mi spiega la sig.ra Reduzzi. Ho visto la signora mentre portava acqua ai fiori del suo giardino, capelli biondi corti vaporosi chiedo a questa signora di raccontarmi della sua famiglia e del quartiere. Mi dice che suo marito, il signor Arienti nato qui, in via Sacchetti 21 il 3.06.'30 quando il padre lavorava alla Pirelli mentre lei arrivata nel '57 quando si sposata. Quando la signora entrata in casa Arienti, una villetta di due piani con giardino , erano in 5: i suoi suoceri e il cognato, nel '63 morto il suocero e nel '64 si sposato il cognato e nell'80 morta la suocera; nel frattempo per sono nate due figlie che attualmente vivono fuori Milano, una promotrice finanziaria l'altra direttore commerciale di una ditta, entrambe senza figli. La signora mi parla dei dipendenti della Bicocca come una "famiglia", mentre ora non conosce pi nessuno, "ognuno sta a casa sua", prima gli abitanti del borgo erano tutti dipendenti della Pirelli ora dall'80 le case vengono assegnate dall'Aler (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) "agli sfrattati". Poco dopo la signora mi presenter il marito, il signor Arienti che mi spiega che le case vennero edificate sul terreno della Pirelli da I.A.C.P. (Istituto Autonomo Case Popolari) che poi diventer Aler e che inizialmente i dipendenti della Pirelli avevano diritto di prelazione rispetto ad altri ma dall'80, quando la Pirelli aveva gi dismesso gran parte dei suoi fabbricati, le case iniziarono ad essere assegnate a persone estranee alla fabbrica. Oggi la villetta dei signori Arienti, secondo il piano di vetusta costerebbe non pi di 35.000 Euro ma se fosse venduta costerebbe molto di pi, forse per questo non hanno mai dato la possibilit di riscattarle alle persone che ci hanno sempre vissuto mentre lo

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hanno fatto in altri luoghi. La signora continua dicendo di sentirsi estranea in casa propria: "prima c'era tutto per la spesa, in Via Pulci c'era il mobiliere, il cartolaio, l'ottico, adesso non c' pi niente, hanno fatto solo pizzerie e fotocopisterie, dove c'era il materassaio c' una pizzeria, prima c'era un bravo calzolaio che adesso ha venduto, dove vendevano macchine da scrivere c' una fotocopisteria. Quasi non si trova pi un "prestinaio". La signora dice che prima era davvero come una famiglia, "adesso ti mettono la macchina in casa, credono di essere loro i padroni", riferito agli studenti, " questa strada privata ma tutti ci mettono le macchine, siamo stanchi, dovremo metterci le sbarre e anche dei lampioni perch non si sa pi chi si trova in giro la sera e si rischia di essere scippati". La signora cordiale, parlava a ruota libera, "qui si approfittano tutti, si sta' proprio male, si sta male da quando hanno fatto l'universit, non la finiscono pi c' rumore, le gru interferiscono con i programmi televisivi; hanno messo la parabola solo al Brutus che faceva la pubblicit della Cera Grey che abita qui dietro perch aveva fatto una polemica e aveva chiamato le televisioni. Qui di fronte c'era il "segnalino" il reparto dove facevano le palle da tennis e c'erano le cucine della Pirelli, c'era puzza ma pi tranquillit, adesso ci sono gli studenti e si sentono loro i padroni, arrivano, posteggiano, si sdraiano sul prato qui di fronte, non chiedono niente e se si dice qualcosa ti rispondono male. Ma non ci sono parcheggi l all'universit?" La signora mi guarda con aria sinceramente interrogativa perch sebbene abiti a 50 m dall'U2 non lo conosce l'edificio universitario. La donna mi suggerisce di andare al circolo situato a fianco della casa parrocchiale per incontrare alcuni anziani del quartiere. Mi conferma di andare dai negozianti che mi erano stati elencati anche dalle merciaie e mi raccomanda di passare da Mario il macellaio di Viale Rodi che "una volta era in societ con uno per un ristorante ma poi l'altro stato ucciso e quella storia non si mai capita ma ormai nessuno ne parla pi". Il circolo a fianco della casa parrocchiale costituito da un locale -bar al cui banco trovo un uomo sulla trentina e da uno spiazzo esterno con tavolini rotondi di ferro dipinti di bianco. Qui incontro uomini anziani ansiosi di giocare alle carte; continuano a dirsi l'un l'altro: "allora la facciamo questa partita o no"; "st parlando un attimo con la signorina", risponde ognuno a turno. Trovo un signore arrivato negli anni del dopoguerra con la con la moglie come sfollato, in quegli anni infatti il comune costruiva case che assegnava agli sfollati di guerra dando diritto di prelazione ai dipendenti statali. Un altro signore mi dice "io ho fatto un figlio solo per poterlo far studiare perch eravamo gi intelligenti, mica come quelli che venivano dal meridione con una conigliata che poi non potevano neanche mantenerli". Un altro signore con accento siciliano dice che negli anni '60 erano in tanti a trasferirsi dal sud Italia perch "qui c'era lavoro, prima veniva su il capo famiglia, trovava lavoro in fabbrica e una sistemazione e poi chiamava gli altri della famiglia, chi aveva una famiglia numerosa poteva avere gli assegni famigliari dallo stato cos si viveva, poi si poteva pensare a aprire un'attivit perch

c'erano i figli che aiutavano". Un signore riferisce che negli anni '70 " uscita una legge che gli artigiani dovevano pagare i contributi pieni anche se avevano meno di 5 dipendenti; a quelli con tanti figli conveniva perch non prendevano dipendenti". Tra gli anziani si era accesa un'animata discussione che qualcuno sed iniziando finalmente la partita a carte che era stata tanto rimandata. Prima di andarmene qualcuno mi dice per "se vuoi saperne di pi vai dall'Arienti, abita a borgo Pirelli, quello l l da una vita nato l". Io rispondo di averlo gi conosciuto e i signori si informano sulla sua salute perch l'uomo era stato appena operato. La mattina di Sabato 20 Aprile entro nella trattoria "Da Aldo" che tutti mi hanno tanto raccomandato. Luciano, il nuovo titolare della trattoria dopo la morte del padre Aldo indaffarato a preparare il pranzo io mi aggiro per il locale denso di bandiere, mourales, dischi, articoli di giornali appesi ai muri, sembra essere un luogo molto "vissuto". Incontro anche Elsa la mamma di Luciano, solida donna Toscana che approdata da Montecatini alla Bicocca nel '50 con il marito e il figlio maggiore , per aprire una trattoria. Qui la signora Elsa cucinava polenta per tutta la settimana e merluzzo per il venerd. Tre quintali di polenta e uno di pesce era questa la produzione media del venerd. Elsa dice che il quartiere era sempre pieno perch gli operai giravano su tre turni da otto ore e ad ogni cambio entravano e uscivano in tremila. Gli operai entravano da Aldo per farsi riempire la "schisceta" e poi andavano a mangiare alla vicina "casa del popolo". Nei giorni di sciopero gli operai affluivano dopo le sei di mattina portando notizie della riuscita dello sciopero e si festeggiava con abbondante razione per tutti. Da Aldo sono passati personaggi importanti per la storia della Pirelli come Sergio Cofferati allora tempista alla Pirelli, Manlio Pirola segretario della commissione interna, licenziato per rappresaglia, ora presidente della Centrale del Latte Milano, Franco Tadini sindacalista poi consigliere comunale a Milano. Aldo ricevette la medaglia d'argento dall'associazione di categoria nell'80 e la Croce di Cavalliere al merito della repubblica nell'82. Sempre Aldo costitu il gruppo sportivo Baronchelli composto dai Bersaglieri della caserma di Via Suzzani, sciolto nel '95 (oggi la caserma conta poco pi di 200 bersaglieri). Il figlio costitu il circolo "Che Guevara" tre anni fa alla presenza del console cubano e del parroco. La signora Elsa mi dice "oh, che bella bimbina che sei, tu non sai io qui ci sono venuta giovane, giovane e ora sono vecchia, vecchiavorresti dire che si diventa vecchi dappertutto?". " Ora qui vengono a mangiare i muratori che vengono dal meridione per lavorare nei cantieri ma questi sono soli non vengono con le famiglie perch non sanno quanto stanno.. Quando ero giovane c'erano famiglie coi bambini come la nostra oggi ci sono i "travestiti" nella casa vicina, l'affitto alto ma loro possono pagare perch guadagnano bene. Le persone che affittano ora sono di tutte le razze di quelli che sono venuti su con me ne sono rimasti pochi, i figli sono tutti sposati e andati viaci sono quelli che abitano vicino a me che e vivono in 20 in casa e tutti i venerd cantano e ridono fino alle 7 di mattino, sono

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dell'Equador, gente che sono abituati a fare feste, una mattina ho chiamato la polizia perch buttavano gi i mobili dai balconi, vengono qui e fanno i padroni Io qui ho lavorato una vita Aldo si chiamava il m marito che morto 15 anni fa ma ci dispiaceva cambiare l'insegna" "I miei figli abitano qui, uno, Luciano st in trattoria, l'altro fa l'idraulico" "Luciano ha anche una figlia di 24 anni, anche lei andava all'universit ma non si trovava e adesso lavora alla Pirelli. Noi siamo qui da tanto, guarda quante cose alle pareti, di calcio, di bicicletta, un gruppo che fa musica, e quel dipinto sul muro l'ha fatto uno bravo che il giorno prima di morire venuto qui e ha detto io mi sa che non lo finisco e il giorno dopo morto e noi l'abbiamo lasciato come l'aveva lasciato lui". Dopo aver parlato con Elsa sono passata a salutare Luciano in cucina che mi racconta le imprese del gruppo sportivo Baronchelli e mi lascia i biglietti del neo-fondato circolo "Che Guevara", poi mi suggerisce di passare dal tabaccaio che fa angolo tra viale Sarca e via Emanelli. Al piano terra dell'unico palazzo di borgo Pirelli situato il tabaccaio di cui tanti mi hanno parlato. Entro curiosa di quello che vi potr incontrare, mi avvicino al bancone e chiedo con chi posso parlare un po' della Bicocca e della Pirelli, un signore di poche parole chiama: "Barbara vogliono tee!" Dal retro del bar mi si avvicina una signora con capelli grigi a caschetto che con voce chiara e gentile mi chiede cosa voglio sapere e mi fa accomodare ad un tavolino vuoto del bar. Barbara cresciuta in questo quartiere, la sua famiglia proprietaria del bar da mezzo secolo, lei ha lavorato per quarant'anni all'Unit ma il bar e la Bicocca hanno sempre fatto parte della sua vita. Barbara dice che la Bicocca stato fino agli anni '80 un quartiere popolare legato alla "fabbrica"; in realt non vi era un'assoluta omogeneit, si faceva distinzione tra i vecchi abitanti del quartiere che popolavano la zona a sud di viale Sarca e gli abitanti della zona di Fulvio Testi, questi ultimi, si diceva, facevano parte del sottoproletariato. Le iniziative politiche per venivano preparate da tutti nella casa del popolo. Era operaia la gente della Bicocca, c'era qualche artigiano, pi che altro meridionali che immigravano con le famiglie e spesso aprivano negozi di ortofrutta, merce che si facevano spedire dal loro paese. Gli anni del '68 in Pirelli iniziarono prima e gli abitanti del quartiere erano uniti, gli scioperi erano rumorosi ma non violenti; gli attivisti politici pi radicali venivano spediti "in Albania" un reparto posto nella parte pi a nord dell'attuale Viale Sarca dove i controlli erano serrati e i sindacalisti non avevano modo di diffondere idee ad altri colleghi. "Qui in Pirelli si fatta la storia delle lotte operaie, oggi invece non si fa pi niente, un quartiere dormitorio, delle famiglie storiche sono rimasti solo i vecchi, anche la categoria degli esercenti st invecchiando, non c' pi la bottega sotto casa, si deciso di servire solo una certa fetta degli abitanti: gli studenti e i potenziali acquirenti dei nuovi appartamenti, senza pensare a chi qui ci ha speso una vita".

La prima volta che mi sono recata da Mario, il macellaio, ho fatto la fila nel suo negozio come un qualsiasi cliente (scambiando parole con il prete della parrocchia che avevo per caso incontrato l), arrivato il mio turno, invece che ordinare carne ho chiesto all'uomo un appuntamento per poter parlare con calma della Bicocca. Ci siamo cos rivisti una sera la settimana seguente, dopo le 19.30, nel suo negozio, orario in cui la clientela rara. Il negozio mi ha subito incuriosito perch alle pareti sono appese fotografie di animali vivi, quelli che poi si ritrovano sul bancone della macelleria. Il signor Mario non vende solo carne ma anche formaggi, miele, e surgelati. Numerose bottiglie di vini da collezione sono esposti su mensole; un elemento che colpisce subito la particolare sedia in legno appoggiata alla parete d'entrata del negozio. Uno sguardo pi attento rilever che da Mario sono presenti diverse sculture, l'uomo mi dir che colleziona sia vini d'annata che oggetti d'arte che antiche macchine del mestiere marcate Berken. Il signor Mario arrivato in Bicocca nel'73, era militare di leva alla caserma dei bersaglieri, avendo trovato la fidanzata e un macellaio che aveva accettato di fargli rilevare il negozio, adempiuto all'obbligo di leva, rimasto nel quartiere. Il signor Mario mi parla con affezione del quartiere, dell'amico Luciano (Da Aldo) conosciuto al circolo Baronchelli; delle feste di quartiere organizzate dall'AS.CO (Associazione commercianti nata negli anni '80 e sciolta nei primi anni'90) per cui si facevano mercatini che fermavano il traffico in Via Fulvio Testi; delle merciaie "le sorelle materassi" che gli sono state vicine anche nei momenti di bisogno. Mario ha tre figli: una ragazza di ventisette anni, sposata, in attesa di un bambino, vive con il marito a Monza; i figli minori sono ancora studenti. L'uomo mi racconta della sua clientela, abituale che lo sceglie per il rapporto confidenziale e di fiducia e la qualit delle carni; dice che saltuariamente serve anche famiglie dei nuovi complessi sorti a ridosso dell'universit ma che il rapporto non consolidato con nessuno. Nella stessa zona di Mario ho trovato l'officina del signor Clerici, suo padre riparava i motori dei battelli a vapore sul lago di Como poi nel '40 approd in Bicocca come responsabile meccanico dei pompieri della Pirelli. La madre del signor Clerici invece era veneta, arriv a Milano con il padre alla ricerca di lavoro. Dopo la guerra il padre del signor Clerici si licenzi dalla Pirelli e inizi a fare lavori di meccanica in proprio mentre la moglie aveva gi avviato un negozio di ortofrutta a Greco. Il signor Clerici inizi a lavorare da molto giovane con il padre "mica come i giovani d'oggi che non sanno neanche cosa vuol dire lavorare". Nei suoi ricordi la Pirelli la fabbrica che forniva molte opportunit ai dipendenti: "la Pirelli aveva tutto ci che era sport, dal tennis all'okey su ghiaccio; dava ai dipendenti i biglietti per andare al cinema "Pro Patria" d'estate; organizzava le vacanze per i bambini. Poi arrivato il '68 e un giorno mi ricordo hanno ribaltato tutte le automobili ed scoppiato un incendio, i pompieri

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quella volta dovettero bagnare l'intonaco delle pareti dei fabbricati per evitare che scoppiasse tutto. Da l hanno cominciato a smembrare la Pirelli fino ad arrivare al giorno d'oggi, se la sono cercata questa situazione i lavoratori". I ricordi del signor Clerici sono specchio di una posizione completamente diversa rispetto a quella di Barbara una delle proprietari del Tabacchi, eppure il signor Clerici continua: "Sei stata al tabacchi, sono l da una vita?". Gli rispondo che ho parlato con Barbara. "Bene intelligente quella ragazza l, proprio una brava persona e poi molto intelligente". Il signor Clerici mi racconta della sua famiglia, della sorella che stata titolare di un panificio e dei figli e dei nipoti rimasti a Milano per studiare ma che da sposati escono dalla metropoli. Anche i figli grandi di Maria, la titolare della trattoria a ridosso della Bicocca vivono fuori dal quartiere. Maria arrivata a Milano nel '47 da sposata; mentre il marito lavorava in una piccola ditta lei ha iniziato a lavorare come cameriera in una trattoria che poi ha rilevato nel '66. Dall'88 gestisce la trattoria nel quartiere Bicocca. Mi dice: "Qui nell'88 venivano gli operai dei cantieri che distruggevano la Pirelli e costruivano l'universit poi gli operai hanno iniziato a cedere il passo a studenti e professori. Nel pomeriggio per c' la clientela fissa degli anziani che vengono a giocare a carte come facevano nel circolo che c'era prima che arrivassimo noi". La signora Maria chiuder l'attivit a Luglio cedendo la propriet al signor Arceri che gestisce gi altri bar. Maria dice che ha cambiato clientela nel corso degli anni ma mai men. L'unico momento in cui stata carente la clientela stato il periodo di tangentopoli nei primi anni '90. La signora Maria mi ha accolto con gentilezza ma le sue parole non erano mosse da passione o affetto come ho avvertito negli altri intervistati probabilmente perch la donna ha gestito un'attivit in Bicocca cercando di dare continuit a qualcuno che l'ha preceduta ma senza spendersi personalmente nel quartiere. In effetti Maria mi racconta di non aver mai spostato l'abitazione nel quartiere, non era ancora arrivata ai tempi degli operai Pirelli, non ha cresciuto qui i suoi figli, non fa riferimenti ad altri negozianti storici diversamente dai suoi colleghi . Nella trattoria ho per incontrato parecchie persone che hanno vissuto e scritto la storia della Bicocca. Il signor Hegel per esempio approdato qui da Via Bixio, l'anziano mi racconta di essere stato il primo ad essere battezzato in Duomo nel '32. Durante la guerra l'uomo mi racconta di aver perso padre e fratelli e casa sotto un bombardamento; stato cos trasferito da parenti in Friuli come sfollato. Nel '53 gli fu assegnata una casa comunale in Viale Asturie dove and a vivere con la madre e una sorella uniche rimaste della famiglia (originariamente erano in sei in famiglia). L'uomo ha sempre lavorato come tappezziere ed sempre vissuto nell'abitazione di Viale Asturie, dopo il matrimonio della sorella rimasto solo con la madre e poi con la propria famiglia. Il signor Hegel ha tre figli, il maggiore sposato vive a Legnano, il secondo separato vive vicino Rho e il terzo abita ancora con i genitori; mi racconta delle poche abitazioni costruite in Bicocca negli anni del suo arrivo: "da via Pila a

Niguarda c'erano solo canali, non c'erano negozi, c'era solo un ortolano e un droghiere e un calzolaio. Gli abitanti del quartiere lottavano perch venissero costruiti parchi per i bambini e scuole, nel '65 per esempio abbiamo fatto una dimostrazione per evitare che dove adesso ci sono le scuole nella parallela viale Suzzani costruissero un palazzo di tre piani. Oggi invece le famiglie non lo farebbero mai, le generazioni sono cambiate in peggio". Dall'intervista del signor Hegel come dalle altre risultato che le persone intervistate hanno un'idea della posizione geografica del quartiere che rispecchia quella da me avuta dalla piantina della zona, purtroppo non ho potuto appurare se la percezione cambia nelle nuove generazioni. Fino ad ora ho ascoltato di cambiamenti e separazioni; all'oratorio di Via Fulvio Testi invece ho incontrato famiglie intere: nonni, pap e mamme riuniti attorno ad un campo da calcio, la domenica pomeriggio ad osservare dei ragazzini giocare. Gli uomini ai margini del campo molto vicini alla rete facevano un tifo concitato, le donne poste in un angolo del cortile in un luogo pi ombreggiato parlavano con le amiche, interrompendo i discorsi nei momenti pi cruenti della partita, per goal o polemiche con l'arbitro. In campo 22 bambini probabilmente ultime classi delle elementari e prime delle medie. L'allenatore seduto in panchina era un ragazzo intorno ai vent'anni che a seconda delle azioni si complimentava o incalzava i ragazzini. Tutti erano partecipi della situazione che aveva come centro di attenzione la partita ma vedeva ai margini del campo altri incontri. I ragazzi, maggiori di quelli in campo, sono riuniti, separatamente dagli adulti ai margini del campo, i commenti alla partita esistono ma sono marginali rispetto a battute e ammiccamenti che ognuno scambia all'altro. Ci sono alcuni uomini che spingono le carrozzine, ma che attratti dalla partita non si curano dei ciucci persi dai figli. Questo stato l'unico luogo in cui ho potuto osservare pi generazioni a confronto anche se non ho potuto appurare se le persone di et diverse provenissero da medesime parentele o meno e quale fosse la loro storia. L'oratorio costituisce sicuramente un punto di vista particolare sul quartiere rispetto alla strada; anche se non stato approfondito interessante notare come le prospettive cambiano a seconda del punto di osservazione, infatti se non mi fossi recata l quella domenica non avrei mai appurato che in Bicocca esiste comunque ancora una fascia di famglie giovani che in qualche modo vivono l'aggregazione. Dalle diverse interviste svolte si evidenzia la complessit dell'oggetto preso in esame ma anche alcune regole grossolane come quelle esplicate nei diversi passaggi. In ultimo vorrei sottolineare quanto comunque sia palpabile il clima che unisce i diversi esponenti del quartiere che risente ancora delle caratteristiche di fabbrica-borgo della Pirelli rendendo assimilabile la cultura Bicocchiana a quella di un piccolo paese. A questo proposito riporto un passaggio che ho letto su "LaBicocca" giornalino dell'Associazione Commerciale Bicocca: "Mi stato detto: Scrivi qualcosa sulla nostra zona, la Bicocca. Lo faccio con entusiasmo. Mi riallaccio a quanto scritto negli anni

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88-89 da persone sinceramente amanti della "Bicocca" e che hanno gettato le basi per stabilire un contatto umano e sociale fra tutti gli abitanti del quartiere. Qualcosa si fatto, molto c' ancora da fare, e noi della Bicocca dobbiamo prendere nuove iniziative per valorizzare il territorio e rendere la vita cittadina pi vivibile. La collaborazione di tutti, nessuno escluso, sar la garanzia per migliorare il nostro rapporto individuale e collettivo. Una volta c'era la Bicocca industriale, operosa e generosa, ricca di uomini onesti e bravi cittadini. Noi oggi, figli e nipoti di quei magnifici operai, dobbiamo portare avanti quanto seminato con fatica e abnegazione tanti anni fa. La realt attuale diversa, diverse le nuove occupazioni, le intelligenze, i costumi. La Bicocca

Technology ha preso il posto delle vecchie fabbriche, il nostro rione stato scelto per instaurare il grande polo di sviluppo del nord di Milano e noi abitanti di questo quartiere dobbiamo renderci conto che con il passato non si mangia, non si lavora, non si vive. Non dobbiamo dimenticarci per dei nostri vecchi, e doveroso non togliere loro il loro mondo, le loro case, le loro abitudini. Anche se stanchi, vecchi e affamati hanno il diritto di rimanere nelle loro case. Guai a noi se non dovessimo mantenere questa promessa! Con loro e per loro! Anche i giovani e i bimbi hanno i loro diritti".

NOTA
1

Leonardo Piasere, L'etnografo imperfetto, Laterza, 2002.

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L'abito fa' il monaco?


La Bicocca: un luogo di culto
di Anna Felcher
Introduzione IL CONTESTO Pochissimo verde e metri cubi di cemento, vetrate e plastica . Nessuna infrastruttura, un grazioso ufficio postale e il collegamento con le ferrovie dello stato molto comodo. Da pochissimo tempo arriva un tram e gli autobus al capolinea portano tutti la pubblicit del Teatro degli Arcimboldi cio la struttura costruita con l'intenzione di sostituire il Teatro alla Scala di Milano. Qui, tra gli edifici dell'Universit, gli unici bar disponibili sono quelli interni alle diverse facolt e nient'altro !!! Eppure di gente qui se ne muove, di giorno e di notte. Girano indaffarati, talvolta con passo veloce e incalzante mentre altre volte con passo lento e pi rilassato: sono gli studenti che popolano quotidianamente la vasta area dell'Universit e le strade vicine. Possono spostarsi per raggiungere i negozi di copisteria oppure qualche bar pi accogliente e rifornito di quelli interni alla struttura. Si muovono pi frequentemente a piccoli gruppi o a coppie, ma talvolta anche singolarmente. Il chiacchiericcio lo si coglie mentre ci si avvicina perch i toni non sono sguaiati e sono tutti piuttosto contenuti, "a modo". Questi corpi generalmente asciutti e longilinei si muovono con disinvoltura tra i resti e le macerie di palazzi ancora "sopravvissuti", i cantieri in perenne movimento e le pareti incombenti degli edifici del nuovo Ateneo e delle nuove residenze. Decido di cominciare direttamente tra i palazzi dell'Universit ad osservare senza infastidire .., ad una giusta distanza, l'aspetto estetico, le caratteristiche di stile e modo di porsi nella particolare relazione attraverso l'abbigliamento. "L'abito non fa il monaco" si dice ma .. vero che proprio nulla dell'"apparire" ci pu raccontare qualcosa di come una persona , di come si vuole raccontare, di come vuole interagire, di quello che pensa, di ci che vorrebbe essere, della sua "testa", dei suoi gusti, dei suoi pensieri e della sua cultura?E se poi il contatto continuo? Se giorno dopo giorno anche senza volere i suoi occhi osservano quel "panorama" cultural-abbigliamentale ?.. Se continui a "stare con lo zoppo non impari poi a zoppicare"? Non n apprendi la "zoppicit" o la "cultura dello zoppicare" ? Non "t'impregni" secondo Piaseriana memoria 1 ? E' questa cultura dell'abito condivisa nella Bicocca che voglio raccontare.."Il metalinguaggio dell'abbigliamento". I vestiti e tutto ci che ad essi sono collegati (scarpe, borse, gioielli, ecc.) fanno parte di una gestualit quotidiana che utilizza canali di pensiero poco inquadrabili. Vestirsi non come costruire una frase, un concetto, un pensiero. decisamente pi spontaneo e sicuramente anche sottoposto a influenze di diverso tipo: climatiche, di genere, culturali . Uno dei pi recenti modelli d'indagine sulla conoscenza e sulla costruzione delle culture ben descritto da M. Bloch (Bloch, 1996) suggerisce un'ipotesi, mutuandola dalla psicologia cognitivista, nota come "connessionismo". Questa logica non prende la forma lineare del linguaggio ma si organizza in reti pi o meno integrate, pi o meno complesse con pi o meno diverse modalit di lavoro. I modelli mentali formano "gruppi concettuali" che interagiscono tra loro molto pi velocemente, nelle pratiche quotidiane, del modello linguistico integrandosi con immagini visuali e altre modalit sensoriali. A mio parere l'abbigliamento pu ben adattarsi a questo modello nel suo percorso di costruzione di una "cultura"2 !! L'Universit della Bicocca costituita da diversi blocchi chiamati U. Quelli nei quali io ho condotto la mia indagine sono: U7 Facolt di: Scienze statistiche, Sociologia, Matematica e Informatica. U6 Rettorato, segreterie, Aula Magna. Facolt di: Giurisprudenza, Economia, Psicologia e Scienze della Formazione. U4 Facolt di: Scienze Geologiche e Geotecnologie. U3 Facolt di: Scienze Biologiche e Biotecnologie, Fisica. U1 Facolt di: Scienze ambientali. Premessa Guardando la fila alle casse del Bar interno ad uno dei blocchi.. subito mi rendo conto della difficolt di trovare un criterio 3 per "far parlare" i fruitori di questo spazio . Nomi di un'etnografia - antropologia senza tempo attraversano i miei pensieri (Levi-Strauss, Malinowski, Evans-Pritchard, Geertz, o Tedloch, Bloch, Piasere ecc., ecc.) ..: Ma come hanno fatto a scrivere 4 ? Per "farmi la tecnologia" come scrive Malinowski, utilizzo ci che mi pi consueto: i numeri 5! Piantando la tenda in mezzo al campo Osservo e poi annoto quante donne e quanti uomini mi scorrono davanti e, a grandi linee, quale tipo di vestiario indossano.

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DONNE n 64 Gonna: 5 (8%) Pantaloni: 36 (56%) Jeans: 23 (36%) UOMINI n 44 Pantaloni: 25 (57%) con cravatta : 2 (5%) Jeans: 19 (43%) Per gli uomini scontato indossare questo tipo di vestiario e quasi la met di loro indossa i Jeans (43%), per le donne che pur possono scegliere il pantalone indossato nel 92% dei casi. Nel corso di una mia intervista apprendo: "Osservando le altre ragazze ho notato che non portano spesso la gonna: a voi capita di usarla? E con che frequenza?" "Mah, se dovessi dare una percentuale direi che mi capita di utilizzarla il 10% delle volte, ma comunque sempre stato cos non sono mai stata una persona che usa molto quel capo" E poi ancora, sempre sorridendomi: "Effettivamente non la utilizzo spesso e di solito la uso maggiormente in inverno piuttosto che d'estate". Forse esiste qualche aspetto particolare che induce la scelta. Adesso mi rivolgo direttamente all'altra ragazza che finora annuiva a tutte le affermazioni della compagna quasi a dimostrare di condividere le sue affermazioni: "Anche io non porto molto la gonna perch meno comoda dei pantaloni !!" Poi ancora: "Lei indossa frequentemente la gonna quanto i pantaloni?", "No assolutamente, per me la gonna scomoda e poi, siccome non ne sono abituata, mi capita spesso di rompere le calze di nailon!!" Questo aspetto quindi della scomodit Crolla il mito e il prototipo della femminilit a favore di una maggiore comodit, praticit, maneggevolezza e "libert d'azione" che invece pu offrire l'utilizzo del pantalone. Inoltre esiste l'aspetto dell'essere pi o meno formali in quanto la gonna definisce indubbiamente quello che culturalmente vissuto come femminile, aggraziato, in "ordine" cio produttore di "genere" e "senso". Allora "chi porta i pantaloni? Tutti o quasi!!". Questo vecchio "modo di dire" rimanda a quando un tempo il ruolo di potere in un nucleo familiare veniva definito da questo capo di vestiario che investiva l'oggetto di un aspetto tra il feticcio e il simbolico In questi anni i ruoli femminile/maschile, materno/paterno, donna/uomo si sono sovrapposti, confusi, integrati, sfumati perdendo di fatto i confini netti che un tempo discriminavano i due soggetti. L'utilizzo cos frequente qui in Bicocca di questo capo, vuole forse sancire questo momento di passaggio, di transito da ruoli di "potere" a ruoli di "responsabilit" ? L'osservazione poi che questo evento compaia in modo abbastanza visibile all'interno di un'istituzione universitaria forse indicativo di un processo che sta evolvendo in termini sociali a partire proprio dai luoghi di cultura dove alcuni frammenti di questa divengono i germi di una nuova visione dei ruoli. E' da poco iniziata la primavera e l'aria, anche se a volte frizzante, si fatta pi mite. L'abitudine all'inverno la si scorge

ancora da quei pesanti cappotti, giacche o piumini che ora pendono al braccio o appoggiati allo schienale della sedia. La fila al Bar s'ingrossa e s'assottiglia a secondo della coincidenza con il termine o il cambio delle lezioni. C' molta luce nella stanza e da alcune finestre , lasciate socchiuse, entra "prepotente" un profumo di vento e sole .. L'umore comincia ad essere inquieto in questa stagione e lo si coglie nei toni delle voci altalenanti che talvolta si fanno fievoli e a volte divengono squillanti!! Allo stesso modo proprio non si sa come vestirsi..La mattina si esce che fa ancora freddo e gi dopo alcune ore non si sa come portarsi in giro la roba!.. Decido, qualche giorno dopo, di fare una verifica sull'impressione ricevuta rispetto alla preferenza dei pantaloni da parte del "gentil sesso". Stesso villaggiostessa tenda DONNE n 54 Gonna: 12 (22%) Pantaloni: 30 (56%) Jeans: 12 (22%) UOMINI n 51 Pantaloni: 29 (57%) cravatta 8 (16%) Jeans: 22 (43%) Giornata primaverile, tiepida, forse c' una festa di laurea. C' la tendenza a spogliarsi e ognuno porta pi vestiti di quelli che necessitano. C' molta confusione ed una gran parte della stanza stata riservata ad un gruppo di studenti con i loro parenti (?) Oggi s, vedo molta gente elegante: uomini con la cravatta, generalmente quelli gi di una certa et, donne in gonna e qualcuna con "taieur" . Che sia un'occasione speciale lo si coglie... anche dal clima di festa e di allegria che serpeggia tra quella gente ...E' la ricerca del dettaglio che colpisce... Per le donne l'intonazione dei colori tra i vestiti, le scarpe e le borsette (piccole e molto classiche). Poi ci sono i trucchi, le collane, gli orecchini e i bracciali, ma anche spille e quant'altro che decora i visi e le parti del corpo scoperte. L'abbigliamento racconta di tutto il tempo che gli stato dedicato . per gioco (nei dettagli originali) o per necessit (nei tratti pi scontati degli abbinamenti) !!! Tra gli uomini invece il formale concede poco spazio all'inventiva a scapito quindi della soggettiva creativit.Poche decorazioni e una sobriet che lascia l'occhio scorrere senza particolare attrazione senza. intrigare !! Chiacchierando sulla specificit dello stile formale o informale apprendo da una "docente": "In genere non bado molto allo stile perch non mi guardo in giro e soprattutto non sono interessata all'abbigliamento quindi non saprei come si vestono gli altri ! Mi sembra comunque che qui tra colleghi ci si vesta in modo abbastanza informale mentre nell'altro Ateneo dove lavoro generalmente tutti sono pi formali anche se le donne sono maggiormente libere nel senso che non si vestono con il "taieur" !!"

