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Ricordando Gargonza

Ricordando Gargonza
Societ civile e partiti politici
Umberto Eco

ancora materia di discussione chi siano stati i veri vincitori delle elezioni comunali, specie a Milano e Napoli. Quello che non ci si chiesti abbastanza chi siano gli sconfitti, perch ci si arrestati allevidenza pi immediata, e cio che chi ha subito la sberla sono stati Berlusconi e Bossi, il che innegabile. Ma c qualcun altro che, se non sconfitto, dovrebbe sentirsi messo in causa dal risultato delle amministrative. Io ritengo che sia stato messo in causa, almeno come rappresentante eminente di una tendenza, Massimo DAlema. indiscutibile che terremoti elettorali come quelli scatenati da Pisapia o da De Magistris non avrebbero potuto verificarsi se in campo fossero scesi solo i partiti tradizionali

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della sinistra. Essi non si sono certamente sottratti alla battaglia, ma intorno a loro si sono formati comitati sorti quasi spontaneamente, e non solo rappresentati da giovani anche se i giovani sono stati una delle sorprese pi gradite di questa vittoria e bastava essere in piazza del Duomo a Milano la sera del 30 maggio per avvertire questo nuovo clima. Si sono aggregati, talora in forma disorganica, varie altre rappresentanze della societ, dalla sinistra radicale agli elementi della borghesia cosiddetta illuminata e talora di quel mondo politico che era stato tempo fa espressione della migliore Democrazia cristiana. Insomma, si formato un paesaggio di difficile definizione geografica ma che, secondo le definizioni correnti, si pu intendere come espressione della societ civile che in un momento di urgenza si riconosciuta come comitato di salute pubblica, superando molte differenze di linea partitica. Non la prima volta che un risultato elettorale favorevole alle sinistre viene attribuito alla mobilitazione spontanea della societ civile. Il caso pi macroscopico stata la prima vittoria di Prodi (e dellUlivo) nel 1996. Ebbene, che cosa ha fatto seguito a questa vittoria? Non molti mesi dopo (nel marzo 1997) convenivano nel castello di Gargonza quasi tutti gli esponenti del mondo politico che

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si era riconosciuto nellUlivo, e molti rappresentanti appunto della societ civile che in qualche modo avevano contribuito a quella vittoria, per confrontarsi e discutere lo stato delle cose ed eventuali prospettive per il futuro. E in quella occasione Massimo DAlema aveva rivolto un monito severo alla societ civile, che efficacemente riassunto nel brano che riporto: Noi non siamo la societ civile contro i partiti. Noi siamo i partiti. una verit indiscutibile. Perlomeno se c qualcosa che somiglia di pi ai partiti nella dialettica italiana siamo noi, non sono gli altri. Non possiamo raccontarci queste storie tardo-sessantottesche. Se c qualcosa che somiglia ai partiti in ci che di nobile sono stati nella crisi attuale, siamo noi, non sono gli altri. Io non conosco questa cosa, questa politica che viene fatta dai cittadini e non dalla politica. La politica un ramo specialistico delle professioni intellettuali. E fino a questo momento non si conoscono societ democratiche che hanno potuto fare diversamente. Lidea che si possa eliminare la politica come ramo specialistico per restituirla tout court ai cittadini un mito estremista che ha prodotto o dittature sanguinarie o Berlusconi e il comitato un sottoprodotto rispetto a queste due tragedie. La politica professionale esattamente quella

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struttura che consente ai cittadini di accedere alla politica, perch se manca quella struttura non vi accedono. Si parte con lidea che devono governare le cuoche e nel frattempo si governa con la polizia politica e noi abbiamo una certa esperienza nel nostro campo. Poi magari questa transizione dura settantanni perch nel frattempo ci si dimentica il programma originario. Quindi non inseguiamo qualcosa che, secondo me, non siamo in grado di inseguire e non neanche un grande obiettivo di modernit. Qualcuno aveva obiettato allora che, se a vittoria elettorale avvenuta si disconosceva lapporto della societ civile che si era mobilitata con tanto entusiasmo, non si poteva sperare che ai prossimi appuntamenti elettorali quella stessa societ si sarebbe ancora mossa. Il che grosso modo avvenuto, e il fatto che viviamo da tempo in regime berlusconiano lo prova. Cosa cera di sbagliato nella posizione di DAlema? Inspiegabilmente, per un personaggio della sua innegabile intelligenza politica, la credenza che un appello alla societ civile significasse un appello allassemblearismo sessantottesco e quindi a una deriva extraparlamentare, oppure a una forma di berlusconismo. Ma il berlusconismo stato lopposto di una mobilitazione della societ civile, perch non era nato

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dallo spontaneo aggregarsi di gruppi diversi, ma dalla decisione verticistica di qualcuno che, per cos dire, avendone le possibilit economiche, si era comperato un partito tagliato sulla sua misura. E per quanto riguarda la minaccia di assemblearismo, pare evidente che, quando si mobilita, la societ civile non chiede che sia dato il potere alle cuoche, ma si aggrega per rappresentanze professionali, circoli culturali, gruppi di volontariato, e soprattutto non pensa affatto di opporsi ai partiti politici. E dunque DAlema incorreva in un equivoco (e forse qualche intervento in quel convegno, e la proposta di un Movimento per lUlivo lo aveva indotto a quei sospetti) quando denunciava come superficiale e infondata lidea che il soggetto politico possa diventare lalleanza, i comitati, al posto dei partiti. Non risulta che quando si espressa la societ civile si sia proposta di sostituire i partiti (non ne avrebbe n le capacit organizzative n lomogeneit ideologica). Al massimo la societ civile chiede che i partiti sappiano rinnovarsi e ne sollecita anzi ladesione alle sue proposte, intende stimolarli, ricondurli a un contatto diretto con le aspirazioni di vari ceti sociali. Il che avvenuto in queste elezioni amministrative. E in queste elezioni amministrative i partiti politici hanno dato prova di comprendere lappello.

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Emilio Isgr, Cancellazione del debito pubblico, 2011. Universit Bocconi, Milano

Quale rimane dunque la funzione, certamente insostituibile, dei partiti e della politica nel momento in cui si d voce a elementi non professionalmente politici? Non solo

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quella di interrogare e comprendere le pulsioni, le idee, le aspirazioni che animano la societ civile, ma di garantire la continuit di queste espressioni, perch certamente la societ civile pu aggregarsi e disgregarsi a seconda della situazione di un paese, pu mobilitarsi in casi di estrema urgenza (come avvenuto) ma disperdersi o impigrirsi nel momento successivo. Ed ecco che i partiti devono sentire non solo il dovere di rispondere alle sollecitazioni della societ civile, ma anche quello di sollecitare queste sollecitazioni. Per poi ovviamente incanalarle nelle forme parlamentari e governative laccesso alle quali non pu che avvenire tramite i partiti. Ma evidentemente laltezzoso monito di Gargonza (facilmente traducibile in termini farseschi nel classico ragazzino, lasciami lavorare) ha immediatamente rotto il legame che si era instaurato nel 1996 tra mondo politico e societ civile. Il legame si sta riannodando ora, per fortuna, ma a quindici anni di distanza. Si auspica che non vadano sprecati i prossimi quindici.

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Emilio Isgr, Dichiaro di non essere Emilio Isgr, 1971. Installazione con performance dellartista. Milano, Centro Tool

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La spinta al cambiamento

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Il rifiuto della politica delle alleanze
G.B. Zorzoli

risultati delle elezioni amministrative si possono commentare con le parole della canzone Il fiume e la nebbia: / Non credo cambier / come questacqua tra le sponde / non si ferma, ma in realt/ non ha mai cambiato il senso / e del resto come pu. Continua il suo cammino la spinta al cambiamento che dai primi anni Novanta attraversa la societ italiana. Del resto come pu cambiare senso di marcia laspirazione a modificare in profondit un assetto economico-sociale che per troppi continua a non essere accettabile? Ventanni fa la driving force si manifest con linsofferenza verso lagire politico dei partiti tradizionali, palesemente indisponibili a cambiamenti che non lasciassero

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gattopardescamente immutate le cose. Solo che allora la fine traumatica della Prima Repubblica fu contemporanea alla caduta del muro di Berlino e al successivo crollo per consunzione interna dei sistemi politici esistenti in Unione Sovietica e nei paesi satelliti, mentre in Occidente trionfava un modello neoliberista apparentemente senza rivali e senza ostacoli (Do you rember Fukuyama e The End of History?). Presentandosi come un outsider, per di pi con unimmagine quella dellimprenditore di successo in sintonia con lo spirito del tempo, Berlusconi aveva le carte in regola per incarnare la figura dellinnovatore, lontano dalle complicit con la vecchia politica. In questo aiutato da alcune brillanti invenzioni lessicali: una per tutte, lo spregio per il teatrino della politica, dalla connotazione ambivalente, gli uni recependola come la promessa di una politica diversa, altri felici di non doversi pi vergognare del proprio qualunquismo. Questambivalenza permane anche oggi e il suo risvolto oscuro si manifesta in una parte almeno dei non pochi voti andati alle liste grilline (un comico di successo che minaccia di rimpiazzare in politica un impresario di successo!). Tuttavia, la novit, e non cosa da poco, sono i protagonisti

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che questa volta gli elettori hanno identificato come credibili vettori del cambiamento. Lacqua non si ferma, non ha cambiato senso, n lo potrebbe, ma i risultati delle elezioni amministrative segnalano che a prevalere stata la scelta di soggetti totalmente diversi rispetto al passato. La crisi esplosa negli Usa e rapidamente diffusasi altrove, che oltre agli assetti economicofinanziaria ha scosso la credibilit del verbo neoliberista; la divaricazione crescente anche in Italia dei redditi e delle opportunit, con larga parte delle nuove generazioni destinata a un eterno precariato; lormai evidente incapacit di Berlusconi di attuare una qualsivoglia politica, tanto che anche la Confindustria stata costretta a denunciarlo apertis verbis: il nocciolo duro di chi non ha mai creduto nel Cav nelle ultime elezioni si cos arricchito di nuovi entranti e parallelamente si giovato del non voto di chi dopo diciassette anni non si pi sentito di supportarlo.

e non vogliamo aspettare altri diecimila anni, accettando che questo fiume in fondo tutto ci che ho, bene non attendere la comparsa sulla scena politica di qualcuno che riproduca il berlusconismo sotto altre spoglie, come ieri Berlusconi ha rimpiazzato Craxi, limitandosi ad

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aggiornarne il ruolo ai tempi mutati, e laltro ieri Craxi a sostituito Fanfani sia nellagire politico, sia nellimmaginario collettivo della sinistra italiana. Affrettandoci a cogliere quanto di radicalmente innovativo emerso dalle urne. I successi pi inaspettati sono venuti laddove Milano, Napoli, Cagliari i vincitori sono stati percepiti come diversi non solo dal Pdl (e, a Milano, dalla Lega), ma anche dal Pd. Paradossalmente, per, riuscendo nellimpresa per la quale il Pd era stato concepito, ottenere il consenso di una parte dello schieramento moderato senza perdere il sostegno di chi si colloca alla propria sinistra. Il virgolettato non casuale. Probabilmente classificazioni tradizionali come sinistra radicale versus sinistra riformista o progressisti versus moderati oggi sono meno (poco?) rappresentative di una dinamica sociale e culturale di cui spesso sfuggono le connotazioni. A ogni modo evidente il rifiuto della tradizionale politica delle alleanze concepita come strumento principe se non unico per fare politica, che quotidianamente nel Pd contrappone chi privilegia laccordo con Sel e IdV a chi punta allintesa con il Terzo Polo. Non affrontare di petto queste novit, consolandosi col fatto che il grosso dei voti li ha forniti comunque il Pd,

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altrettanto sterile della parallela affermazione il Pdl rimane il primo partito italiano. Un certo filosofo di Treviri era solito ammonire gli indecisi con Hic Rhodus, hic salta. Lesortazione tuttora valida.

Emilio Isgr, Storie rosse (1969-1979). Centro per larte contemporanea Luigi Pecci, Prato 2008

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Ricostruire dal basso

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Carlo Formenti

unque non era un golpe? Dunque il nostro sistema democratico vivo e vegeto, perfettamente in grado di rovesciare il duce (o almeno i suoi cloni locali, milanesi e partenopei) e di far rientrare la politica nei binari di una normale alternanza? Dunque ero in errore quando, sullultimo numero di alfabeta2, scrivevo di postdemocrazia, di regime, di necessit di organizzare la resistenza? Mi dispiace ma non rinnego nemmeno una virgola. La disfatta del centro-destra nelle elezioni amministrative di maggio cosa buona e bella, ma non perch ha vinto il centro-sinistra, bens perch si tratta di un potente segnale di risveglio della societ civile. Continuo a pensare che in Italia, come in tutti gli altri paesi occidentali, non esistano pi destra e sinistra, bens due destre che si alternano nel ruolo di gestori delle politiche liberal-liberiste che hanno

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provocato la crisi, distrutto lo stato sociale, annientato quanto restava della capacit di resistenza delle classi subordinate dopo decenni di ristrutturazione capitalistica. Continuo a pensare che la controrivoluzione liberal-liberista non si batte mandando al potere esangui versioni postmoderne della socialdemocrazia, ma appoggiando senza riserve i movimenti che stanno nascendo in tutto il mondo e le nuove forme di democrazia partecipativa e diretta che si stanno sperimentando. Votando per Pisapia e per De Magistris (non a caso estranei allestablishment del Pd), le masse milanesi e napoletane hanno espresso la loro volont di iniziare a ricostruire dal basso il tessuto sociale delle loro metropoli, devastato da decenni di saccheggio capitalistico senza regole. Ma non saranno Pisapia e De Magistris, ancorch animati dalle migliori intenzioni e aspirazioni, a restituire forza e dignit alle comunit che li hanno eletti. Non ne hanno la possibilit, ingabbiati come sono dai vincoli che i vertici globali del capitale impongono a ogni potere locale. Potranno, nella migliore delle ipotesi, ed quanto sinceramente auguro loro, agevolare lautocostituzione di inedite forme di potere dal basso, evitando una volta eletti di smobilitare lenergia spontanea della comunit che li ha espressi. Per continuare la lotta contro il regime, alle citt e

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al mondo non serve il buon governo, serve lenergia delle piazze, serve che la gioia delle feste italiane dopo la vittoria elettorale si trasformi nella gioia degli indignati che invadono le piazze spagnole. Serve, ancora e soprattutto, che il movimento vada al di l dellaggregazione contingente, dei comitati elettorali, dei gruppi su facebook, delle fabbriche vendoliane per darsi obiettivi politici autonomi e strumenti in grado di realizzarli.

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A Napoli bisognava scassare tutto

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Renato Nicolini

Napoli bisognava scassare tutto per salvarsi dalla trappola mortale tra il degrado del bassolinismo, e il nuovo Lettieri/Cosentino. De Magistris c riuscito, svelando che limperatore nudo non solo a Napoli, e tutta la debolezza dei partiti usciti dalla crisi 89-93. Cultura e politica sono pi che mai le due facce della stessa medaglia. Berlusconi stato un fenomeno culturale, senza vergogna nellincorporare i miti della destra italiana, dal fascismo buono che mandava gli oppositori in vacanza al sessismo omofobo alla risata coatta allindulgenza verso la corruzione. Non sono state n LItalia dei Valori n il suo stesso passato di magistrato coraggioso a spingere De Magistris a Palazzo San Giacomo, ma la rivolta (che da Napoli arriva a Milano) contro un mondo che ha eretto a fondamenti lassenza di verit e lindifferenza al merito di fronte agli

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interessi dei potenti. Lopposto della cultura libertaria e critica di cui il paese ha bisogno per riprendere a crescere. Altro che modello Macerata, che Massimo DAlema seguita a inseguire (con i propri Casini) Scassare tutto non significa lillusorio ricominciare da capo affidato a gesti simbolici come la demolizione (con la dinamite) delle Vele di Scampia. Restituire alla competenza un ruolo autonomo dalla convenienza del potere possibile solo accettando la complessit del progetto. Il modello dovrebbe essere lUniversit e la ricerca, il confronto delle idee, la comprensione che ogni problema pu ammettere pi di una soluzione e che le idee appartengono a tutti. Se le universit italiane, comprese quelle di Napoli, non fossero state contagiate A Napoli ogni questione di cultura, partendo dallimmondizia che lha sepolta tre volte, e pu essere risolta solo da un cambiamento di mentalit spinto fino ai gesti quotidiani. Napoli, per tornare a essere la grande citt europea che stata (la resurrezione gi riuscita a Barcellona uscita dal franchismo), deve sciogliere, chiamando alle armi le migliori intelligenze, i nodi di Bagnoli, di Napoli Est, della vivibilit del centro storico, della trasformazione della periferia

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anima della democrazia lascolto. Con lottimismo dellintelligenza, misurandosi con le dimensioni, materiali e immateriali, del paesaggio (Napoli sta perdendo il proprio rapporto col mare, lha perso con la campagna), della citt regione Napoli non potr pi coincidere pi con la vecchia Piedigrotta, con la citt borghese tra Chiaia e il Rettifilo. De Magistris deve assumersi le proprie responsabilit di Sindaco, chiudendo con la managerialit indecisa a tutto alla Bagnolifutura, senza aspettarsi miracoli da effimeri appuntamenti di parata come Napoli capitale culturale nel 2013. La cultura non passa per limbuto stretto delle istituzioni, ma per lautonomia dellUniversit, del San Carlo, del Museo Archeologico, del sistema Madre Pan Stazioni dellarte della Metropolitana Fondazioni Morra, Lia Rumma, Lucio Amelio; per lobiettivo di Napoli terzo polo della produzione cinematografica e televisiva italiana, accanto a Roma e a Milano Oddati e Jervolino, spalancando la bocca come il cane di Esopo, hanno gi lasciato cadere in acqua per averne in cambio il Comitato 2013 una delle poche eredit positive degli anni di Bassolino, il Teatro Stabile di Napoli, consegnandolo a Luca De Fusco (cio a Gianni Letta). Ma gi lo Stabile di Napoli si era allontanato dallispirazione iniziale con cui era nato, uno Stabile

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plurale, capace di dare voce a figure diverse ma tutte radicate nella citt come Mario Martone, Enzo Moscato, Renato Carpentieri. La nascita del Napoli Teatro Fest ne aveva paradossalmente accelerato la decadenza, generando una singolare battaglia di dame, tra Roberta Carlotto/Mercadante e Rachele Furfaro, e la nascita di una struttura autonoma (molto finanziata dalla Regione) per il Festival Bisogna aver fiducia nella creativit della citt, non sovrapporle una managerialit posticcia, come i capelli nuovi di Berlusconi Ex assessore allIdentit del primo Bassolino, mi sono domandato in un libro, PeramareNapoli (che la Clean di Gianni Cosenza sta mandando in stampa), come evitare gli errori che sono seguiti. Perch anche Bassolino sembrava aver rotto con la politica di palazzo Se proprio la cultura la principale risorsa delle citt nel mondo globale, dopo lassistenzialismo democristiano questo richiede interventi pubblici che moltiplichino concorrenza e pluralismo, da arbitro pi che da giocatore, lesatto opposto del trionfalismo delle Notti Bianche veltroniane Evitando il cannocchiale rovesciato, auto apologie che finiscono per trasformarti in zucca come il Claudio di Seneca, come il preteso rinascimento napoletano: erano stati Teatri Uniti di Mario Martone e Terrae Motus di Gianni Amelio a provocare la vittoria

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di Bassolino sulla Mussolini, e non il contrario Non serve la ruota del pavone, ma la capacit: mi conforta aver sentito il nome, come possibile assessore di De Magistris, di Antonella Di Nocera, che negli anni Novanta aveva saputo portare senza una lira Ken Loach allArci Movie di Ponticelli Altri percorsi di lettura: Giuseppe Montesano Dieci tesi semi-serie sulle elezioni a sorpresa del sindaco di Napoli Salvatore Palidda Laboratorio Genova Lello Voce Leccezione divenuta norma Pier Aldo Rovatti Noi, barbari contemporanei

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Dieci tesi semi-serie sulle elezioni a sorpresa del sindaco di Napoli

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Giuseppe Montesano

1.

Si sostiene da sempre che i napoletani siano anarcoidi, e quindi amanti del casino e di chi gli concede di far casino costi quel che costi. Lelezione a sindaco di Napoli di un rappresentante delle istituzioni, un rappresentante che si richiama a quella legalit che solo la cultura interessata, orrenda, violenta e ideologica dellitalietta degli ultimi ventanni anni pu impunemente definire giustizialista, nega questo luogo comune. In realt anarcoide il capitalismo che ama le regole per gli altri e lassenza di regole per se stesso, e anarcoide la semidestra italiana che ne deriva, e che si nutre dellideologia del mercato divinizzato non solo nella concezione delleconomia, ma nella concezione delleros, della psiche, dellanima, della vita e della morte.

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2. Se ne potrebbe ragionevolmente dedurre che i napoletani desiderano regole certe, ovvero che chiedono a chi li amministra una sostanziale certezza delluguaglianza di ricchi e poveri di fronte alla legge. Allirregolarit e al casino, vale a dire a una poesia concreta, i napoletani si dedicano semmai nella vita privata. A chi li amministra chiedono di essere trattati da cittadini: eredi di quella Rivoluzione francese la cui importanza ancora cruciale per il presente perfettamente definita dallodio teopolitico che sulla sua presa di posizione in favore delluguaglianza dei diritti si riversa, ancora dopo due secoli, dalle bocche di quelli che hanno tutto da perdere dallidea di cittadino libero e uguale nei diritti e nelle opportunit. 3. Un ragazzo napoletano dei centri sociali dice: Io a De Magistris lo schifavo, ma poi ho sentito che cosa diceva e ho lavorato gratis per lui. Il proprietario di un bar, che si proclama di destra e legge Il tempo dice: Io dovevo votare Lettieri, che un grande imprenditore. Per, negli ultimi giorni, non ce lho fatta, e ho deciso di votare De Magistris. Questa terza tesi non una tesi, registra solo voci nella folla, facendo notare che una folla non una massa: una folla fatta di individui. In questo caso gli individui di Napoli

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hanno capovolto previsioni, certezze e mitologie, forse perch si sono concessi, in segreto, uno spazio interiore, non socializzato tramite il mediatico, di riflessione. La tesi numero tre potrebbe essere questa: senza lo spazio del pensare e sognare, che viene marchiato come perdita di tempo e improduttivit dai reggitori anarcoidi del presente, non c possibilit di cambiamento. 4. Si dedurrebbe, dai fatti di Napoli, che avevano ragione i vecchi Maestri che ritenevano che tutte le azioni umane sono storiche, e che quindi nella societ e nelleconomia non esiste immutabilit e ineluttabilit come nella natura, e che ci che uomini hanno fatto altri uomini possono disfare e viceversa. Le regole della pioggia e del bel tempo non sono quelle delle societ umane. 5. I media sono lanima ammalata del presente, ma la circolazione della parola tra individui in carne e ossa mette in crisi qualsiasi dispotismo mediatico, cos dicono i fatti di Napoli. Vale la pena a tal proposito, e a proposito delle mitologie costruite in questo inizio di millennio intorno alle reti, ricordarsi che multimediale luomo gi dalle grotte di Lascaux: lideologia con cui luomo pstmoderno banalizza la

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sua multimedialit naturale e culturale e la sposta sui mezzi va dissolta, ricordando il luogo comune vero che i mezzi restano appendici, strumenti. La rete delle strade porta in ogni luogo e porta a perdersi, la rete del pescatore quella che cattura prede e le imprigiona ma piena di spazi per i pi piccoli e scivolosi. Una vera rete deve avere smagliature, interruzioni, imperfezioni. Se non ci sono buchi nella rete, bisogna farceli. 6. Si potrebbe ipotizzare quindi che ci sono pietruzze che inceppano il meccanismo mediatico: i piccoli uomini e le piccole donne, le cosiddette mamme vesuviane, che hanno combattuto contro lo strapotere di leggi speciali che volevano ficcare la spazzatura di Napoli nelle loro case per buttare lorrore sotto il tappeto, si sono dimostrate pi filosofiche dei filosofi con attico a Parigi e pensione certa. Le donne dei paesi intorno a Napoli hanno vissuto, senza averla studiata a scuola, una vecchia tesi: quella che sosteneva che viene sempre il tempo in cui non basta interpretare il mondo ma bisogna cambiarlo. Le donne di Chiaiano hanno fatto barricate con i loro corpi di bambine e anziane e incinte, e hanno imparato che solo il coraggio della non-violenza disarma le dittature mediatizzate. Laddove gli

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intellettuali, in effigie di sedicenti esperti, scienziati, opinionisti, si vendevano sostenendo che il bianco nero e il nero bianco, i piccoli uomini e le piccole donne di Chiaiano filosofavano portando i loro corpi in strada, e ricordavano a tutti che il pane il pane e la merda la merda. 7. Se ne potrebbe dunque ulteriormente dedurre che gli intellettuali sanno poco di ci che accade per strada, tranne i pochi che hanno un reddito medio-basso o basso, e la ventura di viaggiare in autobus o a piedi, tra gente rotta dal lavoro malpagato e imbambolata dagli psicofarmaci necessari a reggere il lavoro malpagato, tra corpi di cinesi, bengalesi, etiopi, pakistani, filippini, romeni, italiani, greci eccetera. Molto seguirebbe da ci. 8. Le elezioni a Napoli nel maggio 2011 restano per molti versi incomprensibili, ma la loro incomprensibilit feconda. Un cattivo soggetto, alle soglie della Seconda guerra mondiale, scriveva: La tradizione degli oppressi ci insegna che lo stato di emergenza in cui viviamo la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito,

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la creazione del vero stato di emergenza: e ci migliorer la nostra posizione nella lotta contro il. Dove ora ci sono i punti di sospensione, il cattivo soggetto aveva scritto fascismo, ma il qualcosa contro cui lotta lindividuo libero, che si sente libero solo nello specchio della libert altrui, cambia storicamente: a volte di anno in anno, a volte pi in fretta. 9. Seguirebbe da ci che non bisogna restare conficcati nellattualit, e che a volte necessario tentare di fermare o invertire il corso del tempo. Per far questo, per, coloro che aspirano a ricucire contemplazione e azione devono fare accuratamente a pezzi il significato attuale di concetti come futuro, modernit, progresso, realismo, sogno, concretezza, libert: tali concetti sono stati deformati e inquinati da bande di esperti connotati da redditi medioalti o alti, da ambizioni narcisistiche di massa e da idolatria per il testo sacro della teopolitica, la bibbia del male, la menzogna che recita: Il fine giustifica i mezzi. Chi aspira a uscire dalla trappola dellattualit senza smettere di accorgersi di ci che lattualit fa alla vita, dovrebbe riflettere sul fatto che fino a questo momento i nuovissimi filosofi, travestiti da economisti, esperti, politici, fingendo di essere

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omologhi alla realt che non cambia, hanno lavorato a cambiare il mondo. Ma se il cambiamento del mondo a cui hanno lavorato e lavorano i nemici dellumanit ci che ha portato il mondo sullorlo del collasso materiale e dellinfelicit dei singoli, allora oggi 10. Allora oggi non si tratta solo pi di cambiare il mondo: bisogna interpretarlo.

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Laboratorio Genova

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A dieci anni dal G8
Salvatore Palidda

ieci anni dopo, tante persone chiedono ancora di capire il perch della terribile violenza e delle torture che una parte delle polizie si accan a infierire sui manifestanti contro il G8 di Genova. Un perch comprensibile, per, francamente, non solo ingenuo ma anche preoccupante poich mostra che non ci si rende conto della portata di quella sperimentazione di gestione brutale della protesta sociale e politica. Come se tutte le brutalit, torture, violazioni dei diritti fondamentali e il libero arbitrio di buona parte delle polizie in Italia e altrove non si fossero mai pi ripetute e non fossero diventate pratiche quasi abituali o comunque possibili da parte dei poteri neoconservatori di questultimo decennio. Sar leffetto tremendo della

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narcotizzazione o della memoria corta che producono i media. Ricordiamoci dei numerosi episodi di accanimento di una parte delle polizie ma anche di padroncini e caporali su operai in lotta, su abitanti disperati per il dilagare del cancro nel loro quartiere a causa delle discariche di rifiuti tossici, sugli abitanti della Val Susa o quelli delle zone delle grandi opere come la gronda di Genova angosciati per lamianto che si sprigiona mettendo a soqquadro i terreni dove vivono; ricordiamoci delle botte inflitte ai terremotati dellAquila andati a Roma per gridare al governo la tragedia in cui sono stati abbandonati, i pastori sardi, gli abitanti di Quirra, i NodalMolin, i NoPonte, gli studenti, gli insegnanti e i ricercatori che la signora Gelmini considera terroristi o quasi perch si permettono di essere ostili alla sua riforma. Insomma, quanti sono stati gli episodi del genere e non solo in Italia (si pensi alle polizie scatenate contro le lotte sociali o ambientaliste in Spagna, a Londra, in Germania, in Francia e altrove). Sul G8 di Genova, la quantit di scritti di ogni sorta, di immagini, di video, di reportage e la mole degli atti giudiziari quasi sterminata (vedi http://www.processig8.org/). Ma nessuna ricerca dotata di sufficienti risorse stata avviata mentre gli ingenti fondi delle ricerche europee sono

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destinati soprattutto a ricerche embedded, cio per migliorare le capacit repressive militaro-poliziesche. Il G8 di Genova fu il momento pi esasperato della sperimentazione neoliberale-neoconservatrice della gestione violenta della protesta in un paese cosiddetto democratico[1]. La direttiva era di distruggere lo slancio che da Seattle in poi aveva alimentato un movimento mondiale antiG8 che aveva conquistato una popolarit planetaria anche nei ceti medi e persino in una parte della borghesia. esattamente questo che apparso inammissibile per un dominio globale che pretendeva e pretende agire in libero arbitrio usando le polizie per schiacciare la protesta antiG8 e dopo ogni mobilitazione di dissenso. Il G8 di Genova non fu, quindi, una eccezione, un caso unico, un incidente della democrazia, non solo il coacervo di sfortunatissime coincidenze di errori e atti maldestri in una sciagurata congiuntura; fu lesito prevedibile di una molteplicit di atti e comportamenti anche casuali ma comunque condizionati e orientati dal gioco di attori forti allinterno di un frame che spiega appunto tale esito. Purtroppo quasi nessuno cap ci che produceva e avrebbe prodotto questo frame che si forgiava sin dalla fine degli anni Settanta. Eravamo gi nel contesto della guerra che dopo l11 settembre i

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neoconservatori fanno diventare permanente e totalizzante. Fu allora normale che la destra arrivata al governo proprio due mesi prima dellevento genovese si sentisse in diritto e in dovere di fare molto di pi di quanto aveva gi fatto il centro-sinistra, in particolare dei DAlema e Bianco. La Rma (Revolution in Military Affairs) riguardava anche una rivoluzione negli affari di polizia, ossia librido militare-poliziesco che configura la cosiddetta polizia globale[2] e quindi le sue pratiche; allora, i manifestanti e la protesta antiG8 sono trattati come fiancheggiatori o analoghi del nemico assoluto (Stati canagliae terrorismi o a parole le mafie) non certo secondo la prassi della gestione pacifica e negoziata delle mobilitazioni nei paesi detti democratici. Cos, troviamo a Genova unit speciali e quegli ufficiali particolarmente che si sono gi distinti nella stessa zona dove militari italiani hanno torturato somali e dove sono stati trucidati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (vedi http://www.ilariaalpi.it); arrivano anche dirigenti di polizia noti per i loro metodi assai muscolosi e deontologicamente sui generis in operazioni antimafia o antiultr o in sgomberi dei rom a Roma. Militarizzazione del territorio, sospensione dello stato di diritto democratico, campagna mediatica terrorizzante: qualsiasi deroga alle norme dello stato di diritto

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democratico divent legittima, compresa la tortura che in Italia resta ancora oggi un reato soggetto solo a lievi pene (come lesioni, se accertato) quindi rapidamente prescrivibili (ne hanno beneficiato, fra altri, i responsabili di torture a Bolzaneto[3], i vigili parmensi che si divertivano su Bonsu, e ne beneficeranno ancora gli autori di tale genere di trattamento nelle carceri, nelle varie sedi delle polizie, nei centri espellendi ecc., anche a prescindere del cosiddetto processo breve) (vedi www.osservatoriorepressione.org e i rapporti annuali di Amnesty). Lasimmetria di potere e di forza spinse allora e spinge ancora parte delle polizie a scatenarsi senza remore e timori, con la certezza dellimpunit se non del premio.

ebbene comune a tutti i paesi (ovunque il potere legittima e tutela direttamente o indirettamente i suoi pretoriani e chi fa il lavoro sporco per difenderlo), questo fatto appare per ancora pi plateale nel caso italiano. Lo scandalo planetario degli abusi, delle violenze vigliacche e persino delle torture al G8 di Genova non indusse le autorit politiche e amministrative italiane neanche a esibire qualche capro espiatorio nonostante una palese analogia fra la caserma Ranieri di Napoli, piazza Manin, la Diaz,

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Bolzaneto, Abou Graib e Guantanamo. Non solo, in nessun paese fra quelli detti democratici membri delle polizie indiscutibilmente responsabili di atti violenti e anche ignobilmente vigliacchi (accanirsi a calci su un minorenne ferito a terra come fece un commissario anche lui promosso vicequestore) o che ostentano il credo fascista, non sono sospesi, tanto meno espulsi da tali istituzioni e sono persino promossi a cariche molto importanti. Questa prassi, che ricorda appunto il totale libero arbitrio e la protervia degni di un regime fascista o mafioso, di fatto appare ormai abituale accentuando ancor di pi limpotenza di chi difende lo stato di diritto democratico cos ridotto a pia illusione. Il dispositivo e la quantit di mezzi e personale messi in campo dalle polizie furono abnormi ma privi quasi di coordinamento per scelta deliberata, ma mai ammessa dei rispettivi comandi a causa dei conflitti e della competizione in particolare fra polizia di Stato e carabinieri. Ogni polizia persegu autonomamente lintento di annichilire i manifestanti senza distinzione, compresi quindi i pacifisti cattolici. Non fu casuale la libert concessa ai Black Bloc che poterono realizzare alcune azioni dimostrative prive per della giustificazione che larea pi accreditata di questa componente proclamava sui suoi siti; esse servirono da alibi a

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quella componente delle polizie che aveva lobiettivo di provocare disordine e violenze per legittimare la mattanza. Dopo dieci anni di processi i carabinieri e la guardia di finanza ne sono uscite indenni. Quanto ai media, prima del G8 hanno sostenuto la preparazione del massacro accreditando lesasperazione dellodio contro i No Global nei ranghi delle polizie e la paura dei benpensanti; durante e subito dopo, invece, presero spazio le denuncie degli abusi, delle violenze ecc. Passata lemozione, riprese il coro contro i manifestanti violenti che nellarringa finale della Pm (peraltro di Md) sembra una sorta di teorema ideologico (non inedito) secondo il quale venticinque manifestanti sono imputati come responsabili di tutte le violenze, distruzioni ecc. commesse in quei giorni e non solo dei reati per i quali esiste la prova della loro colpevolezza. Nellultimo processo, sei di questi sono condannati a pene oscillanti fra i sette e i quindici anni (per qualche atto di distruzione e senza alcuna violenza a persone, condanne rare anche quando si tratta di omicidi per non parlare di gravi danni finanziari, sanitari e ambientali provocati da colletti bianchi). La lentezza e soprattutto lesito dei processi di primo grado sono stati spesso una conferma di una giustizia apparsa sin dalla

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preparazione del G8 alquanto ossequiosa verso il potere e le polizie; solo con i processi dappello si ha un parziale riscatto di una parte dei magistrati inquirenti. Dopo dieci anni, di fatto i processi avallano il messaggio che le polizie hanno sempre ragione (vedi innanzitutto la legittima difesa per chi ha ammazzato Carlo Giuliani) e che non ammissibile nessun gesto violento dei manifestanti neanche se di risposta a una inaudita e persino assolutamente illecita violenza poliziesca. In Italia questo messaggio talmente condiviso da fare lunanimit di quasi tutti i media, le forze politiche e i leader dopinione. In Inghilterra, Spagna o Germania non si sono sentiti gli anatemi contro le violenze dei giovani e a difesa dei poveri poliziotti che ci hanno rifilato i vati della giustizia italiana (fra questi Saviano) che non hanno mai speso una parola per il rispetto dello stato di diritto democratico da parte delle polizie (e di Stati come Israele) avallando cos un giustizialismo che pu praticare anche abusi a fin di bene. la logica dei nuovi alfieri della legge, ordine, igiene, decoro e morale del cittadinismo perbenista attraverso la tolleranza zero che colpisce i deboli, prime vittime dellinsicurezza effettiva; la logica degli ossimori (guerre giuste o umanitarie) dei filosofi nipotini di quel Tocqueville che prescriveva lo sterminio degli algerini

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refrattari della civilizzazione francese. In altre parole, in unItalia dove non c mai stata uneffettiva tradizione liberal-democratica (da non confondere col liberismo neoconservatore), quasi tutta la sinistra sembra diventata giustizialista e non si interessa al controllo effettivamente democratico delle polizie, mentre la destra, anche libertina, per reazionaria e quindi difende sempre a spada tratta polizie e poteri militari, dei quali, comunque, quasi tutti i politici cercano di accattivarsi la compiacenza. Il risultato che lItalia il paese con meno rispetto dei diritti fondamentali sovente violati dalle polizie soprattutto a danno dei soggetti sociali pi deboli. Da notare: le cosiddette indagini di vittimizzazione molto costose non sono altro che sondaggi telefonici su un campione di soli titolari di telefoni fissi e sono realizzati solo in italiano cos i marginali, gli immigrati soprattutto clandestini e i rom, cio i soggetti pi suscettibili di essere vittime di abusi e violenze non sono mai sondati e non prevista alcuna domanda sulleventuale appartenenza alle polizie dellautore di violenze. Tuttavia, nonostante lesasperazione dellasimmetria di potere e di forza e lindebolimento delle rappresentanze politiche e dei sindacati, c stata e c una ripresa straordinaria delle mobilitazioni nei paesi dominanti e ancor di pi

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negli altri paesi come mostrano le rivoluzioni in Tunisia, in Egitto e altrove. Finora, il potere dei paesi dominanti appare blindato o immunizzato[4], in grado di non essere scalfito dalle proteste grazie allaccresciuta asimmetria di dominio alimentata anche dal forte indebolimento dellopposizione parlamentare pervasa dai think thank liberisti. Tuttavia la dinamica collettiva rinasce: una parte crescente della societ non sopporta pi le conseguenze del liberismo.

ntanto, a livello sovranazionale, mentre non c alcuna istanza politica sovrana, si forma una gendarmeria europea (www.eurogendfor.eu, vedi A. Iacuelli) totalmente ignorata non solo dalla pubblica opinione ma anche dai parlamentari considerati democratici. Ci che inquieta che questa Eurogendfor, fatta con polizie militari che non si pu dire brillino per trasparenza democratica, si configura come una forza di fatto dipendente solo da gerarchie militari che dovrebbe svolgere un ruolo di gestione dellordine pubblico, ossia di intervento contro manifestazioni e rivolte. Ma la pretesa liberista di una gestione violenta del dissenso che scarta ogni negoziazione a favore di una gestione pacifica non pu pi durare. Anche fra gli addetti ai lavori

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ci si rende conto che da ventanni le polizie sono troppo distolte da molti loro compiti e competenze assolutamente indispensabili per la loro stessa sopravvivenza come istituzioni sociali che hanno per forza bisogno di un minimo di consenso popolare o quantomeno di una neutralit da parte della societ. Il risultato laumento delle economie sommerse, dellevasione fiscale, degli infortuni e malattie professionali, dellinquinamento, delle ecomafie ecc. Si produce cos ancora pi insicurezza reale ma occultata dal discorso dominante sulle insicurezze e paure attribuite agli esclusi o sovversivi da perseguitare. Probabilmente, la congiuntura neoconservatrice destinata a chiudersi anche se le squelle dureranno a lungo. alquanto illusorio che si possa andare verso un nuovo New Deal (come sembrava aver fatto credere la vittoria di Obama), ma appare comunque impossibile che la maggioranza della popolazione subisca passivamente gli esiti devastanti delle politiche liberiste e la protervia di poteri spesso ignobili. Come nellavenue Bourghiba di Tunisi e a piazza Tahrir, a Puerta del Sol (Madrid) e gi in altre piazze europee si sta innescando una nuova speranza. Le pratiche di protesta e resistenza pacifica (ma non pacifista) viste sinora mostrano che lasimmetria di potere pu essere rovesciata anche se

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parzialmente e momentaneamente con un agire politico di massa senza bisogno di eroismi, di estremismi, n di leader o di grandi organizzazioni tradizionali. [1] Si veda L. Pepino, Obiettivo. Genova e il G8: i fatti, le istituzioni, la giustizia, Questione giustizia, 5, 2001, pp. 881-915; S. Palidda, LItalie saisie par la tentation autoritaire, Le Monde Diplomatique, ottobre 2001; Id., Appunti di ricerca sulle violenze delle polizie al G8 di Genova, Studi sulla questione criminale, 1, 2008, vol. III, pp. 33-50; Amnesty International, Rapporto Annuale 2001. [2] Si veda A. Dal Lago, Le nostre guerre, manifestolibri, Roma 2010. [3] Si veda M. Calandri, Bolzaneto. La mattanza della democrazia, DeriveApprodi, Roma 2008. [4] Si veda A. Mastropaolo, La democrazia una causa persa? Paradossi di uninvenzione imperfetta, Bollati e Boringhieri, Torino 2011.

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Emilio Isgr, Disobbedisco, 2010. Performance. Convento del Carmine, Marsala

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Alberto Burgio Uno sguardo adulto sul mondo Gabriele Pedull Paura e insurrezione Augusto Illuminati Le virt del tumulto: un seminario Umberto Eco Ricordando Gargonza G.B. Zorzoli La spinta al cambiamento Carlo Formenti Ricostruire dal basso Renato Nicolini A Napoli bisognava scassare tutto

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Giuseppe Montesano Dieci tesi semi-serie sulle elezioni a sorpresa del sindaco di Napoli Torna al men

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Luigi Nacci In memoria di Vittorio Arrigoni Ed un giorno ti chiedi che cosa sto a fare tra questi limoni avariati I pensieri si sfaldano scorrono lungo le tempie fluiscono a terra Come fare a resistere a opporsi alle forze che premono e opprimono i corpi Sollevare le frane ridurre gli attriti invertire le rotte dei crolli I capelli diradano scadono lungo le spalle ostruiscono i fori Ti rovesci conficchi la testa nellacqua scompari trattieni i respiri Inspirare espirare inspirare espirare inspirare con occhi e polmoni Dare fuoco agli specchi evacuare gli scarti incitare i batteri alla lotta Ed un giorno svegliandoti chiedi che cosa sto a fare tra questi limoni

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Ti ribalti consulti le mappe sigilli i cassetti consegni le chiavi agli spettri Camminare sui bordi procedere a passo spedito schivare i saluti Come fare a saltare i fossati a planare sui fiumi a danzare sugli argini Le caviglie si flettono i tendini bruciano i piedi si sciolgono al sole Dove andare se ovunque tu vada nessuno ti attende Quante sono le strade da perdere prima di perdersi Ed un giorno svegliandoti chiedi che cosa rimane Di tuo padre tua madre non puoi ricordare i sussurri Con chi fare lamore a chi offrire le tue solitudini Sono lunghe le notti al mattino a che cosa assomigli Come fare a distinguere i morti dai vivi Come adempiere al compito di umanizzarsi Estratto dal film Solo Limoni, a cura di Giacomo Verde e Lello Voce, Shake edizioni, 2002 Altri percorsi di lettura: Emilio Isgr Disobbedisco

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Niva Lorenzini Sul sentimento e sul rapporto letteratura-vita Torna al men

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Lello Voce

ra linizio dellautunno del 2003, circa due anni dopo che a Genova era accaduta Genova, due anni dopo che le Torri erano crollate sulle Torri. Mario Placanica, il carabiniere che ha assunto su di s la responsabilit dellomicidio di Carlo Giuliani, assolto da tutte le responsabilit in sede di discussione preliminare. Nessun processo sar celebrato. In quella sentenza, che impedisce lo svolgimento del dibattimento, sta nascosta la ragione vera di quel grande esperimento di repressione violenta di massa che stata Genova 2001. Nel mandare assolto Placanica, il giudice Daloiso fa ben di pi che riconoscere il diritto alla legittima difesa. Cita larticolo 53 del Codice Penale e dice che non si tratta della legittima difesa, ma di un potere pi ampio, in cui la legittimit della reazione non subordinata al limite

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della proporzione con la minaccia, anzi essa pu pi semplicemente essere giustificata dal fine di adempiere a un dovere dufficio che qualifica la sua condotta. Fa niente che quellarticolo, a norma di Codice, vada applicato solo nel caso in cui si tratti di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona. Larticolo c, basta saperlo interpretare in modo argutamente estensivo, e soprattutto, far capire a tutti che cos sar, dora in avanti. Per chi, come me, era a Genova, quelle righe suonavano come unagghiacciante confessione. Sta in quelle righe lesplicitazione di quella che oggi chiamerei lesemplarit di Genova. Genova era stata solo lultimo anello di una catena di esperimenti sempre pi spudorati di uso della violenza per la repressione delle proteste di piazza, lakm raggiunta, dopo che gi a Goteborg un Ministro aveva ordinato di sparare sui manifestanti (Scajola non sar da meno, almeno a suo dire), dopo la prova generale di Napoli, con le forze di polizia sguinzagliate allinseguimento della folla terrorizzata. In attesa di Genova, in una serie di caserme italiane si era svolto un training accurato. Ci scapparono addirittura i

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feriti negli scontri simulati tra truppa e ufficiali. I famigerati Ccir stavano per fare la loro entrata in scena, prologo improvvido alla futura polizia europea, mostro ibrido in cui tutori dellordine e militari si danno la mano.

ilitare , infatti, la tecnica utilizzata per travolgere il corteo delle Tute Bianche su via Tolemaide, attaccandolo contemporaneamente su tre lati, senza lasciare alcuna via di fuga, con lo scopo, non di riportare lordine, ma di disordinare le truppe avversarie e sterminarle. Militare lo sgombero di piazza Manin, dove si spazzano via con violenza inaudita centinaia di persone inermi, militare lattacco al corteo di sabato, per spezzarlo a met, quasi fosse una colonna nemica, militare, tanto quanto un rastrellamento, il preordinato massacro della Diaz, fuoco dartificio finale di una pirotecnica gestione dellordine pubblico, oramai schiettamente sudamericana. Quando, indagando sulla morte di Carlo Giuliani, insieme con il web-nick Franti, ci rendemmo conto per primi che in piazza Alimonda erano presenti ben due ufficiali dei carabinieri che erano gi a Mogadiscio, nei giorni dellomicidio Alpi, al comando del Distaccamento di polizia militare del Porto, ci stupimmo e con noi si stupirono in molti.

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In effetti non cera da sorprendersi. Ingenuo era chi credeva che i corpi dlite delle missioni di peace keeping sarebbero stati utilizzati a protezione della zona rossa e dei leader mondiali. Loro erano l non a difendere, ma ad attaccare, a mostrare a tutti come fare per stroncare la protesta di masse ormai troppo numerose e decise per non costituire un pericolo per il neocapitalismo globalizzato e ultraliberista. Genova, o Mogadiscio era lo stesso. Nessuna meraviglia per me, dunque nel ritrovare, anni dopo, uno di loro a Nassirya, a comandare in quelle camerate dove faceva bella mostra di s un vessillo di Sal. Che tutto ci avvenisse proprio in Italia in fondo era ovvio: dove altro sarebbe potuto accadere? Il tic oscuro dello Stato liberale, quello che lo consegna, mani e piedi legati, tra le braccia della violenza fascio-liberista, lo riportava sul luogo del suo primo delitto, benaccolto dai suoi soliti famigli. Anni di stragi impunite, decine di delitti per ordine pubblico, stavano l a garantire la sincerit della malafede di tutti coloro che si esibivano nel teatrino della politica italiota.

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I moderati sono troppo spesso, qui da noi, i garanti dellesercizio tranquillo e smodato dogni estremismo poliziesco. La giustificazione sarebbe stata la solita: svolgere il proprio dovere, obbedire agli ordini, anche se poi, come sempre, nel risalire uninfinita e nebbiosa catena di comando, tutte le responsabilit sarebbero sparite come neve al sole. Non appaia retorico ed esagerato: la stessa solfa udita a Norimberga. Ubbidire agli ordini, compiere il proprio dovere. Larticolo 53 C.P., insomma. Il giudice Daloiso aveva capito tutto. Da allora cos successo a questa Ytaglia? Tutto sembra cambiato, anche se non cambiato nulla. Sorta di Gattopardo globale, limmaginario collettivo ha digerito e messo in circolo anche Genova. Quello dei torturati e quello dei torturatori. Il fantasma di Genova, con il suo essere esageratamente esagerato, ha permesso il normalizzarsi di violenze su violenze, in scala minore, certo, ma non meno impressionante, ha innescato un processo letale di fascistizzazione degli apparati repressivi dello Stato di diritto, ha agito da babau per ogni tentativo collettivo dopposizione radicale.

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Le Zone Rosse si sono moltiplicate. Molecolarizzate.

Bolzaneto segue, coerentemente, lOspedale Pertini, dove si lascia morire Cucchi scrollando le spalle. A piazza Alimonda fa eco sinistra il cadavere massacrato di Aldrovandi, alle cariche con i blindati a corso Torino, quelle a cavallo delle ruspe in Val di Susa. Leccezione divenuta norma. La violenza di massa un gadget portatile per qualsiasi divisa. E cos Fini, che a Genova era a Forte San Giuliano, nella sala operativa dei carabinieri, a dirigere con il suo fido on. Ascierto i movimenti delle truppe sul campo di battaglia e che per primo ci mise la faccia per giustificare lomicidio di piazza Alimonda, pu passare oggi come un custode affidabile della nostra democrazia, un interlocutore privilegiato per certa sinistra. Il principe di Salina non pu che uscire di scena: il futuro tutto per chi, come suo nipote Tancredi, sa interpretare lo spirito dei tempi nuovi, quello che, in nome dellItalia unita e risorgimentale, fucila i garibaldini in Aspromonte.

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Altri percorsi di lettura: Pier Aldo Rovatti Noi, barbari contemporanei Alberto Burgio Uno sguardo adulto sul mondo Gabriele Pedull Paura e insurrezione Augusto Illuminati Le virt del tumulto: un seminario Umberto Eco Ricordando Gargonza G.B. Zorzoli La spinta al cambiamento

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Carlo Formenti Ricostruire dal basso Renato Nicolini A Napoli bisognava scassare tutto Giuseppe Montesano Dieci tesi semi-serie sulle elezioni a sorpresa del sindaco di Napoli Salvatore Palidda Laboratorio Genova Torna al men

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Riflessioni sullanomalia italiana
Pier Aldo Rovatti

hi sono i barbari? Si dice, di solito, che arrivino da fuori e non abbiano volto. Si dice, anche, che siano gli altri. Lidentificazione pi diffusa, oggi in Italia, che i barbari siano gli immigrati, e spesso il loro passaggio dalla clandestinit alla legalit non basta a renderli visibili. E se, invece, i barbari fossimo noi? Tempo fa, sul quotidiano la Repubblica, si svolto un dibattito tra Alessandro Baricco e Eugenio Scalfari. Baricco sosteneva che i nuovi barbari sono gli uomini e le donne che attraverso internet hanno imparato a navigare alla superficie delle cose evitando le secche della falsa profondit. Scalfari proponeva maggiore cautela e invitava a riflettere sul nostro

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imbarbarimento. Accolgo in linea di massima questa seconda indicazione e credo che la proiezione contenuta nella prima sia un lusso intellettuale che non ci possiamo permettere. Per me, limbarbarimento corrisponde alla sottocultura ormai diffusa e omologante, promossa con successo dallo stile attuale di governo. Questo consenso sottoculturale, che chiamo anomalia italiana, contiene i tratti della barbarie contemporanea. Tratti che vengono da lontano: li aveva anticipati Pier Paolo Pasolini parlando di mutazione antropologica, e ora sono diventati un fantasma difficile da esorcizzare anche da parte di chi ha conservato qualche riserva di spirito critico. Una nebbia, una gelatina, una colla che sembrano avvolgere tutto, dal discorso pubblico alle forme delle esistenze individuali. Siamo noi, i barbari, perch quasi nessuno sfugge a tale nebbia, anche se alcuni si sforzano di conservare zone di luce. Penso, infatti, che nessuno possa ritenersi immune da un modello di vita caratterizzato dai valori della ricchezza materiale e dal successo personale, e dal godimento (reale o solo desiderato) di questi cosiddetti valori. Ricchezza materiale e godimento connesso, per i quali le regole democratiche sono percepite come un ingombrante ostacolo che

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occorre saper aggirare. Non so se la parola fascismo possa ancora essere usata con profitto, di certo si tratta di una specifica variante di ci che Michel Foucault ha chiamato biopolitica. Ma ora si tratta non di definire, quanto di descrivere con pazienza il fenomeno. Per aggirare lostacolo delle regole e quindi della legalit democratica era appunto necessario smontare la democrazia dicendo che lo si faceva nel nome della democrazia e della libert. Le regole appaiono inceppate dalla loro macchinosit, dunque bisogna snellirle, se si vuole agire, dove agire (nella neolingua oggi diffusa) significa realizzare il modello di vita dominante. Il monito rivolto a tutti, anche a chi sente il peso dellimmiserimento materiale, anche a chi svantaggiato dalla propria condizione di razza o di genere o di et. Tutti avrebbero lopportunit di trasformarsi in furbi imprenditori di se stessi, grazie allintraprendenza individuale e soprattutto grazie alla furbizia, dote antica del carattere italico promossa ora a standard sociale. Limpressionante sequenza di fenomeni di corruzione, per i quali la magistratura diventata un soggetto cos rilevante (e cos ferocemente combattuto) in Italia, stata considerata alla stregua di un incidente di percorso. Naturalmente, nessun cittadino normale pu dichiararsi a favore

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della corruzione, ma oggi il crimine della corruzione viene derubricato nellopinione comune a reato secondario e di scarso interesse. Il modo di pensare complessivo che ne deriva labitudine, laccettazione e talora lelogio delle strategie della furbizia, motivate dallinteresse personale e avallate dalla logica aziendale del modello fungente di governo. Ne consegue uno snaturamento della pratica politica, che viene ogni giorno demotivata nella testa del cittadino come giro vizioso, perdita di tempo, allontanamento dallobiettivo. Cos, la cosiddetta classe politica, che affolla i talk-show televisivi, ridotta a spettacolo per i gonzi, e non un caso che manchi ogni ricambio generazionale. Perch mai un giovane dovrebbe mettersi in politica? L, semmai, scendono in campo i pi ricchi e potenti. Come si vede, non c bisogno di risollevare ogni volta la questione cruciale del conflitto di interessi che accompagna la persona di Silvio Berlusconi fin dalla sua entrata in politica, allinizio degli anni Novanta e che, anzi, ha sollecitato quella stessa discesa, per conficcarsi come un chiodo decisivo nella scena istituzionale italiana, senza che le opposizioni politiche (nei periodi in cui sono state al governo) abbiano saputo, o forse voluto, affrontarlo alla radice. Quanti decreti e leggi cosiddette ad personam (e talora ad

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aziendam) si sono succedute in questi anni? Ancora adesso, in presenza di problemi macroscopici nellambito delloccupazione e con una condizione sociale sofferente, la preoccupazione primaria del premier quella di tutelarsi dalla presunta aggressivit del comparto giudiziario, attraverso scudi istituzionali e con il dichiarato tentativo di addomesticare ex lege lautonomia della giustizia stessa. N c bisogno di ricordare che tale conflitto di interessi riguarda soprattutto la gestione dellinformazione televisiva, principale fonte per costruire il consenso politico e culturale. Anche ridotto in pillole, il vecchio Marx basterebbe per capire come la propriet dei mezzi di produzione si associ da noi in modo perverso con la leadership politica, producendo effetti che qualunque democrazia considererebbe anomali. Il monopolio dei media costruisce una cultura della sudditanza in uno Stato sempre pi assimilabile a unazienda, e trasformato soprattutto in una macchina elettorale o in unininterrotta pratica di acquisizione mediatica del consenso. Da tempo in Italia viviamo in questa situazione anomala di conflitto di interessi, tanto che lanomalia diventata normalit culturale, e sono una minoranza coloro che avvertono la necessit di correggerla. Sempre meno si ha la

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sensazione che si tratti di una pratica perversa come se si fosse digerita, da parte dei pi, lidea che interesse privato e interesse pubblico siano tra loro intrecciati e procedano insieme in modo quasi fisiologico. E che, stando cos le cose, si tratti per ogni cittadino di cavalcare o almeno vivere questo intreccio in maniera da ricavarne il maggior premio individuale possibile.

os, dunque, barbaro, quale il sintomo pi evidente del nostro imbarbarimento? laccettazione di una lingua (di una sottocultura) in cui privato e pubblico si mescolano in una medesima dimensione e si sovrappongono in un unico clich di vita. La proiezione di questo clich nella persona stessa del premier diventato un fenomeno identificatorio generalizzato che oltrepassa la coscienza politica dei singoli. La residua consapevolezza critica si viene cos a trovare in unimpasse:: non pu retrocedere verso modelli oppositivi, che risultano storicamente consumati, e non sembra per ora in grado di fabbricarne dei nuovi. Lunica battaglia possibile resta una lotta a tutto campo contro una barbarie che ha preso dimora nelle anime di ciascuno. Questo atteggiamento di etica minima, che fa appello a una sorta di coraggio della verit,

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dovrebbe essere innanzitutto applicato a noi stessi in forma autocritica, dato che nessuno pu chiamarsi fuori o dichiararsi immune dalla barbarie. Dovremmo, per dir cos, rifare tutti i conti, non dando nulla per scontato. Disarmarci di ogni pretesa di verit presupposta, e armarci di uninabituale pazienza analitica nei confronti della soggettivit che consideriamo ancora nostra. Come esempio, vorrei indicare la cosiddetta questione morale. Moralit pubblica e moralit privata fanno tuttuno? E che peso ha, per noi oggi, la parola stessa moralit? Potremmo rispondere alla prima domanda dicendo che, s, le due morali devono costituire ununit, ma che nei fatti questa unit ha un segno opposto rispetto alla tradizionale idea di bene comune. Alla seconda domanda dovremmo invece rispondere, sempre stando ai fatti, che la parola moralit ha perduto quasi completamente il suo peso. Il senso di responsabilit nelle condotte pubbliche oggetto di molti discorsi che ne lamentano il declino, o lassenza; questi lamenti hanno piuttosto una verve retorica che un impianto pratico, e spesso si sciolgono come un fragile moralismo di cui il giorno seguente non resta traccia. Sono discorsi di facciata, mentre nella sostanza non

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sembrano avere alcuna presa. La scena pubblica sembra, infine, estranea alla morale: scolorita la retorica, quello che effettivamente agisce un cinismo degli interessi di parte, cui viene oggi riconosciuto il carattere del vero valore da praticare. Il cosiddetto bene comune viene degradato a eventuale epifenomeno o a unutilit marginale (nella misura in cui si dimostra ancora capace di attirare consenso). Evasione fiscale, illegalit diffusa, favoritismo, e perfino abuso di potere, sono pratiche gradualmente sdoganate da qualunque interdetto morale. Alcune vengono perfino elogiate dagli stessi governanti come pratiche ragionevoli e dunque consigliabili, e va da s che simili comportamenti, gi diffusi tra gli individui, ricevono una sorta di legittimazione popolare. A conferma di tale cinismo pubblico generalizzato, la recente scandalistica italiana fornisce un ricchissimo materiale. Considerazioni analoghe si possono fare sul valore della dignit personale degli uomini pubblici. Vita dissoluta e scandali sessuali, nonostante il rumore che sollevano e i giochi di ritorsione che innescano attraverso il dossieraggio organizzato, non squalificano luomo politico, il quale reagisce rivendicando per s la vita privata che pi desidera. Neppure la Chiesa, quando si decide ad alzare i toni in

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difesa della morale, viene ascoltata, n daltronde sembra in grado di predicare con credibilit. Osserviamo, per, con attenzione le cose. Il privato gioca una partita doppia e contraddittoria: una volta si reclamano i sacrosanti diritti della privacy (cfr. la controversia sulle intercettazioni telefoniche), unaltra la mescolanza tra privato e pubblico viene assunta come dato storico e incontrovertibile. Qui ben visibile il vero volto della barbarie, poich non si tratta solo di azzeramento dei valori morali, bens di modelli da imitare e in cui identificarsi. La vita dissoluta di chi ricco e politicamente potente diventata oggetto di invidia generale. Chi non desidera case sontuose? Chi non vorrebbe un mix esaltante di prestigio e sesso? O carriere rapidissime con garanzia di protagonismo? Con la sua biografia, il premier ha rincuorato i sudditi: Se hai fortuna, se rischi, se mi imiti, anche tu potrai avere una vita cos. Quanti sono caduti in questa trappola? Quanti lhanno davvero scansata? Si dir che tutto ci il frutto di unabile pubblicit, nel senso commerciale del termine. E si dir anche che si tratta di un mondo falso, falsificato. Certamente, ma occorre riconoscere che oggi il gioco tra vero e falso, in una sottocultura televisiva e in un regime di potere che funziona

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soprattutto attraverso questo medium, si fatto cos complesso da rendere molto ardua loperazione critica che dovrebbe distinguere con nettezza il vero dal falso. Forse, il sintomo pi eloquente della nostra barbarie lestrema difficolt in cui ci troviamo quando dobbiamo tracciare questa linea di confine, ammesso che lo vogliamo fare. Se quella della morale sembra oggi una battaglia persa in partenza, resta solo la possibilit di una linea minima di resistenza e di un livello di sopportazione invalicabile. Non molto di pi che una speranza, nella quale comunque riversiamo tutta la nostra civile indignazione. Una gelatina collosa ci attraversa, per dobbiamo comprendere innanzitutto un punto: noi non siamo i soggetti passivi di un potere gelatinoso, ne siamo piuttosto i complici, quelli che dicono s a questa colla, magari in modo automatico. Da dove cominciare? Non abbiamo ricette politiche, sappiamo solo che la barbarie lavora dentro di noi, spesso con il nostro consenso, e che dunque ne va essenzialmente del nostro stile di vita, cio di qualcosa su cui ancora possiamo agire. Se vogliamo trovare un poco di verit che riesca a orientarci, dovremmo forse cercarla nelle nostre vite, nellinizio di una trasformazione culturale e nel coraggio di questo inizio. Che molto rischioso, ma senza di esso ogni mossa

Noi, barbari contemporanei

sociale e politica potrebbe significare partire con il piede sbagliato. Dallintroduzione al libro di Pier Aldo Rovatti, Noi, i barbari. La sottocultura dominante, Raffaello Cortina editore, Milano, in corso di pubblicazione.