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CORTILE davanti all'entrata. Sole caldo ma temperatura fredda con leggero vento - L'entrata all'edificio riconosciuta come essere adibita a "zona fumo" e nuvole spesse o leggere si disegnano nell'aria l intorno. Un grande, grande cortile con piccole aiuole di piante ancora giovani incapaci di una consistente ombraLa gente sparpagliata a coppia o in piccoli gruppi anche se non mancano gli studenti solitari che leggono con concentrazione libri e appunti. Qui si respira la transitoriet, anche se a volte la permanenza pu durare qualche ora.. Luogo di appuntamenti. di incontri . di lettura. di passatempo.. di gioco. di discussione di breve pausa per una sigaretta. Forse tra qualche mese la stanzialit sar maggiore, ma non ci sono tavoli, le poche panchine non circoscrivono spazi piccoli e l'area non concede un'intimit di nessun tipo!! DONNE n 24 Gonna: 1 (4%) Pantaloni: 10 (42%) Jeans: 13 (54%) UOMINI n 24 Pantaloni: 7 (29%) Jeans: 17 (71%) Non difficile intuire i piccoli gruppi dai dettagli dei loro vestiti, nella scelta del "tipo di capo" ..qualcosa sembra raccontare la loro vicinanza..la presenza di uno stesso capo di vestiario nei diversi gruppi o coppie (maglioni anche se diversi o giacche anche se di taglio differente) presente in percentuale maggiore o almeno nella met dei casi. "Omologazione ? Principi d'influenzamento? ." L'aspetto bizzarro di una certa comunanza nella scelta dei capi d'abbigliamento laddove esiste una relazione affettiva, amicale o semplicemente gruppale un dato di fronte al quale mi sono dovuta soffermare. Niente di eclatante in termini di sfacciata visibilit ma comunque peculiare e convincente. D. Bohm (D. Bohm 1996) noto scienziato che si occupato di fisica quantistica riferisce che secondo questa ottica sistemi che hanno interagito tra di loro ad un certo istante, restano per sempre "inseparabilmente accoppiati" all'interno di ordini "implicati" non percettibili dai nostri sensi. Sono forse questi ordini che creano quel "contatto" che ho osservato? Gruppi pi grandi vociano con tono elevato perch l'ambiente ha una cattiva acustica ed difficile udirsi bene anche se ci si siede accovacciati a terra l'uno accanto agli altri ! Avvicinare qualcuno a volte pu essere frainteso perch questo spazio, pi di altri, aperto al pubblico e chiunque pu tentare un approccio anche se, la gran parte di chi si pu osservare, sembra provenire dall'ateneoL'aria frizzante ma c' il sole. ci si pu sentire bene e disponibili ai nuovi contatti .. sembra il giorno e il luogo adatto per provare a cogliere alcuni pareri sul tema: "Ma come ci si veste alla Bicocca?" L'osservazione pi che l'intervista mi sembra dia maggiori informazioni sul tema della mia analisi. Ma mi lancio ugualmente

alla ricerca di alcune risposte. (due ragazze) Dopo breve presentazione: "E quindi vorrei farvi alcune brevi domande, se avete qualche minuto" "No, grazie non c'interessa" risponde una di loro. Sorrido e spiego che non sto vendendo niente e che sto conducendo un'indagine etnografica. Comincio, forzando un po' l'adesione e faccio un esempio di domanda: "Il vostro abbigliamento cambiato frequentando l'Universit Bicocca?" La risposta mostra comunque una certa insofferenza all'intervista: "No, non particolarmente, mi vesto cos indipendentemente dal fatto di essere iscritta a questa Universit Certo non mi vesto pi come quando ero adolescente, ma tutto sommato i miei gusti sono rimasti abbastanza gli stessi" mi dice la ragazza che non era "interessata"."Ma quando venite qui vi vestite in un modo particolare?" "No, mi vesto nello stesso modo in cui mi vestirei se frequentassi qualsiasi altro luogo"risponde sempre la stessa ragazzaInsomma non c' nessuna particolare caratteristica nell'abbigliamento qui in Bicocca secondo queste due ragazze, ma sembra invece che qualcosa appaia come peculiare anche se poco "conscio" sentendo come risponde una ragazza da me intervistata subito dopo: "Ah! Si che bella antropologia e etnografia so che una materia di questa laurea che tra l'altro mi piace molto!!".. Questa ragazza decisamente pi disponibile!! "S credo che piano piano sono cambiata nel modo di vestire frequentando la Bicocca ma non so in che cosa e poi tutto sommato forse mi sembra che la gente qui si vesta come quella che gira fuori di qui!". Incontro un'altra donna che docente qui in Bicocca oltre ad esserlo anche all'Universit Statale. Quando la contatto sorride della richiesta inusuale e si dice disponibile anche se non ha molto tempo per rispondere. Come sempre inizio l'intervista con una domanda aperta e piuttosto vaga: "Il suo modo di vestire cambiato frequentando la Bicocca?" "No, non direi io non passo molto tempo a scegliere che vestiti indossare e ho sempre mantenuto questo stile anche frequentando questa universit. Devo anche aggiungere che non passo molto tempo qui, ne passo maggiormente nell'altra universit." "Tutto sommato le sembra che il frequentare la Bicocca l'abbia influenzata nel modo di vestire ?" "Mah .. non mi sembra proprio non credo di aver cambiato il mio gusto nel vestire!" Mi chiedo se esiste una qualche diversit frequentando i diversi edifici dell'Universit e quindi anche tra le diverse facolt . Sono incuriosita dal porre a confronto i bar .. Stessa tenda ma campi vicini BAR dell'U7 Poca gente .. si acquistano gelati. Sensazione di maggiore familiarit e vicinanza. DONNE n 52 Pantaloni: 19 (36.5%) Jeans: 33 (63%) Gonna: 0 (0%)

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UOMINI: 39 Pantaloni: 18 (46%) con cravatta 4 (10%) Jeans: 21 (54%) Non ci sono diversit di rilievo dal punto di vista numerico!! L'ambiente un po' pi riservato, pi piccolo, meno affollato e c' meno andirivieni. L'abbigliamento sempre quello di media stagione anche se mi soffermo maggiormente sui dettagli visto che la frequentazione da parte degli studenti meno massiccia. Osservo la "differenza di genere" che ancora una volta non sembra contraddistinguere molto i maschi dalle femmine. Eleganza? Non direi Abiti sportivi e comodi .. generalmente larghi e nelle donne attillati in vita. Tra gli spunti che lasciano supporre una diversit sono le femminee magliette corte che lasciano intravedere l'ombelico spesso abbellito da un "pirsing" e i relativi pantaloni a vita bassa scampanati in fondo. Questo forse l'aspetto pi peculiare: l'abbigliamento delle donne aderisce al corpo e lo disegna anche attraverso l'utilizzo di quell'"intimo" che a volte traspare (reggiseno con spalline trasparenti) e a volte s'intuisce (le linee dei "tanga" appena accennate attraverso i pantaloni). Il "vedo non vedo" al posto della "sfacciatamente esibito" delle minigonne o delle scollature audaci !! E i maschi? Camice ma soprattutto magliette di colori semplici e classici.. a volte larghe ed altre volte pi giuste. Cos semplici sono anche i pantaloni, tendenzialmente aderenti che non nascondono forme ma neanche le fanno troppo risaltare! "S ho notato anch'io che spesso sia ragazzi che ragazze usano i jeans e preferibilmente a vita bassa cos come anche i pantaloni. Questo s, si usano molto i pantaloni che vanno di moda quest'anno". Quindi Jeans e pantaloni a vita bassa per le donne o pantaloni un po' aderenti per gli uomini vengono notati anche dall'intervistata qui in Bicocca, soprattutto sembra vincente l'informale rispetto al classico. Questa sicuramente una delle caratteristiche rilevate anche dalla docente intervistata come riferiva pi sopra. A questo punto spontaneamente mi soffermo ad osservare i corpi dietro a questi abiti. Il modello di un fisico asciutto e slanciato parimenti ricercato sia nei ragazzi che nelle ragazze anche se nei primi i tratti che lasciano supporre una certa frequente attivit fisica vengono ancora valorizzati attraverso le maglie o i pantaloni un po' pi stretti!! BAR dell'U4 e U3 Profumo di peperoni..molta luce..ambiente aperto..(i caff fanno comunque schifo)..Molti giocano a carte DONNE n 46 Pantaloni: 23 (50%) Gonna: 0 (0%) Jeans: 23 (50%) UOMINI n 70 Pantaloni: 24 (34%) con cravatta 2 (3%) Jeans: 46 (66%)

Lo spazio entro al quale compreso anche il Bar e molto grande. Si struttura su due livelli: in basso molti tavoli e sedie intorno ad essi tutti occupati da studenti che studiano, chiacchierano e giocano a carte In alto si accede con pochi gradini ed oltre alla cassa, da un lato, c' il bancone del Bar con uno spazio per piccoli tavolini e qualche sedia. Anche questi sono per la maggior parte occupati da clienti che stanno consumando bevande fresche o gelati... L'aria infatti piacevolmente tiepida anche se la stagione non avanzata! Entra il sole caldo dalle grandi porte-finestre che riempiono un'intera parete di questo spazio. e c' tanta luce anche se siamo nel seminterrato!! Non noto nessuna donna con la gonna e mi sorprende visto che di solito almeno qualche esemplare si "osserva"!! Un'amica che lavora in Bicocca mi suggerisce: "Forse vero che le donne hanno smesso di portare la gonna per non avere i loro figli attaccati troppo a lungo". Si parla spesso del prolungamento dell'adolescenza e della Sindrome di Peter Pan soprattutto in riferimento al caso dei figli maschi. In questi anni si osservato in Italia un allungamento dei tempi di distacco e di uscita dei figli dalla casa parentale. Si interpretato questo fenomeno secondario agli eccessivi costi di gestione di una residenza autonoma collegandosi direttamente alla difficolt di accedere ad una attivit lavorativa sufficientemente remunerativa e sicura. La femminista degli anni 70, cio la donna attuale e la forse gi mamma da sufficienti anni, come si gestisce questa situazione? Che ruolo ha e sta interpretando ? Continua a portare "la gonna" come aveva fatto la sua mamma, e ancor prima la nonna, affinch ancora i propri figli possano attaccarvisi o ha deciso di "mettersi" i pantaloni ? Tutti qui, al Bar dell'U4 e 3 sono piuttosto informali ad eccezione di un paio di docenti che arrivano con giacca e cravatta per prendere un caff ! A dire il vero non so qual la loro professione, ma sono piuttosto avanti con l'et e l'abito serio e formale sembra definirli (l'abito in questo caso forse ha fatto il monaco!). Forse in questo caso la mia lettura influenzata dalla immagine culturale soggettiva, proprio nel modo in cui racconta Hannerz 6 . E' possibile supporre che, visto la relativa giovane et dei professori, questa possa influire nell'aspetto formale o informale del corpo docente? Nella mia breve esperienza pochi sono gli insegnanti che si vestono in modo classico ! Macchinette dell'U2 e U1 Poca gente nei corridoi silenziosi e poi..un angolo chiassoso..si mangiucchia e si parla..Alla ripresa delle lezioni ritorna il silenzio. DONNE n 15 Jeans: 4 (27%) Pantaloni : 11 (73%) Gonna : 0 (0%) UOMINI n 12 Jeans: 4 (33%) Pantaloni: 8 (67%)

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E' un caso o la norma qui? Un angolo al limite dell'edificio adibito a pseudo-bar Macchinette di diverso tipo distribuiscono bevande calde, fredde, merendine dolci o salate e gelati. L'aria calda ma nessuna di queste ragazze porta la gonna! Ancora si preferiscono i pantaloni e le magliette senza scritte o fantasie disegnate Semplici Anche pochi i "fronzoli": qualche anello un bracciale Una ragazza poco lontano, seduta fuma chiacchierando sommessamentePorta un paio di pantaloni neri stretti ma non aderenti. Accavallando le gambe con tranquillit mostra i calzini neri e le scarpe da ginnastica grigie con le quali sicuramente non fa dello sport perch sono molto nuove! Quando si alza maggiormente visibile la maglietta bianca anch'essa abbastanza stretta ma non aderente con una scritta in inglese ed uno stemma di una qualche universit americana. Girandosi mostra una felpa grigia allacciata in vita. Lascia per qualche istante abbandonate sulla sedia la borsa nera larga a spalla. Quando torna a sedere mi soffermo ad osservare i "gioielli" che indossa: orecchini puntiformiun girocollo di piccole pietre quadrate un bracciale a "filo" di tessuto con poche pietre Lui invece porta dei sandali infradito di gomma carini, dei pantaloni grigi larghi e piuttosto abbondanti che non disegnano le gambe ma la vita s. Sopra una maglietta color carta da zucchero con un disegno sobrio a croce tipo bandiera. Porta un orecchino all'orecchio destro ed anche lui ha una borsa grande a spalla larga Ed ora di andare I "Custodi della Bicocca" Figura di rilievo l'assume attualmente quello che un tempo era chiamato il "bidello". Se l'immagine e il prototipo era quello di un personaggio sciatto e mal vestito, ora questo ruolo ricoperto da giovani personaggi abbigliati di tutto punto. Provengono da una cooperativa esterna il cui nome scritto a caratteri visibili sul "badge" che portano sul risvolto della giacca blu. Dello stesso colore sono i pantaloni per gli uomini e la gonna per le donne. Sulla camicia bianca spicca una cravatta a strisce con gradazioni arancio-rosso-marrone. "Abbiamo la stessa divisa sia d'estate che d'inverno ed ora che fa caldo siamo obbligati a girare con la giacca". Non sono possibili deroghe o capi alternativi a quelli: "Neanche calze colorate o oggetti diversi" si lamenta una di queste custodi: "Cos non in altre strutture dove c' una maggiore tolleranza!".

Conclusioni Nella mia stesura etnografica ho in parte seguito mentalmente le suggestioni di Malinowski (Malinowski,1978) riguardo il raggiungimento dell'obiettivo che rimane sempre quello di "afferrare il punto di vista dell'indigeno": - l'anatomia della sua cultura attraverso la registrazione di schemi solidi e chiari7; - l'inserimento degli "imponderabili della vita reale e il tipo di comportamento"8 ; - la raccolta di affermazioni, narrazioni ed espressioni come documenti della "mentalit indigena" 9. Mutuando un pensiero di Wagner10 ho utilizzato una metodologia che, in alcuni aspetti, assume le caratteristiche di un "articolo scientifico" in quanto a me pi familiare. Ho potuto verificare quanto calzanti siano state le sue affermazioni e la loro validit quando dice: "Un antropologo fa esperienza, in un modo o nell'altro, del suo oggetto di studio: la fa mediante l'universo dei propri significati e quindi usa questa esperienza significativa per comunicare ci che ha compreso alle persone della propria cultura". (Wagner, 1992). Inoltre anche per Tedlock (Tedlock, 2002): "ci accorgiamo che i nostri grafici, tabelle, segni algebrici sono manufatti assai specifici, del tutto depurati dalla presenza di voci di altre culture". L'oggetto del mio studio pu sembrare marginale ma, come afferma Malinowski (Malinowski 1978): "L'etnografo che lavora sul terreno deve, con seriet ed equilibrio, percorrere l'intera estensione dei fenomeni in ogni aspetto della cultura tribale studiata, senza distinzione tra ci che banale, incolore o comune e ci che lo colpisce come straordinario e fuori dal consueto". Dunque questo stato il mio punto d'accesso .. la mia prima esperienza etnografica. che ritengo la valida opportunit di sperimentarmi "sul campo". E, allora come ricorda Geertz (Geertz, 1986): "Ci si pu muovere tra le forme in cerca di unit pi ampie o di opposizioni da cui ottenere informazioni. (..) Ma quale che sia il livello a cui si opera, e per quanto complesso, il principio guida lo stesso: la societ, come le vite umane, contengono la propria interpretazione. Si deve solo imparare come riuscire ad avervi accesso".

NOTE
L. Piasere, 2002: pag.160. "Visto che nella vita, come nella scienza, si trova solo quello che si cerca", Evans-Pritchard, 2002. 3 "Prima di andare avanti con il kula, sar bene dare una descrizione dei metodi usati per raccogliere il materiale etnografico", Malinowski, 1978. 4 "Un breve schizzo delle tribolazioni di un etnografo, come le ho vissute io stesso (.)", Malinowski, 1978. 5 "I risultati della ricerca scientifica in ogni ramo del sapere devono essere presentati in modo assolutamente imparziale e sincero",
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Malinowski, 1978. 6 "() sembrerebbe utile pensare in termini di combinazione di influenze culturali nell'individualit specifica, da una parte, e dall'altra di risonanza estetica ed intellettuale di quella stessa individualit nella cultura collettiva" (corsivo mio), Hannerz, 2001. 7 "Il metodo della documentazione statistica concreta il mezzo con cui deve essere elaborato un tale schema", B. Malinowski, 1978 8 ibidem. 9 ibidem. 10 "l'antropologo usa la propria cultura per studiare le altre e per studiare la cultura in generale", R. Wagner, 1992, pag. 16.

BIBLIOGRAFIA
Bhom D., Universo mente materia Ed. Red 1996. Bloch Maurice, Linguaggio antropologia e scienze cognitive da Borowsky, L'antropologia culturale oggi, Ed. Meltemi. Geertz C., Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna, 1986. Hannerz U., La diversit culturale, Ed. Mulino, 2001. Malinowski B., Argonauti del Pacifico Occidentale, Newton Compton, Roma, 1978. Evans-Pritchard, Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, Cortina, Milano, 2002. Piasere Leonardo, L'etnografo imperfetto, Ed. Laterza, 2002. R. Wagner, L'inversione della cultura, Ed. Mursia, 1992. Tedlock D., Verba Manent, Ed. l'Ancora del Mediterraneo, 2002.

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L'Universit Bicocca:
il bar dell'U7
di Stefania Carbonelli

PREMESSA La scelta del mio "campo" stata piuttosto travagliata. Era il mese di marzo di quest'anno, e dovevo per la prima volta in vita mia "fare un'etnografia". Gi il concetto non mi era assolutamente chiaro, "l'etnografia la rappresentazione della differenza che fanno gli antropologi" ci era stato detto al corso, "bisogna prestare attenzione alle modalit con cui si rappresenta la differenza". Ma come si fa a rappresentare la differenza? Ci era stato detto che non si pu insegnare, ma si pu imparare, non c' una via unica, non c' un manuale. Con qualche incertezza scelsi il bar dell'U61: innanzitutto perch era l'unico bar che frequentavo e poi perch mi sembrava un posto gradevole, sempre in relazione alla Bicocca, naturalmente E poi nei bar succedono tante cose, ne avevo frequentati alcuni a lungo e di cose ne avevo viste parecchie, sapevo che sono luoghi dove pu succedere molto e soprattutto sapevo che potevo fare bene l'osservatore partecipante, secondo il famoso metodo malinowskiano2. Ma proprio questa mia idea, che poi l'idea che si ha comunemente del bar, fu ci che all'inizio mi trasse in inganno, ma che poi si sarebbe rivelata la chiave della mia ricerca etnografica. Quindi cominciai: prima l'osservazione esterna, quindi l'"entrata"nel campo, la chiacchiera coi baristi, poi con le persone alla cassa, poi qualche chiacchiera con studenti e operai3. Eppure la situazione non si sbloccava, non riuscivo a entrare, non riuscivo a cogliere qualcosa che fosse veramente significativo, mi sembrava tutto artificioso, formale. Soprattutto mi aveva colpito il fatto che i ragazzi che lavorano dietro il banco non avessero mai un momento di pace: per esempio se in un momento di calma si mettevano a chiacchierare con qualche cliente, venivano immediatamente richiamati dalla cassiera per qualche servizio, pulire i vetri, lavare per terra o altro. L'atmosfera non era per niente rilassata, o forse ero io a sentirla cos. Non c'era nulla l dentro che richiamasse in qualche modo l'idea del bar esterno. Ero molto depressa, provai a cambiare "campo", scelsi l'Happy bar4, stessi approcci, sensazioni diverse, ma sempre negative forse ero io. Su suggerimento del Prof. Manoukian decisi per l'ultimo tentativo, il bar dell'U75 . Ero veramente scoraggiata, se fosse andata male anche l, avrei mollato l'etnografia. E non capivo perch il professore mi avesse consigliato quello, a me sembrava cos squallido.

Cominciai la stessa trafila, erano le 11,10 di venerd 4 aprile 2003. IL LUOGO Si trova al primo piano dell'edificio, in fondo al secondo corridoio a sinistra, in posizione simmetrica rispetto alla mensa si apre una grande porta di vetro con quattro ante. Sulla destra il muro rientra. C' un bancone al muro con degli sgabelli. Sopra c' un cartello con la scritta "Si prega di portare le tazze al banco". Sempre sulla destra ci sono poi i tavolini: ce ne sono diciannove piccoli , ciascuno con quattro sedie (possono variare di numero se i gruppi sono composti di pi di quattro persone), e uno grande che ho visto usare per festeggiare le lauree. I tavoli, a differenza di tutto il resto dell'arredamento della Bicocca, non sono fissati al pavimento. Questo un elemento importante perch l'arredamento fissato a terra della Bicocca ha una valenza metaforica molto forte, d l'idea di un'immobilit raggiunta, di un ruolo che deve restare fisso; le sedie nelle aule, le cattedre, i tavolini per lo studio lungo i corridoi, perfino le panchine del cortile di Piazza dell'Ateneo Nuovo (il luogo per eccellenza per il tempo libero) sono fissate a terra. I tavolini del bar si possono unire, permettono di formare gruppi pi grandi delle quattro persone e questo permettere la mobilit mi balzato subito all'occhio, ho pensato subito alla socializzazione. Sono anch'essi in ciliegio, come le sedie, con un piedestallo in metallo come la base. Sempre sulla destra c' una grande vetrata che d su un terrazzo di circa 30 mq., che a sua volta d sui cantieri. E' quasi sempre chiuso. Solo una volta ho visto che era aperto e i ragazzi se ne lamentano, vorrebbero uscire a fumare, stare all'aria aperta. Anche se quel terrazzo d sui cantieri, per la verit, e il paesaggio non particolarmente attraente. Proprio di fronte alla porta, alla distanza di una decina di metri, c' la cassa , del tutto simile alle classiche casse dei bar. A sinistra della cassa c' il contenitore dei gelati e poi quello verticale della Coca-Cola per le bibite. A destra c' il banco delle patatine. Dietro la cassa (come negli altri bar dell'U6 e dell'U3, ma l non dietro la cassa) c' un grande pannello della Coca-Cola. Prima di osservarlo attentamente pensavo fosse una storia; invece si tratta di un insieme di singoli quadri a fumetti con ragazzi e ragazze che parlano di argomenti eroticosentimentali e di "attracchi" avvenuti attraverso la Coca-Cola. Questa una tecnica usata spesso in pubblicit, l'abbordaggio

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che avviene attraverso un prodotto; basti pensare, in questo periodo, alla pubblicit del nuovo cornetto Algida soft. Il grande pannello del bar fa un effetto trompe-l'oeil, quelli che arrivano se lo trovano subito davanti e non possono non esserne colpiti, soprattutto i giovani. Il pavimento in linoleum blu con dei cerchiolini in rilievo, come quello delle aule. Le pareti sono fino a met del muro in ciliegio e poi bianche. Solo la parete dietro il bancone blu lucido, di un altro materiale. Guardando la cassa a sinistra ci sono due grandi finestre con le tende e un'altra a destra. Il bancone verde lucido sulla parte verticale con la classica sbarra a circa un metro da terra. Comunque l'arredamento standard in tutti i bar. Poi sulla sinistra , attaccata al bancone, c' la vetrina dei panini. Entrando, appena a sinistra, quasi davanti alla vetrina dei panini, c' una colonna a parallelepipedo con i prezzi e la pubblicit della Coca-Cola. I prezzi sono classicamente divisi in caffetteria, panini semplici, panini speciali, bibite, alcolici e 4 menu: 2 combo colazioni, 1 combo pizza rotonda, 1 combo pizza al trancio. Sotto ci sono un po' di locandine: dalla pubblicit di un concerto alla vendita di gattini, insomma una specie di spazio bacheca. Alla base della colonna ci sono due contenitori per i rifiuti. La grandezza del locale di circa 130 mq. Entrando l'atmosfera che si respira proprio diversa da quella del bar U6. Sono, come dicevo, le 11,10 di venerd 4 aprile 2003. Sento subito un clima e un'atmosfera decisamente pi distesi e rilassati che nell'altro bar. Forse ( il parere di uno dei ragazzi con cui ho parlato) perch qui tutto pi aperto e hai quindi pi respiro e un senso di controllo dello spazio in cui ti muovi. Se uno viene a cercare qualcuno vede immediatamente se c' o non c', " meno dispersivo". Mi stato anche detto: " Questo pi piccolo, quadrato, quasi pi intimo. Il bar dell'U6 sembra un bar dell'autogrill. Certo pi bello, ha i divanetti, ma entri, fai la coda e poi giri a sinistra, il percorso obbligato". E proprio questo senso dello spazio pi incuneato, questo percorso obbligato non sono sensazioni piacevoli. Forse anch'io di l avevo provato la stessa sensazione. A quest'ora non c' molto lavoro. Ai tavolini ci sono solo studenti. C' una signora molto infiocchettata alla cassa. Il barista mi dice subito che i primi tre giorni della settimana c' molto pi movimento. Parlando con due studentesse di sociologia vengo a sapere che da quando ha aperto la mensa dell'U6 molte persone si sono spostate di l per il pranzo. La seconda visita mercoled 16 aprile, verso le 12,30. Sono molto pi rilassata della prima volta, mi sembra perfino un po' meno squallido. Mi siedo, mi unisco a un gruppo di studenti, due di statistica e due di scienze dell'educazione. Si mettono a chiacchierare volentieri del bar: "Non certo un posto di ritrovo, si viene gi in gruppo per consumare qualcosa. Cos'ha di diverso dall'U6? Che l si va per broccolare. Qui pi rilassante, pi informale. Anche i panini non sono male. No, non ci si ferma a lungo qui non si pu fumare. S, veniamo anche la mattina, a fare colazione. E poi veniamo a bere grappa, sambuca. Noi [sono i due di statistica a parlare] beviamo prima degli esami. Il barista?

La piazza sua, simpatico e poi ci prova con tutte le ragazze". Cominciavo a entrare in risonanza, usando il concetto della Wikan di cui parla Piasere, "un'abilit - volont di agganciare l'esperienza di altri e di assumerla con coinvolgimento [] quel sentire-pensare che permette di cogliere non i "discorsi", ma ci che la gente realmente6. dice, quegli "aspetti di essere nel mondo e di agire nel mondo, attraverso i quali solamente i concetti nascono vivi" (Wikan 1992:471) . Ogni volta che tornavo gli studenti con cui parlavo (prevalentemente di sociologia, scienze della comunicazione e scienze della formazione, a volte in compagnia di altri di informatica ed economia, ma perch portati qui dai primi) mi confermavano le stesse cose: " S, si sta meglio di qua perch meno dispersivo [] il barista simpatico. Se ci piace? S, lo troviamo un posto gradevole". Ecco, quest'ultima affermazione mi pareva strana"un posto gradevole". La risonanza andava e veniva. Visto con l'occhio del visitatore esterno il bar in questione non sembra certo gradevole. Forse perch si molto abituati ai ricchi bar milanesi, puliti, ben arredati, con un sacco di panini in vista la mattina e di stuzzichini di tutti i tipi da met pomeriggio in poi. Coi camerieri con la divisa, magari dei fiori sui tavolini, i quotidiani in vista, una bella ragazza alla cassa. Per anch'io cominciavo a sentirlo come un posto pi gradevole rispetto alle prime volte. Le mie visite continuavano con una scadenza bisettimanale. Lorenzo (il barista di cui sopra) oramai mi conosceva e mi salutava e mi aveva presentato ai suoi colleghi. Anche le chiacchiere ai tavolini continuavano "Noi lo alterniamo con l'altro bar7 [parlano quattro ragazze che stanno frequentando un master di matematica applicata], il barista molto socievole, ma bisogna sempre riportare le tazzine No, non un luogo di socializzazione. La signora della cassa a volte antipatica, vuole sempre le monetine.. In genere, per, gentile." Sei studenti di sociologia "D'inverno siamo sempre qua. Ci veniamo perch pi comodo per noi, pi vicino. Ci fermiamo anche delle mezz'orette e poi i camerieri sono pi umani, pi comunicativi. Questo un bar pi simile ai bar classici c' quasi sempre la stessa gente sembra di andare in un posto noto". Anche l'arrivo qui all'U7 pi semplice, pi aperto rispetto a quello dell'U6; al primo piano dell'edificio, in fondo al corridoio, lo vedi distintamente da lontano. Quello dell'U6 non lo vedi, ci arrivi attraverso un percorso pi stretto, pi chiuso. E' al pianterreno, ma d l'idea di essere in un seminterrato. La prima volta meglio che qualcuno ti ci porti. Certo ci sono le indicazioni, ma in Bicocca non sono cos chiare e immediatamente visibili e in quel bar non ci puoi arrivare per caso. E le porte non si vedono, anche quando sei nelle vicinanze sono laterali rispetto allo sguardo. E anche qui mi veniva in mente un altro autore, Clifford, che ha sottolineato con forza l'importanza del viaggio nell'etnografia post-moderna 8. Ha proposto di anteporre strade, vie di

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comunicazione, rotte navali, itinerari (routes in inglese) alle radici (roots). Anteporre i percorsi ai campi significa per l'etnografo ammettere la funzione conoscitiva essenziale del tragitto spaziale e culturale che egli stesso costretto a compiere per arrivare a comprendere l'interconnessione tra le culture e non pi per giungere a impadronirsi dei contenuti di un'unica isolata realt. E l'arrivo al bar dell'U7 pu essere considerato un viaggio e quindi venire a essere una parte del campo. Certo forse mi stavo allargando troppo, ero troppo suggestionata dagli autori che avevo letto, ma comunque mi sembravano ipotesi plausibili, applicabili anche alla mia piccola etnografia. E il viaggio per arrivare al bar dell'U6 anche a me non piaceva mica tanto, era un po' claustrofobico. Ripensavo alle mie prime visite da osservatore in quel bar, proprio quel tragitto mi metteva gi un po' di cattivo umore. Forse stavo mischiando un po' troppo i miei pensieri con quello che mi dicevano gli studenti, ma forse doveva essere proprio cos. D'altra parte Lvi-Strauss aveva scritto:" in una scienza in cui l'osservatore ha la stessa natura del suo oggetto, l'osservatore stesso una parte della sua osservazione" 9. E Piasere scriveva: "l'osservazione partecipante non solo si esercita in situazioni che restano tendenzialmente naturali: gli etnografi conoscono come conosce la gente comune, con un aumento di attenzione"10 . E' frequentato da studenti, professori e personale amministrativo. Naturalmente la maggior parte degli avventori sono studenti. E studenti sono anche quasi tutti coloro che si fermano ai tavolini per una pausa un po' pi lunga, durante la quale io m'inserivo. " Anche se questo non un posto di ritrovo - continuavano a confermarmi - non comunque un posto dove ci si d appuntamento per andare da qualche parte. Ci si sta un po'. Non si pu fumare e quindi un luogo dove non ci si ferma". Per alcuni un posto di passaggio, per quasi tutti l'occasione per una pausa. Alcuni lo assimilerebbero agli altri bar, altri no. I prodotti come qualit sono medio-bassi e il rapporto qualit-prezzo non buono. Uno studente di informatica dice:"Ci vorrebbe della musica e anche un paio di video-poker e un biliardo; sarebbe pi coinvolgente. E poi ci vorrebbe il servizio ai tavoli e l'happyhour". Arrivava qualche riferimento ai bar esterni. Qualcuno cominciava ad avere un'associazione coi bar esterni. Non ero l'unica a pensare ai bar esterni, ad altri bar Una studentessa di sociologia concordava e lo trovava gradevole esteticamente"Direi che va bene cos. Al massimo ci vorrebbero i braccioli alle sedieNo, non neanche tanto diverso da un bar normale, l'unica differenza che in universit". Io penso "ma quantomeno qualche poster appeso alle pareti", ma non lo dico. E lei continua "Ma no, io ci vengo volentieri, e poi Lorenzo simpatico". Lorenzo comincia a saltare fuori in tanti discorsi. Lo guardo. Oggi alla cassa. In effetti molto socievole, ha una battuta per tutti, con gli uomini tendenzialmente parla di calcio, alle donne sorride. Il bar giudicato gradevole da quasi tutti e, tutto sommato, non cambierebbero nulla. Anzi alcuni lo trovano abbastanza simile a

un bar normale, forse pi rilassato.Tutto questo m'impressionava abbastanza. Voglio dire, palese che un bar squallido e piuttosto freddo. Ma la capacit di adeguarsi dei frequentatori impressionante. Dei frequentatori della Bicocca? Degli studenti in generale? Di tutti? Mentre a casa scrivo sul mio computer con la finestra aperta, sento il tram che passa sotto il mio palazzo. Mi affaccio, guardo l'edificio di fronte, il bar, le persone sedute ai tavolini sul marciapiede mentre passa il tram, le auto, il cemento e tutto ci che una trafficata via di Milano pu offrire in una giornata d'estate ; penso alla mia capacit di adeguarmi, alla capacit di adeguarsi e alla capacit di adeguarsi dei miei nativi. Forse si tratta della stessa attitudine declinata in modi diversi. Quel bar che a me sembrava cos squallido all'inizio, assolutamente impersonale, cos diverso dal bar che avevo in testa io, cos diverso dai bar della Statale degli anni '8011, non poteva essere raccontato con quella che Melucci chiama narrazione depressiva. "Di fronte al cambiamento che incalza, il futuro ci sfida ormai ogni minuto e cresce la percezione di vivere "attimi fuggenti": La tentazione allora quella di ancorarsi al passato fissandolo nell'immobilit. La narrazione depressiva fa del passato un mito delle origini e rende impossibile l'esperienza presente; nella coltivazione della memoria ci si rinchiude alle possibilit e alle sfide dell'oggi. Ma proprio per questo si alimenta continuamente il senso della perdita e si sprofonda nell'ombra oscura di un passato messo sotto vetro"12 . Ero a un bivio. "Un antropologo fa esperienza 13 , in un modo o nell'altro del suo oggetto di studio: la fa mediante l'universo dei propri significati e quindi usa questa esperienza significativa per comunicare ci che ha compreso alle persone della propria cultura.[] Un' "antropologia" che non supera mai i confini delle proprie convenzioni, che disdegna di investire la propria immaginazione in un mondo di esperienze, costretta a rimanere per sempre pi un'ideologia che una scienza. [] Cos gradualmente, nel corso del lavoro sul campo, vivendo in ambedue, diviene egli stesso [l'antropologo] il legame fra le culture, ed alla sua "conoscenza" e alla sua competenza che egli attinge quando descrive e spiega la cultura studiata. La "Cultura" in questo senso traccia un invisibile segno di uguaglianza fra colui che conosce (che arriva a conoscere se stesso) e colui che conosciuto (una comunit di individui che conoscono)"14. Dovevo andare di l. I miei bar della Statale, i bar della Milano di oggi, il bar dell'U7 dovevano incontrarsi. Non erano tanti gli elementi etnografici che avevo raccolto, anche perch mi sembrava che le cose si ripetessero, che in fondo tutti mi dicessero sempre le stesse cose. Ma forse proprio su questa mancanza di elementi dovevo lavorare. Dovevo capire che cosa c'era (e che cosa c') di specifico nel bar dell'U7. Che cosa fa s che le persone, gli studenti, i professori, il personale amministrativo vada pi volentieri l che in altri bar universitari. Che cos' il classico bar a cui un paio di studenti aveva alluso e che

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evidentemente l dentro ritrovava? Non era certo nell'arredamento che ho descritto, o nelle pizzette che sono la specialit del posto, secondo Lorenzo, il fido informatore. A cosa era dovuta quest'aria familiare di cui molti avevano parlato? Nel nostro immaginario, ma, azzardando un ossimoro, direi immaginario concreto, il bar conosciuto proprio un posto dove si va molto volentieri, che trovi di tuo gusto nell'arredamento, in cui entri e non devi neanche ordinare perch il barista sa gi esattamente come farti il cappuccio o il Negroni, dove spesso incontri persone che conosci con cui ti fermi a chiacchierare, magari seduto al tavolino. Dove arrivi solo, ti prendi qualcosa, ti metti a leggere il giornale e magari arriva un amico. Insomma un posto noto, che d una certa sicurezza, dove hai una certa confidenza sia con chi consuma, sia con chi ci lavora, che ti molto familiare e dove ti senti a tuo agio. In fondo alcune di queste caratteristiche corrispondevano proprio a ci che mi avevano detto i miei nativi, e anche a ci che penso io di un bar. Quello di fronte a casa mia, per esempio, in certi periodi della mia vita stata una specie di prolungamento del mio salotto. E i baretti universitari degli anni '80 che avevo in mente io?15 Quelli dove si andava nelle pause e dove si festeggiavano le lauree. Ce n'erano tre allora in Via Festa del Perdono: uno esattamente di fronte all'ingresso principale dell'Universit. Piccolo, ma un po' "fighetto" gi allora, gestito da una famiglia pugliese (o meglio da una serie di fratelli pugliesi) molto svelti, efficienti e soprattutto simpatici. Gli altri due, invece, pi dmod, ancora anni '70. Celebre il tabacchino. Ci si passava le ore fumando, bevendo e fingendo di studiare qualcosa. Noi studenti lo vivevamo in modo simile a quello con cui lo vivono oggi i miei nativi; venuto fuori dai loro discorsi che un posto dove rilassarsi, dove staccare, dove parlare tra una lezione e l'altra. Forse i tre elementi (baretti Statale, bar di oggi e bar U7) cominciavano a incontrarsi. CHI CI LAVORA Il bar aperto dalle 8 alle 17,30. E' in gestione a un privato, come tutti gli altri bar dei vari edifici della Bicocca, e ci lavorano due ragazzi, due ragazze, un pizzaiolo e un cuoco (questi due lavorano anche per la mensa) e una cassiera. Il vero punto di forza costituito da Lorenzo, un vero barista. Innanzitutto la maggior parte degli studenti con cui ho parlato lo ha nominato, qualcuno ha detto "la piazza sua", qualcuno lo ha trovato un po' invadente, ma ne ha comunque parlato come qualcosa di fondamentale e di caratteristico del posto. Lui parla veramente con tutti, scambia battute, alle ragazze fa i complimenti e coi maschi parla di calcio. Instaura immediatamente un rapporto confidenziale col cliente e sembra godere anche di una certa fiducia da parte del gestore perch spesso, quando manca la cassiera, si muove con grande disinvoltura. A me ha offerto il caff e si mostrato subito molto disponibile, pur dando la netta sensazione di tenere le distanze. E' l'unico che mi ha dato del "tu" da quasi subito (e questa una cosa che i baristi giovani fanno col cliente abituale, anche se non

coetaneo) e, rivolgendosi all'altro barista, mi ha definito una "ragazza", pur essendo evidente che non lo sono. Quello che si nota che spontaneamente dice sempre qualcosa che sicuramente gradevole per il cliente e che lo fa sorridere. Non riesce difficile immaginarlo ad ascoltare in un classico bar le confidenze di un cliente ubriaco. E senza mai dare giudizi. Probabilmente proprio lui una delle principali cause che fanno sentire questo bar simile ai bar esterni, proprio perch somiglia molto al classico barista e riesce a portare dentro un luogo che appartiene all'Universit qualcosa di esterno, qualcosa che gli avventori di solito trovano fuori, in posti conosciuti. E' probabilmente l'elemento che rende un posto obiettivamente piuttosto squallido un luogo gradevole, caldo e conosciuto. L'altro personaggio molto interessante, a cui gli intervistati hanno accennato in modo non particolarmente positivo, ma tutto sommato con simpatia16 , la cassiera: una signora sui 50, con gli occhiali, abbastanza in carne e soprattutto "molto leopardata" nella scelta dell'abbigliamento e piuttosto appariscente. E' stato uno degli elementi di lamentela degli studenti che dicono che non particolarmente gentile, vuole sempre la moneta. E in effetti una volta, mentre io stavo chiacchierando con un gruppetto arrivata chiedendo se avevano pagato. La caratteristica della suddetta signora che ha qualcosa che la rende simpatica e umana Occhialoni grandi, piuttosto spessi, capelli sempre in ordine, qualche problema di linea (si capisce da come si aggiusta con cura i vestiti, qualche volta un po' stretti); la prima volta in cui l'ho vista entrata con passo piuttosto lento, si guardata intorno e, come primo gesto, ha preso una brioche e l'ha addentata con gusto. C' qualcosa nel suo comportamento che la rende molto familiare, forse l'aria non proprio sveglia, forse qualche momento di disattenzione. Potrebbe proprio stare nel bar sotto casa. E qui non mai successo che dalla cassa si ordinasse a qualcuno dei camerieri, a voce alta, di pulire i vetri o di lavare il pavimento." Sembra un bar gestito da una famiglia" mi ha detto una ragazza a cui chiedevo che atmosfera si respirava. Comunque, se ero entrata col "pregiudizio" che questo fosse un posto esclusivamente di passaggio, mi sono resa conto che non lo , o perlomeno, non solo quello, proprio perch la gente ci si ferma. Che cosa contraddistingue questo luogo rispetto agli altri luoghi della Bicocca? Direi proprio il fatto che qui i flussi non sono di passaggio, non c' tutto quel "movimento" dei corridoi, degli ascensori, delle lezioni stesse. Qui, anche se non si viene per socializzare, si viene per staccare, per fermarsi, per una pausa "vera". E Lorenzo e la cassiera "leopardata" contribuiscono senza dubbio a dare quell'atmosfera pi "casereccia", pi da bar sotto casa che evidentemente cerchiamo. L'atmosfera pi rilassata dovuta anche al fatto che qui nessuno comanda a qualcun altro (come avveniva invece nell'U6) e che il personale stesso per primo ad essere rilassato. Penso alle parole di Wagner: "Ci che il ricercatore sul campo inventa, dunque, la propria comprensione; le analogie che crea sono estensioni delle sue nozioni e di quelle della sua cultura,

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trasformate dall'esperienza della situazione sul campo. Egli usa quest'ultima come una specie di "leva", come un'atleta fa con l'asta quando salta, per catapultare la sua comprensione al di l dei limiti imposti dai punti di vista precedenti. Se vuole che le sue analogie non siano affatto analogie, ma una descrizione oggettiva della cultura, far ogni sforzo per migliorarle in modo da renderle sempre pi aderenti alla sua esperienza. Dove trova discrepanze fra la sua invenzione e la "cultura" indigena quale egli arrivato a conoscerla, cambia e rielabora la sua invenzione finch le analogie appaiono pi appropriate e "accurate".17" CONCLUSIONI Recentemente sono tornata pi volte nel bar dell'U6 e devo dire che le sensazioni negative sono completamente scomparse. Sembra un posto molto gradevole, luminoso, i ragazzi del bar mi riconoscono sempre quando arrivo, sono molto cordiali e si lamentano del fatto di non essere stati pi interpellati. Mi vengono in mente un sacco di domande ora. Sono io che sono cambiata? E'stata la ricerca nel bar dell'U7? Ero io in un momento particolare, per cui non ho visto certe cose, mi

sfuggito tutto ci che vedo adesso? Anche qui i tavolini e le sedie sono mobili, me ne ero accorta subito, ma la cosa non mi aveva colpito assolutamente, non l'avevo associata all'idea di socializzazione, come mi successo di l. E le persone ai tavolini chiacchierano tranquillamente, come allora, e ora mi verrebbe voglia di inserirmi. Senz'altro cambiato qualcosa. Che cosa? D'altra parte l'etnografo una persona, con degli umori e degli stati d'animo variabili. Pu trovarsi pi o meno in sintonia con un posto e con le persone. Forse la ricerca mi ha in qualche modo cambiato, forse sono io ora in uno stato d'animo diverso. E d'altra parte l'etnografia quella di quel periodo, non di altri. In altri periodi di l, al bar dell'U7, succederanno altre cose e anche a me e a loro succederanno altre cose. E allora ci sar un'altra etnografia.

NOTE
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L'U6 l'edificio della Bicocca sede delle segreterie e dove si svolgono la maggior parte delle lezioni di Scienze della Comunicazione e Scienze della Formazione. Insomma l'edificio a me pi noto. 2 Leonardo Piasere, riprendendo Olivier de Sardan, scrive "osservazione partecipante. L'espressione pare sia stata impiegata per la prima volta nel 1924 non da un antropologo ma da un sociologo, Lindeman, legato, significativamente, alla scuola di Chicago []." In L.Piasere, 2002, L'etnografo imperfetto. Esperienza e cognizione in antropologia, Roma-Bari, Laterza, p.142. 3 Il bar dell'U6 frequentato anche dagli operai dei cantieri della Bicocca. 4 Non un bar all'interno dell'Universit, in Viale Sarca, angolo Via San Glicerio. E' comunque frequentato prevalentemente da universitari ed io lo vedo come una sorta di prolungamento dell'Universit. 5 L'U7 l'edificio dove si trova la facolt di sociologia. 6 L. Piasere, op. cit., p.148. 7 L'altro bar sempre quello dell'U6. 8 J.Clifford, 1999, Strade. Viaggio e traduzione alla fine del XX secolo, Bollati Boringhieri, Torino [1997]. 9 C.Lvi-Strauss, 1965, Introduzione all'opera di Marcel Mauss, in M.Mauss, Teoria generale della magia e altri saggi, pp. XV-LIV, Einaudi, Torino (ed.or. Sociologie et antropologie, Paris, 1955), XXXI, in corsivo nel testo. 10 L.Piasere, op.cit., p. 143. 11 Mi sono laureata alla Statale di Milano nel 1987 e ho quindi vissuto l'Universit negli anni 80. I baretti che c'erano in via Festa del Perdono allora sono evidentemente il mio riferimento per la vita universitaria. 12 A.Melucci, 2000, Culture in gioco. Differenze per convivere, Milano, Il Saggiatore, p.113. 13 In corsivo nel testo. 14 R.Wagner, 1992, L'invenzione della cultura (19812), Milano, Mursia, pp.17-18. 15 All'interno dell'Universit c'era un grande bar, unito per alla mensa. Direi che non aveva la funzione che hanno oggi i vari bar all'interno degli edifici della Bicocca, anche perch bisogna allontanarsi un po' per raggiungere i bar esterni, l'Happy bar di Viale Sarca, per esempio. Nella Bicocca di oggi tutto tende a svolgersi all'interno dell'universit. Noi, appena era possibile, uscivamo dall'Universit, anche tra una lezione e l'altra. I baretti erano subito fuori, insieme ai negozietti di vestiti, a quelli che vendevano borse, cinture e bigiotteria e a due celebri librerie. Una, Cortina, c' ancora; l'altra vendeva soprattutto pubblicazioni e quotidiani politici ed oramai chiusa da anni. 16 Questo non scaturito dalle parole che ho riportato, ma dalle espressioni del volto con cui sono state dette. 17 R.Wagner, op. cit., p.26

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La biblioteca.
Luogo del Sapere?
di Anna Canuto
Premessa "Andate, cercate e scegliete un luogo, una situazione.della Bicocca e fate la vostra etnografia". Questo stato pi o meno il senso del messaggio lanciatoci dal dott. S. Manoukian, docente del corso 'Metodi e Teorie della Ricerca Antropologica', durante la prima lezione. Il panico non mi ha afferrato immediatamente, forse perch ero troppo intenta a pensare alla scelta da compiere. In effetti, non ho neanche dovuto pensarci molto, perch nel puzzle di luoghi e situazioni che rappresenta questo enorme e, a prima vista, disordinato insieme che la Bicocca, mi apparsa in fondo, un'immagine che evocava e ancora evoca in me sensazioni meravigliose: la Biblioteca. Cos ho fatto la mia scelta, non pensata o ragionata, ma d'istinto, nata sostanzialmente dal mio innamoramento per i libri e dettata probabilmente da una visione forse "romantica" della biblioteca in s. Quasi un luogo dove entrare in punta di piedi, facendo attenzione a non disturbare nessuno, intorno a te lunghe, quasi interminabili, file di scaffali chiusi che salgono verso l'alto e che contengono dei meravigliosi oggetti di piacere, dalla forma rettangolare, di colore scuro quelli pi vecchi e dalle tinte vivaci quelli pi recenti, mentre nell'aria aleggia quell'inconfondibile profumo che solo la carta stampata possiede. Accanto alla mia visione 'romantica', ovviamente, ne esiste anche una pi reale che non si lascia trasportare dalla fantasia e che utilizza la biblioteca e il suo contenuto per scopi esclusivamente utilitaristici. Probabilmente, la sfida che mi sono posta con questa scelta stata quella di riuscire a scoprire che cosa era cambiato rispetto ai miei ricordi e se il fascino che provo per il libri rimaneva intatto. 1. Introduzione. 1.1. Un po' di storia La Biblioteca dell'Ateneo dell'Universit degli studi di Milano Bicocca nasce nel 1998 con la denominazione di "Biblioteca Centrale Interfacolt" quando la Facolt di Economia e quella di Giurisprudenza traslocano dallo loro sede originaria presso la Statale, per arrivare alla Bicocca, portando con s le proprie biblioteche. Viene poi successivamente arricchita, quando si trasferiscono in questo Ateneo anche le Facolt di Psicologia e Pedagogia della I Universit degli Studi di Milano. Inizialmente lo spazio utilizzato per ospitare la biblioteca era inferiore a quello attuale e anche gli arredi erano provvisori. Con l'attivazione successiva di nuove facolt e corsi di laurea la Biblioteca aumenta il proprio patrimonio bibliografico e, di conseguenza, anche l'utenza si differenzia. Accanto alla Biblioteca Centrale di cui si occupa questa ricerca, sorgono anche la Biblioteca di Scienze e quella di Medicina, ubicate direttamente nelle sedi che ospitano le suddette facolt. Ed appunto con l'approvazione del Regolamento della Biblioteca di Ateneo nel 1999 che nasce un sistema bibliotecario di Ateneo costituito da tre sedi, di cui la "Biblioteca Centrale Interfacolt" diventa la Sede Centrale che, secondo i suoi ideatori, dovrebbe permettere una razionalizzazione delle risorse e ovviare al problema della frammentazione delle piccole biblioteche di istituto che affligge numerosi atenei italiani1. 1.2. Come si presenta oggi Secondo l'ultima stima della fine del 2001, il patrimonio complessivo della biblioteca di circa 65.000 volumi, 1.965 testate di periodici, 341 opere microfilmate e 266 CD ROM. Per quello che riguarda l'offerta digitale, sono accessibili da tutte le postazioni in rete di ateneo 56 basi di dati e 2.700 periodici elettronici. Quasi tutto il patrimonio bibliografico disponibile a scaffale aperto 2 e direttamente accessibile all'utenza e collocato secondo la Classificazione Decimale Dewey (CDD). La Sede Centrale occupa una superficie di circa 4.000 mq, di cui 3.500 riservati al pubblico. La sala di lettura dispone di 6.000 m di scaffalatura, di cui 3.500 occupati e di 400 posti studio, di cui 16 per l'utilizzo da parte di utenti disabili. Sono disponibili inoltre 20 carrels 3 e 42 postazioni informatizzate per la consultazione del catalogo in linea e delle risorse elettroniche della Biblioteca. La Biblioteca situata al secondo piano dell'edificio U6 e si sviluppa su due livelli, il secondo dei quali stato studiato per essere collegato all'edificio U7. E' aperta dal luned al venerd con orario continuato dalle 9.00 alle 18.30 ed offre tutti i servizi tradizionalmente presenti in una biblioteca di Universit: consultazione in sede, prestito, prestito interbibliotecario e document delivery4 , corsi di formazione, reference5 e assistenza nelle ricerche bibliografiche, fotocopiatura 5. Vengono forniti in maniera "virtuale" ulteriori servizi quali cataloghi, accesso alle risorse elettroniche remote, selezione di risorse Internet, reference a distanza, collegandosi al sito www.biblio.unimib.it. 1.3. Il progetto La Biblioteca situata negli edifici che ospitano i dipartimenti umanistico-sociali e comprendono le Facolt di: Economia, Giurisprudenza, Psicologia, Scienze Statistiche e Demografiche, Sociologia. Questo insediamento universitario umanistico suddiviso in due edifici industriali preesistenti con una forma ad L che fanno da sfondo ad una grande piazza alberata divenuta luogo di sosta, riposo, socialit e incontro per gli studenti e che funge da copertura a un parcheggio interrato di due piani ad uso dell'Universit. Il progetto architettonico del polo umanistico dell'Universit degli Studi di Milano stato affidato, dopo la relativa gara d'appalto, allo studio di architettura Gregotti Associati che si occupato e continua ad occuparsi della trasformazione dell'area complessiva della Bicocca. Sicuramente il progetto si scontrato con le difficolt insite nell'opera di

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recupero di grandi manufatti industriali a cui andava conferita una nuova identit funzionale, dato che avrebbero dovuto ospitare, spazi per la didattica, per la ricerca e i dipartimenti, la biblioteca, i laboratori linguistico e informatico e tutta una serie di servizi di supporto per gli studenti e i professori. I due edifici sono collegati da passerelle e la Biblioteca Centrale collocata proprio in un punto di 'cerniera' dell'edificio pi a nord, direttamente connessa alle suddette passerelle che sovrastano la strada. Il progetto che riguarda l'allestimento interno della Biblioteca iniziato nel 2000 e si basato su un gruppo di lavoro di cui hanno fatto parte, oltre agli architetti dello Studio Gregotti, personale della Biblioteca e della societ Progetto Lissone che si aggiudicata la realizzazione del progetto. Nel corso del 2002 il progetto stato definitivamente completato, ma la Biblioteca in questo periodo di tempo, non ha mai smesso di fornire i propri servizi. 1.4. Oggetto, metodo e fine della ricerca Nel momento in cui ho scelto la Biblioteca come oggetto del mio studio, non avevo ancora la pi pallida idea di come affrontare tale ricerca, su che aspetto dello stesso oggetto puntare maggiormente la mia attenzione e quali dovevano essere le procedure e metodologie da seguire. Come gi esposto nella mia premessa, la mia scelta istintiva della 'Biblioteca' era stata dettata da questo mio 'primordiale' amore per i libri in generale, sia come oggetto in s, che per ci che racchiudono: "Il Sapere". Quando ho affrontato 'fisicamente' e per la prima volta l'oggetto della mia ricerca, mi sono scontrata con una realt ben diversa da quella che avevo immaginato e all'inizio, ho faticato ad accettare il fatto che la mia idea di biblioteca era alquanto sorpassata e che le biblioteche 'moderne', soprattutto quelle universitarie, ma anche quelle cittadine, venivano pensate e progettate con criteri completamente diversi. Fortunatamente a quel punto mi venuto in aiuto B. Malinowski che nell'introduzione alla sua opera pi famosa dice: "Se un individuo parte per una spedizione deciso a provare certe ipotesi e non capace di cambiare costantemente le sue opinioni e di rigettarle sotto l'evidenza schiacciante, inutile dire che il suo lavoro sar privo di valore. Le idee preconcette sono dannose in qualsiasi lavoro scientifico"7 . Cos, tenendo sempre a mente questo monito, ho affrontato il 'campo'. La mia passata esperienza di frequentazione bibliotecaria, si limitava alla Biblioteca di Istituto della Facolt di Lingue orientali di Ca' Foscari a Venezia, della Biblioteca Generale di Ca' Foscari e della Biblioteca Marciana, sempre a Venezia, negli anni tra il 1978 e il 1984. A parte qualche piccola ricerca, il mio utilizzo della biblioteca stato prevalentemente di uno spazio dove studiare, in tutta tranquillit, dove all'occorrenza si potevano consultare dei libri e dove anche socializzare, ovviamente negli spazi adiacenti le sale di lettura, nelle quali si doveva tenere un religioso silenzio. Le suddette biblioteche erano (uso il passato,

non avendole frequentate di recente) tutte di tipo consultivo conservativo, nelle quali l'utente faceva la sua ricerca nello schedario cartaceo dell'opera, per autore o soggetto, portava la sua richiesta ad un addetto, il quale provvedeva a fornire l'opera richiesta. In un primo momento, ho osservato, per rendermi conto il pi possibile di come fosse cambiato il mondo delle biblioteche e, per capire cosa dovevo aspettarmi, ho cominciato a frequentare la biblioteca, come un qualsiasi altro studente, in diversi orari della giornata, utilizzando i servizi e gli strumenti messici a disposizione, misurandomi con la ricerca dei libri sul catalogo in linea (OPAC) o, pi semplicemente, sedendomi con un libro aperto in una delle sale di lettura aperte o in una delle tante 'celle'8 , cercando di assorbirne l'atmosfera, i suoni, i coloriIn un secondo momento, ho iniziato col fare delle interviste non strutturate agli studenti che si fermavano nelle postazioni dove si trovano i terminali ubicati subito dopo l'ingresso, pensando che fosse l'unica 'zona franca', in cui non correvo il rischio di disturbare. Le domande da me poste sono state del tipo: 1) A che anno sei iscritto? 2) A che facolt? 3) Quando frequenti la biblioteca? 4) Perch frequenti la biblioteca? 5) Trovi della difficolt nella ricerca bibliografica? 6) Sei soddisfatto circa l'offerta del materiale bibliografico? 7) Ritieni che la biblioteca sia ben organizzata? 8) Ti piace dal punto di vista architettonico e degli arredi? 9) Ritieni che sia un luogo abbastanza silenzioso? 10) E' un luogo che tu sceglieresti per socializzare? 11) Se tu potessi cambiare qualcosa della biblioteca, cosa cambieresti o miglioreresti? 12) Sai perch le salette pi piccole sono state chiamate 'celle'? La scelta della persone a cui fare le domande stata inizialmente piuttosto casuale, poi ho deciso di concentrarmi maggiormente sui collaboratori9 . Tale scelta motivata dall'idea che essi potessero fornirmi un doppio punto di vista: quello dello studente che utilizza i servizi della Biblioteca e quello del lavoratore che impara a conoscere il luogo dal di dentro. Infine, ho intervistato il direttore della Biblioteca, il dott. Maurizio di Girolamo, per avere anche un punto di vista di una persona coinvolta maggiormente nell'oggetto della mia ricerca. Il fine del mio studio stato quello di 'scoprire' i cambiamenti, relativamente al come viene pensata una biblioteca oggi e al come viene vissuta dagli studenti che la frequentano, per capire se i fini che si propongono i suoi ideatori sono condivisi e sentiti dai suoi fruitori. 2. Descrizione Salgo al secondo piano dell'edificio U6 che ospita la Biblioteca Centrale, seguo le indicazioni che mi portano al suo ingresso, una porta a vetri di fianco agli ascensori, oltrepassata la porta, sulla destra, un lungo bancone in legno chiaro dietro il quale seduta

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una ragazza giovane. Davanti al bancone collocato un sistema di controllo che consente l'accesso previo il riconoscimento di badge magnetici di cui sono forniti gli studenti iscritti all'Universit, i professori e il personale tecnico-amministrativo e che devono essere inseriti nell'apposita fessura (molto spesso tali badge si smagnetizzano e bisogna andare in segreteria per farli rimagnetizzare)10. Superata questa prova, si arriva in una sala dove sono collocati due banconi con dei terminali per consultare il catalogo in linea (OPAC) e qui arrivano le prime difficolt, nel senso che per la prima volta mi trovo a cercare dei libri digitando delle parole su una tastiera e cercando di districarmi tra le varie sigle che appaiono sullo schermo. Alla fine, un po' osservando quello che fanno gli altri e un po' andando per tentativi, mi sembra di capirci qualcosa. La sala illuminata da ampi finestroni che si affacciano su di un cortile interno e sulle pareti sono affissi dei cartelli che ricordano che si deve fare silenzio e che vietato l'uso dei telefoni cellulari (divieto non preso in considerazione dalla maggior parte dei frequentatori). Continuando nella mia osservazione, noto di fianco ai terminali, sulla destra, due porte a vetri opachi. Dietro la prima situato l'ufficio del vice direttore, dott.ssa Federica De Toffol, e della sua segretaria, mentre dietro l'altra si trova l'ufficio del reference e prestito interbibliotecario. Proseguendo, sulla sinistra, si trova il servizio fotocopie (al momento non in funzione), mentre sulla destra collocato l'ufficio aperto dei prestiti. Da quel punto si sviluppa la biblioteca con le sue scaffalature aperte posizionate lungo i muri perimetrali dei corridoi, delle sale e delle cosiddette "celle". Ogni cella contraddistinta da una lettera dell'alfabeto legata alla classificazione delle opere 11 ed al suo interno c' un piano soppalcato al quale si accede con una scaletta, anch'esso scaffalato. Su due lati della biblioteca si trovano i 20 carrels, 10 per lato. Esiste, come gi ricordato, anche un secondo livello della biblioteca, formato da balconate percorribili che si affacciano sul livello sottostante e in cui si trovano altre scaffalature, ma al quale non si pu accedere se non accompagnati da qualcuno del personale. Tutto il luogo molto luminoso perch lungo tutte le pareti si aprono delle finestre molto grandi, prive di tende (l'unico spazio un po' buio l'area adibita alle fotocopie e il prestito), il pavimento in materiale plastico grigio e gli arredi (le scaffalature, le sedie e i tavoli di studio) sono in legno chiaro tipo frassino, colore che ritengo essere molto riposante. Solamente le riviste sono collocate su scaffalature in metallo nelle quali viene esposto l'ultimo numero della rivista, mentre i vecchi numeri della stessa si trovano sollevando lo scaffale. Direi che l'immagine generale, a prima vista, quella di un luogo semplice lineare, pratico, luminoso, con spazi a diverso grado di riservatezza. 3. Osservazioni. Considerazioni Entro in biblioteca, cammino lentamente facendo scorrere lo sguardo ovunque cercando di captare qualsiasi segnale, di registrare qualsiasi immagine, di scoprire tutto ci che potrebbe essere utile alla mia ricerca. La mia "prima volta" mi siedo attorno ad uno dei tavoli collocati in una delle sale di passaggio, apro il mio libro e, fingendo di studiare, osservo con la coda dell'occhio

cosa succede introno a me. La prima impressione, che mi verr confermate dalle mie successive frequentazioni, che quasi la totalit delle persone presenti si trova qui per studiare. Anche le mie interviste confermano tale impressione. Tuttavia importante specificare che il tempo da loro dedicato allo studio in questo luogo un tempo quasi sempre "di passaggio" tra una lezione e l'altra e questo perch, a meno che una persona non sia dotata di una grande capacit di concentrazione, non sicuramente un luogo dove regna il silenzio ed, infatti, la maggior parte degli intervistati preferisce l'intimit della propria camera per studiare. Mi sembra utile menzionare l'esistenza di spazi all'interno dell'Universit, adibiti esclusivamente allo studio e che hanno sicuramente contribuito a far diminuire l'afflusso verso la Biblioteca che per continua ancora ad essere considerata, da una parte dei frequentatori, come luogo di 'transito' dove studiare il libro di testo per il futuro esame. Probabilmente questo modo di interpretare uno spazio non si ancora liberato del tutto da una vecchia concezione di biblioteca universitaria. Forse il modo in cui si vede uno spazio dipende anche da come tale spazio viene proposto, nel senso che, anche se ad un primo impatto visivo, la Biblioteca della Bicocca si presenta come un luogo moderno, funzionale e al passo con le ultime tecnologie, ad un esame pi attento mostra una serie di difetti. Molti degli intervistati lamentano il fatto di non trovare materiale per le loro tesi o che i libri di testo in consultazione sono presenti solamente nel numero di una o due copie e di conseguenza non sono facilmente reperibili essendo la richiesta pi alta della disponibilit12. Questa critica collegata ad un'altra fattami da una ragazza intervistata (iscritta al I anno fuori corso della facolt di Sociologia e collaboratrice a tempo determinato) di cui cito testualmente le parole: "frequentando la Biblioteca si capisce che in questa Universit ci sono delle facolt di serie A e delle facolt di serie B e la mia facolt rientra in questa seconda serie". Ci riscontrabile confrontando la quantit di materiale disponibile per facolt come quelle di Giurisprudenza o Economia, e quella disponibile per altre facolt. Inoltre, l'intervistata aggiunge: "ora che sto preparando la tesi, mi farebbe comodo riuscire a fare una ricerca bibliografica veloce, riuscendo quindi a capire dove posso trovare il libro che mi serve, anche se non disponibile alla Bicocca, senza essere costretta a rivolgermi ad altre biblioteche universitarie". Il Direttore della Biblioteca non nega che ci sia una disparit tra le facolt in merito al materiale bibliografico a disposizione per, secondo lui, ci dovuto a diversi fattori: - alcune facolt sono di pi recente costituzione; - facolt come Giurisprudenza ed Economia, possono contare su di un patrimonio bibliografico in parte gi presente al momento del trasferimento di tali facolt alla sede della Bicocca; - infine, alcune delle facolt "pi ricche" possono contare su fondi maggiori destinati dai singoli Dipartimenti, in aggiunta a quelli previsti dalla Biblioteca che sono quasi uguali per tutte le facolt13. Il Direttore quindi, si rende perfettamente conto di questa disparit, per colmare la quale aveva pensato di destinare fondi

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maggiori alle facolt "pi povere", ma convinto che le facolt "pi importanti", con un numero maggiore di iscritti, si opporrebbero a tale proposta, perch convinte di avere "maggiori diritti, derivati dal fatto di avere maggiore potere". Nell'utilizzo del catalogo in linea (OPAC) ho incontrato delle difficolt, dovute sicuramente ad una mia non totale confidenza con questi strumenti tecnologici e dall'abitudine, del passato, di consultare schedari cartacei. In realt, tra le cose scoperte con le interviste, emerge che quasi tutti gli studenti al loro approccio iniziale, riscontrano delle difficolt e forse, come ha consigliato qualcuno degli intervistati, potrebbe essere utile a questo proposito, un opuscolo esplicativo a disposizione dei neofrequentatori. L'assistenza agli utenti uno dei compiti dei collaboratori a tempo determinato, ma non essendo il loro unico compito e non essendoci un numero sufficiente di collaboratori, capita spesso che gli studenti si debbano arrangiare da soli. Le difficolt maggiori le incontrano soprattutto le matricole che, oltre a trovarsi di fronte ad un sistema che non conoscono, si scontrano con il fatto di dover imparare a muoversi in un ambiente, quale quello dell'Universit, completamente diverso da quello scolastico da loro frequentato precedentemente, dove si pi 'guidati'. A questo proposito, il Direttore della Biblioteca (ultima intervista fatta), tiene a precisare che il suo sogno sarebbe avere del personale il pi possibile svincolato dalle mansioni pratiche, che dovrebbero diventare sempre pi automatizzate, per dedicarsi maggiormente all'utente. Per spiegarsi meglio mi fa l'esempio di una persona che entra in un negozio e immediatamente viene avvicinato da un commesso che gli chiede di cosa ha bisogno e in che modo pu essergli di aiuto. A tal fine, a suo parere, il personale della biblioteca dovrebbe essere facilmente identificabile attraverso un segno distintivo evidente. Quasi tutti gli intervistati dopo le difficolt iniziali concordano nel riconoscere che il sistema di ricerca ben strutturato e di facile comprensione anche se richiede un po' di applicazione. Io sono rimasta perplessa dalla quantit di codici che si debbono memorizzare o trascrivere per poter rintracciare il testo di cui si ha bisogno anche se questo sistema di classificazione attualmente il pi utilizzato nel mondo. Il Direttore sottolinea che tale sistema, proprio per la sua ampia diffusione, mette in condizioni l'utente di fare le proprie ricerche bibliografiche quasi ovunque e non solo in Italia e, allo stesso modo, consente agli studenti stranieri, che non conoscono la nostra lingua, di riconoscerlo e poterlo quindi utilizzare. Nella mia intervista/conversazione con il Direttore, ho avuto l'impressione che i suoi obiettivi principali siano quelli di rendere la Biblioteca uno spazio non solo al passo con i tempi, ma anche rispondente alle esigenze degli utenti. E' infatti sua l'idea di approntare un questionario che verr distribuito a tutti i frequentatori della Biblioteca e che dovrebbe aiutarlo a capire che cosa deve essere migliorato e/o modificato. E' inoltre favorevole all'utilizzo dei collaboratori a tempo determinato che funzionerebbero come "veicoli pubblicitari". Ci sicuramente vero in linea di principio, come anche vero che, se le

impressioni che i "collaboratori" provano, lavorando in Biblioteca, non dovessero essere positive, il "messaggio pubblicitario" veicolato le rispecchierebbe. Basandomi sulle interviste fatte ai collaboratori (ho intervistato sette collaboratori a tempo determinato e un collaboratore a tempo indeterminato), ho riscontrato essere pi numerose le critiche14, rispetto agli apprezzamenti 15 . 4. La biblioteca del futuro Ancora oggi, molto spesso nel nostro subconscio, le biblioteche si presentano come degli spazi monumentali e silenziosi, a volte anche polverosi, nei quali si consultano con una venerazione quasi sacra, i tomi che contengono la quintessenza del sapere umano. I volumi che si trovano in questi spazi sono collocati secondo un criterio razionale - tentativo a volte immenso di riprodurre l'universo del sapere - per renderli reperibili utilizzando gli schedari tradizionali. Tali schedari, come punto di accesso al patrimonio bibliografico, permettevano quasi sempre di reperire i testi da due punti di partenza: l'autore e il soggetto. Questa staticit sta per essere scossa dall'entrata prepotente delle nuove tecnologie nella nostra societ e, di conseguenza, anche nel mondo delle biblioteche si sta imponendo un nuovo concetto che va sotto il nome di virtualit. Una biblioteca virtuale una struttura in grado di informare non solo su quello che possiede al suo interno, ma su tutto quello che esiste circa un determinato argomento, in qualunque parte del mondo si trovi. E' sicuramente vero che le biblioteche devono avere un ruolo essenziale nell'ambito dell'informazione e del sapere. Dunque non pi un luogo in cui si mandano i discenti a cercare libri da leggere per poi farne una relazione, ma luogo in cui si trovano informazioni per risolvere i problemi che ci vengono posti, luogo di ricerca. La biblioteca non pi il luogo del "Silenzio" quindi, ma diventa il luogo della "Parola" intesa come conoscenza. L'introduzione delle nuove tecnologie conferisce un nuovo valore al servizio erogato dalle biblioteche soprattutto per quello che riguarda l'aggiornamento, l'attualit e la completezza, superando le barriere innalzate dallo spazio e dal tempo. Le nuove tecnologie consentono una differenziazione negli accessi. Infatti, i nuovi cataloghi elettronici dovrebbero permettere all'utente di aver accesso ai materiali anche partendo dall'anno di edizione del testo, dal nome dell'editore o da singole parole contenute nel titolo. Utilizzando una metafora, si potrebbe paragonare la biblioteca del futuro alla posta elettronica, grazie alla quale, digitando sul nostro pc un indirizzo e-mail, facilissimo mettersi in contatto con un utente locale, nazionale o internazionale. Per poter ottemperare a tali esigenze anche il bibliotecario dovr avere le capacit professionali che gli consentano di muoversi con competenza tra le banche dati in rete di tutto il mondo e dovr essere in grado di aiutare l'utente nella sua ricerca in questo vasto sistema di informazioni. Anche se qualcosa sta cambiando16, molto spesso le biblioteche universitarie restano dei luoghi chiusi, legati solo all'Universit della quale fanno parte, con pochi rapporti con i cittadini e con il territorio sul quale sono collocate, mentre, a mio avviso,

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potrebbero essere occasione di crescita culturale anche per la citt, oltre che per l'Universit, perch vero che l'Universit luogo di produzione della conoscenza, dell'avanguardia, della ricerca e della sperimentazione, ma dovrebbe essere anche luogo di divulgazione dell'informazione anche nei luoghi di appartenenza. Alla luce di queste considerazioni, la Biblioteca Generale della Bicocca, sembra avere alcune di queste caratteristiche o perlomeno sembra essere orientata verso questo tipo di visione, ancora molta strada resta da fare. Il traguardo non irraggiungibile a patto che si raccolga la sfida. Intervista all'architetto M. Destefanis, collaboratore dello Gregotti Associati International So che la Bicocca nasce su edifici industriali che gi esistevano Si in parte vero, ma la maggior parte di essi sono stati demoliti e poi ricostruiti interamente, altri invece sono stati riutilizzati. Diciamo che il tracciato viario che adesso l'ossatura della nuova area Bicocca non un tracciato originario. Dei preesistenti edifici industriali ne sono rimasti pochi, due dei quali sono, nello specifico gli edifici F 4566-4666 nella denominazione del comparto industriale che sono diventati l'U6 e l'U7, mentre tutto il resto stato sostituito dalla nuova edificazione. Nel momento in cui avete fatto il progetto, avete pensato fin dall'inizio a quale dovesse essere lo spazio da adibire a biblioteca? Il progetto che abbiamo studiato per la Bicocca parte con il concorso dall'87 all'89 con programmi totalmente diversi ed ha una storia lunghissima. L'entrata dell'Universit nel progetto e della ricerca alla Bicocca, credo di un momento successivo. Mi spiego meglio, si sempre pensato all'insediamento di funzioni speciali, quali appunto la ricerca, per di fatto, essendo l'area della Bicocca un'area privata, per la quale stata concordata una pianificazione comunale, etcquindi, l'insediamento dell'Universit e della ricerca in generale non stato pensato con il primissimo lotto della pianificazione, per in una fase piuttosto antica della pianificazione si deciso di mettere l una parte della ricerca scientifica e quindi di insediare negli edifici che adesso si chiamano forse 1, 2, 3, 4 l'universit scientifica e quindi ci che era sempre stato previsto nel progetto. L'ampliamento dei due edifici che sono in una zona pi lontana rispetto al primo nucleo della Bicocca stato successivo alla prima realizzazione. Una volta deciso di utilizzare questi edifici per funzioni speciali, di ricerca o connesse ad attivit culturali, la biblioteca si insediata in un punto di cerniera tra i due edifici, edificati a L. Quindi, la biblioteca, serve non solo ad unire spazi, ma anche soprattutto persone provenienti da ambiti diversi. Inoltre, questo edificio che si chiamava 4666 e che ora l'U7, per noi rappresentava il fondale del primo progetto della Bicocca che terminava qui e quindi questo collegamento fisico era anche molto importante perch cos le persone potevano entrare, connettersi, salire, quindi era posizionato in un punto che voleva anche essere di aiuto, di unione.