Emilio Isgro, Loggia dello Stivale, 2010. (da La Costituzione Cancellata). Galleria Boxart, Verona

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La fine del progetto europeo

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Franco Berardi Bifo

ualche tempo fa sul New York Times Roger Cohen osserv che quel che fa pi impressione nella situazione europea non tanto il moltiplicarsi dei punti di crisi finanziaria quanto lassenza di una visione strategica. Nei discorsi di Angela Merkel, notava Cohen, troviamo molti riferimenti ai problemi debitori della Grecia o del Portogallo, ma non troviamo una sola parola che ci permetta di capire cosa lUnione europea voglia essere nel futuro. Nel suo Discours la nation europeenne del 1933 Julien Benda osservava che, non avendo unorigine etnica comune n unidentit nazionale omogenea, gli europei si definiscono soltanto in virt di unintenzionalit, di un progetto. Non si pu negare che nella seconda met del ventesimo secolo gli europei abbiano saputo proporsi e realizzare dei progetti.

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La fondazione dellUnione europea, nei decenni del dopoguerra rappresentava un progetto politico e culturale di immensa portata. Si trattava di creare le condizioni per una pace duratura tra le due nazioni la cui rivalit aveva insanguinato la storia dellOttocento e del Novecento, la Francia e la Germania. Ma si trattava al contempo di superare la contrapposizione fra le due culture che animano la modernit del continente: lispirazione illuminista, fondata sul diritto e la ragione e lispirazione romantica, fondata invece sullidentit e la storia. E pi tardi, nei decenni della Guerra fredda, il progetto europeo si incarnato nel superamento della contrapposizione tra blocchi mondiali e nella liberazione dei paesi dellEst dal dominio sovietico. Nel nuovo secolo la classe dirigente europea, dopo i trionfalismi dellallargamento a Est e il lancio della moneta unica non ha saputo proporre nulla se non un inasprimento delle politiche monetariste di cui il Trattato di Maastricht la sanzione. Non credo che si tratti (soltanto) del decadimento intellettuale della classe dirigente europea (certamente Sarkozy non ha la cultura di Mitterrand n Merkel ha la visione di Brandt o di Kohl). Ma qualcosa di pi profondo spiega linadeguatezza della classe dirigente europea: la crescente inefficacia della volont politica di fronte alla complessit della

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societ delle reti. La politica moderna aveva la capacit di governare una porzione rilevante dei flussi comunicativi, se non la sua interezza. Laccelerazione e complessificazione dellinfosfera e dellinfoeconomia rendono oggi impossibile lesercizio della decisione, del controllo, del governo. Al governo si sostituita allora la governance, incorporazione di automatismi decisionali di tipo tecno-linguistico, e tecno-finanziario. Ma lesercizio della governance riduce lintelligenza politica a mera esecuzione di paradigmi oggettivati nel funzionamento automatico delle strutture tecniche, amministrative, finanziarie che hanno preso il posto della strategia, della visione, del progetto. Non c pi invenzione politica, solo applicazione di dogmi trasformati in automatismi.

er questo la politica europea non esce dal ciclo recessivo: il sistema economico si alimenta producendo bolle che spostano risorse verso la classe finanziaria, e quando le bolle esplodono la classe finanziaria impone alla societ di coprire i suoi debiti. Ci provoca naturalmente una riduzione delle risorse produttive e quindi laggravarsi della recessione e dellimpoverimento.

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Gli indicatori economici tradizionali non spiegano pi niente della condizione sociale. Lespressione ripresa (recovery) non indica per nulla un allargamento della ricchezza sociale, ma solo lo spostamento di ricchezza dalla societ verso la rendita finanziaria. Il carattere spiraloide di questa crisi si manifesta poi nella chiusura di attivit produttive, e quindi nei licenziamenti. Quando invece loccupazione recupera qualche punto si parla di ripresa. Ma non si tratta affatto di una ripresa, dal punto di vista del lavoro. Le nuove assunzioni infatti hanno carattere precario, sottopagato, e impongono condizioni di sfruttamento sempre pi gravose. Quella che i giornali finanziari chiamano ripresa in effetti uno spostamento del lavoro verso condizioni di tipo precario o semi-schiavistico. Pu durare indefinitamente un simile processo fondato sullimpoverimento, sul ridimensionamento o la devastazione delle strutture di civilizzazione? Il conflitto per il momento sembra mantenersi ai margini: i movimenti che si sono manifestati tra il 2010 e il 2011 in molte citt europee non riescono a colpire i centri del comando, perch i centri di comando sono completamente deterritorializzati, intangibili, inafferrabili. N daltra parte riescono a darsi una continuit sufficiente per mettere in moto un processo di

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trasformazione solidale della sfera affettiva e della comunicazione quotidiana. La acampada general spagnola di maggio lascia intravvedere la prospettiva di una rivolta generalizzata in forme simili a quelle che abbiamo visto nelle piazze arabe di gennaio e febbraio. Forse soltanto una rivolta prolungata della generazione precaria e cognitiva, capace di congiungersi nelle piazze con la rivolta degli operai industriali colpiti dalla crisi, potr rivitalizzare lUnione europea, che al momento sembra avviarsi verso un declino e forse anche uno sgretolamento da cui possono emergere i peggiori mostri. Manca drammaticamente una visione dEuropa. Il ceto politico europeo le componenti neoliberiste, quelle populiste, e le componenti residuali di una sinistra agonizzante non produrr certamente limmaginazione necessaria per uscire dalla spirale di crisi finanziaria e impoverimento economico. Soltanto dalla riattivazione autonoma della societ una visione pu emergere.

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Emilio Isgr, Il presidente Mao dorme, 1974. Csac, Universit di Parma

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Grecia, la fiera della miseria politica

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Dimitri Deliolanes

l sentimento dominante la disperazione. Pi che la rabbia. Arrabbiati sono in tanti, ma alla fine sono una minoranza. Disperati lo sono tutti. Dal premier Yiorgos Papandreou fino allultimo immigrato afghano, trascinato in condizioni disumane fino a questo estremo lembo di Europa per trovarsi intrappolato e solo, senza possibilit di lavoro e senza una lira in tasca. Gli arrabbiati si sono radunati per lungo tempo a piazza Syntagma, di fronte al Parlamento, la Boul degli Elleni. l la Puerta del Sol, la piazza Tahrir dei greci. Ladri! Ladri!, hanno inveito contro il mondo politico. Tutti gli danno ragione. Mai come in questo momento la classe politica incontra tanto disprezzo da parte dellopinione pubblica. Alcuni deputati, che di sera cercavano di uscire dal portone del Parlamento, sono stati aggrediti dagli assedianti. Altri se

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la sono cavata fuggendo a piedi, con le torce in mano, attraverso il parco adiacente. Prima ancora, alcuni, come lex premier socialista Kostas Simitis (quello che ha truccato i conti per entrare nelleuro) sono stati brutalmente apostrofati per strada. Altri, come il vice presidente del consiglio Theodoros Pangalos, hanno ricevuto non solo insulti ma anche ortaggi. Per non parlare del povero ex ministro dellAgricoltura, Kostis Hatzidakis, ora deputato di centrodestra, che ha subto un tentativo di linciaggio. Eppure, tutti sanno che lunica via duscita dalla gravissima crisi greca passa attraverso la politica. il Parlamento che deve ratificare durgenza quei provvedimenti che bisognava prendere gi un venennio fa e che nessun governo ha avuto il coraggio di fare. Le previsioni della finanziaria per il 2011 gi alla fine del primo trimestre si sono dimostrate irrealizzabili. Dalla lotta allevasione fiscale, il governo sperava di ottenere un aumento delle entrate del 19%. Alla fine laumento c stato, ma solo del 7%. I soliti ignoti al fisco hanno continuato a rimanere ignoti e la sgangherata macchina delle imposte a girare a vuoto, come sempre. Cos, il peso di nuovo caduto sui contribuenti sicuri: lavoratori dipendenti e pensionati.

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Egualmente problematico si dimostrato lambizioso programma di privatizzazioni previsto dalla finanziaria gi a dicembre. Dismettere aziende che danno lavoro a pi della met della forza lavoro dipendente greca non uno scherzo. I primi a essere colpiti sono proprio i 300 deputati, specialmente quelli dei due partiti che si sono alternati al governo negli ultimi 40 anni, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nuova Democrazia. Togliere le aziende pubbliche al controllo dello Stato significa perdere una grossa base elettorale. Ogni governo sistemava l i suoi clientes e loro lo ricompensavano con il loro voto. Per non parlare della dirigenza sindacale della centrale unica Gsee, interamente eletta proprio grazie ai voti dei sindacati di queste aziende. Ora tutto questo deve finire. I partiti, si spera, competeranno sulla base delle loro proposte politiche e i sindacalisti rappresenteranno, se ne sono capaci, i lavoratori del settore privato, per lungo tempo rimasti orfani. una rivoluzione. Che nessun deputato vede di buon occhio. Tutti i grandi scioperi generali dellanno scorso erano segnati dallillusione, alimentata dalle incertezze del governo, che, in fondo, la situazione era s grave ma rimediabile e cera ancora spazio per una trattativa con i commissari della troika (Commissione europea, Bce e Fmi) che a scadenza

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mensile ispezionano accuratamente i conti pubblici greci. Questanno invece iniziato con la grande mobilitazione dei privilegiati: farmacisti che rivendicavano un tasso di guadagno esorbitante, medici ospedalieri che esigevano il diritto alla bustarella, lavoratori dei trasporti urbani che volevano mantenere la pioggia di incentivi, taxisti che pretendevano di poter imbrogliare i turisti, avvocati che non gradivano la concorrenza europea, agricoltori pagati per non coltivare niente. Di fronte alla freddezza dellopinione pubblica, hanno gradualmente abbassato i toni. Ora giunto il momento dei dipendenti delle aziende da dismettere. Qui le cose sono pi serie. Inizialmente il governo aveva assicurato che tutti sarebbero stati riciclati nellamministrazione pubblica. Ma i signori della troika hanno posto il veto: gi ora lamministrazione pubblica greca risulta in esubero di circa 80 mila unit. Dove pensavano di collocare i nuovi arrivati? Cos, a maggio, arrivata la cattiva notizia: nessuna ricollocazione automatica presso gli uffici dellamministrazione, ma un nuovo concorso, appositamente dedicato agli ex delle aziende ex pubbliche. In pratica, molti di loro saranno destinati ad aggiungersi ai 700 mila nuovi disoccupati, il 15% della forza lavoro. E gi qualcuno parla della necessit di riformare la Costituzione

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in modo da permettere il licenziamento dei dipendenti pubblici. Nel frattempo, colmo del paradosso, le assunzioni clientelari continuano. E non basta ancora. Il grosso delle entrate, circa 50 miliardi fino al 2014, deve venire non dalle privatizzazioni ma dalla vendita pura e semplice degli assset dello Stato: spiagge, miniere, terreni, immobili. Non sar la svendita delle isole dellEgeo che auspicava tempo fa la stampa tedesca, ma poco ci manca.

n simile progetto di risanamento delleconomia e di riorganizzazione dello Stato esige due cose: una chiara prospettiva di sviluppo e un amplissimo consenso politico. Papandreou non dispone n delluno n dellaltro. Ed questo che fa disperare i greci. In fondo, parecchio in fondo, tutti sapevano come andavano le cose. Tutti sapevano delle grandi fortune esentasse accumulate di straforo ai danni dello Stato. Tutti aspiravano a piazzare qualche figlio o nipote in qualche impiego pubblico, per sistemarlo per tutta la vita. Ora il modello statalista-clientelare arrivato agli sgoccioli e giustamente lEuropa esige che si volti pagina. Lacrime e sangue, quindi. Ma per quanto? E cosa ci sar dopo?

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in da quando sceso in politica, Papandreou descrive la sua visione di un paese normale, competitivo, rispettoso dellambiente, con uno stato sociale equo. Non demagogia, sono le profonde convizioni dellultimo rampollo della dinastia, cresciuto tra la Svezia e i campus americani in rivolta. Ma i centomila indignados greci che sbraitavano notte e giorno contro tutto e tutti a piazza Syntagma sanno che, se la Grecia paga il conto pi salato, il problema non solo greco. Qual questo mitico paese europeo in cui i giovani trovano lavoro? Dov lo stato sociale equo? Dov lo sviluppo competitivo basato non sulla compressione del costo del lavoro ma sullinnovazione tecnologica? la Germania? La Finlandia? questo il nostro destino? Dovremo trasformarci in paesi satelliti di Berlino (come la Croazia o la Repubblica Ceca) per evitare la monocoltura turistica? Magari cedendo i diritti dellAcropoli alla Disney? Papandreou non ha le idee chiare. Anzi, a maggio, con i conti che crollavano, le raffiche di svalutazioni del rating e i mal di pancia degli europei, sembrato piuttosto impanicato. Eppure, il premier deve convincere non solo i riottosi membri del suo governo e del suo partito, ma anche lopposizione. Glielhanno chiesto esplicitamente sia la

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Commissione europea che parecchi ministri dellEconomia dei paesi creditori: ci vuole consenso prima di mettere di nuovo mano al portafoglio. Liniziativa lha presa il Presidente della Repubblica Karolos Papoulias, un rispettato ex resistente contro i colonnelli. A fine maggio ha convocato i leader di tutti i partiti parlamentari e ha chiesto loro un piano concordato di politica economica. In pratica, di contribuire con le loro proposte allelaborazione del piano di medio termine, da presentare in Parlamento a giugno. stato uno spettacolo penoso, la fiera della miseria politica. Ognuno si presentato con il suo discorsetto pronto, per niente disposto ad ascoltare e a discutere. La responsabilit pi grave caduta sulle spalle del leader di Nuova democrazia, Antonis Samaras. La Costituzione attribuisce al capo del primo partito di opposizone un compito istituzionale, di grande responsabilit nei momenti difficili. Ma Samaras non stato allaltezza. Ha assunto due anni fa la leadership del partito conservatore alla fine di una lunghissima faida con unaltra dinastia politica, quella dei Mitsotakis. Ha dato unimpronta populista e patriottica al partito conservatore. Ora non gli pare vero di vedere i socialisti sprofondare nella crisi e non vuole fare sconti. Al costo di

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proclami irresponsabili e anche un po ridicoli: Se ci fossimo noi, saremmo usciti dalla crisi nello spazio di un anno!. Sullo stesso piano i due partiti della sinistra. La segretaria generale del Partito comunista (Kke) Aleka Papariga ha espresso le sue riserve sulleuro e sullintergazione europea sotto la luce immortale del marxismo-leninismo e internazionalismo proletario. Il giovane e promettente presidente della Sinistra radicale Syriza Alexis Tsipras ha recitato con convinzione la sua parte, di giovane deluso e arrabbiato, alla James Dean, secondo alcuni. Anche la sinistra vede solo i suoi interessi da bottega: incassare una porzione di voti dopo linevitabile crollo elettorale socialista. Paradossalmente, lunico che ha teso la mano al governo stato lex giornalista Yiorgos Karatzaferis, leader della formazione di estrema destra Laos. I suoi elettori si prodigano alla caccia allimmigrato attorno al centralissima piazza Omonia, ma lui ha capito che questa unoccasione irripetibile per legittimarsi. Karatzaferis, da buon cronista, aveva gi in testa i risultati di un sondaggio pubblicato due giorni dopo sullautorevole To Vima. Risultati sorprendenti: l82% dei greci si dichiarato in favore delle privatizzazioni; il 44,4% vuole un

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governo di unit nazionale e il 52,7% considera positivo il controllo da parte della troika sulle finanze dello Sato. Risultati che hanno smentito perfino la Cia, la quale, a marzo, abbagliata forse dal rituale delle molotov incendiate da qualche migliaio di anarco-insurrezionalisti, ha redatto un rapporto allarmista, secondo cui la Grecia era alla vigilia di una violenta esplosione sociale. Finora, tutti i segnali indicano che la societ greca difficilmente si far trascinare sulla strada senza ritorno della violenza. I traumi della guerra civile e della selvaggia repressione dei colonnelli sanguinano ancora. Quello che i greci esigono, e con pieno diritto, una nuova classe politica, in grado di portare il paese al XXI secolo. Seppure con un decennio di ritardo.

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Emilio Isgr, Seme darancia, 1998. Piazza della Vecchia Stazione. Barcellona di Sicilia (Messina)

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La svendita

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Vassilis Vassilikos

n mezzo alla fiumana indignata a piazza Syntagma, di fronte al Parlamento, una dolcissima signora di mezza et portava una maglietta con questa scritta: Non mi sono indignata per la truffa siete sempre stati bugiardi Non mi sono indignata per il furto siete sempre stati ladri Non mi sono indignata perch vi siete arricchiti alle mie spalle siete sempre stati corrotti Ma ora svendete il mio paese questo che mi fa indignare. Ma come si fa a svendere un paese? That is the question. La risposta : ci sono tanti modi. Se si trovano ricchi giacimenti di petrolio, allora non si svende. Prima si bombarda e poi si occupa. Se ci sono ricchi giacimenti di oro o di altri

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metalli preziosi, allora la maniera pi efficace una dittatura. Se ci sono materie prime preziose per lOccidente, da preferire un conflitto intestino, una guerra fra trib rivali o altre soluzioni del genere. Ma se un paese dispone solo di un passato, con Partenoni, Delfi, Verghne e Olimpie, allora c un problema. Questo passato ha fatto in tempo a diventare patrimonio dellumanit e quindi, di regola, bisognerebbe chiedere il permesso allUnesco. Ma forse i talebani hanno chiesto il permesso prima di distruggere i monumentali Buddha in Afghanistan? Oppure gli americani prima di saccheggiare il museo di Baghdad? E perch mai dovrebbero chiedere ora il permesso alla United Nations Educational, Cultural, Scientific Organisation se hanno invaso lIraq fregandosene perfino dellOnu? stato pi prudente Obama in Libia. Innanzitutto ha incassato la luce verde dellabulico Onu per un intervento umanitario e poi ha distribuito le carte dentro la Nato. Ma non sono forse Usa e Nato lo stesso sindacato? Il piano inciampato sul fatto che Gheddafi non Saddam. Gheddafi ha investito una parte dei proventi del petrolio nel paese, ha cercato di creare un rudimentale Stato sociale, si guadagnato un certo sostegno popolare. Cos la luce verde stata prolungata e interpretata come un permesso da usare a

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piacimento, prima ancora di arrivare alle operazioni di terra ma si arriver, statene certi, solo che non saranno chiamate di terra. Saranno anfibie. Come se non bastassero le nostre disgrazie, abbiamo anche il Fondo monetario internazionale che per la prima volta sbarcato alleurozona, grazie alla tedesca orientale signora Merkel, mai molestata dalla Stasi. Ma in questo caso c stato un imprevisto. La tenaglia si rotta, perch la sua molla socialista si improvvisamente sganciata ed stata subito mandata al fresco in riparazione. Sono rimasti per ora solo gli europei a controllare con diligenza quotidiana la stretta osservanza dei Memorandum 1 e 2. Il rischio che i sudditi della sottosviluppata Grecia non rispettino i patti. Ecco cosa intendeva la signora di mezza et con la maglietta durante la manifestazione a Syntagma sotto lo striscione Geoffrey go home e accanto al cartello La piazza gravida, mistero cosa partorir. Un maschietto? Una femminuccia? Un mostriciattolo? O un angelo sterminatore?

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Spagna: linvenzione della piazza

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Appunti su acampadasol
Amador Fernndez-Savater 20 maggio 2011[1] Un amico mi spiega che lo storico greco Erodoto era solito riassumere il suo metodo cos: Appunto tutto quello che non capisco. Erodoto appuntava tutte le sue riflessioni, segnava tutto perch nulla andasse perso. In questi appunti di acampadasol anche io mi propongo di prendere appunti su tutto quello che non capisco: i dettagli, le scene e le situazioni della acampadasol che mi suscitano interrogativi. Ma anche tutto quello che mi meraviglia, e quei fatti che sembrano evocare un nuovo pensiero e una nuova sensibilit del Politico che, a partire dall11 marzo del 2004, alcuni di noi si sono proposti di indagare[2]. Riesco a rapportarmi a tutto quello che sta succedendo solo attraverso questa scrittura

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frammentaria, la scrittura di un quaderno di appunti che porto sempre con me. Puerta del Sol la soluzione Unamica mi dice: Non si tratta pi di occupare le strade, quanto piuttosto di creare la Piazza. Me lo dice come a volermi segnalare una differenza decisiva. Bisogna capire questa cosa. Unaltra amica: Sembrano tutti innamorati, guarda che sorrisi. Dal primo giorno ci che mi colpisce moltissimo la seriet della acampada, laltissimo grado di maturit e di organizzazione. Ci sono caff e cibo in abbondanza (molte provviste le portano gli abitanti di Madrid). Si sta attenti a che tutto sia pulito e si ricorda in continuazione che questo non un botelln[3]. Gioved erano stati adibiti un paio di spazi ad asili e cerano molti bambini che giocavano e dipingevano. Nei gruppi e nelle commissioni che si riuniscono in ogni angolo della piazza ci sono livelli di attenzione eccezionali, come se fosse chiaro per tutti che a essere importante non tanto ci che ognuno di noi porta da casa, dalle proprie esperienze, quanto quello che riusciamo a creare

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insieme. Qui s che si pu vivere, dice qualcuno al mio fianco. Lo sforzo collettivo per prendersi cura di questo spazio costruisce per alcuni giorni un piccolo mondo abitabile dove tutti sono ammessi. la stessa cosa che leggevamo mesi fa a proposito della piazza Tahrir al Cairo. Non votare, twitta La democrazia che vogliamo ormai lorganizzazione stessa della piazza. Siano benedetti quelli che hanno deciso di stabilirsi in Puerta del Sol dopo la manifestazione. Pensavo che fosse stato deciso dagli organizzatori della manifestazione, ma sono venuto a sapere che non cos. uno di quei fatti eccezionali che fanno s che accadano cose contro ogni capacit di previsione. A me era arrivato un sms con la notizia alluna del mattino e non gli avevo dato importanza: Non funzioner, pensai. Devo lasciar perdere questo cinismo, lingenuit a cambiare le cose. Mi piace quando voti, perch sei come assente

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Gli stereotipi sono una strategia di governo. Si mette unetichetta a quelli che protestano (antisistema, per esempio), e cos li si separa da tutti gli altri, come se non avessero nulla in comune. Il movimento su questo esprime grande intelligenza: Noi non siamo antisistema, il sistema a essere contro di noi. Ottimo. Tutto quello che divide rimane fuori dalla Piazza: comprese le sigle e la violenza. Una discussione sulla chat di facebook: Io penso ancora che, forse unidea un po vecchia, twitter non quello che succede, ma un modo per raccontare quello che succede. E non anche di organizzarlo? O, per dirla in un altro modo, twitter interessante solo in combinazione con qualcosaltro S, sono daccordo Per Puerta del Sol + twitter interessante Quel pi di potenza dei corpi e di una situazione del tutto aperta.

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21 maggio 2011 00.00[4] Puerta del Sol stracolma di gente quasi fino a scoppiare lancia la sua sfida: Adesso siamo tutti illegali. Quand che tanta gente tutta insieme si era ribellata contro la legalit con tanta allegria e tanta ragione? stato un momento incredibile, per la storia di tutti e di ognuno di noi. Riflettendo, stiamo riflettendo (13 marzo)[5] Un dibattito ricorrente: Qualcuno sa a cosa servono le assemblee? Non sembrano in grado di prendere delle decisioni, e men che meno di metterle in pratica. Eppure sono molto affollate e animate, in generale c un livello alto di attenzione. Non funzionano come spazi di decisione, ma come luoghi dove circola la parola. Qualcuno mi dice: Le assemblee sono inutili, ma molto belle. Belle proprio perch inutili? Mi piace andare da solo a Puerta del Sol. Perdermi, mescolarmi, curiosare, parlare con gli sconosciuti. Nel gruppo degli amici o con i compagni del collettivo uno si blinda di pi. Esporsi allanonimato.

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I giovani che si muovono in Piazza sono incredibili. Dove sono i decerebrati, i consumatori egoisti e alienati educati con la paura e il castigo? Chi bisogna ringraziare per leducazione di questi ragazzi? Unamica dice: Tutto quello che sta succedendo dimostra che siamo degli ottimi cittadini ma con dei pessimi governanti. Un twitt: XonwaXefar Xonwa Xefar So da fonte certa che in #acampadasol c gente che guarda serie piratate sui telefonini. Vogliamo questo futuro? Noallaviolenza! Lorganizzazione di Puerta del Sol un mistero. Non credo che qualcuno abbia una mappa neanche approssimativa di come funziona la Piazza. chiarissimo quale sia lutilit delle commissioni nellorganizzare un logistico assolutamente impeccabile. Ma al di l di questo? Molto stato scritto sulla logica dello sciame che organizza alcuni comportamenti collettivi: assenza di un controllo centralizzato imposto; natura autonoma dei nodi e delle sottounit; alta connettivit tra di loro; causalit in rete non lineare di uguali che

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operano su uguali (come unorchestra con molti centri). In ogni caso Puerta del Sol non sarebbe uno sciame, quanto piuttosto uno sciame di sciami. Da dove vengono le capacit di autorganizzazione che si stanno dispiegando in Piazza con tutta la loro potenza? Questi saperi hanno a che fare con lattivit lavorativa o con la vita quotidiana? A muoversi sempre una minoranza. Ci che conta la relazione che si stabilisce con quelle che un amico, di cui sento molto la mancanza in Piazza, chiama la parte immobile del movimento: il resto della popolazione. In questo caso la cresta dellonda in sintonia assoluta con la base dellonda. Basta stare a sentire i racconti di chi dorme in Piazza a proposito del sostegno che ogni giorno ricevono dagli abitanti di Madrid. Quali comportamenti e quali attitudini ciascuno di noi deve lasciare fuori dalla Piazza per riuscire a entrarci? Per costruire tutti insieme in Piazza un mondo comune? Quelli di noi che portano la maschera di V di Vendetta si salutano con fare complice: Vinceremo. Fuori tutti anarchismo. gli ismi: comunismo, capitalismo e

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Con il passare dei giorni la composizione della Piazza diventata intergenerazionale, ma non interrazziale. Un amico consola una donna che piange sotto il tendone comunicazione. Intorno c tanta gente, anche alcune telecamere della televisione. Pi tardi gli chiedo spiegazioni e mi dice che si trattava di una militante del Partido Popular che era venuta a vedere con i suoi occhi se qua in Piazza cera solo qualche poveraccio. Queste rotture emotive sono la prova migliore di quanto possa essere toccante tutto quello che sta succedendo. non lunico episodio di cui sono venuto a conoscenza. Incontro molti amici militanti, persone esperte e con una storia alle spalle, che hanno conosciuto da vicino tutti i movimenti pi interessanti degli ultimi 20 anni: disobbedienti, movimenti di okkupazione, antiglobalizzazione ecc. Sono felici, come tutti. La maggior parte di loro rimane ai bordi della Piazza e questo mi sembra un dettaglio significativo. Lo interpreto positivamente come un segno di rispetto per lautonomia di ci che sta nascendo. Gli amici argentini ci prendono in giro per la pochezza dei nostri canti: Sono tutti ta-ta-ta, vi manca la cultura da stadio!.

Spagna: linvenzione della piazza

Dietro un politico corrotto ci sono sei opinionistipersuasori Catturano molto di pi gli slogan che gridano: Polizia, unisciti a noi, di quelli che scandiscono: A, anti, anticapitalisti. Un amico mi dice che la Piazza non si pu pensare nei termini della contrapposizione tra semplici curiosi vs impegnati. Perch la Piazza la costruiamo tutti insieme, quelli impegnati in una commissione e quelli che vengono a farsi un giro. Tutto serve. Non mettersi a discutere circa il senso di quello che sta succedendo, tanto meno per chiarirne e determinarne il senso. Non ho bisogno di sigle per lottare Chiedo a una ragazza sotto i 20 anni per quale motivo in Piazza. fulminante: Per fare la storia. Un sms ricevuto alle 4.00 del mattino: Siamo venuti al mondo per fare questo.

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[1] Gli appunti di acampadasol si possono leggere in versione completa sul blog di Amador Fernndez-Savater [2] Si veda su Acuarela Libros. [3] Un botelln lusanza diffusa tra i giovani spagnoli di ritrovarsi nelle piazze e nelle strade per bere, fumare, chiacchiere in compagnia, evitando di buttare via i soldi nei pub e nelle discoteche. [4] Alla mezzanotte del 22 maggio 2011 la giunta elettorale dichiarava illegali gli assembramenti, quel giorno ci sarebbero state le elezioni regionali. [5] Il 13 marzo del 2004, dopo lattentato dell11 marzo e le manipolazioni del Partito Popular, le persone si riversarono in piazza nel giorno dedicato alla pausa di riflessione pre-elettorale durante la quale sono proibite le manifestazioni politiche. Traduzione dallo spagnolo di Nicolas Martino

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Emilio Isgr, Sbarco a Marsala, 2010. Installazione. Pinacoteca civica, Marsala

Altri percorsi di lettura: Paolo Bertetto Barcellona 1936

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Barcellona 1936

Barcellona 1936
Anarcosindacalismo e autogestione
Paolo Bertetto

sattamente tre quarti di secolo fa, il 19 luglio 1936 il colpo di Stato fascista dei generali Sanjurjo, Mola e Franco sconfitto a Barcellona in un solo giorno. Alla sera le milizie antifasciste formate soprattutto da proletari anarco-sindacalisti hanno il controllo della citt. La vittoria dellinsurrezione stata ancora pi facile e pi clamorosa di quello che i dirigenti anarchici, come Buenaventura Durruti, Federica Montseny, Garcia Oliver e Abad de Santillan potessero immaginare. Ma ora cosa devono fare? Quali strutture di gestione, quali organismi devono essere costituiti per organizzare la vita e il potere allinterno della citt rivoluzionaria? E in che modo la gestione della citt deve interagire con la guerra antifascista che si sta

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sviluppando in tutta la Spagna e in particolare sul fronte dellAragona? Lesperienza di contropotere proletario organizzato a Barcellona dallanarco-sindacalismo resta forse ancora oggi come lultima rivoluzione europea capace di inventare forme avanzate di potere popolare diffuso, riprendendo in fondo la grande esperienza della Comune di Parigi. E la sua versione tedesca delle esperienze rivoluzionarie dei socialisti di sinistra e degli spartakisti, ispirati dalle teorie di Rosa Luxemburg, era stata schiacciata dai militari prussiani. A Barcellona lorganizzazione capillare della Cnt (Confederacion Nacional del Trabajo) legata alla Fai (Federacion Anarquista Iberica) costruisce dalla base, per iniziativa dei lavoratori e dei comitati di quartiere, una rete sistematica di consigli che crea nel vivo del tessuto sociale un insieme di micropoteri autonomi e coordinati. La trasformazione del potere centrale in un insieme di micropoteri sul territorio la prima grande innovazione della rivoluzione catalana. I micropoteri hanno una duplice articolazione orizzontale e sono correlati in strutture di coordinamento. Riflettono dunque innanzitutto una logica di moltiplicazione dei centri di gestione nello spazio metropolitano. Alla macropolitica del potere statale si contrappone una micropolitica

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dellautogestione sociale delle esigenze popolari legate al lavoro e alla modificazione dei rapporti interpersonali. Al dirigismo delle autorit statali e regionali si oppone unorganizzazione del lavoro e della vita dal basso, a diretto contatto con i problemi e i bisogni della gente. un modello deliberato e forte di atomizzazione del potere che diventa trasformazione radicale della stessa idea di potere e subordinazione del potere centrale alla microgestionalist diffusa. Il soggetto rivoluzionario collettivo non annulla le determinazioni individuali, ma punta a riassorbirle in un programma comunitario che riconosce la libert del singolo. Lindividuo non negato come soggetto desiderante capace di affermare la propria libert, ma viene incanalato in una prassi che trova nel desiderio dellaltro non un ostacolo ma una possibile convergenza. Le regole della vita sociale e lesigenza della disciplina, per esempio, sono affrontate e risolte dentro il vivo della lotta, e non sono subordinate a una legge, a un partito, a un dover essere. Lemancipazione sociale delle masse subalterne considerata come laffermazione della libertad integral, che non pu essere cancellata in nome di una normativa universale. La combinazione di programma di socializzazione e affermazione della libert integrale costituisce la scommessa difficile dellanarchismo spagnolo,

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che un grande movimento di massa, radicato nel sindacalismo pi coraggioso, e non un insieme di gruppuscoli che praticano una controproducente violenza davanguardia. La rete dei microcentri di autogestione costituita da due livelli di base. I consigli di quartiere e i comitati di autogestione. Questi organismi determinano dal basso la collettivizzazione non solo dei mezzi di produzione, e quindi delle industrie grandi e piccole, nonch delle grandi propriet terriere nella campagna catalana ( e nella parte dellAragona liberata). La collettivizzazione realizzata non una statalizzazione dellindustria, ma un processo di gestione diretta delle attivit economiche da parte dei lavoratori. La sostituzione dello stato e dei burocrati di partito agli industriali che si era realizzata in Unione Sovietica, non si ripete a Barcellona, dove la forza del movimento dal basso e linsofferenza verso il dirigismo burocratico prevalgono (almeno nei primi mesi). Collettivizzazione autogestione operaia effettiva. E quello che significativo che leconomia catalana, sottoposta alle enormi esigenze imposte dalla guerra, trova nella collettivizzazione non un elemento di freno o di confusione, ma di rilancio e di redistribuzione significativa dei beni, prodotti sia in funzione delle esigenze belliche sia in relazione alle esigenze dei cittadini.

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Inutile aggiungere che accanto alla collettivizzazione delle industrie si effettua un processo di socializzazione dei servizi sociali, della medicina, delleducazione popolare, strappate al domino della chiesa cattolica. Insieme cominciano a costituirsi i primi embrioni di organizzazione delle donne, che conducono una battaglia di emancipazione del mondo femminile allinterno del processo di trasformazione sociale. La rete di Mujeres libres si diffonde in tutta la Spagna e punta a limitare e in prospettiva a rovesciare il permanente machismo della societ iberica. C lidea di realizzare una micropolitica dellemancipazione che investe tutti i gangli della vita sociale e la rete dei rapporti interpersonali. E i soggetti socialmente deboli, come le donne e i bambini, sono i primi a essere sostenuti da questo vento di liberazione e di trasformazione. Tuttavia, al di l della costruzione delle microforme di gestione popolare diretta, i dirigenti della Cnt-Fai si trovano fin dalla notte tra il 19 e il 20 luglio ad affrontare un problema fondamentale. Le milizie dellanarco-sindacalismo hanno il controllo della citt. Cosa devono fare? E in primo luogo: cosa devono fare del governo catalano, retto da una coalizione di centro-sinistra guidata dal catalanista Companys? E come possono coordinare guerra al fascismo e

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rivoluzione sociale? Le posizioni che emergono nel movimento sono diverse e si possono cos concretizzare: Durruti, Abad de Santillan e Federica Montseny ritengono irrealizzabile il comunismo libertario, nel contesto nazionale della lotta al fascismo e in quello internazionale della pressione degli Stati capitalistici. Insieme linstaurazione di un comunismo libertario avrebbe implicato lesercizio di una dittatura da parte degli anarchici, che erano per principio contrari al dirigismo e allautoritarismo. La guerra al fascismo viene quindi considerata lobiettivo prioritario, cui vengono subordinate le altre finalit; allopposto si schiera Garcia Oliver, che invece vorrebbe che la Cnt-Fai prendesse il potere, smantellando le strutture tradizionali di governo (e innanzitutto la Generalitat catalana) e realizzando subito il comunismo libertario. La sua posizione viene definita anarco-bolscevismo e implica la costituzione di un organismo rivoluzionario che assuma la funzione di dirigere il processo rivoluzionario. Secondo Garcia Oliver il Comitato centrale delle milizie antifasciste sarebbe dovuto diventare il nucleo di direzione rivoluzionaria; in una posizione intermedia si collocano altri dirigenti, per esempio Escorza, che sostengono il programma di

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realizzare il processo rivoluzionario assumendo il controllo degli organismi esistenti e innanzitutto della Generalitat, che avrebbe dovuto favorire le misure di collettivizzazione e la realizzazione progressiva del comunismo libertario. La vittoria della prima posizione porta la Cnt a collaborare con il governo regionale di Companys e poi con il governo nazionale di Largo Caballero. In ogni modo il programma della Cnt dellestate 1936 punta a sviluppare la forza delle masse subalterne per concretare il processo rivoluzionario e si articola su pi livelli di intervento. Da un lato la rete dei consigli di base che si costituita nei quartieri e nei luoghi di lavoro non solo rafforzata e coordinata, costituendo il vettore trainante del progetto anarco-sindacalista, ma viene organizzata e sancita da una serie di interventi legislativi ad hoc. Dallaltro la necessit di legare la guerra al fascismo con la rivoluzione sociale, richiede la costituzione di organismi funzionali al programma, che sono: innanzitutto il Comitato delle milizie antifasciste, formato da rappresentanti dei partiti e dei sindacati, che di fatto un organismo rivoluzionario presentato come un organismo antifascista e il Consiglio generale delleconomia, che si assume lincarico di regolarizzare lautogestione operaia gi in atto.

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Entrambi i comitati sono costituiti da vari membri in rappresentanza di posizioni politiche e sindacali diverse (dalla Fai ai comunisti prosovietici del Psuc, dai socialisti ai catalanisti sino ai sindacati, lUgt social-comunista e la Cnt), anche se il peso degli anarco-sindacalisti preponderante.

l dualismo di poteri garantisce anche la spinta socio-politica delle masse. Lautogestione, gli organismi guidati dagli anarchici si danno in ogni modo come laltro sociale, come il contropotere realizzato contro la Generalitat e lo stato. La duplicit di poteri garantisce la permanenza dello sforzo rivoluzionario e impedisce lappiattimento delloperare delle masse proletarie pi radicali sullo stato di tipo nuovo. un passaggio importante che rafforza lidentit processuale e la forza delle classi subalterne. Questa permanenza di una duplicit di poteri non affossa la spinta rivoluzionaria, ma crea problemi non indifferenti. Da un lato accanto alla polizia alla Guardia civil, e agli altri organi del potere, si costituiscono milizie legate a sindacati e partiti, che in parallelo si prendono carico di cogestire lordine pubblico. Con risultati non sempre felici (nellestate alta la media degli omicidi, politici e non). Dallaltro si cominciano a costituire prigioni popolari, che diventeranno

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la base della crescente repressione operata dagli stalinisti e dalla Guardia civil. Nel maggio 1937 i comunisti, i catalanisti e i socialisti di destra (non Largo Caballero che rifiuta ed costretto alle dimissioni da primo ministro dagli inviati dellInternazionale comunista, Togliatti e Codevila) la Guardia civil e la polizia con il supporto degli agenti sovietici attaccano il contropotere anarchico nella citt e impongono lordine uccidendo 500 anarchici e rivoluzionari, e dando il via alla distruzione dei neoleninisti del Poum (accusati di essere trotzkisti) e agli omicidi mirati, da Andreu Nin, capo del Poum, torturato e ucciso su ordine diretto di Stalin, ai dirigenti anarchici italiani Berneri e Barbieri. Con la conseguente distruzione del programma anarchico rivoluzionario. Che cosa rimasto dunque di quella esperienza? Poco sembrerebbe. Ma invero le forme di organizzazione che le recenti iniziative di lotta hanno presentato, come daltra parte molte strutture di gestione dellinsubordinazione politica emerse nellOccidente a partire dagli anni Sessanta e Settanta, hanno riflettuto una dinamica sociale e organizzativa, caratterizzata dal superamento del partito egemone, e della delega politica, dalliniziativa dal basso, dalla

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creazione di micropoteri alternativi, dalla diffusione sul territorio di esperienze autonome rispetto ai centri di gestione del potere. Forme di aggregazione e di lotta che hanno tentato di incanalare le dinamiche dei bisogni e dei desideri lungo prospettive nuove, inventando le iniziative di contrapposizione alle strutture istituzionali in maniera creativa, capace di cogliere e di interpretare le esigenze dei gruppi sociali come una finalit in s. Modi di aggregazione della pluralit dei bisogni e dei desideri che non si riconoscono in unastratta dialettica storica, ma producono dal basso la rottura sociale in nome di un nuovo materialismo, libertario e autonomo. Esperienze di autogestione delliniziativa sociale. Certo pi vicine a Barcellona 36 che alla tradizione bolscevica.

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Emilio Isgr, Volkswagen, 1964 Csac, Universit di Parma

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Lattore collettivo

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Microscopia di Barack Obama su Osama bin Laden
Maria Pia Pozzato

ella notte fra il primo e il 2 maggio, Barack Obama d lannuncio alla nazione e al mondo che Osama bin Laden stato finalmente localizzato e ucciso in uno scontro a fuoco. Il Presidente americano tiene un discorso che dura poco meno di dieci minuti e di cui ancora visibile il video sul sito della Casa Bianca oltre che su YouTube. Far unanalisi abbastanza dettagliata di questo discorso considerandolo anche in quanto discorso orale poich stato scritto per essere detto e messo in onda, anche se evidente il suo carattere tuttaltro che improvvisato. Alla fine dellanalisi dir anche perch, secondo me, vale la

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pena di guardare con attenzione dentro prodotti di comunicazione cos sofisticati. Poche parole sul video. Il Presidente Obama fa la sua entrata in scena da una porta laterale in fondo a un corridoio della Casa Bianca. Sbuca da solo e con passo sicuro ma anche rilassato percorre il corridoio fino al podio da cui terr il discorso, podio collocato in una posizione-confine assai indicativa, esattamente nel vano di una porta aperta incaricata di mediare simbolicamente fra lo spazio inaccessibile dellistituzione e lo spazio aperto al pubblico. In tutto il filmato non saranno visibili figure umane di mediazione: nessun giornalista, nessun politico o addetto di vario tipo. Linquadratura fissa sul Presidente che indossa una cravatta esattamente del colore della moquette del corridoio, a ulteriore testimonianza del fatto che lannuncio stato studiato nei minimi particolari anche per essere un buon prodotto visivo. Questo annuncio alla nazione per forza di cose un discorso di glorificazione. Nella narratologia classica la glorificazione quel segmento di sanzione finale in cui viene riconosciuto ladempimento di un compito arduo e il ristabilirsi di un ordine che era stato spezzato. Tuttavia Obama parla con la sua nota voce baritonale senza mai alzarne il tono,

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senza imprimere particolari sottolineature, scandendo i vari passaggi solo con leggeri movimenti verticali della testa e facendo spuntare di tanto in tanto le mani oltre il bordo del podio. Non sorride mai, non cambia mai espressione del volto, guarda costantemente in macchina e la sua uscita di scena identica allentrata: saluta, volge le spalle alla telecamera e ripercorre allindietro il corridoio da cui era arrivato. Si pu parlare quindi di una sostanziale pacatezza e contenutezza sia nel tono che nei gesti. Eppure si tratta di una notizia che scatener di l a poco festeggiamenti di massa. Non solo, ma dopo anni di sforzi per ottenere questo risultato, Obama avrebbe tutte le ragioni per essere euforico o quanto meno allegro. Eppure niente di tutto ci traspare dal modo in cui questo discorso viene pronunciato, cio da quello che i retori latini chiamavano lactio di un prova oratoria. Andiamo allora a vedere il discorso stesso, indipendentemente da come stato pronunciato (per dare scorrevolezza alla lettura, quando citer alcuni passaggi lo far in una traduzione italiana che ho attentamente controllato). La sua primissima parte, o esordio, di pura notifica dellaccaduto: Buonasera. Questa sera posso riferire al popolo americano e al mondo che gli Stati Uniti hanno portato a termine unoperazione []. Il Presidente usa spesso

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lespressione American people che in italiano, a seconda dei passaggi, pu essere resa sia con americani che con popolo americano, come mi sembra pi opportuno qui. La questione non di poco conto, poich nel discorso di Obama la costruzione dellattore collettivo molto importante, come vedremo.

opo lincipit informativo, quasi da agenzia, comincia una rimemorazione dellattentato dell11 settembre 2001. Il Presidente avrebbe potuto accennare in modo schematico a un avvenimento cos noto, invece la scelta di ripresentificare quegli eventi drammatici con un racconto denso di particolari visivi: Una luminosa giornata di settembre fu oscurata [] gli aerei dirottati che fendono il cielo terso di settembre; le torri gemelle che crollano al suolo; volute di fumo nero che si levano dal Pentagono ecc.. chiaro fin dallinizio quindi che se il discorso di Obama detto in modo spassionalizzato, esso tuttavia altamente passionalizzante, cio costruito per colpire emotivamente linterlocutore. Parte delleffetto patemico deriva dalla natura figurativa, concreta del racconto, come si detto; ma parte anche dalla struttura a chiasmo che tipica del discorso letterario e poetico: in questo passaggio,

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infatti, si confronta la visibilit mediatica dellattentato (Le immagini dell11 settembre sono scolpite nella nostra memoria nazionale) con linvisibilit delle sue conseguenze (le immagini peggiori sono quelle che il mondo non ha visto. Il posto vuoto a tavola allora di cena. I bambini che sono stati costretti a crescere senza la madre o il padre []). Una ripresentificazione cos attenta e partecipata dell11 settembre finalizzata a collocare nella giusta prospettiva, narrativa ed emotiva, levento del giorno, cio luccisione di bin Laden, che appare cos lultimo atto, oltre modo auspicabile, di una concatenazione di fatti.

ei giorni dellattentato, dice Obama, non importa da dove venissimo n quale Dio pregassimo o di quale razza o etnia fossimo, noi eravamo uniti in ununica famiglia, la famiglia americana. Qui viene introdotto un tema che sar anchesso molto importante nelleconomia generale del discorso, e cio quello della coesione della nazione. Cruciale a questo proposito appare la strategia pronominale e di costruzione dei vari attori in gioco: i protagonisti dei giorni del dolore e dei dieci anni di sforzo per combattere il terrorismo sono tutti collettivi (gli

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americani, i bambini e i genitori delle vittime, abbiamo riaffermato i vincoli che ci legano, eravamo uniti, opera instancabile delle forze armate, abbiamo agito assieme ai nostri amici e alleati); viceversa, lazione che ha portato alluccisione di bin Laden raccontata in prima persona e solo Obama sembra esserne il vero protagonista: sono stato informato, ho stabilito, ho dato ordine a Leon Paletta ecc. Gli attori torneranno a essere collettivi nellultima parte del discorso, in cui Obama parla del proseguimento della lotta contro il terrorismo (Noi dobbiamo rimanere vigili in patria e fuori, Saremo fedeli ai valori che hanno fatto di noi ci che siamo ecc.). La costruzione di attori collettivi funzionale a rinforzare il valore della coesione che Obama stesso riconosce essere venuto meno (E stasera, ripensiamo a quel senso di unit che prevalse l11 settembre. So che talvolta si sfaldato). Al tempo stesso, e per la stessa ragione, si opta a un certo punto per una costruzione di Obama come attore singolare. La costruzione narrativa delleroe-Obama del tutto in sinergia con i toni della sua oratoria: se la strategia pronominale non lascia dubbi sul fatto che il Presidente sia un Soggetto sovrano (sono stato informato, ho stabilito, ho dato ordine a Leon Paletta), tuttavia leroismo di questo Soggetto viene

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posto sotto unangolatura pi fragile e umana. Obama dice per esempio che le informazioni non erano affatto certe: E alla fine, la scorsa settimana, ho deciso che avevamo sufficienti informazioni per entrare in azione, e ho autorizzato loperazione []. Il Presidente insomma eroico non perch forte ma perch capace di assumersi i rischi di una competenza imperfetta. Cos, in un passaggio successivo, Obama accenna alla sua sofferenza umana nel prendere decisioni: Questo sforzo grava su di me tutte le volte in cui io, in quanto Comandante in Capo, devo firmare una lettera indirizzata a una famiglia che ha perso un proprio caro, o guardare negli occhi un militare che stato ferito gravemente. Per quanto riguarda i crononimi, il discorso di Obama presenta una strutturazione fortemente cronologica (stasera, dieci anni fa, negli ultimi dieci anni, nellagosto scorso, per pi di due decenni, nel corso degli anni): Ora, un discorso che segue una cronologia e ne d conto, crea un effetto di aderenza al reale, allo svolgimento dei fatti nella loro corretta successione, senza interpolazioni. Dal punto di vista della macro strutturazione degli argomenti, il discorso di Obama consta di quattro sequenze pi lunghe racchiuse fra un incipit e un finale pi brevi.

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Nellordine: lannuncio delluccisione, lantefatto dell11 settembre, i dieci anni di lotta al terrorismo, le vicende degli ultimi mesi che hanno portato alleliminazione di bin Laden, la necessit di proseguire la lotta al terrorismo nonostante i costi della guerra, il futuro luminoso di una nazione unita e determinata. Questi sei spazi testuali appaiono simmetrici (a-b, a-b, a-b) nel loro alternare realizzazioni vittoriose e momenti cupi. Nonostante questa struttura regolare, di nuovo tipica dei testi estetici, che crea e conferma le attese dellascoltatore, nel finale si ha un parziale effettosorpresa poich, a dispetto dellunderstatement generale, il discorso termina con un colpo di grancassa: Ma stasera abbiamo avuto modo di ricordare ancora una volta che lAmerica in grado di fare tutto ci che si prefigge di fare. [] Ricordiamoci che siamo in grado di fare tutto questo [] in virt di ci che siamo: ununica nazione, sotto Dio, indivisibile, con libert e giustizia per tutti. Notiamo ancora una volta laccuratezza della costruzione attoriale: a essere onnipotenti non sono gli americani ma lAmerica, totalit integrale, indivisibile, sotto la protezione del Comandante in Capo supremo. In conclusione, il discorso di Obama termina con un crescendo patemico e

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con unautoesaltazione glorificante solo in parte attenuata retoricamente dal carattere monocorde della prosodia. Non difficile individuare gli ambiziosi obiettivi persuasivi perseguiti da questa alta ingegneria discorsiva: giustificare il ritardo nella cattura di bin Laden e il carattere brutale, impresentabile, dellazione; consolidare lunit nazionale e il consenso a Obama; convincere gli americani della necessit delle future azioni di guerra e del fatto che esse sono difensive (Il popolo americano non ha scelto questa battaglia); usare laccaduto come iniezione di fiducia nel ruolo dellAmerica nel mondo. Se lo spazio lo consentisse, si potrebbe parlare anche delle omissioni e dei trasformismi di questo discorso: per esempio si evita qualsiasi menzione del controverso rovesciamento del regime di Saddam Hussein, non si tematizza il passaggio da Bush a Obama, e si trasformano dieci anni di smacchi in una serie di vittorie parziali. Ma quello che in conclusione mi preme sottolineare non tanto lattenta calibratura politica degli argomenti, quanto lenorme padronanza delle tecniche narrative e discorsive da parte di chi ha preparato questo discorso: per esempio, come si detto, la costruzione di un tipo specifico di eroe individuale e di eroe collettivo, il primo (il Presidente) emotivamente

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contenuto, empatico, capace di rischiare; il secondo (lAmerica) onnipotente e unito sotto il mandato divino; il ricorso a strutture tipiche dei testi estetici, come parallelismi e metafore; la pianificazione perfetta degli spazi testuali, nella loro specifica successione. E cos via. Uno studente, dopo aver sentito questanalisi, forse infastidito dalla complessit come purtroppo accade spesso ai ventenni di oggi, sbottato dicendo: Ma s, in realt chiaro quello che Obama ha voluto dire. Io sono invece assolutamente convinta che la complessit del meccanismo simbolico, quando c, venga sempre in qualche modo recepita dai destinatari di un discorso o magari semplicemente subta in termini di efficacia persuasiva ed emotiva del discorso stesso. Forse proprio quando chi ascolta non in grado di capire dove sia stato portato e come, non gli resta che esclamare: Ma certo, tutto perfettamente chiaro!. approfondimenti su www.alfabeta2.it Laboratorio Bologna

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Emilio Isgr, Freccia 2000, 2000 Galleria dArte Niccoli, Parma

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La linea della palma

Culture dItalia Sicilia

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Nicol Stabile

sola e continente, ridondante e muta, lussureggiante e asciutta, rassegnata e sognatrice, periferica e nodale, piagnona e altera, immobile e centrifuga, raffinata e bagascia, ingrata e mater dolorosa, diffidente e generosa, la Sicilia tutto questo e molto altro. La sua essenza estrema come la sua posizione sulla carta geografica, pi vicina a Tunisi che a Roma, e non potr mai pi essere mafia e antimafia il punto di vista da cui partire per raccontarla. Forse tutta lItalia sta diventando Sicilia A me venuta una fantasia []. Gli scienziati dicono che la linea della palma, cio il clima che propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il Nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno. [...] E sale come lago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caff forte, degli scandali: su su per

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lItalia, ed gi oltre Roma. Lo scriveva nel 1956 un profetico Leonardo Sciascia: aveva capito che non sarebbe stata lItalia a vincere sulla mafia, ma la mafia sullItalia. Unit dItalia Per questo racconto della Sicilia siamo partiti dalla periferia dove percorsi di riscatto molto singolari si riappropriano dei troppi spazi vuoti lasciati dal sistema pubblico. Prima tappa da Antonio Presti, a Tusa, tra Messina e Palermo. Lo si considera un mecenate, invece un artista che si serve della parola di altri artisti per affermare il valore supremo e salvifico della bellezza. Da trentanni trasforma il suo patrimonio personale in bellezza per poi donarla alla Sicilia (il dono per Presti supremo atto rivoluzionario). Fiumara dArte un parco di gigantesche sculture costruite su terreni demaniali in un territorio di aspra bellezza e di indisturbato abusivismo edilizio. I politici locali non capiscono loperazione di Presti ma la temono, intuendone il potenziale sovversivo. Lo denunciano alla magistratura per abusivismo. Partono i processi, arrivano le condanne e le multe milionarie, le ingiunzioni di demolizione, e in sinergia le intimidazioni di mafia. Una storia surreale durata venticinque anni che si conclude dopo molte battaglie nel 94, con la sentenza assolutoria della Cassazione. Ma Presti

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non contento. Le opere, donate (e quindi imposte) ai Comuni che le avevano avversate, vengono ovviamente abbandonate allincuria. Presti non si arrende, provoca usando il linguaggio dellarte (celebre il telo blu del 2005 con su scritto chiuso in tutte le lingue, che copre la Finestra sul Mare di Tano Festa). Finalmente nel 2006 la Regione riconosce per legge il parco Fiumara darte e i Comuni interessati sono costretti a prendersene cura. Suprema e sublime vittoria di Presti sulle forze che lo avevano avversato. Una battaglia del genere avrebbe sfiancato chiunque. Non lui, che nel frattempo continua a investire in altri grossi progetti: uno a Librino, la Scampia di Catania. terra di nessuno, snodo di traffici di droga e di armi. Lo Stato non c. Questassenza non pu che essere voluta. Serve a preservare il degrado che strumentale al sistema politico locale e non solo. In quel quartiere vivono centomila persone. Bastano trenta euro per comprare un voto. l che si decidono i destini politici della citt, e non solo. Il lavoro di Antonio svela qui tutta la sua potenzialit politica, di scardinamento del sistema. Antonio fa della condivisione di unesperienza di bellezza un metodo di intervento maieutico. Per farlo, per raggiungere tutti, deve coinvolgere i bambini, i ragazzi. Instancabile, porta i poeti, gli scrittori, gli artisti che parlano

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e vivono con le famiglie tramite i figli e le loro scuole. Una muraglia di cemento lunga un chilometro, che spacca in due il quartiere, viene ricoperta di ceramiche che gli artisti chiamati a raccolta realizzano con i bambini. la Porta della Bellezza. Mentre larte di cui le ipocrite e costose politiche sociali europee hanno disseminato le banlieue viene rapidamente distrutta, la Porta di Librino presidiata dagli stessi abitanti che in essa si riconoscono e vi riconoscono una possibilit altra, di vita e di esperienza. Le iniziative a Librino giocano con la pubblicit, con i nuovi linguaggi, ma sempre nello spirito di riappropriazione del s e dei luoghi. Librino bello lo slogan che ha fatto da leitmotiv di tutte le iniziative. Da poco stato inaugurato un enorme museo della fotografia allaperto: sulle facciate dei palazzi sono proiettati i ritratti degli stessi abitanti fatti con celebri fotografi. Dice Presti: Fare esprimere la bellezza interiore a persone che si trovano in una situazione di disagio, di malessere, di rischio dalla consapevolezza di essere belli che pu nascere una nuova coscienza degli abitanti del quartiere. Cos tutti possono affermare: Io sono bello e con laffermazione della bellezza individuale si pu dire: Librino bello. La bellezza come diritto alla cittadinanza, la bellezza come valore universale.