Vi stata data 'carta bianca' sul progetto della biblioteca? Noi abbiamo avuto 'carta bianca' su poco, perch gli edifici sono stati realizzati per degli enti pubblici che li hanno successivamente affittati all'universit, quindi i passaggi sono stati molto complessi. Per quanto riguarda la biblioteca, abbiamo avuto in un primo tempo contatti diretti con quello che possiamo definire "servizio di biblioteca" della Statale. Successivamente,quando abbiamo iniziato i progetti e la Bicocca ancora non esisteva, ricordo i primi contatti con la direttrice della Statale che sono proseguiti con i dirigenti della loro biblioteca. Quindi, per la conduzione del progetto della biblioteca ci siamo avvalsi della consulenza dei suddetti dirigenti del "servizio di biblioteca" della Statale. Va chiarito che vi sono due livelli di progetto dentro la biblioteca: il primo, che il progetto edilizio che abbiamo realizzato con il committente del progetto generale dell'area, quindi non direttamente con l'Universit. Gli edifici, tra i pochissimi superstiti della vecchia area industriale della Bicocca, con una serie di vincoli strutturali esistenti, hanno posto il problema di realizzare la Biblioteca in una struttura preesistente, mentre il secondo che rappresenta l'allestimento degli interni e dei relativi stato realizzato e pagato dalla Bicocca. Pertanto, abbiamo realizzato il progetto edilizio tenendo conto di tutti i vincoli esistenti e successivamente abbiamo progettato la divisione degli spazi all'interno delle strutture fisse, tra cui la Biblioteca. Per ultimo abbiamo progettato gli arredi che sono stati realizzati da un pool di falegnami. Partendo dal presupposto che esistono due tipologie di biblioteca, un di tipo conservativo, come la Biblioteca Marciana di Venezia e una di tipo consultivo, come quella della Bicocca, quali sono stati i criteri generali che avete seguito nella progettazione della Biblioteca? Per realizzare questa Biblioteca abbiamo dovuto tenere conto delle strutture fisse preesistenti quasi sempre non modificabili. Siamo quindi intervenuti l dove gli spazi esistenti lo consentivano; creando, per esempio degli spazi molto alti, eliminando una soletta. Determinati gli spazi, la Biblioteca stata realizzata, tenendo conto, come gi sottolineato in precedenza, anche della consulenza dei dirigenti dei servizi della Biblioteca. Grazie a questo sforzo congiunto siamo riusciti a superare le difficolt connesse alle strutture preesistenti e tra le diverse soluzioni di arredo, confortati dalle direttive dell'Istituto, abbiamo optato per quella a scaffali aperti che mette a disposizione degli utenti una superficie espositiva molto pi accessibile e con tempi minori relativamente ad altre possibili scelte, conformandosi inoltre alle ultime tendenze. Sono molto incuriosita dal termine 'celle'. Mi stato detto che tale termine esisteva gi nel capitolato del vostro progetto. 'Cella' la metafora per un ambiente di raccoglimento, quindi un ambiente raccolto in contrapposizione agli ampi spazi che caratterizzano la Biblioteca nel suo insieme. Tra gli input dati dai consulenti della Statale c'erano anche obbiettivi da raggiungere del tipo "per noi la biblioteca dovr essere un luogo dove si andr a studiare piuttosto che a fare

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ricerca.."? Certamente dall'inizio del progetto che datato 1994 e la sua realizzazione nel 1998, molte persone della Statale hanno fornito contributi, suggerimenti e consigli, tra questi il Prof, Martinetti, indirizzando all'introduzione e all'uso dell'informatica nella struttura organizzativa della Biblioteca consentendone cos una fruizione rapida, sia consultiva che di ricerca avanzata. La difficolt potrebbe essere stata quella di sposare la 'praticit' della biblioteca con 'l'estetica'? Per questo genere di interventi abbiamo pensato pi alla costruzione di uno spazio interno piuttosto che al dettaglio. La scala dell'intervento progettuale una scala che deve essere vista, a mio parere, non nella soluzione del dettaglio, ma alla restituzione di uno spazio, alla conformazione di uno spazio nuovo che risponda il pi possibile agli input che abbiamo ricevuto. Leggevo che il progetto della biblioteca stato un 'dono' dello Studio Gregotti. In che senso? Il prof. Gregotti, in presenza di difficolt finanziarie dell'Universit, e, volendo comunque veder realizzato il suo progetto, ha deciso di donare lo stesso alla Bicocca. Avete avuto qualche dubbio iniziale circa lo spazio da adibire a biblioteca? Prendendo in considerazione i due edifici ristrutturati, il luogo

dove stata ubicata la biblioteca era forse lo spazio pi logico anche perch al piano terra e al primo piano ci sono funzioni speciali, aule, un altro genere di frequentazione prevista, quindi non c'erano tantissime incertezze. Sulla localizzazione fisica abbastanza evidente il punto di cerniera che connesso con il resto della Bicocca. Per quello che riguarda la localizzazione in verticale, stato scelto il livello pi basso libero, cio quello pi accessibile e dove gi esistevano dei collegamenti. Sembrava fatto apposta. Se doveste riprogettare la biblioteca della Bicocca con l'esperienza maturata con questo progetto, cambiereste qualcosa? Forse si potrebbe pensare a qualche piccolo miglioramento, ma direi che avendo a disposizione le stesse condizioni di partenza non farei qualcosa di sostanzialmente diverso. Le condizioni esistenti erano molto vincolanti.

NOTE
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Per ulteriori informazioni vedi: F. De Toffol e M. di Girolamo, La sede centrale della Biblioteca di Ateneo 1998-2002, Universit degli studi di Milano Bicocca e il sito www.bibli.unimib.it. 2 Attualmente le biblioteche sono sostanzialmente di due tipi: una di tipo 'conservativo', nella quale rientrano la maggior parte delle biblioteche non di recente ideazione, dove per poter consultare un volume si deve fare espressa richiesta al personale addetto e una di tipo 'espositivo' che troviamo nelle biblioteche di recente realizzazione, nelle quali i libri sono esposti ed accessibili. 3 Si tratta di 'posti studio riservati', delle salette chiuse all'interno delle sale comuni di lettura che possono essere assegnate, per un certo periodo di tempo, agli studenti che ne facciano richiesta e dove possibile portare tutte le opere che si intendono consultare e il proprio pc. Usate soprattutto dagli studenti che preparano la tesi. 4 Questo servizio viene espletato dall'Ufficio Prestito Interbibliotecario e permette di richiedere ad altre biblioteche italiane libri e copie di articoli non posseduti dalla Biblioteca di Ateneo. 5 Servizio di informazione bibliografica. 6 A questo proposito, quasi la totalit degli intervistati, mi ha fatto notare che causa rallentamenti burocratici dovuti a ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato, dopo la gara d'appalto per l'affidamento della gestione del servizio di fotocopiatura, non viene erogato tale servizio causando notevoli disagi all'utenza. 7 B.Malinowski, 1973, Argonauti del Pacifico Occidentale, Newton Compton, Roma, p.36. 8 Nel significato di ambiente di raccoglimento per lo studio, ambiente monastico. Vedi Appendice I. 9 Studenti dell'Universit che ne fanno richiesta, ai quali in base al reddito, al numero degli esami sostenuti e alla loro media, viene offerto un contratto di 150 ore e i cui compiti sono quelli di stare all'ingresso nell'area di accoglienza e quelli di assistere gli utenti 10 I visitatori possono richiedere all'ingresso il rilascio di un badge, della validit di un giorno, previa presentazione di un documento di identit e la registrazione nel sistema per il controllo degli accessi. 11 Secondo quanto spiegatomi dal direttore della biblioteca, l'idea quella di spazi autonomi suddivisi per disciplina (es.diritto) o con ulteriori suddivisioni (es: diritto penale), dove l'interessato possa trovare tutto ci che gli occorre consultare senza spostarsi. 12 Questa carenza ha dato l'avvio ad una pratica piuttosto diffusa tra gli studenti e che consiste nel nascondere il libro, dopo averlo consultato, in un luogo diverso da quello in cui deve essere riposto (grandi carrelli, posti vicino all'ufficio prestito - sono i collaboratori che hanno il compito di rimettere a posto il libro prendendolo da questi carrelli), in modo da poterlo ritrovare il giorno dopo. 13 Dal verbale del Comitato Ordinatore del Regolamento della Biblioteca del 30.10.99: 'Tenuto conto dell'esigenza di mettere la

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Biblioteca in condizione di operare in tempi brevi e della difficolt di individuare immediatamente criteri per la suddivisione dei fondi, viene deciso, a maggioranza con un voto contrario, di operare per i finanziamenti disponibili nella seguente maniera: 1) creazione di un fondo di compensazione ricavato dal 10% dello stanziamento totale assegnato alla Biblioteca; 2) suddivisione in parti uguali tra le 12 aree del restante 90% (l'area delle Scienze Mediche verr considerata per l'esercizio finanziario 2000); 3) assegnazione in parti uguali alle due aree pi grandi (numero di docenti superiore a 50) del fondo di compensazione. 14 Tra le critiche negative vanno annoverate: la mancanza di silenzio, la carenza di materiale bibliografico per alcune facolt, inesistenza di un servizio fotocopie, impossibilit di utilizzare il secondo livello per mancanza di personale, ricerca bibliografica lunga e dispersiva. 15 Ci che piace maggiormente agli utenti della Biblioteca la sua organizzazione a scaffali aperti che snellisce le procedure, li rende pi 'liberi' e li stimola nella loro ricerca. 16 Vedi progetto per la costruzione della nuova biblioteca dell'Universit di Trento: www.unitn.it/unitn/biblioteca.html. Fabietti U., 2001: Antropologia culturale. L'esperienza e l'interpretazione, (1999), Editori Laterza, Bari.

BIBLIOGRAFIA
Fabietti U., Matera V., Etnografia. Scritture e rappresentazioni dell'antropologia, (1997), Carrocci editore, Roma, 1999. Fabietti U., Malighetti R., Matera V., Dal tribale al globale. Introduzione all'antropologia, Bruno Mondatori, Milano, 2002. Malinowski B., Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella societ primitiva (1922), Newton Compton, Roma, 1973. Piasere L., L'etnografo imperfetto. Esperienza e cognizione in antropologia, Editori Laterza, Bari, 2002. Tedlock D., Verba manent. L'interpretazione del parlato (1983), L'Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2002.

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Antropologia di uno Spazio Bibliotecario


Verso un'analisi dello spazio poietico
di Lorenzo D'Angelo
"...Poeticamente abita l'uomo..." (Heidegger, Saggi e Discorsi, Milano, Mursia,1976)

Ingresso in Biblioteca Gli spazi si attraversano, pi spesso, si abitano. A piedi, in macchina, in aereo... in ogni caso, attraversare uno spazio non significa semplicemente muoversi come pu fare il contenuto nel suo contenitore. Lo spazio non un ente tra gli enti. Ogni luogo definito dal corpo che lo occupa e ogni corpo inevitabilmente in uno spazio che lo marca. Nel nostro modo di veder-ci nel mondo, tuttavia, diamo per scontato molte cose come, ad esempio, il fatto che ci muoviamo in uno spazio senza che questo possa fare altrettanto. Il corpo si coordina in un ambiente pi o meno noto, prende le distanze, agisce e modifica di conseguenza il suo direzionamento. Ma non cos "ovunque". Ci sono culture nelle quali il corpo ad essere, per cos dire, attraversato dallo spazio che lo circonda, come ricorda De Kerckhove quando racconta la storia di Michael Smart e della sua guida algonchina: " Ad un certo punto Michael disse alla sua guida: "Ehi, ci siamo persi!" La guida gli lanci uno sguardo gelido e rispose: "Non ci siamo persi, il campo-base che si perso" (De Kerckhove, 1993). Ho iniziato questa micro-ricerca nella sede della Biblioteca Centrale della Bicocca nel mese di marzo del 2003. Ho frequentato con regolarit il mio campo per circa un mese e mezzo. Il mio atteggiamento stato fin dall'inizio quello di non dare per scontato nulla. Un compito fenomenologicamente arduo a cui non sono sicuro di essere stato sempre fedele 1 . E cos, per esempio, per me, che sono abituato a consultare i libri delle biblioteche universitarie con la mediazione di un bibliotecario, stato piacevole scoprire che questa biblioteca offre la possibilit di cercare da s i libri che si desiderano leggere. In altre parole, una volta ottenuto il codice che localizza un testo, e capito il funzionamento del sistema di collocazione, relativamente semplice trovarlo. E cos mi sono reso conto che questa opportunit di girare lungo i corridoi, scandagliare gli scaffali e scoprire volumi che altrimenti, da catalogo, difficilmente avrebbero potuto catturare l'attenzione, a rendere invitante la frequentazione di questa biblioteca. Questa, perlomeno, la mia esperienza. La Biblioteca Centrale della Bicocca senz'altro uno spazio aperto, accessibile, dove gli utenti sono anche un po' bibliotecari. I suoi spazi sono "luoghi comuni". Il servizio di assistenza al pubblico non comunque assente: anche un esperto navigatore dei meandri bibliotecari del resto, pu, talvolta, avere la necessit di un'assistenza, se non altro per accelerare i tempi di ricerca.

Proprio ieri ho avuto bisogno di una mano nella ricerca di un testo per un esame. Mi ci voluto per un giro intero prima di incontrare una delle persone preposte al servizio di front-office. Il contatto non poteva che essere casuale visto che la ragazza che ho individuato essere la persona giusta era sprovvista di un qualsiasi identificativo (un badge, ad esempio, avrebbe permesso una pi rapida individuazione). Ad ogni modo, dal suo modo di maneggiare un certo numero di libri ho intuito che potevo rivolgermi a lei e cos ho fatto: "Sto cercando questo libro, mi sai dire dov'?" Le ho chiesto timidamente mentre le porgevo un biglietto stropicciato con annotati i dati utili al reperimento del prezioso libro. Lei se lo rigirato un attimo tra le dita, ha buttato un'occhiata alle mie spalle e con l'indice puntato come un rabdomante in cerca di impercettibili vibrazioni, si diretta verso uno scafale: "Eccolo" ha esclamato senza nemmeno troppa enfasi mentre estraeva il volume e me lo porgeva con una contrazione del viso che ho scambiato per un sorriso. "Sai se posso fotocopiarlo da qualche parte o devo portarlo fuori 2?" Le ho domandato. "DEVI portarlo fuori...! Passa prima dal bancone per!" E con un cenno del capo mi ha indicato il corridoio dal quale ero venuto. Al banco dei prestiti mi sono accodato a due ragazze con zainetto in spalla, ho fatto la mia richiesta e, completata la procedura del prestito, mi sono allontanato verso l'uscita. Ritornato dalla mia escursione per fare le fotocopie ho deciso di sedermi nella prima delle sale-corridoio3 di fronte al banco dei prestiti. Poco tempo dopo essermi sistemato una ragazza uscita da una delle celle4 laterali. In mano teneva un cellulare e borbottava qualcosa al suo interlocutore. Ho pensato che si dirigesse verso l'uscita e, invece, l'ho vista svoltare nella direzione opposta. A quel punto ho contato fino a tre (cos come immagino faccia ogni buon inseguitore che non voglia essere scoperto e si mantiene a debita distanza). Ma il mio conteggio deve essere stato eccessivamente lungo poich, non appena mi sono alzato, mi sono accorto che il mio target era gi fuori dal mio campo visivo. "Accidenti l'ho persa!" Ho pensato tra me e me mentre acceleravo il passo. Ad un incrocio di corridoi mi sono fermato per constatare la situazione. "Eccola..! Sta aprendo una porta" In mano ha ancora il cellulare e pare non aver interrotto la sua comunicazione. Poi scomparsa seguita dal tonfo della porta che sbatte sullo stipite. E' entrata in bagno. "In bagno?!? Perch percorrere due lati della Biblioteca (vedi piantina) per rispondere con tranquillit al cellulare quando la

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strada verso l'uscita pi breve? L'uomo non forse un animale razionale che agisce secondo il principio di "massima utilit con il minimo sforzo"?" Mi sono domandato ingenuamente. Ma sopratutto, non forse vietato rispondere e utilizzare apparecchi telefonici nei locali di qualsiasi biblioteca? E perch nessuno sembra preoccuparsi particolarmente del fatto? Magari qui il regolamento diverso che in altre biblioteche. A proposito, esiste un regolamento? Dal punto di vista della Carta dei Servizi Dalla Carta dei Servizi approvata dal Consiglio di Biblioteca in data 23 aprile 2001 al punto 5.1 apprendiamo che: "La biblioteca luogo comune di studio e ricerca. Nessuno pu entrare o trattenersi per altri motivi e ognuno deve osservare rigorosamente il silenzio. Nei locali della biblioteca non permesso discorrere, anche sottovoce, studiare in comune, servirsi in due o pi persone di un medesimo libro, leggere giornali, utilizzare telefoni cellulari, consumare cibi o bevande o disturbare la tranquillit dello studio in qualunque modo". Vale la pena fare alcune considerazioni su quanto appena riportato. a) La Biblioteca luogo comune di studio e ricerca. Nessuno pu entrare o trattenersi per altri motivi... La Biblioteca definita innanzi tutto in termini spaziali e rispetto ad una sua specifica funzione quella, appunto, di essere un luogo per studiare (e fare ricerche). Come se non fosse sufficientemente chiaro quanto appena detto ci viene ricordato che in Biblioteca si entra con unico motivo e vi si rimane con quella precisa finalit: per studiare. Essere in biblioteca equivale ad essere impegnati in una specifica attivit (mentale). La spazialit (in) rimanda ad una utilizzabilit (per) e viceversa. Non sappiamo per ancora come usare questo luogo. I punti successivi ci permettono di capire un po' di pi cosa significhi "studiare" dal punto di vista della Carta dei Servizi. b) ...e ognuno deve osservare rigorosamente il silenzio. Nei locali della biblioteca non permesso discorrere, anche sottovoce, ... Con la voce il corpo si esprime, si materializza in suono significante per entrare in contatto con altri corpi. Un corpo, quando usa la voce, comunica, ossia, colma lo spazio fisico tra i corpi attraverso il riempimento di uno spazio sonoro. Ci che emerge da queste righe estrapolate dal regolamento che la Biblioteca anche uno spazio sonoro e che questo deve essere disciplinato. Il silenzio, che parte integrante di qualsiasi comunicazione, qui vi si oppone. Gi, ma cos' il silenzio e come pu essere rispettato "rigorosamente"? Esiste "Il Silenzio"5 ? c) ...studiare in comune, servirsi in due o pi persone di un medesimo libro... Il fatto che la Biblioteca sia uno spazio comune (vedi punto 'a') e che delle persone condividano questo spazio o luogo, non implica affatto che l'attivit di studio possa essere "in comune". Significative sono a questo proposito le parole di Foucault: "Ad

ogni individuo, il suo posto; ed in ogni posto il suo individuo. Evitare le distribuzioni a gruppi; bisogna scomporre le strutture collettive analizzare le pluralit confuse, massive o sfuggenti " (Foucault, 1993, p. 155). L'ordine dunque risiede nella singolarit. Il resto caos ingovernabile. Ci pare di poterci spingere oltre. Avvertiamo qui, insinuarsi sottilmente una sorta di "pedagogia del pensare". La Carta dei Servizi, infatti, non ci dice solamente come ci si comporta ma ci ricorda anche come si pensa, cosa lecito supporre o meno, quali sono le inferenze corrette; blocca le possibili obiezioni con elenchi di cose che non si possono fare. Essa sembra dialogare con un immaginario interlocutore che dica: " Si, ma tutto ci vale anche se faccio cos e cos?". d)...leggere giornali, utilizzare cellulari, consumare cibi o bevande o disturbare la tranquillit dello studio in qualsiasi modo. Non ci si pu nutrire e non ci si deve distrarre nel lasso di tempo trascorso in Biblioteca. Un corpo in biblioteca un "corpo docile" piegato ad una idea. La "tranquillit dello studio" quello stato ideale che consegue da un ordine sonoro e spaziale, e che va preservato a scapito delle libert individuali. Evidentemente manca una precisa volont di far rispettare il Regolamento se capita di vedere persone che rispondono al cellulare; ascoltare studenti che chiacchierano con un tono di voce non compatibile con quella "tranquillit" che si presume essere pi proficua per lo studio.... O forse, l'imposizione di costrizioni cos rigide richiederebbe uno sforzo di disciplinamento al di l delle risorse di personale e mezzi a disposizione della Biblioteca. Quale che sia la ragione di una siffatta (e gi inveterata) trasgressione, occorre prendere atto del fatto che il Regolamento, di per s, non ha alcuna influenza diretta sul comportamento dell'utenza. In pochi ne conoscono l'esistenza. Ne consegue che l'uso di questo "spazio in comune" lasciato soprattutto al buon senso dell'utente il quale, presumibilmente, si former una rappresentazione di ci che significa stare in biblioteca confrontando la propria pre-comprensione di questo spazio e del suo uso con quella manifesta nei comportamenti degli altri utenti. In seguito, egli potr valutare se adeguarsi o meno allo stile di appropriazione spaziale dominante oppure se cercarne di nuovi o ancora, se rimanere fedele al proprio. Una qualche ibridazione tra le diverse rappresentazioni pare tuttavia inevitabile se si rifiutano posizioni solipsistiche. Questo lavoro ha tra i suoi obiettivi quello di formulare un'ipotesi su quali sono le specifiche rappresentazioni spaziali chiamate in gioco dalla biblioteca della Bicocca e come queste si ripercuotano sul comportamento degli utenti. Si impone, dunque, un'osservazione e un ascolto attento del panorama bibliotecario che permetta di mettere in relazione, scelta dei materiali, forme architettoniche, colori in un'ottica di "utilizzo dello spazio" da parte dei suoi "abitanti". Panoramica: dalle calle di Venezia alle celle della Bicocca La sede centrale della Biblioteca della Bicocca occupa parte del

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secondo e del terzo piano dell'edificio U6. La superficie di 4000 mq sapientemente ripartita in ambienti diversi grazie ad una rete di circa 6 km di scaffalatura. Per usare una metafora anatomica, gli scaffali costituiscono l'ossatura di questa biblioteca e, per questo motivo, sono senz'altro l'elemento caratterizzante dell'arredamento. Tutto il materiale bibliografico disposto a scaffale aperto e quindi direttamente accessibile all'utenza. Le scale o gli sgabelli che arredano e si rendono indispensabili in certe biblioteche pensate per ospitare il maggior numero possibile di volumi nel minor spazio possibile, qui sono superflui. Anche i ripiani pi alti, infatti, sono raggiungibili da una persona di statura media, semplicemente allungando il braccio o, al limite, compiendo l'ulteriore sforzo di sollevare i talloni da terra. a) Scaffali Esistono due tipi di scaffali: quelli "a muro" e quelli che "rimpiazzano i muri". Gli scaffali del primo tipo ricoprono epidermicamente la gran parte del perimetro esterno della biblioteca (mi riferisco, pi precisamente, a quei muri che troviamo sulla nostra sinistra percorrendo la biblioteca in senso orario). Possiamo riconoscere questo tipo di scaffale lungo i corridoi o all'interno delle celle. In quest'ultimo caso, gli scaffali si conformano in maniera tale da creare un breve canale di passaggio dall'interno della cella verso il corridoio esterno e viceversa. Gli scaffali del secondo tipo, quelli che "sostituiscono" o "rimpiazzano i muri", fungono da separatori. Disposti in file parallele, essi delimitano senza isolare. Questo tipo di scaffale, infatti, non tocca il soffitto e su due dei quattro lati di cui si compone la biblioteca, gli scaffali presenti non sono nemmeno in contatto con alcuno dei muri. Di conseguenza si creano delle vie di passaggio tra un ambiente e l'altro. La via pi stretta, compresa tra il muro e lo scaffale stesso quella meno frequentata e viene per lo pi impiegata come scorciatoia da un ambiente a quello adiacente. Ma, mi capitato anche di vederla attraversata dal personale della biblioteca con passo accelerato quasi che si trattasse di una corsia preferenziale. Il passaggio pi ampio decisamente pi frequentato e costituisce un'arteria fondamentale per il flusso degli utenti che si dirigono da un luogo all'altro della biblioteca. b) Sale-corridoio Con "sala-corridoio" mi riferisco allo spazio compreso tra due scaffali del tipo che "rimpiazzano i muri". Le sale di questo tipo contengono tavoli ordinati in file parallele, sedie e, in alcuni casi, postazioni per la consultazione del catalogo on-line della biblioteca. Sono spazi aperti e facilmente "penetrabili" (per usare una significativa espressione dello stesso Gregotti, l'architetto che ha realizzato e donato il progetto di questa biblioteca nonch l'intero complesso "Bicocca"). Gli utenti che si soffermano per utilizzare le sale-corridoio sono esposti allo sguardo panottico o, pi semplicemente, curioso di chi passa. A loro volta, per, i passanti possono catturare l'attenzione dei lettori. L'intreccio di sguardi e veri e propri contatti "eye to eye" sono pi frequenti tra

utenti del sesso opposto. Va sottolineato, tuttavia, che il campo visivo di un lettore di questi luoghi, fenomenologicamente ridotto e che non casuale la naturale tendenza dei lettori ad orientare lo sguardo verso il corridoio piuttosto che in altre direzioni. Da un lato, infatti, le grandi finestre rettangolari si affacciano su un paesaggio statico che non offre certo appigli per distrazioni. Ci che si pu vedere da queste finestre (quando si seduti), il muro bianco con le sue finestre bianche e quadrate dell'altro lato dell'edificio. Il bianco delle pareti interne si sovrappone percettivamente con il bianco dei muri esterni; nella direzione qui considerata, insomma, la profondit degli spazi in qualche modo ridotta. D'altro lato, una striscia di legno alta circa trenta centimetri si erge come un prolungamento verticale del lato superiore del tavolo. Questo piccolo stratagemma architettonico sembra scoraggiare o inibire ogni contatto visivo con le persone sedute sul lato opposto del medesimo tavolo. Uno sguardo curioso o distratto rimbalza da pi parti e finisce per posarsi, quasi inevitabilmente, sul movimentato corridoio laterale. c) Celle "Cella" il termine scelto dai collaboratori di Gregotti per denotare uno specifico spazio di lettura all'interno del quale l'utente trova, idealmente, un maggior raccoglimento rispetto alle sale-corridoio. All'interno di ogni cella quattro tavoli sono serrati l'uno all'altro in modo da formare un'unica superficie d'appoggio. Questi tavoli non hanno la striscia separatrice precedentemente descritta. Lo scopo di preservare il senso di territorialit e di riservatezza dell'utente ottenuto distanziando i posti che sono l'uno di fronte all'altro. Se, infatti, il separatore divide in parti simmetriche la superficie dei tavoli delle sale-corridoio e, cos facendo, ripartisce i posti e protegge da possibili sguardi frontali; nel caso delle celle una distanza (uno spazio "vuoto") a tutelare l'utente da eventuali contatti visivi frontali. Da un lato, dunque, abbiamo un elemento dell'arredo che segnala un divieto, un limite; dall'altro lato, una distanza fisica ci d la misura del grado di riservatezza da rispettare. Eppure, non poche volte ho osservato studenti che rompevano questo schema, ad esempio, spostando una sedia sul lato breve del tavolo per avvicinarsi ai propri compagni di studio. Un piccolo gesto che dimostra nella sua sconcertante semplicit, la dimensione attiva dell'abitare i luoghi: un luogo pensato per mantenere l'anonimia dei suoi occupanti viene adeguato alle concrete situazioni emotive dei suoi utenti. Da un punto di vista architettonico la cella uno degli elementi base fondamentali di questa biblioteca ed in questa prospettiva che va considerata la scelta del termine stesso. In un'intervista rilasciata ad una rivista specializzata, Gregotti ha cos riassunto l'idea ispiratrice del suo progetto: "Ho progettato la Bicocca pensando a Venezia che uno spazio pubblico penetrabile, apparentemente complesso, ma che si articola a partire da elementi semplici". La "pubblicit" e la "penetrabilit" dello spazio della sede centrale della biblioteca della Bicocca emerge chiaramente nelle gi citate "sale-corridoio". L, lo ricordiamo, avevamo visto come i confini tra i vari locali fossero pi suggeriti

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che ben delineati. Per usare un'immagine, essi emergono come gli invisibili tratti che completano le figure studiate dalla Gestalt. Osservando le celle ci invece chiaro il senso della seconda parte dell'affermazione di Gregotti: la costituzione di un ambiente o spazio complesso attraverso elementi o moduli semplici (celle/cellule). Ma vi di pi. Una cella una sineddoche: una parte del tutto che rappresenta o, contiene in s, il tutto. Con il suo unico tavolo condiviso dai vari utenti che si servono delle sedie pre-allineate, gli scaffali riempiti di libri o in attesa di esserlo.., con tutto ci una cella una micro-biblioteca. d) Carrells I carrells [= posti di consultazione] sono spazi eterogenei rispetto a quelli considerati fino adesso. Essi sono spazi ad accesso limitato, veri e propri loculi all'interno dei quali trovano spazio un tavolo e due sedie. L'utente che pu avervi accesso si siede dando le spalle alla porta di vetro smerigliato che lo separa dal resto della biblioteca. I carrells sono gli unici spazi delimitati da porte. Il principio di "penetrabilit e pubblicit" si infrange contro una porta opaca che lascia filtrare la luce ma trattiene e respinge gli sguardi indiscreti. Inoltre, in quanto spazi riservati ad una specifica utenza (possono essere utilizzati solo da laureandi, dottorandi e ricercatori), essi istituiscono una gerarchia tra coloro che possono entrare e coloro che non possono. Per i carrells sembra valere il principio contro intuitivo per cui minore lo spazio a disposizione e maggiore lo status di chi vi accede. In altre parole, smentiscono il luogo comune che prevede un territorio usufruibile pi esteso per chi gerarchicamente "superiore". Al contrario, la biblioteca riserva uno specifico luogo per una specifica utenza per lo studio individuale e "raccolto" dei testi. L'esigenza di studiare in un posto "tranquillo" si esprime pienamente nel principio di clausura. Non a caso con i carrells che incontriamo esplicitato "un vecchio procedimento architettonico e religioso": le celle dei conventi (Foucault, 1993). Non un caso, infine, che possano accedere a questi luoghi solo gli utenti che affrontano particolari periodi di transizione nella loro carriera scolastica. Con ci intendiamo mettere in luce la dimensione protettiva e materna di questa biblioteca che offre, ad alcuni dei suoi utenti, dei luoghi-grembo mono-funzionali per incubare futuri "operai del sapere". ...ricapitolando Abbiamo considerato tre spazi fondamentali dedicati allo studio nella Biblioteca della sede Centrale della Bicocca: le salecorridoio, le celle e i carrells. Le sale-corridoio sembrano poter essere impiegate pi per "consultare" i testi che per un vero e proprio studio concentrato. Due sono le ragioni, strettamente collegate tra di loro, che ci portano a questa conclusione. In primo luogo, questo spazio piuttosto frequentato dagli studenti e ci costituisce una fonte di disturbo notevole se si considera l'intensit dei flussi di persone in movimento. In secondo luogo, i lettori di queste sale, di solito, non rimangono a lungo nelle postazioni disponibili. Nelle giornate pi intense, nei periodi cio in cui si accavalla il calendario degli esami con quello delle

lezioni, il ricambio abbastanza rapido. In sintesi possiamo affermare di trovarci di fronte ad uno spazio che viene pi attraversato che abitato. E cos, spesso si entra in biblioteca per riempire un lasso di tempo tra un impegno e l'altro, o tra una lezione e una pausa pranzo. In ogni caso, si occupa una postazione dalla quale ci si pu allontanare senza sentirsi psicologicamente vincolati a rimanere perch chiusi in uno spazio. Uno spazio fluido dunque, consumato ancor prima che usato (ma le due azioni presumibilmente devono essere considerate solo come aspetti della medesima realt). Le celle, viceversa, grazie alla loro specifica conformazione offrono un ambiente sonoro meno disturbato. Tuttavia, capita, seppur raramente, che gruppetti di studenti si radunino non solo per leggere i propri testi ma anche per fare una chiacchierata o per ripassare un esame ad alta voce. I carrells sono isole di silenzio nel bel mezzo dell'arcipelago bibliotecario. Si distinguono dagli altri locali per il loro accesso limitato a particolari categorie di utenti. Sono gli unici locali nei quali si ha una chiara percezione della differenza tra interno ed esterno, una differenza che corre parallela a quella esistente tra privato e pubblico. Da notare, infine, come a spazi sempre pi piccoli in estensione corrispondano volumi sonori sempre meno consistenti. Considerati sotto un'altra prospettiva, abbiamo quindi sottolineato il carattere femminile degli spazi di questa biblioteca che incarna, nelle sue calcolate forme, il principio di "penetrabilit e pubblicit" voluto dal suo architetto. Abitare lo spazio Un punto sul quale insistono a ragione i fenomenologi che il soggetto umano non una cosa tra le altre cose ma, piuttosto, si trova in un'apertura intenzionale al mondo comune (De Monticelli, 1998). In quest'ottica lo spazio in cui vive un soggetto assume un significato che dipende dall'uso che ne viene fatto (Iori, 1996). La Carta dei Servizi sembra invece presupporre l'esistenza di un'utenza "votata alla passivit e alla disciplina" (De Certeau, 2001) quasi che essere-in-biblioteca significhi semplicemente adattarsi a dei ritmi e a degli spazi pre-definiti. Ci che ignora il Regolamento della Biblioteca della Bicocca che le persone possano essere-in-biblioteca-per-fare ossia, per abitare gli spazi in maniera creativa, poietica ed eludendo, magari, le norme esplicite o implicite del Regolamento stesso. La mia riflessione e il mio atteggiamento sul campo si basano su due presupposti fondamentali. Da un lato, credo che "Il corpo abita il mondo creandolo" (Galimberti, 1982 p. 87) e dall'altro, in sintonia con le idee espresse dal "secondo Wittgenstein", sono convinto che l'agire costituisca il modo di vivere specificatamente umano (cfr. Marconi, 1997). E' attraverso l'azione che l'uomo rivela "l'essenza nascosta delle cose" e-vocandone le loro possibilit latenti (Galimberti, 1982). Quest'ultimo assunto, in particolare, mi permette di inquadrare comportamenti apparentemente bizzarri (ad esempio, andare in bagno per rispondere al cellulare) in una cornice significativa o 'densa' (vedere lo spazio del bagno come un luogo utile per i suoi servizi

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igienici e come luogo idoneo per rispondere al cellulare). A queste considerazioni si aggiungono le riflessioni che ricaviamo da De Certeau. Egli ci ricorda come spesso gli utenti si conformano a certi meccanismi della disciplina, ma solo per aggirarli. In quest'ottica, se consideriamo nuovamente il caso della ragazza che si alza e si allontana dal suo posto per rispondere al telefono, ci rendiamo conto che il suo comportamento pu essere interpretato coerentemente con il rispetto del divieto di rispondere al cellulare (si alza per allontanarsi e non recare disturbo). Ma, dirigendosi verso il bagno (per aggirare il divieto di parlare al cellulare) occorre anche re-interpretare questo locale, magari ritenendolo un elemento esterno alla biblioteca. Solo cos la ragazza del nostro esempio ottiene il suo scopo: telefonare senza abbandonare la biblioteca e interrompere lo studio. Riconoscere queste tattiche e strategie che si insinuano nei comportamenti quotidiani ci costringono nello sforzo maggiore di vedere cose nuove in ci che talmente intrecciato con la quotidianit da apparire scontato, banale, ci che, per usare un'espressione di Bloch, "goes without saying" (Bloch, 1989). Lo spazio non pu essere concepito come un oggetto altro da s, incontaminato e disponibile ad un'osservazione accurata ed oggettivabile. Lo spazio che qui ci interessa lo spazio del coinvolgimento con le cose, del vedere, ascoltare, toccare... quegli oggetti che disvelano le loro possibilit nel momento stesso in cui vengono utilizzati. Da un punto di vista fenomenologico lo spazio una struttura fondamentale dell'esistenza umana che pu essere compresa attraverso il corpo e i suoi sensi. Da parte mia ho cercato di bilanciare il tradizionale e consolidato predominio del senso della vista prestando attenzione alla dimensione sonora. Per questo motivo mi sono concentrato non solo sui movimenti e i comportamenti degli utenti, ma anche sui suoni, le voci e i rumori prodotti nella sede centrale della Biblioteca della Bicocca. Suoni, voci, rumori... sono, infatti, veri e propri indici e, se adeguatamente compresi, possono essere utili per rendere conto dell'uso che viene fatto dello spazio bibliotecario. Fatte queste precisazioni possiamo tornare ad affrontare alcuni degli interrogativi precedentemente posti. Utenti in movimento Attraverso quali percezioni spaziali l'utente si rappresenta la Biblioteca della sede centrale della Bicocca? E quale tra queste, se ce n' pi di una, domina sulle altre? Una delle modalit con la quale i soggetti si appropriano e si rapportano allo spazio il movimento. Nel loro esplorare gli spazi pi o meno familiari, pi o meno carichi di significati antropologici (Galimberti, 1982), i soggetti trovano oggetti e incontrano persone. Poich l'uomo un animale simbolico la sua priorit di dare ordine al mondo che lo circonda, ridurre il caos e con esso l'angoscia metafisica del non-ancora-conosciuto. Percorrere uno spazio dunque un modo per dare ad esso un senso. A questa modalit esplorativa del "conoscere", corrisponde una precisa tipologia di utente della biblioteca. Prendendo spunto da (Galimberti, 1982) chiamer "utente itinerante" quel soggetto

che si appropria dello spazio bibliotecario percorrendolo. La funzione della Biblioteca che chiama in causa questa tipologia di utenza quella consultativa. Oltre alla percezione spaziale dinamica appena considerata esiste anche una percezione statica dello spazio. In contrapposizione all'utente-itinerante abbiamo cos "l'utente-sedentario" il quale "[costruisce] intorno a s dei cerchi successivi che vanno attenuandosi fino ai limiti dell'ignoto" (Galimberti, 1982 p. 75). L'appropriazione dello spazio dell'utente-sedentario perci "radiante" e non itinerante. La funzione della Biblioteca che chiama in causa questa tipologia di utenza quella di "studio su libri di testo propri". L'utente itinerante e l'utente sedentario esprimono perci due modi di essere-in-biblioteca. Pi precisamente, la prospettiva ontologica qui assunta non prevede l'esistenza di utenti in movimento e utenti sedentari: un medesimo individuo pu attivare, in tempi differenti, entrambe le modalit di percezione e consumo dello spazio. Alla tradizionale concezione della Biblioteca come corpo composto d'organi distinti con funzioni distinte, l'architetto di questa biblioteca ha cercato di contrapporre un progetto che fosse un compromesso tra due differenti usi degli spazi bibliotecari. Tuttavia, "Consultare" e "studiare su libri propri" mettono in gioco percezioni spaziali che attivano usi e consumi dello spazio in conflitto tra loro. L'utente-itinerante, ad esempio, pu essere di disturbo e rappresenta in ogni caso un elemento di distrazione per l'utente sedentario. Il contrasto risulta pi evidente nelle salecorridoio a causa della esplicita doppia natura di questi locali. Appendice. Dare senso ai suoni Occorre distinguere l'udire dall'ascoltare. "Udire" un fenomeno fisiologico; "ascoltare" un atto psicologico culturalmente condizionato. Quando studio in una sala-corridoio e vengo distratto dall'inconfondibile suono di tacchi femminili che scalpitano, io sto ascoltando. La frequenza del passo e la sua timbrica potranno dirmi qualcosa sulla tonalit emotiva di quel procedere e allora, forse, girer lo sguardo per capire chi passa di l. I suoni, infatti, entrano in una relazione tanto stretta con le cose da poter essere considerati come segni della loro stessa esistenza (Piana, 1991). Dobbiamo insomma tenere a mente che: "Non sentiamo mai rumori e complessi di suoni, ma il carro che cigola, la motocicletta che assorda..." (Heidegger, 1976 p.207). Quando l'identificazione fallisce o incerta, ecco nascere, secondo i casi, uno stato di inquietudine, di spavento o di fastidio. Per questo motivo, a parit di condizioni, un chiacchiericcio incomprensibile pu risultare pi fastidioso di un vociare comprensibile. Al fine di ottenere dati utili per la mia riflessione si rivelato utile il lavoro di mappatura sonora concretizzatosi negli spartiti sonori messi in questa appendice. Mi preme sottolineare come la preoccupazione sottesa alla registrazione dei suoni percepiti non fosse quella di essere quanto pi fedeli all'udibile. In tal caso, infatti, mi sarei servito di un registratore o di apparecchiature simili. Ho cercato, invece, di essere quanto pi accurato possibile nel registrare i suoni cos come erano percepiti da me.