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Lesperienza di Presti riecheggia, nel metodo e nello spirito, il lavoro straordinario e ancora troppo sottovalutato che Danilo Dolci svolse tra gli anni Sessanta e Settanta per e con i miserabili della Sicilia occidentale, facendo di quello allora sperduto angolo di Sicilia un attivissimo laboratorio di pratiche di lotta civile e di partecipazione, noto alle avanguardie sociali di tutta Europa (importante per esempio linfluenza sul 68 italiano e sulle battaglie per i diritti civili nel nostro paese: basti ricordare che la prima radio libera dItalia a rompere il monopolio radiotelevisivo di Stato trasmise proprio dal centro di Dolci a Partinico, nel 1970, con una trasmissione dedicata alla tragedia del Belice, per poche ore prima che le forze dellordine facessero irruzione sequestrando le attrezzature e arrestando i responsabili; o ancora che la legge sullobiezione di coscienza del 1972 deve molto alle battaglie dei comitati antileva che nacquero nel Belice allindomani del terremoto). E si ispirata, almeno come sollecitazione iniziale, al processo di rifondazione portato avanti negli anni Ottanta dalla terremotata Gibellina (dove per iniziativa del cresm nato recentemente Belice/Epicentro della Memoria Viva, uno spazio museale che raccoglie materiali e testimonianze delle attivit portate avanti da Dolci prima e dopo il terremoto).

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Utopia concreta e oggi testimonianza del suo apparente fallimento, Gibellina un episodio rilevante nel dibattito artistico e culturale italiano della fine del secolo scorso, ma non abbastanza condiviso e capito dalla maggior parte dei suoi abitanti se nel 93 non hanno voluto riconfermare il sindaco che ne era stato artefice, Ludovico Corrao, decidendo cos per un futuro normalizzato. Troppo presto per storicizzarla, la nuova Gibellina in fondo una citt bambina che aspetta, per crescere, modelli politici e gestionali coerenti con il suo enorme patrimonio artistico e culturale. Il suo oggi schizofrenico incarnato dal Cretto, capolavoro di Alberto Burri che ricopre i ruderi del vecchio centro, opera darte totale che si fa paesaggio, di enorme impatto visivo ed emozionale, in dialogo ideale con le non lontane monumentalit dellelma Segesta e della greca Selinunte. Un capolavoro abbandonato prima di essere portato a termine.

eguendo questo filo ideale arriviamo a unaltra periferia, a Favara, una cittadina a qualche chilometro da Agrigento, nella provincia pi segnata dalla bruttezza della brutta politica. In un dedalo di vicoli del centro storico, recuperando piccoli edifici ormai cadenti, un giovane

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notaio, Andrea Bartoli, insieme a un gruppo di amici inaugura lo scorso giugno il Farm Cultural Park. Galleria darte, centro di architettura contemporanea, residenza per artisti e curatori, scuola di specializzazione per hotellerie davanguardia, dipartimento educativo per adulti e bambini, spazi di ristoro alternativi, un progetto che vuol far diventare una parte del centro storico di Favara la seconda attrazione turistico-culturale della Provincia di Agrigento. Un parco urbano della Cultura e del Turismo Contemporaneo. Sui tetti sventola lHappiness Flag, la bandiera di chi ha ancora voglia di sognare. Di chi non ha rinunciato al desiderio di vivere in una Sicilia migliore e di contribuire affinch ci possa accadere. Tre luoghi, racconta Bartoli, hanno in qualche modo ispirato la Farm di Favara: il Palais de Tokyo di Parigi, la piazza di Marrakesh e Camden Town. Potrebbe sembrare il giocattolo di un borghese illuminato e invece non cos. In un pomeriggio qualsiasi alla Farm incrocio tanti ragazze e ragazzi del posto, dei paesi vicini, che qui lavorano, si formano, ideano progetti e iniziative: sono quelli che chiamo i resistenti, le intelligenze che rifiutano di emigrare, o che sono tornati dopo aver fatto esperienze lontano dalla Sicilia, e che qui trovano spazio concreto per la loro creativit, come se fossero in qualsiasi capitale

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del mondo avanzato. E che non si lamentano, non si piangono addosso. Le opere sono di artisti noti (in uno degli spazi campeggiano alcune foto di Terry Richardson) e meno noti, di artisti siciliani scoperti da Bartoli, e di persone del luogo che non sapevano di essere artisti. Solo fondi privati: la politica sta a guardare incapace di sognare a quel modo, e in un pomeriggio di conversazione la parola mafia non mai stata pronunciata. Come potrebbero la mafia e la politica capire una cosa cos aliena? unaltra Sicilia. E la politica? La politica in Sicilia sembra seguire vie proprie, un laboratorio in cui da sempre si sono elaborate grandi eresie. Come lesperienza del governo Milazzo, che alla fine degli anni Cinquanta riusc, per circa due anni, a mettere allopposizione la potente Dc formando un governo sostenuto da Pci e Msi. O, per rimanere ai giorni nostri, le strane alleanze del governatore Lombardo che hanno portato di fatto alla spaccatura della stessa compagine berlusconiana. La Regione Sicilia con il suo statuto speciale e il suo Parlamento pi antico dEuropa una piovra che stringe tutto nella morsa della politica, e la cultura ovviamente non si salva. Palermo, con le sue velleit di capitale, sembra ormai moribonda, basta dare unocchiata a quel che succede al suo Teatro Stabile. Pi che a un teatro assomiglia a un

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fortino imprendibile gestito da quasi trentanni dal suo direttore Pietro Cartiglio: a corte ammesso solo chi non dissente, fuori rimangono gli artisti che politicamente non servono ad accrescere la rete del potere. Le cose vanno anche peggio al cinema e allaudiovisivo. Nel 2007 la Regione si era regalata una legge di settore allavanguardia e i due anni in cui stata a regime e finanziata, i risultati non sono mancati, sia dal punto di vista economico, che da quello artistico. Nasce anche un moderno e attrezzato Centro sperimentale del documentario che sinsedia nei Cantieri Culturali della Zisa (i Cantieri, ambizioso ed enorme progetto culturale dellallora sindaco Orlando, sono oggi il monumento del fallimento di quella stagione passata alla storia come primavera di Palermo). Dietro a questa rinascita del settore ci sono lentusiasmo e le competenze del giovane direttore del settore cinema della Regione, Alessandro Rais. Negli anni precedenti aveva seminato bene, portando a dialogare con la Citt, in affollati laboratori, Kiarostami, Ruiz, De Seta, Amelio, Gudiguian, Wiseman e molti altri, e creando il festival internazionale di arti elettroniche e cinema sperimentale Limmagine leggera. Lo scorso anno prima si azzerano i fondi, poi la gestione del settore cinema (insieme a musica e teatro) passa, per

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decisione presidenziale, dallassessorato alla Cultura a quello del Turismo, di fatto esautorando dal suo ruolo Rais (che per inciso anche lunico dirigente regionale vincitore di concorso come esperto di cinema). Il settore passa sotto la direzione di un funzionario senza alcuna competenza in materia di audiovisivo che in Regione era addetto alla gestione del ricco budget pubblicitario dellassessorato del Turismo. Non una nota ufficiale. Non un articolo sui giornali locali. Rais rimane nel suo ufficio svuotato, ubbidisce e subisce, ma siccome anche lui un resistente che non si piange addosso ha dato vita (fuori dagli orari di lavoro tiene a precisare), con Titti De Simone e tanti altri amici volontari, alla prima edizione del Sicilia Queer filmfest, primo festival a tematiche glbt a sud di Firenze (programmato a Palermo dal 20 al 26 giugno 2011), senza un euro pubblico e coinvolgendo lintera citt, a cominciare dalle scuole. Verrebbe da dire, Palermo: che puzza. Ed proprio questo il titolo di un ciclo di interviste pubbliche a personalit della cultura palermitana organizzate da un circolo Arci, Nzocch, nato un anno fa. Le interviste diventano poi collana della giovane e attivissima casa editrice Navarra, I racconti di Nzocch. Primo titolo pubblicato: Intervista a Emma Dante di Titti De Simone, una delle tre fondatrici del circolo, che

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dice: Da qui ripartiamo, perch crediamo che sotto la cenere, l dove tutto sembra spento, questa citt abbia ripreso a bruciare. Al momento gli unici fal che rischiarano Palermo sembrano essere quelli dellimmondizia. I termovalorizzatori in Sicilia pare non vadano bene perch, come ama dire il governatore Lombardo, potrebbero essere occasione di business per la mafia. E poi vuoi mettere? Bruciarla per strada costa meno, scalda i cuori e illumina una notte che sembra non finire.

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Emilio Isgr, Sicilia, 1970 Collezione Lino e Anna Motta, Palermo

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Giovanni Iovane

arte contemporanea, negli spazi pubblici siciliani, ha una pi che decennale, nobile e schizofrenica storia. In primo luogo impossibile parlare di sistema dellarte, nellaccezione divulgata da Achille Bonito Oliva, per ci che accaduto e accade in Sicilia. A cominciare dagli anni Ottanta ad Acireale e poi a Gibellina, la Sicilia ha ospitato importanti mostre darte contemporanea. A Palermo con lapertura dei Cantieri Culturali della Zisa (oggi colpevolmente abbandonati a se stessi), nel periodo in cui era sindaco Leoluca Orlando, e Catania con lapertura del Museo Civico Castello Ursino (da alcuni anni desolante contenitore di mostre improbabili), con Enzo Bianco sindaco, sono state realizzate mostre darte contemporanea seguendo progettazione e standard museali

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internazionali. Sembra una affermazione banale, un luogo comune ma la caratteristica generale degli spazi espositivi pubblici siciliani era, e in parte ancora, quella di acquistare mostre-pacchetto, altrove prefabbricate e gestite da societ private, societ pubblico-private o societ quasi-pubbliche con interessi privati. A parte queste rilevanti eccezioni e con laggiunta parziale delle mostre realizzate in concomitanza di Taormina Arte, la figura del critico darte o del curatore che pensa e progetta una esposizione per uno spazio espositivo pubblico quasi del tutto sconosciuta. La cosa peggiore che il fantasma del critico darte culturalmente e politicamente ignorato; e peggio ancora, il suo ruolo, la sua identit praticamente non esiste per la grande macchina burocratica delle varie amministrazioni pubbliche. E sebbene la Sicilia abbia avuto e abbia diversi e validissimi critici darte e curatori (con iscrizione a ruoli effimeri) non raro imbattersi in figure strane e mutevole che si sostituiscono al fantasma critico e curatoriale. Abbiamo cos la figura del mecenate illuminato (io ho un ricordo personale, che risale a circa 25 anni fa, di una Taormina cosmopolita e un po bizzarra ma culturalmente glamour sotto la guida e lospitalit dellantiquario Panarello); del medico

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appassionato, del farmacista, dellimprenditore, dellarchitetto, dellingegnere o del collezionista (peraltro sempre discreto e nobilmente appartato) che si fanno promotori di eventi, accanto o in coabitazione con le sopraccitate societ o associazioni culturali. La causa di questa situazione fluida e cangiante, di questo carosello di manifestazioni, eventi e sagre da imputare al fatto che se gli spazi espositivi abbondano in Sicilia, di musei darte contemporanea, sino a circa tre anni fa non ce nera nemmeno uno (lattivit autonoma ed espositiva del Museo Civico di Catania durata nemmeno due anni; con il 2000 e con luscita di scena di Bianco e con la diversa amministrazione si ritornati ai fasti antichi del preconfezionato di dubbia origine). E proprio negli ultimi tre anni abbiamo assistito, tra Palermo e Catania, a una piccola ma significativa rivoluzione culturale. A Catania sono sorte due fondazioni, Puglisi Cosentino e Brodbeck, che hanno dato grande impulso a una percezione dellarte contemporanea che non fosse il frutto di un pensiero amatoriale o di tipo meramente economico (per la societ organizzatrice sintende). La Fondazione Puglisi Cosentino situata allinterno di un bel palazzo barocco del centro di Catania. Il suo restauro, formalmente accurato, stato pensato per ospitare mostre di

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natura, per cos dire, modernista. Possiede un suo staff curatoriale e organizzativo anche se la mancanza di un ristorante, di un bookshop o di una biblioteca fanno s che la struttura museale non abbia una continuit espositiva organica e soprattutto di quotidiana condivisione con il pubblico.

a Fondazione Brodbeck invece sorge allinterno di un complesso industriale degli inizi del Novecento, di circa 6000mq. Posta in una delle zone pi popolari di Catania, una vera e propria piccola citt con grandi capannoni, ed edifici di diversa grandezza. In poco pi di tre anni, e senza sino a ora aiuti pubblici, la Fondazione ha ristrutturato completamente un grande capannone, resi frequentabili altri due (pur senza ancora interventi di ristrutturazione completa) e adibito una piccola palazzina a ufficio e foresteria. Il progetto espositivo della Fondazione Brodbeck radicalmente differente (ma complementare alla citt di Catania) da quello della Fondazione Puglisi Casentino, in quanto essenzialmente basato sul rapporto reale che lega lartista alla citt. Le mostre sinora realizzate sono state tutte accompagnate da un periodo di residenza di

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artisti internazionali in Fondazione e dallelaborazione di un progetto espositivo a partire proprio del genius loci. Il simbolo invece del graduale rinnovamento culturale e politico (pubblico) , senza dubbio, la nascita di Riso, Museo darte contemporanea della Sicilia a Palermo. Riso ha una sua sede espositiva a Palermo e uffici in cui lavorano persone qualificate per organizzare e gestire le attivit di un museo. Tuttavia la cosa ancor pi straordinaria che, sin dalla sua fondazione, il museo ha avuto una sua precisa strategia culturale, originale rispetto al panorama dei musei darte contemporanea italiani. Si tratta infatti di un museo esteso sullintero territorio siciliano. La missione principale del museo quella di fare da catalizzatore, mediante una progettualit autonoma e competente, alle manifestazioni culturali disseminate nella regione. Lattivit espositiva allinterno del museo dettata dalla ideazione e realizzazione (mediante il coinvolgimento di diversi curatori anche internazionali) di mostre tematiche legate al contesto socio culturale siciliano e mediterraneo. Allinterno del museo attivo da tre anni un archivio (S.A.C.S., sportello per larte contemporanea della Sicilia) dedicato agli artisti che vivono nel territorio siciliano: curato prima da Cristiana Perrella, poi da Helga Marsala e infine dal sottoscritto, a oggi raccoglie,

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anche on line, la documentazione di settanta artisti. Nellultimo anno ha avviato anche una particolare attivit espositiva volta a trasformare concettualmente e in maniera concreta lidea e la struttura dellarchivio in una sorta di agenzia culturale, aprendo propri spazi espositivi a Palermo (allinterno del museo), a Catania (allinterno della Fondazione Brodbeck) e infine a Milano (allinterno del complesso di edifici denominato Frigoriferi Milanesi). Altri percorsi di lettura: Roberto Alajmo Lergastolo di Carriglio Matteo Di Ges Mafia Marilena Renda Fare della mafia unarte da museo

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Lergastolo di Carriglio

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Roberto Alajmo

un peccato che certe notizie non varchino i confini delle pagine locali. Per dire: a un certo punto il Comune non pagava e il teatro Stabile di Palermo ha deciso di sospendere le proprie attivit. Parrebbe a prima vista solo una declinazione locale della protesta che ha agitato il mondo dello spettacolo di fronte al taglio dei finanziamenti da parte del governo. Ma nella sua smania di protagonismo capita a questa citt di volere a tutti i costi distinguersi: e quandanche fosse nel peggio. Nei casi palermitani c sempre qualcosa di eccessivo e paradossale, quasi limplicito riscatto di un destino provinciale. Breve riassunto delle puntate precedenti. Lo Stabile di Palermo diretto in maniera pressoch ininterrotta, fin dal tempo della fondazione, dalla stessa persona: Pietro

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Carriglio. Per lunghi periodi i soci finanziatori del Teatro Stato, Regione, Provincia, Comune erano riconducibili tutti alla stessa parte politica: la sua. Un allineamento formidabile, che anche nei momenti di difficolt ha consentito al Biondo di galleggiare, se non altro. In particolare, il direttore dello Stabile stato un grande sostenitore dellattuale sindaco di Palermo, Diego Cammarata. E viceversa. In generale, Carriglio emanazione proprio di quella parte politica che ha tagliato i fondi allo spettacolo e non perde occasione per trattare la cultura come un trastullo da comunisti. Di pi: dallalto della sua cultura ha rappresentato la stampella intellettuale di uno schieramento prima democristiano, poi forzuto italiano, infine popolare della libert che altrimenti sarebbe stato, almeno a livello locale, a un livello desolante di alfabetizzazione. Di fronte allinadempienza dellamministrazione comunale e alloffensiva dei tagli governativi, Carriglio ha deciso di mantenere un profilo basso, lasciando che fossero i suoi collaboratori e dipendenti a indignarsi, preoccuparsi e pubblicamente esporsi. Di fronte alla minaccia di sospendere lattivit, i lavoratori si sono impegnati a garantire il proseguimento della stagione teatrale. Una scelta responsabile, che ha evitato il collasso del teatro. Il direttore, dal canto

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suo, ha dichiarato il minimo di quel che poteva dichiarare e si rimesso alle iniziative del Consiglio dAmministrazione. Perch nessuno creda che il teatro Biondo sia cosa solamente sua. Da un canto giusto: il teatro non di Carriglio. di chi ci lavora. Degli spettatori. Della citt intera. E per bisogna intendersi: o sempre cos, o cos non mai. Perch, ricordiamolo, esistono figure di fama internazionale, come Emma Dante, che a tuttoggi nel teatro Stabile della loro citt non godono nemmeno di un permesso di soggiorno temporaneo. A Pietro Carriglio va riconosciuto il merito di aver creato a Palermo il teatro Stabile e di averlo condotto per tanti anni con risultati che ognuno sapr giudicare liberamente. Ma al di l delle scelte e risultanze artistiche, una persona di cultura come lui dovrebbe trarre da questa vicenda tutte le conseguenze del caso. Disse di lui una volta Salvo Licata: ugualmente devoto a Shakespeare e a Salvo Lima. E Licata era suo amico. Ecco, forse: per Carriglio arrivato il momento di fare una scelta. O Shakespeare o Salvo Lima. Il direttore dello Stabile possiede let, il prestigio e la cultura che gli consentirebbero gesti esemplari. Potrebbe cogliere loccasione per mettersi una mano sulla coscienza e assumere una decisione in grado di richiamare

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lattenzione nazionale sulla crisi che ha colpito lintero mondo dello spettacolo, non solo su quella dello Stabile di Palermo. Spiazzare tutti. Mettere in gioco se stesso con una scelta che nel panorama stantio del teatro italiano sarebbe una prima assoluta di enorme richiamo. Vale a dire: dimettersi. Purtroppo, per, Pietro Carriglio, sia pure informalmente, ha fatto conoscere le sue intenzioni. A quanto dicono i suoi portavoce lui vorrebbe dimettersi veramente: lavrebbe anche fatto, in un altro momento ma non gli pare giusto abbandonare la casa che brucia. E dunque si dimetter soltanto dopo avere spento lincendio. Un nobile istinto, da parte di un uomo che si costituito a un duro destino di direttore di teatro Stabile allergastolo.

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Emilio Isgr, Agamemnon Y 61, 2005. Collezione privata

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Matteo Di Ges

el primo pomeriggio del 7 aprile 2010, nella casella di posta elettronica di molti palermitani arriv una mail direttamente dalleditore Feltrinelli: Abbiamo il piacere di comunicarvi che oggi alle ore 18 Massimo Ciancimino sar alla libreria di via Cavour per firmare le copie del suo libro. E in effetti, cos and: auto blindata parcheggiata in seconda fila, il figlio di don Vito alle sei e mezza di quel memorabile pomeriggio primaverile, autografava controcopertine del volume fresco di stampa di cui era coautore insieme allo stimato giornalista Francesco La Licata. Cento copie vendute in due ore, quel pomeriggio. Qualcuno, nei giorni successivi, fece le sue rimostranze agli incolpevoli responsabili della Feltrinelli di Palermo: ma, come si detto, liniziativa era partita direttamente da Milano,

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che aveva utilizzato lindirizzario mail della libreria. Non c dubbio che ancora una volta avessero ragione i milanesi, se non altro quanto a strategie commerciali: Don Vito. Le relazioni segrete tra Stato e mafia nel racconto di un testimone deccezione stato il libro siciliano del 2010 e le logiche di promozione a cui rispondeva non erano, non sono diverse da quelle previste per qualsiasi altro best seller letterario. Proprio cos: non era tanto per rendergli omaggio che i lettori palermitani si accalcavano intorno al figlio del potente mafioso democristiano che come amministratore organico a cosa nostra ha devastato la loro citt peggio di quanto non abbiano fatto i pur solerti bombardieri alleati, incamerando un bottino enorme quanto per accostarsi alla star televisiva del programma di Michele Santoro. E poco male se le celebrit made in Sicily anzich da Che tempo che fa transitano da Annovero prima di finire in galera. Laneddoto del rampollo Ciancimino divo da libreria soltanto la testimonianza pi eloquente di quanto sia diventato redditizio per lindustria editoriale il reinvestimento del capitale simbolico accumulato dallantimafia (e dalla mafia). La Sicilia, da questo punto di vista, pu ancora vantare un primato indiscusso, che nemmeno il successo planetario di Gomorra ha indebolito: giornalisti, mafiologi

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improvvisati ma anche magistrati se non mafiosi o parenti dei mafiosi sono gli autori/attori protagonisti dello spettacolo culturale che la societ siciliana produce. E se la cronaca non offre spunti degni di rilievo, si possono sempre spacciare libri come F.a.q. mafia, La mafia spiegata ai turisti o La mafia in cucina: chiss che perfino la ricetta della pasta con le sarde come la faceva Lucky Luciano non restituisca quellinebriante sensazione di civismo e di impegno a buon mercato che questo genere di letture sa trasmettere. Dallalveo gorgogliante della pubblicistica mafiosa, alimentato dal successo dei polizieschi di Camilleri, si era generata alcuni anni fa la corrente del giallo siciliano: al momento sembra essersi fatta carsica, con buona pace dei cultori del genere e del suo irrinunciabile portato di denuncia civile. Continua a prosperare senza tema di declino, invece, lunica vera alternativa editoriale siciliana alla mafiologia: lesotismo domestico dei romanzi al gusto di Sicilia per dirla con le parole di un critico ultimamente arricchitosi di arditezze linguistiche da spot pubblicitario, merc ancora una volta il modello Camilleri (il cui sperimentalismo, andr ribadito, di ben altra qualit); Simonetta Agnello Hornby, Giuseppina Torregrossa, Ottavio Cappellani (lui

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quello da esportazione) sono gli ultimi esponenti di questa florida scuola. La letteratura, come del resto tutta la cultura, nella terra del Gattopardo funziona come un orpello, un gadget, o pi precisamente un souvenir: non un caso che le disastrate amministrazioni palermitane e catanesi, abbiano relegato a un ruolo pressoch nullo gli assessorati alla cultura (dellattuale assessore palermitano, lunica sortita che si ricordi negli ultimi anni la censura di un manifesto del gay pride siciliano) per dirottare i fondi finch cerano agli Uffici Grandi Eventi, n che lassessorato regionale al turismo abbia avocato a s gran parte delle competenze dei beni culturali, mentre, per dirne una, le poche biblioteche dellisola boccheggiano.

l paradosso che i siciliani nellultimo anno e mezzo hanno scritto un bel po di bei libri: Nino Vetri, Lume lume, Giuseppe Schillaci, Lanno delle ceneri; Irene Chias, Sono ateo e ti amo; Giorgio Vasta, Spaesamento; Antonio Pagliaro, I cani di via Lincoln; Giacomo Guarneri, Danlenur; Veronica Tomassini, Sangue di Cane; Giuseppe Rizzo, Linvenzione di Palermo; Viola Di Grado, Settanta acrilico trenta lana, solo per citare i trenta-quarantenni. Se di tutto ci rimane una

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traccia persistente in un tessuto civile anchilosato, degradato e corrotto lo si deve alla tenace vitalit di agenzie culturali indipendenti, le quali spesso si reggono sul lavoro volontario e gratuito (fatte salve poche eccezioni: il Premio Mondello una di queste): centri sociali come il Laboratorio Zeta a Palermo e lExperia di Catania (sgomberato a manganellate nel 2009, mente poco tempo prima il sindaco bancarottiere uscente veniva eletto in senato), festival come Letterandoinfest di Sciacca, Sotto le stelle della letteratura delle Madonie, Una Marina di libri di Palermo promosso dalleditore Navarra (privi di finanziamenti pubblici che non siano, bene che vada, spiccioli comunali, mentre le fette pi cospicue del bilancio regionale se le spartisce la solita nomenclatura culturale, da destra a sinistra); librerie come Modusvivendi e Garibaldi di Palermo e Cavallotto o Tempolibro di Catania; biblioteche per bambini autogestite come Le balate di Palermo (lunica in citt e tra le pochissime della regione); editori come :duepunti a Palermo e Mesogea a Messina; per non dire di scuole pubbliche che, grazie alla lungimiranza di presidi e insegnanti, riescono a trasformarsi in biblioteche e presidi culturali di quartiere. Tutti questi soggetti parlano poco tra loro e non fanno rete. Ma forse non si pu chiedere loro di pi, in una

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regione in cui perfino i giornali illuminati e progressisti rinunciano a sostenere le cose migliori che accadono nei paraggi della letteratura. In una regione in cui il Parlamento regionale vota allunanimit una legge per linsegnamento nelle scuole dellisola della lingua, della letteratura e della storia della Sicilia, per la soddisfazione dal presidente autonomista e dalla sua accolita di governo: ultima carabattola in bella mostra nel bazar culturale siciliano. Altri percorsi di lettura: Marilena Renda Fare della mafia unarte da museo Conversazione di Andrea Camilleri con Clotilde Bertoni Il grimaldello Il Cretto a venire Nicol Stabile La linea della palma

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Marilena Renda

a Gibellina, per molti anni laboratorio dellarte e del teatro contemporaneo, a Salemi, protagonista di un tentativo di rinascita culturale a opera di Vittorio Sgarbi, la distanza breve. Durante il viaggio, costellato di brutti cartelli che dicono: Benvenuti a Salemi, citt di Sgarbi, o Benvenuti a Salemi, citt del museo della mafia, penso che in fondo il parallelo tra le due citt non poi cos assurdo. Corrao e Sgarbi: due sindaci-demiurghi che in situazioni storiche diversissime hanno provato a fare qualcosa di simile: creare una visione (uninterpretazione) del luogo e imporla ai suoi abitanti sperando che, se non possibile che diventi la loro visione, gli autoctoni la facciano propria per almeno una stagione politica.

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Gli abitanti di Salemi hanno dimostrato una singolare difficolt a scegliere degli amministratori decenti. Con ci facendo onore a una lunga tradizione regionale e nazionale di cui lesempio pi luminoso pu essere rintracciato in quel sindaco di nome Cascio che, alla fine degli anni Settanta, decise di abbattere la chiesa madre lesionata dal terremoto del 68 per ottenere i finanziamenti per la ricostruzione. Nessuna meraviglia che Sgarbi abbia ottenuto un certo consenso in questa che una delle citt chiave del centocinquantenario dellUnit dItalia (leggasi: visibilit e fondi), e che il custode ci accolga sulla soglia del Museo della Mafia dicendo: Benvenuti nel museo di Sgarbi (per la verit, dedicato alla memoria di Sciascia). Nessuna meraviglia suscita neppure la notizia di pochi giorni fa, del sequestro dei beni di Giuseppe Giammarinaro, da decenni potente della provincia di Trapani, gi braccio destro della Dc siciliana e fedelissimo di Tot Cuffaro, manus longa della sanit locale e ora sponsor politico di Sgarbi. Gi indagato per mafia e prosciolto nel 2000, Giammarinaro secondo gli inquirenti sarebbe il vero deus artefice della politica salemitana e non solo. Non si sfugge comunque al sospetto che questa improvvisa efficienza giudiziaria altro non sia, come spesso da queste parti, che la sanzione

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ufficiale della caduta in disgrazia, della persona incriminata, ormai agli atti. In ogni caso il primo cittadino di Salemi, di fronte alle intercettazioni in cui un suo assessore rivelava che il bilancio comunale era stato stilato a casa di Giammarinaro, si affrettato a dichiarare che la grande rivoluzione stata contrastata, comera prevedibile, pi dalla facile retorica dellantimafia che dalla effettiva capacit di condizionamento di Giammarinaro, pari a zero. Ne deduco che il Museo della Mafia non vuole fare della facile retorica antimafia. Ma allora cos che vuol fare? A prima vista un percorso-choc a met tra lesperienza sensoriale e il documentarismo (forse sarebbe pi appropriato definirlo didascalismo), in cui lidea tradizionale di museo lascia spazio allidea di museo come installazione. Il modello naturalmente il Museo ebraico di Libeskind a Berlino (anche se il sindaco si vantato piuttosto di stare battendo sul tempo Las Vegas, che sta realizzando unimpresa simile) ma realizzato con molti meno soldi, molte meno idee e una capacit infinitamente minore di pensare un luogo che sia fisicamente attraversato dallo spirito che si vuole donare allopera. Qui il gusto per la provocazione del primo cittadino ha incontrato Oliviero Toscani, che ha realizzato il

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kitschissimo logo del Museo (una Sicilia grondante sangue come unarancia rossa) e lopera di Cesare Inzirillo, che ha realizzato dieci cabine elettorali anni Cinquanta immerse nel buio, ognuna delle quali tematizza gli aspetti principali di Cosa Nostra in immaginario e opere: le reti familiari, la gestione dellenergia, la religione, il rapporto con il potere, le stragi, la sanit, il carcere. Una via crucis suggestiva ed efficace solo quando la spinta didascalica non fa aggio sullarte, come nelle cabine dedicate al carcere, che rappresentano le due estremit di una stanza per i colloqui, con una cornetta da cui fuoriescono le voci dei mafiosi che parlano con familiari e sodali. Oppure nella cabina dalle pareti oro e poltrona arabescata che si riflette in uno specchio deformante, memoria dei fasti di luoghi mitici come lhotel Due Palme di Palermo o dellhotel Zagarella, scenario di tanti incontri di mafia (il famoso bacio Andreotti-Riina) e propriet dei fratelli Salvo, i potentissimi esattori della mafia originari proprio di Salemi. Unaltra sala riprende, ma in modo inerte, il tema dello scempio del paesaggio a opera del nuovissimo business delle pale eoliche, ma la trasformazione del paesaggio per mano di amministratori sconsiderati presente pure in unaltra sala che documenta il sacco di Palermo, oltre che il ruolo del cemento nel far sparire i

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cadaveri di mafia. In unaltra stanza, dedicata ai giornali, troviamo le prime pagine dei quotidiani dedicate ai delitti di mafia, tra cui quella relativa allarresto dei cugini Salvo che ha fatto tanto infuriare la vedova di Nino Salvo, e quella che ricorda le indagini per mafia, poi archiviate, relative allo stesso Sgarbi e a Tiziana Maiolo.

lla fine, mentre vaghiamo tra il Rabato e la Giudecca, dentro un centro storico magnifico ma ormai ridotto a uno scempio a cielo aperto, ricordo il cartello allingresso: Salemi primo comune demafizzato dItalia. Forse, se il suo primo cittadino inveisce ormai da anni contro la retorica dellantimafia, perch il suo atto retorico pi riuscito proprio quel cartello.

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Emilio Isgr, Larco e la scena, 1993 (dallinstallazione Guglielmo Tell) XLV Biennale di Venezia

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Il grimaldello

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Conversazione di Andrea Camilleri con Clotilde Bertoni Nella Corda pazza Sciascia, ricordando le feste religiose siciliane (evocate anche da lei, con la splendida descrizione della processione di San Calogero nel Corso delle cose) dice che in Sicilia la collettivit esiste soltanto a livello dellEs. cos difficile in Sicilia unaggregazione consapevole? In Sicilia c sicuramente refrattariet allaggregazione: se gli italiani sono individualisti, i siciliani lo sono due volte tanto; stato il clan laggregazione siciliana tipica. Lo dimostrano episodi del passato: nellOttocento, contro il potere dellAnglo-Sicilian Sulphur Company, i proprietari delle miniere di zolfo avrebbero dovuto consociarsi; invece lunico tentativo di resistenza fu quella dei matrimoni di zolfo (esempio clamoroso lunione tra Luigi Pirandello e Antonietta Portulano, figli di grossi commercianti di zolfo

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entrambi); cio una strategia primitiva e tribale. E lo dimostrano anche alcuni momenti della vita culturale: per ricordarne uno legato ad alfabeta, il Gruppo 63 si form a Palermo, ma in ambito locale fu visto con diffidenza. Le iniziative culturali in Sicilia come quella del da poco scomparso Francesco Agnello, che tanto si speso per la promozione degli Amici della musica sono spesso personali e isolate. Per negli anni Novanta, a Palermo soprattutto, ci fu un risveglio della coscienza civile che stimol una vivace rinascita culturale: i Cantieri della Zisa, il teatro Garibaldi, festival cinematografici Per strana che sembri la connessione sarebbe materia per un sociologo la rinascita culturale fu innanzitutto effetto del Maxiprocesso. Probabilmente le condanne esemplari ai mafiosi sbloccarono il senso angoscioso di paralisi prodotto dallincombenza della mafia, rispetto alla quale ogni manifestazione artistica poteva apparire velleitaria. Lamministrazione di Orlando avvi anche il tanto atteso risanamento del centro storico. S, ci fu una migliore distribuzione dei fondi. Ma la linfa vitale si esaurita presto, siamo tornati allappiattimento.

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Permangono energie notevoli (il comitato Addiopizzo, lIstituto Gramsci, il lavoro di Emma Dante), ma non incoraggiate. Accanto alla nuova ascesa del centro-destra e al suo lungo dominio sulla nazione, quanto contano dinamiche regionali pi specifiche, come labitudine alla gestione clientelare delle risorse? La situazione nazionale pesa: siamo nellepoca in cui un membro del governo pu dire che la cultura non si mangia. Le ricadute di simili affermazioni sono poi amplificate dalla realt siciliana, dove basta poco perch si torni alla stagnazione. Mi sembra per che linclinazione a scaricare i problemi della Sicilia sullindole dei siciliani tralasci due fatti: intanto, dai sindacalisti del dopoguerra a La Torre, da Costa a Chinnici a Falcone e Borsellino, sono stati soprattutto i siciliani a combattere la mafia a costo della vita; inoltre, lestensione del potere mafioso (la linea della palma di cui parlava Sciascia), si infiltrata nelle istituzioni, ha infettato tutto il paese. Che ne pensa? Uno scrittore italoamericano mio amico, Jerre Mangione, che Vittorini apprezzava molto, raccont in un libro dei figli di emigrati siciliani che, come giudici della Corte Suprema, o in altri ruoli, avevano recato autentico beneficio agli Usa. E le lotte che lei ricorda sono state essenziali: Pio La

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Torre fu ucciso perch, chiedendo il controllo bancario, stava entrando nel cuore del problema mafioso. Questa linea in parte proseguita. La Confindustria siciliana ha intrapreso unazione antimafiosa seria, provando a estromettere chiunque pagasse il pizzo. Ma gli sforzi non sono bastati. Ora sento che nel Veneto su 1300 aziende taglieggiate solo tre hanno denunziato il pizzo. Lanima santa di Sciascia parlava di linea della palma ci sono palmette di cui non si ha idea. Dalla mafia venuto un diffuso sentire mafioso ancora pi pericoloso dellorganizzazione in s. Un sentire mafioso diffuso in tutto il paese? come aver messo i capi delicati in lavatrice con qualcosa che stinge si sono tutti colorati, anche se solo pallidamente. Nel suo racconto La rottamazione, uscito sul numero di MicroMega dedicato ai Crimini dellestablishment, il medico legale Pasquano dice: Sono finiti i tempi belli di Tot Riina, [] Quanno cerano quattro cataferi sui tavoli e otto in lista dattesa! Ora la mafia ha capito che non ha bisogno di sparare [] Basta che dice mezza parola ai suoi deputati.

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La mafia si trasformata non nella sostanza ma nei metodi: ha saputo adeguarsi. Una volta cerano i riti di iniziazione, ora basta la password, non c pi bisogno di appartenere a una famiglia. Se Riina e Provenzano vestivano da contadini, i mafiosi sono ormai colletti bianchi, la mutazione avvenuta. Sempre La rottamazione mostra che i politici temono di essere scoperti solo per magagne aberranti: saperli rei di corruzione non turberebbe pi nessuno. Questo non complica lazione di denuncia degli intellettuali? Sicuramente s. La perdita del senso morale imbarazzante. Non faccio moralismo, mi riferisco a regole essenziali della convivenza civile. Bisogna sperare in un secondo Risorgimento, e mi auguro che, come il primo, parta dalla Sicilia; ma la tendenza al compromesso resistente, ha radici remote. Nel 1893 Emanuele Notarbartolo, responsabile del Banco di Sicilia, viene assassinato; lonorevole Raffaele Palizzolo (allora, per cos dire, rappresentante della mafia alla Camera) accusato di essere il mandante del delitto ed condannato in primo grado, ma infine assolto. il primo processo che coinvolge mafia, banche e politica: il trinomio che continuer a governare la Sicilia.

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A proposito della mafia in Parlamento: nellItalia prefascista le opere di ambientazione parlamentare sono molte Limperio, I vecchi e i giovani, altre meno note. Pur con qualche eccezione, nel secondo Novecento questo filone non ripreso. Un suo romanzo, La rizzagliata, accenna allassemblea regionale siciliana, ma lasciandola sullo sfondo. Il mondo politico diventato troppo difficile da rappresentare? Sempre pi difficile. Un tempo cera il trasformismo, certo, ma i partiti erano identificabili, le divisioni nette. Il passaggio di dAnnunzio dalla destra alla sinistra cre un enorme scandalo; oggi abbiamo i cosiddetti responsabili che vanno avanti e indietro, siamo al commercio delle vacche Il quadro si complicato troppo, diventato un puzzle faticoso da mettere insieme dal punto di vista narrativo. Come De Roberto, Pirandello, Sciascia, anche lei, mettendo in scena la Sicilia, mette in gioco lItalia: sia nel ciclo di Montalbano, che tratta il berlusconismo, limmigrazione, il traffico dorgani, sia nei romanzi storici (specie in quelli ispirati allinchiesta parlamentare sulla Sicilia, La stagione della caccia, Il birraio di Preston), che mostrano le disfunzioni del processo unitario. S, nei miei libri il richiamo alla realt italiana costante. E non scrivo romanzi storici per il gusto di ricreare un

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ambiente ma, in linea con una tendenza tipica del filone (basti pensare ai Promessi Sposi), per vedere quali ombre si allungano fino ai nostri giorni. Quali reazioni le arrivano in merito? Non se ne accorge quasi nessuno. Di solito le mie sono percepite come storie siciliane e basta. La ghettizzazione unottima forma di difesa: classificare i miei romanzi come vicende di colore locale un modo per non vedere che discutono una realt pi ampia. Ma nessuno va oltre questo atteggiamento? Tra i critici italiani raro: uno dei pochi Romano Luperini. I critici stranieri, specie francesi e tedeschi, hanno invece un occhio pi oggettivo. Ma non detto che la responsabilit sia di critici e lettori. Forse pesano alcune mie scelte, specie luso del dialetto. Una sfida vinta, comunque: il suo impasto di siciliano e italiano, che, come lei ha ricordato, Sciascia riteneva troppo ostico, stato alla fine compreso da tutti. Ho perseverato in questa direzione perch non so scrivere altrimenti. Sono passato allitaliano in qualche libro

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recente, ma in italiano il mio stile secco, asciutto, piuttosto banale. La mia lingua stata sempre quel misto di italiano e dialetto che si parlava nelle famiglie piccolo-borghesi. I contadini dicevano che litaliano si impara col culo, cio a scuola, a botte sul sedere: litaliano ci appariva intimidatorio, il dialetto affettivo, confidenziale. In italiano mi sento impacciato, non so manipolare il linguaggio come nel dialetto. Il suo universo immaginario pessimista: i romanzi storici tendono a un feroce umorismo nero, e diventa sempre pi cupo il ciclo di Montalbano, in cui sono quasi spariti i personaggi positivi, baluardo di valori delle prime storie. Erano i personaggi anziani: la maestra, il questore che va in pensione LItalia un paese portato avanti da grandi vecchi: sui loro eredi sono scettico. Penso a un salto generazionale: il Risorgimento fu un movimento di ragazzi, le rivoluzioni le fanno i giovani. E per ora da noi non ce ne sono tanti, secondo le statistiche ne mancano due milioni. Magari le forze arriveranno attraverso il Mediterraneo: a darci una mano saranno quelli venuti da fuori e cresciuti qui, da cittadini italiani.

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Si parla spesso del poliziesco come luogo di rinascita dellimpegno. Ma in alcuni casi mi sembra che i tentativi di denuncia ricadano nelle trappole della produzione di svago: le antinomie tra buoni e cattivi, i miti fuorvianti sui codici donore dei criminali del passato e cos via. Come la vede? Vari autori, come Lucarelli o Carlotto, riescono senzaltro a usare il noir per trattare scottanti questioni dattualit. Certo, poi, narrare il crimine complesso: c il rischio di cadere in opposizioni manichee, c quello di trasformare un delinquente in una macchietta bieca o di dargli una statura eroica. Io cerco di evitare gli stereotipi: Balduccio Sinagra, lanziano mafioso del ciclo di Montalbano (ispirato a una figura vera) lontano dai clich sui vecchi uomini donore. Daltronde, Montalbano ha parecchi aspetti negativi, e non ha alcuna fiducia nella giustizia: cerca una verit possibile ma se ne frega del seguito delle sue scoperte, sa che la verit processuale non sar mai la verit delle cose. Nei suoi libri i riferimenti letterari hanno un ruolo che va oltre il gioco citazionistico, la memoria letteraria appare essenziale supporto conoscitivo. Per comprendere la realt la letteratura determinante: uno strumento di indagine, un grimaldello.

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ra gli artisti chiamati dallallora sindaco Ludovico Corrao a ricostruire Gibellina, rispose allappello anche Alberto Burri. Era il 1981. Racconta Corrao: Lo portai a Gibellina, capii che la citt nuova non gli interessava e gli dissi: Lei libero di scegliere cosa vuole fare, dove vuole farlo. Poi lo portai alle rovine e lui era scosso, lo vidi con le lacrime agli occhi, si voltava per non farsi vedere. La sera mi disse: Sai, ho avuto unidea, ma non te la dico, perch magari ti spaventa. Restai esterrefatto. Ricordo che volle mettersi subito al lavoro per creare il modello e partimmo. Lopera comincia a prendere forma nel 1985. Su una superficie quadrangolare di circa 10 ettari le maceri del paese terremotato vengono compattate e ricoperte da cemento bianco a formare delle insulae alte circa 1 metro e 60. Tra

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esse si dipanano i percorsi pedonali che seguono il sistema viario del vecchio paese. Per finanziarla, il Comune ricorre agli sponsor (la Italcementi, la Cassa Centrale di Risparmio o il Banco di Sicilia), allaiuto di volenterosi e generosi imprenditori edli della zona e a qualche geniale stratagemma: il Cretto viene camuffato e finanziato come opere di sistemazione idrogeologica dellarea. Per lo Stato italiano tutto poteva essere finanziato, ma non unopera darte in quanto tale. I lavori si fermeranno nel 1989, dopo aver realizzato 65.000 mq dei 95.000 previsti. Da allora labbandono, e con esso anche il deterioramento. In compenso le nuove amministrazioni comunali hanno celermente autorizzato discutibilissime pale eoliche sullo skyline dellopera. Circa un anno fa il senatore Corrao mi esternava tutta la sua tristezza per non essere ancora riuscito a vedere completato e salvo il grande Cretto. E io, memore degli appelli che per la ricostruzione di Gibellina erano stati lanciati da molti intellettuali (come quello di Sciascia, Levi, Guttuso e tanti altri a due anni dal terremoto del 68), gli promisi che mi sarei fatto carico di lanciarne uno per il Cretto. Un centinaio di uomini di cultura e artisti hanno aderito con entusiasmo, tra gli altri Claudio Abbado, Robert Wilson, Renzo Piano, il direttore della Fondazione Guggenheim Richard

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Armstrong, Anselm Kiefer, Jan Fabre e tutti i vertici delle massime istituzioni di arte contemporanea italiane sollecitate (tranne Palazzo RISO di Palermo, museo del contemporaneo della Regione, con tanto di incomprensibile motivazione scritta del suo direttore Sergio Alessandro). Qualcosa successo: il Ministero e la Regione hanno risposto allappello, destinando al restauro del Cretto 1,1 milioni di euro dei fondi del Lotto riservati ai beni culturali. Di fatto lo Stato riconosce al Cretto dignit di opera darte, e lo acquisisce nel patrimonio artistico della nazione. Ma di finanziare anche il completamento sembrano, almeno per ora, non volerne sapere, sostenendo che allo scopo bisogner cercare fondi privati. Affaire suivre. n. s. Altri percorsi di lettura: Nicol Stabile La linea della palma

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La Sicilia incancellabile
Conversazione con Andrea Cortellessa Lincontro con Emilio Isgr sornione, felpato, ma cogli occhi sempre febbrili si svolge a Venezia, il giorno dopo linaugurazione della Biennale. La registrazione si inceppa, ripartiamo da capo. La conversazione abrasa e smozzicata ci introduce ovviamente al dispositivo al quale sin dal 1964 resta legato il suo nome: la Cancellatura. C un libro, curato da Alberto Fiz nel 2007 per Skira, che raccoglie i tuoi testi teorici e sintitola La cancellatura e altre soluzioni. In che senso la Cancellatura per te stata e rimane, appunto, una soluzione? Spesso nel Novecento larte s accanita nel mito dello stile. In rari casi invece (penso a Duchamp o allo stesso Picasso) ha creato una lingua. Ecco, io penso alla Cancellatura come a

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una lingua, non come a uno stile. Per questo non mi ha mai tradito. Ha resistito al tempo, ai ritrovati della tecnologia che oggi mettono larte allangolo. Oggi viviamo in un ready-made planetario supportato da una classe di burocrati: la vecchia nomenklatura sovietica allargata a una nomenklatura planetaria con in prima fila, non per caso, gli eredi mutanti di Brenev. Questa nomenklatura petrolifera e nave acquista le merci scintillanti della Parart Globale con la stessa abnegazione con la quale pregiava i prodotti del Realismo socialista. Un tempo la statua doro di Stalin, oggi il teschio tempestato di diamanti. Al confronto i petrolieri del Texas, che collezionavano Oldenburg o Warhol per darsi un tono, fanno tenerezza. Quanto allEuropa, meglio non parlarne. Fa la vecchia zia turbata che dice solo io ve lavevo detto. Ma alla fine, povera, si accoda anche lei. Se la Cancellatura una lingua la si pu usare nei contesti pi diversi e anche con intenti di volta in volta diversi. Una volta hai scritto: La mano che cancella la sola che pu scrivere il vero e il falso insieme, senza che questo comporti necessariamente un giudizio. Colpisce sempre, nel tuo lavoro, come tu intervenga con assoluta, chirurgica esattezza (il caso pi recente quello della Costituzione cancellata) ma mai con unintenzione esplicita. Quando

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cancelli un testo non ti limiti a negare quanto quel testo afferma n, viceversa, protesti contro chi quella negazione stia compiendo. La Cancellatura dunque un attrattore, un evidenziatore negativo: che allattenzione di chi guarda pone un certo oggetto. Non attacca quelloggetto n lo difende: in realt fa le due cose insieme. Non che non voglia esprimere giudizi per qualche forma di cautela. Penso per che lefficacia di un artista debba spingere gli altri a esprimere giudizi. In caso contrario, fa arte di propaganda. Per questo credo che lartista sia lunico antidoto in una societ che evita di formulare giudizi. Non in quanto giudica lui stesso non abbiamo pi bisogno di grilli parlanti. In fondo sia lartista davanguardia che quello pompier hanno voluto essere la coscienza del proprio tempo. Invece tu evadi da questo ruolo e proponi lartista semmai come incoscienza del suo tempo. Cio come perturbatore-attivatore del suo inconscio. Nel rendersi inconsapevole nella massima consapevolezza lartista gioca un ruolo sociale importante. Mette sotto i piedi la propria intelligenza e risveglia lintelligenza degli altri. Noi impariamo dagli errori dellartista, dai suoi torti: non dalle sue ragioni. Impariamo da Cline, da Pound

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In questanno di soffocamento celebrativo ho trovato corroborante il tuo Garibaldi. Un Garibaldi mezzo siciliano, mezzo emigrante, molto diverso dalla vulgata. Il Garibaldi che, al contrario di quello storico, fa la scelta di disubbidire anche unallegoria dellartista. Che si sottrae alle sue responsabilit, ma cos esautora i meccanismi coercitivi che tutti ci stringono nella stessa morsa. La prima disobbedienza nei confronti di tutto ci che gi noto, tutto ci che prescritto. Pensa alla provocazione. Chi ha cancellato lEnciclopedia e la Costituzione lartista provocatorio per antonomasia. Ma la provocazione, nellarte di oggi, ha lo stesso valore delle lacrime in De Amicis. Lopera per fortuna mi sfugge di mano: la lingua che provoca, la Cancellatura che oltraggia, ma io personalmente sono un bigotto, in politica un pauroso. Anche se credo di essermi sempre comportato benino e dunque, seguendo la tua logica, da pessimo artista! benino relativamente Diciamo che non mi identifico coi forcaioli di nessuna risma. La citt in cui sono nato, Barcellona Pozzo di Gotto, era assai curiosa. Era la sede del Manicomio giudiziario, ma era tutto un manicomio in effetti! Era molto anarchica, cera un busto a Giordano Bruno E io ho

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sempre avuto la massima tolleranza per chi diverso da me. Non tolleranza anzi, vero affetto. Fra gli artisti di oggi chi senti pi vicino? Non per linguaggio ma per temperamento. Giorgio Gaber diceva cose simpatiche. Anche Dario Fo, il suo grammelot mi pareva avere una funzione simile alla Cancellatura. Ricordo che a un convegno sulla drammaturgia al Piccolo di Milano io avevo appena fatto lOrestea di Gibellina lui intervenne in mio favore. In fondo entrambi facevate un uso non purista del dialetto. Oggi in letteratura quella del dialetto una nuova Arcadia, nella societ s affermata una retorica museale del dialetto sino alle proposte di insegnarlo a scuola. Il dialetto che mi interessa sempre contaminato e corrotto. Sarebbe inverosimile che in un mondo che tutto contamina e corrompe il dialetto possa restare intatto. In Sicilia poi! La mafia viaggia, si esporta. E viaggiano pure le persone per bene, per fortuna. Tornando con innesti che modificano la realt della lingua. Mio padre per esempio morto lanno scorso, a 99 anni e sei mesi ha lavorato in Svizzera negli anni Cinquanta, era un artigiano ebanista, fabbricava

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bellissime vetrine per gli orologi. E la sera andava a suonare il sax nei locali jazz o al grande Circo Knie di Losanna... Compose uno dei valzer tirolesi pi popolari. il massimo dellautenticit, il valzer tirolese tipico composto da uno di Barcellona Pozzo di Gotto! Senti, in questo numero di alfabeta2 si parla parecchio di Sicilia. Tradizionalmente si insiste sullisolamento, lisolitudine della Sicilia. Tu ti sei allontanato presto dalla Sicilia, e il tuo legame con questa identit stato quello di corromperla, deformarla, sfregiarla. Cos rendendola pi reale perch oggi lidentit di tutti noi corrotta, sfregiata e sfrangiata: mescolata con quella degli altri. La mia Sicilia corrottissima. Non solo in senso pubblico, sociale e politico (come il resto del paese, daltronde). Ma dalle radici: per la sua capacit di assorbire tutto, di nutrirsi di ogni succo culturale. Uno come Pasolini sera potuto illudere che le borgate fossero pure, ma anche lui s dovuto ricredere. Proprio lui peraltro, recensendo il mio primo libro, contrapponeva il mio impianto cosmopolitico alla sicilitudine tradizionale per lui incarnata da Quasimodo. Nel 56 ero arrivato a Milano: la citt di Vittorini, di Volponi, di Ottieri mio grande amico. Eppure, nel bene e nel male, la Sicilia resta incancellabile... Quando ho capito che ci si stava

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uniformando in quella che poi sarebbe stata definita globalizzazione, ho attinto a quel sostrato con lOrestea di Gibellina. Senza alcun intento puristico ovviamente. E infatti non lOrestea di Siracusa o di Segesta. Ma di Gibellina appunto: cio di una Sicilia piuttosto bizzarra, anzi proprio surreale. Il sindaco Ludovico Corrao stava innestando sullidentit arcaica del paese, non senza attriti, la modernit artistica pi spregiudicata. Daltra parte il tuo era un teatro civile, che si rivolgeva alla comunit ferita dal terremoto. Mi venuta in mente quello che poco tempo prima aveva detto Carmelo Bene dedicando la sua lettura di Dante dalla Torre degli Asinelli, nellanniversario della bomba alla stazione, da ferito a morte, non ai morti ma ai feriti dellorrenda strage. Era ed un uomo piuttosto straordinario, Corrao. Fece s che la mia sperimentazione si rivolgesse a tutti. Voleva pure che ci recitassi, nellOrestea. Ancora oggi ogni tanto torna alla carica, e chiss che un giorno non lo faccia davvero Nel tuo primo romanzo, Lavventurosa vita di Emilio Isgr, il tuo nome non altro che una stringa di testo di cui si dice tutto e il contrario di tutto. Tu l sei davvero un personaggio, fatale che finisca per fare lattore di te stesso.

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In realt questo della maschera precisamente il pericolo da cui mi sono dovuto guardare. Mi sono dovuto ritrarre, in certi momenti. Si trattava in fondo di ristabilire una vita normale, con tutte le fragilit e tutti gli errori. Spesso parli di comunicazione. In giovent hai fatto il giornalista, e in effetti la Cancellatura rientra anche in una strategia comunicativa. Un altro modo per intenderla con la falsificabilit di Popper: nel mettere alla prova lenunciazione mette alla prova i propri enunciati. Quarantanni dopo, per, molti oggi (penso per esempio a Mario Perniola) se la prendono, mi pare non a torto, proprio con la comunicazione. A me pare di aver fatto qualcosa di diverso, per, da quello che allora faceva per esempio Warhol, tutto allinterno del sistema comunicativo. In questo senso lui stato il profeta dellarte di oggi, a tutti gli effetti un mass media. Paradossalmente larte, che passa per essere latto libero per definizione, uno degli strumenti della comunicazione pi controllabili e controllati. Oggi larte fa da coperchio allesistente. Non dimostra che il mondo esiste, ma che deve esistere esattamente com. Non rappresenta il mondo: lo accarezza, lo massaggia.

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Emilio Isgr, Una indivisibile minorata, 2010. (da La Costituzione Cancellata) Galleria Boxart, Verona

Questa unarte che non ti piace. Diciamo che non il mio forte. Eppure spesso mi sorprendo ad affascinarmi ai cattivi artisti. Mi piace la bella materia, la bella confezione. Mi piacciono tutti, in verit; vorrei essere bravo come loro. Una nozione di artisticit generica e diffusa ha sostituito larte come idea fondante delle identit umane. Basta fare la faccia da artisti per impressionare

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luniverso sbadato mentre i veri artisti si vestono da professori, da ragionieri, talora da gelatai. Mai da chierici consacrati. Fatto sta che si lavora per il pubblico e mai per se stessi. Ma lartista che lavora per i propri destinatari, e mai per se stesso, come lamante che grufola e suda per soddisfare il partner, col risultato che alla fine non gode lui e non gode lei. Il piacere dellarte e della scrittura non pu essere soltanto di chi la fruisce ma anche, se non soprattutto, dellartista che la pratica. Altrimenti sar un coito ininterrotto, disperato: se io non godo, non godi nemmeno tu. Neppure i cardellini cantano per il piacere esclusivo degli uomini. E tuttavia la sorte non ineluttabile: basta una spallata, anzi una spallatina Godete, artisti. Godete, angeli. Godete e moltiplicatevi. Dopo Garibaldi e Cristo, ora fai direttamente Dio. C un tuo testo di qualche anno fa, lOdissea cancellata, che ora forse andr in scena. Quella di Ulisse una figura che pu mettere insieme tutto. Insieme la saggezza e linganno, s. La capacit picassiana di dire il falso per affermare il vero. Da ragazzo mi colp molto una novella di Pirandello, Il corvo di Mizzaro. Un contadino scopre un corvo che cova le uova, e lo irride perch quel compito spetterebbe alla sua femmina. Allora gli lega una

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campanellina alla zampa e lo porta con s. Un giorno per il suo asino lo trascina in un burrone, e il corvo se ne vola in cielo con la sua campanellina. Io mi sono sempre immedesimato con la capacit di sorprendere del corvo di Mizzaro; soprattutto con la sua generosit nel fare qualcosa che gli altri non fanno. Il corvo lartista, e il contadino che lo prende con s la societ. Solo che al momento della crisi lartista che si salva, mentre la societ cade nel baratro! Quando durante la guerra cerano i bombardamenti la notte ci rifugiavamo nt vadduni, in una valle incassata e profonda. Per me era una festa naturalmente. C chi ha detto che la mia arte come una superficie levigata che nasconde il crepaccio sottostante. Senza questa insicurezza non avrebbe senso. Sono come quegli erotomani che per fare allamore con la moglie devono raggiungerla dal cornicione! Sei in mostra dappertutto, escono i tuoi libri, tutti ti cercano (noi per primi). Sembra davvero un nuovo momento Isgr. E ci si chiede: come mai proprio adesso? Alla fine degli anni Zero siamo di fronte a una tabula rasa delle aspettative? In momenti come questi non si pu ripartire che dalla Cancellatura?