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Da notare, infine, come tale scelta comporti alcune assunzioni metodologiche che inseriscono questa ricerca nel solco della tradizione che va da Malinowski a Bloch seppure si presti a numerose critiche. Di seguito riporto uno "spartito sonoro", espressione con la quale intendo riferirmi alle mie note sul campo. Con loro ho cercato di catturare le impronte sonore lasciate dagli utenti della Biblioteca. A questo proposito la mia preoccupazione stata di non rappresentare semplici eventi sonori congelati in istanti temporali. Questi spartiti vogliono assomigliare a certe foto scattate con lunghi periodi di esposizione su oggetti in movimento. L'effetto cercato appunto quello di un'immagine sfocata; il risultato sperato di aver dato un'idea, seppur vaga, delle scie sonore lasciate dai diversi utenti nello spazio sonoro della biblioteca. Infine, ho scelto di rappresentare lo spazio sonoro della biblioteca con dei cerchi concentrici. Il cerchio interno rappresenta l'estensione fisica/sonora dello spazio dei Carrells. Il cerchio esterno la rappresentazione dello spazio fisico/sonoro delle salecorridoio. Ovviamente, a differenza degli spazi fisici, quelli sonori hanno dei margini di variabilit pi marcati.

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NOTE
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Secondo un immaginario diffuso, l'antropologo svolge le sue ricerche in luoghi lontani ed esotici, incontra personaggi "singolari" o "primitivi". Cosa accade, per, quando la distanza spaziale, culturale o linguistica si riduce al minimo, quando il l qui e il non-noi parte di noi, e, cio, quando il campo parte della vita quotidiana dell'antropologo stesso? Questa domanda corre sotterranea a gran parte delle riflessioni che seguono. 2 Fino all'aprile del 2004 non era possibile fare fotocopie all'interno della Biblioteca. Per questo motivo era necessario fare una richiesta che consentisse di portare i libri all'esterno dell'edificio per un tempo massimo di tre ore. 3 Uso il termine "sala-corridoio" per definire uno spazio delimitato da due muri a scaffale. L'effetto, nel suo insieme, quello di un ambiente con una precisa "identit" (v. oltre). 4 Per una descrizione di cos' una cella vedi pi avanti. 5 "C' sempre qualcosa che produce un suono: il silenzio non esiste" Con queste parole Cage, l'autore di "3,14", ha sintetizzato la sua esperienza in una camera anacoica (cit. in Shafer, 1985).

BIBLIOGRAFIA
Bloch, M. (1989), What goes without saying: the conceptualizazion of Zafimaniry society, in How We Think They Think, Westview Press, 1989, pp. 22-38 De Certeau, M. (2001), L'invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma. De Kerckhove D. (1993), Brainframes, Baskerville, Bologna. De Monticelli, R. (1998), La conoscenza personale, Guerini e Associati, Milano. Foucault, M. (1993), Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino. Galimberti, U. (1982), Il corpo, Feltrinelli, Milano. Geertz, C. (1998), Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna. Heidegger, M. (1976), Essere e tempo, Longanesi & C., Milano. Hofbauer, J. (2000), Bodies in a landscape: on office design and organization, in Body and Organization, Sage Publications, London, 2000, pp. 166-191. Iori, V. (1996), Lo spazio vissuto, La Nuova Italia, Firenze. Marconi, D. (a cura di) (1997), Wittgenstein, Laterza, Bari. Piana, G. (1991), Filosofia della musica, Guerini e Associati, Milano.

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Camminare per la Bicocca.


Una descrizione densa dei percorsi per le informazioni
di Rossana Borretti
"You road I enter upon and look around, I believe you are not all that is here, I believe that much unseen is also here."1 Walt Whitman

In questi pochi versi, di cui molto difficile fare una traduzione altrettanto poetica, Whitman riesce a vedere nell'apparenza di una semplice strada una rete di rimandi e di significati che da questa si dipanano invisibili e complessi. Se Whitman fosse stato un antropologo invece che un poeta, avrebbe potuto cominciare in questo modo una descrizione densa della sua strada. I percorsi, a cui l'idea della strada inevitabilmente rimanda, sono situazioni di notevole interesse antropologico, oltre che poetico. La mia descrizione della Bicocca parte, appunto, da questo. Le domande alla base della presente etnografia sono state: come si cercano le informazioni in Bicocca? Quali si ottengono? Quali percorsi seguono gli studenti? Anche se inevitabilmente il lavoro di osservazione e ricerca svolto sul campo ha fatto emergere nuove domande e nuovi modelli che hanno arricchito e diversificato lo studio. L'analisi, frutto di osservazioni e ricerche compiute nell'anno accademico 2002-2003, ha riguardato essenzialmente l'edificio universitario U6 e, in particolare, i piani maggiormente frequentati dagli studenti: i piani -1, T, 1, 2. Questa scelta stata fatta per due ragioni fondamentali: una che l'edificio U6 viene comunemente considerato il pi rappresentativo e compare su ogni immagine associata alla Bicocca (insieme al suo piazzale e a un lato dell'edificio U7) dal sito ufficiale ai badge magnetici, la seconda ragione che si tratta dell'edificio che conosco meglio e ho valutato che questo avrebbe reso la mia ricerca pi attendibile. La motivazione iniziale stata determinata da una serie di esperienze spiacevoli relative ai primi periodi di frequentazione dell'universit che mi hanno trasmesso la sensazione negativa di un luogo rigido, freddo e male organizzato, anche se apparentemente funzionale, e di una generale difficolt nel reperire le informazioni nonostante un'apparente abbondanza di bacheche e di personale addetto. Lo scopo era quindi di approfondire i termini dei miei pregiudizi per capire se questa fosse una percezione comune di disorientamento o solo un personale impatto infelice. Condurre questa ricerca etnografica mi ha permesso di cogliere la dinamica di una realt significativa e complessa e di produrre un dettagliato resoconto di questa situazione e delle ricadute sul comportamento degli studenti, come dei collegamenti con il sapere che in questo luogo si produce.

Lo studio sar funzionalmente suddiviso in tre parti, dove lo sguardo indagatore dell'etnografo si focalizzer rispettivamente sulla dimensione dello spazio, del tempo e dell'identit per essere ricondotto alla fine all'individuazione di una norma la cui ratio sembra sottendere i percorsi in Bicocca. Il campo di ricerca stato considerato alla stregua di una microsociet che, come la citt di de Certeau2, si caratterizza tramite: 1) la produzione di uno spazio proprio; 2) la sostituzione di un non-tempo, o di un sistema sincronico, alle resistenze inafferrabili e ostinate delle tradizioni; 3) la creazione di un soggetto universale e anonimo che la citt stessa; "La "citt", allo stesso modo di un nome proprio, offre cos la capacit di concepire e costruire lo spazio a partire da un numero finito di caratteristiche stabili, isolabili e articolate l'una sull'altra". SGUARDO SULLO SPAZIO "La produzione di uno spazio proprio: l'organizzazione razionale deve rimuovere tutte le interferenze fisiche, mentali e politiche che la comprometterebbero ". 3 Grandezza, ordine, funzionalit, modernit La prima caratteristica che de Certeau individua per parlare della citt quella di avere uno spazio proprio. E se si parla della Bicocca lo spazio ha un notevole impatto visivo sull'occhio del passante che lo guarda. La grandezza di questa costruzione immediatamente associata a un'altra percezione visiva, quella di ordine, simmetria geometrica per una moderna funzionalit. Si tratta di una grandezza fisica ma, allo stesso tempo, di una grandezza percepita come distanza da percorrere per raggiungere la propria meta. Guardando una planimetria della zona si nota una dislocazione dello spazio universitario diviso in ben otto edifici, alcuni anche piuttosto distanti tra loro. Uno studente medio, soprattutto se proviene da realt non urbane, potrebbe avere delle difficolt ad orientarsi in questo contesto all'inizio. La necessit, quindi, di avere informazioni precise sarebbe, in questo caso, un'esigenza che si manifesta ancora prima di raggiungere l'edificio di destinazione. Molte testimonianze di studenti, soprattutto quelli che non essendo di Milano hanno avuto bisogno

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di aiuto anche per arrivare dalla stazione alla Bicocca, hanno sottolineato come inizialmente la grandezza e l'ubicazione degli edifici universitari contribuisse a creare una sensazione di estraneit al luogo. Allo stesso tempo l'impostazione razionale di questo progetto evidente: la struttura delle costruzioni tendenzialmente simmetrica e regolare e basata su soluzioni geometriche dove i rimandi di colore e forme sono costanti: "grandi bow-window e il colore rosso uniformano il complesso universitario umanistico con quello scientifico, rendendo meglio identificabile la presenza universitaria nell'area"4. Tutto sembra pensato per essere "informativo", per trasmettere indicazioni e facilitare, in questo modo, la frequentazione di questi spazi. E gli studenti concordano, in questo sostanzialmente uniformi, nel considerare il progetto come funzionale e moderno, utile alle loro esigenze, sensato. C' la tendenza generale a giustificare le difficolt iniziali come determinate da incapacit personali, mentre la percezione comune che il progetto "funzioni". I discorsi che riguardano la Bicocca rimandano spesso a questa idea di progetto, anche perch i riferimenti dell'ambiente circostante sono tanti: l'aspetto della zona cambia di continuo grazie alla presenza di cantieri in costante attivit, stata recentemente creata una linea tranviaria che collega i vari edifici, a lato del teatro degli Arcimboldi enormi fotografie ricordano la sua recente costruzione, persino nei nomi delle vie si insiste sull'idea di novit: la via che dal teatro conduce all'U6, viale dell'Innovazione, appunto, costeggia il piazzale dell'Ateneo nuovo. Le aspettative degli studenti riflettono la progettualit e la pragmaticit del posto dove studiano: le attese riguardano funzionalit ed efficienza, pochi sono interessati all'aspetto estetico o ne hanno una reale opinione, e le informazioni richieste sono generalmente funzionali alla frequenza dell'universit come aule, appelli o tipologia d'esame. Ma gli studenti sono anche pronti ad accettare il fatto che un progetto in fase di realizzazione abbia ancora dei difetti. Lo stesso concetto di funzionalit, un concetto molto aziendale che ricorda come la Bicocca nasca, di fatto, dalle ceneri della Pirelli, conferma come le due realt siano ancora molto legate. Il tipo di utenza che frequenta la Bicocca ha, infatti, esigenze precise: si studia per ottenere qualcosa, un buon lavoro, una conferma delle proprie qualit e capacit, una rivalsa sociale, un avanzamento di status. Si pagano le tasse per avere un servizio rapido ed efficiente. L'impostazione legata a un'economia di mercato, basata sui concetti di dare e avere, di profitti e perdite per ottenere un utile finale, si riflette nella terminologia universitaria: fare un esame equivale a saldare un debito, i punteggi sono dei crediti, la laurea deve essere "spendibile" sul "mercato" del lavoro. Tra realt e apparenza Se una delle finalit pubblicitarie del progetto Bicocca quella di convincere un potenziale studente della grandezza e della funzionalit dello stesso, l'obiettivo sembra generalmente raggiunto. Gli studenti intervistati condividono, infatti, questa visione dimostrando di osservare con poca attenzione il posto

dove studiano. Non tutto, infatti, grande e funzionale in Bicocca. Percorrendo i corridoi, ad esempio, ci si accorge di quanto siano bassi e bui, il percorso pieno di rientranze ed anfratti i quali, limitando la visuale, danno l'impressione di aprirsi ad un nuovo spazio. Solo avvicinandosi ci si rende conto che spesso questa apparenza di apertura di spazio solo fittizia. Anche il corridoio che conduce alla mensa (piano sotterraneo) ha un soffitto molto basso che trasmette una sensazione claustrofobica che ricorda quello di un bunker, situazione peggiorata da un costante rumore di macchinari. La scelta di creare negli ambienti quelle che potrei, forse impropriamente, definire "nicchie" costante in tutto l'edificio: davanti al bar, ad esempio, il soffitto diviso in due parti dove un blocco squadrato lo abbassa per met e fa sembrare pi alta l'altra met, un altro esempio una zona situata davanti alla segreteria dove una scalinata conduce a un piano rialzato che, con uno spazio di studio riparato da sguardi esterni, fa da ingresso alle aule 08 e 09 e ancora al piano sotterraneo in fondo al corridoio a sinistra delle macchinette del caff si trova uno spazio isolato da un rientro del muro e da un muretto su due lati, forse una reminiscenza delle celle della biblioteca, una sorta di spazio solitario per meditare? La funzionalit di queste nicchie non sempre evidente. Certe scelte stilistiche sembrano, comunque, non essere finalizzate a vere e proprie esigenze di struttura. Una possibile teoria, che verr ripresa, che rappresentino una sorta di punti fissi, zone di sosta riparate nel flusso costante della dinamica vita universitaria. La sensazione di grandezza associata anche al fatto di perdersi, al disorientamento provocato dalle dimensioni e al dinamismo della struttura. In realt in Bicocca ci si perde anche per altri motivi: un esempio lampante riguarda la disposizione delle aule, o meglio la loro numerazione: al piano sotterraneo, ad esempio, le quattro aule, situate ai quattro angoli del piano, sono disposte numericamente come a disegnare una N allungata scritta, per, da destra verso sinistra5 (e non in senso circolare come dovrebbero essere, a detta di molti studenti): 4 2 5 3 Questo rende la ricerca di un'aula di cui non si conosca l'ubicazione un'operazione complicata, soprattutto quando il numero delle aule presenti su un piano aumenta. Se la sensazione generale che lo spazio sia pensato in modo razionale e lineare, la disposizione delle aule disattende le aspettative e lascia perplessi molti studenti. Le reazioni sono state diverse: alcuni pensano che "magari funzionano sulla carta ma non nel tridimensionale" altri immaginano che la "numerazione stata fatta a caso", altri ancora sostengono, rassegnati, che "non c' una logica". Al piano terra la disposizione delle aule, pi numerose, ricorda l'impostazione del piano sottostante. Troviamo due gruppi di aule disposte su due linee parallele (ancora incrociate), l'aula 14 in particolare non porta nessuna indicazione del suo numero essendo stata adibita in un momento successivo a spazio per i disabili. L'assenza del numero 14 contribuisce, per altro, ad acuire, nello studente appena arrivato, la sensazione di una distribuzione

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arbitraria delle aule: 15 14

13 12 11 10 18 17 16 All'interno si trovano quattro aule disposte, come al piano sottostante, a disegnare una N allungata scritta da destra verso sinistra: 8 6 9 7 Lo studente impegnato nella ricerca di un'aula riuscir difficilmente ad avere una visione d'insieme di questo tipo. Anche perch la segnaletica ancora piuttosto carente: al piano terra, all'entrata, accanto alla base delle scale mobili, si trova l'indicazione delle aule che sono situate su ogni piano, ma non la loro disposizione sul piano stesso (anche se poi, ben visibile dalle due entrate, stato messo di recente un gabbiotto per le informazioni che supplisce a questa carenza). Appena arrivati al primo piano si trova, invece, una colonnina dove sono suggeriti con una freccia i percorsi per arrivare pi agevolmente alle varie aule, indicazione che stata predisposta solo all'inizio dell'anno accademico 2002-03. Anche qui per non possibile trovare una piantina con una visione d'insieme delle aule predisposta dall'organizzazione universitaria. Qualche studente intraprendente (credo un rappresentante degli studenti, ma non sono riuscita a scoprirlo) ha provveduto autonomamente a rimediare a questa mancanza appendendo in giro nelle varie bacheche una cartina dei piani, per altro ben fatta. Al primo piano la situazione si complica: se si collega le varie aule in un percorso emerge una simmetria solo abbozzata, non percepibile dallo studente in cerca della propria aula: 33 32 31 28 23 22 34 42 35 36 37 41 38 39 40 30 29 26 27 25 20 24 21

combinazioni pi varie per capire come collegare questi numeri, ho chiesto le opinioni degli stessi studenti, ho raccolto le loro perplessit e il loro disappunto. Sono, perfino, stata tentata dall'opinione diffusa che non ci fosse "una logica". Ma a questo punto mi sono resa conto che il mio errore (come quello di molti studenti) era considerare le aule in relazione le une con le altre, mentre bisognava cambiare il punto il vista. Era necessario frammentare la visione d'insieme in singoli eventi: lo studente che segue una lezione va in una singola aula e, quindi, fa un percorso preciso per arrivare e per andarsene. Le aule sono disposte, infatti, a raggiera per essere, nei limiti del possibile, tutte equidistanti dall'ingresso o dall'uscita; in questo senso diventa irrilevante come queste si rapportino le une con le altre. Viene pertanto considerato un percorso singolo, ingresso/aula/uscita, decisamente funzionale, una volta acquisito l'automatismo che consente di arrivare all'aula necessaria. Questa disposizione crea, invece, disorientamento quando non si conosce ancora la posizione delle aule delle proprie lezioni, quindi solo nei primi tempi della frequentazione, come emerge dalle conversazioni con gli studenti. I percorsi per le informazioni Ma come trovano le informazioni gli studenti della Bicocca? In generale evitano di rivolgersi al personale e alle bacheche. Molti preferiscono, invece, cercare le informazioni in maniera random. La risposta alla domanda: "Come hai trovato l'aula?" stata in molti casi: "Ho girato finch non ho trovato" oppure "Ho chiesto al primo passante". Altri chiedono solo agli amici o aspettano di essere in gruppo per fare una richiesta. E' interessante notare che la tendenza ad affidarsi al caso, alla propria intuizione o semplicemente alla fortuna emersa in studenti dalle formazioni pi varie. Molti ragazzi, invece, venuti a Milano per studiare, ma abituati a realt pi piccole, hanno raccontato di aver provato ansia i primi tempi, anche se tutti dichiarano ora di orientarsi perfettamente; l'abitudine a percorsi fissi ha dato loro una sensazione di sicurezza e un senso di appartenenza al posto. L'intraprendenza della ricerca casuale riguarda generalmente i giovani studenti mentre gli iscritti pi "maturi" preferiscono, piuttosto, avere informazioni precise prima di muoversi, il loro camminare deve avere basi solide, anche se chi ha questo approccio, che definirei "generazionale", sicuramente una minoranza in Bicocca. Da notare l'osservazione di una studentessa di psicologia che parlando della mancanza di segnaletica degli anni passati ha sottolineato come questo favorisse, per, enormemente la socializzazione: chiedere informazioni ai passanti ancora una strategia molto usata nei percorsi per le informazioni, anche se nessuno, a parte lei, ha sottolineato come questo portasse al miglioramento dei rapporti sociali, aspetto, questo, che verr trattato in seguito. De Certeau individua, per ogni "modo di fare" un percorso, una combinazione di stili e usi: lo stile indica una singolarit e un modo di essere, mentre l'uso rimanda a una norma. Se i percorsi iniziali degli studenti hanno un aspetto generalmente disordinato

Le aule ai lati sono disposte ordinatamente in senso antiorario ma il collegamento con le aule centrali non segue una regola chiara ("qual la norma?" si chiedono tutti gli studenti intervistati, abituati alla norma - per lo meno apparente- delle altre scelte strutturali). La ricerca della norma Concordando con l'affermazione di de Certeau il quale sostiene che "le successioni di passi sono una forma di organizzazione dello spazio, costituiscono la trama dei luoghi"6, ho cercato di individuare i contorni di queste trame seguendo i percorsi degli studenti che andavano a lezione. Ho studiato la disposizione delle aule cercando di scoprirne il senso, ho immaginato le

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e casuale e ognuno di loro affronta le difficolt con uno stile diverso, con il tempo si raggiunge la capacit di usare i percorsi in modo pi funzionale e uniforme, si acquisisce la norma. Flussi in movimento alla ricerca delle informazioni L'impostazione dinamica della Bicocca rimanda a un'idea di flusso costante. Ma all'interno di questi spazi apparentemente cos difficili da gestire in termini di ampiezza e di orientamento esistono dei percorsi definiti, guidati e controllati. Per usare nuovamente le parole di de Certeau: "Non si pu ridurre i percorsi a una mera traccia grafica, i percorsi sono sempre carichi di significato"7 . Divieti imperfetti. L'edificio costellato da interruzioni e divieti di ogni tipo, anche se, spesso, solo apparenti: nicchie, porte con cartelli di divieto di accesso (III piano) o dove si prega di chiudere la porta (piano terra accanto alla segreteria), porte da cui si poteva uscire qualche giorno prima e che diventano improvvisamente vietate (accanto alla segreteria), porte di uscita con allarme, il collegamento dalla biblioteca con il passaggio per l'U7 si raggiunge tramite una porta che vietato aprire, le scale non mobili nascoste dietro una porta non contrassegnata da nessuna indicazione (se non vietato, almeno scoraggiato), l'aula 5 al termine del corridoio un'interruzione brusca del percorso di esplorazione. Anche se i divieti sono costanti, contravvenire al divieto non comporta particolari sanzioni (ad esempio ogni giorno si sente l'allarme perch qualcuno uscito dalle uscite di sicurezza ma non si toglie l'allarme n si mettono cartelli pi grandi n tanto meno si richiama chi uscito). Sembra pertanto che una generale tolleranza conviva con l'insistenza a sottolineare come ci sia un'autorit che vieta. Percorsi obbligati. I movimenti in Bicocca sono generalmente di andata e ritorno. E' la struttura stessa ad incoraggiare questo tipo di percorso e a scoraggiare, invece, le esplorazioni indipendenti. Il caso emblematico della disposizione delle aule non ne che un esempio: non averne una visione d'insieme ma solo una conoscenza parziale, e strettamente funzionale, non stimola la curiosit e crea una sorta di dipendenza ogni volta si presenti un'esigenza nuova. In Bicocca si viene condotti, quasi per mano, a seguire la propria vita universitaria in modo uniforme: un esempio la scala mobile (o l'ascensore) che porta direttamente ai piani in modo comodo e veloce (mentre le scale sono nascoste e non curate) e scandisce i tempi e i ritmi degli spostamenti. Per arrivare in Bicocca possibile, inoltre, prendere un bus, non a caso chiamato "navetta", che porta gli studenti direttamente all'universit riportandoli indietro alla fine delle lezioni. I percorsi da seguire per raggiungere le aule, almeno al primo piano, sono indicati da frecce le quali mostrano la via pi breve da seguire per arrivare velocemente alla meta8. Lo spazio, apparentemente cos grande, risulta essere di fatto suddiviso e frammentato in percorsi/cunicoli dove la possibilit di incontrare qualcuno che non appartiene alla stessa facolt, o non segue la stessa lezione o non deve fare lo stesso esame

rarissima. Questi percorsi, definiti "cunicoli" perch strettamente funzionali alla meta che permettono di raggiungere, impediscono di avere una visuale d'insieme dello spazio circostante, ma hanno il vantaggio di trasmettere una sicurezza di orientamento a chi li percorre: una volta imparati i cunicoli non ci si perde pi. Pi di uno studente ha utilizzato l'espressione "mi sono modellato/a" per indicare una sorta di rito di passaggio necessario per imparare "come devi fare per avere le informazioni, per trovare le cose, per studiare". La percezione di un percorso obbligato riguarda anche, per alcuni studenti, certi piani di studio considerati troppo rigidi (una studentessa di scienze dell'educazione sostiene che "la triennale vincolante, siamo molto incanalati con i corsi, nei vari indirizzi" per cui la sua amica che ha scelto un indirizzo diverso, ma che formalmente avr la sua stessa laurea, si ritrova a dover sostenere esami molto diversi di cui solo uno a scelta) o la rigida divisione, con le evidenti differenze, tra la triennale e i due anni di specializzazione. La burocratica divisione del lavoro mostra le sue lacune nel momento in cui gli studenti necessitano di informazioni che non riguardano la specifica facolt: l'esame di informatica o di lingua, obbligatori per tutti, ad esempio. Diversi studenti hanno descritto con dovizia di particolari le difficolt incontrate nel tentativo di ottenere banali informazioni quali orari o date degli appelli di questi esami generali, perch non di competenza specifica di nessuno in particolare. Il problema stato sempre risolto grazie ad informazioni ricevute da amici e conoscenti o trovate su Internet. Punti fissi. Insieme al movimento che caratterizza il dinamismo moderno della Bicocca, c' anche la necessit di punti fissi o riparati dove sostare. Le nicchie gi descritte sembrano essere funzionali in questo senso, soprattutto quelle abbastanza grandi da ospitare degli studenti: la zona di studio del piano rialzato situato di fronte alla segreteria, che permette di accedere alle aule 08 e 09, occupata da 15 tavolini in cui si pu studiare senza essere visti dal flusso di persone sottostante e ci conferisce a questa sorta di "isola" qualcosa di intimo ed esclusivo. Osservando questa particolare area in diverse occasioni, ho notato che chi studia ai tavolini non coincide mai con chi invece sale le scale per andare nelle aule 08 e 09 per le lezioni (mentre inizialmente ero stata tentata di pensare che lo studio in questa particolare zona fosse un riempitivo in attesa delle lezioni), a volte chi aspetta di entrare lo fa in piedi nonostante la disponibilit di posti, come a sottolineare una netta frontiera fra due utenze che, solo casualmente, si trovano a condividere lo stesso spazio, ma in cunicoli diversi che non si incrociano. A proposito di punti fissi, da notare che le sedie delle aule sono bloccate e non possono essere spostate e questo scoraggia le attivit di gruppo o le disposizioni a cerchio che tanto vengono usate nelle scuole medie e superiori per promuovere la socializzazione e il cooperative learning. L'intera aula un blocco unico ben radicato al suolo. Gli studenti che studiano ai tavolini, interiorizzando questa situazione di blocco, tendono a tenersi il posto a vicenda per paura di perderlo, magari per giornate intere, e da quelle postazioni, come novelle vedette, guardano la gente che passa. Mi capitato di studiare ai tavoli e di chiedere delle

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informazioni come esperimento: ho sempre ricevuto risposte gentili, ma solo dopo essere stata osservata con attenzione. Altri punti fissi, o meglio di raccordo, sono i "semafori": punti di snodo o di sosta forzata, anche se temporanea, i quali sono spesso aree dove possibile avere delle informazioni: ingresso, segreteria, la zona accanto alle scale mobili, (per motivi pratici il luogo preferito per ritrovarsi, si vede chi passa ed generalmente il punto di partenza di molti percorsi), la colonnina delle informazioni al piano, gli ascensori (con il monopolio della salita al terzo e quarto piano anche uno dei punti di incontro tra studenti e docenti). SGUARDO SUL TEMPO "La sostituzione di un non-tempo, o di un sistema sincronico, alle resistenze inafferrabili e ostinate delle tradizioni: strategie scientifiche univoche, consentite da un piano che tiene conto di tutti i dati, devono sostituire le tattiche degli abitanti che approfittano delle "occasioni" e attraverso colpi di mano, lapsus della visibilit, reintroducono ovunque le opacit della storia"9 . Percorsi nel tempo Come seconda caratteristica della citt, de Certeau individua una situazione di non-tempo dove le tradizioni vengono negate per essere sostituite da strategie scientifiche univoche. Anche in questo caso la Bicocca come microsociet corrisponde perfettamente alla descrizione dello studioso francese. Questa Bicocca del futuro legata indissolubilmente al suo passato: la Pirelli trasformata da fabbrica a universit in una sorta di produzione del sapere o la zona stessa che, da luogo di residenza di operai, diventa quartiere alla moda con appartamenti dai prezzi inaccessibili, e quindi selettivi. Ma questo passato viene rimosso, o meglio rivisitato come punto di forza, a sottolineare l'enorme potenzialit di un progetto che stato in grado di trasformare il destino di una zona. Come l'uomo "che si fatto da s", una versione italiana del sogno americano, cos anche la Bicocca, un'area abitata da operai, ha potuto raggiungere attenzione e prestigio. Questa visione, supportata da un'intensa campagna pubblicitaria, associata, inoltre, all'idea della conquista e alla colonizzazione da parte della tecnologia e della razionalit, perfetta sintesi del pensiero occidentale. In questo senso, la Bicocca diventa un modello di riferimento anche per chi in questa struttura studia per migliorare il proprio futuro e stabilisce i parametri su cui costruire la propria formazione. Soprattutto per gli studenti, per i quali l'universit rappresenta un avanzamento nella posizione sociale, questo modello potrebbe rappresentare un riferimento forte. Le aspettative che emergono dalle loro conversazioni evidenziano la presenza di obiettivi pratici e la determinazione di riuscire a raggiungerli. Si studia, generalmente, in base ai propri interessi, ma creativit e curiosit vengono spesso "incanalati" in rigidi percorsi funzionali a uno sbocco professionale. Perdere tempo Perdere tempo un peccato inaccettabile in Bicocca, chi perde

tempo ghettizzato, non produttivo. Questa la norma che, come i divieti imperfetti gi esaminati, pu essere trasgredita senza sanzioni, ma il messaggio che sembra passare che ci "contro il tuo interesse" (ancora un termine commerciale). Gli spazi di socializzazione sono ampiamente dati e si vedono molto: un esempio indicativo il piazzale dell'edificio U6 che appare in ogni rappresentazione della Bicocca ed molto apprezzato dagli studenti, "la piazza si configura come un luogo di sosta e incontro per gli studenti, completata da una serie di elementi di arredo che ne aumentano le caratteristiche di spazio di aggregazione"10 , all'interno della struttura si trova invece la soluzione del "pergolato" definito dagli studenti come un luogo per rilassarsi o altre zone come lo spazio delle macchinette del caff o alcuni tavolini di studio. In generale, per, gli studenti con cui ho parlato sono apparsi molto operativi e capaci di "sfruttare il tempo in Bicocca in modo produttivo". Gli spazi dove si perde tempo sono ben evidenziati e ben distinti. In Bicocca si cammina sul percorso pi breve e una delle informazioni pi richieste agli amici ai tavolini di studio riguarda gli esami pi veloci da preparare. Interessante, e indicativo, l'attesa dell'ascensore: pi volte ho visto persone prendere l'ascensore in salita nonostante avessero bisogno di scendere o viceversa "pur di non perderlo" o "per evitare di aspettare", si preferisce passare del tempo su qualcosa che si muove piuttosto che aspettare immobili al piano. SGUARDO SULL'IDENTITA' "La creazione di un soggetto universale e anonimo che la citt stessa: come al suo modello politico, la Stato di Hobbes, le si possono attribuire gradualmente tutte le funzioni e i predicati fino a quel momento sparsi e assegnati a molteplici soggetti reali, gruppi, associazioni, individui". Sociale e individuale La Bicocca, come la citt descritta da de Certeau, diventa un unico soggetto anonimo, in cui confluiscono le individualit e i gruppi che in essa operano. La socialit , per, un argomento controverso quando si parla della Bicocca. Nonostante l'evidente spazio dedicatole dalla struttura opinione comune che qui sia difficile fare delle amicizie: "ognuno ha le sue conoscenze, si fa i fatti suoi, segue le lezioni e comunque finisce l, non c' un rapporto che continua". Le aspettative iniziali di una studentessa di scienze dell'educazione sono piuttosto rappresentative: "era una mia idea, la [Bicocca] vedevo come un posto dove divertirsi, dove fare conoscenze, anche se non solo quello ovviamente, magari anche per il fatto di essere via da casa [si tratta di una studentessa che viene da fuori Milano], questa discrepanza mi ha lasciato un po' male all'inizio, io me la immaginavo diversa". Le amicizie si fanno all'interno dei propri percorsi, si va a lezione o si preparano gli esami insieme, raramente si conoscono altre persone. Gli studenti tendono a spiegare questa situazione come una conseguenza delle dimensioni della Bicocca e fanno paragoni con universit pi piccole come quella di Torino o Pavia dove i rapporti sociali sembrano essere pi facili.

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Competizione vs cooperazione. In un ottica di economia di mercato l'atteggiamento vincente sicuramente quello della competizione per il raggiungimento degli obiettivi, l'enfasi sull'efficienza, sulla spendibilit del sapere, i percorsi lineari miranti a obiettivi precisi non fanno che enfatizzare questo tipo di impostazione. E facendo una fenomenologia degli spazi si pu osservare come di fatto esista una sorta di competizione (spesso non esplicitata ma reale) tra studenti, ma anche tra docenti o tra il personale universitario che viene incoraggiata dalla struttura stessa che, per le sue dimensioni spazio-temporali, continua a rimandare ad una logica di corsa ai profitti. Anche questo parte del sapere trasversale su cui si "modella" lo studente della Bicocca, qualcosa che apprende e che applica in un contesto di microsociet. Una rottura possibile la cooperazione che di fatto esiste in Bicocca e che rappresenta una sottocultura che emerge solo dopo un'assidua frequentazione: le informazioni pi importanti vengono trasmesse attraverso il passaparola degli amici, molti prestano i libri e studiano a gruppi, ci si organizza insieme per fare richieste ai docenti, per spostarsi insieme. Gli studenti della Bicocca hanno creato un sito molto interessante www.studentibicocca.it dove possibile trovare informazioni per, cito dal volantino, "parlare di tutto e fare nuovi incontri, scambiarsi informazioni sui corsi, fare nuove amicizie, essere sempre informato", un sito funzionale, quindi, alle esigenze di uno studente, ma anche uno spazio di socializzazione. Ai vari piani dell'U6, inoltre, si trovano, come ho gi detto, fotocopie appese (fatte artigianalmente) con la disposizione delle aule per aiutare chi non si orienta ancora. Appartenenza. La percezione che ho rilevato fra gli studenti non uniforme: negli iscritti del vecchio ordinamento, che hanno di fatto inaugurato le attivit didattiche della nuova universit Bicocca, traspare l'orgoglio provato nel sentirsi parte di questo cambiamento: uno studente di sociologia ricorda la novit del "pergolato" e una studentessa di statistica mi parla del pezzo della fabbrica Pirelli a lato dell'U7 verso il teatro che nel 2000 si vedeva ancora. Molti raccontano delle ore passate in universit, "anche a giocare" con gli amici. Chi si iscritto pi di recente, gli studenti della laurea triennale, non condivide, generalmente, il senso di appartenenza o di socialit che questi racconti, che sanno di passato pur appartenendo a pochi anni fa, trasmettono. Una delle ragioni potrebbe consistere nella divisione dei percorsi che ha contribuito a mantenere queste due percezioni dello stesso luogo cos diverse. Informazione e sapere. Per seguire la classica distinzione di Geertz11 si potrebbe definire la Bicocca un "modello di" e un "modello per". La Bicocca un "modello di" in quanto rimanda a una specifica ideologia e impostazione societaria dove l'economia di mercato determina priorit e tratti, la societ dalla quale la Bicocca trae di fatto la maggior parte della sua utenza, ma anche un "modello per" perch sua prerogativa essenziale la formazione di giovani (e non) menti (non ha caso vari studenti hanno definito il loro

ambientarsi in Bicocca con il termine "modellarsi") il cui impatto sulla societ non pu essere ignorato. Ma se questo si applica in generale a tutte le istituzioni universitarie, in che cosa la Bicocca specifica? In primo luogo perch nuova e poi perch a Milano (i simboli che ho gi descritto rimandano continuamente a questo fatto). Si tratta, dunque, di un "modello di" temporale e spaziale. Il fatto che sia a Milano fondamentale per capirne l'impostazione: Milano considerata il centro di tutte le attivit economiche del Paese, il posto dove si lavora e si produce benessere e dove, quindi, necessario che si "producano" lavoratori qualificati. Ma non solo. Rispetto alle altre universit di Milano la Bicocca ha il vantaggio di essere stata costruita da poco. Si contrappone nettamente, e anche il suo aspetto lo sottolinea, all'universit tradizionale per un'impostazione che guarda al futuro. Fino a pochi anni fa, l'universit era ancora considerata "per pochi" e le sue priorit erano relative a una conoscenza, con un alone di rispetto e venerazione che, insieme alla gestione del potere, rimaneva una prerogativa della classe dirigente che l si formava. Ora che l'universit si aperta a una frequentazione "di massa" l'impostazione cambiata. E' diventata necessaria una maggiore organizzazione e un maggiore controllo e una rivisitazione dei contenuti in rapporto agli obiettivi della nuova utenza. Ora gli studenti studiano in prospettiva di un lavoro e, per molti, un'opportunit di avanzamento sociale. Un'ulteriore riflessione riguarda la concezione del sapere che diventata settoriale. Nonostante si citi Leonardo nel sito della Bicocca quale simbolo di multidisciplinariet, questo non pi un modello applicabile nella modernit: il nuovo dotto non colui che "sa tutto" ma l'esperto in un settore specifico, sia perch il sapere si talmente diversificato e approfondito da non permettere pi una competenza che possa spaziare su molteplici campi, sia perch i nuovi mezzi di comunicazione consentono ora una percezione pi realistica della vastit del sapere. Gli stessi studenti richiedono di essere preparati in maniera approfondita in relazione all'ambito scelto e considerano "una perdita di tempo" essere obbligati a dare esami su materie che considerano non strettamente pertinenti. La preparazione , dunque, associata alla specializzazione. La Bicocca come "modello di" non per perfettamente sovrapponibile alla stessa come "modello per". Tra i due vi lo scarto temporale degli anni che uno studente passa in un'universit e in cui avviene l'incontro tra formatori e persone da formare, un momento di passaggio che porta con s tutte le implicazioni di un contatto. Ci che ne consegue non pu essere che un'ibridazione in cui ogni parte cambia in rapporto con il tutto contribuendo, a sua volta, affinch questo tutto assuma caratteristiche sempre diverse. La societ che si riflette in questo "modello di", e che in parte confluisce come utenza all'interno di essa, dovr riaccogliere dal "modello per" persone che sono state formate da una serie diversa di stimoli. Un modello, proprio perch tale, dar una visione reificata di quello che invece una realt viva e in mutamento continuo, dove una serie di esperienze, cultuali, relazionali, emotive sono, solo in parte, riconducibili a uno schema. Se il passaggio per la Bicocca pu essere considerato

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come un rito di iniziazione alla societ, il senso critico e la creativit oltre allo scambio di idee rendono le modalit di questa formazione non cos rigidamente prevedibili. CONCLUSIONI La scelta di utilizzare un modello, operazione fondamentale per poter trasporre nella parola scritta l'esperienza sul campo, pone diversi interrogativi: i modelli non hanno mai perfetta rispondenza con la realt, anche se hanno lo scopo di mettere in luce le strutture che formano l'ossatura logica della realt. Il modello ci che permette di comparare, o meglio tradurre i significati di una societ in quelli di un'altra. L'antropologo diventa, quindi, colui che interpreta i significati dei fenomeni culturali. A questo punto si pone il problema del valore cognitivo dell'esperienza etnografica. Piasere12 sostiene che il vero etnografo colui che non ha pi bisogno di scrivere perch impregnato della cultura che studia, una posizione personale e sicuramente provocatoria, che per solleva una questione ancora aperta. Se il modello elemento indispensabile all'elaborazione di un progetto scientifico in antropologia, la consapevolezza dei suoi limiti non pu che portare all'approfondimento dello sguardo dell'antropologo sull'Altro. Ci che si descritto, dunque, non solo il camminare in Bicocca ma "un modo di essere al mondo"13 , "pratiche dello spazio che rinviano a una forma specifica di operazioni ("modi di fare"), a "un'altra spazialit" (un'esperienza "antropologica" [] dello

spazio) e a una dipendenza opaca e cieca della citt abitata. Una citt transumante, o metaforica, s'insinua cos nel testo chiaro di quella pianificata e leggibile"14 . Il camminare implica una selezione, una scelta che non mai completamente autonoma ma che ha possibilit rivoluzionarie. I percorsi, come le parole, possono raccontare delle storie, "le intersezioni di queste scritture avanzanti compongono una storia molteplice, senza autore n spettatore, formata da frammenti di traiettorie e di modificazioni dello spazio, che in rapporto alle rappresentazioni resta quotidianamente e indefinitamente altra"15. La prima scelta di rottura avviene, infatti, grazie alle parole, scritte o parlate, le informazioni al gruppo, gli scambi di idee o semplicemente le scritte sui banchi o sui muri. A questo proposito riporto le parole scritte su un foglietto appeso su una colonna del piazzale di fronte all'U6: CHI GETTA SEMI AL VENTO FARA' FIORIRE IL CIELO Firmato libera associazione d'idee con un disegno raffigurante un profilo e un fiore all'altezza della tempia, come ad indicare il pensiero creativo. Questo, ad esempio, uno dei tanti percorsi alternativi possibili.

NOTE
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Tratto da Song of the Open Road di Walt Whitman. Michel de Certeau, L'invenzione del quotidiano, 2001, Edizioni Lavoro, Roma (pag.147). 3 Michel de Certeau op. cit. pag. 147. 4 Dal sito http://www.gregottiassociati.it/progetti/default.htm. 5 Parlando con una studentessa di statistica di questo argomento (in relazione all'edificio U7 dove la situazione simile), mi stato fatto notare che anche sui treni che richiedono la prenotazione la disposizione dei posti in parte incrociata e apparentemente illogica e, anche in quel caso, non cos agevole trovare il proprio posto. Secondo lei, uno dei possibili motivi potrebbe essere la facile individuazione dei posti accanto al finestrino o al corridoio da parte di chi deve rilasciare la prenotazione (divisione fra pari e dispari). La finalit di questa disposizione di aule, invece, non emersa dal discorso. 6 Michel de Certeau op. cit. pag. 150. 7 Michel de Certeau op. cit. pag.153. 8 Una collega iscritta alla laurea specialistica di antropologia mi spiegava come, nell'entrare in Bicocca, provasse un impulso molto forte a seguire percorsi obliqui, proprio in opposizione a quella linearit che si descritta. 9 Michel de Certeau op. cit. pag. 147. 10 Tratto dal sito www.gregottiassociati.it/progetti/default.htm. 11 Clifford Geertz, Interpretazioni di culture, Il Mulino, Bologna, 1986. 12 Leonardo Piasere, L'etnografo imperfetto, Editori Laterza, Roma, 2002. 13 Michel de Certeau op. cit. pag. 151. 14 Ibidem pag. 146. 15 Ibidem pagg. 145-146.

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Gli individui nella burocrazia elettronica


Gli studenti a confronto con l'organizzazione dell'Universit Milano-Bicocca
di Tatiana Tartuferi
1. I luoghi Eccomi di fronte all'edificio U6, anonimo come tutti gli altri se non avesse il privilegio, relativo perch condiviso con l'edificio U7, di affacciarsi sulla piazza denominata "dell'Ateneo Nuovo". Tramite l'ingresso principale si possono raggiungere i terminali S.I.F.A., sistema di gestione della burocrazia dell'universit di Milano-Bicocca. Superate le doppie porte di vetro ci si trova in un ampio spazio aperto. Guardando lungo i due corridoi ai lati si intravede, a una decina di metri, l'indicazione dei 'Terminali S.I.F.A.' inscritta su cartelli metallici pendenti dal soffitto che in quel punto ribassato rispetto all'ampio spazio aperto dell'ingresso. Scelgo di andare a sinistra. Una panca lungo il muro mi accompagna mentre arrivo in un punto in cui, alla mia sinistra, si apre uno spazio ampio diviso in due parti. Il divisorio costituito da 3 piccole costruzioni grigie aperte da un lato all'interno delle quali ci si potrebbe aspettare di trovare un gelataio o un venditore ambulante di caramelle. Invece, su ciascuna campeggia il logo di due facolt dell'Universit di Milano Bicocca e sono vuote, come sempre. Sono a disposizione per le occasioni in cui si volessero "presentare" le varie facolt ad eventuali ospiti o futuri iscritti, ma tutti gli intervistati hanno dichiarato di non averli mai visti in uso. Una volta che ci si avvicina ai terminali, si vede solo il retro di q u e s t e costruzioni, che vengono a costituire una sorta di m u r o divisorio della stanza. Tornando indietro sui miei passi oltrepasso la zona antistante l'ingresso e si presenta una situazione esattamente speculare: baracchini delle varie facolt guardano sei terminali verniciati di blu. I terminali sono presenti anche negli altri edifici. Entrando nell'U4 (Scienze geologiche, come recitano le grandi scritte color argento sullo sfondo rossastro dell'esterno del palazzo) si trovano due terminali sulla destra, davanti alla portineria, cos come, entrando nell'U3 (Scienze biologiche), due terminali si trovano alla sinistra di chi entra, dove c' la portineria di questo edificio. L'ingresso di questi edifici ampio e freddo e gli studenti non vi si soffermano, anche perch le aule si trovano oltre delle grandi porte che si richiudono dopo il passaggio. Le numerose bacheche, fisse ai muri o mobili, non attraggono l'attenzione di nessuno dei passanti. I terminali sono sempre posti in spazi ampi, cosicch alle spalle di chi li utilizza rimangono in media 3-4 metri di spazio libero. Completamente libero: non mi mai capitato di osservare n singoli studenti n gruppi che si soffermassero all'interno di quello spazio. Durante le pause tra le lezioni o nei tempi che le precedono e seguono, gli studenti preferiscono raccogliersi in prossimit delle aule o al di fuori degli edifici. Questo posizionamento, per, funzionale alla visibilit dei terminali: consente agli studenti di individuarli durante la loro frequentazione quotidiana degli edifici universitari. Non necessario, quindi, che vengano indicati nelle grandi piante ai piedi delle scale mobili. 1.1. I movimenti intorno ai terminali Nell'ingresso dell'edificio U3 intorno alle 11.00 del mattino, un ragazzo e due ragazze escono da una porta durante l'intervallo di una lezione. Si voltano sulla destra dove sanno che si trovano i terminali S.I.F.A. Il ragazzo fa partire l'applicazione e tutti insieme consultano. Dopo qualche commento se ne vanno, ma vengono sostituiti pochi istanti pi tardi da altri quattro studenti: due ragazze controllano se sono stati registrati gli esami mentre gli altri due si allontanano a parlare davanti alla finestra. Arriva una terza ragazza e chiede degli appelli, ma sembra che non siano ancora stati definiti. Nell'edificio U6 si possono osservare movimenti simili, ma forse pi interessanti perch sono a disposizione un maggior numero di macchine.

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Intorno alle 14.00 davanti ai terminali non c' nessuno mentre nei corridoi gli studenti vanno e vengono. Al tavolo poco distante un gruppo di ragazzi chiacchiera di fronte a libri e fogli di appunti. Una ragazza seduta sulla panca lungo la bacheca antistante le finestre e mangia un panino in maniera frettolosa mentre due ragazzi si avvicinano alla bacheca per consultare l'orario dei treni. Dopo qualche minuto i ragazzi del tavolo l vicino si alzano, alcuni raccolgono le proprie cose e si avvicinano ai terminali. Uno alla volta si avvicinano ad uno dei terminali e consultano lo schermo. In questa fase sono nettamente divisi: la consultazione appare come un'operazione solitaria, un rapporto a tu per tu con la macchina. Nessuno ritira delle stampe. C' qualche scambio di battute mentre uno di loro, con lo zaino in spalla e la giacca in mano cammina avanti e indietro alle loro spalle, in attesa che gli altri finiscano. Dopo una decina di minuti se ne vanno insieme riprendendo le giacche lasciate sul tavolo. Poi il deserto. Qualche minuto pi tardi arriva una donna. Consulta. Arrivano altri due ragazzi: uno si dirige senza esitazione verso il terminale pi vicino alla finestra, mentre l'altro, innanzitutto, utilizza il tavolo da poco rimasto vuoto per riporvi lo zaino e la giacca. Poi va a consultare il terminale e dopo pochi minuti si allontana senza riprendere le proprie cose. Nel frattempo arriva un altro ragazzo, solo. Al termine della sua consultazione scambio qualche parola con lui: nel frattempo gli altri si sono gi allontanati. Studia giurisprudenza e dichiara di usare il S.I.F.A. principalmente per verificare gli appelli. Digita matricola e PIN e mi mostra di cosa si tratta: per diritto privato ci sono due appelli in aprile e uno in maggio.
I - quanto spesso lo consulti? R - non tanto, forse una volta a settimana giusto per organizzarmi con gli esami. I - lo usi per controllare se un esame stato registrato? R - no, quello lo vedo su (con la testa indica verso l'alto)

ovvero un momento che precede lo studio effettivo, che definisce quali saranno le materie da studiare nelle settimane successive. L'importanza dell'organizzazione dello studio e del percorso degli esami non viene percepita dagli studenti in modo diretto, bench costituisca una parte importante per il successo del loro curriculum. Gli studenti sono gli unici utilizzatori delle macchine blu. I docenti ed il Personale amministrativo dell'universit accedono al servizio tramite i propri computer. Mi capitato di incontrare un signore che si era avvicinato ai terminali blu con la speranza di trovarvi informazioni generiche sull'Universit. Si allontanato deluso mentre si guardava intorno con atteggiamento spaesato.

2. Le informazioni contenute nel S.I.F.A. Il S.I.F.A. uno dei modi tramite i quali l'istituzione si presenta. Gli studenti lo percepiscono come uno strumento efficiente, di una burocrazia moderna, pi snella grazie all'utilizzo delle pi recenti tecnologie. Il sistema all'interno dell'istituzione universitaria costituisce una sorta di 'segreteria virtuale': i due servizi tra i quali scegliere sono Sportello Segreterie e Sportello Didattica. Scegliendo "Accesso ai servizi on-line" si arriva di fronte ad una schermata nella quale vengono elencate le funzioni del S.I.F.A. (senza che si riesca ad intuire nessun tipo di ordinamento ragionato): posizione anagrafica, posizione amministrativa, certificati, fascia di reddito, domanda di esonero dalle tasse, collaborazioni studentesche, prenotazione assistenza fascia di reddito, domande di ammissione, socrates, ecc. In realt molte di queste funzioni sono disabilitate per alcuni utenti, ma lo si pu verificare solo seguendo il collegamento. Gli studenti descrivono il S.I.F.A. come un sistema per svolgere tutte quelle attivit burocratiche che riguardano la segreteria. Interrogati su quali siano le attivit che si possono svolgere col S.I.F.A., la prima della quale parlano generalmente l'iscrizione. Le difficolt che lo strumento in s presenta restano in secondo piano. Un esempio di tale atteggiamento una conversazione con una ragazza fuori corso di giurisprudenza che proveniva dall'universit di Como. Lei afferm all'inizio:
"Quando ho fatto il trasferimento hanno sbagliato un esame, ma dopo UN MESE hanno sistemato tutto. A Como ci avrebbero messo un anno e mezzo!"

D un'occhiata all'orologio ed io sono costretta a capire che deve andare a lezione. Come quasi tutti i suoi colleghi, era l solo per trascorrere i pochi minuti liberi tra una lezione e l'altra. L'uso dei terminali, in effetti, avviene principalmente nei momenti di pausa o comunque quando gli studenti sono di passaggio in loro prossimit. Gli ampi spazi dove si trovano le macchine sono luoghi di transito tra lo spazio esterno, vissuto principalmente come luogo di svago e riposo, e lo spazio interno che il luogo dello studio, dove si svolgono le lezioni, ci si incontra con i professori o si studia. Allo stesso modo l'attivit che viene svolta sui terminali pu essere definita liminale: non propriamente un momento di studio, di apprendimento, ma piuttosto un momento di organizzazione dello studio stesso. Per dare l'idea di come gli studenti la percepiscono, per, dovremmo definirla pre-liminare,

Apprezzava l'efficacia dello strumento senza accennare ad alcuna difficolt nell'utilizzo. Col proseguire della conversazione, disse che usava lo strumento per svolgere sempre le medesime attivit, che ormai considerava acquisite, quasi che il primo disorientamento dovuto alla sua inesperienza fosse completamente superato. Le feci notare l'ambiguit del linguaggio utilizzato nei vari passaggi dell'applicazione che

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dichiarava di usare comunemente, ma lei non era critica nei suoi confronti: le cose stavano in questo modo e non c'era molto altro da dire al riguardo. Successivamente, per, si ricord del problema che aveva riscontrato proprio poco prima che la nostra conversazione cominciasse: non riusciva a capire se era riuscita ad iscriversi all'esame che le interessava. Le chiesi, quindi, di provare ad iscriversi nuovamente ad un esame che in realt aveva gi sostenuto, per verificare dove fossero le difficolt. Immaginavo che tale operazione non fosse permessa, ma volevo verificare se l'applicativo ci avrebbe avvertite dell'errore. L'applicazione, invece, le consent di procedere. Lei non parve stupirsene. Al termine apparve una schermata con una scritta standard:
ACCESSO ALL'APPLICAZIONE CON ESITO POSITIVO "Cosa vuol dire?" le chiesi. "Che sono iscritta!", rispose. "S??" "S" (senza enfasi e senza troppa convinzione) "Non possiamo verificare nella lista degli esami ai quali sei iscritta?" "Non so"

Mentre pronunciava quest'ultima frase, prov a cliccare su diverse parti dello schermo finch apparve la lista cercata, ma al suo interno non c'era l'esame al quale riteneva di essersi appena iscritta con esito positivo. Visto il risultato decisamente negativo, lei e la sua compagna azzardarono delle ipotesi non troppo convinte: poteva essere dovuto al fatto che lei l'esame l'aveva gi dato oppure al fatto che non aveva effettivamente seguito tutti i passi necessari per concludere l'operazione. La ragione, in effetti, era quest'ultima, ma non questo l'aspetto rilevante. Piuttosto qui mi preme sottolineare che gli studenti si rivolgono alla macchina con una certa riverenza senza mettere in dubbio la sua efficienza, ma tutt'al pi la propria capacit di utilizzarla al meglio. Molti studenti hanno riferito un disorientamento iniziale, in occasione dei primi utilizzi dello stesso, ma dopo un breve periodo si convincono di avere sotto controllo tutto il sistema. Dicono tutto, ma in realt si riferiscono solo a tutto ci che utilizzano frequentemente: se vengono interrogati su parti dell'applicativo che non sono mai servite loro, si scopre che non le hanno mai guardate, neanche per curiosit. Sembra che arrivi un momento in cui ciascuno trova il proprio modo di rapportarsi col sistema e questo gli d sicurezza fino al punto di non interessarsi a nulla che potrebbe metterla in crisi. Le diverse attivit che lo strumento consente potrebbero essere descritte come dei rituali necessari durante la propria vita studentesca per il raggiungimento di obiettivi parziali, gli esami, che sono necessari per ottenere quella qualifica professionale (e il conseguente riconoscimento sociale) alla quale gli studenti ambiscono: la Laurea. Ogni studente, ad esempio, sa che prima di un esame deve iscriversi e questo un passaggio obbligato che deve essere svolto come la procedura, in questo caso elettronica, prevede. Non viene messa in dubbio la necessit di questa attivit n ci si interroga sulle ragioni delle modalit specifiche. Il fatto che la procedura

sia elettronica considerato unicamente come un vantaggio: consente di iscriversi all'esame o, eventualmente, cancellare l'iscrizione in modo rapido e facile per tutti gli esami, anche dal proprio computer di casa. Tutti ricordano la complessit dell'iscrizione agli esami secondo la procedura che era in vigore fino a pochi anni fa: ogni studente doveva andare di persona a scrivere il proprio nome su un foglio di carta che generalmente si trovava, mescolato a quelli degli altri esami, in prossimit della segreteria didattica. Le persone che lavorano all'interno delle segreterie sostengono che la procedura elettronica ha ridotto le loro incombenze in quest'ambito: prima ricevevano le telefonate disperate degli studenti fuori sede che non potevano recarsi a Milano per l'iscrizione e dovevano aiutarli aggiungendo i loro nomi nelle liste. In realt, le telefonate disperate non sono scomparse: oggi gli studenti chiamano perch, a causa di un'eccessiva rigidit del sistema, a volte non riescono comunque ad iscriversi. Ma tutti sono ormai abituati che la tecnologia non perfetta e sanno che si possono verificare dei malfunzionamenti. L'aspetto dissonante che bench siano coscienti dell' "incompiutezza" di questo sistema, continuano a parlarne in generale come se fosse la soluzione ideale per tutti i problemi. Nel corso di questa ricerca, l'efficacia della procedura in s ha continuato a non essere in discussione, mentre la lista dei problemi riscontrati si allungava. I due rappresentanti che si occupano di aiutare gli studenti che hanno problemi con la registrazione degli esami hanno rivelato di essersi accorti che l'algoritmo secondo il quale il software calcola la media pesata sbagliato. Tale media viene usata per le varie graduatorie (collaborazioni studentesche o borse di studio) ma anche per il calcolo del voto di laurea. L'errore minimo, per cui uno studente che non conosca bene il concetto di media pesata difficilmente pu rendersene conto, a meno che non chieda informazioni dettagliate. Prende semplicemente atto della media calcolata dal S.I.F.A.: a ben pochi venuto in mente che pu essere facilmente verificata con una calcolatrice.
Studente1 - In pratica il problema questo. Una media pesata dev'essere fatta prendendo il voto moltiplicato per il numero di crediti e il tutto dev'essere diviso per la somma dei crediti. E cos hai la media degli esami. Questa la media che viene usata per le collaborazioni studentesche, eventualmente per le borse di studio e quella che viene usata per il voto di laurea. Il software faceva una cosa diversa. Prendeva sbagliava l'approssimazione, perch troncava a una certa cifra decimale Intervistatrice - quindi l'errore era nel decimale? Studente1 - quindi l'errore era nel troncamento delle varie operazioni. Poi c'era un problema di propagazione dell'errore Studente2 - cio quello che sembrava giusto all'inizio dei conti, alla fine dei conti si vedeva tanto l'errore. Studente1 - e poi quando ci sono 20-30 esami come ci sono nei nuovi moduli Abbiamo informato i responsabili e purtroppo ancora sbagliata, per almeno lo sanno. Hanno detto che adesso cambieranno il software. E' un

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errore proprio banale. Studente2 - be', ma poi l'anno sistemato perch adesso funzionava Studente1 - NON funziona, te lo dico io

procedere in ambito del SERVIZIO y tempo trascorso % o

L'informatizzazione delle procedure burocratiche in s viene percepita come un fattore positivo, anche se non ha migliorato di molto l'effettiva organizzazione universitaria. Uno studente nel forum dichiara:
sono al 4 anno e solo da qualche mese ho la possibilit (come tutti gli iscritti a Scienze dell'Educazione) di iscrivermi via Internet agli esami... prima c'erano le liste in segreteria che uscivano due settimane prima circa e non vi dico che ressa c'era per lasciare la firma... poi capitava pure che qualche stupido si divertisse a cancellare il tuo nome, o che la prof non leggesse bene il tuo cognome...etcc..etcc. E non funzionavano nemmeno i terminali....io la tessera S.I.F.A. l'ho usata una volta per entrare in discoteca ad una serata universitaria...e basta...infatti adesso che l'ho persa non la richiedo pi visto che costa ben 10 euro!!!1

Questa scritta non cambia n col procedere del tempo (come sembrerebbe indicare) n col procedere delle operazioni di consultazione o con la stampa del certificato. Posizionandosi col mouse su tale scritta si torna alla schermata iniziale. Il messaggio si rivela assolutamente fasullo, eppure gli studenti non lo percepiscono come tale: semplicemente lo ignorano perch non rilevante. Ma come affrontano il problema quando diventa rilevante ai loro fini? Mi capitato spesso di osservare studenti che consultavano il S.I.F.A. e vederli in difficolt con le sue procedure. Ho sentito due ragazzi rileggere pi volte questa frase: "Data dell'esame non possibile o incongruente con data". Si interrogavano su cosa potesse essere successo e non riuscivano a trovare una soluzione. Dopo essersi allontanati per qualche minuto per confrontarsi con i propri compagni di studio, sono tornati e, una volta entrati nell'applicativo, sembravano ritrovarsi sul medesimo binario morto. A questo punto si allontanarono definitivamente. Non so quale esito abbia avuto la loro vicenda, ma un altro ragazzo mi ha dato un'idea di come risolvono la questione: si consultano tra di loro, con i diversi compagni di corso. Condividere le esperienze del S.I.F.A. serve loro ad uscire dall'impasse che l'incomprensibilit dello stesso determina. b - procedurali. Il funzionamento effettivo delle procedure non esplicitato in nessun modo: solo dopo aver provato pi volte una procedura come quella di iscrizione agli esami l'utente pu costruirsi una propria idea (che nel paragrafo precedente ho definito "il proprio modo di relazionarsi col sistema") del flusso dei dati inseriti tramite l'applicazione. In questo gruppo rientrano anche le difficolt dovute ad un erroneo rapporto di relazione tra gli esami: le cosiddette propedeuticit. Durante una conversazione con un ragazzo della facolt di sociologia, chiesi come aveva risolto le varie difficolt incontrate nella registrazione degli esami. Rispose che "ci si arrangia coi compagni di corso". Si consultano tra loro per verificare se la cosa gi successa a qualcun altro per poi tentare le medesime vie oppure alternative dedotte da quella esperienza. Nei casi pi gravi si rivolgono in segreteria, dalla quale, per, sembrano non ottenere mai risposte soddisfacenti. "Ti rimbalzano da un ufficio all'altro!", mi disse. Per trovare una conferma di questo comportamento, vediamo come un gruppo di ragazzi descrive un esame e la relativa registrazione.

Pur nel discorso confuso che tipico dei messaggi del forum, notiamo il ritorno delle tematiche affrontate in questo paragrafo: la burocrazia elettronica meglio di quella manuale, anche se non sempre funziona. 3. La comprensibilit della burocrazia Le contraddizioni riscontrate in questa forma di burocrazia durante la ricerca sono numerose e possono essere raggruppate in due principali categorie. a - comunicative. Molte difficolt nel flusso della comunicazione istituzionestudenti sono state descritte all'interno del paragrafo 2: i messaggi che appaiono nelle diverse schermate del S.I.F.A. sono ambigui e possono essere compresi solo dopo che l'applicazione stata usata pi volte cercando di fare leva sul senso comune oppure sulle conoscenze di utenti pi esperti. Lo stesso linguaggio utilizzato all'interno del S.I.F.A. estraneo ai mutamenti sia dell'italiano standard sia della sua variante utilizzata in ambito informatico negli ultimi anni. E' emblematica l'espressione gi citata: ACCESSO ALL'APPLICAZIONE CON ESITO POSITIVO Gli applicativi sviluppati, soprattutto grazie all'evoluzione di Internet e di concetti ad esso relativi come l'usabilit (sorvoliamo sulla cacofonia del termine) negli ultimi anni tendono a facilitare l'uso tramite un linguaggio pi vicino a quello comunemente parlato. Processo che non sembra essere avvenuto nel S.I.F.A., nemmeno nelle funzionalit che sono state attivate pi di recente. Un altro esempio di questa staticit appare nella schermata successiva a quella iniziale descritta a pagina 2 di questo saggio. Quando si visualizza un certificato, nella parte inferiore dello schermo la scritta
PREMERE IL PULSANTE DEL SERVIZIO DESIDERATO si trasforma nel modo seguente:

Autore: Oggetto: antropologia VrrJunior Member Registrato: May 2002 postato il 26/06/2002 alle 16:13

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volevo dare antropologia il nove.il corso l'ho seguito l'anno scorso con fabietti ora il mio dubbio :con chi devo iscrivermi quest'anno?con fabietti che presente negli elenchi degli appelli,ma non nelle iscrizioni attraverso S.I.F.A.,o con manukian che ha fatto il corso al quest'anno?HELP!!!! Chr Member Registrato: Jun 2002 postato il 26/06/2002 alle 16:51 per sicurezza chiedi a fabietti stesso o al prof che hai menzionato. in bocca al lupo!!! ____________________ Le persone se ne vanno ma la loro anima per sempre... Sr2 Junior Member Registrato: Jun 2002 postato il 26/06/2002 alle 17:04 io ho lo stesso problema anche se ho seguito con manoukian,gli ho scritto e mi ha rsp che nn c'e' differenza di prof!al max se proprio si vuol fare con chi si e' seguito il corso lo si dice in sede esame!ciao sere Pml Member Registrato: Jun 2002 postato il 27/06/2002 alle 16:36

Io avevo mandato l'e-mail al prof Fabietti, ma ha fatto un gran casino...se vuoi fare l'esame con lui devi cmq iscriverti all'appello o con Manoukian o con la Mattalucci per ti presenti all'appello di Antro di scienze della comunicazione, dove trovi Fabietti. Lui dice che ti fa l'esame per poi devi andare a registrarti all'appello di Antro di Scienze dell'educazione... Insomma un casino...perch le date non coincidono per niente... Ti conviene iscriverti all'appello di Manoukian o della Mattalucci(io l'ho fatto con lei e portavo il tuo stesso programma). In bocca al lupo! Pam. Sr2 Junior Member Registrato: Jun 2002 postato il 27/06/2002 alle 21:06 se lo fai con la mattalucci dimmelo che ci becchiamo!!sere
Vrr Junior Member Registrato: May 2002 postato il 27/06/2002 alle 23:32 ohhh...grazie a tutti!!!penso che mi iscriver con manoukian xk cmq sono del gruppo a-l...sempre che mi iscriva perch tra il lavoro,il caldo e tutti quegli antropologi non so pi a che santo votarmi!!!infatti non ho ancora iniziato a studiare!!!! PER SEREU:tu sei del gruppo m-z o a-l?cmq nel caso mi iscriva con la matalucci ti faccio sapere.grazie a tutti!

Gli studenti che si trovano costretti a sostenere gli esami negli appelli non direttamente successivi al corso a volte non sanno come gestire gli aspetti burocratici. Privi del sostegno dei compagni di corso, usano il forum degli studenti per cercare l'aiuto di qualcuno che abbia incontrato le medesime difficolt. Con buoni risultati: il forum un nodo importante di una rete di relazioni istituite al di fuori dello stesso che supportano gli individui e danno loro il senso di appartenenza alla comunit. Le risposte che lo studente di sociologia trovava nei compagni di corso possono essere fornite anche al di fuori di quella cerchia ristretta, ovvero all'interno del gruppo pi ampio degli studenti che, nel corso degli anni, hanno sostenuto lo stesso esame.

4. L'individuo e la tecnologia Il S.I.F.A. trasmette agli studenti un'immagine di efficienza ed alto livello tecnologico dell'Universit. Questo aspetto si inscrive nella tematica pi ampia della retorica della modernit diffusa nella civilt occidentale. Thompson, nel suo famoso studio sui mezzi di comunicazione2, delinea diversi settori nei quali la societ afferma il proprio potere sugli individui. Nell'universit si esercita il potere culturale o simbolico che si esprime tramite gli strumenti dell'informazione e della comunicazione, sottoposti al suo controllo. Il S.I.F.A. sembra essere uno strumento volto proprio a questo fine, bench coloro che frequentano quotidianamente questa istituzione, studenti e impiegati, non lo percepiscano come tale. L'Universit ha proposto a tutti coloro che gravitano intorno ad essa un sistema elettronico per gestire la burocrazia: ci stato accolto generalmente con consenso. Per comprendere le ragioni di tale consenso pu essere utile confrontarlo con l'atteggiamento diffuso pi in generale in tutta la civilt occidentale, nella quale l'introduzione di sistemi tecnologici per raggiungere un ideale di efficienza e razionalit nella gestione della societ da tutti considerata necessaria. Arjun Appadurai ha definito questo sentire comune macroretorica della modernizzazione sviluppista (crescita economica, alta tecnologia, industria agricola, scolarizzazione, militarizzazione) 3. E' vero che Appadurai si riferisce ai paesi non occidentali, ma la stessa retorica ancora viva e vitale nella nostra stessa societ. Questa modernizzazione, per, non priva di effetti sulla vita delle persone. La mediazione elettronica sta talmente trasformando le soggettivit quotidiane da spingerle a relazionarsi con la realt in maniera diversa da quella tradizionale. Paolo Apolito, in riferimento ad un lavoro di A. Hoplight Tapia, identifica in due poli opposti le emozioni che le risorse tecnologiche hanno suscitato nelle societ occidentali negli ultimi decenni: paura e speranza 4. Ma, a differenza di quanto accade nel visionarismo cattolico da lui studiato, nell'opinione che studenti e impiegati si sono formati riguardo al S.I.F.A. predomina la speranza, ovvero la fiducia che questo tipo di tecnologia potr migliorare la qualit del lavoro e del servizio che viene offerto. Ma la paura non assente: si mostra meno, ma c'. C' quando una studentessa per iscriversi ad un esame chiede il supporto di un'amica. C' quando uno studente risulta troppo in basso in una graduatoria e non riesce a sapere con precisione quali siano i criteri in base ai quali stata stilata. C' quando una segretaria mi mostra con entusiasmo il nuovo progetto ministeriale, ma si domanda se questo ridurr i posti di lavoro. La paura [] esprime l'incertezza diffusa e generalizzata nei confronti di una velocit di progresso tecnologico cui i tradizionali assetti culturali, politici e sociali non riescono a tener dietro. 5 Questa incertezza si rileva anche in un microambiente come quello degli utilizzatori del S.I.F.A.: di fronte ad uno strumento nuovo, mettono in atto strategie imparate tramite l'esperienza precedente per verificarne di nuovo l'efficacia. Di fronte al fallimento, quando c', sembrano non trovare alternative adeguate.

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Se la paura nei confronti della burocrazia elettronica solo iniziale, le difficolt che fa nascere vengono affrontate con gli stessi strumenti usati nel passato nei confronti della vecchia burocrazia: una passiva accettazione dell'inefficienza purch questa non superi il livello di sopportazione. In tal caso, ovvero quando il problema va a toccare ambiti importanti della propria vita (come una rata delle tasse troppo alta o un posto in graduatoria troppo basso), gli studenti devono nuovamente interfacciarsi con altre persone (non pi macchine) alle quali chiedere aiuto: ai compagni di corso, agli impiegati delle varie segreterie, ai rappresentanti degli studenti. Ed anche in questo caso entrano in gioco le vecchie strategie: non c' nulla di nuovo quando una studentessa chiede alla segretaria di essere lei stessa ad iscriverla all'esame perch a casa non ha Internet. Telefonate simili avvenivano quando non era indispensabile il computer ma piuttosto la propria presenza fisica per scrivere il nome su un foglio di carta. Sorge il dubbio che sia proprio questa inefficienza della tecnologia a spingere le persone ad assumere un ruolo attivo per far s che l'intero apparato si sostenga. La reazione propositiva dei singoli individui dovuta alla loro convinzione che questo apparato burocratico sia necessario. L'utilizzo della tecnologia uno degli aspetti che contribuiscono alla creazione concettuale di un mondo moderno, tecnologicamente avanzato, in cui la realt un fatto scientificamente spiegabile. Sembra che questi numeri, con la loro supposta razionalit, diano un senso di tranquillit in un mondo in rapido mutamento. Ecco quindi che anche il sapere che ciascun individuo possiede deve poter essere misurato. Cos tramite parametri (dai codici degli insegnamenti alle matricole, dai crediti ai voti) la conoscenza di ciascuno studente viene misurata. E questa reificazione ha anche uno scopo concreto, immediato: l'universit di Milano-Bicocca si autodefinita una fabbrica e, come tale, deve produrre determinati tipi di individui che

potranno poi essere messi in commercio nel mercato del lavoro. E' quindi indispensabile che tali prodotti rechino su di s un'etichetta, quasi un codice a barre, che ne recita nel dettaglio le caratteristiche "chimico-fisiche" che li renderanno appetibili per i consumatori di quel particolare mercato: le aziende. Un fenomeno che ricorda quello descritto da Hannerz: alcuni stati pi di altri sono impegnati a sviluppare quello che si pu chiamare un "welfare culturale", cercando di fornire ai propri cittadini una buona cultura":il che vuol dire significati e forme significanti per raggiungere standard intellettuali ed estetici certificabili6.