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Quella della Cancellatura una dialettica. Sotto la cancellazione c una possibile rinascita e riscoperta del mondo. La gente non ha voglia di morire; in momenti come il nostro ha bisogno di due cose. Una la religione, e si visto cosa ha prodotto negli ultimi dieci anni. Laltra alternativa, dallOttocento in poi, appunto larte: come libert delluomo, custodia della sua integrit. E probabilmente la Cancellatura d la sensazione che questarte libera sia davvero possibile. Mi ricordo che a una delle prime mostre, dal mio amico Arturo Schwarz, mi resi conto che la Cancellatura rischiava di essere letta in chiave nichilista. Mentre per me doveva essere una forma di distruzione creatrice, per dirla con Schumpeter o di distruzione Beatrice, per dirla con Mallarm. Cos per tutta la vita mi sono sforzato di dire che la Cancellatura un gesto costruttivo, il verbum reincarnato ho fatto persino il Cristo cancellatore. Tanto ho insistito che hanno finito per crederci tutti, e ho dovuto crederci anchio.

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Emilio Isgr, Il rosso e la macchia, 1985 (dallinstallazione multimediale La Veglia di Bach) Teatro alla Scala / Chiesa di San Carpoforo, Milano

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Emilio Isgr Garibaldi [] tra una guerra dindipendenza e laltra me ne andai a New York a fare il candelaio nella bottega di Meucci Antonio, un fratello toscano, un po demonio, che di talento, ventre e forse genio ne aveva sicuramente da vendere Questo Meucci era mazziniano, uno che sarrangiava come un pazzo per mettere ogni giorno qualcosa sotto i denti; e quando chiesi aiuto non mi fece attendere. Tout de suite mi tese la sua mano, passandomi un plateau di cera vergine da transformer in candele e cose simili. Oui, oui, obbedisco gli risposi

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in un francese insipido, per via che ero nato a Nizza, pas loin de la France, e labitudine mera rimasta, appresa da ragazzo, de manger gli spaghetti con la pizza ma de parler en franais quando ero distratto e la mia cara Italia non correva pericolo. Mi replic in inglese, il toscano ridicolo, aspirando le C in acca inesorabili, infernali Cos mi misi allopera e per quasi tre anni, quanto rimasi l, io feci pi candele di tutti i candelai dEspagne e de Sicile, tali da riempire case di re e baroni, vescovi e cardinali. Io, il mangiapreti avido, il massone, non avevo saputo rispondere di no, dimenticando in quella sporca fabbrica di essere un soldato, unaquila, un eroe. Uno chiamato a fare il gran diniego e invece si prosterna e dice prego persino a chi gli manca di rispetto. [] Mi riferisco al grillo che quando scesi dal mio Rubattino

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vol sulla mia spalla con un grido straziante di cricr, e l rimase finch la prima scarica borbonica di fuoco e di bombarde non lo spinse da qualche altra parte a respirare laria delle campagne allalba, prima che i nostri Mille avessero ragione del re Borbone e delle sue legioni. Ma poi torn, il grillo stitico, parlante, portandomi il messaggio di Vittorio: Da oggi obbedirai a chi ti chiede di levarti i calzoni e le mutande quando ti parla il grande re maniaco, Colui che sa senza sapere nulla. Questo mi disse il grillo chiacchierone, mentre mi volteggiavano sul capo due o tre rondini tardive, grasse come quaglie, prontissime a squittire al mio comando per sedurre meglio la mia anima stanca, bombardata. E j sempri dd, a frimi nculari dopo Aspromonte, Teano, Bezzecca. Finch non mi costrinsero a Caprera

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a giocare coi reumi e con la sciatica. E se oggi torno qua, a Marsala, dovio stesso chiamai madre lItalia, non per lamentarmi della mia vilt (perch anche gli eroi a volte tremano, si sa) ma solo per ripetere a voi tutti, figli duna repubblica non ancora monarchica, una promessa nuova, sgradita ai farabutti. Mai pi dir di s a chi mi chiede di pigghirila nculu solo per il piacere di servire la patria e il re che mi governa e mi sgoverna insieme. Mai pi dar sostegno alla masnada delle anime perse in questo regno. Me ne andr per viottoli pi aspri, per strade buie che portano alla luce. Coro maggio. Lundici di mju mille ottucentu sissanta. Chi ura ? Chi ura dictimi!

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Chi sta camurra? Chi sta campanazza che sbatte e mi minaccia? Cos questa sentenza di grilli in parlantina che cantano cricr dicendomi di s? Garibaldi S, effettivamente maggio: lundici di mju mille ottucentu sissanta, non lo posso negare. Il maggio che aspettavo e c una luce buia che attende di essere spenta prima di riaprire il gioco delle spade e delle parole. Delle ombre mi libero a poco a poco per queste strade cariche di sale. Scaricando la rabbia, scaricando la bile. Ma non importa, non importa il sole, non importa la sabbia, non importa la lingua. Io parlo come mangio solamente in segno di rispettu pi sta mnchia ingannata dai martiri e dagli eroi.

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Mai cchi dir oui a cu mi cunta chi tuttu cc va beni e non conviene toccare certi temi con il rischio di confondere il popolo paziente svegliandolo dal sonno millenario. Mai pi aggiogher i buoi al carretto sbagliato salutando vossa binidica re Vittorio. Mai pi dir obbedisco a chi mi chiede di scendere dal mio cavallo bianco. Disobbedisco a tutto: anche alle rondini. Disobbedisco, in ordine di composizione e messa in scena (il 13 maggio 2010, al Convento del Carmine di Marsala), lultimo fra i testi compresi nel libro di Emilio Isgr, LOrestea di Gibellina e gli altri testi per il teatro, appena uscito a cura di Martina Treu, postfazione di Dario Tomasello, con la collaborazione di Laura Cammarosano nella collana fuoriformato da me diretta per Le Lettere di Firenze. Evidente lintenzione da parte di Isgr di celebrare, alla sua maniera ovviamente, il centocinquantesimo anniversario dello sbarco dei Mille (11 maggio 1860) e della controversa storia che segu (il 14 maggio, a Salemi, Garibaldi assume la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II). Nelloccasione per la prima volta Isgr ha raccolto e presentato le opere da lui

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dedicate alla sua terra, creando la nuova installazione Sbarco a Marsala e inaugurandola appunto con la messa in scena di Disobbedisco, nella quale ha interpretato in prima persona il personaggio di Garibaldi. Come ha scritto Martina Treu, si tratta di un antieroe errante, irrequieto e agitato, stanco eppure senza riposo, accaldato e col fiatone, appesantito dagli anni e dal corredo comico di un cavalluccio e di un ombrello bianco. Questultimo significativamente costellato di quei formiconi grassi che caratterizzano molte opere e installazioni dellartista visivo, come spie del caos, del sovvertimento, dello svelamento e della demistificazione operati da Isgr [] leroe man mano sente gravare sempre pi sulle spalle il peso dei suoi anni, dellultimo secolo e mezzo, dei tradimenti e delle delusioni seguite al giorno del suo sbarco a Marsala. Da qui scaturisce la scelta di disobbedire, di contravvenire alle aspettative e alle gerarchie, di sovvertire la storia e lordine costituito. La vocazione allerranza, allinsubordinazione e allo spiazzamento che da sempre connotano la ricerca dellartista hanno insomma trovato un nuovo mito elettivo. Da sempre, in fondo, partito preso di Emilio Isgr si pu dire sia stato quello di parlar male di Garibaldi a. c.

Disobbedisco

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Enrico Donaggio

n aforisma di Adorno che, per una volta, sfila lutopia dalloscurit in cui la protegge ogni sua riga: Alla domanda circa il fine della societ emancipata si ottengono risposte come la realizzazione delle possibilit umane o la ricchezza della vita Risposta delicata sarebbe solo la pi grossolana: che nessuno debba pi patire la fame. E il controcanto di Werner Sombart, dove lo stupore per la scoperta non cede ancora al cinismo con cui, da allora, si d conto del tradimento dei miserabili: Davanti a un roast beef e a una torta di mele sfuma ogni utopia. Sono questi gli estremi del problema, il marchio che la questione del cibo imprime oggi allarcano dellemancipazione. La sconfitta della fame rappresenta infatti la mossa dapertura e la meta obbligata, il grado zero della lotta per

Desidera ancora qualcosa?

la soddisfazione di bisogni legittimi e universali. Prima mangiare, poi la morale. Perfetto. Ma la fuoriuscita dallindigenza elementare e lapprodo a una qualche dignit possono avvenire secondo modi che, da un lato, disinnescano le istanze ideali che avevano nutrito il sogno di una vita migliore; dallaltro, in un opaco intreccio di ricadute, rinsaldano un sistema capace di assimilare e digerire ogni cosa. Vincere lassillo umiliante di procacciarsi il pane, per sprofondare nel torpore di unabbuffata senza desideri: il mistero della saziet politica stringe da tempo allo stomaco un pensiero esigente. Ecco lorizzonte entro cui si possono forse disporre malgrado stile e posizioni diversissimi gli interventi di questo focus: il cibo come campo di battaglia tra bene comune e merce, diritto fondamentale e ossessione, felicit e nausea.

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Emilio Isgr, Lora italiana, 1985. Installazione. Collezione Intesa Sanpaolo

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Intervista a Massimo Carlotto di Enrico Donaggio e Enrico Terrone I piedi nel piatto Daniela Tagliafico La mamma cucina, ma lo chef maschio Andrea Borghini Il cibo e il suo rimosso geografico Torna al men

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Il cibo e il suo doppio

Il diritto al cibo
Stefano Rodot

enso sia opinione condivisa che il modo pi corretto di guardare al diritto al cibo e alle sue molteplici declinazioni come diritto a unalimentazione sana, sicura e adeguata di considerarlo un elemento fondamentale della cittadinanza globale, intesa come un insieme di diritti che accompagnano le persone ovunque esse siano. Questo approccio confermato dal lungo cammino del diritto al cibo a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti delluomo delle Nazioni Unite, fino ai documenti pi recenti, come il decreto brasiliano sulle politiche per la sicurezza alimentare e la nutrizione (25 agosto 2010) e la nuova Costituzione kenyana (27 agosto 2010); una riforma ancora pi considerevole della Costituzione indiana sar inoltre approvata di qui a breve. Questo dimostra un

Il diritto al cibo

passaggio dallapproccio verticistico della battaglia contro la fame nel mondo a un approccio orizzontale, in cui i paesi interessati divengono protagonisti attivi. Siamo di fronte a una vera e propria costituzionalizzazione diffusa di tale diritto, che corrisponde alla pi generale costituzionalizzazione della persona, punto di riferimento dei pi recenti sviluppi del diritto. Per comprendere meglio questo approccio vorrei fare due osservazioni di carattere generale. In primo luogo il diritto al cibo pu essere, ed stato classificato, come uno dei nuovi diritti, in quanto facente parte della quarta o quinta generazione di diritti. Ma lespressione nuovi diritti pu dar luogo a una pericolosa ambiguit. Crea la sensata impressione che i diritti si rinnovino costantemente per soddisfare una realt che si modifica di continuo. Al tempo stesso, tuttavia, lascia intravedere anche una contrapposizione tra diritti nuovi e vecchi, come se il tempo dovesse consumare quelli pi remoti, lasciando il campo a un prodotto migliore, pi aggiornato e scintillante. Si parla di generazioni di diritti, e questa terminologia, identica a quella in uso nel mondo dei computer, potrebbe suggerire che ogni nuova generazione di strumenti si sostituisca alla

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precedente e la condanni allobsolescenza e allabbandono definitivo. Ma lesperienza storica, tradottasi in documenti internazionali di grande rilevanza come la Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, evidenzia un punto di vista differente, sottolineando linscindibilit dei diritti, e quindi un processo di accumulazione e integrazione, non di sostituzione. Di conseguenza, quando si considerano i diritti che riguardano pi direttamente la persona, i suoi valori e interessi, necessario ricostruire e interpretare tutto linsieme dei diritti riconosciuti, anche per impedire che alcuni di essi possano essere presentati e trattati come meno importanti ed effettivi rispetto ad altri. Nel caso specifico, il diritto al cibo, e pi precisamente alla sicurezza alimentare, obbliga a un approccio nuovo, a una riconsiderazione delle tre categorie fondamentali del pensiero politico, etico e giuridico la libert, la dignit, leguaglianza e dello stesso diritto alla vita, la cui dimensione sociale si comprende ancora meglio proprio attraverso lapproccio del diritto al cibo. Pi in generale, ed questa la seconda osservazione, va rilevato che oggi, in una dimensione globale in cui il concetto di sovranit spesso scompare e si manifestano poteri incontrollabili, sono proprio i diritti fondamentali a

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rappresentare il solo contrappeso valido e lunico strumento nelle mani dei cittadini. Nellera della cosiddetta fine delle ideologie, con lapertura a una logica unica e forte, quella del mercato, la proiezione dei diritti fondamentali su scala mondiale rende evidente che esiste unaltra maniera per entrare a far parte di un mondo in continuo mutamento. significativo che la Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea sia stata concepita proprio come uno strumento indispensabile per passare dalla costruzione dellEuropa soltanto attraverso il mercato, a unEuropa fondata sui diritti umani, dando cos allUnione europea una nuova legittimazione, pi forte e adeguata. In questa prospettiva, la progressiva specificazione del significato e dei limiti del diritto al cibo assume una particolare rilevanza. Al suo esordio, nellarticolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti delluomo, il diritto allalimentazione era considerato come uno degli elementi del pi generale diritto a un tenore di vita adeguato. Poi, e in particolare nellarticolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, stato meglio definito come diritto a unalimentazione adeguata e ha raggiunto un primo livello di autonomia con la stringata definizione diritto fondamentale di ogni individuo alla libert dalla

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fame. Non possibile qui seguire passo dopo passo levoluzione successiva; essa ha dato vita a un pi esteso diritto, la cui complessit comprende lesistenza di ogni individuo nella sua interezza, e che diventa precondizione della democrazia stessa. Insomma, il diritto alla sicurezza alimentare deve essere considerato un elemento chiave per comprendere la reale situazione di una societ.

i nonostante, in questa fase della sua evoluzione, il diritto al cibo, soprattutto nella sua forma di diritto alla sicurezza alimentare, risente della difficolt a rendere effettivi a livello mondiale tutti i diritti fondamentali. I tentativi di associare la dimensione globale dei diritti fondamentali a istituzioni specifiche hanno reso possibile la creazione di molteplici costituzioni civili, come stato rilevato da Gunther Teubner[1], legate a dinamiche sociali ed economiche piuttosto che allesercizio di poteri politici e costituzionali. Tuttavia questi tentativi sono stati criticati da chi ritiene che porterebbero a un mondo privo di un centro, caratterizzato da un neomedievalismo istituzionale[2], precludendo cos il costituirsi di garanzie comuni, e sono stati accolti con scetticismo da una cultura giuridica

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che ritiene che i diritti non possano trovare applicazione efficace in una dimensione globale. Ma questa tesi stata in parte confutata dal progressivo costituirsi di una comunit globale di tribunali per la tutela dei diritti. E noi siamo sempre pi consapevoli del fatto che la realizzazione di una tutela effettiva dei diritti non pi appannaggio esclusivo dei tradizionali procedimenti giudiziari; che pu essere messa in atto con iniziative promosse dalla societ civile, le quali, avendo come punto di riferimento i documenti internazionali, possono tradurre in pratica quelle garanzie. Per esempio, quando si diffuse la notizia di alcune multinazionali che facevano cucire scarpe e palloni da calcio a bambini indiani e pakistani, i gruppi per i diritti civili minacciarono il boicottaggio se le aziende non avessero cessato di servirsi del lavoro minorile. Riuscirono nel loro intento per una serie di ragioni, ma nel nostro caso opportuno sottolineare che sono stati strumenti diversi rispetto a quelli propri dei meccanismi giuridici tradizionali, come il ricorso a unazione legale, ad assicurare leffettivit dei diritti dei bambini. La stessa logica potrebbe presentarsi nellambito dellalimentazione, dove le pressioni da parte della societ civile e lazione diretta dei cittadini stessi, facendo appello ai diritti fondamentali, possono

Il diritto al cibo

produrre un modello di diritto informale ma efficace, affinch il diritto al cibo sia preso in seria considerazione. Il caso appena menzionato dimostra che bisogna andare oltre la tradizionale distinzione fra documenti legalmente vincolanti e non vincolanti e solleva la questione delle strategie da mettere in atto per rendere effettivo laccesso al cibo, che poi il problema centrale della sicurezza alimentare. A questo punto vorrei segnalare molto brevemente cinque punti importanti del dibattito attuale.

accesso un concetto chiave nel dibattito giuridico contemporaneo. Laccesso alla conoscenza, ai dati personali, alla salute sono ampiamente riconosciuti come diritti fondamentali della persona. Non condivido lapproccio di Jeremy Rifkin quando sostiene che laccesso rende irrilevante il riferimento alla propriet[3], perch la propriet privata ancora uno dei principali ostacoli per laccesso delle persone al cibo, come evidenziato, per esempio, dai brevetti nel settore agricolo. E noi tutti sappiamo che laccesso al cibo si traduce prima di tutto in un obbligo che gli organismi pubblici devono rispettare per rendere effettivo il diritto alla sicurezza alimentare, superando le barriere imposte dallindividualismo proprietario e

Il diritto al cibo

lidea correlata secondo la quale il mercato rappresenta ancora lo strumento migliore per rendere effettivo il diritto allalimentazione. Come si pu fare in modo che le risorse per laccesso al cibo siano alla portata di tutti? Esistono diverse strategie. Consideriamo, per esempio, lacqua, ora riconosciuta come un elemento essenziale del pi generale diritto al cibo. In questo caso il fatto che siamo di fronte a una risorsa al tempo stesso vitale e sempre pi scarsa implica che lacqua debba essere definita come un bene comune, pubblico e globale, rientrando cos nel novero di quei beni per laccesso ai quali non necessario godere di risorse finanziarie, perch essi per loro stessa natura non possono essere oggetto di calcolo economico. Dunque, il primo ruolo che gli Stati devono avere quello di selezionare quali beni siano accessibili attraverso il mercato e quali irriducibili alla logica di mercato. Ancora una volta il diritto allalimentazione mette in risalto un pi generale e ineludibile tema del nostro tempo: lopposto della propriet, rappresentato dai beni comuni globali. Ma non basta estromettere dal mercato alcuni beni. necessaria unulteriore strategia, che prenda in considerazione il modo in cui viene prodotto il cibo allinterno di

Il diritto al cibo

uneconomia sovralimentata, supercapitalistica[4], e che al contempo esprima o comunque rispetti i diritti dei produttori e quelli dei consumatori, ora uniti dallidea di Slow Food, ponendosi come obiettivo anche la tutela della salute e dellambiente. Ancora una volta il diritto al cibo apre uno scenario pi ampio in materia di diritti umani e comprende fra gli attori anche le future generazioni. Laccesso uno strumento fondamentale per il raggiungimento di unalimentazione adeguata. Ma, a questo punto del dibattito, necessario soffermarsi sul riferimento alladeguatezza. Adeguatezza significa andare oltre lapproccio minimalista, sebbene fondamentale, della libert dalla fame. Attraverso il diritto alla sicurezza alimentare si nutre non soltanto il corpo, ma anche la stessa dignit della persona. Ci implica che ladeguatezza non sia solo un concetto quantitativo, ma qualitativo. Il relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto allalimentazione, Jean Ziegler, ha sottolineato che ogni individuo ha diritto a unalimentazione adeguata e sufficiente, corrispondente alle tradizioni culturali del popolo a cui appartiene e che assicuri una vita fisica e mentale, individuale e collettiva, soddisfacente, dignitosa e libera dalla paura. Dobbiamo tener conto di questa indicazione se vogliamo costruire un mondo

Il diritto al cibo

multiculturale. Cos la sicurezza alimentare si coniuga con la dignit umana e il rispetto della diversit culturale (si vedano, per esempio, gli articoli 1 e 22 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea); il principio di non discriminazione (articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali); il diritto al libero sviluppo della personalit (articolo 2 del Grundgesetz tedesco e della Costituzione italiana); lampia definizione di salute dellOms come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la mera assenza di malattia o infermit: lintegrit della persona (articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali). Dunque, il diritto al cibo conferma la sua attitudine a essere punto di convergenza di princpi giuridici fondamentali, che in esso si concretizzano, fondando cos un nuovo contesto giuridico. Considerato come uninterfaccia essenziale per una molteplicit di diritti fondamentali, il diritto alla sicurezza alimentare un potente strumento contro ogni forma di riduzionismo, in particolare contro la trasformazione delle persone in consumatori passivi, o per meglio dire in persone consumate, secondo lanalisi di Benjamin Barber sul passaggio da cittadini a clienti[5]. La piena attuazione del diritto al cibo necessaria per evitare questo destino e

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difendere con fermezza lintegrit e lautonomia di ogni persona. Tutti questi argomenti confermano lassunto iniziale: il diritto a unalimentazione sana, sicura, adeguata va considerato come uno dei pi fondamentali tra i diritti fondamentali. Dobbiamo essere consapevoli che soltanto la piena attuazione di questo diritto dar allumanit la possibilit di lottare contro il drammatico human divide del mondo contemporaneo, che sfida non solo leguaglianza tra le persone, ma la loro dignit e la vita stessa. [1] G. Teubner, Constitutionalising Polycontexturality, in Social and Legal Studies, 2010. [2] M. Castells, Volgere di millennio, Universit Bocconi, Milano 2003. [3] J. Rifkin, Lera dellaccesso. La rivoluzione della New Economy, Mondadori, Milano 2001. [4] R. Reich, Supercapitalismo. Come cambia leconomia globale e i rischi per la democrazia, Fazi, 2008.

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[5] B. Barber, Consumati. Da cittadini a clienti, Einaudi, Torino 2010. Altri percorsi di lettura: Carola Barbero Fenomenologia dello schifo Massimo Recalcati Il disagio della civilt alimentare Intervista a Massimo Carlotto di Enrico Donaggio e Enrico Terrone I piedi nel piatto Daniela Tagliafico La mamma cucina, ma lo chef maschio Andrea Borghini Il cibo e il suo rimosso geografico

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Fenomenologia dello schifo


Carola Barbero

mmaginate di andare al ristorante Specialit dal mondo e chiedere al cameriere i piatti pi particolari. Lantipasto consiste di due succulenti spiedini di grubs, grasse larve bianche ricchissime di proteine (un tempo alimento fondamentale nella dieta degli aborigeni): uno di larve vive, laltro alla brace. Segue poi un tipico esempio di street food tailandese: insetti fritti (grilli, scorpioni, cavallette e cimici) conditi con sale, pepe e chili, serviti su un pezzo di carta. Per il primo la scelta cade su un piatto cambogiano, la famosa zuppa di pipistrello accompagnata dal sangue del medesimo (spremuto in diretta). Il secondo un classico della cucina coreana: stufato di cane con patate. Il pasto si conclude con un dolce colombiano, formiche giganti ricoperte di cioccolato, accompagnato da Baby Mice Wine, il vino di

Fenomenologia dello schifo

riso in cui vengono immersi e annegati topi appena nati, diffuso in Cina e in Corea. Pareri? Impressioni? Sarebbe del tutto normale provare un senso di autentico disgusto, anzi sarebbe forse strano non trovare quei cibi schifosi e rivoltanti. Come mai? Come possibile che un piatto prelibato per un popolo sia invece disgustoso per un altro? Indubbiamente i fattori culturali hanno un peso importante e, in una fenomenologia dello schifo come quella che qui ci proponiamo, bisogna tenerne conto. Cos che ci fa schifo? Per quanto riguarda le caratteristiche dei cibi, spesso il disgusto si basa sulleccesso di un sapore (amaro, dolce, salato), sulla consistenza (molle, gommosa, filamentosa, callosa, dura), o su alcune propriet chimiche (acidit, alcalinit). Per quanto concerne invece la natura dei cibi, il disgusto solitamente associato a quelle specie che nella cultura di chi prova disgusto non sono considerate commestibili (larve, insetti, lumache) o non possono essere consumate in quanto considerate da compagnia, domestiche (cani e gatti per gli europei) o cui viene attribuito un qualche valore intrinseco peculiare, come la vacca in India o il maiale per i popoli islamici. Talvolta si prova disgusto anche per il consumo di parti riconoscibili di

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animali (orecchie, coda, zampe) o dei loro organi (cuore, cervello, fegato, polmoni, testicoli). Un tipo di disgusto diverso strettamente connesso alla sopravvivenza e non determinato da fattori culturali invece quello derivante dalla potenziale tossicit (funghi, carni e uova crude, cibi avariati) oppure dalla modalit di preparazione (scarse condizioni igieniche) o presentazione. Questo tipo di disgusto pone in evidenza la schietta portata evoluzionistica di tale emozione e spiega perch accada che istintivamente (proprio come gli animali) rifiutiamo quei cibi che possono provocare malattie o intossicazioni, e quindi creare danni al nostro organismo. Per esempio, la carne e il pesce crudi possono essere ricchi di batteri e parassiti, alcuni funghi contenere veleni altamente tossici per gli esseri umani. Questa tipologia di disgusto profondamente radicata nella nostra specie anche se, quasi sempre per ragioni legate alle abitudini alimentari della comunit di appartenenza, si pu imparare a superarla. Il disgusto verso cibi potenzialmente dannosi mette in luce come i nostri organismi siano intelligenti: rifiutiamo ci che potrebbe farci male, lo allontaniamo istintivamente, prevenendo cos non solo un senso di nausea e fastidio, ma anche eventuali danni. Come ha ben spiegato Paul Ekman

Fenomenologia dello schifo

che allinterno di uno studio pi generale sulle emozioni primarie (felicit, tristezza, sorpresa, paura, disgusto e rabbia) ha dedicato una particolare attenzione al disgusto il soggetto che prova disgusto arriccia le narici, abbassa gli angoli della bocca, tira fuori la lingua, in breve respinge ci che individuato come la causa dellemozione negativa. Un dato interessante, emerso in un articolo pubblicato dalla psicologa canadese Hanah A. Chapman e collaboratori su un numero di Science del 2009, riguarda le possibili connessioni tra questo tipo di disgusto e quello morale. Non si tratta semplicemente di intendere il disgusto morale in senso metaforico, bens di mostrare come abbia esattamente la stessa origine del disgusto fisico. Lidea che la morale si basi su sistemi affettivi filogeneticamente pi vecchi rispetto ai sistemi cognitivi. Gli studi sperimentali presi in esame hanno infatti mostrato come anche in ambito morale le reazioni emotive possano avere la funzione di riconoscere azioni o comportamenti potenzialmente dannosi. Nellesperimento condotto da Chapman e colleghi sono state messe a confronto le reazioni di disgusto provocate nei soggetti da alimenti potenzialmente tossici o contaminati con le reazioni verso azioni moralmente sbagliate, e sono state sottoposte ad attento esame le rispettive attivit

Fenomenologia dello schifo

motorie facciali. Il risultato stato una piena conferma della tesi (darwiniana) secondo la quale la configurazione delle espressioni del viso da semplice meccanismo rivelatore-regolatore dellambito della sensibilit ha poi acquisito un importante ruolo sociale. Se davvero il disgusto morale ha avuto origine dalla stessa emozione che spinge a rifiutare cibi potenzialmente dannosi, allora non sar per combinazione che si sia rilevata una continuit nelle attivit motorie facciali dei due casi. I soggetti infatti rifiutano la trasgressione di alcune norme morali proprio come rifiutano i cibi avariati: arricciando le narici e allontanando la causa dellemozione. In questo senso evidente come il disgusto proprio come la paura sia unemozione evolutivamente importantissima: se non provassimo disgusto mangeremmo un cibo magari avariato, potremmo stare male o addirittura morire; esattamente allo stesso modo, se non avessimo paura non scapperemmo e potremmo essere attaccati o uccisi. Come gi osservato, per, il disgusto pu essere ammaestrato, controllato, quando non addirittura vinto. Basti pensare al consumo quotidiano di cibi pi o meno pericolosi che avviene in ogni parte del mondo: in un primo momento si trovano disgustosi, poi li si assaggia, ci si abitua, e alla fine magari si sviluppa una vera e propria predilezione. Ci si

Fenomenologia dello schifo

pu abituare a tutto oppure ci sono, tanto nel gusto quanto nella morale, cose per cui, indipendentemente dalla cultura e dalleducazione, non si pu non provare disgusto? E che cosa succede di preciso quando la ripugnanza si trasforma in indifferenza, in piacere, e quindi in attrazione? E infine, una volta superato il disgusto, possibile farvi ritorno? Non che si abbia niente contro funghi e carni crude, per carit. Se il soggetto gode di buona salute e vuole passare il confine del disgusto fa benissimo. Ma che dire invece se si varca la linea del disgusto morale e non si prova pi schifo per comportamenti e azioni moralmente inaccettabili? Che fine si rischia di fare? E, soprattutto, che fine si rischia di far fare agli altri? Forse bisognerebbe pensare a una sorta di Cura Ludovico (la terapia dellavversione a cui in Arancia Meccanica sottoposto il protagonista). Potrebbe sortire buoni risultati (sarebbe pi o meno come organizzare una grigliata di carne in un mattatoio per fare in modo che le persone capiscano ci che stanno mangiando). Magari ci siamo talmente abituati alle cose pi disgustose che abbiamo perso la capacit di riconoscere gli elementi potenzialmente dannosi per noi, e proviamo piacere per ci che rivoltante e pericoloso; ci deliziamo e proviamo attrazione per ci che invece

Fenomenologia dello schifo

dovremmo respingere. La speranza che non si tratti di un biglietto di sola andata, ma sia sempre possibile invertire il senso di marcia. Altri percorsi di lettura: Massimo Recalcati Il disagio della civilt alimentare Intervista a Massimo Carlotto di Enrico Donaggio e Enrico Terrone I piedi nel piatto Daniela Tagliafico La mamma cucina, ma lo chef maschio Andrea Borghini Il cibo e il suo rimosso geografico Enrico Donaggio Desidera ancora qualcosa?

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Massimo Recalcati

1.

Il disagio della civilt alimentare nelle societ occidentali ha da tempo cambiato di segno. Langoscia della fame che aveva dominato per secoli lOccidente ha lasciato il posto alla diffusione epidemica dei cosiddetti disturbi dellalimentazione: anoressie, bulimie obesit. E la lista di questi disturbi e la loro classificazione nosografica si arricchisce di anno in anno di nuove aberrazioni come quella pi recente della ortoressia, ovvero dellossessione del mangiare sano che imprigiona il soggetto in un salutismo dai caratteri atrocemente repressivi. Lo sfondo di questo cambio di segno evidente; lo sviluppo potente dellindustria alimentare e il mercato globalizzato hanno vinto irreversibilmente latavica penuria di cibo nelle nostre societ e hanno fatto del cibo un oggetto di consumo

Il disagio della civilt alimentare

tra gli altri. La cifra del nuovo disagio della civilt alimentare non pi caratterizzato dallincubo del meno, della sottrazione, della carestia, dellassenza di cibo, della povert, ma da una condizione di offerta illimitata, incalzante, dal pi, dal troppo, dalla tracimazione e dallabbondanza dispendiosa, insomma dalleccesso di cibo sempre a disposizione. In questo contesto lobesit diventa il paradigma di una mutazione antropologica pi generale; il soggetto non si stacca (o si stacca con sempre maggiori difficolt) da quellofferta, dal riempimento sistematico di ogni suo interstizio vitale, di ogni fessura, di ogni sua mancanza. La proliferazione del cibo riflette una proliferazione diffusa di ogni genere di oggetti che invadono non solo i mercati ma anzitutto le nostre teste. 2. Il mito della prevenzione primaria dei disturbi alimentari attraverso una giusta educazione alimentare un mito cognitivista-razionalista. Esso suppone che conoscere ci che fa bene determini il comportamento giusto. Si tratta di una illusione neogreca. La psicoanalisi la verifica quotidianamente: lessere umano non vive per il proprio bene, non naturalmente predisposto alla ricerca del proprio benessere. Tutti i comportamenti apertamente (o pi

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subdolamente) autolesivi e dissipativi, dei quali la psicopatologia del comportamento alimentare solo un esempio tra i tanti, mostrano la presenza nellessere umano di una eccedenza pulsionale che travalica il piano del puro soddisfacimento istintuale dei bisogni; una eccedenza che mostra come il corpo pulsionale non sia affatto regolato da un principio di misura, come credeva Aristotele, ma inclini pericolosamente verso un godimento che attenta a ogni moderazione. Mangiare, dunque, soprattutto nel tempo dellabbondanza dispendiosa di cibo, non mai il soddisfacimento di un mero bisogno, ma la realizzazione di un godimento che porta con s qualcosa di nocivo e di maligno. La psicoanalisi lo dice con le sue parole: nella pulsione orale, ci che la bocca cerca o ricerca senza mai trovare il fantasma del seno, il fantasma delloggetto perduto. Non si mangia solo per nutrirsi, ma si mangia per godere. La storia della cucina ha costruito una grande cattedrale sublimatoria attorno a questo vuoto; secoli di ricette, scritture, libri, pratiche e tradizioni hanno depositato un sapere straordinario intorno ai modi possibili di provare a catturare questo fantasma, di provare a restituire qualcosa di quella esperienza primaria del soddisfacimento che, secondo Freud, introduce nel soggetto una traccia indelebile capace di orientare i

Il disagio della civilt alimentare

pellegrinaggi successivi della pulsione orale e del desiderio che essa supporta. La cultura gastronomica una sublimazione culturale che sa rendere fecondo il vuoto lasciato dalloggetto perduto. Quando c piacere della buona cucina perch un frammento del fantasma del seno stato catturato dalle reti della cultura che non potendone restituirci la presenza ci offre almeno il sapore della sua assenza. La condizione di questa sublimazione proprio il vuoto, lassenza della Cosa, la perdita irreversibile delloggetto-seno. I disturbi dellalimentazione sorgono invece come pratiche di distruzione e di offesa della sublimazione in generale e della sublimazione culinaria in particolare. In modi diversi essi rigettano lassenza del seno come sfondo vuoto che rende possibile linvenzione e la pratica della cucina il passaggio dal crudo al cotto avviene per Levi-Strauss come obliterazione della carne cruda della Cosa per accedere alle virt simboliche del fuoco e del linguaggio per provare a raggiungere la Cosa direttamente, saltando la mediazione del linguaggio e della cultura. Tutto questo viene esibito in modo esemplare nelle abbuffate bulimiche che sono un modo non per assaporare come avviene nel Convivio simbolico lassenza della Cosa, ma per trangugiarne la presenza, per divorarne la carne. Per questa ragione nellattacco bulimico

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salta tutto il dispositivo discorsivo che struttura simbolicamente la commensalit umana. Salta la differenza elementare tra il crudo e il cotto, tra il cibo per animali e quello per esseri umani, tra la pietanza e i condimenti, tra il surgelato e il cucinato, nel senso che una abbuffata bulimica segue a rovescio il vettore che instaura, per citare ancora Levi-Strauss, il primato delle leggi della cultura su quelle della natura; non il gusto e leros orale del piacere in primo piano, ma una fame che pura spinta pulsionale, pura attivit di divorazione priva di argini simbolici, una fame che fame di tutto, una fame che il soggetto percepisce come se venisse dallesterno, come la fame di un altro, come fame che divora non solo il cibo ma il soggetto stesso, fame come avidit insaziabile, infinita, sregolata, fame di fame, fame senza fondo. Per questo ci che viene mangiato nel corso di unabbuffata bulimica appare totalmente indifferente: cibo surgelato, condimenti, cibo per animali, cibo crudo. Fame illimitata perch nulla sembra poterla soddisfare mai; perch, appunto, il fantasma del seno non si pu mangiare ma solo evocarne lassenza. 3. Nellobesit grave invece il corpo stesso del soggetto ad assumere la fisionomia informe della Cosa del godimento.

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il suo corpo che aderisce come senza scarti al seno perduto. Lobeso fa del suo corpo un contenitore che vorrebbe trattenere presso di s loggetto perduto finendo per trasformarlo nella Cosa stessa. Nellanoressia la manovra ancora pi radicale; il rifiuto della commensalit, loffesa portata al Convivio, la diserzione della tavola dellAltro, lo sciopero ostinato della fame che mette a repentaglio la sopravvivenza stessa della vita, mostrano la logica inflessibile che anima i suoi propositi: se non possibile mangiare la Cosa, se lo svezzamento simbolico imposto dalle leggi del linguaggio ha staccato irreversibilmente il soggetto dalla Cosa materna, se il godimento di tutto impossibile allessere umano, allora meglio vivere di niente. In questo modo il soggetto anoressico prova, attraverso una esasperazione iperbolica della sua forza di volont, ad arrestare il decorso irreversibile del tempo che separa gli esseri parlanti dal seno per permettergli di accedere allo scambio simbolico della parola. Lanoressia non punta a raggiungere direttamente e furiosamente il fantasma del seno, come avviene nella bulimia, ma se questo accesso le viene interdetto allora sembra rifiutare ogni tipo di patteggiamento, ogni forma possibile di compensazione. Se non pu avere tutto meglio il niente. Cos il rifiuto anoressico appare ostinato e ricattatorio

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verso il proprio Altro familiare e il suo regime di privazione diviene una vera e propria disciplina del corpo che vorrebbe cancellare ogni mancanza. Se la bulimia ricerca nel consumo forsennato delloggetto ci che non ha mai avuto dallAltro (il segno della sua presenza), lanoressia rifiuta tutto ci che viene dallAltro, perch tutto ci che viene dallAltro non sufficiente a colmare il carattere infinito della la sua domanda damore. 4. Mentre la cultura culinaria esalta lassenza del seno, il suo essere un oggetto perduto, e concepisce la sua arte come un tentativo di organizzare in modo sublime questo vuoto, il discorso del capitalista enfatizza la distruzione della sublimazione offrendo lillusione che sia possibile un accesso diretto alla Cosa. Il suo culto del consumo un culto chiaramente bulimico. il passaggio dallascetismo rigorista del capitalismo weberiano al discorso del capitalista teorizzato da Lacan. Mentre le origini protestanti del capitalismo implicano che vi sia una rinuncia al godimento immediato perch vi sia accumulazione di capitale, cittadinanza e impresa, il discorso del capitalista che oggi domina la scena sembra autorizzare a un godimento compulsivo al di l di ogni limite. Ci che conta la realizzazione senza

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differimenti del godimento. Si tratta di una versione pulsionale e per nulla ascetica della macchina capitalista. Loggetto non pi perduto ma riproposto come semplice presenza, come oggetto da consumare compulsivamente, come oggetto sempre a disposizione. Lastuzia di questo discorso consiste nel promettere per il tramite delloggetto una salvezza che per non si deve realizzare compiutamente perch il suo differimento loccasione per generare continue pseudo-mancanze che alimentano il cortocircuito nichilistico del consumo di consumo, del consumo di tutto. I disturbi alimentari riflettono pienamente il carattere iperedonista di questa trasformazione della macchina capitalista. Leccesso senza limite genera uno sprofondamento distruttivo del soggetto. In questo senso la fame bulimica un paradigma della nostra Civilt il cui programma animato dalla fissazione allavidit senza limiti della pulsione orale. Ma come per la bulimia anche per il soggetto iperedonista il godimento compulsivo d luogo a una schiavit del nuovo che preclude a ogni soddisfazione possibile. Nellanoressia invece leccesso sembra spostarsi sul governo disciplinare di s. Lanoressia non affatto una obiezione critica al discorso del capitalista ma ne riflette la sua anima pi profonda. Il suo rigorismo non ha niente di mistico, in quanto sostiene

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lillusione che sia possibile una totale padronanza di s. Il suo ascetismo apparente solo una forma mondana di autocelebrazione dellio. In questo senso il culto feticistico della propria immagine corporea esprime un altro grande mito del discorso del capitalista; la sola religione possibile una religione del corpo come nuovo idolo, dellimmagine del corpo-magro elevata a icona sociale.

Emilio Isgr, Caduta libera, 1965. Courtesy Archivio Emilio Isgr

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Intervista a Massimo Carlotto di Enrico Donaggio e Enrico Terrone Il tema del cibo attraversa in modo sottile e costante la sua produzione. Dal corpo di Bernardo che si gonfia di rabbia politica in clandestinit nelle pagine del romanzo di esordio, Il fuggiasco a quello di Max la Memoria; dal ristorante come luogo di ripulitura di fedina penale e denaro in Arrivederci amore ciao, alla Cuccia dellAlligatore. Con Mi fido di te il tema conquista il centro della scena e diventa una chiave efficacissima per descrivere, una volta di pi, un paese criminale: lItalia. Potrebbe dirci qualcosa in proposito? Un giorno un nucleo di brigatisti dimentic la bozza di una risoluzione strategica in una trattoria della mia citt. Notoriamente cosche e ndrine hanno i loro ristoranti. I colonnelli di An che iniziarono la fronda contro Fini si fecero intercettare al bar. Per un anno ho gestito un ristorantino da

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trenta coperti. Prendevo le comande, servivo ai tavoli ed ero invisibile. La gente si raccontava le cose pi intime e personali come se non esistessi. Ne ero estasiato. Tornavo a casa la sera con la testa piena di frammenti narrativi, alcuni di notevole pregio. Attraverso le fotografie-ricordo dei ristoranti di una certa zona ho ricostruito la rete degli affari di un certo politico. Quando ero latitante incontravo i miei contatti nei locali pi disparati. Gli esempi sono davvero infiniti ma i locali pubblici, dove si consuma qualsiasi tipo di cibo o liquido, sono una parte importante della mia esistenza. Li conosco e so che sono luoghi di grande complessit. Il bene e il male sincontrano evitandosi, convivono senza traumi. Non riesco a immaginare una storia priva di locali, la pancia vuota e la gola secca. Quando ho scoperto che i giornali non recensiscono affatto o malvolentieri i saggi sulla sofisticazione alimentare perch temono che le grandi aziende alimentari tolgano la pubblicit, mi sono convinto che lunico modo per raccontare le schifezze che mangiamo era attraverso un gourmet. In questo modo nato Gigi Vianello. Nel prossimo romanzo, invece, un ristorante sar il cuore pulsante dellintera vicenda, forse in modo ancora pi efficace di Mi fido di te.

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Cosa ne pensa dellattenzione ossessiva, spesso ambivalente, che in Italia oggi si riserva al cibo? La trova una forma di compensazione o distrazione da una stagione politica avvilente, una delle pi potenti passioni di supporto al berlusconismo diffuso, o ritiene invece che in questa attenzione si annidi anche una forma di resistenza umana e politica? Entrambe le cose. In un periodo di grande riflusso politico la sinistra riscopr il gusto, cre associazioni come Arcigola (che poi diventer Slow Food), Folco Portinari scrisse un manifesto che divent una sorta di traino ideologico, il manifesto inizi a pubblicare un inserto di otto pagine chiamato Gambero Rosso Fondamentale fu la posizione di sinistra sullo scandalo del vino al metanolo del 1986 che uccise ventitr persone e provoc danni neurologici e cecit a molte altre. Lindignazione non svilupp solo una decisa presa dellopinione pubblica sugli aspetti giudiziari e legislativi, ma anche un vero e proprio dibattito culturale sulla qualit vinicola del paese. Intere zone modificarono la produzione puntando sulla qualit, venne smascherata la credenza che il vino sfuso del contadino era per forza pi buono e genuino e venne riqualificata la figura dellenologo. La destra sub sempre liniziativa della sinistra fino al berlusconismo che svilupp il mito del ristorante

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esclusivo, santificato da Vespa che dedica ogni anno una puntata di Porta a Porta ai punteggi delle varie guide. Unoscena ostentazione di classe. Tuttavia evidente che, oggi, c una relazione precisa tra funzione consolatoria del cibo e della convivialit e crisi economica. Si sviluppata una sorta di rete di ristoranti che rispondono a questo tipo di aspettative. E anche questo un effetto perverso del berlusconismo. Questa societ crea buchi esistenziali che spesso e volentieri vengono colmati ingurgitando piaceri solidi e/o liquidi. Laltra faccia della medaglia unItalia che si organizza in termini etici, bio ed equosolidali. I gruppi di acquisto solidale, la filiera corta, la rete di artigiani e piccoli imprenditori del gusto. Contadini e pastori onesti. Tutto ci rappresenta unancora di salvezza formidabile alla deriva di questa crisi. Anche in termini educativi, oltre che politici. Uno dei motivi impliciti di Mi fido di te legato allidea che lalimentazione sia tornata prepotentemente a essere un fattore di classe: chi pu permettersi cibi costosi e selezionati sopravvive, chi deve accontentarsi di alimenti a basso costo si condanna a una salute malferma e a un futuro molto probabile da malato di cancro. In tal senso lecito leggere il romanzo come il ritratto in prima

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persona di un uomo del futuro, Gigi Vianello, il campione di un nuovo darwinismo gastronomico? Che lalimentazione sia un fattore di classe un concetto continuamente riproposto dallOrganizzazione mondiale della sanit che accusa lindustria alimentare moderna di sacrificare in nome del profitto la qualit del cibo a scapito della salute dei consumatori. E indica in questo tipo di alimentazione la causa dellinsorgenza di patologie cardiache, diabete e cancro. Gigi Vianello lo sviluppo criminale della logica delle multinazionali che, ben prima di lui, hanno capito che per guadagnare bisogna truffare, al punto che conviene investire milioni di dollari nella ricerca di nuovi sapori e nuovi colori assolutamente chimici e nocivi, piuttosto che salvaguardare la salute dei consumatori. Il nuovo darwinismo gastronomico punta agli alimenti nutraceutici in cui cibo e medicina si fondono per garantire qualit e sicurezza sanitaria. A prezzi, ovviamente adeguati. Nel frattempo comprano i cibi pi costosi nei negozi pi cari. Anche quello un tratto distintivo. A Mi fido di te qualcuno potrebbe applicare lobiezione che Alessandro Dal Lago, nel suo Eroi di carta, muove a Roberto Saviano. Se cio un testo si pone sul crinale fra realt e finzione, allora la

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denuncia civile (nella fattispecie contro le sofisticazioni alimentari) rischia di risultare ambigua e difficile da quantificare nella sua portata? In quale misura i crimini dei suoi romanzi riguardano anche il mondo reale? Tutte le trame dei miei libri nascono da fatti realmente accaduti perch ritengo che raccontare una storia criminale, ambientata in un tempo e in un luogo, sia una scusa per raccontare altro e cio la realt sociale, politica economica e storica che circonda gli avvenimenti narrati. Il problema assolutamente reale dellambiguit stato risolto dai miei lettori che hanno imposto delle regole che condivido. La prima che il noir dinchiesta debba contenere elementi di verit verificabili e che lautore debba fornire gli elementi per un ulteriore approfondimento del tema. Mi fido di te ha sviluppato un dibattito interno alla comunit dei lettori che dura ancora. Ma lelemento pi interessante di questo tipo di narrazione la capacit di anticipare la realt. La fusione tra giornalismo dinchiesta e finzione letteraria permette di analizzare i fenomeni criminali e spesso di prevedere le trasformazioni e le indagini. Nordest, scritto con Marco Videtta, ha anticipato lo scandalo del traffico di scorie nocive tra il Nord industriale e la Campania. Perdas de Fogu, la verit sulla nocivit del poligono sperimentale e

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addirittura uninchiesta penale. Lamore del bandito precede di un anno esatto linchiesta delle Nazioni Unite sullUck kosovaro come braccio armato della mafia locale e la trasformazione del Kosovo in narcostato. Gomorra non ha nulla a che vedere col noir, laccostamento mi sembra forzato perch questultimo non uninchiesta travestita. Lautore, per motivi squisitamente politici, sceglie di costruire le trame su indagini sviluppate autonomamente anzich pescare nella propria fantasia. E sono i lettori a decidere che uso farne. Questa situazione stata determinata dalla scomparsa in Italia del giornalismo investigativo sulla criminalit. Oggi sui giornali si scrive solo dopo lazione di polizia e magistratura. Le inchieste giornalistiche sono pericolose perch potrebbero raccontare le connessioni tra culture criminali e politica, imprenditoria e finanza. cambiato qualcosa negli anni successivi a Mi fido di te (2007), in Italia e nella sua produzione letteraria, rispetto al tema del cibo? Si tratta di un argomento che promette ancora sviluppi? Innanzitutto quello che abbiamo scritto ha trovato puntualmente conferma nel tempo e, ormai, risaputo che per le culture criminali transnazionali la sofisticazione alimentare diventato la seconda fonte di reddito dopo il traffico dei

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rifiuti. In questo senso c ancora molto da dire e da raccontare. Positiva la reazione di moltissimi lettori, il romanzo ha suggerito la necessit di una nuova coscienza e informazione sul tema. Uno scambio ininterrotto di informazioni e denunce continua a completare il romanzo. In tanti ne chiedono la continuazione, ma non ho ancora trovato la storia giusta per Gigi Vianello. Nellultima trasmissione di Report stato affermato da operatori del settore che cinque prosciutti su sei sono di provenienza estera non certificata. Oltre ad averlo scritto nel romanzo, lavevo gi detto nel corso di unintervista condotta da Fazio. Immediatamente sono stato sommerso di mail. I lettori possono aver dimenticato la trama e i nomi dei personaggi, ma le denunce relative alle sofisticazioni continuano a essere ben conservate nella memoria.

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Emilio Isgr, Freccia bianca in campo nero, 1966. Poesia Jacqueline, 1965. Centro per larte contemporanea Luigi Pecci, Prato 2008

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Daniela Tagliafico

a prova del cuoco non cos male, in fondo. Quando non prevedono lutilizzo di ingredienti esotici come lo zenzero o il cardamomo, le ricette promettono un piatto sfizioso in una ventina di minuti e con soli dodici euro (il budget di spesa dei concorrenti). Il tutto condito almeno prima che gli animalisti insorgessero da racconti sui tempi in cui le nonne facevano i fusilli a mano e nella ribollita si aggiungeva una coda di gatto. Se per il racconto sul regime alimentare in tempi dindigenza pu costare il pensionamento forzato a un pimpante settuagenario, sorprendente che nessuna indignazione susciti invece la palese discriminazione che il programma quotidianamente esibisce. S, perch se, stando ai sondaggi, il pubblico della trasmissione prevalentemente femminile, la quasi totalit

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degli chef invitati a gareggiare diciannove sui venti attualmente a disposizione del programma sono uomini. Perch le concorrenti e il pubblico femminile a casa non insorgono, sentendosi sottorappresentate? E perch, se annuiscono alle affermazioni ammiccanti della Clerici circa i mariti imbranati, che non sanno friggere neppure un uovo, non mostrano nessuna insofferenza verso gli accostamenti arditi degli chef in tv? Assurdo complottismo femminista, si dir: le cose stanno cos perch di fatto gli chef donna si contano sulle dita di una mano, e la trasmissione, sotto questo aspetto, non fa che rispecchiare la realt. Lo chef maschio, bisogna farsene una ragione. In fondo, se il ginecologo ti consiglia un rimedio per un fastidioso problema, tu corri subito a comprarlo, altro che controbattere: Ma che ne sa lei, che un uomo?. Perch lo stesso non dovrebbe accadere nel caso di un professionista dei fornelli? E poi, se gli uomini hanno pi successo delle donne in cucina, che male c? Va cos anche in tanti altri campi. A partire da queste obiezioni si potrebbe dunque seguire una linea di pensiero innatista, secondo cui luomo sarebbe per natura dotato di capacit che lo rendono particolarmente abile in cucina; mentre il fatto che il compito di preparare da mangiare entro le mura domestiche sia ancora

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affidato ampiamente alle donne deriverebbe da unimposizione di tipo sociale. Insomma, il problema non starebbe nel fatto che gli chef sono uomini un campo in cui emergono per selezione naturale ma nel fatto che la societ si aspetta che gli obblighi domestici siano assolti unicamente da donne. Le cose, per, sono pi complesse. Anzitutto perch i dati sperimentali sulle supposte capacit sessospecifiche per il momento sono tuttaltro che incontrovertibili e, per ci che riguarda il cibo, ancora inesistenti. In secondo luogo, perch la capacit del cuoco di una specie molto particolare. Si tratta, cio, non tanto del possesso di una conoscenza di tipo proposizionale, un bagaglio di nozioni teoriche, quanto di una conoscenza competenziale, un know-how. E di questo tipo di competenze in cui rientrano anche capacit come far partorire o crescere la prole le donne sono state da sempre le depositarie, non potendo accedere allistruzione, e dunque alla conoscenza proposizionale di cui sopra.

e le cose stanno cos, per, se le donne sono cio da sempre le cultrici della materia, perch non sono emerse professionalmente in questambito? Seguendo una linea anti-innatista, si potrebbe sostenere che

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sono esperte in cucina almeno quanto gli uomini, se non di pi; ma che alle donne stato negato di esercitare questa competenza al di fuori delle mura domestiche. Diventare chef, infatti, avrebbe significato svolgere una libera professione, e dunque emanciparsi. La situazione attuale non sarebbe che un retaggio dei secoli precedenti: dal momento che gli chef sono sempre stati uomini, si stenta oggi a dar fiducia a una donna, soprattutto quando il cuoco non semplicemente uno stipendiato, ma una figura imprenditoriale. Il sospetto, per, che anche questa descrizione anti-innatista non riesca a cogliere una differenza sostanziale, che il programma della Clerici esemplifica invece alla perfezione. A ben guardare, infatti, non vero che le donne siano completamente assenti: prima della sfida tra chef si succedono diverse rubriche in cui sono le donne a essere protagoniste. Il punto, per, che le cuoche della trasmissione fanno qualcosa di profondamente diverso dagli chef. Entrambi cucinano, vero, ma nel caso delle prime si tratta semplicemente di trasmettere antichi saperi, replicare ricette e procedimenti imparati dalle nonne. Per i secondi, invece, nientemeno che la definizione kantiana di genio a venire scomodata: lo chef in quanto artista pur seguendo certe

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regole, capace di innovare, di superare la mera imitazione introducendo elementi di originalit. Non sarebbe dunque questione di maggiore o minore professionalit, quanto di saper compiere il salto dallartigianato allarte, dimostrando qualcosa che pochi al mondo possiedono, la scintilla della creativit. A questo punto, per, si apre un nuovo fronte: perch mai questa scintilla dovrebbe essere una prerogativa maschile? Chi lo ha decretato? Il sospetto che a decidere sinora, pi che la natura o la scienza, sia stata la societ. Altri percorsi di lettura: Andrea Borghini Il cibo e il suo rimosso geografico Enrico Donaggio Desidera ancora qualcosa? Stefano Rodot Il diritto al cibo

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Andrea Borghini

l cibo etnico in Italia in ascesa, dentro e fuori le mura di casa. Da un lato, la passione per i viaggi accresce la fortuna di chi vende pietanze esotiche; dallaltro, la recente immigrazione sta riconfigurando le abitudini culinarie domestiche. Non si tratta solo di un patrimonio di informazioni straordinario. una modalit di integrazione spicciola, ricorrente ed efficace, importante in un momento in cui lo scambio tra cittadini, anche e soprattutto su fatti quotidiani, si fa sempre pi complesso. Per sfruttarla, basterebbe qualche piccolo esercizio. Eccone uno che potrete facilmente replicare. Poche sere fa sedevo faccia a faccia con unamica in un diner nellUpper West Side di Manhattan. Non ci vedevamo da tempo e avevamo deciso di provare un nuovo locale.

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Specialit della casa: hamburger. Mentre ne gustavamo uno a testa, Bridget mi ha chiesto di cosa stavo scrivendo. Quali luoghi ti ricorda questo hamburger?, le ho domandato. Mi ha raccontato della cucina dove, dopo essere emigrata dallInghilterra a New York allinizio degli Anni Sessanta, la mamma preparava carne macinata per cena; e poi del White Castle, allincrocio tra Seventh e Greenwhich Avenue: il posto degli hamburger a notte fonda, nei primi anni in cui non viveva pi coi suoi. Per parte mia le ho parlato del tinello della casa dove sono cresciuto e del rapporto con Fairway, un noto supermercato di New York. Difficile sovrastimare la quantit di informazioni contenuta in quel che mangiamo. Nel groviglio di significati che il cibo trasmette, avete mai provato a ritrovarci gli spazi delle vite vostre e altrui? Faccio questo gioco da anni: in aereo, in treno, al supermercato, a una cena tra amici o di lavoro. divertente, imprevedibile e gratuito. Basta chiedere. Anche a se stessi. Lesercizio, poi, si fa pi intrigante quando abbiamo a che fare con cibi che ci portano lontano dalle nostre abitudini, dagli spazi familiari. Qualche sera prima della cena con Bridget, il mio compagno di casa vers acqua calda in un bicchiere; tir fuori un barattolo di latte in polvere, ne sciolse qualche cucchiaio; dette qualche sorso e mi

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guard: Lo so, di pessima qualit. Ma mi riporta al cortile di casa, a Baghdad. Gli chiesi del cortile. Poi gli raccontai dei succhi alla pera Yoga in bottiglietta, che ogni tanto compro al supermercato per viaggiare verso il giardino dove giocavo in Italia. Eppure, poche volte pensiamo a come e quanto lo spazio abbia un ruolo chiave nel connetterci a un cibo e a chi ci circonda. Anzi (e forse non casualmente) finiamo per fare lopposto: rifiutandoci di entrare negli spazi evocati dal cibo di una persona, ci distanziamo da questa. Nellultimo anno, quasi ogni volta che ho preso il treno in Italia ho assistito a una lite; il cibo era il pretesto pi comune. Ma non si vergogna a mangiare nello scompartimento di un treno! Vada fuori nel corridoio!, esclam un signore dallaccento emiliano a una ragazza africana sullultimo Intercity su cui ho viaggiato. Stando a una statistica dellAssociazione nazionaleuropea degli amministratori dimmobili, dicembre 2008, il 27% delle liti condominiali di quellanno riguardava il cibo. Ma non in generale, bens quello etnico: la soglia di tolleranza allodore di curry sembra molto pi bassa di quella al soffritto. In buona sostanza, siamo di fronte a un problema di diversit, non di semplice gusto. Come ci rifiutiamo di scambiare due parole con una persona sulla base

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del colore della pelle o di altri tratti somatici, cos ci rifiutiamo di tollerare una cucina diversa dalla nostra, di entrare nei significati evocati, per esempio nei suoi spazi. Sennonch e qui la questione si fa interessante ci piace andare al ristorante indiano con gli amici, oppure mangiamo un falafel al posto della pizza, o un kebab invece di un hamburger. Perch? Vogliamo forse viaggiare senza viaggiare? Oppure evitare di apparire poco mondani di fronte ai nostri amici? Sta di fatto che spesso lo facciamo come avessimo un velo sugli occhi. Lo stesso di cui parlava Charles Du Bois in The Souls of Black Folk a proposito del rapporto tra bianchi e neri nellAmerica di inizio Novecento. S, c interazione; ma non ci vediamo. Non entriamo negli spazi dellaltro.

l cibo ha un impatto decisivo sul nostro agire quotidiano. Talvolta, questo viene illustrato per mezzo di una spiegazione scientifica circa linterazione cibo-corpo, concepiti in quanto oggetti naturali. Si pu essere analfabeti e muoversi in un supermercato con latteggiamento calcolatore di un nutrizionista. Ma poi sappiamo tutti, almeno implicitamente, che solo una piccola parte degli stati emotivi suscitati dal cibo pu essere adeguatamente spiegata

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facendo ricorso alla scienza. Oltre a essere un piacere, il cibo ci connette saldamente con altre persone, con il passato, con luoghi nostri o altrui. Per chi torna da un lungo periodo fuori casa, la prima domanda : Cosa vuoi mangiare?. Il metabolismo spiega solo in minima parte limpatto che il cibo ha sulle nostre vite. Per il resto occorre prestare attenzione ai significati che trasmette. Quando mangiate un kebab i luoghi a cui lo associate si riflettono sul modo in cui lo pensate, che ne siate consapevoli o no. Si tratta, in ogni caso, di significati sommersi, non necessariamente elencabili nella loro interezza o specificabili. E per recuperarli, dobbiamo sederci a un tavolo, da soli o in compagnia, e riflettere, scambiarci memorie e impressioni. Cos ci accorgeremo che, di volta in volta, lo spazio di un cibo viene identificato con uno o pi tipi di luoghi. Un luogo specifico: il Chianti, dal vino prodotto in quella zona; Parma, dal prosciutto; Tropea, dalla cipolla; Sardegna, dal pecorino. Un luogo generico: ketchup per Stati Uniti, falafel per MedioOriente, pasta per Italia, sushi per Giappone. Un tipo di ambiente geologico: cibo di mare, montagna, campagna, citt. Un tipo di clima: cibo tropicale, glaciale, mediterraneo. Un tipo di ambiente umano: cibo da strada, da ristorante, casereccio. Ci accorgeremo, inoltre, che le modalit attraverso

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cui un cibo viene a significare un certo luogo possono variare. Potrebbe essere una pubblicit, unetichetta, una persona, unoccasione particolare. Ci saranno luoghi che quasi tutti assoceranno a un prodotto; altri che solo voi sarete in grado di rintracciare. Addirittura, in certi casi, si arriver a identificare un posto con un cibo: dove mangiai quel favoloso panino al prosciutto, la citt dei confetti, e cos via. Recuperare i significati sommersi del cibo un modo spicciolo e potenzialmente efficace per facilitare la mutua comprensione e lintegrazione in una societ civile; nonch per fare un passo verso quella conoscenza di se stessi che sta allorizzonte dellagire umano. Quando vi trovate a mangiare con una persona che non conoscete, chiedetele quali spazi associa a quei cibi, e raccontatele dei vostri. Potreste imparare qualcosa. Magari anche su di voi.

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Emilio Isgr, LOrestea di Gibellina, 1983-1985 Francesca Benedetti con il Coro delle Monache Ruderi di Gibellina, Courtesy Archivio Emilio Isgr

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Lidea di comunismo

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Alberto Burgio

ronico destino, quello toccato allidea di comunismo. Rinata in epoca moderna in antitesi alla democrazia (istituto venerabile, ma gi due secoli fa appannaggio della borghesia trionfante), in questi tempi di crisi essa tende a ridursi alla sua fotocopia. Per qualche filosofo maudit il comunismo una faccenda di emancipazione, di inclusione nella cittadinanza e di democrazia radicale o diretta. In tempi di crisi lo si capisce. La democrazia talmente mal messa, che restituirla a una funzione di garanzia dei diritti fondamentali sembra gi un obiettivo ambizioso. Ma il comunismo altra cosa e ridurlo al protagonismo delle moltitudini o alla demercificazione dei cosiddetti beni comuni un compromesso al ribasso. Se non ci se ne rende conto,

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perch si sono interiorizzate le categorie dominanti, come avviene nelle sconfitte storiche. Nella migliore delle ipotesi (quando non si riduce a legittimare il dominio dei pi forti), la democrazia protegge i diritti di libert garantendo efficacia alla volont popolare e fissando qualche limite (per mezzo delle Costituzioni) allarbitrio delle maggioranze. Di norma (la Costituzione italiana largamente inapplicata una felice eccezione) lascia da parte il contenuto della volont, le finalit verso cui il popolo si orienta. Questo formalismo si spiega con un assunto implicito, che poi una speranza: se ai pi (in precedenza esclusi) finalmente data la possibilit di esprimere la propria volont, c da augurarsi che lo faranno nel senso di una maggiore giustizia sociale. Aspettativa ragionevole ma ingenua. Non si dovuta attendere la societ di massa per scoprire che la maggioranza spesso miope (interessata a vantaggi immediati e particolari) e manipolabile. NellOttocento le lite conservatrici si accorgono che il suffragio universale consegna loro un formidabile strumento di legittimazione. Rousseau laveva gi intuito, per cui aveva distinto la vera volont del corpo sociale (riferita ai suoi interessi reali ma spesso destinata a rimanere inespressa) dai responsi della maggioranza. La democrazia pu risolversi

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nella giustificazione delliniquit e dellautoritarismo. Il comunismo lantitesi di entrambi. Anche per il comunismo la libert un valore non negoziabile. Ma la libert comunista non consiste nel potere della maggioranza, non conferisce a questultima la facolt di imporre la propria volont alle minoranze. La libert comunista libert su se stessi. , in primo luogo, lautonomia del lavoro vivo: assenza di subordinazione e di dominio, liberazione dallo sfruttamento e autodeterminazione del lavoro sui modi, i tempi e le finalit dellattivit sociale di riproduzione. Per questo la libert comunista promuove la giustizia sociale. Venuta meno (in linea di principio) la competizione per il profitto e laccumulazione, lattivit produttiva diviene una funzione vitale socialmente regolata. posta cos la premessa oggettiva della coincidenza tra valore e utilit concreta (quindi della neutralizzazione dei significati simbolici della ricchezza materiale). Il difficile far s che, insieme a questa premessa o in base a essa, si sviluppino le condizioni soggettive (culturali, morali, antropologiche) della liberazione del lavoro e della giustizia sociale. Naturalmente (lesperienza del Novecento lo dimostra con dovizia di esempi) le cose non sono affatto semplici. Lautonomia del lavoro in un settore della produzione non

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cancella, sul piano interno, il problema dei rapporti con gli altri settori, il che genera vincoli di ordine sociale (il mercato regolato impone regole) e di natura politica (lo sviluppo economico devessere pianificato). Il problema si ripropone sul piano internazionale. Lautonomia del lavoro in un paese non elimina la necessit dei rapporti con altri paesi, il che tende a generare contraddizioni, sia sul piano economico che sul terreno politico. Lautogoverno del lavoro vivo quindi una faccenda complessa, forse addirittura unidea regolativa. Ma di una cosa possiamo dirci certi: parlare del comunismo impone di ragionare sul modo di produzione a partire dal modo di produzione. Se non ruota in primo luogo intorno a questo tema (che per questo Marx considera strutturale), il discorso parla daltro. Pu anche focalizzare obiettivi importanti (di questi tempi anche una decente socialdemocrazia sarebbe un lusso), ma non riguarda lidea e la pratica del comunismo.

a la trasformazione del modo di produzione in forme tali da sradicare lo sfruttamento e da realizzare lautonomia del lavoro a sua volta solo una premessa, pur fondamentale. Non pensare in termini economicistici (o solo semplicistici) significa sapere che il

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modo di produzione non determina linsieme della formazione sociale. La condiziona ma non ne esaurisce la complessit e non ne decide lo sviluppo. Vale la metafora del Dna (pure insidiosa, com sempre il mix tra scienze naturali e scienze sociali): il codice genetico stabilisce limiti e possibilit e contiene predisposizioni, ma non racchiude in s n prefigura la storia di un individuo o di un gruppo. Il rivoluzionamento del modo di produzione lascia aperte le questioni-chiave della liberazione: quali forme di relazione si svilupperanno e quali forme della soggettivit individuale e collettiva? Quali esperienze del significato della vita saranno compiute? Quando si afferma che il comunismo diverr realt solo in presenza di una rivoluzione antropologica (la creazione di una nuova forma di umanit) ci si riferisce a questordine di questioni. il terreno pi affascinante, ma anche il pi incerto e il pi esposto alle insidie dellutopismo. Il vecchio Kant che pure considerava inderogabili i princpi dellautonomia e della giustizia ammoniva a non perdere di vista i limiti della natura umana (luomo un legno storto, pu imparare molto ma non pu diventare un angelo). Daltra parte, se si prendono sul serio lautonomia dei soggetti e la complessit dei problemi si capisce perch Marx si sia sempre astenuto dal descrivere il

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migliore dei mondi possibili. Ci che esperienza e sobriet permettono di fare definire alcuni obiettivi, che possono valere al pi come criteri di massima. Il potere: se vero che ogni relazione umana lo produce perch coinvolge rapporti di forza, non realistica la pretesa anarchica secondo cui la societ comunista ne sarebbe priva. Si tratta di impedire che la collettivit ne sia espropriata e che esso venga esercitato in modo violento (funzionale allinstaurarsi di relazioni gerarchiche) o arbitrario (al di fuori dei limiti della legalit e della legittimit). Il conflitto: necessario resistere alla tentazione di immaginare societ pacificate poich la libert delle persone comporta contraddizioni e contrasti. Si tratta di far s che i conflitti approdino a soluzioni condivise e giuste, evitando che a deciderli siano i rapporti di forza. Il politico: resta dunque la necessit della decisione, della regolazione, della legge. Si tratta dello Stato? Spesso, a questo proposito, ci si fraintende, mostrando che aveva ragione John Stuart Mill nellosservare che, se per il saggio una parola sta per quel che rappresenta, per lo sciocco essa stessa un fatto. Lo Stato del capitale il garante del suo dominio. Ovviamente nella societ comunista questo Stato non sussister pi. Ma, cancellate le condizioni per

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lespropriazione del plusvalore, non viene tuttavia meno lesigenza di stabilire regole e di assicurarne il rispetto. Nel riferirsi a questa esigenza Gramsci riformula il tema marxiano e leniniano dellestinzione dello Stato parlando di societ regolata: uno Stato senza Stato che prender forma man mano che lirrobustirsi della societ nel segno dellautogoverno collettivo condurr allesaurimento delle funzioni coercitive del politico. Il lavoro: va considerata anche a questo proposito la non univocit del termine. Il lavoro salariato per definizione subordinato e sfruttato, il salario essendo una forma del capitale. Ma inteso come pura attivit produttiva sociale (interscambio con la natura, nel linguaggio del giovane Marx), il lavoro accompagner lumanit sino alla fine dei suoi giorni. Si tratta di organizzarlo socialmente (utilizzando a questo fine lo sviluppo delle forze produttive) in modo da ridurne al minimo e da distribuirne equamente il peso (in termini di nocivit, frustrazione, rischi ed eteronomia) e in modo da liberarne la potenzialit costruttiva: ci che ne fa attivit squisitamente umana, espressione dellintelligenza, oggettivazione delle attitudini e della creativit. E si tratta altres di tenere sotto controllo le conseguenze della razionalizzazione produttiva, evitando che la divisione sociale e

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tecnica del lavoro e la specializzazione si traducano nella meccanizzazione delle funzioni e nella delega delle responsabilit.

nfine, la difficolt del vivere: il comunismo fine della penuria, dello sfruttamento e della subordinazione, ma non il sovvertimento della condizione umana in ci che la costituisce ontologicamente. Pur liberata dal dominio, la vita resta un cimento sullo sfondo della consapevolezza della morte, nella difficolt di conferire un senso allesistenza e al cospetto dellineliminabile incidenza del caso e dellinsicurezza. Nessuna forma sociale pu neutralizzare tali condizioni, cos come non pu azzerare il pericolo (non equamente distribuito) della malattia n assicurare per decreto il soddisfacimento dei desideri e dei bisogni affettivi, morali, psicologici. Centra questultima considerazione col tema in apparenza tutto politico del comunismo? Centra eccome, perch se una delle radici della violenza esercitata nel nome del comunismo affonda nella perversa autonomia del politico e nellaccentramento del potere coercitivo, unaltra sorge dalle aspettative esorbitanti rivolte alla politica in capo alla lunga storia di espropriazione

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che ci sta alle spalle. Il carico di sofferenze e frustrazioni accumulato nei millenni spinge ad affidare alla nuova forma sociale, finalmente liberata dalla taglia di sangue e di sacrificio imposta alla stragrande maggioranza dellumanit costretta al lavoro, il compito di sollevare la condizione umana da tutti i pesi che la connotano. Un compito insostenibile, non assolvibile in toto. Se questo vero, il comunismo endiadi di libert e giustizia si accompagna a un presupposto essenziale: implica il congedo da ogni infantile fantasia di perfezione e lassunzione di uno sguardo adulto ambizioso e realistico su se stessi e sul mondo. Dovessimo cercare tra i nostri maggiori una fonte per questo difficile impegno, la individueremmo forse nel Kant della Risposta sullIlluminismo. Oggi come ieri, il punto su cui far leva resta la conquista dellautonomia individuale e collettiva, quindi, in primo luogo, la fuoriuscita da una condizione di minorit. Conosciamo, vagamente, la direzione di marcia, ma (diversamente da quanto sostengono taluni ipocriti fautori della democrazia) sappiamo anche che il cammino lungo.

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Emilio Isgr, Enciclopedia Treccani, 1970. Volume XXV. Collezione privata, Milano

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Tumulti

Paura e insurrezione
Machiavelli e la citt divisa
Gabriele Pedull

achiavelli stato il pensatore politico europeo pi radicale prima che la Rivoluzione francese cambiasse una volta per tutte le regole del gioco. Questa banale constatazione banale per chiunque si prenda la briga di verificarla direttamente sulle sue opere stata in parte oscurata dalla fama sempre un poco sospetta del Principe e dalla passione di Marx per Baruch Spinoza, che ha alimentato un vero e proprio culto per il pensatore olandese nella seconda met del Novecento. Eppure, appunto, si tratta solo di verificare. Nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio Machiavelli ribalta uno a uno tutti i principali capisaldi del pensiero politico precedente: sostiene la

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necessit di armare il popolo, contesta lidea (cara agli aristocratici) che i comportamenti virtuosi siano il frutto delleducazione, denuncia la religione come mero instrumentum regni, demistifica il nascente mito della perfetta costituzione di Venezia, elogia il ruolo moralizzatore dei processi popolari, riconnette la grandezza di Roma direttamente alla generosit con cui gli abitanti del Lazio concedevano la cittadinanza ai popoli vinti in guerra e ai nuovi venuti Esattamente il contrario di quanto i Greci, i Latini e gli umanisti avevano sostenuto sino a quel momento. Tuttavia Machiavelli non mai stato altrettanto radicale come sulla scottante questione dei tumulti e dei conflitti intestini. Su questo punto lunanimit era assoluta: la forza di uno Stato andava cercata nellunit dei suoi cittadini; lassenza di conflitti interni era la migliore difesa dalle minacce esterne; come aveva riassunto Sallustio, in una massima costantemente ripetuta fra Tre e Quattrocento, concordia parvae res crescunt, discordia maximae dilabuntur (con la concordia i piccoli Stati crescono, mentre con la discordia anche i pi grandi vanno in rovina). Persino Roma, che per tutti gli uomini del Rinascimento costituiva il modello insuperato di organizzazione statale, aveva lungamente patito delle lotte tra patrizi e plebei sino a quando esse non lavevano fatta

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sprofondare nelle guerre civili decretando la morte prematura della Repubblica. Ma ripetevano i contemporanei di Machiavelli proprio lesito finale di queste lotte doveva costituire un potente ammonimento per le generazioni future. Niente di simile in Machiavelli, che nei Discorsi attacca invece frontalmente il culto della concordia civica cos diffuso tra gli uomini del suo tempo. Come anzi recita il quarto capitolo del primo libro: La disunione della plebe e del senato romano fece libera e potente quella Repubblica. Semplicemente, per Machiavelli, i moderni hanno scambiato una delle cause della forza di Roma per un motivo di debolezza. Una citt che punta a estendere la propria egemonia o anche solo a non cadere vittima degli Stati vicini, sostiene Machiavelli, ha bisogno innanzitutto di un esercito numeroso, ma questo esercito numeroso impone che si chiami a combattere lintera popolazione e che il diritto di cittadinanza venga concesso con grande flessibilit, in modo da non smettere mai di alimentare la macchina bellica. Nessuno concede niente per niente: e coinvolgere la plebe nella guerra ha significato, nel caso di Roma, mettere i cittadini pi poveri nella condizione di far valere con pi forza le proprie rivendicazioni. Solo gli Stati disarmati, in altre

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parole, possono essere davvero concordi, come era avvenuto a due citt molto ammirate dai suoi contemporanei come Sparta e Venezia, che per avevano dovuto pagare un prezzo eccessivamente alto per la pace sociale: una persistente debolezza sul campo di battaglia, che prima o poi le aveva condotte tutte e due alla rovina (nel caso di Venezia la disfatta di Agnadello del 1509). Il successo di Roma stato invece il risultato di una serie di fattori diversi ma tutti intrecciati tra loro: esercito numeroso, apertura ai nuovi venuti e alle citt soggette, riforma delle istituzioni in senso decisamente popolare (al contrario di Sparta e Venezia, orientate piuttosto verso un modello di costituzione mista a dominante aristocratica). In questo magnifico meccanismo i tumulti devono essere considerati al massimo un inconveniente necessario a pervenire a romana grandezza. In fondo, nota Machiavelli, tutta una questione di modi (termine chiave dei Discorsi), ovvero di forme del conflitto. In s i tumulti non sono pericolosi, n tanto meno nocivi: purch lo scontro non degeneri nel sangue (e qui Machiavelli elenca, tra i modi buoni il gridare del popolo contro il senato e del senato contro il popolo, il correre tumultuariamente per le strade, il serrare le botteghe, il partirsi tutta la plebe da Roma).

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Lungi dallessere il preambolo della temuta guerra civile (tenuta anche da Machiavelli), le sollevazioni popolari incruente avrebbero avuto insomma il grande merito di impedire che i grandi attentassero alla libert, senza per che la contrapposizione sfociasse un confronto di natura militare (offrendo cio al popolo altre strade per sfogare lambizione sua). Esattamente quello che le poleis greche, afflitte dalle lotte allultimo sangue tra le diverse fazioni, non erano stata capaci di fare. Le pagine di Machiavelli sui tumulti suscitarono da subito lo sconcerto e la riprovazione di gran parte dei suoi lettori sino a diventare rapidamente uno dei principali motivi della sua condanna. Solo di recente si scoperto che in realt molte di queste idee si trovano gi nellopera di un autore antico che Machiavelli deve sicuramente aver letto: le Antichit romane, in cui Dionigi di Alicarnasso ripercorre per un pubblico greco quelle stesse origini della citt che Livio narra in latino. Le coincidenze tra i due testi sono spesso impressionanti, ma questo non vuol dire che i Discorsi si limitino a riprendere le riflessioni dello storico greco. Tuttaltro. Machiavelli sistematizza con grande intelligenza le sue intuizioni ma soprattutto le radicalizza. Cos, nella sua reinterpretazione di Dionigi, i tumulti non sono utili

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soltanto perch hanno condotto al perfezionamento in senso popolare della costituzione di Roma, costringendo i patrizi ad ammettere progressivamente al governo anche i plebei, ma perch essi svolgono una precisa funzione rigenerativa senza la quale la macchina statale non potrebbe funzionare a dovere.

a genialit politica dei Romani si manifestata soprattutto in due forme. Da un lato i plebei hanno escogitato due modi originalissimi per esercitare la propria pressione sui patrizi con la dovuta forza senza trascinare la Repubblica nella guerra civile: ci che Livio chiama la secessio e la detraxio militiae, vale a dire la secessione oltre i confini della citt e il rifiuto di servire come soldati. In tempo di guerra, questi due metodi di resistenza passiva (che non hanno nulla della protesta gandhiana, come qualcuno, un po avventatamente, ha scritto) si rivelano efficacissimi perch, nel momento stesso in cui bandiscono risolutamente la violenza, sfruttano la minaccia (violenta) delle armi nemiche come strumento di pressione politica.

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altro motivo dellammirazione di Machiavelli la creazione di una magistratura particolare, il tribunato della plebe, al quale i romani riservavano il compito di portare la voce dei plebei dentro le istituzioni (i tribuni avevano diritto di veto su qualsiasi legge della repubblica), ma anche la responsabilit di accusare pubblicamente e sottoporre al giudizio popolare chiunque fosse sospettato di tramare contro il vivere civile. La virt, per Machiavelli, ha breve durata negli uomini, e proprio la perenne minaccia dellinsurrezione (o della pena) si rivela ai suoi occhi lunica garanzia che i governanti non trasformino la cosa pubblica in uno strumento di privilegio e di oppressione. Nati dai tumulti, i tribuni sono chiamati cos a farsi in qualche modo i garanti che i tumulti continueranno anche dopo che Roma ha trovato la sua stabilit costituzionale. Pena la fine della libert. Machiavelli non ha dubbi: solo la paura (non leducazione) in grado di trattenere la forza distruttrice del desiderio, promuovendo quei comportamenti virtuosi senza cui lautogoverno sarebbe impossibile. La Repubblica, in altre parole, funziona bene solo sotto minaccia e la grandezza di Roma strettamente legata anche alla sua capacit di portare questa minaccia dentro le sue stesse istituzioni,

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per lappunto grazie ai tribuni (suscitatori di tumulti incruenti e di processi popolari). Se a volere che una setta o una Repubblica viva lungamente, necessario riportarla spesso verso il suo principio (come recita il primo capitolo del terzo libro dei Discorsi), il tumulto precisamente uno dei modi attraverso cui il filo prezioso con lorigine non viene mai a interrompersi del tutto. Machiavelli non crede infatti che ci sia un punto di arresto: persino la tanto decantata costituzione mista non risolve del tutto i problemi, proprio perch gli Stati tendono a dimenticare i loro princpi virtuosi e a corrompersi sotto la spinta dellabitudine. Al contrario della tradizione hobbesiana del contratto, qui non c insomma un patto che delimiti nettamente la politica regolata dallo spazio ferino della guerra civile; ma questo vuol dire anche che linteresse di Machiavelli per le istituzioni assume un significato completamente diverso da quello della tradizione liberale: se non altro perch, nelle figure del tribuno della plebe e del dittatore, le magistrature romane non hanno mai interrotto del tutto il rapporto con quella dimensione irregolare (ma anche energizzante) della politica. Un modo di pensare le istituzioni completamente diverso da quello al quale ci ha abituato la filosofia degli ultimi secoli (compreso il

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marxismo, con il suo persistente sospetto verso qualsiasi forma di ingegneria costituzionale) e che per questo, nel declino della nozione tradizionale di statualit, si rivela tanto pi prezioso per la teoria contemporanea. Altri percorsi di lettura: Augusto Illuminati Le virt del tumulto: un seminario Umberto Eco Ricordando Gargonza G.B. Zorzoli La spinta al cambiamento Carlo Formenti Ricostruire dal basso Renato Nicolini A Napoli bisognava scassare tutto

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Le virt del tumulto: un seminario

Tumulti

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Augusto Illuminati

on il titolo Le virt del tumulto. La rivolta tra esodo e rivoluzione si svolto nei mesi tra febbraio e maggio presso Esc Atelier il seminario annuale della Libera Universit Metropolitana (Lum), il cui programma completo reperibile sul sito alfabeta2, mentre le videoriprese di relazioni e dibattiti sono disponibili sul sito www.lumproject.org/. Il progetto era di mettere a tema lidea di trasformazione radicale nelle forme nuove dettate, per un verso, dalla riluttanza del capitalismo finanziarizzato ad accettare regole e dallinclinazione a usare in modo permanente la crisi come produzione di valore, per laltro dallevidente fallimento del riformismo keynesiano versione socialdemocratica oppure Obama. Durante la preparazione sconvolgendone assunti

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e operatori, che sono militanti dei movimenti sopravvenuto prima il ciclo delle mobilitazioni studentesche contro la legge Gelmini, accompagnato da analoghe battaglie a Londra e in altre situazioni europee, poi quello, tuttora in corso, delle insorgenze nel Maghreb e nel Mashrek, di cui non sfuggita la profonda consonanza con quanto accadeva sullaltra costa del Mediterraneo: un esempio per tutti, il ruolo dei diplms chmeurs nelle manifestazioni tunisine. I tumulti, che vedevano protagonisti giovani, studenti e precari, e migranti, passavano dallipotesi alla pratica, segnalando una resistenza potente contro le politiche neoliberiste di austerity e riduzione del debito pubblico e rendendo urgente il cercare di definire la natura di questa tipologia di riots metropolitani, non esauribili n con un generico richiamo al no future n con un paludato confronto con le rivoluzioni classiche. Tanto meno con la narrazione consolante della generazione bruciata che si ribella contro i genitori o con i sia pur corretti richiami allaumento speculativo dei prezzi delle derrate alimentari. Se piuttosto facile registrare per base comune, da piazza del Popolo a piazza Tahrir, un vuoto di futuro e di prospettive lavorative in s e in rapporto con i livelli di scolarizzazione, resta in quelle rivolte il problema di una nuova politica, di un modo diverso

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di qualificare la trasformazione, evocando subito la vita e il linguaggio, le relazioni sociali e il sapere, la linea del colore e la differenza di genere. Sembra che le pratiche e le idee che emergono da quei tumulti si discostino da passate problematiche rivoluzionarie (dal ruolo delle avanguardie ai meccanismi di rappresentanza), ponendo tuttavia lesigenza di una quotidiana costruzione di senso e di istituzioni politiche coincidenti con forme di vita originali e con lesodo da quelle autorizzate non importa se da dittature o democrazie liberali in asfissia. Il termine stesso di tumulto in luogo di rivoluzione si concretizza pertanto nel seminario nella scelta di autori e sequenze storiche non standard o non del tutto tali: il pensiero presovrano di Machiavelli (con il suo correlato spinoziano), la jacquerie, la rivoluzione anomala di Haiti, la Comune parigina, la teoria dellesodo e il carattere non normativo bens esemplare del tumulto, il 68 letto attraverso il femminismo della differenza e il pensiero di Carla Lonzi, la nozione di moltitudine come macchina da guerra. Luoghi comuni della sovversione, ma illuminati con una luce radente in grado di farne risaltare aspetti tuttaltro che mainstream. Ci siamo riusciti? Con cadenza mensile pubblicheremo sulla rivista le sintesi di alcuni contributi (in attesa di

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unedizione integrale in volume), sollecitando sul sito contributi provenienti dai partecipanti al seminario e commenti liberi. Altri percorsi di lettura: Umberto Eco Ricordando Gargonza G.B. Zorzoli La spinta al cambiamento Carlo Formenti Ricostruire dal basso Renato Nicolini A Napoli bisognava scassare tutto Giuseppe Montesano Dieci tesi semi-serie sulle elezioni a sorpresa del sindaco di Napoli

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Dopo la fine della crescita

Decrescita

Dopo la fine della crescita


Marino Badiale, Massimo Bontempelli

gni ipotesi di cambiamento politico ed economico che voglia agire allinterno delle societ occidentali deve confrontarsi con la realt della crisi economica iniziata nel 2007, che riteniamo destinata ad approfondirsi e ad aggravarsi. Per chi come noi sostiene che la decrescita sia lunica prospettiva reale di fuoriuscita da un capitalismo ormai entrato in una fase di compiuta distruttivit, la questione fondamentale si pu enunciare nel modo seguente: tale crisi rappresenta in sostanza la fine della crescita, oppure possiamo pensare che lattuale organizzazione economica e sociale possa superare la crisi e far ripartire il meccanismo della crescita? chiaro che la risposta che si d a questa domanda condiziona il tipo di azione politica nei prossimi decenni: se si

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ritiene che la crescita possa ripartire, allora la contraddizione principale, contro la quale si ritiene che il sistema si scontrer, quella ecologica, perch cresceranno anche frequenza, distruttivit e costi dei disastri ambientali. Se invece si ritiene che la crescita non possa pi ripartire, allora ci si deve aspettare che ancora pi drammatica della crisi ecologica, sempre presente e pressante, sia la crisi sociale, che si aggraver sempre di pi. Disoccupazione, perdita di ogni residuo diritto del lavoro, fine totale di ogni intervento pubblico a favore dei ceti subalterni, impoverimento progressivo delle fasce basse e medie della popolazione: queste sono le prospettive. Come dice bene Serge Latouche, non c niente di peggio di una societ della crescita senza crescita. In questo articolo sosteniamo che la crescita davvero finita, e in un articolo successivo cerchiamo di delineare quali possono essere, oggi in Italia, le linee strategiche di un anticapitalismo che abbia lidea della decrescita come principio di riferimento. Prima di spiegare perch riteniamo che la crescita sia davvero finita, bisogna precisare cosa intendiamo dicendo questo. Non possiamo certo prevedere tutti gli scenari possibili per la situazione economica e politica del mondo nei

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prossimi decenni. Non possiamo quindi escludere che si possano evolvere situazioni, oggi imprevedibili e improbabili, allinterno delle quali possa ripartire la crescita economica capitalistica. Quello che vogliamo dire, parlando di fine della crescita, che essa ci appare estremamente difficile a partire della situazione attuale e dai suoi prevedibili esiti nel breve e medio periodo. Alla met del Novecento, per superare la crisi degli anni Trenta e far ripartire il meccanismo della crescita stata necessaria una grande tragedia come la Seconda guerra mondiale, oltre a una profonda ristrutturazione economica e politica delle societ occidentali. Ci che vogliamo dire in sostanza questo: se mai ripartir il meccanismo della crescita, ci avverr in situazioni sociali e politiche del tutto diverse dalle attuali, per arrivare alle quali lumanit passer attraverso una profonda e drammatica crisi di civilt. Se cos stanno le cose, chiaro che la prospettiva della decrescita, cio di un abbandono controllato e razionale dellutopia della crescita infinita, lunica strada per evitare i drammi storici che si stanno preparando. Vediamo adesso di argomentare la nostra tesi sulla fine della crescita. Di fronte alla crisi economica che ha colpito il mondo capitalistico, le argomentazioni di chi sostiene la

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possibilit di far ripartire il meccanismo della crescita si basano in sostanza su due argomenti: in primo luogo si sostiene che la crescita potrebbe ripartire grazie alla ripresa economica degli Stati Uniti, che potrebbero quindi riprendere il ruolo di grande mercato di sbocco della produzione mondiale. Si tratta del ruolo che hanno avuto negli ultimi decenni, ma che hanno potuto mantenere solo grazie alla creazione della bolla finanziaria che infine scoppiata nel 2007. Chi scommette sulla ripresa statunitense pensa ovviamente a una ripresa basata sulla ripartenza delleconomia reale e sul superamento del predominio della finanza speculativa. In secondo luogo, si sostiene che lo sviluppo di paesi come lIndia, la Cina e il Brasile potrebbe rappresentare il nuovo motore delleconomia mondiale, e in particolare larricchimento della loro popolazione potrebbe creare un nuovo grande mercato per la produzione mondiale. Prendiamo allora in esame queste diverse possibilit. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, chiaro che la loro crisi in sostanza la crisi del modello di sviluppo keynesiano-fordista che ha permesso nel secondo dopoguerra alti tassi di sviluppo e benessere diffuso in tutto il mondo occidentale. Molto stato scritto su questa crisi. Riassumiamo in breve quelli che sono a nostro avviso i

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punti fondamentali: il modello keynesiano-fordista si basava su produzioni di massa che permettevano forti aumenti di produttivit, e di conseguenza rendevano possibile ai ceti subalterni di ottenere effettivi miglioramenti del tenore di vita grazie agli alti salari e alle varie forme di reddito indiretto tipiche del Welfare State. Negli anni Settanta il modello entra in crisi per il formarsi di una tenaglia sui profitti dovuta da una parte alla saturazione dei mercati dei beni durevoli di massa, dallaltra alla forza che la tendenziale piena occupazione fornisce al lavoro dipendente. La crisi si manifesta come stagflazione, e viene superata solo con il superamento del modello fordista e riformista del secondo dopoguerra. Il momento cruciale , nel 1979, la manovra monetaria della Fed (presidente Paul Volcker), che crea una forte recessione che permette di indebolire il movimento operaio. La crisi generata dalla manovra di Volcker finisce nel 1983, e da l riparte negli Usa una crescita che dura per tutti gli anni Ottanta. Tale crescita avviene per come effetto delle politiche economiche di Reagan che rappresentano in sostanza una sorta di rovesciamento del keynesismo, per cui lintervento statale non serve pi a sostenere i consumi di massa ma serve a sostenere il complesso militare-industriale (soprattutto negli Usa) e in generale la domanda di

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beni di investimento (attraverso commesse e sovvenzioni). Ma tutto questo si realizza necessariamente attraverso un immane trasferimento di ricchezza dal basso allalto della scala sociale. I redditi da lavoro vengono compressi e alla tendenziale caduta della domanda che questo comporterebbe si risponde da una parte con lampliamento della sfera del credito, dallaltra con lo spostamento del capitale dalla produzione materiale alla finanza speculativa. Se realistica questa descrizione, estremamente stringata, che abbiamo dato dellevoluzione economica e sociale degli ultimi decenni, appare evidente come sia difficile immaginare una ripresa della crescita negli Usa. Le modalit di crescita tipiche dellimmediato dopoguerra sembrano escluse. Il neoliberismo che ha dominato negli ultimi trentanni ha sedimentato interessi, aggregazioni sociali, legami di potere, ideologie: un forte nodo sociale e ideologico che dovrebbe essere tagliato di netto per lasciare spazio a diverse strutturazioni economiche, sociali e culturali, e non si vede quale sia il soggetto sociale dotato della capacit di impostare la dura lotta a questo necessaria. Inoltre, il ritorno alle modalit della crescita tipiche del dopoguerra richiede la presenza di una merce o di una serie di merci che possano rilanciare il consumo di massa, come furono

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lautomobile e le altre merci analoghe: ma di simili merci non si vede oggi traccia. Cos, ci sembra difficile che possa venire rilanciata una crescita economica sul modello di quella degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta. Daltra parte, il modello di crescita del trentennio successivo ai Settanta esattamente quello che ha portato alla crisi attuale e che si vorrebbe superare. Non si vedono quindi elementi che possano far pensare a una ripresa non meramente episodica della crescita negli Usa. Esaminiamo ora la questione di un possibile rilancio della crescita a partire dai notevoli risultati economici ottenuti in questi tempi da paesi come Cina, India, Brasile. Il problema, nella tesi che stiamo esaminando, che essa sembra assumere che tali paesi abbiano capacit di vera autonomia nella gestione economica. Ci sembra questa unipotesi non realistica: questi paesi sono quello che sono, e ottengono i loro notevoli risultati economici, allinterno del sistema delleconomia mondiale. Prendiamo in esame la Cina. Finora la sua economia cresciuta basandosi sulle esportazioni e sul basso costo della forza-lavoro. In questo modo essa ha accumulato grandi riserve monetarie e ha fatto crescere una numerosa classe media. Questo ceto medio potrebbe rappresentare la

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base di un nuovo modello basato sul consumo interno e non pi sulle esportazioni. Questa politica potrebbe essere aiutata da un piano di massicci lavori pubblici, finanziati con gli avanzi delle partite correnti, che aumenterebbero la capacit di consumo della masse cinesi. Una Cina che cominciasse a crescere basandosi sul consumo interno potrebbe infine fare da traino alleconomia mondiale, sostituendosi in questo ruolo agli Usa. Cerchiamo adesso di vedere se lo scenario appena delineato sia realistico. Vogliamo per prima cosa ricordare che le cifre della crescita cinese andrebbero corrette tenendo conto del fatto che essa sostituisce uneconomica di sussistenza che non era calcolata nel Pil, e quindi la crescita produttiva reale probabilmente minore di quanto appaia dai dati ufficiali. Il punto fondamentale da far notare, comunque, che la Cina ha costruito i suoi notevolissimi risultati economici recenti, come si detto, essenzialmente sui bassi salari e sullesportazione. Il grande balzo produttivo cinese avvenuto in questo modo, su queste basi. La trasformazione radicale di uneconomia delle dimensioni di quella cinese, con il passaggio dalle esportazioni ai consumi interni, appare, in questo contesto, come unoperazione facile da scrivere sulla carta (o sulla tastiera del computer), ma assai

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ardua da realizzare in pratica. In primo luogo, per una politica di alti consumi interni la Cina dovrebbe rivalutare la propria moneta, ma questo avrebbe come conseguenza probabile una crisi economica, visto che le industrie cinesi attuali basano la loro attivit sullesportazione, che sarebbe danneggiata dallaumento del cambio. In secondo luogo, la Cina detiene enormi riserve in dollari, che verrebbero svalutate se il renminbi si rivalutasse contro il dollaro. La Cina dovrebbe quindi in qualche modo liberarsi dei suoi dollari, ma questo farebbe crollare il dollaro, mettendo in crisi gli Usa e quindi la domanda su cui si retta finora la crescita cinese. Si pu infine notare che una politica orientata ai consumi interni ha bisogno di alti salari, ma le industrie cinesi, abituate a essere concorrenziali grazie ai salari bassi, potrebbero reggere alti salari solo importando o producendo tecnologie produttive avanzate. Ma in un paese che deve dar lavoro a centinaia di milioni di lavoratori sotto-occupati nellagricoltura, luso di tecnologie avanzate (e quindi labor-saving) indurrebbe una disoccupazione di massa dalle conseguenze imprevedibili. Il discorso sullIndia ci sembra analogo: India e Cina sono ovviamente realt diversissime, ma rispetto al tema

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generale della loro possibilit di rilanciare la crescita a livello mondiale ci sembra si possano fare discorsi simili. Esaminiamo ora molto rapidamente il caso del Brasile, che un po diverso perch non abbiamo qui uneconomia fortemente rivolta alle esportazioni. Il problema del Brasile, che si tratta di una societ fortemente diseguale, e gli squilibri nella distribuzione del reddito danneggiano fortemente la domanda. Questi ci sembrano i motivi per i quali corretto a nostro avviso parlare di uno scenario di fine della crescita. Occorre ora riflettere sul significato sociale e politico di un tale scenario. quanto faremo in un prossimo articolo.

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Emilio Isgr, Chopin, 1979. Collezione Intesa Sanpaolo

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Altri percorsi di lettura: Giancarlo Alfano Marshall McLuhan e la materia mediale Antonio Tursi Cento di questi anni Torna al men

Marshall McLuhan e la materia mediale

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Giancarlo Alfano

l 21 luglio ricorre il centenario della nascita di Marshall McLuhan (scomparso nel 1980). stato probabilmente Eric A. Havelock il primo a mettere lopera di McLuhan in contesto: quando, in un saggio del 1986, ha scritto che nel giro di dodici mesi, o anche meno, dal 1962 alla primavera del 1963, in tre paesi diversi la Francia, lInghilterra e gli Stati Uniti apparvero cinque opere tra loro misteriosamente collegate. Mentre Lvi-Strauss pubblicava Il pensiero selvaggio, Goody e Watt Le conseguenze dellalfabetismo, McLuhan La galassia Gutenberg, Mayr Specie animali ed evoluzione, lo stesso Havelock dava alle stampe la sua Introduction to Plato (Cultura orale e civilt della scrittura, nella traduzione italiana). Cinque diversi autori, appartenenti a cinque discipline solitamente non in dialogo tra di loro, si soffermavano tutti

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sul rapporto tra oralit e scrittura, insistendo, in forma diversa ma comparabile, sul modo di funzionamento dellevoluzione umana. Quegli autori, insiste pi avanti ancora Havelock, avevano tutti in comune unesperienza: la voce di Hitler ascoltata alla radio, lemozione tribale di una sonorit incomprensibile nel suo significato linguistico, ma potente nei suoi effetti emotivi. Qualcosa, si direbbe, di paragonabile al tuono. E precisamente come accade per la gamma sonora dei bassi, anche quel rombo dovette essere percepito innanzitutto col corpo, assorbito attraverso i muscoli e lo scheletro. Questa incorporazione, che come Havelock interpreta lantico concetto di mimesis (imitazione, cio, come assunzione dentro di s del movimento altrui), stata costantemente al centro della riflessione di McLuhan. Basti un aforisma della Gutenberg Galaxy: Fino a oggi ogni cultura stata per tutte le societ una sorta di destino meccanico, lautomatica interiorizzazione delle loro stesse tecnologie. Viene cos rovesciato, in maniera sorprendente, lassunto secondo cui la tecnologia sarebbe esteriorizzazione (soprattutto nel senso di memoria esterna), con la conseguente riduzione a cosa dellumano. Al contrario, la riflessione mcluhaniana sulla civilt, proprio perch nutrita di teologia,

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assai distante da ogni forma di idealismo (e idealizzazione), ed invece assai attenta al dato materiale. Pi precisamente, si pu affermare che lo studioso canadese ha realizzato unanalisi materialistica dei mezzi di comunicazione di massa. Al di l delle sottili distinzioni concettuali da lui proposte che raggiungono il massimo di felicit espressiva nelle straordinarie pagine di Understanding Media (Le forme del comunicare, in Italia, 1964) il vero cuore della sua teoria risiede nellosservazione delle diverse forme di ibridazione psichica e somatica tra luomo e le sue protesi che si sono verificate nel corso dei secoli. Osservazione che si pu risolvere in una formuletta di questo tipo: Luomo il servomeccanismo della sua tecnologia. Non vero, cio, che la tecnologia serve luomo, ma luomo serve la sua tecnologia. Di conseguenza, non la tecnologia ad adattarsi alle necessit umane, ma sono gli uomini che si adattano alle trasformazioni tecnologiche (sintetizzano tutto questi versi di Gabriele Frasca: Per essere asservito meglio al seme / serve che sinserisca nel riflesso / messi proteo e prometeo in catene / la protesi cui fungere da sesso, Rive, Einaudi 2001, p. 178).

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Un altro aspetto decisivo dellanalisi mcluhaniana aspetto che anche la probabile causa del suo successo presso pubblici assai diversi (americani ed europei; letterati e sociologi; apocalittici e integrati) la costante attenzione, sin dai suoi primissimi studi, alla ricaduta che il sistema dei media ha nelle forme dellimmaginario sociale. Lo testimoniano le pagine del suo primo libro, pubblicato per la prima volta giusto sessanta anni fa, nel 1951: The Mechanical Bride. Folklore of Industrial Man (La sposa meccanica, tradotto in Italia nel 1984). In questa predisposizione a leggere i miti doggi come manifestazioni di una cultura complessiva, analizzabile secondo principi materiali anche nelle sue manifestazioni ideali e impalpabili, consiste linsegnamento forse pi vivo di Marshall McLuhan, a volte oscurato, occorre dirlo, da uno stile che subisce la fascinazione dellorfico, delloscura sinteticit del vaticinio, ma che pi spesso produce delle vere fulminazioni concetttuali: Avete mai visto un sogno che cammina?, chiede una pubblicit del fascino femminile. La bomba di Hiroshima fu chiamata Gilda in onore di Rita Hayworth (La sposa meccanica, p. 195).

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McLuhan tra religione e media
Antonio Tursi

l 21 luglio 1911 nasceva a Edmonton Marshall Herbert McLuhan, il teorico dei mass media. Un centenario che merita di essere ricordato. Di essere ricordato, per, seguendo quellindicazione che lo stesso McLuhan ha offerto nel suo primo libro La sposa meccanica: La qualit del rapporto di chiunque con le menti del passato esattamente e necessariamente determinata dalla sua comprensione del mondo contemporaneo[1]. Dunque, si pu ricordare McLuhan solo a partire dal nostro mondo, un mondo che McLuhan ha prefigurato con il suo concetto di rete senza giunture ma non direttamente esplorato essendo deceduto il 31 dicembre 1980. Un mondo in cui la televisione non pi il nuovo medium di cui valutare gli effetti sulla psiche e

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sulla societ, come lo era a met del secolo scorso quando McLuhan andava pensando i suoi testi pi importanti: La galassia Gutenberg e Gli strumenti del comunicare. Un mondo, quello in cui ci dato vivere, che nellultimo quarto di secolo stato rimediato dalla telematica e che oggi gira sul tempo reale della rete internet e si muove nello spazio delle tecnologie della prossimit, a iniziare dai telefoni mobili. Possiamo e dobbiamo dire da subito che tutti i teorici della cultura digitale riescono nel loro sforzo interpretativo nella misura in cui poggiano sulle spalle di McLuhan. Questo vale per coloro che riconoscono esplicitamente il loro debito ma anche per coloro che sono restii a farlo. L dove viene meno questo appoggio linterpretazione del nuovo scenario mediale vacilla. Dunque, McLuhan ha gi detto tutto? Certamente no. Sicuramente per ha dato unimpostazione imprescindibile a diversi piani interpretativi che gli studiosi continuano a esplorare per comprendere il mondo contemporaneo: il rapporto tra societ e media; quello tra spazio, tempo e media; la delineazione di una antropologia allaltezza dello scenario mediale; le ripercussioni di tale scenario sulla politica e sullarte; infine, il rapporto tra religione e mezzi di comunicazione.

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Proviamo a osservare questultimo piano che pare accomunare strettamente il pensiero di McLuhan a una serie di esiti attuali della riflessione mediologica, anche se il rapporto tra religione e tecnologia avvertito da tempo. Forse uneredit indesiderata dellIlluminismo che, nel suo scontro con la religione, ha finito per trasmetterci una nuova fede, quella nel progresso tecno-scientifico. Lo storico David Noble ha descritto le radici religiose della tecnologia moderna, concludendo che limpresa tecnologica rimane soffusa di fede religiosa. Jacques Ellul ha paragonato la tecnologia a una religione il cui dio lefficienza, i sacerdoti sono gli economisti e i servi fedeli sono i tecnici. Autori assai vicini a McLuhan come Walter Ong e Teilhard de Chardin hanno mostrano nella loro esperienza il peso dellafflato religioso nel pensiero mediologico. I tecnofili immaginano paradisi emergenti grazie alla potenza della tecnica, mentre i tecnofobi rivivono le paure millennaristiche dellAnticristo. Considerando la cultura digitale, Marcos Novak e Michael Benedikt sono stati definiti teologi del cyberspazio (da Bolter e Grusin) a causa della loro netta distinzione tra al di qua (mondo di atomi) e al di l (mondo di bit). In Pierre Lvy evidente la spinta buddista verso una salvezza tecnologica (uno dei sinonimi di Informazione

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Karma). E anche Derrick de Kerckhove ha lambito un orizzonte religioso soprattutto a proposito dellarmonizzazione del computer quantico. Pare proprio inevitabile approdare sulle placide spiagge della religione percorrendo la via che dovrebbe portare a comprendere i media. E McLuhan non solo non fa eccezione ma anzi pare essere un apripista.

orse proprio lo studio dei media a innescare la conversione di McLuhan al cattolicesimo. Sicuramente, per, la sua concezione della religione influenza le sue teorie mediologiche e ci in almeno due modi: in primo luogo, come spinta a cogliere la cifra pi profonda dei media; in secondo luogo, come rifugio per ripararsi da alcuni effetti decisivi ma indesiderati dei media stessi, in particolare di quelli elettrici. In modo estremamente chiaro, un ancora ventiquattrenne McLuhan scriveva alla madre Elsie: Il carattere di ogni societ, il cibo, labbigliamento, le arti e i divertimenti sono, in ultima analisi, determinati dalla sua religione[2]. In seguito, quando inizier a occuparsi di media, non mancher di inserire anche questi ultimi nellelenco. Di conseguenza, per esempio, McLuhan avverte che lalfabeto greco-romano

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non stato preparato dalluomo, ma disegnato dalla Provvidenza Come McLuhan intende la religione? In una maniera da rendere possibile una adaequatio spiritus et medium: una maniera che ha fatto di lui un privilegiato nello studio dei media. Per McLuhan la religione rapporto con la cosa. La rivelazione riguarda la cosa, non la teoria. E laddove la rivelazione rivela la vera cosit non abbiamo a che fare con i concetti. La cosa, levento divino rivelato, il Cristo incarnato. Per McLuhan, la religione cattolica (unica) religione della carne.La religione cattolica [] sola accondiscende i termini che le nostre sette hanno odiato e hanno designato con sgradevoli appellativi come carnale, che squisitamente vicino a carnaio. La Chiesa cattolica non disprezza n mortifica ingiustamente quegli attributi e quelle facolt che Cristo si degn di assumere. La cosa non affatto spirituale. Se la cosa fosse spirituale ci troveremo di fronte alladorazione non di un corpo (quello di Cristo), ma di un suo etereo per quanto ragionevole facsimile, il quale identificabile con il nome di Anticristo. In questo caso, dovremo confrontarci perci con una smaterializzazione della nostra esperienza. Unillusione questa che emerge specialmente nellepoca dellinformazione

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elettronica nella quale molte persone avvertono le attrazioni mistiche della luce elettrica, e ritornano allocculto, alla percezione extrasensoriale, e a ogni forma di consapevolezza misteriosa, in risposta a questo nuovo accerchiamento dellinformazione elettronica. E cos viviamo, in senso volgare, in unera estremamente religiosa. Per evitare queste derive e per restare ancorato al dettato cattolico, McLuhan riconosce che lelettricit non smaterializza ma avvicina i corpi, essa sostanzialmente auditiva e tattile: crea coinvolgimento tra le persone. E quando McLuhan richiama la religione si riferisce proprio a qualcosa basata sulla carne, sul coinvolgimento, sul contatto con laltro. In virt di questa religione incarnata in cui crede, McLuhan pu comprendere i media come estensioni dei nostri sensi e, specificamente, quelli elettrici come estensioni del nostro sistema nervoso centrale. Questa unacquisizione fondamentale che fa ancora oggi da spartiacque tra coloro che riescono a comprendere in profondit le reti digitali e coloro che rimangono sulla superficie dei processi che ci coinvolgono, tra coloro che riescono a sentire la densit degli investimenti emotivi che sostengono le reti digitali e coloro che rincorrono ancora i sogni illuministi della trasparenza del sociale a s stesso.

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Cos come la religione cristiana conversione, i media sono cambiamento, cambiamento della nostra percezione, del nostro corpo, di noi stessi. Ma questo incessante cambiamento spinge McLuhan a dichiarare un elemento di chiusura della sua visione ovvero a mostrare cosa tiene insieme i grandi cambiamenti prodotti dai media nel corso della storia umana. In altri termini: cosa garantisce le sue sparse considerazioni? Questa ricerca di uno sfondo unitario si palesa come rilancio della dottrina del Verbo. Cos come essa fu elaborata dai Padri della Chiesa e cos come viene ripresa da McLuhan, la dottrina cristiana del Verbo riattualizza il pensiero greco del logos. Comune una relazione con lo sfondo essenziale delle cose. Il risuonare del logos indicava dinamicit, metamorfosi, cambiamento (che per il cattolico McLuhan significa cambiamento nel cuore), interazione tra figure per esempio, tra i sensi o tra i media. Una metamorfosi, un mosaico di interazioni reso possibile per da uno sfondo essenziale, una cornice: lEssere. Nel pensiero mcluhaniano, il chiaroscuro del divenire come processo sequenziale stato messo da parte e sostituito dallassolutismo iconico dellessere[3]. Il logos la causa formale del kosmos e di tutte le cose, responsabile della loro natura e configurazione. Ma questa causa formale altro non che

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lEssere, pensato da McLuhan in modo molto cristiano: Il corpo divino che circonda il mondo quella parte del logos risonante che non cambia mai. Questa parte non contenuta nel mondo, ma resta al di fuori, come un involucro. In questottica, si spiega bene in che senso il logos lo sfondo imperituro su cui si stagliano, interfacciandosi e modificandosi, le figure le quali dunque emergono dallo sfondo e continuamente vi ritornano. Lo sfondo di ogni artefatto definibile sia come la situazione che gli d origine, sia [come] lintero ambiente (medium) di servizi e disservizi che viene messo in azione; in definitiva, lo sfondo il pubblico e la configurazione della sensibilit culturale nel momento in cui lartefatto viene prodotto[4]. Queste sono le conseguenze dellafflato religioso di McLuhan sulla sua comprensione generale dei media. Queste conseguenze si specificano e si palesano ancor di pi nello scandaglio del medium elettricit e nella previsione dei suoi esiti.

elettricit apre la strada a unestensione del processo stesso della consapevolezza, su scala mondiale e senza alcuna verbalizzazione. possibile che questo stato di consapevolezza collettiva fosse la condizione

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delluomo preverbale. Ed possibile che il linguaggio, come tecnologia dellestensione umana di cui conosciamo cos bene i poteri di divisione e di separazione, sia stato la torre di Babele mediante la quale gli uomini hanno cercato di arrampicarsi nel pi alto dei cieli. Oggi i cervelli elettronici ci promettono la traduzione immediata di un cifrario o di un linguaggio in qualunque altro. Ci promettono insomma, attraverso la tecnologia, una condizione pentecostale di unit e comprensione universali. Logicamente la fase successiva dovrebbe consistere non nel tradurre ma nel superare i linguaggi a favore di una consapevolezza cosmica generale [] in una condizione di averbalismo capace di assicurare in perpetuo la pace e larmonia collettiva[5]. Questo sfondo irenico della Parola divina capace di garantire una condizione pentecostale rassicura McLuhan sugli esiti delle vicende mediali. Il villaggio globale costruito dai media elettrici, infatti, un insieme di tensioni e di scontri. necessario perci trovare una fonte di rassicurazione. E cosa meglio del Logos, dellEssere divino pu fornire tale rassicurazione: il Cristo che garantisce della permanenza del messaggio, cio della comunit umana. Forse il lascito antisostanzialistico del pensiero filosofico che corre da Nietzsche a Heidegger dovrebbe aiutare a

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indebolire quello sfondo del nostro mondo a cui McLuhan non sa rinunciare. Forse lessere pensabile come evento e non come datit e, viceversa, il divenire pensabile altrimenti che nella forma della sequenzialit propria alla metafisica occidentale. Forse una coscienza collettiva pu darsi nella forma del conflitto, del conflitto tra figure che non porta necessariamente a una costruzione pacificata e armonica. Forse si tratta di progettare il rapporto tra le culture sulla base del riconoscimento delle debolezze di ciascuna di esse. Forse la costruzione di una coscienza globale chiama in causa la pluralit irriducibile che fonda labitare. Forse larmonia sperata da McLuhan deve tradursi nei termini di una costruzione faticosa della polis. [1] M. McLuhan, The Mechanical Bride. Folklore of Industrial Man, 1951; trad it. La sposa meccanica. Il folklore delluomo industriale, Sugarco, Milano 1996, p. 95. [2] Id., The Medium and the Light. Reflections on Religion, 1999; trad. it., La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione, Armando, Roma 2002, p. 42. Per i passi seguenti, ivi, pp. 80, 98, 41, 104.

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[3] M. McLuhan, E. McLuhan, Laws of Media. The New Science, 1988; trad. it., La legge dei media. La nuova scienza, Edizioni Lavoro, Roma 1994, p. 86. Per i passi seguenti, ivi, pp. 67, 66, 33. [4] M. McLuhan, B.R. Powers, The Global Village. Trasformation in World Life and Media in the 21st Century, 1989; trad it., Il villaggio globale. XXI secolo: trasformazioni nella vita e nei media, Sugarco, Milano 1998, p. 106. [5] M. McLuhan, Understanding Media. The Extension of Man, 1964; trad. it., Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 1995, p. 90.

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Emilio Isgr, Cinque pale nere, 2003. Installazione. Centro per larte contemporanea Luigi Pecci, Prato 2008

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Il viaggio immaginario di Hugo Pratt

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Michele Emmer

ugo Pratt ha raccontato (o inventato, che la stessa cosa) suoi ricordi veneziani in alcune delle pi belle storie. Una storia famosissima sulla Corte sconta, Corte sconta detta Arcana. Di corti sconte, ovvero nascoste, ne esistono 285 a Venezia anche se nessun toponimo porta il nome di Corte sconta. Unavventura di Corto Maltese, ovviamente. Con il passare del tempo, man mano che il traffico pedonale ha cominciato a essere pi importante di quello acqueo, le corti hanno perso dimportanza, sono rimasti luoghi separati, nascosti, misteriosi. Proprio per questo la maggior parte delle corti sono rimaste inalterate nel corso dei secoli. La corte sconta detta arcana, che in realt corte Bottera nel sestiere di Castello, un luogo molto bello. Sia la corte con la scala e la famosa porta alchemica, oggi murata

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sia il sottoportego che d sui canali. E anche per la forma dei canali abbastanza unica corte Bottera. Insomma un vero luogo magico nella magica citt lagunare. Quel campiello ha un nome, scrive Pratt nella prefazione alla avventura di Corto Maltese Sirat al Bunduqiyyah che vuol dire, pi o meno, Fiaba di Venezia, o meglio Storia di Venezia. Racconta Pratt che da un arabo eritreo era venuto a sapere che lAdriatico di chiamava Giun Al-Banadiqin, il Golfo dei veneziani e che gli egiziani chiamavano Al Bunduqiyyah la citt di Venezia. E termina la fiaba di Venezia con la frase: Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti, uno in calle dellamor degli amici, un secondo vicino al ponte delle maravegie, un terzo in calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani (qualche volta anche i maltesi) sono stanchi delle autorit costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di queste corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie. Corto che scompare in una di queste porte chiedendo Sono Corto Maltese lascio questa storia

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di Sirat al Bunduqiyyah e chiedo di entrare in unaltra storia in un altro luogo La Fiaba di Venezia esce per la prima volta nel 1979. Nel 1977, a dicembre, era stata pubblicata la storia Corte sconta detta Arcana. A dicembre che quellanno a Venezia era arrivato in ritardo perch qui a Venezia gli anni sono sempre un poco pi lunghi, come dice Bocca Dorata a Corto. E Corto che ogni volta che capita a Venezia si impigrisce si chiede: Sarebbe bello vivere una favola, una favola veneziana, che sar il titolo dellavventura successiva del 1979. Mentre quella con il titolo di Corte sconta detta arcana si svolge interamente nel lontano oriente, tranne lincipit veneziano. E la Favola di Venezia riprende il sogno di Corto e linizio della storia che si svolge interamente a Venezia, ricomincia da: Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti, uno in calle dellamor degli amici, un secondo vicino al ponte delle maravegie, un terzo in calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani (qualche volta anche i maltesi) sono stanchi delle autorit costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di

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queste corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie. Con un disegno che rappresenta un luogo diverso da quello dove era finita la avventura di due anni prima. Il viaggio immaginario dHugo Pratt si chiama la grande mostra che si tiene in uno dei nuovi luoghi dedicati allarte a Parigi, la Pinacothque, sino al 21 agosto. Viaggio di Pratt e del suo personaggio Corto Maltese, le cui storie, come scritto nel catalogo, si sono sempre intrecciate.