NOTE
1 2

http://www.studentibicocca.it Thompson, John B., Mezzi di comunicazione e modernit, Bologna, Il Mulino, 1998. 3 Arjun Appadurai, Modernit in polvere,Roma, Meltemi, 2001, pag. 25. 4 Paolo Apolito, Internet e la Madonna, Milano, Feltrinelli, 2002, pag. 12. 5 P. Apolito, idem, pag. 15. 6 Hannerz, Ulf, La complessit culturale, Il Mulino, 1989, pag. 65.

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La piazza
di Roberta Ghidelli

Premessa: teoria e metodologia La ricerca etnografica sulla Bicocca, mi ha dato l'opportunit di sperimentare sul campo le varie sollecitazioni culturali ricevute e quindi di avvicinare e di interpretare l'alterit con nuovi strumenti, provenienti soprattutto dalle frontiere del sapere antropologico che hanno prodotto un'operazione di decostruzione/costruzione del concetto di cultura. L'oggetto di studio, l'Universit della Bicocca, e i vari sottooggetti hanno rappresentato un'interessante sfida per cogliere ed interpretare il significato dell'esistenza o non-esistenza di una cultura specifica prodotta da un luogo determinato. In tale prospettiva ho deciso, di analizzare le pratiche spaziali e la socialit vissute nella Piazza del Nuovo Ateneo, luogo con dei confini fisici di cemento che inizialmente mi davano un senso claustrofobico. Da qui l'interesse e la curiosit per la socializzazione praticata in un simile contesto. Questo pregiudizio iniziale e un campo di ricerca, circoscritto e delimitato da confini fisici, sono state due sfide con le quali ho dovuto costantemente confrontarmi. Inizialmente l'oggetto della ricerca riguardava le tipologie di aggregazione degli studenti che avvenivano nella piazza e le modalit di socializzazione. Poi, nel corso del lavoro, mi sono interessata maggiormente alle relazioni intercorrenti tra la struttura spaziale e le pratiche d'uso, ricreative e quotidiane, dei ragazzi. Questo non stato un effettivo mutamento tematico. Infatti da un lato le pratiche spaziali costituiscono le forme in cui avviene la socializzazione e dall'altro le sollecitazioni teoriche riguardanti la costruzione della localit di Appadurai, la condivisione della cultura di Hannerz, i non luoghi di Aug, le tattiche spaziali di De Certeau, l'etnografia di Piasere, le riflessioni di Geertz e di Clifford, mi hanno portato a considerare il campo non solo come uno sfondo entro il quale costruire una

situazione, ma come un prodotto in divenire che interagisce con l'azione stessa, conformandola. Ho sviluppato la ricerca nell'arco di circa due mesi, da aprile ad giugno, articolandola in tre momenti conseguenziali e interconnessi: una prima fase di osservazione, una di interviste ed una di osservazione partecipante. Queste diverse modalit di conoscenza dell'oggetto hanno prodotto significativi stimoli per l'analisi, ma hanno anche mostrato i limiti metodologici che il dibattito antropologico ed etnografico ha ampiamente approfondito, come ad esempio il paradosso dell'osservazione partecipante. Il raggiungimento di una capacit di movimento nella piazza e di una condivisione del fare ( ottenuta con l'osservazione) e la comprensione di alcuni flussi di movimento e di appartenenza dei ragazzi sono state le condizioni necessarie per costruire uno spazio dialogico, all'interno del quale negoziare e percepire i flussi di significato che i ragazzi danno al loro stare in piazza. La presentazione del lavoro, suddiviso nelle tre fasi, intende proprio rappresentare la graduale costruzioni di ipotesi e di linee interpretative. Osservazione Il progetto architettonico di Gregotti vede nella piazza dell' edificio U6, Piazza Ateneo Nuovo, il luogo della socializzazione. La piazza Ateneo Nuovo non situata al centro del polo universitario, che si estende su tre blocchi di edifici, ma decentrata al confine esterno lungo la facciata dell'edificio U6. Questo l'edificio pi rappresentativo, quello che ha mantenuto le tracce della memoria del passato, ed quello pi centrale per la struttura organizzativa e didattica, perch il luogo delle segreterie, della biblioteca, della mensa, degli uffici amministrativi, dell'aula magna, quindi un edificio frequentato anche dagli studenti degli altri U, collocati a circa due-cinque

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minuti di distanza. In questa prospettiva la piazza stata pensata con la funzione di "piazza del villaggio". La piazza un lungo spazio rettangolare. La struttura di tale luogo mi apparsa nella sua simmetricit solo osservandola vuota, senza persone: la presenza dei ragazzi e il loro disporsi spazialmente ne mutava l'ordine classicheggiante. Tale carattere architettonico dato: dalla pavimentazione, la regolarit della piazza costruita dalla ripetizione di quadrati di piastrelle di pietra scura, contornate da piastrelle di pietra bianca, dalla sistemazione degli alberelli, sei file di alberelli distanziati in modo regolare e disposte lungo tutta la piazza, dalle sistemazione delle panchine, sei file di tre blocchi e due di due, ciascuno composto da tre panchine di marmo bianche dalla forma squadrata, disposte a U. da uno spazio centrale delimitato da due file parallele di quattro fioriere, che dividono la piazza in due zone simmetriche. Diversamente dalla sistemazione interna, i contorni della piazza sono a-simmetrici: il lato dell'U6 costeggiato da una fila di 34 panchine, senza schienale, che delimitano la piazza dal passaggio verso l'ingresso dell'U6 e che, in seguito, per identificarle chiamer panchinecorridoio, il lato opposto porticato, la struttura in cemento, larga circa due metri, molto squadrata che ricorda, come poi mi hanno fatto notare alcuni ragazzi una tettoia da cimitero; per tutta la lunghezza della balaustra, che si affaccia su un cantiere della Pirelli e su una strada, vi uno scalino che funge da panchina, il lato verso l'U7, pi corto, rimane rialzato rispetto al piano dell'edificio, ed chiuso da un muretto, che crea un'idea di balconata, spesso usata dai ragazzi per "affacciarsi" sull'ingresso di questo edificio, il lato opposto, quello pi esterno, da anch'esso su un cantiere della Pirelli, attualmente in fase di demolizione/costruzione, ed delimitato da un muretto. Ho svolto l'osservazione in orari e da punti spaziali differenti. I periodi pi continuativi, ripetitivi e prolungati sono stati intorno all'ora di pranzo dalle 12 alle 14 e, in modo pi occasionale, nel pomeriggio. Lo sguardo sulla piazza da angoli visuali diversi, dai bordi al centro, seduta per terra e sui cornicioni, mi ha aiutato a cogliere le diverse prospettive di veduta e di avvicinarmi anche fisicamente ai ragazzi. Questa stata una fase importante perch mi ha aiutata a vivere l'esperienza di quella piazza, mantenendo una forma di straniamento, uno sguardo da lontano, che ha facilitato l'emergere di annotazioni ed interrogativi significativi nel guidarmi nell'interpretazione del modo di trascorrervi il tempo da parte dei ragazzi. L'osservazione iniziata con l'arrivo della bella stagione, elemento che ha contribuito a rendere il cortile molto frequentato e vissuto, anche se ho osservato come l' affluenza era consistente anche nelle giornate non assolate e pi fredde. Innanzitutto dall'osservazione risultato evidente che la piazza utilizzata e fruita con modalit diversificate nel tempo e nello spazio. Nell'orario che pi ho osservato dalle 12 alle 14 la piazza

appare suddivisa in spazi precisi1: lo spazio pi popolato quello che si ottiene dall'intersezione tra i due edifici, che utilizzando una metafora corporea pu essere indicata come la pancia della struttura, ossia la zona nella quale le azioni sono legate ai sentimenti, in contrapposizione alla testa pensante dell'interno. L i ragazzi si ritrovano in gruppi, che chiamer gruppi-bivacco, spesso composti da cinque e pi persone ( quello pi numeroso era di oltre 15), che si "accomodano" per terra in cerchio. Le panchine in questa zona vengono utilizzate dai gruppi-bivacco come deposito per gli zaini e da gruppetti meno numerosi, che per lo pi si siedono sullo schienale o vi si sdraiano. Durante tutto il periodo dell'osservazione il numero dei gruppi stato consistente: da un minimo di 10 ad un massimo di 21. I ragazzi dei gruppi-bivacco arrivano alla spicciolata, scelgono il luogo e si fermano per tempi lunghi. I componenti dei singoli gruppi sono spesso diversi e tale dinamicit mi ha ricordato la categoria concettuale delle somiglianze di famiglia (Waismann, 1944), per cui i concetti sono legati tra loro da modalit diverse, prescindendo dal fatto che abbiano tutti una stessa propriet o caratteristica, il porticato fruito soprattutto da piccoli gruppi e persone singole che guardano la piazza. Anche la lunghezza del portico diversamente frequentata e risulta densa solo vicino alla pancia della piazza. I ragazzi si siedono sulla panchina-scalino mantenendo una posizione esterna alla vita degli altri frequentatori. I tempi di permanenza non sono brevi, la parte pi esterna, ossia al di l della parte centrale, la preferita dalle coppie, anche di amici, e nel complesso poco frequentata, tanto che nonostante la regolarit della piazza, appare pi vuota anche di arredi rispetto alla pancia e per accertarmi della sua simmetria con l'altra parte ho dovuto contare le panchine e gli alberelli. L pochi studenti sono seduti per terra e per lo pi le panchine vengono usate in modo regolare, le panchine-corridoio sono occupate da persone di passaggio, dai flussi di ingresso/uscita dall'U6 dei professori e degli impiegati e degli studenti. Il tempo di permanenza breve, spesso quello necessario per una sigaretta, al pi si fermano per una decina di minuti, si salutano, si incontrano, si danno appuntamento e poi vanno. Questo un luogo di transito, caratterizzato da uno ricambio continuo di persone. La particolarit delle panchine di permettere lo sguardo sul centro della piazza o sul passaggio verso l'ingresso dell'U6, quindi di aprirsi al tempo della piazza, guardandola come se si fosse ai tavolini di un bar, o di rimanere centrati sullo studio, guardano il muro dell'universit. Nel pomeriggio il panorama diverso perch non vi sono pi i grandi gruppi seduti per terra e i ragazzi occupano le panchine in modo eterogeneo. Le persone si fermano per periodi pi brevi, c' molta dinamicit e l'elemento che appare pi evidente il movimento di passaggio obliquo della piazza, tra l'ingresso dell'U6 e le scale verso la stazione, da parte dei ragazzi che lasciano l'universit. Nonostante una generale preminenza femminile, non ho osservato diversit di genere nella composizione dei gruppi, delle coppie e tra i single.

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Muovendomi nella piazza, cercando di cogliere i discorsi e il fare dei ragazzi, ho notato che i frequentatori della piazza mettono in campo pratiche spaziali diverse a secondo del luogo in cui si collocano. Tali pratiche non sono vissute come rigide dai ragazzi perch ciascuno di loro si muove in modo differente: pu far parte del gruppo-bivacco, poi usare la panchina del transito o appartarsi in fondo alla piazza. Nonostante l'assenza di verde, l'immagine che l'uso della pancia mi ha richiamato stato quello di un parco, come il Sempione, ossia di un luogo dove, all'interno del proprio gruppo, ci si diverte in chiacchere, si gioca a pallone, si fuma, si mangia, si prende il sole, si amoreggia. La vicinanza fisica tra i vari gruppi-bivacco e quelli delle panchine non sembra facilitare scambi, relazioni e movimenti. Ho osservato un distacco dalle attivit intellettuali: durante la pausa pochi ragazzi leggono libri o quotidiani ( gli unici giornali che ho visto sono quelli sportivi). I ragazzi che studiano scelgono di sedersi all'esterno della piazza, dove vi una situazione di maggior tranquillit di tipo relazionale anche se non sonora, perch il rumore del cantiere in demolizione alle spalle molto superiore al chiacchiericcio della pancia. Nel pomeriggio aumentano i libri, anche se la lettura rimane un'azione minoritaria, superata di gran lunga dall'oralit. Gli unici gruppi stabili sono quelli che giocano a palla, vicino alla tettoia/porticato. Dall'osservazione ho notato come i piccoli gruppi, di tre o quattro persone, e le coppie non utilizzano la piazza in modo casuale, e spesso arrivando sanno gi dove collocarsi, senza quei momenti di esitazione per la scelta della panchina o del luogo dove sedersi. Il periodo dell'osservazione coinciso con la guerra in Iraq. Questo evento entrato nella piazza in due modi differenti. Da un lato molti ragazzi dei bivacchi hanno indossato i colori della pace e dall'altro un'associazione di studenti di sinistra ha organizzato un banchetto stabile e alcune attivit particolari, come uno spettacolo teatrale. Il banchetto, un tavolino che distribuiva cibarie varie, torte e cibi etnici, faceva attivit di sensibilizzazione, diffusione di materiale informativo e vendita di libri sul tema della guerra, ed stato collocato prima al centro della piazza e poi spostato vicino all'ingresso dell'U6. La performance teatrale liberamente tratta da un lavoro di Brecht, durata circa venti minuti e ha avuto luogo al centro della piazza, senza alcuna scenografia e senza l'uso di microfoni, per cui non si imposta al pubblico che non era interessato. La partecipazione a queste iniziative stata limitata. Davanti al banchetto, la maggior parte dei ragazzi passavano e guardavano senza fermarsi troppo, al pi prendevano qualcosa da mangiare e scambiavano qualche parola. L'attenzione allo spettacolo stata ridotta, in tutto, nel momento di massima partecipazione, erano in 32, seduti per terra. Pochi si sono fermati per tutto il tempo, per lo pi venivano, guardavano, parlottavano, ridevano tra loro e andavano. Al centro della piazza comparso per un giorno anche un grande cartellone contro la guerra, ma non ho avuto modo di osservare le reazioni dirette dei ragazzi, che mi sono state da loro raccontate in seguito. Il look dei ragazzi dei gruppi-bivacca abbastanza omogeneo,

molto sportivo, composto da fusciacche, borsoni, zaini scritti, jeans non griffati, gonnellini. Nel pomeriggio, dove vi un uso pi eterogeneo dello spazio, l'abbigliamento appare meno differenziato ed pi difficile cogliere delle particolarit. Interviste Ho deciso di avvicinare i ragazzi senza uno schema preciso, formulando domande libere su un canovaccio molto generale che prevedeva l'analisi delle seguenti tematiche: - esperienza universitaria: corso studio/anno/precedenti universit - uso del cortile: tempi/modalit/attivit - amicizie universitarie: luogo incontro/facilit relazione/interessi condivisioni - amicizie esterne: rete amicale/luoghi sociali/attivit Il rapporto con i ragazzi non sempre stato immediato e, nonostante mi presentassi come una collega di studi, emergevano forme di distacco e di perplessit. In un paio d'occasioni ho svolto le interviste insieme ad una collega di corso, per avere un feedback e un'osservazione delle relazioni, ma il risultato stato di maggior chiusura e di difficolt, elemento che ho interpretato come una classica risposta ad una ricerca che poteva ricordare i sondaggi di mercato. L'esito di questa fase di interviste, pur con i limiti indicati, mi ha permesso di tracciare un primo quadro interpretativo riguardo alla tipologia dei frequentatori e ai loro legami amicali interni ed esterni all'universit. La conoscenza dei frequentatori della piazza ha chiarito alcune osservazioni fatte nella prima fase, ma soprattutto ha suscitato nuovi interrogativi e la necessit di "entrare" nelle loro pratiche. Innanzitutto gli studenti che vivono la piazza nella lunga pausa pranzo sono soprattutto e prevalentemente studenti di sociologia, di psicologia e di scienze della formazione. Gli studenti degli altri U non usano la piazza anche perch generalmente si recano all'edificio centrale U6 di mattina per questioni burocratiche. Dalle interviste emerso un'eterogeneit di provenienza territoriale dei ragazzi, con una prima differenziazione tra i ragazzi fuori sede, che vivono l'universit in modo pi totale, e quelli che vivono fuori citt che hanno tempi vincolati ai mezzi di trasporto. L'elemento che pi mi ha colpito in questa fase stato come la maggior parte di loro affermava di vivere con piacere la piazza; le critiche pi diffuse riguardavano la scelta della pavimentazione, che avrebbero preferito erbosa, e l'assenza di luoghi esterni all'universit dove trascorrere il tempo libero, fattore che spesso li obbligava a fermarsi in piazza. Pochi hanno fatto osservazioni sull'ordine schematico del luogo, sulla disposizione e comodit dell'arredo, sui legami con la storia passata. La percezione generale che emergeva da questa fase era di una sostanziale accettazione della funzione socializzante della piazza, intesa come luogo dove poter fare incontri. Rispetto alla sfera amicale ritenuta pi significativa dai ragazzi, emergeva una differenza tra gli studenti pi grandi e quelli che hanno appena iniziato a frequentare la Bicocca: solo i primi indicavano anche il gruppo universitario tra i loro punti di riferimento, mentre gli altri si riferivano ancora al gruppo di

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appartenenza frequentato alle superiori. Alcune ragazze hanno ipotizzato che il loro stare in piazza fosse riconducibile alla distanza fisica dell'universit dal centro della citt, che da un lato impone una permanenza forzata, ma dall'altro crea una separazione dai tempi e dalla frenesia della citt. Altri hanno osservato che proprio la collocazione dell'universit obbliga loro a "fare giornata" in Bicocca, dalla mattina al pomeriggio tardi, e quindi la pausa diventa l'unico momento di svago. I pochi ragazzi di economia, giurisprudenza e scienze statistiche che ho intervistato, riconoscibili ad esempio per l'uso della camicia a maniche lunghe, per il collocarsi ai margini e per ritrovarsi in coppia e in piccoli gruppi, hanno sostenuto di vivere la piazza come sfogo temporaneo, per fare due passi, sgranchirsi e fumare una sigaretta, prima o dopo essere passati dal bar o dai distributori di bevande. Loro affermavano di trascorrere la pausapranzo, che pare sia pi breve di quella degli altri studenti, presso i singoli istituti, di andare in biblioteca o di utilizzare i laboratori. Gli studenti delle facolt di giurisprudenza ed economia riferivano di utilizzare per lo pi la piazza come una zona di transito. Dai pochi studenti incontrati, emerso che preferiscono occupare il tempo libero in attivit produttive. L'uso ricreativo e ludico della pancia, da parte dei gruppi-bivacco, non sembra incuriosire ne interessare loro. Pochi ragazzi hanno espresso una qualche forma specifica di nominazione della piazza, per lo pi affermavano di non averci mai pensato, di non ricordare e per indicarla tra loro per lo pi usavano frasi come "ci troviamo fuori". Quelli che l'hanno fatto sono stati gli studenti che si sono descritti come assidui frequentatori. Un ragazzo che si definiva un estroverso, che raccontava di passare l molto tempo, perch si divertiva, usava, paradossalmente, nomignoli quasi dispregiativi come "piscina di cemento, vasca". Le interviste fatte alle persone sole sono state pi lunghe e i ragazzi hanno mostrato minor resistenze a parlare di s. Tanto che una studentessa di psicologia per illustrarmi il perch non poteva fermarsi in piazza, come le sarebbe piaciuto, mi ha raccontato le sue difficolt di ragazza madre che, per giunta, vive fuori Milano. Pochi di loro hanno spiegato il loro essere soli con problemi di socializzazione e solitudine, per lo pi mi dicevano che era una situazione casuale, perch gli amici erano impegnati o erano gia andati via, oppure che erano usciti dall'aula solo per un momento. Una sola ragazza, di sociologia, che si trasferita a novembre 2002 a Milano dalla facolt di Trento ha manifestato la difficolt a conoscere gente nuova al di fuori dei compagni di corso, sottolineando come percepiva una sorta di chiusura dei gruppi e l'assenza di uno spazio dove socializzare le diverse esperienze. Dialoghi Seguendo le indicazioni di Wagner, per il quale " la comprensione di un'altra cultura implica una relazione fra due variet del fenomeno umano: tende alla creazione di un rapporto intellettuale fra di esse, ad una comprensione che le includa ambedue" (Wagner, 1992), ho ritenuto importante utilizzare un "metodo

perduttivo" (Piasere, 2002) nell'analisi della loro quotidianit. Il concetto di perduzione rimanda etimologicamente alla comprensione mediante la frequentazione e si basa su una logica ambivalente e olistica. Ho pertanto deciso di fermarmi tra loro, di cercare di partecipare alle loro attivit, chiedendo di poter entrare nei gruppi. Cos, soprattutto nel tempo del pranzo, ho spesso mangiato con loro i panini che, imitandoli, mi portavo, mi sono fermata a vedere una "partita" di calcio, canzonandoli come facevano gli altri ragazzi, oppure semplicemente stavo con loro. L'osservazione precedente mi ha aiutata a muovermi tra loro con maggior disinvoltura e la partecipazioni alle loro modalit e pratiche quotidiane mi ha consentito di strutturare delle brevi relazioni con alcuni ragazzi, con i quali sono tornata pi volte a parlare. In queste situazioni capitato di essere utilizzata come informatore sulla laurea specialistica e sul mio curriculum formativo. Le reazioni dei ragazzi alla mia presenza sono state generalmente positive e seppur mantenevano una sorta di curiosit nei miei confronti, hanno spesso mostrato interesse e "comprensione", soprattutto accettando di spiegarmi come si socializza e ci si diverte in universit. Durante questi incontri le aree individuate si sono fatte ancor pi fluide e le interviste hanno via via lasciato il posto a conversazioni, a forme di dialogo partecipato. La mia presenza ha, a volte, sollecitato un confronto sulle questioni che riguardavano il significato del loro stare l e sicuramente, soprattutto nei primi momenti ha alterato le normali dinamiche. Fermandomi a lungo in un gruppo, l'atteggiamento iniziale sembrava svanire per lasciar spazio ad una relazione rilassata e spesso divertente, tanto che dovevo concentrarmi sul progetto conoscitivo della ricerca per non perdere di vista il senso del mio essere l. In queste situazioni stato difficile mantenere una forma di straniamento, ma risultato proficuo essere con loro mentre materialmente facevano quello che mi raccontavano, compreso un tentativo di approccio da parte di un ragazzo bei confronti di una studentessa che stava "puntando da un po'", che penso sia stato costruito proprio per dimostrarmi la facilit di conoscere le ragazze, ma che non ha, almeno nell'immediato, dato i frutti desiderati. In un'occasione ho condiviso con due ragazze di giurisprudenza la delusione per l'esame di finanza andato male. Questo stato l'unico momento in cui sono riuscita ad instaurare un dialogo partecipato con degli studenti di tale facolt ed emerso come in quella situazione di difficolt loro due si trovavano pi in sintonia con l'atmosfera della piazza piuttosto che con quella dell'istituto, perch sostenevano che "su deve andare sempre tutto bene" . Le due ragazze si sfogavano verbalmente contro la logica accademica e, contemporaneamente, si opponevano fisicamente ad essa stando sdraiate a prendere il sole. Un altro momento interessante, anche se inizialmente difficile, stato la partecipazione ad un gruppo numeroso che stava canticchiando e suonando una chitarra. Dopo un primo momento di esitazione, sollecitata da un mio compagno di corso, mi sono avvicinata e dopo essermi presentata ho chiesto se potevo

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fermarmi un momento con loro. Una ragazza mi ha fatto spazio per terra e cos mi sono seduta, senza aspettare l'opinione di altri. Il gruppo ha continuato a cantare, forse scegliendo appositamente delle canzoni e motivi che immaginavano non potessi conoscere, oppure semplicemente perch erano quelle le canzoni che a loro piacevano, poi un ragazzo mi ha chiesto di indicare un titolo o un autore e davanti alla mia esitazione hanno tentato "venirmi in contro" cantando motivi meno recenti. Mi hanno poi spiegato che erano compagni di corso e avevano deciso di festeggiare con la musica la fine delle lezioni e del loro stare insieme "intensivamente", perch non tutti si frequentavano " citt", in ossia fuori dal contesto della Bicocca, e quindi per un po' si sarebbero persi di vista. La perduzione stata un'esperienza interessante e vivace, carica di stimoli e di riflessione sul significato delle loro pratiche spaziali e sulla rappresentazione della loro socialit legata al luogo. In questa fase ho incontrato: - cinque gruppi-bivacco superiori a otto persone appartenenti alle facolt di psicologia, sociologia e scienze dell'educazione, - otto piccoli gruppi, composti da due/tre persone sedute nella pancia, - dodici studenti soli, Tra i frequentanti della pancia parrebbe esistere la consapevolezza di un sentimento reciproco di vicinanza culturale e di appartenenza "politica", agito mediante l'affermazione di comportamenti e look pi disinvolti. In pi occasioni i ragazzi hanno sottolineato la loro diversit dagli altri studenti con frasi come, "ma ci hai guardato", "indovina di che facolt siamo"Tuttavia questo non implica che tra le tre facolt ci siano scambi e relazioni particolari, perch i gruppi rimangono per lo pi circoscritti a livello di singolo corso. I ragazzi che vivono la pancia non riempiono-saturano il tempo della pausa pranzo con un fare e non pare emergere tra loro un bisogno e un'ansia di prestazioni. Nella pratica quotidiana i ragazzi trasformano uno spazio fisico di tipo geometrico in un luogo vissuto con tempi e azioni alternativi a quelli dell'interno dell'universit. Il desiderio di verde in sintonia con l'immagine e la rappresentazione che i ragazzi hanno dei propri luoghi di svago, dove ritrovarsi per giocare e divertirsi al di fuori del mondo degli adulti. Durante il tempo trascorso con loro, dopo un'iniziale momento di imbarazzo, le conversazioni riprendevano e spesso i ragazzi ridevano tra loro per sciocchezze o per passaggi di cui non conoscevo gli antefatti. Nel loro modo di trascorrere il tempo l'esigenza che ho colto come primaria quella di creare una sorta di separazione, di distacco mentale da un dentro pieno e saturo di cultura e un fuori libero e giocoso: nella pancia non si deve e non si pu studiare, tanto che coloro che tentavano di ripetere o chiedere spiegazioni varie venivano derisi e diventavano oggetto di scherzi. La pausa delle lezioni assume un significato di sospensione anche dagli impegni, dal dover essere: un tempo per s, per le relazioni, per divertirsi stando insieme al di fuori di un contesto percepito come strutturante. Giocando con loro ad

immaginarsi altre possibilit, molti finivano per desiderare proprio la piazza, cos come . La limitata partecipazione alle proposte politiche nella pausa delle lezioni, anche da parte di studenti che portavano addosso segni della loro posizione contraria alla guerra, trova in questa ottica un significato, poich anche l'azione politica deve sottostare ai tempi della piazza. L'attivismo politico mal si concilia con il bisogno di affermazione di un s svincolato dalle logiche del sapere, in sintonia con tale rappresentazione, i ragazzi del banchetto politico hanno proposto un approccio mangereccio. Quando ho chiesto informazioni sul contenuto politico del grande cartellone apparso nel centro della piazza i ragazzi dicevano di non saperne nulla, i pi l'avevano notato, ma non si ricordavano quando e chi l'avesse collocato: notizie e fatti sembrava appartenessero gi al passato dimenticato. La pancia pare abbia, infatti, una scansione del tempo diverso da quello dell'universit. Gli eventi vengono ricordati secondo calendari differenti e non riferiti alle lezioni o agli esami, ma alle vicende interne ai vari gruppi. Cos come il tempo trascorso in piazza dilatato, venendo percepito o come troppo breve e veloce o come lungo. I ragazzi in piccoli gruppi o in coppia fruiscono la piazza come un luogo privilegiato per racconti e conversazioni private e confidenziali. Tra loro appaiono anche dei testi scolastici, ma quando mi sono fermata a parlare emerso che i libri rappresentavano l'occasione per stare insieme, per confrontarsi e sostenersi. Le conversazioni alle quali ho partecipato hanno avuto due temi principali, gli amori/amici e l'universit. La disposizione spaziale delle panchine lungo tutta la piazza e la presenza costante di molti studenti dovrebbe renderla potenzialmente un luogo ricco di interazioni tra studenti che appartengono a corsi differenti e i ragazzi riconoscono e percepiscono questa funzione. Da quanto emerge dai loro racconti sulla quotidianit questa facilit spesso solo immaginata, ma percepita cos reale da venir descritta come pervasiva, come la qualit del luogo. Infatti ricostruendo con i ragazzi le mappe relazionali delle amicizie e degli incontri, risulta che pochi tra loro si sono conosciuti l in piazza. Le relazioni amicali iniziano in altri luoghi, per lo pi all'interno dei corsi o della stessa facolt e, poi, si allargano agli amici degli amici, costruendo cos un reticolo. I flussi relazionali si strutturano quindi all'interno del proprio contesto di riferimento; pochi hanno amici di altri U perch la lontananza fisica viene percepita come insormontabile e viene per lo pi ritenuto " stressante" doversi allontanare dai propri luoghi per conoscerli. Tutti sostengono di desiderare incontrare gli studenti degli altri U, ma rimane un interesse astratto, intellettuale, non agito. La mancanza di stimolo alla conoscenza di realt amicali e socializzanti, diverse da quella abituale, sembra collegabile al fatto che le frequentazioni amicali tra i bicocchiani sono molto circoscritte al luogo e non escono per lo pi dai confini universitari, occupando uno spazio limitato nella loro sfera affettiva, per cui non vale la pena fare uno sforzo esplorativo. Le motivazioni addotte dai ragazzi per tale socializzazione sono varie e riguardano il fatto che molti studenti vivono fuori Milano, che quando si esce dalla Bicocca si ha voglia

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di vedere altre persone, che le frequentazioni sono appena nate Dai racconti dei ragazzi sulle loro amicizie esterne all'universit emerge che tutti partecipano ad altre reti amicali, vissute come significative e rilevanti per la condivisione di valori, precedenti esperienze, intimit e confidenze. Gli studenti pi grandi descrivono una ricchezza di spazi amicali diversi, la frequentazione multipla di luoghi differenti che vanno dagli ex compagni delle superiori al gruppo sportivo, dalla fidanzato/a agli studenti delle altre universit. Quelli pi giovani frequentano per lo pi il gruppo amicale storico, ancora punto di riferimento, prima delle varie diaspore amicali. La presenza di forti contesti amicali esterni alla Bicocca caratterizza, quindi, le modalit della socializzazione. Come avevo rilevato durante l'osservazione i ragazzi non usano la piazza in modo esclusivo ed unico, ma spesso sia nel corso della giornata che nei giorni possono incontrarsi in gruppo, stare soli o semplicemente attraversarla. Spesso la motivazione alla base delle diverse modalit di fruizione il tempo disponibile e soprattutto la partecipazione ai gruppi-bivacco dipende dalla possibilit di uscire prima/entrare dopo da lezione, saltarle interamente o dall'esistenza di pause strutturate. Conclusioni Le panchine-corridoio creano una zona grigia tra il dentro e il fuori, che inizia all'interno dei corridoi dell'U6 e termina con la fila delle panchine. Questo spazio rappresenta il luogo di transito, di passaggio, una zona di decantazione e di possibili incontri. La doppia visuale delle panchine crea la fluidit tra dentro e il fuori che viene vissuto come confine permeabile e come luogo di osservazione. E' uno spazio che potrebbe appartenere alla categorie dei non luoghi di Aug, caratterizzati proprio dall'assenza di relazioni, di storia e di identit, tipici dei luoghi di transito. Come negli spazi descritti da tale Autore, l'individuo in questi contesti si riconosce con la funzione del luogo. I ragazzi, infatti, si muovono e agiscono in quanto studenti e le relazioni tra loro rimandano a forme di solitudine diffusa, che si esplicita nell'uso solitario delle panchine, nello svolgimento delle pratiche burocratiche, nel costruirsi percorsi-traiettorie individuali. Diversamente la pancia vissuta come la piazza del villaggio, l vi un'interazione, si creano relazioni e si mettono in atto tattiche di riappropriazione del luogo. Per alcuni aspetti parrebbe che, come nelle societ tradizionali, anche in questa piazza vi sia una societ faccia-a-faccia, nella quale le persone tendono a fare le stesse esperienze, ma il flusso di comunicazione non affatto omogeneo ( Hannerz, 2001). Tra gli studenti emerge una condivisione culturale ineguale e frammentaria, derivante dalle precedenti esperienze, dalla divisione del sapere, dalla concezione del futuro. La non condivisione simmetrica, le varie rappresentazioni e il potere dell'immaginazione (Appadurai, 2001) emergono dai discorsi dei ragazzi anche rispetto alle scelte del tempo libero, nella scelta del bar per l'happy hours, nel modo di occupare la piazza, negli interessi extra-universitari. Le diverse appartenenze e la divisione del sapere agiscono come ideorami/etnorami che delocalizzano lo studente bicocchiano,

inserendolo in un continuum tra un dentro universitario e un fuori sociale che ben si evidenzia anche nell'uso della piazza. La pancia, diversamente dal resto della piazza, quando vi si ritrovano i gruppi-bivacco diventa un luogo antropologico, con una propria identit, storia e relazione. La qualit della relazione, la localit secondo Appadurai, per in bilico perch sottoposta a spinte che tendono a frammentarla e, seguendo la sua impostazione, si pu forse ritenere che la costruzione della localit sia costantemente in mutamento e soprattutto risulta soggetta a spinte centrifughe che la rendono costantemente fragile. Infatti i ragazzi portano con s le diverse appartenenze sociali e, come i corpi nomadi di Mariella Pandolfi 2, che attraversano spazi sociali che non gli appartengono, si costruiscono un bricolage identitario/sociale che li allontana dal considerare la Bicocca il centro della propria socializzazione. Inoltre i tempi e la struttura universitaria agiscono riducendo i margini di autonomia gruppale e spingono verso vissuti di appartenenza frammentati e suddivisi per facolt. La cultura accademica della Bicocca, costruendosi come un campus lontano dalla citt, mi appare nella metafora dell'ordine come guida al sapere: tutto in Bicocca schematico, regolare, squadrato e preciso, cos come gli alberelli della piazza sono tutti uguali e la sua linearit classicheggiante ne testimone. Il movimento spaziale degli studenti modifica la percezione del luogo. Infatti creando disordine nello schematismo della piazza (per come si siedono sulle panchine e per le modalit del bivacco), giocando a pallone, mangiando panini fatti a casa, si oppongono alle proposte strategiche della cultura e cercano di affermare un proprio modello di quotidianit alternativa che rispecchia quello della propria appartenenza originaria e generazionale. Tali pratiche sono rapportabili alle tattiche descritte da De Certeau come pratiche che "puntano su un'abile utilizzazione del tempo, sulle occasioni che esso presenta e anche sui margini di gioco che introduce nella fondamenta del potere" ( De Certeau, 2001). Ribaltando il discorso di Foucault, l'autore ritiene che gli individui agiscano delle astuzie minute con le quali eludono i meccanismi della disciplina e del controllo, che si diffondono tra le reti della sorveglianza, divenendo forme di regolazione della quotidianit e creativit. Forse, allora, la vita della piazza, soprattutto nella pancia, sfugge alle richieste di conformismo e di omologazione delle regole accademiche, reclama spazi e usi propri e garantisce la permanenza di flussi di comunicazione tra il dentro e il fuori. Pertanto le diverse pratiche di fruizione spaziale rappresentano delle tattiche agite dai ragazzi per costruirsi ambiti di autonomia e di libert in contrapposizione alle strategie universitarie di fornire un sapere condiviso ed omogenizzante. In tal modo la piazza aperta: i suoi confini fisici si attraversano e come le soggettivit multiple che la popolano non ha un'identit e una caratteristica fissa. L'aspetto claustrofobico che tanto mi aveva colpito riappare solo quando deserta, perch la socialit dei ragazzi non solo la anima, ma la trasforma. L'immagine della piazza del Nuovo Ateneo stata utilizzata come logo ufficiale dell'Universit Bicocca, ma uno dei luoghi dove gli studenti si prendono spazi di autonomia, disturbando le logiche

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accademiche: forse proprio per evitare tale disturbo, la piazza stata fotografata deserta e asettica, circondata da macchine, ma

non da persone.