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Essential Killing di Jerzy Skolimowski

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Valentina Valente

uando ero sul ring non pensavo ad altro che alla box. Si trattava di lottare e di non lasciarmi vincere. importante lottare, ma non essenziale vincere a tutti i costi e di certo non al prezzo di colpi bassi. Si tratta di lottare nel tentativo di difendersi. C una celebre espressione latina che recita: Vivere est non necesse, navigare necesse est. Limportante cercare di muoversi, [] perch una volta che la vita ci spinge su un divano profondo noi ci adagiamo. Quella non sar mai vera vita. Per questo ho adottato unattitudine alla lotta. Le parole di Jerzy Skolimowski delineano un atteggiamento di continuit e di coerenza: dalle prime opere come Walkover (1965), che fa esplicito riferimento alla sua carriera di boxeur, fino a Essential Killing (2010), la lotta si impone

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costantemente come nucleo della vita, non solo per sopravvivere, ma in quanto la lotta la vita stessa. Essential Killing (2010) ha come protagonista Mohammed (Vincent Gallo), un talebano che, dopo esser stato catturato e trasportato in un sito militare, nel trasferimento verso il campo di prigionia riesce a fuggire. Il film racconta il protagonista e la sua fuga. La vita, la condizione politica e sociale del personaggio non sono definite se non nello spazio del film, dei luoghi e degli individui che incontra, nel suo caotico percorso in balia del caso, anchesso elemento costante nella filmografia skolimowskiana. il corpo il centro nevralgico del film e si definisce nellincontro e nello scontro con laltro. Un corpo la cui fisicit e animalit si affermano in misura ancora pi incisiva a partire dal momentaneo handicap uditivo del protagonista e la conseguente ipersensibilizzazione del tatto e della vista. Limportanza del silenzio, degli sguardi e lesplorazione del rapporto fra i corpi in questo film sembra il naturale proseguimento di Four Nights with Anna (2008), in cui dallintrusione nella privacy domestica alla violenza carnale, il corpo diventa il principale veicolo del sentire e della constatazione dellimpossibilit delle relazioni.

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In Essential Killing ogni concezione dualistica sembra superarsi in una dimensione totalmente fisica dellatto di conoscenza; quindi il personaggio e il mondo non sono pi separati da un limite di conoscitore e conosciuto, ma uniti in uno stesso processo costitutivo e percettivo, verso una soggettivit che sia corporeit. La riflessione e il lavoro di Jerzy Skolimowski e del suo attore Vincent Gallo si presentano quindi come una manifestazione di presenza al mondo attraverso lazione sui corpi e sulla natura. Come scrive Marleau-Ponty Riflettere autenticamente significa darsi a se stesso, non come una soggettivit oziosa e recondita, ma come ci che si identifica con la mia presenza al mondo e agli altri come io la realizzo adesso. Io sono come mi vedo, un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia storia, ma perch io sono questo corpo e questa situazione storica per mezzo di essi.

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La 54a Biennale di Venezia
Paolo Fabbri, Tiziana Migliore, Valeria Burgio, Alvise Mattozzi, Patrizia Magli La Biennale perde il lume 1. Luminarie La Biennale di Venezia, nelle intenzioni degli organizzatori, sarebbe un pellegrinaggio verso larte. A noi sembra piuttosto un circo dove clown e trapezisti eseguono gli stessi numeri, rovesciati nel valore. Ci sono acrobati che volteggiano intrepidamente in alto e buffoni raso terra che si scambiano lazzi e lepidezze (ogni allusione al padiglione (tras)curato da Sgarbi non tale). La successione dei numeri 83 artisti invitati alla 54a edizione, lincremento dei padiglioni e lauspicabile successo di botteghino rende il Circo Biennale un laboratorio

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fruttuoso per comprendere le forme di vita delle arti. Un luogo dinvenzione e di esperimento alla condizione di cambiare le tradizionali domande: Come, Perch e sostituirle con Quanto limplicazione economica e Quando lesplicazione pragmatica. Il Quanto ha a che vedere con merci e mercati, calcolabili bolle finanziarie e beni rifugio; il quando pi sfuggente e imprevedibile. Alla domanda intima e insistente del visitatore: Arte? un Artista?, le opere e le altre attivit in scena replicano tongue in cheek: Artista dunque ero, artista quando sono. Fuori da ogni residua ontologia e ontalgia, anche da quella negativa di Baudrillard per cui Lart moderne est nul. Come distinguere i risultati artistici dagli effettacci speciali, i Gedankenexperimenten percettivi, affettivi e concettuali dai padiglioni beauty farm, dai centri benessere o malessere? Non bastano le attestazioni degli ottimati, curatori ed esperti in vivo contrasto tra loro e che si trattano reciprocamente da Pessimati (sic!). Il visitatore, massaggiato alla partecipazione attiva, richiederebbe segni o per lo meno sintomi dellArtistico. Lacquisto facoltativo di un greve catalogo da portare dopo la lunga visita scritto quando le opere non sono state ancora realizzate e installate e votato alla coffee table, non risponde

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alla domanda. Anche il titolo generale della Mostra, uso invalso dagli anni Settanta quando la Biennale ha smesso di pubblicare una sua rivista analitica non proprio illuminante. Lintitolato ILLUMinazioni apparso e piaciuto alla curatrice Bice Curiger, alle prese con le vetrate di una chiesa, come allabate Suger di Saint-Denis di panofskiana memoria. Labatone imprenditore per sapeva la differenza tra luce soprannaturale e lume profano: il lume, complice dellombra, era leffetto della luce metafisica attraverso il diafano mondano. Per Suger, come per san Tommaso, lottica era una branca della teologia. Curiger non va tanto per il sottile: la luce uno strumento intellettuale che importante cogliere in ogni oggetto darte con possibilit di percezioni intuitive (Intervista di Manuela Gandini a Bice Curiger, alfabiennale, giugno 2011, p. 1). Della parola Illuminismo, che in francese lumire e in italiano lume, la fa ridere il also suffisso!? Per acclarare questo strumento come provocazione agli artisti invitati e edificazione del visitatore la curatrice ha portato alla luce un manierista trasgressivo come lultimo Tintoretto, per la sua luminosit razionale e febbrile, anche se in ultima istanza non razionale ma estatica. Per Bice

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Curinger, infatti, lUltima Cena limmagine di un social gathering pieno di significati. Restano da capire le qualit estatiche che esemplifica linstallazione ricostruita di Gianni Colombo, Spazio Elastico, perch Pipilotti Rist abbia trasformato in video tre opere della scuola del Canaletto e soprattutto la qualit luministica del ventre della balena nel Padiglione Geppetto di Loris Graud. Chi visiter vedr. N. B.: A lume di naso: andrebbe indagata la sindrome Paese dei Balocchi che coglie gli artisti francesi invitati alla Biennale veneziana. Nella 52a edizione, 2005, vinse il Leone dOro della miglior partecipazione nazionale Annette Messager con Casino: una variante di Pinocchio, come lato oscuro delluomo Le Biennali per sono eventi effimeri e godono di diritto di amnesia: le edizioni sono distanti anni luce. Quanto a Graud, la taglia dellopera, il cui interno piccolo borghese permette di installare visitatori dagli stessi gusti, non tollera confronti col mostro spiaggiato di Fellini nella Dolce Vita e la grande Mouna del veneziano Casanova, nel cui cupo ventre una lanterna magica proiettava disegni di Topor.

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2. Inter(s)viste Al visitatore lardua sentenza. Ai semiologi la constatazione dellequivoco sul prefisso meta- che non pi un piano critico di consistenza, analitico e riflessivo, ma una sagra interattiva di linguaggi. In questa accezione la 54a Biennale proprio meta-. Come ovviare allora alla difficolt strutturale del genere Arte Contemporanea nel rendersi reperibile proprio in quanto irriconoscibile e ininterpretabile? La provocazione deve eccedere le forme riconosciute sul piano espressivo e dei contenuti e la trasgressione deve essere situata medium, cornice, luogo, tempo e partecipanti. In assenza di letture qualitative in grado di ricostruirne i codici di infrazione, ecco la scappatoia discorsiva: lIntervista. In assenza di metalinguaggio correttamente inteso, meglio chiedere allartista un significato fuori dalla portata del pubblico. Ammesso che risponda, bisogna fidarsi: della pertinenza delle domande e soprattutto del senso della risposta: che lartista contemporaneo replichi a tono (Pistoletto) e non scherzi sulla domanda (Boetti); che sia davvero lui a rispondere (Cattelan); che non ridica la solita storia; che sia in grado di formulare unintenzione implicita se non inconscia; che non abbia interesse ad aggirarla ecc. Non sempre il caso. Alle questioni rivolte da Bice Curiger agli artisti,

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Roman Ondak, per esempio ha risposto: B. C.: Quante nazioni ci sono dentro di lei?, R. O.:Una. B. C.:Dove si sente a casa?, R. O.: Sulla terra. Lucido o illuminante? Le scienze delluomo, avvertite della fallibilit della memoria e dei troppo umani interessi, hanno elaborato strategie postbehavioriste di controllo per rendere le interviste accurate e verificabili. Per evitare le sviste ne somministrano di pianificate, filtrate, direttive, cognitive, isolate o in questionario ecc. e sconsigliano in genere le domande col perch?. In mancanza provvisoria delle scansioni cerebrali promesse dalla neuroestetica, la critica darte contemporanea coltiva invece ed estensivamente il genere Inter(s)vista. Praticata da critici embedded, coinvolti nella promozione degli autori, la domanda prediletta quella da ascensore, aggirabile, revocabile e reinterpretabile, per poter rispondere di nuovo e porre nuove domande. Le risposte beninteso sono lungi dallessere insignificanti, se integrate nellanalisi delle opere, alle quali appartengono come testo da approfondire, non come contesto esplicativo. Il rischio per che il concorso bandito per il miglior saggio sulla biennale del 2011 sia proprio unintersvista.

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3. Impiccioni La Biennale del 150, ILLUMInazioni, stata frequentata da impiccioni. Come Sgarbi, un Lucignolo che si vorrebbe Lucifero, specializzato nel salto nel buio, e il neo-ministro della cultura Galan. Visitatore qualificato e leghista veneto, ha molto apprezzato il concittadino Cattelan e la trovata degli ubiqui piccioni imbalsamati; in una tipica intersvista, ha distinto, con semiotica competenza, il volatile referenziale che lo disgusta e il simulacro che unidea brillante. Questi impiccioni non bastano per a mettere in cattiva luce una Biennale che ha i suoi barlumi, lampi, brilli, luccichii, barbagli, fulgori, scintillii, splendori e via lucendo. Nellinsieme, per, se nesce rabbuiati. La curator della luce si scordata di quello che Tintoretto sapeva bene: Lombra di maggior potenza che il lume (Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura, V, 537). P. F. Connettori a vista Sono poche le illuminazioni della 54a Biennale, nonostante il riferimento di Bice Curiger a Rimbaud, il quale, con questo

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termine, considerava le intuizioni, come visioni ragionate. Commissari e curatori giurano che il titolo di una mostra solo uninformazione e, per il resto, una buona Biennale deve poter godere della giusta anarchia che larte contemporanea merita. Liceit dellartista o licenza di uccidere. Pi che informare, Bice Curiger ha sussurrato. Cos lanarchia divenuta decimazione di idee negli artisti e gratuit incapace di far presa sullo spettatore. Della mostra, cosa ricordiamo dopo averla vista? Tintoretto non illumina; n The Ganzfield Prize di James Turrell n gli Untitled di Christopher Wool insegnano qualcosa perch entrano in risonanza con lui. Funziona invece la seconda parte del titolo calembour, laccento posto sulle Nazioni. Si potrebbero citare la Fantasia delle aste senza bandiere di Latifa Echakhch, incrociate davanti al Palazzo delle Esposizioni, o lo spazio al neon con buzz del National Apavilion of Then and Now di Haroon Mirza, vincitore del Leone dargento come promettente giovane artista. Entrambi sottraggono peso politico al concetto di nazione, privandolo di status identitario e mostrandone i cedimenti di terreno. Viceversa, nelle corde di chi vede i padiglioni dei paesi non pi come il riflesso di una regia imperiale, ma come unorganizzazione simbolica bottom-up, capace di sfidare la geopolitica esistente,

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rimane impressa One Mans Floor is Another Mans Feelings. linstallazione site specific del padiglione israeliano, a firma di Sigalit Landau. Insieme a Yossi Breger e Miriam Cabessa, Landau aveva gi rappresentato Israele nel 1997 ed effettuato un primo scavo nelledificio modernista, per collocarvi, clandestinamente, un container con la duna di un deserto (Resident Alien I). Oggi larchitettura della nazione, a tre livelli, diventa una cisterna che espone allesterno e allinterno un sistema di condotti idrici, con pompe e tubi che sfondano le pareti e si collegano al canale adiacente. Un ingranaggio a vista di cui udiamo il funzionamento, in orizzontale e in verticale. Al pavimento di questo pianterrenosottosuolo, in un angolo, proiettato un video, Azkelon, da Aza (Gaza) e Ashkelon: tre giovani, filmati dallalto, giocano a Countries sulla sabbia, ripetendo il gesto di marcare e demolire confini. Mimano le due citt che si contendono un territorio condiviso. Dallaltro lato del pavimento c un secondo simmetrico video, ugualmente ripreso dallalto, Mermaids (Erasing the Border of Azkelon): sulle rive della stessa spiaggia, dal mare, giungono di schiena 3 donne (sirene), graffiano la sabbia e vengono risospinte indietro dallonda, che ne cancella le tracce. Un processo solitario di inscrizione ed erosione accomuna il tempo umano e il tempo eterno.

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Accanto al video c una scala a spirale che conduce il visitatore al terzo livello: qui lo spazio si svuota dei conduttori dacqua e lo lascia di fronte a uno schermo enorme, dov proiettato Salted Lake (salt Crystal Shoes on a Frozen Lake): due scarponi, cosparsi di sale, poggiano sulle lastre ghiacciate di un lago e lentamente affondano. Di nuovo lacqua, ma allo stato solido e soggetta alla reazione col sale. Le scarpe, su un suolo condiviso quanto la terra, ma non calpestabile, sprofondano. Sulla parete a lato stanno appese delle reti da pesca con cristalli di sale, che gocciolano (Salt Crystal Fishing Net). Serbatoi anche questi, di elementi belli, per immangiabili e imbevibili. Affacciandosi, si rivede a strapiombo linquadratura di Mermaids. Si scende quindi al livello intermedio, dove, in corrispondenza delle scarpe che affondano, c un tavolo rotondo. Vi sono posizionati dei Pc che visualizzano, in abme, le gambe di un altro tavolo, attorno al quale si svolge un negoziato (Salt Bridge Summit). Si discute, in pi lingue, dellipotesi di costruire un ponte di sale tra la sponda israeliana e quella giordana del Mar Morto. Una bambina, inginocchiata, scioglie i lacci delle scarpe degli interlocutori, e le riannoda unendole, mentre gradualmente i relatori se le tolgono e vanno via. Alluscita, nel cortile del padiglione, lo spettatore trova il cerchio di scarpe legate

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trasposto sottoforma di scultura in bronzo, su un basso piedistallo. Unaltra profondit che, come lacqua nelle tubature, riemerge in superficie. La bambina un simulacro enunciazionale dellartista. In un programma narrativo che offre un lessico (semisimbolico) di coppie in contrasto, omologazione e trasformazione (acqua/terra, coltelli/unghie, acqua/sale, cristallo/bronzo), lo spettatore la incontra per comprendere che tubi, reti e lacci sono s figure intercambiabili della connessione. Ma hanno bisogno di mediatori e di modalit del volere e del potere inscritte. Al termine ceiling, opposto di floor, Sigalit Landau commuta feelings, nellespressione duso comune One mans floor is another mans ceiling. Non ci sono relazioni date in partenza, bisogna sentirle e costruirle. Intanto l1 giugno, al parco dei Giardini, apposta per inaugurare del padiglione, cerano il presidente Shimon Peres e Amos Luzzatto, presidente della comunit ebraica di Venezia. T. M.

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Emilio Isgr, Fratelli dItalia, (Particolare), 2009. Palazzo delle Stelline / Galleria del Credito Valtellinese, Milano

Ltat, ce nest pas moi Un artista inadeguato a rappresentare un paese, un paese inadeguato a essere rappresentato da un artista. Latteggiamento di Dora Garca, che cos risponde allinvito di rappresentare la Spagna per la 54a Biennale di Venezia, pu irritare, come irrita ogni forma di resistenza nascosta sotto unapparente modestia e come irrita lumilt di Bartleby

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che a ogni proposta risponde, mesto e sottomesso, preferirei di no. La mostra del padiglione spagnolo austera, tanto da fare dire ad Adrian Searle, il cronista pi glam del Guardian: Spain was without pleasure. Certo, dopo i bagni di celebrity e i tributi ai galleristi espressi sotto forma di courtesy sulle etichette disseminate nella mostra di Bice Curiger, due sono le reazioni possibili alla mostra ospitata dal padiglione spagnolo: il fastidio, la noia e la fuga, da una parte; la rottura epistemologica dallaltra, unalterazione in senso critico e acuto dello sguardo da gettare dora in poi su tutta la Biennale. Larchivio di documenti esposti, infatti, non una retrospettiva delle azioni svolte dallartista. Piuttosto, un deposito di memoria pronta ad attivarsi: di tanto in tanto, il pi delle volte senza programmazione n avvisi, lo spazio, gli oggetti, i documenti, prendono vita grazie a relatori e attori, che coinvolgono il pubblico in conversazioni e azioni di teatro. In una visita guidata alla mostra senza opere, due attori, con i loro piedistalli portatili che li distinguono dagli astanti, passano da un lato del padiglione allaltro per proporre un tour del vuoto. Dimostrano come non produrre opere sia una scelta ponderata e creativa, utile allanalisi per negazione del funzionamento economico e psicologico della produzione artistica. Lopera non c,

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lidentit dellartista parcellizzata nei suoi performer, e lo spettatore entra in crisi. Si aggira come un corpo vagante cercando lappiglio di un oggetto da osservare e giudicare; capir ben presto che lui loggetto osservato e giudicato, quando si render conto che il testo proiettato nero su bianco su uno schermo parla di lui. Si tratta di Instant Narrative, descrizione in tempo reale di quello che succede in sala, ivi compresi atteggiamenti e comportamenti del pubblico. Come se non bastasse, losservatore osservato, intrappolato nei meccanismi scopici della re-entry luhmaniana, anche oggetto di insulti: le guide della visita alla mostra senza opere, alla fine del tour, guardandolo con astio dritto negli occhi e stringendogli la mano, con il filtro delle virgolette (citano Guy Debord e Peter Handke) gli daranno del perbenista e del piccolo borghese. Dopo questesperienza, niente pi come prima, e anche il mondo cerimonioso degli addetti ai lavori che si aggirano per i Giardini i giorni dellapertura, appare quantomeno sinistro. stata aperta una breccia nella costruzione teatrale delle relazioni economiche e sociali, la stessa breccia che aprono sulla realt i pazzi, gli psicotici, i disadattati. Gli inadeguati. limbarazzo sociale descritto da Erving Goffman, secondo cui chi si muove in modo inopportuno o inappropriato il comico o

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lo psicotico distrugge mondi, penetra oltre la sottile veste della realt immediata. Compito dellartista non quindi solo fare mondi, come idealisticamente auspicava Daniel Birnbaum due anni fa, ma distruggerli, aprire gli occhi sulle modalit della loro costruzione. Scomparsa delle opere e disgregazione dellartista in un numero di soggetti delegati che parlano per lei, vanno di pari passo con lindifferenza totale gettata sul concetto di stato-nazione. Il padiglione spagnolo, ma potrebbe essere di qualunque altro stato: linternazionale situazionista colpisce ancora. Unaltra mostra senza opere quella messa in scena dal collettivo che rappresenta i Paesi Bassi. Gli artisti costruiscono un set teatrale, con tanto di ribalta e retroscena. Al centro della scena una quinta riproduce il vuoto lasciato sulla parete del Rijksmuseum quando La ronda di notte di Rembrandt fu rimossa per essere restaurata. Il design del teatro, realizzato secondo schemi compositivi e cromatici tipicamente De Stjil, coerente con la struttura del padiglione di Gerrit Rietveld. La mostra senza opere uninfrastruttura culturale attivata dalla presenza del pubblico in sala: del resto, lidea del Gesammkunstwerke tramandata dal padre di De Stjil Theo van Doesburg era che la pittura

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dovesse diventare tridimensionale, articolarsi nel tempo e nello spazio, inglobando luomo al suo interno. Ecco un caso in cui il rifiuto di artisti e curatori di produrre opere, fortemente alternativo rispetto al resto della Biennale, si traduce in un messaggio profondamente legato alla cultura e alla tradizione olandese: Mondrian, van Doesburg, Rietveld e Rembrandt (in absentia) sono richiamati e rimessi in circolazione grazie allallestimento, e la vecchia moda neerlandese di parlare della rappresentazione negandola (come faceva Cornelis Norbertus Gysbrechts nei suoi dipinti negli stessi anni di Rembrandt) acquisisce nuova forza. V. B. Parvenze di delega Installazioni, ambienti, spazi. Ormai larte contemporanea questo: opere da abitare e da percorrere, pi che da osservare a distanza. Forse solo al padiglione italiano abbondano tele. Per il resto, dal bar di Tobias Rehberger, vincitore della Biennale 2009, al padiglione tedesco, premiato in questa edizione, dal padiglione britannico a quello olandese, ci si confronta con luoghi allestiti, costruiti, ricostruiti,

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modificati. evidente che il dispositivo padiglione, attorno a cui si articola da sempre la mostra veneziana, dispone la presenza di tali opere e caratterizza la Biennale pi di quanto non faccia lascrizione nazionalista di ciascun padiglione. Ma il dispositivo rende possibile anche, inevitabilmente, la proliferazione di altri padiglioni. Se qualche anno fa, appena fuori i Giardini, cera il Mars Pavillion, laboratorio di resistenza artistica, oggi dentro la Biennale abbiamo il Gelitin Pavillion e il Geppetto Pavillion la balena spiaggiata di Loris Greaud (entrambi alle Corderie), ma soprattutto i para-padiglioni. Effettiva novit della Biennale 2011, si tratta di sculture e architetture provvisorie, commissionate da Bice Curiger a Song Dong, Franz West (Corderie), Monika Sosnowska e Oscar Tuazon (Giardini), per ospitarvi dentro le opere di altri artisti, scelti da loro. Curiosamente, per, il dialogo spaziale risulta molto difficile. A differenza degli spettatori, che sempre pi si trovano imbricati nelle opere, gli artisti sembrano muoversi tra un non voler inglobare e non voler essere inglobati, con il rischio di generare una indifferenza reciproca, come accade tra Song Dong e gli artisti che i suoi spazi dovrebbero accogliere ma che, nei fatti, non accolgono.

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Le strategie di sottrazione allabbraccio dellaltro si articolano a partire dal rovesciamento di una specifica relazione, tra interno ed esterno, che connota quasi tutti i para-padiglioni. Dong, oltre alla struttura della propria casa di famiglia riprodotta nel centro della sala, costruisce paraventi circolari di ante di armadi in cui le facciate esterne sono rivolte verso lo spazio conchiuso interno, dove non sono installate opere. West esplicita questo rovesciamento nel suo Extroversion: ripropone la sua cucina di casa ribaltata intorno a un volume centrale e su cui si stagliano le opere degli artisti a lui legati. A un primo sguardo, Sosnowska crea uno spazio abitabile da Goldblatt e Mirza, ma in effetti la carta da parati che orna questi spazi decora solo lesterno, i corridoi, mentre le stanze in cui sono alloggiati gli artisti non sono che il retro lasciato spoglio dalla scenografia a stella creata dallartista polacca. La struttura di cemento apparentemente precaria di Tuazon ospita in un anfratto, pi che altro nascondendolo, lo speaker che produce lopera sonora di Mendizabal, mentre Ekblad sceglie di occupare con un murales lesterno della struttura. Dal momento che gli artisti sembrano avere difficolt ad accogliersi lun laltro, forse la strategia pi efficace di dialogo loccupazione dello spazio altrui messa in atto e

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non la prima volta da Cattelan, grazie ai suoi turisti, piccioni impagliati che vegliano dallalto sulle opere del Palazzo delle Esposizioni. Il dispositivo padiglione, che instaura, grazie alle mura, uno spazio separato, un dispositivo di delega: la cultura materiale della delega curatoriale. Come noto, infatti, ogni padiglione ha il suo curatore. Questa Biennale fa proliferare i padiglioni e, con essi, la delega curatoriale. Se ne ha la realizzazione pi piena nel padiglione italiano dove, per una volta, Vittorio Sgarbi apparentemente si eclissa, per far scegliere i 150 artisti italiani a 150 personalit della cultura. Nella giornata di apertura al pubblico, per, Sgarbi era l al centro del padiglione e, parlando al cellulare, agitandosi e aggiustandosi la frangia, in unottima parodia di se stesso, citava a gran voce i nomi dei vari artisti e curatori delegati. Il curatore delegante reintroduceva cos, con una straordinaria performance, se stesso nel padiglione. Cera da chiedersi se non fosse quello il contributo di Cattelan, ufficialmente non presente e sostituito dalla scritta basta pupazzi. A. M.

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Loscuro percorso del sublime Cosa fa di una superficie spessa, ricoperta di nero, unopera darte? In che modo attraversare la frontiera oltre la quale nozioni di arte o estetica perdono pertinenza? Lo si fa andando, in questi giorni, allArsenale di Venezia. O, se si sceglie un percorso alternativo, seguendo un filo nero che, lontano dagli schiamazzi di questa Biennale, porti dalla Fondazione Prada fino a C Pesaro. Nel ritrovato silenzio di questi luoghi ci accorgiamo come ogni lavoro artistico abbia la necessit vitale di uno spazio intorno che lo lasci respirare. Allora pu accadere di restare catturati da un tipo di provocazione pi sottile, elusiva, duratura. Dai bellissimi monocromi neri degli anni Sessanta, come quelli su piano parabolico di Francesco Lo Savio della Fondazione Prada, a quelli recentissimi di Pier Paolo Calzolari alla C Pesaro. Struttura vivente, lopera di Calzolari produce limpressione dellestrema unit che propria dei monocromi e quella di ricchezza percettiva che caratterizza le opere barocche. Ne sono un esempio i pesanti drappi di feltro nero, agitati da un vento che sembra discostarli dalla nuda parete in lente ondulazioni, fino ai pannelli verticali dai toni scuri di sale combusto insieme al ferro e al piombo, divisi verticalmente o orizzontalmente da una striscia bianca di vero ghiaccio.

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Se dobbiamo trovare unipotetica filiazione, Calzolari ricorda Barnett Newman, il pittore contemporaneo del sublime: The sublime is now, come Newman diceva. Non solo perch il sublime reclama loscurit, o perch accorda il massimo di impressione estrema al minimo di semplicit espressiva. Ma anche perch i quadri pi riusciti, pi sublimi di Newman, producono un effetto di siderazione, che una delle qualit attribuite da Burke al sublime. Le sperimentazioni con il gelo di Calzolari mantengono la strutturazione per segmentazione, partizione, articolazione del campo cromatico. Questo gioco tra vacuit e pienezza dei campi neri, tra linee di ghiaccio che dividono e uniscono, implica che la monocromia da Calzolari stata convocata, e, allo stesso tempo, ripudiata. P. M. LISaV Laboratorio Internazionale di Semiotica a Venezia

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Emilio Isgr, The United States, 1982. Collezione privata, Milano

Altri percorsi di lettura: Conversazione con Andrea Cortellessa Emilio Isgr Michele Emmer Il viaggio immaginario di Hugo Pratt

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Valentina Valente Essential Killing di Jerzy Skolimowski Torna al men

Sul sentimento e sul rapporto letteratura-vita

Sul sentimento e sul rapporto letteratura-vita


alfabeta, n. 69, febbraio 1985
Niva Lorenzini

ualche anno fa, alla fine degli anni Settanta, Starobinski sosteneva che il prepotente bisogno di affermare una nuova coscienza sensitiva andava visto ormai come lunico modo, in una societ pianificata che ha abolito il probabile e lignoto, di garantire al soggetto una sopravvivenza psichica. Che, insomma, il culto del corpo, indagato, soprattutto in quegli anni, da antropologi, sociologi, linguisti, era a un tempo sintomo di una crisi della totalit e dellidentit, e tentativo di opporsi alla disgregazione del soggetto. Non chiariva per Starobinski i termini e lestensione della nuova coscienza sensitiva, n si poneva, in quella sede, il problema del rapporto tra corpo e

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sentimento, n tanto meno quello del rapporto tra letteratura e vita. Letteratura-vita Eppure lo stimolo alla riflessione era importante, e per me diventato cogente proprio in occasione del dibattito aperto in alfabeta, allinterno delle pagine dedicate al senso della letteratura. Uno dei binomi che vi si ripropongono con pi frequenza quello del rapporto letteratura-vita. Rischiosissimo sempre, e soprattutto se non lo si decifra attentamente (e intendo: se non lo si storicizza, riprendendo in esame la categoria di tempo quale il tempo del sentimento? relativo, misurabile, puntiforme, bergsoniano? o quella di esperienza, che non possono rimanere immobili, codificate, adibibili a usi dispersi e contrapposti). Perch c un modo nuovo e davvero fertile di dare voce al sentimento, nellaccezione proposta da Porta di linguaggio che articoli lessere pi che svelarlo o prestabilirlo, utilizzando una scrittura trasparente che andrebbe pazientemente indagata nelle sue strutture e modalit anche, e perch no, in rapporto al Grande Stile: penso proprio a Invasioni.

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Articolare significa estendere il linguaggio a ci che irriducibile a esso (alla letteratura, diceva ieri Paolo Bertetto, spetta il compito di ricordare il senso dellillimitato, di scrivere lintensit celata negli eventi), ma anche significa, mi sembra, parallelamente affermare in positivo i gesti, il ritmo del fenomenico. In forme non assolutizzanti. Sentimento sempre e comunque, a partire da Kant, il contrario di totalit, io finito (mobile, dinamico, inquieto, imprevedibile, ironico) che si contrappone a un infinito statico, onnicomprensivo, definito. Ove in realt poi il finito il luogo delle possibilit, linfinito lo spazio della limitazione. Il sentimento lesperienza di un atto ed esperienza in atto, sperimentazione che consente, costruisce il vissuto, purch non gli si attribuisca un valore simbolico, istituzionalizzandolo in forme metastoriche. Corpo-letteratura Ecco. Mi pare che la riscoperta del corpo, del suo linguaggio, anche pre- e non verbale, e la proposta del sentimento, o come altri suggerisce, di un nuovo rapporto poesia-vita, vadano nella stessa direzione. Ed una direzione che ribalta il macrocosmo, lo rovescia ripartendo anche da una

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sopravvivenza molecolare, rasoterra, stentata, aleatoria, non costruita per sul togliere, guidata da un io esperienziale che, se non ha nostalgie misticheggianti, non ha neppure inquietudini tardocrepuscolari. Se c assenza, o silenzio, intorno a questo io, lassenza non simbolistica ma allegorica delle possibilit, il silenzio non metafisico che d senso alla parola. Contro ogni totalit programmata, il vissuto temporale azione e memoria di un presente in trasformazione, metamorfico, che non chiede ed importante allio di parcellizzarsi. Perch ormai lio decentrato, che badiamo bene non pi provocatorio n trasgressivo, in quanto ormai norma, non eccezione rischia di coincidere con lio assoluto, facendosi come quello statico e sterile, e anche un po nostalgico di gouffres magari desacralizzati, ma ugualmente indifferenziati. E va allora ricordata, come coincidenza non soltanto curiosa, che a fine Ottocento, in unepoca di crisi dellidentit, la conoscenza del corpo, con il corredo di analogie, sinestesie, tuffi nellinconscio, rispondeva proprio a unesigenza di restaurazione ma allinterno di ideologie totalitarie dellio diviso e disgregato.

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La scrittura-metamorfosi Ricondotto il discorso alla letteratura, occorre forse rimeditare unaffermazione recente di Canetti: lo scrittore, la sua missione, sono sempre in rapporto con la metamorfosi. Nella crisi della rappresentazione, rappresentare la metamorfosi non significa sottrarsi alle contraddizioni n alle contrapposizioni, rifugiarsi nellaccettazione passiva e pacificata dellaccadere ( vero lo diceva ieri molto bene Biancamaria Frabotta non si esce dal moderno azzerando il contachilometri delle antinomie). E la parola letteraria di necessit, per eccellenza, luogo di tensione, se non altro tra la forma e il non formato (il caos e il numero stellare, sempre). E qui, devo dire, non capisco proprio il senso di certe contrapposizioni piuttosto pretestuose tra nuovo classico e sperimentazione, o di certe riproposte, perlomeno ambigue, di un ingombrante e vuoto contenitore chiamato forma: che possibilit c di formare si chiedeva gi Montale e lo ricorda Luperini nel suo recentissimo Montale o lidentit negata che possibilit dunque c di formare se manca la forma? Rappresentare la metamorfosi deve poter significare anche ripartire dai livelli minimi, non residui, ma tracce dellesistenza e della parola poetica, sapendo bene lo

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diceva ieri Bettini che lassoluto pur sempre perduto e irrecuperabile. Magari nelle forme conoscitive, nel qui e nellora del ludico, della deiezione, come nellultimo Sanguineti, o, allopposto, negli sbeccuzzati silenzi del paesaggio verbale, rasoterra, appunto, di Zanzotto, riconsegnati alla fattuale presenza di cui parlava la sua poesia letta ieri sera. Il senso della letteratura pu allora davvero coincidere, o identificarsi, con una riscoperta nellaccezione che si detta del corpo-sentimento che interroga il possibile linguistico, contro ogni sacralit e separatezza, storico e biologico, mai in fuga (neppure dal significato), sempre complice, linguisticamente, dellazione.

Nessun io debole c consentito

distanza di venticinque anni, confesso di fare un po fatica a ritrovarmi. E non perch non condivida certe mie posizioni di allora, o perch abbiano perduto senso certi richiami al pensiero di Starobinski o di Canetti,

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che non cessano, a mio parere, di conservare una loro indiscussa attualit (mentre non si pu dire lo stesso di altre polemiche pi circostanziate e occasionali, come il riferimento al Grande Stile o le riflessioni sul nuovo classico e sul suo incidere sul restauro della forma). Del rapporto corpo-letteratura ho continuato a occuparmi nel tempo, ma era gi quella, evidentemente, una mia precisa inclinazione, il mio modo di posizionarmi di fronte a un testo, ancor prima che lanalisi e la pratica della scrittura del corpo si imponessero come tendenze sempre pi condivise, con il rischio di trasformarsi in facile stereotipo. Ma di questo si potrebbe si potr riparlare a lungo. Mi riferivo ad altro, parlando di difficolt a ritrovarmi in quelle righe. Nel contesto dei primi anni Ottanta si avvertiva certo, e lo avverto nitido nella mia riflessione di allora, un acuto disagio per lomologazione gi pienamente in atto, in un mondo che si avviava verso una sempre pi massiccia globalizzazione; a quel disagio qualcuno rispondeva con la scelta di direzioni orfiche e neoromantiche, con uno neospiritualismo, insomma, che eludeva il confronto con la storia e con la sua conflittualit, e finiva per darsi, o perlomeno cos era parso a me e ad altri in quella circostanza, come restaurativo e dogmatico. Ricordo bene la carica polemica del dibattito

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palermitano, in cui i protagonisti del fronte orfico (o innamorato) vennero non metaforicamente alle mani con gli avversari: non erano ancora di moda, forse (o lo erano proprio gi per davvero, perlomeno in fase embrionale) i partiti dellamore. Contrapposizioni dantan. Ora tutto pare convivere con tutto, e in apparenza venuta meno lintolleranza, in assenza di schieramenti riconoscibili. Parlo di poesia, ovviamente, e di critica, ma ognuno pu direzionare come crede le parole. Del resto come potrebbe essere altrimenti, in una dimensione sociale in cui i persuasori non si preoccupano neppure pi di rimanere occulti, potendo emergere alla luce del sole, darsi in diretta, sdoganati dal pensiero unico veicolato dai media. E non c proprio pi bisogno di omologare, quando si rimuovono le conflittualit oscurandole o traducendole in pacificazione narcotizzata (ultima chicca, che seleziono fra tante, il tentativo di censura della parola Resistenza dai programmi scolastici di storia del Novecento, nellintenzione, parola del coordinatore del gruppo di lavoro, di contribuire a una sorta di pacificazione lessicale). Ma poi si criminalizzano lessicalmente e non solo i clandestini, si recintano e si isolano i diversi. Nel presente segnato dal cinismo e dallipocrisia delle mistificazioni, se devo scegliere parole o pensieri da sottoscrivere in

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quella mia pagina del 1984, opto senzaltro per linsofferenza che vi si coglie per una parcellizzazione dellio che suoni arrendevole e impotente, in momenti che impongono al contrario precise assunzioni di responsabilit. Nessun io debole ci consentito, nessuna vacanza dallazione; semmai la difesa a oltranza, di fronte allarroganza del potere, del senso del limite e dei diritti collettivi che a esso si collegano, e la pratica di una solidariet che lotti per la liberazione dal bisogno, contro le libert svuotate di contenuto, brandite come arma doffesa dai paladini del profitto. Nella consapevolezza, ancora, che il finito, non lastrattezza sbandierata senza ritegno dagli imbonitori di turno, lo spazio concreto delle possibilit, da praticare urgentemente, assieme, qui e ora. n. l.

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Emilio Isgr, Opere da La Veglia di Bach, 1985 Centro per larte contemporanea Luigi Pecci, Prato 2008

Altri percorsi di lettura: Luigi Nacci Stay human

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Analisi e genealogia del laboratorio politico tunisino

Cronache da www.alfabeta2.it

Analisi e genealogia del laboratorio politico tunisino


Anna Curcio, Gigi Roggero

a Tunisia , oggi, uno straordinario laboratorio politico. Distruggendo definitivamente ogni inveterata reminiscenza del rispecchiamento coloniale, secondo cui le periferie dovrebbero osservare il centro per vedervi riflessa limmagine del proprio futuro, sono invece le lotte a determinare il punto avanzato dentro il capitalismo globale. Fare inchiesta in questo laboratorio significa trovare risposte a nodi politici insoluti. Quelle in Tunisia e in Egitto, allora, sono state le prime insurrezioni dentro la crisi economica globale. Ancora di pi, hanno rimesso allordine del giorno le parole dordine dellinsurrezione e della rivoluzione, di cui molti, troppi pensavano di essersi liberati insieme ai ferri vecchi del Novecento. Ma queste parole

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dordine vengono imposte allagenda dei movimenti in modo nuovo. Linsurrezione non pi, dunque, legata alla presa dello Stato, i perimetri dello spazio nazionale sono definitivamente ecceduti. Si insorge per distruggere i confini, per affermare il diritto alla fuga e alla mobilit del lavoro vivo. Allora, per i militanti tunisini chiara la percezione delle coordinate della sfida, che si disegnano su un piano immediatamente transnazionale. Anche qui, possiamo vedere come un altro elemento peculiare della crisi contemporanea, quello del contagio, viaggi in realt allinseguimento dei movimenti del lavoro vivo e delle sue pratiche di organizzazione. Linsurrezione tunisina stata linnesco per il movimento in Egitto e in tutto il mondo arabo. E ora dal Wisconsin alla Spagna alla Grecia la parola dordine diventa: fare come a piazza Tahrir. Il contagio dei conflitti avviene attraverso la rete, dai social network agli sms. Non si tratta, semplicemente, di strumenti che facilitano la circolazione delle informazioni e della comunicazione. La rete qui viene interamente riappropriata dal sapere vivo, diviene forma dellorganizzazione moltitudinaria, espressione e pratica dellintelligenza collettiva. Che straordinaria esperienza vedere come, concretamente, i dimostranti si muovono nello spazio metropolitano: in un

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sabato qualsiasi lappuntamento alle 10:00 di mattina davanti a un teatro della centrale Avenue Bourghiba, passano 40 minuti e non c nessuno, i poliziotti dietro al filo spinato sono tesi e non capiscono; in una manciata di secondi cento, duecento, trecento persone si radunano, urlano al governo di transizione che se ne deve andare, rivendicano la continuazione del processo rivoluzionario. Quando la manifestazione viene attaccata con bastoni e coltelli da poliziotti in borghese, e/o loschi figuri al soldo dei commercianti preoccupati per i loro affari alla vigilia della stagione turistica, si disperde in modo apparentemente improvviso comera comparsa. Ma pochi minuti dopo lo sciame si ricompone ancora pi numeroso davanti al ministero degli Affari sociali, e poi ancora sotto alla sede del sindacato per imporre la convocazione di uno sciopero generale. Tuttavia linsurrezione tunisina non un evento impensato, privo di storia e di organizzazione. La sua genealogia lunga, fatta di mobilitazioni e lotte, quanto meno ci dicono linizio del processo rivoluzionario va individuato negli scioperi nel distretto minerario del 2008. Ma gi negli anni Settanta e Ottanta studenti e lavoratori avevano dato vita a straordinarie esperienze di conflitto: la stretta repressiva e autoritaria di Ben Ali stata la risposta a esse. Giovani e

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lavoratori tunisini hanno utilizzato, con intelligente pragmatismo, il sindacato unico del regime, lUgtt, e il sindacato studentesco, lUget: questi sono stati una palestra di formazione militante e spazi di organizzazione capillare, che alla fine sono stati rovesciati contro i vertici. Ancora, nel Sud della Tunisia che il movimento ha accumulato forza: simbolicamente, non un caso che il processo insurrezionale abbia avuto inizio il 17 dicembre a Sidi Bouzid, quando Mohamed Bouazizi giovane laureato e costretto a fare il venditore ambulante si immolato in piazza. Quella forza diventata potenza quando il movimento ha conquistato lo spazio metropolitano, il 14 gennaio, giorno della cacciata di Ben Ali. Da allora migliaia di giovani proletari sono accorsi dalle campagne e dalle citt verso la capitale, per occupare la Casbah e continuare la rivoluzione. Dunque la rivolta per il pane o la rivoluzione dei gelsomini sono etichette che tentano di esorcizzare la realt comune di cui linsurrezione in Tunisia ci parla. Vari analisti americani osservano come la composizione dei movimenti nel Maghreb sia del tutto simile alla situazione negli Stati Uniti e in Europa: giovani altamente scolarizzati, disoccupati e precari, che non vedono pi nessuna possibile corrispondenza tra titolo di studio e reddito. Dire lavoro

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cognitivo significa dire al contempo potenza e sfruttamento. Nelle periferie di Tunisi giovanissimi e meno giovani usano quotidianamente la rete e parlano correntemente varie lingue, imparate spesso attraverso quelle antenne paraboliche tanto deprecate dai pruriti anticonsumisti della sinistra occidentale, che non coglie lambivalente processo di soggettivazione contenuto nellutilizzo del peculiare sapere morto delle tecnologie della comunicazione. Dallaltro, il nodo politico che nitidamente il movimento rivoluzionario in Tunisia ci presenta lalleanza, o meglio la composizione comune tra i giovani del precariato cognitivo e del proletariato delle banlieue. Attenzione, per: non si tratta di figure necessariamente distinte, piuttosto di angoli diversi dello stesso processo. Scuola, universit e saperi cessano, definitivamente, di essere per il ceto medio declassato un ascensore per la mobilit nel mercato del lavoro, e per il proletariato delle periferie una promessa di riscatto sociale. Attorno a questa composizione si sono aggregati vari altri soggetti colpiti dalla crisi, a partire da avvocati, magistrati e impiegati dei servizi (molto attivi quelli del settore delle telecomunicazioni), e con laccumulo delle lotte operaie degli anni precedenti nel Sud.

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Quella in Tunisia non stata nemmeno una rivoluzione pacifica. Chiss cosa direbbe licona del giovane celebrata dalla Repubblica nel vedere le ragazze e i ragazzi della banlieue di Tunisi mostrare, orgogliosi, i commissariati e le sedi dellRcd che hanno bruciato. Ma non stata nemmeno, semplicemente, una rivoluzione per cacciare il rais e accedere finalmente allo stadio di sviluppo liberaldemocratico. Il regime di Ben Ali non era uneccezione o un residuo feudale, ma un tassello pienamente integrato della governance globale e del capitalismo finanziario. Il suo atteggiamento, tutto sommato, non stato diverso da quello dei manager della Enron o degli altri grandi scandali finanziari: quando hanno capito che la barca stava affondando, come gli ufficiali nazisti in rotta nella Seconda guerra mondiale hanno tentato di arraffare candelabri e argenteria per scappare lontano. Ancora una volta, il punto politico non sono i corrotti, ma il sistema che produce corruzione. Non a caso, una delle partite decisive si gioca ora attorno alla questione del debito: il movimento rifiuta infatti di rispettare gli accordi presi da Ben Ali con gli organismi del capitalismo globale. Per questo insieme di ragioni quella attuale una fase estremamente delicata. Il governo di transizione che dopo la destituzione di Gannouchi imposta dalla seconda

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occupazione della Casbah ora guidato da Essebsi sta tentando di imporre una normalizzazione repressiva, raccogliendo la richiesta di ordine che arriva dai settori imprenditoriali e commerciali tunisini prontamente disfattisi dellingombrante ombra della cricca di Ben Ali. Tutti costoro giurano ora fedelt alla transizione democratica, che dovrebbe essere acclamata dallassemblea costituente del prossimo 24 luglio. Nel frattempo, palazzi e ministeri sono circondati dal filo spinato, i carri armati occupano le strade, il coprifuoco e i sistematici black-out nelle periferie tentano di garantire lordinata transizione allo stadiodella liberaldemocrazia, cio la fine del processo rivoluzionario. Non un caso che oggi la parola rivoluzione sia esaltata da coloro che stanno cercando di bloccarla, innanzitutto quelle forze dellislamismo moderato che, non diversamente dal centro laico, gi si candidano come i migliori alleati della stabilizzazione imperiale. Lo si vede anche rispetto alla guerra in Libia. Chi lappoggia perlopi il blocco moderato, mentre per i militanti chiaro come sia una guerra contro i movimenti rivoluzionari. Molti di questi ci raccontano anche di compagni e amici che sono andati a combattere contro il regime di Gheddafi, e ci spiegano le complesse geografie del fronte degli insorti: a Misurata si concentra

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una composizione molto simile a quella del movimento in Tunisia, mentre a Bengasi si sta tentando di istituzionalizzare una successione al colonnello ma nella sostanziale continuit politica, dunque in accordo con le potenze che stanno conducendo la guerra. Di fronte al palazzo di giustizia un avvocato commenta efficacemente: Non possiamo parlare di controrivoluzione, semplicemente perch non c ancora stata rivoluzione. Ecco il nodo. A pochi passi, centinaia e centinaia di giovani che sono arrivati da tutto il paese per occupare la Casbah non vogliono tornare a casa, e per i proletari tunisini una casa a cui tornare non c pi se non si costruisce una trasformazione radicale: la scelta della migrazione o della continuazione del processo rivoluzionario sono, tutto sommato, due forme della stessa lotta. Lesplosione di libert che percorre le strade della metropoli tunisina si scontra oggi, frontalmente con chi tenta di governarla nel segno della normalizzazione: alla libert di commercio si oppone, faccia a faccia, la potenza della libert del comune. Allora, come il potere destituente diviene potere costituente? Come lo sciame diventa dispositivo di attacco, lorizzontalit determina verticalit collettiva, cio costruzione di un nuovo rapporto sociale e di istituzioni del comune? In

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breve, come linsurrezione diviene rivoluzione? Queste sono le questioni che, dentro la crisi globale, il laboratorio politico in Tunisia ha posto allordine del giorno. Ai militanti di qui, dicevamo, sono chiare le coordinate spaziali della sfida, che si gioca su un piano immediatamente transnazionale: in particolare, il Nord Africa da una parte, lEuropa dallaltra. Ma non si tratta di generica solidariet, che rischia di finire nella trappola dellidentit oppure puzza di carit coloniale. Il migliore modo per aiutare la liberazione dei palestinesi liberare noi stessi, riassume perfettamente un compagno. Quanto potrebbe imparare da questa universit quella sinistra della provincia italica che si crogiola nella sconfitta oppure nel suo doppio speculare, lautocelebrazione comunitaria e priva di programma se solo avesse il desiderio di capire, di fare inchiesta, di organizzarsi nel comune e di respirarne laria di libert.

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Altri percorsi di lettura: Omar Calabrese La Libia e il pacifismo a orologeria Christian Caliandro Propaganda 2.0: Disney Co. vs. Navy Seals Franco Berardi Bifo La fine del progetto europeo Dimitri Deliolanes Grecia, la fiera della miseria politica Vassilis Vassilikos La svendita Amador Fernndez-Savater Spagna: linvenzione della piazza

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Paolo Bertetto Barcellona 1936 Maria Pia Pozzato Lattore collettivo Torna al men

La Libia e il pacifismo a orologeria

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Omar Calabrese In questi mesi a partire dallinizio dellintervento armato delle forze della Nato in Libia abbiamo assistito a una discussione (abbastanza sottotraccia, a dire il vero) sulla legittimit dellazione bellica in territori sovrani, sia pure in presenza di giustificate ragioni umanitarie. Sar sincero: ho trovato questo dibattito spesso deviante, a volte strumentale, e persino un po ipocrita. Riassumiamo le posizioni fondamentali. Da un lato, come ovvio, stanno i giustificazionisti: Gheddafi sta compiendo un massacro nei confronti di una sacrosanta ribellione popolare, e dunque occorre fermare la strage, sia pure senza linvio di truppe di terra, in ottemperanza con la risoluzione dellOnu sulla materia. Dallaltro si trova, invece, un variegato e insolito arcipelago di critici pacifisti: numerose personalit della destra, a cominciare dai leghisti, negano lopportunit di imporre

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con le armi la No fly zone, e magari domandano sarcasticamente dove siano finite le bandiere arcobaleno che protestavano contro la guerra in Iraq o in Afghanistan; alcuni gruppi tradizionalmente antimilitaristi continuano a ritenere che le bombe siano sempre bombe, che uccidono senza alcuna presunta intelligenza, e che essere fautori della pace non possa prevedere alcuna mediazione sul principio generale; e infine una sinistra pi torica vede in Gheddafi una vittima degli americani, che promuoverebbero la guerra per il controllo delle risorse petrolifere. Ho collocato le virgolette sulle parole giustificazionisti e pacifisti, perch, per una volta, il loro significato non mi pare univoco e tanto meno universale. Nella circostanza presente, non a caso, la giusta risposta della coscienza civile ai fatti nordafricani dovrebbe essere pi articolata e dialettica di quanto non sia dato vedere. Basta tentare di rispondere ad alcune semplici domande per capirlo. La prima: Gheddafi o non un dittatore militare che ha instaurato uno dei regimi pi autoritari del mondo intero, che si reso autore di stragi, attentati internazionali (anche quelli di pura azione economica), repressioni durissime sulla popolazione locale? Dinanzi a questi fatti come possiamo e forse dobbiamo reagire? giusto forse astenersi, lasciar fare,

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nascondersi dietro a qualche generico principio? La seconda: la rivolta iniziata in Cirenaica o non una protesta popolare, laica, non ideologica, che il ras ha cercato di soffocare nel sangue, perfino col ricorso a soldati mercenari? I ribelli devono essere lasciati soli nella tragedia? Pu bastare il ricorso a qualche sanzione economica (ma le sanzioni esistono gi da tempo, e non hanno prodotto alcun risultato concreto)? Certamente, esiste per anche un terzo interrogativo di segno diverso: accettabile che la guerra sia iniziata con i bombardamenti delle aviazioni francese e inglese, senza lombrello delle decisioni comunitarie internazionali? Possiamo restare silenti di fronte alla chiara motivazione di politica interna da parte di quei paesi che si sono affrettati allingerenza in maniera unilaterale? Quanto detto finora dimostra con chiarezza che non possibile immaginare una coerenza di atteggiamento valevole per tutte le occasioni. Daltronde, personaggi assai autorevoli hanno da tempo sottolineato il problema. LAcadmie Universelle des Cultures stata forse la prima a domandarsi se lintervento in paesi sovrani sia in taluni casi legittimo. Per chi non fosse al corrente, ricordo che quella associazione stata fondata da Elie Wiesel nel 1992, e raccoglie settanta grandi intellettuali di tutto il mondo, fra i

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quali molti premi Nobel (come lo stesso Wiesel). Si occupa di organizzare attivit culturali orientate alla costruzione di uno spirito di tolleranza nel mondo. Recentemente, ha pubblicato un manuale on-line dal titolo Accettare la diversit (lo si pu leggere sul sito www.tolerance.kataweb.it), curato da Umberto Eco, Jacques Le Goff e Furio Colombo, e con una redazione coordinata da Valentina Pisanty. Il manuale in progress, e si arricchisce costantemente di nuovi capitoli. Molto interessante, per esempio, la lettura del paragrafo 8, che riguarda le reazioni al terrorismo. Vi si legge: Si pu discutere su quali siano le strategie migliori per affrontare e per combattere il terrorismo, ma non si pu discutere o negoziare con chi commette un atto di questo genere perch, commettendolo, costui (o costei) automaticamente si esclude dalla societ civile. Come si vede, pur essendo certamente necessario definire di volta in volta che cosa sia un atto terroristico, e non confonderlo con casi di lotta armata per la libert, anche vero che vi sono momenti in cui non si pu discutere o negoziare. Fra i suoi primi incontri, nel lontano 1994, lAcadmie si occup per lappunto della nozione di intervento. E, anche in quelloccasione, le riflessioni furono articolate. Potremmo riassumerle in questa maniera. In generale, lintervento armato non pu mai

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essere unilaterale, ma solo e soltanto guidato dalle organizzazioni internazionali e multilaterali come lOnu o altre consimili, come lUnione Africana e altre ancora, ma non, ad esempio, la Nato, se non su esplicita richiesta delle prime. In secondo luogo, lintervento deve essere motivato dalla difesa dei diritti umani, violata da qualcuno dei contendenti. E, infine, lintervento deve essere preceduto da tentativi di composizione delle discordie, ricerca di arbitrato internazionale, applicazione di sanzioni dissuasive. Mi pare che a questo punto, ci siamo. In Libia si doveva intervenire. Non lo si doveva fare nella maniera con cui, inizialmente ma forse anche adesso, le azioni si sono svolte. Quanto ai commenti collaterali, chi ironizza sui pacifisti a orologeria pensi un po di pi alla salvaguardia dei diritti umani. E chi pretende lintransigenza pacifica legga meglio il dizionario. Alla voce pace corrispondono molte definizioni. Quelle che ci interessano: Condizione di un popolo o di uno Stato che non sia in guerra con altri o non abbia conflitti, lotte armate in corso al suo interno; concordia, armonia nella vita sociale o nei rapporti interpersonali; condizione di quiete e tranquillit. Come si vede, la nostra pace sempre anche pace degli altri. Se agli altri manca, occorre favorirla per averla anche noi.

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Altri percorsi di lettura: Christian Caliandro Propaganda 2.0: Disney Co. vs. Navy Seals Franco Berardi Bifo La fine del progetto europeo Dimitri Deliolanes Grecia, la fiera della miseria politica Vassilis Vassilikos La svendita Amador Fernndez-Savater Spagna: linvenzione della piazza Paolo Bertetto Barcellona 1936

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Maria Pia Pozzato Lattore collettivo Anna Curcio, Gigi Roggero Analisi e genealogia del laboratorio politico tunisino Torna al men

Propaganda 2.0: Disney Co. vs. Navy Seals

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Christian Caliandro Sia la religione sia la guerra sono strutturate attraverso rituali [] i codici donore acquistano concretezza grazie a una coreografia di movimenti e di gesti entro il contenitore fisico delle mura, della caserma e del campo di battaglia, da un lato, e del tempio, del cimitero e del luogo di meditazione, dallaltro. Il rituale richiede abilit tecnica; va eseguito bene. Richard Sennett, Luomo artigiano

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Il giorno dopo luccisione di Osama bin Laden nella villa di Abbottabad, in Pakistan, la Walt Disney Corporation ha presentato formale richiesta di poter sfruttare il marchio del commando che ha portato a termine lormai famosa operazione Geronimo. Lobiettivo era quello di riprodurre il logo Seal Team Six sui pi svariati gadgete oggetti di merchandising, come abbigliamento, scarpe, giocattoli, giochi elettronici e qualsiasi altro tipo di servizio legato al tempo libero e allintrattenimento (C. Morgoglione, La U.S. Navy fa guerra alla Disney, la Repubblica, 29 maggio 2011). Non sembra n strano n paradossale che un evento come questo, un epocale cuore di tenebra contemporaneo che apre scenari inediti di interpretazione e rappresentazione della Storia (e della Morte), venga associato immediatamente, nel giro di appena ventiquattrore, al concetto di entertainment e di divertimento. Perch esso gi nel suo farsi un grandioso Spettacolo, posto per un tempo variabile al centro esatto del pi vasto dispositivo spettacolare che regola tutte le nostre vite. Quattordici anni fa, Marc Aug ha immaginato in un brevissimo ma efficace testo la Parigi del 2040. La fruizione dellidentit e della memoria storica della capitale francese affidata non a caso, nel futuro distopico per alcuni,

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utopico per altri proprio alla Disney: Notre-Dame e la torre Eiffel conservano i favori del pubblico, ma sono seguite da vicino dai quartieri il cui rifacimento e la cui gestione sono stati affidati alla societ Disneyland. Il Marais nel suo complesso le stato concesso per primo: lo Stato le ha concesso gratuitamente tutto lo spazio dei monumenti pubblici e Disney ha contrattato direttamente con i privati lacquisto degli edifici necessari alla ricostituzione della Paris historique. Come contropartita, Disney, naturalmente responsabile dello spettacolo permanente detto Paris Quatre Saisons, si impegnata a creare un certo numero di posti di lavoro e ad assicurare la manutenzione della rete stradale (M. Aug, Una citt di sogno, in Disneyland e altri non luoghi, Bollati Boringhieri 1999). Dunque, non c forse quasi nulla che svela maggiormente, e pi precisamente, la qualit e il gusto di questa fase storica, che questo logo con limmancabile aquila abbarbicata allncora della marina e al tridente, gi disneyano nellaspetto e nella forgia. Il brand della pi micidiale squadra dassalto del pianeta diventa qualcosa di simpatico e innocuo, da stampare sulle magliette e sui cappellini. E da portare in giro, perch il simbolo identificativo dei soldati che hanno eliminato bin Laden.