NOTE
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Nella seguente descrizione utilizzo il tempo presente per suggerire la fluidit e la dinamicit del movimento della piazza. Questa antropologa descrive il mondo contemporaneo come spazio critico, caratterizzato da una localit che ridisegna gli spazi sociali individuali, frammentando le categorie identitarie. Le rapide accelerazioni del tempo e dello spazio, mediante pratiche di performance, segmentano il corpo in una pluralit di corpi ed iscrivono nei corpi nuove territorialit identitarie.

BIBLIOGRAFIA
A. Appadurai, Modernit in polvere, Biblioteca Meltemi, Roma, 2001. M. Aug, Non luoghi, introduzione ad una antropologia della surmodernit, Eluthera, Milano, 2002. M. de Certeau, L'invenzione del quotidiano, Ed. Lavoro, 2001. C. Geertz, Interpretazione di culture, Il Mulino, 1 novenove 8. J. Clifford, I frutti impuri impazziscono, Bollati Boringhieri, 2001. U. Hannerz, la diversit culturale, Il Mulino, 2001. M. Pandolfi (a cura di), Perch il corpo, utopia, sofferenza, desiderio, Meltemi, 1996. L. Piasere, L'etnografo inperfetto, esperienza e cognizione in antropologia, Edizione Laterza 2002. D. Tedlock, Verba Manent, l'interpretazione del parlato, L'ancora del mediterraneo, 2002. R. Wagner, L'invenzione della cultura, Tarsia, 2001.

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Bicocca di notte
La ricerca etnografica
di Antonio De Lauri

L'esperienza etnografica L'esperimento etnografico che segue un esercizio accademico con lo scopo di avvicinarsi a quel metodo di indagine e di analisi utilizzato dagli antropologi: la pratica etnografica. Rileggo la mia prima "etnografia" ad un anno circa di distanza e rivivo le sensazioni provate; poco importa se oggi scriverei una "etnografia" diversa, poich quello che segue il prodotto di quel tempo, di quelle prime indagini, di quei primi passi e soprattutto della persona che ero. Eterno e provvisorio. L'apparente contraddizione di tali assunti mostra le sue potenzialit e i suoi limiti attraverso la scrittura, per cui scrivendo rendo immortale il mio pensiero, la mia esperienza, ma al tempo stesso li privo della loro istantaneit e della loro leggerezza. Il flusso di significati diviene struttura teorica. Quella che segue la Bicocca che ho vissuto ed la Bicocca che non vivr mai pi.

Che cosa fa l'etnografo? Quando non ha capito interamente la vita che ha vissuto, scrive! Leonardo Piasere

Scrivere un'etnografia. Le mie osservazioni, le mie idee, tutto ci che ho immaginato sul "campo" prende forma in questo momento, cos comincio a raccontare il mio "viaggio" nella notte della Bicocca, nel piazzale degli studenti, delle coppie, delle compagnie, degli abitanti della zona e dell'etnografo alle prime armi. Scopo della ricerca era quello di penetrare nella realt della Bicocca per coglierne la specificit culturale, per capire cosa rappresenta la Bicocca e scoprire in che modo proietta il suo modello verso l'esterno. Nell'ambito del corso "Metodi e teorie della ricerca antropologica" ognuno di noi, studenti, aveva il compito di scavare tra gli strati della Bicocca1 e addentrarsi nella rete di informazioni, luoghi, vite, strade che potessero condurci al suo cuore: il suo stile di vita. Il modo in cui ognuno di noi rendeva specifica la propria ricerca era, oltre che il personale approccio al metodo etnografico, mediante il "punto d'ingresso", ossia il punto che avrebbe potuto aprirci la strada allo studio della cultura della Bicocca. "Punto d'ingresso" pu essere un luogo, un evento, un oggetto, un comportamento o qualsiasi cosa che permetta di "entrare" nel contesto che si intende studiare. La scelta del "punto d'ingresso" avvenuta secondo criteri differenti, dalle possibilit ai gusti personali; io ho scelto il piazzale dell'Universit di notte, tra l'edificio U6 e l'edificio U7. Perch un luogo? Ogni ricerca offre i suoi diversi "punti d'ingresso", nel caso della Bicocca a mio avviso un luogo rappresentava un punto d'ingresso ideale per vari motivi: innanzitutto un luogo offre la possibilit di tornarci quando si vuole, inoltre rende l'osservazione pi semplice, sarebbe pi

complicato, per esempio, osservare un atteggiamento. Il luogo inoltre in grado di "ospitarti", non devi rincorrerlo, non devi cercarlo, puoi non conoscerne i percorsi, le scorciatoie, i punti in cui le pratiche culturali sono particolarmente significative ma solo questione di tempo e naturalmente di disponibilit, nel senso che bisogna volerlo e non solo, bisogna volerlo nel giusto modo. Lentamente il labirinto dentro il quale sembra di essere bloccati mostra le sue vie, i suoi passaggi e il luogo diventa "familiare". Tuttavia non sempre il "punto d'ingresso" il frutto di una scelta, spesso infatti le condizioni della ricerca, eventuali fattori imprevisti o quant'altro ti gettano improvvisamente nel vortice di significati che poco prima erano illeggibili e ora si aprono all'interpretazione. Il caso di Geertz nel suo studio a Bali significativo in questo senso: durante la sua ricerca sul campo Geertz non era riuscito a penetrare la barriera che divideva lui e sua moglie dagli abitanti del posto, le sue osservazioni mancavano di questo incontro fino a che un giorno, mentre si trovava ad un combattimento di galli, sempre nell'ambito della sua ricerca, prende forma il suo "punto d'ingresso", una retata della polizia interrompe il combattimento provocando la fuga della gente (i combattimenti dei galli sono clandestini), Geertz e sua moglie imitano gli altri spettatori e fuggono dal posto nascondendosi a casa di un uomo. L'episodio segna l'incontro tra l'antropologo e gli abitanti, <<fu il punto di svolta per quanto riguardava il nostro rapporto con la comunit, e divenimmo letteralmente "alla moda">> [Geertz 1998: 388]. Perch di notte? Cinque anni fa per la prima volta in vita mia vidi la Bicocca, probabilmente allora avrei potuto captare delle particolarit della "vita in Bicocca" che ora mi sfuggono perch

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fanno ormai parte della mia routine. Per cinque anni ho frequentato l'Universit imparando a conoscere le aule, i corridoi, i luoghi di relax, i punti di ristoro, i professori, le guardie al punto che oggi sono cos intriso di Bicocca da rendermi conto che difficile per me osservare con sguardo neutro lo svolgimento di una giornata universitaria. Quindi la notte. Mi serviva qualcosa che almeno in una certa misura mi allontanasse da un ambiente per me ormai familiare, un aspetto distante per cercare di <<adottare un punto di vista relativo...cio provare a decentrarsi rispetto al mondo che ci noto attraverso le nostre categorie, le nostre abitudini mentali e i nostri comportamenti>> [Fabietti 2000: 20]. In quest'ottica comincia la mia ricerca, il piazzale di notte il mio "punto d'ingresso", ma come in ogni cosa "tra il dire e il fare c' di mezzo il mare". Il progetto teorico chiaro, il punto da cui partire anche, tuttavia provo una strana sensazione di impasse nel passare all'atto pratico: quale metodo devo utilizzare? Quali strumenti? Quanto tempo devo osservare? Con chi devo parlare e in che modo? Tutte domande lecite che per svaniscono in un attimo il 17/3/2003 alle ore 23.30, momento in cui mi rendo conto che volente o nolente sto facendo la mia etnografia. Sono nel piazzale e sto osservando, sono munito di penna e quaderno, certo se comincio a pensare a Malinowski nelle Trobriand o Boas tra i Kwakiutl provo un p di smarrimento, comunque inizio a segnare sul quaderno le prime impressioni, i particolari che noto, le persone che parlano e mi immergo nella scena. La prima notte di ricerca calma, il clima mite, il silenzio disturbato da alcuni rumori provenienti dalle fabbriche vicine, forse qualche macchinario ancora in azione, e poche macchine che passano ogni tanto. L'illuminazione bassa, il piazzale al buio ma i lampioni della strada e degli edifici dell'Universit prestano un po' di luce alle panchine e ai portici. Sono qui con un mio amico, seduti su una panchina ci sono anche due ragazzi, uno di loro suona la chitarra acustica senza per emettere suoni troppo forti, sulla panchina c' un canzoniere, della birra e delle sigarette. Registro anche il loro abbigliamento: hanno pantaloni larghi, giacca sportiva, scarpe da tennis, il ragazzo con la chitarra ha due piercing, uno sul naso e l'altro sul sopraciglio. Voglio provare a chiacchierare con loro, mi avvicino insieme al mio amico con la scusa di chiedere una sigaretta, poche parole veloci, << non ne abbiamo>>, e ci allontaniamo nuovamente; non sembrano avere troppa voglia di parlare, probabilmente accompagnato da amiche avrei avuto pi successo. Penso abbiano pi o meno 22 o 23 anni, il ragazzo senza chitarra mi sembra di averlo visto in Universit di giorno. Alle 00.05 una guardia dei "Cittadini dell'ordine", istituto di vigilanza presente anche di giorno in Universit, entra nell'edificio U6 dall'ingresso principale. Osservo il piazzale, grande a forma rettangolare, ci sono molte panchine di cemento e altrettante aiuole con alberi, lungo il lato adiacente la strada c' una sorta di porticato sotto il quale ci si pu sedere, nel piazzale ci sono quattro "gabbie" di metallo e vetro che sono gli ingressi del parcheggio che si trova sotto terra. Ore 00.25, la guardia esce dall'edificio con un bicchiere di

plastica in mano, avr approfittato delle macchinette del caff, attraversa il piazzale, scende in strada e si allontana a bordo di una Panda dell'istituto di vigilanza. L'ambiente molto tranquillo, ci sono delle case abitate intorno ma non cos vicine da dover stare attenti a non alzare la voce, i due ragazzi chiacchierano, sono le 00.30 decido di andare via. Che dire dell'inizio della ricerca? Ho riempito le righe del mio quaderno con le osservazioni, le mie prime "note sul campo", tuttavia non semplice cogliere la specificit di quello che sto facendo, ovvero, in che modo la mia ricerca pu compiere quel salto che la porti da una semplice osservazione e registrazione dei fatti e dei luoghi ad un lavoro di ricerca etnografica? Come posso rendere le mie interpretazioni autorevoli? Se vero che <<un resoconto etnografico non mai un semplice "elenco" di cose viste e sentite, ma una pi o meno complessa operazione di scrittura mirante a produrre una rappresentazione molto particolare di ci di cui si vuole parlare>> [Fabietti, Matera 1999: 16], dove trovo dunque la particolarit del mio lavoro? Non ci sono delle regole in grado di dare una risposta a questi interrogativi, non c' il metodo giusto per fare o per scrivere un'etnografia, talvolta il modo in cui svolta una ricerca etnografica non viene neanche esplicitato. Tuttavia il problema dell'autorit etnografica esiste cos come l'aspetto della validit del metodo utilizzato. Ci sono quindi dei fattori che segnano una ricerca etnografica, a seconda della corrente di pensiero o del periodo storico si troveranno diversi elementi alla base del lavoro: scientificit della ricerca, rapporto con i "nativi", dialogo con gli informatori etc. Ogni etnografo deve rendere legittima la sua visione del mondo, deve cio convincere che ci di cui sta parlando, o meglio scrivendo, il risultato di uno studio approfondito, portato avanti con particolari strategie di indagine, basato su un rapporto, con i rappresentanti della cultura oggetto della ricerca, di interazione profonda e di reciproca influenza. Dalla mia ricerca non mi aspetto di trovare la "verit", l'obiettivo non quello di dire una volta per tutte ecco cosa vuol dire vivere alla Bicocca. Fra qualche anno un altro studente, o di nuovo io, potrebbe riproporre uno studio sul piazzale della Bicocca di notte e scrivere un testo completamente diverso dal mio, magari perch osserva altre cose, perch dialoga diversamente con la gente, perch il piazzale cambia (struttura, illuminazione, vicinato etc) o per altri cento motivi. Scopo della ricerca quindi non rendere ripetibile lo studio da me effettuato, come sostiene Clifford la nostra conoscenza deve essere considerata temporanea, non assunta una volta per tutte o riproducibile. La mia ricerca ha pi le sembianze di un "viaggio", che inizia nel piazzale di notte per finire in luoghi e tempi non prevedibili inizialmente, un "viaggio" alla scoperta della Bicocca. Le problematiche sull'attendibilit del lavoro degli etnografi e sull'autorit dei loro testi sono al centro del dibattito antropologico; anche per la Bicocca bisognava tenere in considerazione tale questione. Nel mio "viaggio" mi sono posto il problema di rendere attendibile la ricerca recandomi sul posto ogni volta che potevo, osservando con attenzione, analizzando al meglio le conversazioni con i ragazzi/e che incontravo, esplicitando a seconda dei casi il mio ruolo, restando fedele ai

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fatti e tentando di calarmi nell'ambiente secondo quella prassi orientata a cogliere gli aspetti che sfuggono all'osservazione esterna e si mostrano in fase di "immersione" del ricercatore nel suo oggetto di studio. L'attendibilit nella fase di ricerca per non basta: un aspetto a mio parere non meno importante relativo all'interesse che suscita il testo, il quale ha quindi una duplice funzione, da un lato deve avere autorit, in altre parole deve convincere il lettore con le interpretazioni, le descrizioni e i modelli che fornisce, dall'altro lato deve cercare di non annoiare. La mia etnografia continua e mi accorgo che solamente continuando a fare etnografia riesco a tacere gli innumerevoli dubbi che sorgono, solamente facendo etnografia trovo la specificit del lavoro etnografico. Se un "viaggio" il mio, devo dire che un tipo particolare di "viaggio" in cui entrano in causa negoziazioni di significato, relazioni interpersonali, costruzioni di sapere, interpretazioni, partecipazione e condizionamenti, del ricercatore nei confronti del suo oggetto di studio e dell'oggetto di studio nei confronti del ricercatore. L'etnografia continua e cambiano continuamente le domande che mi pongo, l'orientamento della ricerca lo costruisco in corsa, a nuovi elementi corrispondono nuove domande e il mio oggetto di studio diventa sempre pi specifico: <<la costruzione progressiva dell'oggetto di studio si compie procedendo ad un interrogarsi costante [...] le domande si succedono, spesso concatenate le une alle altre, fino all'apparizione della domanda centrale>> [Sabelli 1994: 92]. Cosa spinge ragazzi e ragazze a venire in Bicocca di notte? Luned 31/3/2003 ore 22.38, piovuto e ora l'aria fresca, una guardia esce dall'edificio U6, due ragazze si allontanano dal piazzale, una di loro fuma una sigaretta. Anche se ricominciasse a piovere non ci sarebbero problemi perch c' il portico, arriva infatti una compagnia di cinque ragazzi, uno legge la "Gazzetta dello sport", gli altri fumano e parlano, improvvisamente ricomincia a piovere ma come avevo previsto i ragazzi rimangono sotto il portico. Nel frattempo arrivata una coppia che si seduta dal lato opposto del portico, lontano dai ragazzi, rimangono cinque minuti e se ne vanno. Alle 23.10 anche io me ne vado. Per altre sere ripeto le mie osservazioni, il pi delle volte accompagnato da qualcuno, gradualmente riesco ad immergermi sempre pi nell'ambiente, il piazzale diventa familiare: le coppie si mettono solitamente sotto il portico, lontano dagli ingressi, per stare pi tranquille, ma non una regola, fa eccezione per esempio la coppia che un sabato alle 03.00 fa sesso sotto il portico vicino alle entrate principali a met del piazzale. Alcune compagnie si mettono sempre nelle stesso posto; chi fuma le "canne" in genere si posiziona nei punti dove c' pi buio, ma anche questa non una regola. Il piazzale un luogo ideale per stare tranquilli e chiacchierare in compagnia, un luogo abbastanza "imboscato" per le coppie (non ho mai visto pi di 7/8 persone in una volta), in alcune occasioni si socializza, si pu giocare a calcio perch in alcuni punti c' abbastanza luce e non si disturba nessuno con il rumore. davanti all'edificio U6 che di solito si gioca a pallone, una compagnia ha rotto il vetro che copre la pompa d'emergenza dell'acqua, dopo due giorni stato riparato.

Una volta ho visto passare un signore con il cane, era vestito alla buona, molto probabilmente residente nei palazzi adiacenti. Solo in un paio di occasioni mi capitato di non trovare nessuno sul piazzale, Mercoled 16 Aprile alle 03.00 e Venerd 23 Maggio alle 02.15. Ma come fanno queste persone a conoscere questo posto? La risposta a tale domanda mi arrivata nel momento in cui ho cominciato a conversare con i "frequentatori" del piazzale, in quasi tutti i gruppi infatti c' almeno un ragazzo/a che studia in Bicocca, torner dopo su questo punto. Per quanto riguarda il modo di conversare, varia a seconda della situazione e delle persone: in alcuni casi mi avvicino con la scusa di una sigaretta oppure faccio una domanda per sapere qualcosa come <<sapete se qui vicino c' qualche locale aperto?>> oppure <<siete della zona?>> e poi me ne vado; altre volte invece dichiaro apertamente che sto facendo una ricerca e mi intrattengo per pi tempo. La disponibilit dei ragazzi fondamentale nel determinare il tipo di approccio alla conversazione, "dialogo". In ogni caso mi sembrato pi efficace non fare delle vere e proprie interviste ma intrattenere invece delle conversazioni "libere", una scelta dettata dal particolare contesto in cui mi trovavo. Gioved 22 Maggio ore 00.05 mi avvicino ad un gruppo, ci sono tre ragazze e quattro ragazzi, si sono conosciuti sul piazzale poco prima che arrivassi, le ragazze abitano di fronte all'Universit e scendono spesso di notte sul piazzale, di solito per suonare la chitarra, bere qualcosa e soprattutto per conoscere qualcuno e scambiare due parole. Anche in questo Gioved fresco e calmo le ragazze2, studentesse di Scienze dell'Educazione e Scienze del Turismo, suonano le loro chitarre, quattro amici si avvicinano e cominciano a cantare con loro, poi fumano e bevono insieme. I ragazzi non sono della zona, uno di loro per studia Economia in Bicocca, un'altro studia all'Universit Statale di Milano e gli altri due lavorano. Mi torna alla mente l'immagine di Wagner: <<questa gente si trova davanti uno straniero stravagante, ficcanaso, dall'aspetto un po' curioso e stranamente ingenuo, che, come un bambino, si mette a fare domande e gli si deve insegnare tutto>> [Wagner 1992: 21]. La sensazione che provo non molto lontana da quella descritta dall'antropologo. Quando mi avvicino alla neonata compagnia mi accolgono come un vecchio amico, gli racconto della mia ricerca e sono ben contenti di raccontarmi le loro serate in Bicocca. I ragazzi reclamano il loro primato: <<siamo stati i primi a venire qui>>, <<siamo sempre qui anche l'inverno con la nebbia>>, <<si, dopo di noi hanno cominciato a venire altri>>. Non posso valutare l'attendibilit delle loro affermazioni ma so di averli visti altre volte, con lo studente di Economia ho gi parlato. Le ragazze si lamentano, dicono che nella zona non c' niente e quindi scendono sul piazzale, una volta anche una guardia si messa a cantare con loro. Poi si lamentano anche dell'Universit: <<mi d un senso di angosciahai presente "il processo"? Il libro di Kafka! Mi sento cos dentro questa Universitanche quando vado in segreteria, non so mai se riuscir a trovare la persona che cercopoi troppo brutta!!!>>. Anche il ragazzo che studia in Statale comincia a denunciare i difetti della Bicocca ed elencare i pregi

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della sua Universit, <<anche se l non c' il piazzale>>. Il piazzale un punto a favore per la Bicocca, le ragazze dicono che <<almeno qui conosciamo qualcuno>>, per i ragazzi un posto comodo da raggiungere (in motorino) ma soprattutto tranquillo e poco conosciuto. Non potrei definire il piazzale di notte un luogo in cui si socializza, tuttavia per le tre ragazze anche questo, lontane da casa ed immerse in un ambiente freddo, in una zona ancora troppo giovane, ancora da costruire, il piazzale diventa il loro "giardino", il solito posto in cui andare, il luogo familiare (mi hanno raccontato che alcune sere scendono anche sole a suonare la chitarra o a passeggiare). In una citt come Milano non semplicissimo trovare dei luoghi che siano tranquilli, indisturbati ma che non siano pericolosi, certamente di notte nei luoghi isolati ci sono sempre dei rischi, ma rispetto ad altre zone questa piazza sembra conservare un certo grado di sicurezza. Il piazzale della Bicocca non ha ancora un'identit ben delineata, per certi versi un luogo "vergine", da "inventare", apparentemente non c' nulla che attiri i ragazzi e non c' una precisa strutturazione dello spazio. Probabilmente per proprio questo il senso del piazzale della Bicocca di notte: <<qui possiamo stare tranquilli e fare quello che vogliamo>>, <<lo conoscono in pochi>>, <<perch mi piace? Perch non c' niente>>. Ci che ho percepito dalle conversazioni con i frequentatori il desiderio di avere spazi propri, di passare del tempo in luoghi che non siano "alla moda", che non siano organizzati, qui credo che stia la specificit del piazzale della Bicocca. A circa cento metri dal piazzale c' il Teatro degli Arcimboldi, la "nuova Scala". Nelle serate in cui aperto per gli spettacoli il piazzale si trasforma: tutto illuminato, il parcheggio aperto e quindi sono aperti tutti gli ingressi dal piazzale, ci sono pi guardie e custodi del parcheggio ed in strada pieno di vigili. In queste serate i "soliti frequentatori" non sono soli, ad attraversare il piazzale ci sono anche gli spettatori del teatro che lasciano le loro macchine nel parcheggio. Da luogo tranquillo ed isolato il piazzale diviene per qualche ora "accessorio" del prestigioso teatro, non pi spazio per ragazzi che suonano la chitarra, che fumano, che si amano, che bevono, che parlano o che giocano a pallone, in queste sere il piazzale cambia forma e sostanza. Luogo di incontro, luogo segreto o luogo per giocare, la Bicocca di notte rivede alcuni volti che di giorno studiano nelle sue aule e utilizzano il piazzale. Forse gli studenti che vengono nel piazzale di notte abitano qui vicino? Da ci che emerso dalla chiacchierate con i frequentatori mi sento di escludere questa ipotesi, sono pochi infatti gli studenti che abitano nei palazzi intorno all'Universit o nelle vicinanze. Dunque i frequentatori vengono da altre zone, vengono appositamente qui perch conoscono il posto e sanno come usarlo; in macchina, in bicicletta o in moto (le biciclette e le moto spesso vengono portate direttamente sul piazzale) scelgono e raggiungono il piazzale della Bicocca. Mentre faccio etnografia mi accorgo che gradualmente il mio "punto d'ingresso" si allarga, entro in altre dimensioni, sfioro temi

che altri miei colleghi stanno approfondendo: chi vive in zona Bicocca? Ancora pi importante, cosa rappresenta il piazzale di giorno? uno spazio per socializzare? Per studiare? Per certi aspetti il fatto di studiare in Bicocca da cinque anni mi agevola, pertanto alcune questioni trovano risposta nella mia esperienza personale. Il piazzale di giorno rappresenta una "parentesi" per gli studenti nelle loro giornate di studio, un parco (di cemento), uno spazio per stare con i compagni, un luogo che allo stesso tempo fuori e dentro l'Universit. Dunque possibile in un certo senso considerare il piazzale di notte legato al piazzale di giorno. Almeno per gli studenti, infatti, questa relazione ha significato perch conoscendo il piazzale e quello che pu offrire, decidono di tornarci di notte spesso ripetendo le "azioni" del giorno: chiacchierare con amici, giocare etc. I flussi giornalieri, i gruppi di studenti, le panchine piene, i banchetti di solidariet, di notte tutto ci sparisce e il piazzale diventa uno <<spazio per s>>. In merito al fatto che i frequentatori della notte siano in parte studenti della Bicocca ho cercato di verificarne l'ipotesi proponendo un sondaggio tra gli studenti di giorno, ho nuovamente spostato il mio "campo" di ricerca dal piazzale di notte ai corridoi dell'Universit facendo delle brevi interviste3. <<Sei mai stato/a nel piazzale della Bicocca di notte?>>, se s <<Perch?>>, <<Di che Facolt sei?>>. Da questa rapida ricerca ho potuto constatare che molti studenti sono stati in Bicocca di notte almeno una volta, le motivazioni rispecchiano le ore di appostamento notturno: per fumare, per giocare a calcio, qualcuno per mostrare l'Universit a qualche amico, per stare tranquilli e chiacchierare, per incontrarsi con altri compagni e poi spostarsi etc. Gli studenti di Sociologia e Scienze dell'Educazione sono quelli che in numero maggiore tornano in Bicocca di notte, neanche un frequentatore tra gli studenti delle Facolt di Giurisprudenza e Psicologia. Naturalmente l'indagine non offre risultati del tutto significativi per il basso numero di studenti intervistati. Prendendo in prestito qualche riflessione di Piasere 4, si pu notare tuttavia la presenza di certi tipi di frequentatori, ci sono quelli abituali che potremmo definire i "prototipi" di frequentatori, sono quelli che in un certo senso rappresentano meglio il tipo di giovane che solitamente viene in Bicocca di notte. Ci sono poi i frequentatori occasionali che condividono solo alcune delle caratteristiche dei frequentatori. I primi son quelli che ho trovato pi volte di notte, sono quelli cui mi ispirerei maggiormente se dovessi definire il "frequentatore medio". I secondi sono per ugualmente importanti: <<la presenza di quei membri intermedi fondamentale: sono quei membri o qualit che, essendo condivisi da pi categorie, da un lato rendono i confini di queste pi sfumati e imprecisi, dall'altro permettono di passare da una categoria all'altra>> [Piasere 2002: 64]. Sarebbe interessante, ma non fattibile in questa sede, approfondire il legame tra la Facolt di appartenenza ed il modo di trascorrere il tempo libero; il fatto di venire in Bicocca di notte e mettersi a bere e suonare la chitarra significativo di un certo tipo di visione del mondo, di modi di divertirsi. A ci legato il particolare utilizzo dello spazio da parte di alcuni giovani e il loro bisogno di modellare la realt sulla base dei propri parametri.

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Uscire dal "campo": il piazzale di notte, il mio "punto d'ingresso" mi ha condotto su strade diverse, il mio "viaggio" continua in varie direzioni, mi trovo a fare interviste in Universit, a fare fotografie al piazzale di giorno, a cercare informazioni sui residenti della zona e poi ritorno sul piazzale, di notte, tra i frequentatori. <<Si pu cominciare in qualsiasi punto nel repertorio di forme di una cultura e terminare in qualsiasi altro punto>> [Geertz 1998: 436]. Uscire dal "campo" quindi un'operazione necessaria per riuscire a cogliere la totalit delle pratiche culturali che si intende studiare, tale operazione rimanda alla riflessione sulla relazione tra localit e cultura. Nell'ambito del corso "Modelli teorici dell'etno-antropologia" ho approfondito il discorso sulle "pratiche spaziali" e sul legame tra cultura e "campo" in etnografia5. Se da un lato il "campo", inteso in termini spaziali come luogo privilegiato per studiare una cultura, rimane un "punto d'ingresso" ideale, dall'altro non in grado di circoscrivere e di riassumere in s una cultura. indispensabile uscire dai confini spaziali per vedere in che modo una determinata cultura si manifesta all'esterno e in che modo questo esterno ritorna sul "campo", necessario cogliere la dimensione di "viaggio" di ogni cultura con i flussi di significato che la caratterizzano. In questo modo la cultura non appare come qualcosa di statico e di immutabile ma, al contrario, come un processo in continuo movimento. Utilizzando un'espressione di Clifford (1995) ho inteso la mia ricerca come un "viaggio", attraverso il piazzale di notte ho esplorato la Bicocca e ne ho svelato un aspetto fondamentale: il piazzale dei frequentatori. Cosa emerge quindi della cultura della Bicocca? Ne emerge il carattere marcatamente multiforme, si rivela uno spirito che vive di giorno e di notte, emerge la sua essenza come rete di significati (Geertz 1998): un flusso culturale (Hannerz 1998) in divenire che tutti contribuiamo a creare. <<Come molto dell'America affiora in un campo da gioco, su un percorso di golf, in una pista da corse o attorno ad un tavolo di poker, molto di Bali affiora in un ring per galli>> [Geertz 1998: 389]. Continuando nella prospettiva dell'antropologo potrei aggiungere che molto della Bicocca affiora nel piazzale di notte. La Bicocca esprime mediante il piazzale di notte la sua giovinezza, il suo essere ancora immatura, la sua incompletezza che in una certa misura diventa la sua specificit. Ma l'etnografia non dice solo questo. Il piazzale della Bicocca di notte rappresenta anche altro, qualcosa che va oltre i confini della Bicocca stessa, il piazzale ci parla dei giovani e del loro rapportarsi agli spazi che hanno a disposizione, i giovani e la loro ricerca di territori nuovi, diversi, territori da fare propri e da mantenere nascosti, nascosti al vortice dei divertimenti standardizzati, dei locali sempre uguali e dei silenzi strozzati tra la confusione. L'etnografo. C' un'altra cosa che si scopre sul "campo": se stessi. L'esperienza etnografica porta in varie direzioni, tra le strade che si intraprendono una particolarmente significativa, anche ai fini dello studio etnografico, quella che conduce a scoprire i propri

limiti, le proprie attitudini, i pregiudizi e la capacit di metterli da parte, i valori e lo sforzo per relativizzarli. Ripensando alle letture antropologiche mi vengono in mente molti esempi di questo "salto" che l'etnografo sul campo si trova a fare: l'incontro con l'alterit, lo studio prolungato sul campo, il viaggio, la partecipazione, la necessit di accantonare le proprie categorie e di "allontanarsi" dal sistema culturale di riferimento, i pericoli, la rappresentazione di ci che si osserva, il rapporto con le persone che si incontrano etc. Questi e altri aspetti segnano in modo indelebile il lavoro dell'etnografo e ne costituiscono la specificit. Con tutte le virgolette del caso, ho avvertito alcune di queste sensazioni in certi momenti della mia etnografia, quando per esempio da solo mi avvicinavo ad una compagnia, oppure quando dovevo interpretare alcune risposte, o quando immerso nel buio mi trovavo ad attendere qualcosa di significativo, di interessante o ancora nei momenti in cui cercavo un modo per "entrare" nella scena: come si fa a partecipare se non c' niente da fare? Questo sentirsi travolti dai diversi sistemi di significato, dagli avvenimenti che si susseguono implacabilmente o dall'apparente immobilit, questo sentirsi parte di qualcosa che allo stesso tempo bisogna tenere a distanza, il sentito desiderio di "rendere giustizia" nella rappresentazione di ci che si osservato, questo ci che l'etnografo deve fare e nel farlo non pu evitare di includere se stesso e di mettersi continuamente in discussione.
Partii per Chicago due giorni dopo l'assassinio di Kennedyero diretto in Marocco per diventare un antropologo Dopo i primi mesi, il mio lavoro a Sidi Lahcen divenne pi diligentemente frammentario e meno immediatamente gratificante. Durante lunghi periodi inerti mi dibattevo con il bisogno crescente e imperativo di iniziare a sintetizzare il mio materiale, formulando domande precise e cercando poi i modi per rispondere. Lvi-Strauss ha detto che se l'antropologia era l'avventura, allora lui era il burocrate dell'avventura. Cominciavo a capire cosa volesse dire. P. Rabinow "Reflections on fieldwork in Morocco" Immaginatevi d'un tratto di essere sbarcato insieme a tutto il vostro equipaggiamento solo su una spiaggia tropicale vicino a un villaggio indigeno, mentre la motolancia o il dinghy che vi ci ha portato naviga via e si sottrae ai vostri sguardiimmaginate ancora di essere un principiante, senza alcuna esperienza precedente, senza niente che vi guidi e nessuno che vi aiutici descrive esattamente la mia prima sensazione al lavoro sul terreno sulla costa meridionale della Nuova Guinea. B. Malinowski "Argonauti del Pacifico Occidentale" Ho visto ormai quasi ogni villaggio dell'isolaper trovare un numero sufficiente di adolescenti dovrei passare il mio tempo ad arrampicarmi per le montagne o a farmi sballottare dalle onde su un'imbarcazione scoperta, tutte e due attivit estremamente ardue e che prendono molto tempoa causa di questi svantaggi ho deciso di andare a Taul'unico posto dove posso abitare a casa di bianchise vivessi in una casa samoana con una famiglia samoana, potrei probabilmente stabilire dei rapporti pi intimi con quella particolare famiglia. Ma mi sembra che qualsiasi vantaggio ne potessi ricavare non compenserebbe la perdita di efficienza dovuta al cibo e alle esasperanti condizioni di vita

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Sto proprio bene e resisto al clima con lodevole coraggio. M. Mead "Lettere dal campo"

In antropologia il ricercatore non pu osservare o intervenire sul proprio oggetto di studio senza "perdere" parte di s, la soggettivit gioca sempre un ruolo essenziale. Tuttavia vi un continuo sforzo per cercare di "controllare" tale soggettivit, di guidare i propri pre-giudizi, in questo senso si perde parte di s: ci che sfugge al controllo entra a far parte dell'oggetto di studio, <<ecco quindi che il soggettivo non una fonte di errore, al contrario la principale fonte di informazione>> [Piasere 2002: 38]. Con notevole efficacia Lvi-Strauss affermava: <<l'osservatore stesso una parte della sua osservazione>> [ivi: 142]. Insieme a tale perdita l'etnografo vive allo stesso tempo l'esperienza dell'apprendimento, si arricchisce di un sapere che non si pu acquisire dai manuali, un sapere che si trova solo sul campo attraverso l'immersione del ricercatore nel suo oggetto di studio. Inoltre ci che viene studiato non si limita ad avere un ruolo passivo, tutt'altro, incide notevolmente sul ricercatore in un gioco di scambi e di significati che segnano il ritmo della ricerca. Durante lo svolgimento della mia etnografia mi sono accorto dell'importanza che aveva la mia disponibilit, o il mio entusiasmo, nel segnare le fasi della ricerca. Nel momento in cui mettevo piede sul piazzale ne cambiavo il contenuto, da luogo diventava oggetto di studio, insieme ai frequentatori c'ero anch'io ed era fondamentale che fossi motivato e "carico" per poter

rendere significativa la mia presenza. La Bicocca di notte si aperta alla mia interpretazione e trascinato dalla curiosit, dal progetto, dall'interesse, ho "costruito" il mio oggetto di studio e ho creato l'etnografo sul campo. <<Nell'esperienza di una nuova cultura, il ricercatore giunge a realizzare nuove potenzialit e possibilit di vivere la vita, e pu realmente subire un cambiamento della propria personalit>> [Wagner 1992: 18]. La mia prima ricerca in senso etnografico vissuta come una sorta di "iniziazione", mi trovo a dover concludere questa presentazione con un po' di malinconia: sono stato sul piazzale della Bicocca di notte il quale ha rappresentato da un lato il mio oggetto di studio, dall'altro il "passaggio obbligato", il "rito iniziatico" appunto verso un tipo di esperienza particolare, l'etnografia. Dunque esaurisco il tempo a mia disposizione con una conoscenza pi approfondita del piazzale della Bicocca e della cultura di quest'ultima, dei suoi significati e delle sue rappresentazioni; con qualche consapevolezza in pi rispetto la disciplina che studio, l'antropologia; e scoprendomi per la prima volta nelle gratificanti vesti dell'etnografo.

NOTE
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Per Bicocca si intende l'intera zona; nel mio caso faccio riferimento per lo pi alla Bicocca come sede universitaria. Ho scelto di non usare i nomi delle persone che ho incontrato.. 3 Grazie all'aiuto di alcuni amici ho potuto effettuare 60 interviste. 4 Piasere, L'etnografo imperfetto (2002), Laterza, Roma-Bari. 5 Pratiche spaziali: i significati del campo, "Cultura e localit".

BIBLIOGRAFIA
Clifford, Strade (1999), Bollati Boringhieri, Torino. Fabietti, Etnografia e culture (1998), Carocci, Roma. Fabietti, Antropologia culturale (2000), Laterza, Roma-Bari. Fabietti, Matera, Etnografia (1999), Carocci, Roma. Geertz, Interpretazione di culture (1998), Il Mulino, Bologna. Hannerz, La complessit culturale (1998), Il Mulino, Bologna. Malinowski, Argonauti del Pacifico Occidentale (1978), New Compton, Roma. Piasere, L'etnografo imperfetto (2002), Laterza, Roma-Bari. Sabelli, Ricerca antropologica e sviluppo (1994), Gruppo Abele, Torino. Wagner, La cultura come assunto in Wagner L'invenzione della cultura (1992), Mursia, Milano.

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