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perfettamente consequenziale, perci, in una societ in cui la realt una costruzione immaginaria e culturale, che a incaricarsi della veicolazione e della diffusione di questo brand sia la pi grande macchina mitografica del mondo, che produce da pi di ottantanni alcune delle figure centrali dellimmaginario collettivo, e cosa pi importante intere nuove modalit di trasferimento quotidiano nei territori dellirrealt, e addirittura di esperienza esistenziale (dai parchi tematici alle cittadine sperimentali). La U.S. Navy, stando alle cronache, ha impedito alla Disney di appropriarsi dellambito marchio. Presentando subito dopo due differenti richieste per il suo utilizzo e sfruttamento. Altri percorsi di lettura: Franco Berardi Bifo La fine del progetto europeo Dimitri Deliolanes Grecia, la fiera della miseria politica

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Vassilis Vassilikos La svendita Amador Fernndez-Savater Spagna: linvenzione della piazza Paolo Bertetto Barcellona 1936 Maria Pia Pozzato Lattore collettivo Anna Curcio, Gigi Roggero Analisi e genealogia del laboratorio politico tunisino Omar Calabrese La Libia e il pacifismo a orologeria Torna al men

Sommario

Sommario
Umberto Eco Ricordando Gargonza G.B. Zorzoli La spinta al cambiamento Carlo Formenti Ricostruire dal basso Renato Nicolini A Napoli bisognava scassare tutto Giuseppe Montesano Dieci tesi semi-serie sulle elezioni a sorpresa del sindaco di Napoli

Sommario

Salvatore Palidda Laboratorio Genova Luigi Nacci Stay human Lello Voce Leccezione divenuta norma Pier Aldo Rovatti Noi, barbari contemporanei Franco Berardi Bifo La fine del progetto europeo Dimitri Deliolanes Grecia, la fiera della miseria politica Vassilis Vassilikos La svendita

Sommario

Amador Fernndez-Savater Spagna: linvenzione della piazza Paolo Bertetto Barcellona 1936 Maria Pia Pozzato Lattore collettivo Nicol Stabile La linea della palma Giovanni Iovane Sistema dellarte nellisola Roberto Alajmo Lergastolo di Carriglio Matteo Di Ges Mafia

Sommario

Marilena Renda Fare della mafia unarte da museo Conversazione di Andrea Camilleri con Clotilde Bertoni Il grimaldello n.s. Il Cretto a venire Conversazione con Andrea Cortellessa Emilio Isgr Emilio Isgr Disobbedisco Enrico Donaggio Desidera ancora qualcosa? Stefano Rodot Il diritto al cibo

Sommario

Carola Barbero Fenomenologia dello schifo Massimo Recalcati Il disagio della civilt alimentare Intervista a Massimo Carlotto di Enrico Donaggio e Enrico Terrone I piedi nel piatto Daniela Tagliafico La mamma cucina, ma lo chef maschio Andrea Borghini Il cibo e il suo rimosso geografico Alberto Burgio Uno sguardo adulto sul mondo

Sommario

Gabriele Pedull Paura e insurrezione Augusto Illuminati Le virt del tumulto: un seminario Marino Badiale, Massimo Bontempelli Dopo la fine della crescita Giancarlo Alfano Marshall McLuhan e la materia mediale Antonio Tursi Cento di questi anni Michele Emmer Il viaggio immaginario di Hugo Pratt Valentina Valente Essential Killing di Jerzy Skolimowski

Sommario

Paolo Fabbri, Tiziana Migliore, Valeria Burgio, Alvise Mattozzi, Patrizia Magli A riflettori spenti Niva Lorenzini Sul sentimento e sul rapporto letteratura-vita Anna Curcio, Gigi Roggero Analisi e genealogia del laboratorio politico tunisino Omar Calabrese La Libia e il pacifismo a orologeria Christian Caliandro Propaganda 2.0: Disney Co. vs. Navy Seals

Autori

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Paolo Fabbri, Tiziana Migliore, Valeria Burgio, Alvise Mattozzi, Patrizia Magli A riflettori spenti Roberto Alajmo Lergastolo di Carriglio Giancarlo Alfano Marshall McLuhan e la materia mediale Marino Badiale, Massimo Bontempelli Dopo la fine della crescita Carola Barbero Fenomenologia dello schifo

Autori

Paolo Bertetto Barcellona 1936 Conversazione di Andrea Camilleri con Clotilde Bertoni Il grimaldello Franco Berardi Bifo La fine del progetto europeo Marino Badiale, Massimo Bontempelli Dopo la fine della crescita Andrea Borghini Il cibo e il suo rimosso geografico Alberto Burgio Uno sguardo adulto sul mondo Omar Calabrese La Libia e il pacifismo a orologeria

Autori

Christian Caliandro Propaganda 2.0: Disney Co. vs. Navy Seals Conversazione di Andrea Camilleri con Clotilde Bertoni Il grimaldello Intervista a Massimo Carlotto di Enrico Donaggio e Enrico Terrone I piedi nel piatto Conversazione con Andrea Cortellessa Emilio Isgr Dimitri Deliolanes Grecia, la fiera della miseria politica Enrico Donaggio Desidera ancora qualcosa?

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Umberto Eco Ricordando Gargonza Michele Emmer Il viaggio immaginario di Hugo Pratt n.s. Il Cretto a venire Amador Fernndez-Savater Spagna: linvenzione della piazza Carlo Formenti Ricostruire dal basso Matteo Di Ges Mafia Augusto Illuminati Le virt del tumulto: un seminario

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Giovanni Iovane Sistema dellarte nellisola Emilio Isgr Disobbedisco Niva Lorenzini Sul sentimento e sul rapporto letteratura-vita Giuseppe Montesano Dieci tesi semi-serie sulle elezioni a sorpresa del sindaco di Napoli n.s. Il Cretto a venire Luigi Nacci Stay human

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Renato Nicolini A Napoli bisognava scassare tutto Salvatore Palidda Laboratorio Genova Gabriele Pedull Paura e insurrezione Maria Pia Pozzato Lattore collettivo Massimo Recalcati Il disagio della civilt alimentare Marilena Renda Fare della mafia unarte da museo Stefano Rodot Il diritto al cibo

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Anna Curcio, Gigi Roggero Analisi e genealogia del laboratorio politico tunisino Pier Aldo Rovatti Noi, barbari contemporanei Nicol Stabile La linea della palma Daniela Tagliafico La mamma cucina, ma lo chef maschio Antonio Tursi Cento di questi anni Valentina Valente Essential Killing di Jerzy Skolimowski Vassilis Vassilikos La svendita

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Lello Voce Leccezione divenuta norma G.B. Zorzoli La spinta al cambiamento

Argomenti

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Politiche Culture dItalia - Sicilia Scrittura e letteratura Cose e linguaggi Il cibo e il suo doppio Arte e spettacolo Mondo Torna al men

Politiche

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Umberto Eco Ricordando Gargonza G.B. Zorzoli La spinta al cambiamento Carlo Formenti Ricostruire dal basso Renato Nicolini A Napoli bisognava scassare tutto Giuseppe Montesano Dieci tesi semi-serie sulle elezioni a sorpresa del sindaco di Napoli

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Salvatore Palidda Laboratorio Genova Lello Voce Leccezione divenuta norma Pier Aldo Rovatti Noi, barbari contemporanei Alberto Burgio Uno sguardo adulto sul mondo Gabriele Pedull Paura e insurrezione Augusto Illuminati Le virt del tumulto: un seminario

Culture dItalia - Sicilia

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Nicol Stabile La linea della palma Giovanni Iovane Sistema dellarte nellisola Roberto Alajmo Lergastolo di Carriglio Matteo Di Ges Mafia Marilena Renda Fare della mafia unarte da museo

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Conversazione di Andrea Camilleri con Clotilde Bertoni Il grimaldello Il Cretto a venire

Scrittura e letteratura

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Luigi Nacci Stay human Emilio Isgr Disobbedisco Niva Lorenzini Sul sentimento e sul rapporto letteratura-vita

Cose e linguaggi

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Marino Badiale, Massimo Bontempelli Dopo la fine della crescita Giancarlo Alfano Marshall McLuhan e la materia mediale Antonio Tursi Cento di questi anni

Il cibo e il suo doppio

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Enrico Donaggio Desidera ancora qualcosa? Stefano Rodot Il diritto al cibo Carola Barbero Fenomenologia dello schifo Massimo Recalcati Il disagio della civilt alimentare Intervista a Massimo Carlotto di Enrico Donaggio e Enrico Terrone I piedi nel piatto

Il cibo e il suo doppio

Daniela Tagliafico La mamma cucina, ma lo chef maschio Andrea Borghini Il cibo e il suo rimosso geografico

Arte e spettacolo

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Conversazione con Andrea Cortellessa Emilio Isgr Michele Emmer Il viaggio immaginario di Hugo Pratt Valentina Valente Essential Killing di Jerzy Skolimowski Paolo Fabbri, Tiziana Migliore, Valeria Burgio, Alvise Mattozzi, Patrizia Magli A riflettori spenti

Mondo

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A luglio, il sito si arricchisce di una nuova rubri- ca, Confluenze, connessa con il supplemento alfalibri: pi voci e pi punti di vista su o a par- tire da un medesimo libro, nellottica sia dellapprofondimento critico sia del dibattito ad ampio raggio, capace di includere temi complementari o tangenziali. Questo mese, alfalibri ospita una recensione dellantologia Nuovi poeti francesi curata da Fabio Scotto per Einaudi. Sul sito verranno presentati materiali sulla poesia francese contemporanea tratti soprattutto dalla rete, a dimostrazione di come da anni esista una comunit di poeti, traduttori, critici che lavorano a costruire dialoghi e passaggi tra la comunit letteraria francese e quella italiana. Un lavoro che si svolto in forma militante, non istituzionale, al di fuori dei ristretti e spesso ottusi canali accademici. Nelle Confluenze di luglio, partendo da unantologia di poesia francese, si rifletter in modo pi ampio sullo

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statuto delle pratiche letterarie nellepoca del web e della crisi delluniversit. Quello che oggi ancora andiamo a constatare il ritardo con il quale laccademia riconosce lesodo avvenuto di saperi e competenze verso il web. Nel mese di giugno, il contributo di Lucia Emiliani, Tra street art e pubblicit, riflette sul paradossale rapporto tra il linguaggio pubblicitario, veicolo principe della mercificazione, e quello dellarte di strada, che dovrebbe essere espressione di unautonomia creativa libera da ogni vincolo istituzionale ed economico.Il legame che unisce i due formati molto pi forte rispetto a quello che univa la pubblicit alle correnti artistiche del passato: non pi unidirezionale (pubblicit che utilizza il mezzo artistico) ma bidirezionale. La pubblicit trae dalla street art nuove tecniche (stencil, stiker, poster, istallazioni) e spazi urbani per la creazione di campagne sempre pi efficaci e mirate, nella fattispecie nelle campagne non convenzionali; a sua volta la street art fa propri gli schemi testuali della pubblicit (ripetitivit di elementi come slogan, colori; ripetizione degli stessi manifesti e impostazione grafica con head line, clime prodotto o personaggio popolare al centro). difficile tracciare esattamente i confini tra questi due mondi. Sempre pi spesso molti street artist firmano pubblicit e molte pubblicit

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sembrano pezzi di street art. In Anomalie palestinesi, Nicola Perugini torna a scrivere dallosservatorio Palestina, riprendendo il filo del discorso gi iniziato con un articolo apparso sul sito a marzo (LEgitto in Palestina). Qual linflusso, emotivo e politico, che le insurrezioni arabe hanno sulla situazione palestinese? La resistenza palestinese contro il colonialismo israeliano, che ha costituito per cos lungo tempo unavanguardia nel mondo arabo, non si trova oggi a scontare una sorta di ritardo e dinerzia, laddove le insurrezioni in atto, a partire da Tunisia ed Egitto, hanno cominciato a raccogliere alcuni frutti importanti? Di fronte a una domanda che si pongono, in questi giorni, gli stessi palestinesi, Perugini tenta di elaborare una prima risposta. Al contrario, in Israele/Palestina le pratiche di resistenza al regime oppressivo di pi lunga durata dellultimo secolo si sono articolate in forme sempre nuove e pi o meno efficaci per lunghi decenni: resistenza armata dentro e fuori dalla Palestina storica; resistenza non armata (non per questo non violenta! stato pur sempre un sentimento di rabbia a generarla!); Intifade che gli storici hanno classificato con la minuscola o la maiuscola (ma pur sempre I/intifade!); costruzione di un movimento internazionale di solidariet e di attacco alle politiche razziste, colonialiste e

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di apartheid di Israele. La questione rimane dunque aperta, ma perch gli avvenimenti stessi mostrano la tenacia e limprevedibilit della reazione palestinese, che sempre di pi acquisisce forme plurali, non riducibili a categorie politiche troppo rigide. Puntuale, lAlfazeta di giugno di Francesco Forlani: Puntata dedicata alla presentazione del 13 maggio al Salone del Libro di Torino del numero 09 di alfabeta2 e del supplemento alfalibri con interventi di Umberto Eco, Maurizio Ferraris e i curatori di alfalibri Andrea Cortellessa e Maria Teresa Carbone. La sala gremita, i temi toccati al centro di numerose questioni sia culturali che politiche cui alfabeta2 tenta di dare delle risposte sia culturali che politiche. Intanto lo spettro di Fantozzi si aggira per lEuropa ma questa volta sembra volerci dire altro, qualcosa del tipo: Fantozzi una cagata pazzesca!.

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Comitato storico: Omar Calabrese, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Pier Aldo Rovatti Redazione: Nanni Balestrini, Ilaria Bussoni, Andrea Cortellessa, Andrea Inglese Segreteria: Erica Lese Coordinamento editoriale: Sergio Bianchi Progetto grafico: Fayal Zaouali Indirizzo redazione: piazza Regina Margherita 27 00198 Roma - info@alfabeta2.it Editore: Edizioni Mudima, Via Tadino 26, 20124 Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici s.p.a. Via Giulio Carcano 32, 20141 Milano Tipografia: Grafiche Aurora s.r.l. Via della Scienza 21, 37139 Verona Direttore responsabile: Gino Di Maggio Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 446 del 21 settembre 2010 Coordinamento: Jan Reister Progetto e realizzazione: Quintadicopertina http://www.quintadicopertina.com ISSN: 2038-663X

alfabeta2 Redazione: Andrea Inglese Segreteria: Stella Succi Progetto web: Jan Reister redazione.web@alfabeta2.it

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Mimmo Jodice

Mimmo Jodice
Gianluca Ranzi
I misteri che il singolo riesce ad evocare sono miti esattamente come erano quelli dei popoli. Il residuo, le tracce, lenigma, sono il punto di partenza delle immagini elusive, arcaiche e tragiche dellEden di Mimmo Jodice, che interrogano il mondo terreno delle merci in vetrina e degli oggetti utili per ritrovare poi la loro ragion dessere solo nel bagliore incerto e sfuocato che regna ai suoi confini. proprio ai confini che Jodice compie le sue incursioni, tra la luce che svela e lombra che avvolge, con unattitudine che si direbbe nata pi per la scultura e che ricorda il Medardo Rosso di noi non siamo che scherzi di luce. La fotografia fonda un territorio magico illuminato da una luce mediana, tra il chiarore e il buio, tra il non pi e il non ancora, tra materialit e pensiero. Nellinsinuarsi e nel ritrarsi dellombra che avvolge le immagini e poi svela le

Mimmo Jodice

cose tra improvvise sciabolate di luce, sta il segreto della vita che si rivolta nel suo opposto, mostrando la lividezza della morte e la soglia di un vetro infranto che apre sul vuoto, sullinfinito, sul dissolvimento nellassoluto. Non c frustrazione di trasgressione o intento provocatorio: la testa mozzata del pesce spada si offre alla vista nella banalit del quotidiano, ma il bianco e nero di Jodice ha il potere di astrarla dal suo contesto accidentale per servirla sul vassoio di una immagine teoretica la cui presenza-assenza sonda linerte della morte, pur tra le pieghe del reale. Anche i grigi che nascono dai dialoghi del bianco e del nero e che sfumano i contorni non hanno naturalmente nulla a che fare col mondo. Nelloscillazione dei due colori Jodice riesce a materializzare teorie ottiche in immagini che possiedono lenigmatica bellezza di un universo concettuale della condizione umana. La tensione delle immagini nasce dallo scarto tra il fantasma di queste materializzazioni e quanto vi corrisponde nel mondo, merci o utensili che siano. Assediati da immagini inutili e corrive, le fotografie di Mimmo Jodice funzionano da correttivo: come per la scultura procedono per sottrazione e rendono possibili, nel

Mimmo Jodice

silenzio dello sguardo, le visioni elaborate dal nostro pensiero.

UN UOMO CHE SCRIVE

Georges Perec

Le cose
traduzione di Leonella Prato Caruso, prefazione di Andrea Canobbio, Quodlibet, pp. 122, 17,50

La bottega oscura. 124 sogni


a cura di Ferdinando Amigoni, Quodlibet, pp. 345, 16

Un uomo che dorme


traduzione di Jean Talon, postfazione di Gianni Celati, Quodlibet, pp. 170, 12,50

UN UOMO CHE SCRIVE


Marco Belpoliti
Ha scritto Claude Burgelin, uno degli amici di Georges Perec, che Le cose altro non sono che il romanzo di una depressione che bara con se stessa. Per Jerme e Sylvie, la coppia protagonista del racconto, il problema non tanto quello di possedere degli oggetti e quindi il denaro per acquistarli quanto quello di impedire che si spenga il

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desiderio che nelle cose ha il suo stimolo e riflesso. I veri protagonisti non sono i due ragazzi parigini n le cose del titolo: bens le immagini delle cose. Burgelin, che quattro anni dopo la morte dellamico ha pubblicato un libro che ancor oggi una delle introduzioni pi pertinenti alla sua opera (Georges Perec. La letteratura come gioco e sogno, Costa & Nolan 1989), ha ben individuato la sottotraccia del suo primo romanzo: le immagini delle cose fungono da eccitante, pi o meno riuscito, cercando di ravvivare quella voglia di vivere che nel resto dellopera di Perec apparir irrimediabilmente persa. Il protagonista di Un uomo che dorme [1967] in preda a una condizione atona, una depressione che nelle Cose era solo evocata. Il tedium vit ha preso il sopravvento. Ha scritto Perec: Le cose sono i luoghi retorici della macinazione [] Un uomo che dorme i luoghi retorici dellindifferenza. La mattina in cui deve sostenere un esame uno studente universitario resta a letto e decide di non alzarsi. In uno stato dindolenza inizia lesplorazione mentale dellangusto spazio in cui vive, una stanzetta nel sottotetto di un palazzo parigino, poi allarga via via la sua indagine, senza meta e senza scopo, allintera citt. La sua una forma di non-vivere, o meglio di lasciarsi vivere: perfetto analogo dellazione

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attivo-passiva compiuta dalla coppia delle Cose. Scritto con i verbi al presente e in seconda persona, con un tono che lascia intendere che il Tu sia un Io, e che tra chi racconta e chi raccontato non vi sia davvero differenza, Un uomo che dorme (Quodlibet 2009) appare oggi unopera profetica, quasi una presa di distanza in anticipo di quello che sarebbe successo di l a poco, in Francia e in Europa: il Maggio studentesco. Una ribellione che termina in un atto di totale sottrazione. Loscuro eroe di Perec infatti un campione del rifiuto passivo; con il suo comportamento a perdere mette in mostra tutti i difetti dellattivismo contemporaneo, della filosofia del fare, come ricorda nella sua postfazione Gianni Celati. Tuttavia la cosa pi impressionante di questo piccolo libro, ritradotto a molti anni di distanza dalla sua prima edizione italiana, la medesima che colpisce i lettori delle Cose: laccumulazione di descrizioni, elenchi di cose e oggetti, sogni e avvenimenti mentali. Solo rileggendo insieme questi due libri, dopo il successo degli anni Ottanta e il lungo oblio subito negli anni Zerozero, si riesce a capire quale sia stato il senso profondo delloperazione di Perec, cosa ci abbia voluto dire coi suoi libri e quale importanza essi abbiano per noi. Nelle prime righe della sua bella introduzione, Andrea Canobbio ricorda

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lequivoco cui lo scrittore francese soppose immediatamente: ritenere Le cose il libro sulla societ dei consumi, lanalogo romanzesco delle Mythologies del decennio precedente di Roland Barthes o il fratello gemello del Sistema degli oggetti di Jean Baudrillard. Le cose non sono neppure quel libro sociologico cui allude la frase di Italo Calvino ritagliata nella quarta di copertina: Il libro tipico che riassume unepoca, lepoca in cui lEuropa saccorge di essere in piena civilt dei consumi e della cultura di massa. Jerme e Sylvie, dopo aver interrotto gli studi, vivono facendo inchieste sociologiche; intervistano persone per costruire campagne pubblicitarie e quindi per capire le volizioni e le attrattive del pubblico dei consumatori. Questo mestiere permette loro di avere un discreto stipendio, di vivere a Parigi in una piccola casa e dedicare il proprio tempo libero alla ricerca di mobili, libri, ristorantini, recuperando vestiti e oggetti che riempiono lo spazio della loro abitazione, dove organizzano cene interminabili con gli amici, anche loro dediti al medesimo culto del vintage. Perec raffigura attraverso i due protagonisti la societ stessa che frequenta: il piccolo gruppo di amici con cui condivide la lotta contro la guerra dAlgeria, le prime ribellioni degli anni Cinquanta e Sessanta, un forte dissenso rispetto alla societ

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borghese. Cos facendo descrive con qualche anno danticipo quello che accadr, passata la fase acuta della contestazione, alla generazione del 68. Come racconta Canobbio ripercorrendo la sua ricezione sulla stampa francese dellepoca, il libro chiaramente ambiguo, e proprio per questo intollerabile per i critici della sartriana Les Temps Modernes ma anche per il recensore del quotidiano del Pcf, LHumanit, che lo fraintende. Ma questa ambiguit oggi la forza stessa del libro. Il racconto cadenzato in tre parti che corrispondono a tre tempi verbali: il condizionale dellapertura, che descrive il mondo di oggetti e cose in cui Jerme e Sylvie vorrebbero vivere; limperfetto, il tempo del racconto vero e proprio, in cui si svolge tutta la vicenda; e il futuro del finale. Come ha notato Burgelin il libro non contiene nessun dialogo: nessuno pu scambiare, condividere e comunicare se non cose identiche (altrimenti interviene il silenzio o il litigio), condividendo in tal modo le stesse immagini. Funziona per addizione e accumulazione, in modo che il senso stesso del racconto una tautologia: la societ dei consumi la societ dei consumi. La conclusione una sola: limmagine che la societ offre di s attraverso i due protagonisti nullaltro che proiezioni della narrazione medesima e del

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sistema di accumulazione che si produce narcisistica. Un narcisismo che declina sempre pi verso la depressione come nella seconda parte, in cui latonalit prende il sopravvento nella descrizione della fuga dei due protagonisti verso la Tunisia, in una piccola citt di provincia, Sfax. Il ritorno a Parigi e quindi la nuova destinazione lavorativa fuori dalla capitale, con lintegrazione nel sistema produttivo, mostrano la sostanziale sconfitta del desiderio. In seguito Perec sposter langoscia che si percepisce in questi primi libri (e che torna nel diario di sogni La bottega oscura) in una zona in cui lartificio linguistico riesce a tenere a freno il precipitare nel vuoto. Al centro della sua opera del resto c precisamente un vuoto: un buco, unassenza, uno spazio bianco che la scrittura cerca di riempire senza mai davvero riuscirci, mediante una rete di segni che vivono anchessi nel e sul vuoto. Quel vuoto avr poi un punto daffioramento, un iceberg letterario che solo dopo parecchi anni verr percepito come il vero centro dellopera letteraria di Perec: W o il ricordo dinfanzia (ripubblicato da Einaudi nel 2005). L lo scrittore racconta la storia della madre, ebrea deportata ad Auschwitz, e la scomparsa del padre, ucciso negli ultimi giorni di guerra. Un doppio trauma che spiega il male di vivere che lo porter nel 1971 a tentare

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il suicidio, ma che alimenta senza dubbio la sua prosa manierata, artefatta, capace di raccontare in modo sublime i tempi in cui il desiderio si spegne e latonicit del consumo compulsivo diventa il mood trionfante della nostra epoca. Torna al men

NUOVE ANTOLOGIE, VECCHI CRITERI

a cura di Fabio Scotto

Nuovi poeti francesi


traduzioni di Fabio Scotto e Fabio Pusterla, Einaudi, pp. 311, 16

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Andrea Inglese e Andrea Raos
Unantologia di poesia francese contemporanea era molto attesa in Italia, per diversi motivi. Innanzitutto, una scarsa conoscenza da parte anche del pubblico specializzato della poesia francese contemporanea al di l dei pochi nomi che in Italia, per motivi non sempre facilmente comprensibili, hanno riscosso una perdurante popolarit critica ed editoriale. (Tra il 2004 e il 2005, la rivista Po&sie fece uscire due numeri dedicati alla poesia italiana. Uno di essi includeva un questionario sulla poesia francese proposto a un certo numero di poeti italiani. I nomi che ritornavano pi spesso erano Char, Michaux, Ponge, Bonnefoy, Jaccottet. Ci indicava una ricezione della poesia francese perlomeno

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fossilizzata). La grande visibilit offerta da un editore a diffusione nazionale a territori letterari sostanzialmente sconosciuti, la conseguente speranza che taluni temi e autori ricevessero finalmente la meritata attenzione, che tanto o poco si spostassero i fuochi del discorso, non facevano altro che accrescere le aspettative. Un secondo motivo di carattere critico-teorico: era urgente parlare della poesia francese degli ultimi trentanni, in quanto tra gli anni Ottanta e oggi andato prendendo corpo in Francia un paesaggio poetico che ha senza dubbio le caratteristiche della novit. Una costellazione vivace di riviste ha valorizzato poi, oltre alla pratica poetica, una produzione teorica notevole, capace di riflettere criticamente sulleredit delle avanguardie, sui rapporti con le altre arti, su certe esperienze della poesia statunitense, per giungere a ridefinire i confini stessi del genere poesia. In ci, alcuni autori francesi costituiscono unautentica sfida per luniverso poetico italiano, ma pi in generale unoccasione di ripensamento delle stesse categorie critiche che determinano la cartografia di tale universo. Insomma, un tale movimento poetico, articolato e certo non riconducibile a una semplice tendenza o poetica, esigeva di per s un lavoro antologico capace di abbracciare lintero spettro

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delle questioni teoriche, delle scelte poetiche, delle pratiche culturali e politiche che accompagna tale paesaggio, dando spazio anche a un lavoro genealogico, per poter rendere espliciti al lettore italiano i fattori di continuit, oltre a quelli di rottura. A questo proposito, si osserva che il lavoro di ricostruzione compiuto da Scotto nella sua Introduzione, sostanzialmente corretto, omette di citare almeno il lavoro antologico compiuto dal poeta Jean-Michel Espitallier (Pices dtaches. Une anthologie de la posie franaise aujourdhui, 2000) e laltrettanto interessante corollario teorico alla stessa antologia (Caisse outils. Un panorama de la posie franaise aujourdhui, 2006). Va sottolineato che, al di l delle scelte specifiche, il grande merito dellantologia di Espitallier quello di esplorare a tutto campo i vari filoni e sono davvero molti della poesia che in Italia si definirebbe, con un certo schematismo, sperimentale. Pi che di tassonomie stilistiche, Espitallier sinteressa di procedimenti, indagandone le ragioni estetiche, ma soprattutto conoscitive. Alcuni dei poeti antologizzati da Espitallier, Scotto non ha potuto non includerli nella sua antologia, per limportanza riconosciuta che il loro lavoro ha acquisito in Francia. Ma quando deve presentare autori come Hocquard, Gleize,

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Quintane o Cadiot, il suo discorso critico diventa stucchevole, manualistico, privo di forza esegetica. Tra questi autori, Scotto si muove su un terreno che gli estraneo, che fatica a comprendere, per scarsit di strumenti teorici, familiarit con i testi e anche spontanea partecipazione. Un vero peccato, considerando che un fitto dialogo esiste gi da anni tra questo versante della poesia contemporanea francese e una parte della nostra poesia italiana attuale. Di questo scambio, noi firmatari dellarticolo siamo parte in causa. Ma non siamo ovviamente gli unici. Chi pi ha lavorato, traducendo testi e brani teorici, sugli autori della costellazione Espitallier, stato probabilmente Michele Zaffarano, anchegli poeta, e attivo attraverso il blog GAMMM, le edizioni Arcipelago di Milano e La Camera Verde di Roma. Lelenco dovrebbe poi includere tutti i redattori di GAMMM (http://gammm.org) che di questi autori francesi hanno approfondito le ragioni teoriche. E proseguire con critici e scrittori come Alessandro De Francesco. Il nostro intento non per quello di fornire qui un panorama esaustivo di tutti coloro che, in Italia, hanno esplorato questo versante della poesia francese. Il nome di GAMMM deve fungere soprattutto da sineddoche di una critica militante estremamente attiva in rete e nelle piccole case editrici, anche se

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misconosciuta dal mondo accademico. Daltra parte tale mondo, come dimostra il caso di Scotto, sconta non pochi ritardi. La scelta di Scotto quella di una ricognizione unanime, non tacciabile di essere partigiana dal punto di vista delle poetiche o delle tendenze, come se tale neutralit possa costituire un titolo di merito. Noi riteniamo invece che sia proprio questa pretesa neutralit a costituire il limite pi grave delloperazione; avremmo preferito piuttosto che Scotto assumesse fino in fondo le sue preferenze, i suoi partiti presi poetici, con quel di inevitabilmente dogmatico ci comporta. Avrebbe cos potuto rendere maggiore giustizia, per esempio, al panorama dei poeti pi lirici, sviluppando un discorso sistematico sulla tradizione lirica francese, la sua specificit rispetto a quella italiana, e i suoi innovatori. Purtroppo, per, lidea di assumere unattitudine comparatista, e conscia eventualmente dei propri presupposti militanti e di poetica, pare non avere legittimit in Italia in operazioni antologiche come questa. Sono davvero tempi lontani quelli in cui, per la stessa collana Einaudi, Alfredo Giuliani e Jacqueline Risset coniugavano i loro talenti alfine di presentare al pubblico italiano unantologia di alcuni dei poeti legati a la rivista Tel Quel (Poeti di Tel Quel, Einaudi,

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1970). In loro, prevaleva lidea dellintervento militante, ma anche lottica comparatista, in grado di mettere in parallelo le esperienze della neoavanguardia italiana con quelle coeve della nuova avanguardia francese.

Confluenze
Lalfalibri sul sito si arricchisce di una prima rubrica, Confluenze. Attraverso di essa, si vuole far convergere diversi interventi su o a partire da un medesimo libro. Pi voci e pi punti di vista, quindi, in unottica sia di approfondimento critico, sia di inclusione di temi complementari o tangenziali, che permettano unesplorazione a raggio ampio. Questo mese proporremo una prima raccolta di materiali intorno alla poesia francese contemporanea, alla sua ricezione in Italia, ad alcune questioni teoriche che tale ricezione solleva. Lo faremo a partire da alcuni limiti che riscontriamo nellantologia curata da Fabio Scotto per Einuadi, Nuovi poeti francesi. Oltre a una sitografia ampia, che possa mettere in contatto il lettore con un campione notevole di testi gi tradotti dal francese in italiano e disponibili sul web,

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proporremmo un intervento di Gherardo Bortolotti sui rapporti tra la pratica di un blog letterario di ricerca, quale GAMMM, e il concetto di Weltlireratur. a. i. Torna al men

LISTANTE DELLA RECIPROCIT

Jacqueline Risset

Il tempo dellistante, Poesie scelte 1985-2010


Versione italiana dellautrice, Einaudi, pp. VI+193, 14,50

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Niva Lorenzini
Ho tra le mani le poesie di Jacqueline Risset appena uscite nella collana bianca Einaudi, con il titolo Il tempo dellistante e con testi selezionati tra il 1985 e il 2010 in duplice versione francese e italiana. E penso alle parole di Edmond Jabs lette in epigrafe al volume di Antonio Prete Allombra dellaltra lingua, appena pubblicato da Bollati Boringhieri. Scrive Jabs, in quella sua considerazione tratta da Le livre des marges: La parole partage est toujours nouvelle. La si pu rendere cos, quellespressione: La parola divisa, e cio smembrata, distribuita in parti, spezzata, disarticolata, sempre nuova; ma anche, come informa il dizionario Robert, la parola condivisa, partecipata, come pu esserlo

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un amore (perch un amour partag si pone proprio come mutuel, rciproque). Mi sono chiesta fino a che punto tutto ci abbia a che vedere con la traduzione, e con la traduzione di poesia in particolare. Perch non c dubbio che la parola tradotta sia a un tempo parola divisa da s, dalla lingua cui appartiene, e insieme con/divisa con la nuova pronuncia. Se poi lautore stesso che si traduce, dividendosi e condividendosi, la cosa si fa pi complessa e suggestiva. Credo dunque che sia bene partire da qui per calarsi nella lettura del Tempo dellistante, diviso in sezioni come movimenti, variazioni interne a una partitura rigorosamente articolata, nella scansione cronologica che la definisce (e sono Sept passages de la vie dune femme del 1985, Lamour de loin del 1988, Petits lments de physique amoureuse, del 1990, Les Instants del 2000, cui fa seguito una sezione di inediti 1992-2010). Ma il libro lo si pu leggere anche come se le sezioni temporalmente differenziate si disponessero su uno spazio orizzontale, tra slittamenti e richiami, tracce di senso che si rifrangono a eco, da un prima a un poi reciprocamente interferenti. un libro spiazzante, anomalo, in un orizzonte come il nostro che tende a individuare appartenenze, a collocare, a schedare. Ed anomalo sin dalla Nota introduttiva stesa

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dallautrice nella veste duplice di poetessa e traduttrice. Non parla direttamente dei testi, la Risset, nella sua Nota, ma pone piuttosto laccento sul rapporto traduzione poesia: un rapporto intimo, mutuale, appunto, e reciproco, che la raccolta si incaricher di illustrare, nei suoi sorvegliati, lievissimi sconfinamenti lessicali o testuali. Non certo anomalo riflettere sulla traduzione in un libro che propone poesie tradotte: anomala piuttosto lindagine sulletimo di una parola come istante, su cui la Nota a sorpresa si apre. Lattenzione della linguista, della traduttrice, non sufficiente a spiegare linsistenza su quel termine: che torner con altissima frequenza nei testi e che non a caso d titolo alla raccolta. Si sa che argomento da poeti, il tempo: ma lo da poeti del pensiero poetante se lo si assume, come fa qui la Risset, in chiave filosofica, quasi senza parere, con discrezione estrema, passando attraverso un etimo linguistico, come per necessit di esattezza. Un etimo con cui il traduttore si confronta comunque, risalendo alla genesi lessicale lungo un percorso di anamnesi che, secondo la Risset, lascia esposta la parola, nel passaggio da una lingua allaltra, al distacco e allo smarrimento impliciti in ogni trasposizione.

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Tradurre disfare il tessuto, scrive Jacqueline. E tradurre se stessi aggiunge , da una lingua allaltra, strappo, perdita. Per lautrice del Tempo dellistante scrivere e riscrivere, riscriversi, innanzitutto partire per un viaggio in un nuovo paesaggio, protraendo o sciogliendo uneco fonica, uno spunto ritmico, tematico. gi cos nei versi riportati in copertina, tratti dal testo che chiude la sezione Les Instants, costituendo in qualche misura il congedo del libro: Quelque chose de blanc / lumire venant vite sur la mer / sen allant / comme elle tait venue, rapide (Qualcosa di bianco / luce venuta veloce dal mare / va via / comera venuta, rapida). Il gerundio del testo francese (sen allant, alla lettera andandosene) non scandisce puntualmente lazione, comporta durata, continuit; il va via che lo traduce rende invece pi franto e insieme pi immediato il gesto, ne scandisce listantaneit. E altrettanto si pu dire di lumire venant, che si tramuta in italiano in luce venuta: trasferendo al passato uneco fonica, solfeggiata sulliterazione (luce venuta comera venuta). N meno significativo il mutare della preposizione (sur la mer dal mare): qui tempo e spazio si correlano nellistante che li restituisce in immagine: ed uno spazio di fuga e in fuga, quello che ne emerge, sottratto alla

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permanenza, proprio come lo il tr/scorrere da lingua a lingua.Si potrebbe continuare cos per tutto il libro, spostando ogni volta lo sguardo dal testo francese al testo italiano che gli si affianca, segnato qua e l da minimi spostamenti, segnali di disfacimento quasi inavvertibili. Mobilit e instabilit premono sul rigore compositivo, sul controllo metrico e lessicale, conferendo un di pi di senso alle parole che si leggono in quarta di copertina, selezionate dalla Nota introduttiva: Il tempo dellistante si muove nelle fratture, tra i frammenti. lo scatto in cui la vita si riaccende, si ricentra e salta, ricordando a se stessa la parola vita, attraverso la forma del nulla. Passando attraverso la forma del nulla gli spostamenti, le dislocazioni della Risset sviluppano una diversa, contenuta, ironica vena tragica, resa quasi cantabile, con levit, in versi spesso brevissimi, tra rinvii di ascendenza surrealista e rintocchi di pronunce tra loro variamente armonizzate. Come quella di un Rimbaud convocato appena per un attimo nello schiudersi di unalba (je vois laube / sur qui la nuit presse / peu reconnaissable / cause du nuage vedo lalba / su cui preme la notte / poco riconoscibile / per via della nuvola). Sono i Petits lments de physique amoureuse, cui appartiene la citazione, a occupare non a caso una

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posizione centrale nel Tempo dellistante: ed qui che prende corpo con particolare intensit una poesia tramata di situazioni e sensazioni concrete e oniriche, che si stemperano nel suono o si focalizzano su dettagli colti nella loro datit (e si pu pensare alla frequentazione di Ponge, del suo Partito preso delle cose, dalla Risset magistralmente tradotto nel 1979 per Einaudi).

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Ed , tutto il testo, poesia di citazioni, di voci in dialogo, non solo tra francese e italiano, ma tra Bataille e Gertrude Stein, Lautramont e Mallarm, Apollinaire e Valry, Leopardi e Hlderlin, Virgilio e Dante, o il Pabst regista, nel 26, dei Segreti di unanima. Perch in fondo resta vero quanto ricorda ancora la Risset nella sua Nota: La traduzione, come la poesia, di cui una forma, si nutre di memoria. Memoria testuale, memoria di parole, di pronunce, di interferenze, di vociferazioni Memoria che traduce in atto, con compostezza e nitore, brusii di un corpo che si sente dallinterno, e si cancella a cominciare dal centro, sospeso tra dentro e fuori, passato e presente, vissuto e sua trasposizione in versi. Come Quelque chose de blanc / lumire venant vite sur la mer / sen allant / comme elle tait venue, rapide, appunto. Torna al men

MENO GENIO, PER FAVORE!

Franco Fortini

Lezioni sulla traduzione


a cura di Maria Vittoria Tirinato, premessa di Luca Lenzini, Quodlibet, pp. 231, 16,00

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Davide Dalmas
Il ripescaggio di una serie di materiali didattici che vengono a comporre, come ricorda la curatrice, lunica sintesi sulla traduzione letteraria tentata da un poeta che vanta tra i suoi titoli pi noti Traducendo Brecht (oltre a due Traducendo Milton, saggio e poesia, e a una nota proustiana Traducendo La fuggitiva), che ha compiuto limpresa della versione del Faust di Goethe (oltre a traduzioni da Kafka, luard, Brecht, Weil) e che ha consegnato alcune notevoli riflessioni sul senso e sullarte del tradurre (Traduzione e rifacimento e Cinque paragrafi sul tradurre, ora nel Meridiano dei Saggi ed epigrammi) non pu che accendere una serie di interruttori.

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quindi un libro che si offre, soprattutto a partire dalla pi provocatoria delle sue idee di fondo, a chi la traduzione la pratica: enfatizzando la (relativa) indipendenza del testo darrivo da quello di partenza. Lassunzione di responsabilit non dovuta solo alla lingua e al testo dorigine, ma anche alla cultura in cui si inserir il nuovo testo. Si capisce che il discorso di Fortini interessa in primo luogo la traduzione di poesia. Insomma: una poesia tradotta una nuova poesia, che non va valutata per quanti ostacoli ha saputo superare nel percorso di nascita ma come testo a s, pi fruttuosamente accostabile agli altri testi del traduttore e della cultura poetica di arrivo che alloriginale: Laccertamento del rapporto con loriginale cui si riferisce cosa che riguarda leditore o il linguista o il filologo o lo storico dei generi letterari, fra i quali ultimi vi senza dubbio il genere del volgarizzamento e della traduzione come vi quello della parodia o del rifacimento; ma il critico letterario avr di fronte a s un testo solo, quello di arrivo o quello di partenza, mai una relazione fra i due che non riduca questultimo a fonte, a precedente, a schema direttivo. O ancora pi netto, e corsivato ad aumentare lenfasi: Linterpretazione della traduzione di poesia in poesia nasce (meglio: pu nascere) contrastiva o comparativa ma si

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conclude nella valutazione critico-qualitativa del testo darrivo, indipendentemente dalla comparazione col testo di partenza. Pertanto questo anche un libro rivolto agli studiosi di traduttologia, che possono datare e verificare consonanze e differenze (Fortini si confrontava esplicitamente con George Steiner, Henri Meschonnic, sulle spalle di una tradizione che va da Goethe a Benjamin, e con la produzione pi specialistica, da Raymond van den Broeck a Robert de Beaugrande) e collocare le lezioni nellevoluzione del dibattito italiano sulla traduzione. Fortini non poteva non notare la differenza di situazione dei suoi scritti pi noti sullargomento, dei primi anni Settanta, rispetto a queste conferenze tenute a Napoli nel 1989, quando le edizioni di poesia col testo a fronte e gli studi specializzati sulla traduzione si erano ormai diffusi. E naturalmente il libro si offre ai lettori della poesia di Fortini, che sanno quale ruolo decisivo per la composizione dei suoi versi avesse la pratica assidua di traduttore, e quanto siano difficilmente districabili le svolte personali di poetica e di scrittura dai cambiamenti nelle scelte degli autori da tradurre (il passaggio da luard a Brecht, per esempio). Ma pi in generale, scatta linteresse degli studiosi

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della poesia italiana del Novecento, che trovano fini analisi di storia del gusto, avvicenti passaggi da inquadrature generali che delineano mutamenti decennali a primi piani ravvicinatissimi su singoli traduttori (Giudici, Bertolucci, Raboni), ipotesi di classificazione da verificare. Altrettanto facile sottoscrivere la breve e densa premessa del maggior conoscitore dellopera di Fortini, Luca Lenzini, e apprezzare il lavoro filologico, linterpretazione complessiva e la puntuale annotazione (non senza qualche correzione di lapsus dautore) di Maria Vittoria Tirinato, utile guida agli scarti e alle contraddizioni, alle revisioni e alle apologie proprie non solo di un insieme di appunti, addenda, appendici ma soprattutto di un pensiero che intende indicare Realt e paradosso della traduzione. Difficile, ancora una volta, come porsi in una posizione tale da rispondere davvero alle domande pi estreme del libro. Cosa significa oggi pensare che il grado di rapporto della traduzione con il sistema della o delle istituzioni letterarie dovr essere visto come rapporto rivelatore, come indice privilegiato della qualit di relazioni, in un tempo e in una societ data, fra le ideologie e le culture in conflitto? Di certo non si pu dare una risposta individuale. Per il momento, si pu condensare la proposta fortiniana

MENO GENIO, PER FAVORE!

nellesasperazione degli estremi di quella serie multicolore di scritture che si chiamano interpretazioni ermeneutico-critiche, parafrasi esplicative, translitterazioni, imitazioni, parodie, rifacimenti e cos via. Da un lato: meno genio, per favore! Di fronte a grandi testi che vengono da lontano (nel tempo o nello spazio) bene enfatizzare il lavoro di servizio, la traduzione come glossa, commento, vocabolario portatile; quindi servono imprese collettive ben coordinate, con criteri saldi e condivisi. Dallaltro, accentuare lintervento personale in direzione del rifacimento, della parodia, fino al limite della traduzione immaginaria, quella con originale inesistente. Si salverebbero cos le due esigenze contrapposte: restituire il senso della diversit, tipico della traduzione moderna; e assimilare il diverso, proprio di un millennio di traduzione in contesto classicista. Ma in questultimo caso si tratta ormai di una classicit paradossale, che non normalizza il diverso allinterno di una cultura salda ma sposta in avanti i fronti, tentando di rovesciare la natura conservatrice profondamente annidata nellatto del tradurre. Torna al men

RIFLESSIONI A BASSA VOCE SUL TRADURRE

Antonio Prete

Allombra dellaltra lingua - Per una poetica della traduzione


pp. 138, Bollati Boringhieri, 16,00

RIFLESSIONI A BASSA VOCE SUL


TRADURRE
Laura Barile
Il bel libretto di Antonio Prete apre con una verit paradossale di assoluta evidenza: che il traduttore sottrae allaltro, al testo originale, ci che gli pi proprio. E cio il tono, il colore, la musica delle sillabe: in una parola, la lingua. Quella del traduttore dunque una scommessa straordinaria: restituire in unaltra lingua, che la propria, la prima voce, che scompare e allombra della quale si traduce. Noto leopardista e traduttore delle Fleurs du mal, saggista e poeta, Prete non ha scritto un libro di teoria ma di riflessioni e frammenti sul tema della traduzione e sul compito

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del traduttore (a Benjamin consacrato un capitolo di esegesi e note a margine di quel suo famoso testo mistico e geniale). Non sono le teorie della traduzione che questo libro interroga. Ma si interroga invece sulla scommessa della traduzione, sui possibili sensi ulteriori che un testo dispiega, quando venga ri-letto e ri-petuto, e sulle possibilit latenti che talvolta la traduzione sprigiona. E lo fa alla luce delle riflessioni di alcuni grandi pensatori non sistematici: soprattutto i tanti appunti e frammenti di Leopardi e il Libro dellospitalit di Edmond Jabs, del quale balza fuori da queste pagine un vivo ricordo parigino. un libro che parla a bassa voce, in una conversazione densa di implicazioni antropologiche sullascolto. W.H. Auden, presentando una traduzione di Cavafis, si chiedeva cos che ci incanta di quella poesia, e rispondeva semplicemente: il suo tono. il tono di Cavafis che ci incanta nelle sue poesie e cos vorrei dire del tono accattivante, riflessivo, di questi discorsi sul tradurre, fondamentalmente interrogativi e mai normativi. Non mancano le narrazioni, le storie: come quella di Cervantes e di Sidi Hamete Benengeli, con il ragazzo moro spagnolizzato, il morisco aljamiado che traduce le prime pagine su Dulcinea nellAlcal di Toledo fino alla Avellaneda, la seconda parte

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apocrifa e la riflessione sul Don Chisciotte che altro non , a sua volta, che la traduzione fantastica di un libro di cavalleria. O quelle relative alle sparse pagine leopardiane sulla traduzione, momenti lampeggianti di un costante interrogarsi, non abbastanza valutate dai teorici della traduzione. Come, per citare un testo che ha avuto influenza decisiva sulla vita di molti di noi, il Prologo alla traduzione del Manuale di Epittto, manuale di sopravvivenza che Leopardi volle tradurre per generosit verso i suoi simili, per condividerlo appassionatamente con i suoi lettori presenti e futuri. E ancora, la finzione che presiede alla Storia del genere umano, fino alla finzione del manoscritto aramaico ritrovato del Cantico del gallo silvestre, in una pagina tutta da leggere (Prete ha intitolato una sua bella e rara rivista al Gallo silvestre). La parte centrale del libro consiste in una serie di brevi capitoli dedicati ognuno a una figura del tradurre. Queste figure hanno una loro modulazione di sviluppo: a partire dalla Ospitalit della lingua (tradurre, secondo Jabs, ebreo sefardita di Alessandria dEgitto, accogliere colui che in cammino, il nomade mediterraneo). E ancora, la Camera Oscura, espressione leopardiana che presume che il traduttore metta in gioco la propria lingua fino allestremo, e

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abbia una totale familiarit con essa per riuscire a trasporre, pi che le parole, uno stile. Lo stile delloriginale, riflesso nella camera oscura della propria lingua: senza tuttavia abolire la lontananza che gli appartiene. Leopardi, contrario alle traduzioni modernizzanti, trovava che Anacreonte in certe traduzioni secentesche era un Greco vestito alla parigina, o piuttosto mostruosamente un parigino vestito alla greca. E qui si potrebbe aprire una discussione sulla modernizzazione dei classici, proposta e realizzata da tempo, e non solo in Italia. Altra figura densa di implicazioni lImitazione, che il cuore della stessa scrittura. La scrittura al tempo stesso cancellazione-rinascita della realt. Mallarm la definiva disparition vibratoire: quelle vibrazioni di cui parla Sereni a proposito della poesia, che hanno a che fare con lemozione di partenza e con la sua eco nel testo scritto. Vibrazioni che devono attraversare e sommuovere anche il testo di arrivo del traduttore. Ma lImitazione, a partire dal suo primo grado (la traduzione), apre verso possibilit nuove, di nuovi testi mossi da quel primo, testi daprs, come certi testi di Antonella Anedda, o in altro modo il cinema di poesia di Pasolini.

RIFLESSIONI A BASSA VOCE SUL TRADURRE

Yves Bonnefoy parla di intimit profonda che lega reciprocamente la percezione complessiva dei due poeti in gioco. Resta, secondo Prete, la difficolt di accordare il verso della propria lingua (vedi per noi lendecasillabo) a una metrica straniera. Potremmo allora citare linteressante scelta di Amelia Rosselli di tradurre Emily Dickinson mantenendo per quanto possibile lomofonia, a prescindere dal significato, e soprattutto mantenendo il ritmo anglosassone dei piedi: per con un numero di sillabe a piacere, scandite dagli ictus (come nella battuta musicale dove ci che conta il tempo), secondo la teoria dello Sprung Rythm di Hopkins. Ma, si dir, la lingua di Amelia Rosselli non solo litaliano, come si sa e tutto si complica, o si semplifica. Lasciamo al lettore il piacere di sfogliare lultima parte, pi analitica sulle traduzioni dei maggiori poeti del nostro Novecento. Ma ci piace concludere da un margine di Prete a Benjamin: come cio sia davvero poca cosa, nel processo della traduzione, la fedelt al senso. E come la tensione inventiva del traduttore si alimenti di tutto il resto. Tutto il resto, la poesia. Torna al men

IL PARADOSSO DELLA CONSEGNA

Gabriele Frasca

Dai cancelli dacciaio


Sossella, pp. 592, 30,00

IL PARADOSSO DELLA CONSEGNA


Cecilia Bello Minciacchi
Rimane, diffusa e tenace, dalla lettura dellultimo romanzo di Gabriele Frasca, una nostalgia di inorganico. Rimane fascinosa, colpevole, immedicabile, come un basso continuo che sostiene tutti gli altri complessi livelli del testo. Forse tradisce il testo di cui sembra farsi consegna, o forse tradisce soltanto scoprendo troppo chi adesso, qui, quel testo sta cercando di consegnare. Dai cancelli dacciaio non a dispetto del, ma attraverso il comico cui strutturalmente ricorre si schiude nel tragico e ne indaga aspetti e viluppi diversi. Gli interrogativi sulla pulsione di morte, sul desiderio di tornare alla quiete dellinorganico, sullenigmatica energia in cui il Freud di Al di l del principio di piacere riconosce

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linizio della vita e insieme limpulso a rifuggirla, sono stati i rovelli dello psicanalista Saro Buono che, gi comparso in Santa Mira (Cronopio 2001; Le Lettere 2006), rievoca (traduce) il Will B. Good del romanzo desordio, Il fermo volere (Corpo 10 1987; dIf 2004). Alcune pagine congiungono mirabilmente lo studio di Freud con il sonetto di Cavalcanti Tu mhai s piena di dolor la mente in una digressione capace di compenetrare poesia e psicoanalisi, di far parlare luna nellaltra, e luna dellaltra. Cos Frasca attraverso Saro declina e rinnova (come della sua scrittura) lucidit saggistica e forza poetica farciti come siamo di morte che vive il problema morire, no, morirsi fino alla suggestiva interpretazione: Freud aveva in verit attribuito alla vita lo stesso scopo che da tempo assegnava al sogno, vale a dire quello di proteggere il sonno. Non si dice infatti che per tutelare la morte che questa si attiva?. soprattutto con la morte e con le strategie per giocarla o imboccarla, per desiderarla o ingoiarla, che i personaggi qui si fronteggiano, a cominciare dal giovane gesuita Saverio Juvarra, legato nudo a una sorta di croce blasfema chiamata coda e tecnologicamente imbracato da collare, microcamere, microfono e cuffie: calato ad arte, con scansioni temporali precisissime e controlli medici che ne

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evitino il collasso, nel fondo imbuto che si spalanca sotto il Cielo della Luna, fino a una ghiaccia artificiale di luce azzurra. Il Cielo della Luna, imponente struttura di cemento e vetroresina, la discoteca sorta nellorizzonte appena un po sporco di Santa Mira tra il 1999 e il 2000, in nove mesi di costruzione costati la morte di ventisette operai. Al suolo conta nove piste da ballo, nel sottosuolo nove cerchi concentrici semiclandestini in cui lavorano trecento infaticabili dediti ad amplessi umani e bestiali, violenze e torture, dentro nicchie chiuse da schermi. La parte emersa un tronco di cono che sul taglio levigato della cima sfoggia uninsegna di dimensioni spaventose e una luna indistinguibile da quella vera. Architetto di questo fungo o bubbone il giapponese Kaso Fumi che, manco a dirlo, nega di aver mai letto la Commedia. Ogni settimana, solo nella notte tra venerd e sabato, i sotterranei lavorano a pieno regime, accogliendo a carissimo prezzo centotrentacinque Persone divise in Consumanti, Compatenti e Gloriose, oltre ad ambite figure di ruolo, sei Contemplanti, tre Acusmatici, un Soggetto Ottico, un Oggetto Senziente, un Vassoio. Il vasto e terrifico teatro, pur perfettamente chiuso la discoteca circoscritta da cancelli dacciaio , non affatto il castello delle 120 giornate sadiane, perch nel Cielo della Luna si entra solo

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consenzienti, sborsando cifre da capogiro (si paga extra ogni piacere e ogni dolore, anche lestremo) e firmando burocratiche liberatorie: le Persone Gloriose non finivano l dentro come nel castello di Durcet, rapite e trascinate a forza da qualche marcantonio prezzolato, e per il semplice fatto che non cera pi nessun celebre Durcet, n lallegra brigata di debosciati, perch la Bastiglia labbiamo presa una volta per tutte, con o senza il suo sognatore dentro, e dei castelli ne abbiamo fatto alberghi a cinque stelle. Il grande circo del male di Santa Mira, col suo carosello di carne tremante e violata, in realt una manifestazione trasparente un congegno di quello che Frasca ha pi volte chiamato il Sacro Romano Emporio. L tutto finalizzato al guadagno e gli utili sono sbalorditivi. Non si sa se il polso pi fermo ce labbia Regina Mori lirresistibile Moira More con parrucca bionda del Fermo volere che della discoteca animatrice e Amministratrice unica, oppure lamericanissimo cardinale Ramsey, fine interprete di Henry Purcell, agostiniano privo di dubbi e inflessibile, smaltato come la dentatura che solo una fanatica ortodonzia pu garantirgli. Ramsey vigila sullanziano cardinale Cristoforo Bruno, dottissimo e amatissimo vescovo di Santa Mira, che ha iniziato a dettare al suo segretario,

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padre Juvarra, un codice copto visto in giovent, un fantomatico codice XIV di Nag Hammadi, poi da ignoti fatto scomparire. Potrebbe scatenare un putiferio, quel Protovangelo di Giovanni, composto, come nessun altro vangelo, su doppi logia, ovvero su un logion e il suo ribadimento speculare: alla parola di Cristo la risposta in eco immediata e gemella di Didimo Giuda. Probabilmente Giuda lIscariota, il discepolo del tradimento, divenuto apostolo della tradizione. il proditionis mysterium di cui parla santIreneo, il carico di dolore e devozione di chi paradossalmente costretto a fermare il maestro per propagarne linsegnamento. Senza il Male non c consegna, e senza consegna non si propaga il Bene, dice il cardinale Bruno al suo segretario. Padre Juvarra, che ha pagato per essere lOggetto S della notte tra il 26 e il 27 settembre 2008, mentre cala nel cono infernale ha negli occhi una vergogna sfrontata: seguendo perinde ac cadaver gli ordini di Ramsey ha tradito il cardinale Bruno suo maestro. E si sente senza perdono, perch quando capita di imbattersi in un maestro, un affare un po morboso, perch uninfezione. Uno degli aggettivi pi ricorrenti irredimibile. Lesistenza stessa irredimibile, niente vi si sottrae: n la colpa di Juvarra, pur necessaria alla consegna, n la nostalgia dellanno degli anni, il

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1975, paradiso portatile del dottor Preziosi col suo cancro di ricordi, n lo spaccato di storia patria, collusioni, massoni, gladiatori e ordigni intorno al rapimento Moro, n la dismorfofobia che fa vedere al sedicenne Valentino i suoi lineamenti impazziti e insensati, una faccia sfuggente che sfugge a se stessa. Irredimibile lansia dassoluto che porta adolescenti ammaliati da un video gioco a voler rinascere in un mondo imperturbato morendo sulla propria copia angelicata. Sensualit e tragicit, in questo che a oggi il pi poderoso romanzo di Frasca, sono veicolate primariamente dallo stile gi anni fa amava citare Weinrich: non si sopravvive che per lo stile che duttile e mutevole, come le diverse focalizzazioni interne ai personaggi e come gli slittamenti dei flash-back che pian piano individuano i fili e stringono i nodi delle interrelazioni. Per quanto sensibilmente vario gioco parodico, autoironia, effato lirico, realismo dialogico lo stile di Frasca sempre riconoscibile nella sua cifra di densit, nello spessore. E nel modo suo, estremo, di assorbire citazioni e rimandi, di sostanziarsene per fare, ogni volta e davvero, tutto nuovo. Nella sua pratica dintertestualit, non solo Joyce e Beckett, e per altri aspetti Dante e Arnaut ora un po meno il Pizzuto tanto presente nel Fermo volere e

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un po pi Dick e Pynchon (Santa Mira immaginaria come Vineland) tornano a farsi sentire, ma i suoi stessi personaggi si ripresentano, ciascuno con le sue ossessioni. E tornano dettagli minuti, compiute spie: la vestaglia rosa, come quella che era stata di sua madre di Dalia in Santa Mira e qui, proprio identica, di Regina; la matita messa in bocca a un epilettico Spirit nel Fermo volere, e qui al dottor Preziosi. La pagina narrativa trattata, al di l delle frequenti soluzioni metriche, come la poesia, con la stessa strutturale attenzione alla vocalit e alla memorabilit cui tende la poesia. Perch Frasca ha questo rovello, tramandare, tradurre, tradere, far vivere il testo (e i testi) nello stile e nella voce viva (leggerlo, dettarlo), e solo il rovello della parola parlata, della consegna tradta e trdita ha la forza di bilanciare e reggere lirredimibile nostalgia dinorganico.

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Eden, opera 27. Mimmo Jodice.

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CAPITAN FICTION, LICENZA DI UCCIDERE

Carol Sklenicka

Raymond Carver Una vita da scrittore


traduzione di Marco Bertoli, Nutrimenti, pp. 782, 25,00

Raymond Carver

Principianti
a cura di William L. Stull e Maureen P. Carroll, traduzione di Riccardo Duranti, Einaudi, pp. VIII-289, 12,00

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Rossana Campo
Una scena divertente della lunghissima, superdettagliata biografia di Raymond Carver scritta da Carol Sklenicka non riguarda direttamente Carver ma il suo quasi altrettanto celebre editor-amico-aguzzino Gordon Lish alle prese con un altro scrittore, Vladimir Nabokov. Frederic Hills, caporedattore alla newyorkese McGrow-Hill, assegna la redazione di un romanzo di Nabokov a Gordon Lish, dicendo che in genere nessuno revisionava veramente Nabokov.

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Frederic Hills prende laereo e porta personalmente le bozze del libro a Zermatt, in Svizzera, dove Nabokov viveva. V. Nabokov prese una ventina di pagine con le revisioni, tenendole per un angolo e sollevandole in aria con due dita, come se fossero un pesce morto da tre giorni. Fred disse chi questo Gordon Lish e cosa crede di fare?. Ora, Look at the Harlequins! un romanzo molto arguto che si diverte a mettere in scena un uomo che ha avuto diverse mogli. Contiene delle narrazioni una dentro laltra. E Gordon aveva cercato di tagliare e rimettere insieme il tutto, alterando parti intere del romanzo per dargli laspetto di un normale resoconto autobiografico di Vera, la prima moglie di Nabokov, fatto da V.N. stesso. Cosa che ovviamente non era affatto. Facciamo cos disse Nabokov glielo restituiamo dicendo: Non proprio possibile. Nabokov aveva saputo bloccare la furia redazionale di colui che si era autobattezzato Capitan Fiction, ma la stessa cosa non seppe fare il fragile alcolista Carver, colui che come i suoi personaggi aveva un passato e un presente di proletario americano, di vita marginale, di cause in tribunale per piccoli imbrogli allo Stato sui sussidi di disoccupazione, di minuscole case e traslochi con moglie e figli in giro per gli States, fra i soliti mille lavoretti nelle segherie, nei bar e

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nei motel dAmerica. Carver, che sogna fin da ragazzino di scrivere e pubblicare e incontrare altri scrittori, non riesce a dire di no alle manipolazioni di Gordon Lish. C un misto di riverenza e terrore nel suo rapporto con Lish, testimoniato bene anche dalle lettere pubblicate nelledizione senza editino di Principianti uscita nel 2009 da Einaudi. Principianti il titolo che aveva scelto Carver per la raccolta di racconti che divenne poi sempre per volere di Gordon Lish Di cosa parliamo quando parliamo damore e che nel 1981 lanci Carver in tutto il mondo con la nota etichetta di scrittore minimalista appiccicata sopra. Carver, quando grazie a Lish vede balenare la possibilit di pubblicare con un editore importante come Knopf, era sobrio da soli tre anni dopo una vita di sbronze dure e continue, e firma un contratto che lascia mano libera a Capitan Fiction, il quale si ritrova in pratica licenza di uccidere. Il resoconto della biografa Carol Sklenicka abbastanza straziante. Carver riceve prima una copia del suo manoscritto con molti cambiamenti, poi una seconda versione completamente stravolta e interamente ribattuta a macchina da una segretaria di Lish. Per Raymond Carver il ritorno alla confusione e alla paranoia, notti insonni e paura di ricadere nellalcolismo. Scrive numerose lettere a Lish dove lo

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implora di lasciare in piedi almeno alcuni dialoghi, qualche descrizione. Arrivando fino alla preghiera di non pubblicarlo, di non farne pi niente. Se confrontiamo le due edizioni balza agli occhi la differenza. Nel testo originale troviamo fitte parti narrative alternate a raffiche di dialoghi costruiti sul parlato americano. Nelledizione tagliata spariscono intere pagine, alcuni personaggi perdono il nome, altri scompaiono del tutto. Via le descrizioni di paesaggi, via i finali epifanici. Cambiati molti titoli, tutto raggelato, prosciugato fino a diventare quasi disumanizzato. lecito manipolare fino a tal punto il lavoro di uno scrittore per ragioni di mercato, per lanciare una moda editoriale? In un articolo apparso sul New York Times Stephen King scrive di aver sempre pensato che la sua fortuna inizi quando ricevette dal suo primo editore 2500 dollari di anticipo per Carrie mentre ora, leggendo questo libro, gli chiaro che la sua fortuna fu quella di non finire nelle mani di un editor come Gordon Lish. Il fatto che lo scrittore viene ridotto a forza lavoro basica, adatta tuttal pi a fornire la materia prima per il vero lavoro che sar poi quello compiuto dalleditor, che ovviamente sa cosa vuole il mercato (ricordiamo che proprio a partire dagli anni Ottanta anche da noi in Italia sorge la parola

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editor a sostituire la pi artigianale e appropriata parola redattore). Molti scrittori hanno lesigenza di far leggere i loro manoscritti e ascoltare opinioni e suggerimenti, sempre successo nella storia letteraria; ma quello che inaccettabile quando un lavoro viene snaturato al fine di formattare un prodotto. Non si tratta di dare una mano a un autore agli inizi, ma di un calcolo di mercato, al quale tutto viene ricondotto. Anche da noi, ricordo un paio di interviste a due editor nostrani (uno scomparso) che asserivano di aver riscritto completamente alcuni libri diventati poi celebri best seller. Ma se un libro si deve riscrivere completamente significa che non hai per le mani uno scrittore. Ecco, al di l del caso specifico, oltre la pena che il lettore carveriano trover in queste pagine, la domanda che sorge la seguente: ci dobbiamo rassegnare al fatto che le esigenze del mercato prevalgano sempre su tutto? Che la ricerca del nuovo, linvenzione di qualcosa che ancora non esiste, la letteratura insomma, non abbiano pi un posto fra noi umani? Come non rassegnarsi a uneditoria che sembra diventata solo una rincorsa miope al gi collaudato, al prodotto di consumo?

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Eden, opera 28. Mimmo Jodice.

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RESPONSABILIT E IMPEGNO

RESPONSABILIT E IMPEGNO
Conversazione fra Gisle Sapiro e Valentina Parlato
Allieva di Pierre Bourdieu, sociologo molto attento alle evoluzioni del mondo della cultura e degli intellettuali (nel 1999 era uscito da Fayard il suo La guerre des crivains. 1940-1953), da un anno a capo del Centre europen de sociologie et de science politique de la Sorbonne (CESSP-Paris), Gisle Sapiro ha di recente pubblicato per Seuil La responsabilit des crivains, settecento pagine dedicate alla responsabilit degli scrittori, ai loro diritti e ai loro doveri. Ma tra le sue opere si contano anche alcune ricerche sulla circolazione internazionale dei testi: Translatio. Le march de la traduction en France lheure de la mondialisation (CNRS, 2008) e Les contradictions de la globalisation ditoriale(Nouveau Monde ditions, 2009).

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Nel suo ultimo libro La responsabilit de lcrivain, ripercorrendo quattro periodi storici e analizzando un certo numero di processi, lei tenta di descrivere, come spiega il sottotitolo del volume, la letteratura e la morale. Da un lato si costruisce una morale nazionale e dallaltro unetica della Repubblica delle lettere. Perch raccontare questa dinamica attraverso i processi giuridici? I processi letterari sono uno dei luoghi di confronto tra la morale pubblica e letica professionale degli scrittori. In questi processi vengono esplicitate le aspettative sociali rispetto alla letteratura, le credenze nei suoi poteri e nei suoi effetti positivi o nocivi. Di fronte agli attacchi di cui sono oggetto, gli scrittori sono portati a formulare i princpi che dettano le loro strategie di scrittura, i valori che orientano il loro procedimento e la loro presa di posizione, la concezione che hanno del loro mestiere e della loro missione. Ma i processi sono solo dei momenti di cristallizzazione di dibattiti che avvengono anche altrove, all Assemble, durante il lavoro di preparazione delle leggi sulla libert di stampa, nei giornali, nei saggi critici dellepoca, fonti che ho ugualmente usato per decifrare gli argomenti dei processi e per contestualizzarli.

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Nella prefazione lei riporta la giustificazione di Simone de Beauvoir al suo rifiuto di firmare alla fine della guerra, durante lEpurazione, la petizione per salvare Robert Brasillach dalla pena di morte: il y a des mots aussi meurtriers quune chambre gaz. Lei scrive che il suo libro vuole spiegare come si costruita questa fede nel potere delle parole. Lidea della pericolosit della letteratura o della narrativa risale a Platone. A partire dal Seicento per, con lo sviluppo della stampa, il libro diventa lincarnazione di questo pericolo. Allorigine c soprattutto una concezione cattolica che si basa su un presupposto spiritualista. La letteratura concepita come un fermento di individualizzazione, di incitamento ai cattivi costumi e di ribellione. Questa rappresentazione teorizzata nel XVIII secolo dalla nozione di contagio morale che si esercita tramite il libro. La Rivoluzione francese ha materializzato questi timori, il suo ricordo ossessiona tutti i dibattiti sulla libert di stampa dellOttocento. Laccesso alla lettura di un nuovo pubblico, in particolare delle donne e del popolo, rafforza questi timori. Tanto la Chiesa quanto i repubblicani che si affrontano in Francia per tutto il XIX secolo, hanno capito il potere dello scritto e tentano non solo di controllare la lettura ma di orientare il

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pubblico producendo opere di valore educativo. Questa concezione pedagogica della lettura si istituzionalizza con la Terza Repubblica, che rende la scuola elementare obbligatoria. La citazione di Simone de Beauvoir per deve essere letta considerando i quattro anni di Occupazione tedesca, durante i quali si scatenata una violenza verbale senza precedenti: appelli allassassinio, regolamenti di conti, denunce individuali e collettive contro gli ebrei, i comunisti, i gaullisti. Gli scritti di autori collaborazionisti hanno legittimato un potere di occupazione che eseguiva vessazioni contro la popolazione civile, uccideva ostaggi, portava avanti una politica antisemita, cancellava la libert di espressione, faceva regnare il terrore e larbitrio. Questatteggiamento ha provocato lindignazione degli scrittori dellopposizione, chiamati poi scrittori del rifiuto. Ha portato molti di loro a entrare nella Resistenza. Una Resistenza intellettuale si organizzata con il sostegno del Partito comunista clandestino, che raccoglieva intorno a s scrittori celebri come Aragon, Mauriac, Sartre.

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Limpegno dello scrittore sembra essere analizzato in questo libro da un altro punto di vista, quello della responsabilit. Qual il rapporto e la differenza tra responsabilit e impegno? Questo rapporto si pu determinare sotto due angoli diversi. Da un lato la responsabilit penale significa che quanto viene scritto impegna lo scrittore, il quale ne deve rendere conto alla societ, come avviene in occasione di un processo. Dallaltro limpegno presuppone una certa concezione di responsabilit morale dello scrittore: quando Zola pubblica il suo Jaccuse contro i magistrati che hanno giudicato colpevole il Capitano Dreyfus, si impegna in quanto scrittore, in nome della sua etica professionale, che la difesa della verit. esattamente il legame tra queste due prospettive che esploro nel mio saggio, un legame daltronde teorizzato da Sartre alla Liberazione. La relazione che pronuncia in occasione della sessione inaugurale dellUnesco, nel 1946, affronta proprio il tema della responsabilit: Sartre considera illimitata questa libert, contrariamente a quella del medico o del calzolaio, poich dare un nome, dare senso agli atti, farli esistere nella coscienza comune. Per questo quello che viene scritto impegna. Questa nozione di responsabilit sottende la teoria sartriana di letteratura impegnata, che si basa anche sulla filosofia della libert: la

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letteratura essendo un atto di comunicazione, lautore deve garantire la libert dei suoi lettori, senza la quale si annulla in quanto scrittore. Quando parla dei processi a Flaubert e Baudelaire scrive che lo scandalo pi nella forma narrativa che nella trasgressione delle norme sociali. Flaubert e Baudelaire sono messi sotto accusa, tra le altre cose, per il loro realismo. Naturalmente il procuratore imperiale rimprovera a Flaubert di aver glorificato ladulterio, ma questa affermazione si fonda su un errore di interpretazione dovuto alla novit del metodo utilizzato da Flaubert: il discorso indiretto libero fa s che il procuratore confonda il punto di vista di Emma con quello dellautore. Rimprovera anche a Flaubert di non giudicare il suo personaggio, conseguenza della posizione impersonale del narratore, distaccata, che Flaubert ha scelto deliberatamente e che era una novit nella letteratura francese. Fino ad allora lautore si manifestava nelle sue opere, esprimeva il suo punto di vista, allo stesso modo di Balzac. Certo Flaubert fa morire Emma tra atroci sofferenze, ma una morte volontaria ed quindi giudicata dal procuratore insufficiente a rendere morale il romanzo. Il rifiuto di Flaubert e Baudelaire di

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subordinare il giudizio estetico al giudizio morale o politico era inaccettabile in un regime autoritario qual era il Secondo Impero, che faceva regnare un ordine morale. Con lEpurazione sembra che lo scrittore arrivi al massimo della sua responsabilit: gli scrittori sono accusati di tradimento e alcuni sono condannati a morte. In Italia quasi non stata fatta unepurazione. cos che si costruisce una morale nazionale? I processi dellEpurazione hanno costituito un riconoscimento paradossale del potere simbolico degli scrittori. Questi sono stati giudicati per il reato di intelligenza con il nemico, cio per aver sollecitato il collaborazionismo con loccupante tedesco, e per aver commesso quelli che erano definiti dalla legge atti di propaganda a favore del nemico. La responsabilit penale era, dallavvento della Terza Repubblica che ha laicizzato la morale pubblica, fortemente legata al quadro nazionale. In una societ in cui si suppone che la letteratura illustri il genio della nazione, che costituisca uno dei suoi titoli di gloria, non si poteva perdonare agli scrittori di aver tradito. Erano tutti designati per incarnare il crimine di tradimento e per dare luogo a pene esemplari.

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Dopo i processi dellEpurazione, quali processi? Lei crede che oggi lautonomia della letteratura rispetto alla morale e allideologia dominante esista? E cosa fa scandalo? C stato un riconoscimento, in Francia perlomeno, dellautonomia della letteratura, e questo dai tempi della Terza Repubblica. Questa si iscrive nella distinzione che il decreto-legge del 1939 prevede tra le opere letterarie e gli scritti pornografici, delegando lesame a una commissione in cui la Socit des gens de lettres rappresentata. La vera e propria liberalizzazione intervenuta a partire dagli anni Settanta, lo Stato intenta un processo solo molto raramente di propria iniziativa, lasciando fare, come nel modello di giustizia americano, alle varie associazioni della moralit. Allo stesso modo non si processa pi in nome dellinteresse nazionale ma in nome della protezione dellinfanzia, il che poi consente qualsiasi forma di abuso: il numero di processi notevolmente diminuito ma i procedimenti giudiziari sono stati sostituiti dalla censura amministrativa, come le interdizioni pronunciate contro i libri, senza alcun dibattito come invece avveniva in tribunale. Negli ultimi tempi si nota per un ritorno dellordine morale in Francia. Ci sono stati numerosi procedimenti o minacce di procedimenti contro alcuni romanzi in nome della

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protezione dellinfanzia: per esempio, Rose bonbon di Nicolas Jones-Gorlin, che racconta in prima persona la storia di un pedofilo (personaggio di finzione), uscito sigillato nel cellophane, dopo varie trattative tra la giustizia e leditore, misura alquanto ipocrita e ridicola. In compenso si moltiplicano le azioni penali per diffamazione e violazione della privacy, come quella intentata dalla vedova del banchiere douard Stern a Rgis Jauffret per il suo romanzo Svre, che racconta in forma di finzione lassassinio di suo marito per mano dellamante, fatto di cronaca largamente descritto e commentato dalla stampa.

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La letteratura pu per ancora essere un affare di Stato come dimostra la recente decisione del ministro della Cultura di escludere Cline dalla lista degli autori degni di una commemorazione ufficiale. Qui non si tratta naturalmente di censura ma questa vicenda ricorda che il razzismo un altro tab che limita la libert di espressione nelle nostre societ. In questo caso a giusto titolo, perch il potere performativo delle parole non si fa mai sentire tanto quanto nella stigmatizzazione dei gruppi pi vulnerabili: possono indurre a comportamenti che rischiano di danneggiare gli individui stigmatizzati. Torna al men

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CON GLI OCCHI APERTI

SANGRITUDINE
di Paolo Morelli immagini di Luciana Martucci

Piano
Nella primavera dellanno scorso ho finalmente messo in pratica unidea che avevo da anni: contemplare lacqua, e in particolare quella di un fiume, e ancora pi in particolare quella del fiume Sangro, seguendo per giorni il suo corso a piedi, passo dopo passo. Volevo descrivere prima di tutto, magari annotare quello che mi passava per la testa guardando. Chiamato Sarus da Tolomeo, Sagrus da Strabone, Sarolus ma poi anche corrotto in Sacco, Sangue o Sanguineto, il Sangro un fiume abruzzese. Nasce nel Parco Nazionale, entra in una valle che prende il suo nome, raccoglie 16 tra rivi e torrenti e alla fine si getta nellAdriatico nella Costa

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dei Trabocchi, proprio a met tra Vasto e Ortona. Questo quello che fa, da tempo immemorabile. Non so come mi venuta lidea. Volevo contemplare lacqua e descriverla. Ora per lacqua dappertutto, perch allora scegliere un piccolo fiume e proprio questo? C da dire che mio padre nato in un paese sulla sua rotta e l ho ancora una casa dove vado spesso. La strada per andarci lo costeggia per oltre met, e man mano negli anni mi accorgevo non solo di averlo accanto, ma mi attraeva, ci sentivo qualcosa come un carattere, una specie di affinit difficile da spiegare, una simpatia di passaggio. Lidea deve essermi venuta una volta che ero sul malinconico, e in seguito spesso i momenti di tristezza mi facevano venir voglia di partire ma non ce la facevo. Poi lanno scorso ce lho fatta. Volevo soprattutto contemplare e descrivere il fiume, oltre non mi era chiaro che volevo fare. Lidea di partenza era una descrizione netta, senza fronzoli, ovviamente irraggiungibile, speravo comunque che tutto il guardare in basso mi impedisse troppi compiacimenti. Era questa lavventura. Durante poi ho avuto limpressione che nel continuo mirare e fallire stava la forza dellesercizio.

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Alla fine mi sono ritrovato con una quantit di taccuini, bagnati e ciancicati, e ho dovuto renderli leggibili, cercando di rendere chiare cose che certe volte non erano chiare neanche a me, ma le parole le ho toccate molto poco. Poi a rileggere ho capito che il pensiero era sempre rivolto agli amici che in quel momento non erano l, non sono venuti perch molti sono in l con gli anni e poi questo era un viaggio che abbisognava di solitudine, di un rapporto faccia a faccia diciamo cos. Insomma quello che ne viene fuori si potrebbe chiamare uneffemeride. Lacqua da sempre rappresenta un simbolo di vita e di prosperit. Gli esseri umani la vedono come acqua, condizione causale che uccide e d la vita. Ma le caratteristiche sicure di un fiume sono lidratazione e la discesa. Vi si collega tutto ci che freddo, idrata e trasporta dallalto delle sorgenti verso il mare che sta in basso. Ecco, col famoso senno di poi quel tenersi in basso dellacqua di un fiume che mi incuriosiva, e quel tipo di forza che sotto laspetto arrendevole aggira e rompe anche le rocce pi dure, anzi le utilizza per darsi spinta, un tipo di efficacia che somiglia alle filosofie alla base delle arti orientali. Lacqua non attacca oggetti non impregnabili, ma trova la sua strada girandovi

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attorno, il tema del potere, inesorabile e vincente che ha la capacit di adattamento.

Quindi quello che segue il resoconto, il diario, leffemeride per gli amici lontani di una lunga contemplazione dellacqua. Si diceva una volta che un fiume racconta. E a pensarci non c niente di pi simile a un fiume che un racconto, forse da l che nata lidea.

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3 maggio, domenica
Una bella giornata, nuvole ancora verso il mare, ma poca cosa, stracci. Scendo di gran carriera col sole in fronte, nessuno in giro. Passato il ponte di ieri in corso il miracolo dellincontro dellacqua e del sole. Forse per questo mi appare subito sereno e temperato, anche se stavolta le piogge hanno inciso forte sul volume dellacqua che raddoppiata quasi. Mi ritrovo sotto gli occhi un fiume verde e corpulento, e la parola mi piace perch dice pure il modo della corrente, come se il nuovo carico lavesse liberato dalle tendenze sia alla severit che allindisponenza, sue caratteristiche preferite almeno fino adesso. Non detto che uno con una forza corposa non possa essere sereno e accessibile, anzi, le statue dei saggi orientali le fanno pancione proprio per questo, per centrare lidea di una forza tranquilla che viene dal ventre. La schiera di sassi affioranti che ieri lo agitava un pochettino ora sparita, si va via s decisi e stretti insieme, ma io continuo a vederci qualcosa che come se lo frenasse o meglio lo calmasse da sotto, non come una remora o un pensiero, piuttosto il dettame di unindole, una norma

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naturale dinamica. E poi sulla superficie lacqua, che rispetto a ieri pi scura e meno trasparente si frantuma, arricchisce e ammorbidisce nel convegno coi raggi del sole, e si creano di continuo arcobaleni sghembi a zigzag, flabelli damascati come posso dire, e onde quasi solo riconoscibili dallombra, vale a dire esistono perch fanno ombra, come i viventi dopotutto. In un punto si creano di continuo due cuori, dorati o placcati, scompaiono e riappaiono. Una foglia risale la corrente, ce la fa per un bel po, poi viene risucchiata e convinta che non si fa, non si pu far tutto. Poi stamattina la voce rauca ma composta, come uno che ha sempre faticato ma sempre ritrova la forza, come dicevano una volta di chi lavora la terra che la forza gli torna nel sangue la notte. In questo tratto la variet dei giochi dacqua sul serio indescrivibile, comunque ci provo per esempi. Come linsistere a tamburo su una pietra che deve esser stata scelta da tempo, difatti concava e ben lavorata, prima o poi la bucher, per adesso ci gira dentro come su un ottovolante e quando risputata fuori torna indietro, per rimettersi in fila perch non gli basta mai. O le cadute, ce ne sono centinaia di tipi, i salti raggiungono a fatica il metro e mezzo

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eppure lacqua si esalta nella ricchezza di stili per ribadire il concetto base, vale a dire uno zompo pu servire per prendere tempo, costruire nuove forme e alleanze, distribuire il maltolto di rami e di terra, in una parola rallentare. Si pu ciufolare un cornecchio ai lati di un masso, distribuirsi a pancia in gi sul muschio, innervarsi come un cavallo marino intermittente, svilirsi in nervature che scattano come molle a ogni fistula che passa, prendere piega in un getto unico al centro che come una fissazione svagata. Scrivo queste cose con calma dopotutto, forse perch da nessuna parte come qui ci si sente in fondo a una valle, strano perch le montagne superano appena i mille metri ma si cammina come in preda a una protezione mentale, ci si sente liberi di vagare. Dopo mezzo chilometro entra nel lago di Bomba, imponente questa la prima impressione, dovrebbe esser lungo sette chilometri. un idea di fine anni Cinquanta, accolta con entusiasmo da parte delle popolazioni perch dava lavoro, per convincere gli amministratori ci hanno lavorato anche gratis e alcuni sono morti. Prende il nome dal paesone che sta molto sopra e lenergia credo sia convogliata a Roma.

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Il modo di entrare fatto come un vaso etrusco, poco prima c una piscinetta cos ben ritagliata che pare opera un architetto in vena di scherzi, ci fa la figura di una specie di manico. Su tutto incombe e ammonisce lenorme pietra di Pietraferrazzana, il paese ci costruito intorno come a un totem, ultimo lembo della Maiella scagliato fin qui. E lui arriva alla strettoia con freschezza, s accomodato nella via ancora di pi, un bel fiume grosso a petto in fuori, s lasciato alle spalle gli ultimi carpini e allori, da adesso in poi tutto allaria. Allimbocco si divide solo per circondare unisoletta, si biforca e si gonfia come un polmone, tituba che onomatopeico ed il suo suono di adesso. Cala man mano il volume nellansa, ma non si precipita per niente nel silenzio allagato, come se si premunisse, ha imparato dai torrenti. Che brilla per insolvenza lo suggerisce come i raggi di sole si intorcinano nei flussi che stanno l a dirimersi e spandersi, ci mettono tutta lintensit per spampanarsi, si inventa a questo punto quasi una foce a delta, se non rimandare questo

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Proprio allentrata nellacqua c una fila di petali, uno solo gira su se stesso a folle come uno svitato, facendo una pausa sempre sullo stesso punto, da l si capisce che uno svitato, dalla pausa.

Potrebbe essere bello, non c neanche tanta mondezza, eppure non so perch ma si respira unaria di degrado. Sulle cartoline sembra un lago molto bello, quasi alpino, ma se quello pi su a Barrea aveva una naturalezza di secondo

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grado qui forse siamo al terzo o al quarto, non so come dire, o forse stiamo solo scendendo e sale il livello di confusione e antropizzazione. Comunque non mi pare vero di camminare libero nel fango, resta un vago ricordo dei profumi fruttati quando arriva lombra, il lago di Bomba brilla nel mattino come una moneta doro, solo allombra si capisce quant usata. Anche se questa pur sempre lacqua del fiume mi sto prendendo una pausa osservativa e interpretativa, non posso fare altro e allora va bene cos, che sia forzata conta poco, non c di meglio che navigare a vista. Suona la campanella della chiesa di Pietraferrazzana, arriva fin qui pure se non c vento, non deve fare altro che buttarsi di sotto. Lacqua entrata ormai nel grande silenzio, di lei non si pu dire niente. E poi questa epoca di passo, pi in l nel mezzo stazionano bande di uccelli, aironi cinerini e tuffetti impegnati, soprattutto questi ultimi in voli radenti di pesca che lasciano sullacqua una striscia furba come un elastico. Dicono che sia profondo sui 60 metri, vuol dire che qui la valle affondava un bel po quando era solo il fiume a passare. Forse la corrente principale rimasta in zona l dove

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sempre passata, s nascosta sul fondo per mantenersi coerente, ma queste sono solo illazioni. C una vena azzurra nel verde, non oso dire perch. C una specie di saziet nel lago che non mi piace tanto, un lago un deserto descrittivo, ci si sente come incagliati e allora si cerca di strattonare con le immaginazioni. Per esempio mi ricordo che il primo viaggio che ho fatto in vita mia era nel deserto africano e forse aveva un po la stessa spinta di questo, ero un ragazzino, solo che allora cercavo di perdermi nel deserto del Sahara, anche tremendo quando ci ho vagato dentro da solo per una notte intera, mentre ora voglio concentrarmi su un piccolo fiume e descrivere. L al massimo mi appuntavo le poesie. Torniamo a Bomba!, viene da Silvio Spaventa che nato qui. Le onde che mi bagnano le scarpe fanno un rumore come un applauso partito nel momento sbagliato e subito frenato con vergogna. Salendo un po pi su a riva, a un certo punto si intravede una secca che come unombra nel turchese dellacqua, potrebbe essere indizio del passaggio di una corrente, difatti poco oltre c un movimento come un fascio di luce stroboscopica.

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Ho letto che qui intorno stanno facendo rilevazioni petrolifere, si dice in giro che c il petrolio e questa potrebbe essere la fase finale, la fine anche della cartolina. Ci dovremmo abituare a violenze incredibili nei trentanni che mancano per la fine del petrolio, ora si sono pure inventati la teoria della decrescita che a me fa pensare a una cura per diventare calvi che difatti oggi va molto di moda, non mi piace nemmeno la parola, tanto vale decrescenza. Sar lumore ma io non ci credo a una fine vicina, anzi, credo che si prepari un periodo invivibile lunghissimo, bisogner dimenticare sempre di pi. Se si muove laria un lago brizzolato, non basta a farne un fascino per. La diga in argilla battuta, lalto terrazzamento rivestito nella parte esterna da ciottoli. Sopra c una strada di servizio che lo percorre tutto sulla quale severamente vietato andare, io invece salto il muretto e mi inoltro, ho il sacrosanto dovere di vedere meglio. Infatti ho fatto bene, al centro per prima cosa si nota una scia di boe bianche in formazione spaiata, quasi una costellazione delle Boe sulla volta del gran bacino, poi ecco un

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flusso evidente che si dirige allostacolo, soprattutto i muschi rossi dicono la via del fiume. Ci risiamo, mi sono rimesso in contatto, distinguo la livrea sdrucita che fa mentre savvicina, il suo cammino deputato, la voglia, anche se indistinto si scorge il movimento, il respiro, persistente e contingente che stanno sotto la falsa tranquillit, e davvero mi sembra di aver smesso di annoiarmi.

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Questo faccio a tempo a scrivere, mentre dalla postazione Acea una macchina che parte per venirmi a scovare. Una passeggiata, gli ho detto sorridendo al tizio addetto allimpianto, che facevo una passeggiata, prima ho nascosto il taccuino, anche se poco credibile mi sono allontanato e sono uscito fuori. Ci avevo dato unocchiata prima, alluscita dal fiume, una cinquantina di metri pi sotto. Il terrazzamento esterno lhanno fatto elegante e in basso ci sono coltivazioni rigogliose, ma per luscita del fiume la mano delluomo stata pesante. C il reticolato di un argine dritto a ridosso dei monti e il fiume che esce ha cambiato colore, una specie di pozza nivea e scialba, bassa e afona che sallontana per duecento metri o pi. Non lo riconosco quasi, mi guardo intorno, molto sopra c laddetto Acea a controllare forse che non metta una bomba. Ho fretta di sparire, anche il fiume non ha senso in questo sciacquetto inerte, qui non pare normale che non saffretti a rituffarsi nella valle, a scendere svilito. Si d le spinte da solo come un verme o un adulto sulla bici da bimbo. Entra nel folto che quasi stordito, come se avesse subito un interrogatorio durato anni. Potrebbe sembrare un nuovo

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inizio invece una rinascita impossibile, ci si pu rialzare solo dalla terra su cui si caduti, mai in unaltra. In fondo lemissario di se stesso. Balla quasi allinizio quando finisce largine e ricomincia a tribolare, vale a dire a orientarsi. C un momento sotto i faggi che fa come un recinto per gli allenamenti, le acque che arrivano esangui si ritrovano e si fanno forza, difatti subito dopo prendono un drizzone finto solerte, una consuetudine lenta e allungata come se si stirasse. Lasciatemi ammirare qualcosa che non ha inquadrature fisse. Qui c unisoletta nel mezzo, di sabbia rosa con un masso sopra che sembra un trono e una fila di altri sassi per arrivarci, ci si pu sedere e farci caso, qui il tempo non perso. Mi sembra di essere uscito io da una secca. Certo non ha inquadrature fisse un fiume come questo, anche quando continua lesodo incerto, il letto svicola in sei o sette metri, mezzo metro dacqua o anche meno. Pure lei lacqua cambiata, verdognola e terrosa ma forse non basta a spiegare, in certi punti si mimetizza dietro alle pietre grigie. Ha subito un processo, non c niente da fare, si sta rimettendo in piedi nascosto nel bosco come un animale ferito, soprattutto direi durante la fuga dallinvaso. Qui non c

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qualcosa che ti rimette subito in gioco, la festa e gli schiaffi delle rocce, il pendio sdirupato, qui bisogna fare i conti con la normalit, reagire alla rigidit che thanno imposto. Un masso fatto come una stregola per il bucato, un ramo di faggio pulito e messo per lungo al centro, ma pure dei piccoli salti di dieci centimetri sotto i quali tornare allebbrezza di essere un movimento, unintera attivit dinamica, o dei circhi di terra ai lati dove riprovare i gorghi come fossero invenzioni epocali. Ce ne sono a centinaia di punti dove lacqua prova a tornare alla normalit fatta allo stesso tempo da leggi fisiche e dal niente, si sperpera nellutilizzo e nella vaghezza, non ci capisce niente, senza dannarsi per carit si affastella e sincolla tenace, gi cominciano a vedersi gli effetti di invisibili turbine sul fondo. Veramente cos poco il suono che in certi momenti come un sembrare di esserci non so dire meglio, se non fosse per lo stomaco che borbotta e sovrasta questa scorrettezza frastagliata, discontinua che pare laspetto essenziale del carattere liquido. Qui il fiume fa venire in mente che le cose sono sempre o meglio o peggio di come ce le aspettiamo, mai uguali. Un fiume un dazebao contro la rigidit dei comportamenti, i comportamenti stagni.

Parlamenti e Mormorazioni

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Conversazione fra Paolo Morelli e Andrea Cortellessa
Non un giovanotto di primo pelo, Paolo Morelli, ma solo col suo ultimo libro, Il trasloco (uscito da nottetempo lanno scorso), che ci si accorti del suo formidabile talento

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digressivo. Su Alias Daniele Giglioli lha definito una catena di effetti senza cause, e di mezzi senza fini. Lestratto da Sangritudine, per, ci fa conoscere un Morelli diverso. Anche se la sua resta una prosa a vista, senza inquadrature fisse, rispetto al delirio del Trasloco qui fa sua una maggiore linearit. Lo dici tu stesso: si diceva una volta che un fiume racconta. E a pensarci non c niente di pi simile a un fiume che un racconto. Sostieni che lespressione tornare a Bomba, per dire che da una digressione si rifluisce nel letto di un discorso, avrebbe avuto origine proprio da quelle parti (anche se per altri bomba era lequivalente di tana in giochi tipo nascondino). Tu sei un prosatore che in genere non racconta, o decostruisce lidea di racconto. Il fiume cosa ti ha ispirato? Gli abitanti di Bomba non hanno dubbi comunque durante la scrittura mi sono reso conto che serano sposati il mio partito preso di essere esclusivamente descrittivo e il moto naturale della mente che, dicono gli scienziati, ha sempre forma digressiva. Uno dei pochi precedenti che mi vengono in mente quello di Leonardo da Vinci

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Questo esperimento ha avuto leffetto di sciogliere unaltra cosa che provavo a scrivere da nove anni senza riuscire ad andare avanti. Mi piace laccostamento a Leonardo perch quel che voglio fare sempre, quando scrivo, riprodurre il nostro modo di pensare. Diceva Einstein che malgrado tutti gli sviluppi della tecnologia il nostro modo di pensare restato identico. Credo inoltre che al 99% sia identico fra tutti noi. Non credo che la mia mente si muova diversamente da quella di Maurizio Gasparri, per dire. Unaltra definizione di Giglioli quella di mormorazione. Mormorare nella nostra memoria rinvia a un altro fiume, il Piave; ma Daniele allude alla linea orale dei seminari Viva Voce, nei primi anni Novanta, e agli scrittori della rivista Il Semplice. Che per a parte te (e Mario Valentini) sono tutti emiliani. Tu come li hai incrociati? Attraverso Gianni Celati ovviamente. Lho incontrato nel 93, e per me stata una rivelazione. Mi ha fatto capire che la prima cosa da fare era togliere autorit allautore. Lossessione per lio degli scrittori segno di una mentalit da funzionari: del ministero dellInterno, cio dellInteriorit. I libri sono veicoli dellautorit di chi li scrive, moltiplicatori del loro Ego. Purtroppo anche quella delloralit s col

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tempo spesso irrigidita in una postura, un alibi della sciattezza; quello che era un modo di rivitalizzare la narrazione rischia di diventare la sua tomba. Nei momenti di crisi le province si chiudono in loro stesse, stavolta mi sa che hanno buttato la chiave. Ma c tuttora gran bisogno di quel tipo di ricerca. Infatti sto cercando di riproporla a Roma coi Parlamenti: persone che si riuniscono e leggono testi a voce alta. Vocalit significa ascolto, prima che scrittura; allascolto la maggior parte delle narrazioni suonano afone, o stucchevoli falsetti. Leducazione dellorecchio viene prima di tutto, diceva Stevenson. Torna al men

JOHN ADAMS, PERSONA DA ROMANZO

John Adams

Hallelujah Junction Autobiografia di un compositore americano


traduzione di Anna Lovisolo, EDT, pp. X-311, 18,00

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Guido Barbieri
Immagina di dover partire per gli Stati Uniti, destinazione New England, dove abitano certi parenti, emigrati tanto tempo fa, che non vedi da una vita. Il pi giovane dei tuoi cugini, che parla solo inglese, studia musica allUniversit e una settimana prima della partenza ti scrive unemail: Mi hanno detto che l da voi, in Europa, usate due espressioni che non riesco a capire: una musica colta, laltra musica popolare. Mi spieghi, per favore che cosa vogliono dire? Anzi, gi che ci sei, metti in valigia un po di dischi, cos capisco meglio. Tu sorridi, tra te e te, e pensi: I soliti americani. Per la famiglia sacra e allora, prima di andare

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allaeroporto, prepari, per il cugino, due valige diverse: nella prima ci metti dentro lArte della Fuga di Bach, il Requiem di Mozart, la Quarta di Brahms, i Quartetti di Bartk e Pelleas et Mlisande. Nella seconda, invece, una registrazione dei canti policorali della Confraternita di Noto, un disco coi canti dei carrettieri di Partinico (pu essere che tu sia siciliano, alla lontana), ma anche le mondine di Bentivoglio, i Maggianti di Scansano, e fronne e limone di San Giorgio a Cremano Facile, no? Nessun dubbio, tutto chiaro, una divisione rigorosa. Il cugino universitario finalmente capir Infatti il cugino, che tanto rozzo non , capisce, ma per ringraziarti ti porta a fare un giro per la citt, la sua, alla quale possiamo dare il nome (del tutto casuale) di East Concord, New England, appunto. Adesso facciamo un gioco minaccia il cugino, con laria un po troppo sicura di s: entri al Capitol Center of the Arts dove un quartetto darchi suona Haydn. La risposta scontata: classic music, obviously!. Poi vai alla Concord Christian Academy dove un coro polifonico sta provando i pezzi per la messa di Pasqua. E tu ripeti, trionfante, classic music, again. No risponde piccato il cugino questa, per noi, popular music. Non afferri fino in fondo, ma taci. Mezzora dopo sei sotto le volte della St.

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Paul Within-the Wallss Church dove un organista sta improvvisando un canone a due voci su un soggetto che ti sembra di riconoscere. Esiti: Anche questa per noi popular music sussurra il cugino without any doubt. Alla fine della giornata guardi le due valigie portate dallEuropa, cerchi di infilarci le cose hai appena ascoltato, ma ti accorgi che non sai pi dove mettere cosa: le tue sicurezze si sono sbriciolate al sole freddo del New England Il cugino, al quale attribuiamo dufficio il nome di John, si impietosisce e prova con calma a spiegarti: Vedi, qui da noi, da almeno un paio di secoli, quella che voi chiamate musica popolare la musica che nasce dalla nostra terra, la musica americana, tutta la musica indigena: i canti religiosi, le orchestre sinfoniche che suonano nel Giorno del Ringraziamento, la musica dorgano nelle chiese evangeliche, il jazz, il blues, il country, il godspell, i canti dei nativi indiani Quella che voi chiamate musica colta e noi classic music solo quella che viene da outside, da lontano, da fuori, dalla vostra Europa. Hai capito?. Noi, grosso modo, abbiamo capito, almeno da quando ce lo ha spiegato, tanti anni fa, Gianfranco Vinay in un libro prezioso dedicato a Charles Ives. Per la lezione dobbiamo continuare a ripassarla, soprattutto se ci capitano sotto gli

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occhi libri come questo, magari meno preziosi, ma pieni di domande irrisolte e di possibili equivoci: Hallelujah Junction. Autobiografia di un compositore americano, come recita il sottotitolo della edizione italiana (Composing an American Life, dice in modo pi sottile, anche se difficilmente traducibile, il sottotitolo della edizione originale). Si tratta dellambizioso, sfrontato, eccessivo, egotico, debordante monumento a se stesso eretto, in duecentonovantatre pagine colme fino allorlo, da John Adams, collezionista di record statistici e di superlativi assoluti: il pi grande compositore americano vivente, il detentore del maggior numero di google entries tra i musicisti colti, ospite regolare del David Lettermann Show, lunico tra i moderni che il severissimo Anthony Tommasini, critico ufficiale del New York Times, ammette nel pantheon dei classici, e infine colui che Alex Ross, lautore dellormai classico Il resto rumore, definisce, con il consueto acido pragmatismo: Uno dei pochissimi compositori americani capaci di ricavare dalle commissioni e dai diritti dautore un considerevole profitto. Che pur sempre un onesto metro di valutazione Il successo planetario, da vera e propria icona pop, raggiunto da John Adams provoca ancora oggi, sotto le cupole carbonare della musique savante europea, strizzatine di

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spalle, sopracciglia inarcate, sorrisini di superiorit. Nonch le relative accuse di tardo minimalismo, eclettismo postmoderno, dipendenza cronica dalla droga dello showbiz. proprio per questo che la distinzione tutta americana e assai poco europea tra classic music e popular music uno strumento concettuale prezioso per decifrare non soltanto lautore di Nixon in China, The Death of Klinghoffer e On the Transmigration of Souls, ma anche questo strambo esercizio autobiografico, apparentemente intempestivo, non necessario n indispensabile. Halleluja Junction, che anche il titolo di un pezzo cult di Adams, non , infatti, una classica autobiografia di stampo europeo: non un diario intellettuale, una raccolta di idee, di pensieri, di riflessioni, di analisi coerenti e organizzate. Il racconto di Adams assomiglia, piuttosto, a uno di quei romanzi di persone, come vengono definiti da qualche tempo, i cui protagonisti sono uomini e donne autentici, le cui vite rappresentano, per diverse ragioni, un modello, un esempio o una semplice tessera di mosaici ben pi complessi. Un genere letterario non a caso ambiguo, anfibio, sempre sospeso tra la cronaca e la narrazione, tra la ricostruzione storica e il diario privato. Questa tecnica narrativa il cugino John (che a East Concord ci cresciuto davvero) la applica, con insospettabile

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abilit per leconomia del racconto, a una persona che conosce assai bene, ossia a se stesso E confeziona un prodotto sfrenatamente eclettico, anche se stilisticamente assai controllato, che in alcune pagine assomiglia a un racconto provinciale di Philip Roth, in altre a una recensione del Concord Chronicle, in altre ancora a una acerba dissertazione universitaria e molto spesso a un indulgente, affettuoso esercizio di memoria privata. Unautobiografia molto popular e per niente classic, insomma, che obbligatorio leggere dondolandosi su una sedia di paglia, sotto il portico di legno bianco di una casetta coloniale, con una bottiglia di whiskey posata sul davanzale della finestra e possibilmente ascoltando in sottofondo i Three Places in New England di pap Charles Ives. Dentro quella terra straordinariamente fertile, dove il confine tra classic e popular non esisteva pi, le radici di Hallelujah Junction erano gi state piantate. Esattamente un secolo fa. Torna al men

IL CINEMA CHE NON SI VEDE

Carmelo Bene

Contro il cinema
a cura di Emiliano Morreale, minimum fax, pp. 196, 15,00

IL CINEMA CHE NON SI VEDE


Stefano Gallerani
Una parentesi eroica. Cos Carmelo Bene defin il suo periodo cinematografico: cinque film in cinque anni pi due mediometraggi dacclimatamento dal 68 al 73. Il tutto cominciato, se si esclude Ventriloquio (tratto dall Rebours di Huysmans), nellacquartieramento della stanza 805 dellhotel Hermitage, a Roma: qui lallora trentenne attore salentino si sprangava in un delirio di rose e lenzuola che si concludeva con questa battuta: Basta con chi mi vuole bene. Coerentemente, non molto e intraprender lavventura di Nostra Signora dei Turchi, emanazione filmica di un progetto-monstre che gi contava un omonimo letterario e uno teatrale. il suo Sessantotto il suo anti-Sessantotto

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che in autunno investe la laguna veneziana. Alla Mostra del cinema, questo lungometraggio costato poco pi di due milioni di lire e che in origine durava due ore e mezza rappresenta lItalia a scapito di Pasolini (Teorema), Nelo Risi (Diario di una schizofrenica), Cavani (Galileo) e Bertolucci (Partner). Dalla parodia della vita interiore che si intravvedeva, senza con ci esaurirne le potenzialit espressive, nel romanzo pubblicato due anni prima da Sugar, si passa alla sconfessione del mezzo (di qualsiasi mezzo), dellespressione e della rappresentazione: in ultimo, dellimmagine. E se lo spettatore teatrale aveva dovuto indovinare lo spettro dattore che saggirava dietro uno schermo trasparente nella prima edizione dello spettacolo allestito al Beat 72, il pubblico delle (poche) sale dove viene proiettata la pellicola sar investito dai campi lunghi e dai primissimi piani di un Sud del Sud dei Santi, tra ville moresche e bugigattoli. Resta memorabile la sequenza del frate e del novizio interpretati simultaneamente da C. B. che discettano di massimi sistemi alle prese con le pentole e i coltelli di un arrangiato refettorio. Da qui in avanti, seguono Capricci, il film pi estremo, e Don Giovanni, il pi severo; Salom, il pi visionario, e Un Amleto di meno, entracte allincursione televisiva di Bene,

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inaugurata con un adattamento di questo stesso canovaccio da Shakespeare-Laforgue e la celebre lettura di Majakovskij, Blok, Esenin e Pasternak (Quattro diversi modi di morire in versi). E seguono altre sequenze apicali: il pittore che vuole la modella uguale al quadro che sta dipingendo (Capricci), la citazione borgesiana sullinanit speculare della copula (Don Giovanni) e lautocrocifissione mancata del Cristo, che non ha pi mani per inchiodarsi (Salom). Ma chiunque abbia fatto conoscenza del cinema di Carmelo Bene potrebbe sceglierne altrettante: da parte mia, aggiungerei lintero Don Giovanni o il protagonista di Nostra Signora che si suicida ripetutamente gettandosi, la Buster Keaton, da un balcone fiorito; un improbabile Davoli senior che arringa le folle di Galilea con indosso la maglia azzurra della nazionale al grido di Avanti popolo, a riscuotere! o la partita a carte tra i due vecchi che in Capricci impersonano Arden e Franklin come nellanonimo elisabettiano Arden of Feversham, che del film beniano il palinsesto letterario biascicando il refrain: Non essere geloso, non domandarle mai se ella tami e quanto, ma, come se avessi fiducia in lei, prendi subito il tuo cavallo e vieni a Londra con me! Unico tradimento, nel quinquennio, alla fedelt assoluta per la pellicola (il teatro non riprender che nel 73,

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doppiato dagli esperimenti televisivi) il licenziamento di un libretto concepito sosterr poi Bene nelle premesse ai testi del volume di Opere per il quale si auto-antologizzer (Bompiani 1995) in tre notti deliranti, destinato a scortare la presenza della mia terza fatica filmica (Don Giovanni) al festival di Cannes e di Venezia (70) dal momento che lassociazione produttori cinematografici italiani sera (in)credibilmente premurata di distribuire (69) sulla Croisette un giornalaccio intieramente imbrattato di insolenze indecenti e ignorantissime sulla mia persona; libretto, Lorecchio mancante (Feltrinelli 1970), in cui difficile resistere alla lettura della berlina che espone il cinemazzo italico dautore allo stato progettuale, clto nel tentativo di cavare, in vero e proprio idiolettaccio, un qualunque film popolare dalla Signorina Felicita, di Gozzano; a tal fine imbastendo sceneggiature su sceneggiature o scemeggiature, come Bene le ha sempre considerate sostituendo il termine, per quanto lo riguardava, con un pi onesto e ambiguo scenario o, meglio, stendendo soggettini e scalette e sottotitoli provvisori per lasciare che il regista occulto (C.B.) si facesse infine intuire nei versi del poeta noto (G.G.): Ora non voglio pi essere io! / Non pi lesteta gelido, il sofista, / ma vivere nel tuo borgo natio, / ma tendere alla piccola conquista /

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mercanteggiando placido, in oblio / come tuo padre, come il farmacista / Ed io non voglio pi essere io! Pure, scrta dellintero suo cinema sono anche le interviste rilasciate in quel periodo e raccolte col titolo-manifesto Contro il cinema da Emiliano Morreale per minimum fax che ha allestito una copertina rosa e nera quale omaggio a chi, in quei colori, viveva immerso come in un bagno dacido (la camera da letto drappeggiata del primo e la biblioteca foderata del secondo, in quel di Via Aventina). A queste conversazioni, che furoreggiano su assiomi, idiosincrasie e aspetti tecnici, il curatore ha aggiunto quelle rese anche trenta anni dopo e che hanno comunque sebbene si intrattengano, piuttosto, sulla televisione il medesimo oggetto (limmagine e il nulla). Ma gi si avverte, nellindistinta ripetizione dei concetti, una distanza siderale dalleroismo dallora; distanza che forse si deve a quanto, Bene convenendovi, Goffredo Fofi scrisse di questa parentesi cinematografica: ovvero che se nel teatro il magistero beniano ha offerto il destro a qualche equivoco mondano, nel cinema proprio no; questo, e sono parole di Bene, rimane proibitivo. Intollerabile. Anche per me. Protratto fino al fallimento economico e alla rovina fisica; connotato, insomma, da un radicalismo su cui hanno chiosato in molti (valgano le

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pagine che gli dedica Gilles Deleuze nel suo secondo compendio della settima arte, ovvero Limmagine-tempo) ma che arduo ridurre a schemi concettuali che non replichino un benismo di riporto (rischio eluso da Morreale nelle pagine introduttive della raccolta). Un tentativo si potr fare, se del caso, collazionando frasi dello stesso Bene, ma spiccate dai dialoghi in presa diretta, quelli risalenti agli anni eroici, pi che dai successivi. Questultimi sono spesso concertati a tal punto con linterlocutore privilegiato (poniamo, un Maurizio Grande) da ridurre lintervista a mero stilema retorico formula peraltro prediletta da C. B. negli ultimi anni di attivit, quando arriver a dare, di s, niente meno che delle auto-interviste o a scrivere, in questa foggia e con la complicit di Giancarlo Dotto, la propria autobiografia (Vita di Carmelo Bene, negativo di quel positivo che era stato, nel 1983, Sono apparso alla Madonna). E dunque: Linquadratura qualcosa di biologico, naturale. Riceve ci che si trova al suo interno. Cerca di non soffocarlo, n di essiccarlo; Tutto falso. Nei miei film non si deve credere ai personaggi, non si deve credere a nulla; Bisogna fare un cinema che non sia stupido, e non fare un cinema intelligente. O ancora: Quando un film racconta una storia, gi sottotitolato, capisce? Voler

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raccontare una storia a ogni costo ridicolo. Ci che bisogna fare oggi al cinema epurare, sopprimendo questa ridondanza a livello di immagine e di suono; Le immagini sono diventate simboli, un ciclo di concetti e, invece di essere delle visioni acquisite dallo spettatore, non sono altro che uno scambio consenziente di significati. Tutto ci orrendo e pericoloso. Lintero cinema diventa un coacervo di segni sempre definiti e immobili, mai aperti. E qui ci si pu anche arrestare, ch tanto basta per entrare nella pazzia metodica di unopera cui soccorre, a mo di epitome, di nuovo una sequenza: quella finale di Salom, quando la pelle si solleva e il colore, neutro chiassoso e indefinibile, acceca e slabbra ogni contorno, tacitando cos il terzo incomodo per eccellenza (un indistinto, qualsiasi spettatore-interprete): quel mestierante di idee il quale, per dirla con Giacomo Debenedetti, protesta di volerci vedere chiaro e si dimentica che, in fatto di cinema, la luce deve venire dallo schermo prima ancora che dai commentatori. Torna al men

CELATI, VIA COL VENTO

Gianni Celati

Cinema allaperto Tre documentari e un libro


Fandango, tre dvd e un libro di 127 pp., 25,00

Gianni Celati

Conversazioni del vento volatore


Quodlibet, pp. 180, 14,00

CELATI, VIA COL VENTO


Fabiana Proietti
Quello di Gianni Celati davvero un cinema naturale (cos sintitola un suo libro di racconti del 2001): non tanto, o non solo, perch abbraccia lidea zavattiniana della qualsiasit, facendo di ogni luogo un possibile punto di partenza narrativo, ma soprattutto perch lo scrittore si accosta allimmagine con lo stesso slancio emotivo e antiprofessionale ammirato negli studi sui racconti orali del ghetto del linguista William Labov, inseguendo quello sguardo non impostato, che abbandoni la retorica da addetti ai lavori, di cui d

CELATI, VIA COL VENTO

conto nella fondamentale intervista del 2003 con Sarah Hill (pubblicata gi nel 2008 allinterno del numero monografico su Celati della rivista Riga, a cura di Marco Belpoliti e Marco Sironi). Proprio il rifiuto di una scolarizzazione del pensiero sollevata a suo tempo nella novella I lettori di libri sono sempre pi falsi ora al centro delle due recenti e speculari pubblicazioni sullopera di Celati. Il cofanetto Fandango, che racchiude i documentari Strada provinciale delle anime, Il mondo di Luigi Ghirri e Case sparseVisioni di case che crollano, e il volume di interviste e dialoghi Conversazioni del vento volatore, edito nella Compagnia Extra Quodlibet, dialogano a distanza sullirriducibile attrazione di Celati per i pezzi di roba sparsa che diventano letteratura e cinema, permettendo alla camera di vagare nello spazio e aprirsi allaccidentalit del mondo, seguendo una linea ideologica ed estetica che da Zavattini e Rossellini si estende fino ad Antonioni e Wenders. Una discendenza attestata dagli scritti riportati in Documentari imprevedibili come i sogni, il volumetto curato da Nunzia Palmieri che accompagna il cofanetto Fandango e che guida alla visione del trittico ispirato dalla figura e dallopera del sodale Luigi Ghirri, le cui ricerche

CELATI, VIA COL VENTO

fotografiche incidono sullo sguardo del Celati regista tanto da farne un corrispettivo di quella corriera blu che in Strada provinciale delle anime attraversa il paesaggio della pianura padana: oggetto estraneo che, riassumendo in s i frammenti ripresi, utilizza le immagini innanzitutto come ricerca sul soggetto della visione sulla scorta di quanto affermava Alberto Giacometti: Io disegno per capire cosa vedo. Cos, seguendo lesempio di alcune fotografie di Ghirri, del loro mettere in campo il soggetto della visione, i documentari di Celati non espungono niente dal racconto, n laffacciarsi delloperatore n i fuori programma che costituiscono anzi il fulcro delloperazione documentaristica, ossia laprirsi allimprevedibilit, laddove la condizione-limite del cinema di finzione sta piuttosto nellirrinunciabilit dellartificio, nel pieno controllo sul materiale. I tre viaggi allinterno del paesaggio padano, carico di intime risonanze autobiografiche, in un equivalente filmico dei racconti che componevano Verso la foce, sono essi stessi una strada provinciale delle anime: come quella via un tempo funzionale, diretta comera verso un piccolo cimitero di campagna, e poi chiusa, perci inutilizzabile, rigettano il fine narrativo in favore di unesperienza percettiva

CELATI, VIA COL VENTO

totalmente libera, che fa osservare a Ghiri: Perch certuni vanno in viaggio e guardano solo quello che gli hanno detto di guardare altrimenti si sentono persi. Ma io mi chiedo: meglio sentirsi persi o guardare solo quello che ti hanno detto di guardare?.

Eden, opera 17. Mimmo Jodice.

Domanda che richiama una distinzione tra attesa e aspettativa centrale per il lavoro di Celati sulle immagini: vi si ritrova infatti il primato dellavvenimento sulla trama enunciato da Bazin circa il cinema neorealista e lo scarto

CELATI, VIA COL VENTO

fondamentale tra limmagine-azione del cinema spettacolare classico, che vive di finalit e perci di aspettative, e lattesa dellimmagine-tempo teorizzata da Deleuze, manifesta al Celati spettatore sin dallincontro con Antonioni ma soprattutto con Wenders. Lallontanamento dei due autori dalleccitazione meccanica del cinema di consumo si realizza soprattutto in questa mutata concezione del fattore temporale: e anche Celati nota Gianni Canova nel saggio Tempo della visione, tempo dellerosione, riportato nel capitolo Altri sguardi lavora sullimmagine cos. Cerca di captarne la durata, di materializzare il tempo che in essa (e in noi) lavora. Non sono le case che crollano il vero oggetto dello sguardo di Celati. il tempo in cui il crollo accade, che gli interessa. Ed il modo in cui limmagine pu far percepire anche a noi questo tempo/crollo. Scrivere e filmare sono per Celati modi di raccontare il consumarsi del tempo, di celebrarne linsostanziale, e il vuoto, lombra, lerba secca, le pietre dei muri che crollano e la polvere che respiriamo (Quattro novelle sulle apparenze). Quegli stessi elementi materici diventano poi protagonisti di Case sparse, dove le facciate in rovina sono tracce fisiche della lenta e inesorabile erosione temporale che

CELATI, VIA COL VENTO

commenta la voce narrante affidata al John Berger di Questione di sguardi viene percepita con sgomento dal mondo contemporaneo. Laffinit delle formulazioni delle Quattro novelle dell87 con le immagini girate nel 2002 palesa lapproccio gi intrinsecamente cinematografico di Celati al testo scritto, la pratica del dare lillusione di una narrazione mettendo insieme pezzi sparsi, applicando cos al racconto letterario il meccanismo del montaggio, che simula una continuit tramite un sapiente assemblaggio di frammenti sparsi. In attesa di vedere in sala quello che si pone allo stesso tempo come corollario ed espansione dei tre lavori realizzati tra 1991 e 2002 Diol Kadd. Vita, diari e riprese in un villaggio del Senegal (gi presentato allo scorso Festival Internazionale del Film di Roma) la riflessione sulla pratica documentaristica di Celati permette di recuperare le suggestioni dellesperienza letteraria: tanto gli scritti selezionati in Conversazioni del vento volatore dallautore che le immagini di Cinema allaperto rappresentano un fondamentale momento di sintesi di unattivit artistica vissuta allinsegna della fantasticazione, o della ventosit, per cui un libro o un film un vento che ti porta via, un vento volatore che investe

CELATI, VIA COL VENTO

le parole sparpagliandole in argomenti vari e le rigetta di nuovo nel mondo. Torna al men

FANTASMI DEI FATTI ED ESPERIENZE FRANTUMATE

Arturo Mazzarella

Politiche dellirrealt Scritture e visioni tra Gomorra e Abu Ghraib


Bollati Boringhieri, pp. 116, 11,00

FANTASMI DEI FATTI ED ESPERIENZE


FRANTUMATE
Pierluigi Pellini
Il nuovo libro di Arturo Mazzarella fa il contropelo a un luogo comune critico fra i pi accreditati nellultimo decennio: quello di un rinnovato interesse della letteratura per lattualit politico-sociale, economica, giudiziaria; insomma, di un ritorno alla realt, o perfino al realismo. Se altrove la crisi delle sperimentazioni (nuove avanguardie, postmodernismo) ha lasciato campo libero al cosiddetto global novel, di cui il mercato librario celebra i fasti standardizzati, in una cultura geneticamente intollerante al romanzo come la nostra (ultima variazione sul tema: A. Berardinelli,

FANTASMI DEI FATTI ED ESPERIENZE FRANTUMATE

Non incoraggiate il romanzo, Marsilio 2011) si assiste piuttosto alla voga del non fiction novel e della docufiction, che rifacendosi a modelli ormai canonici da Truman Capote al new journalism punta sullibridazione di cronaca e romanzo, nella riscrittura letteraria di eventi reali. Di questo filone, che ha in Gomorra lesito di maggior successo (e nelle indagini di Lucarelli il cascame televisivo), propone ora una documentata genealogia Stefania Ricciardi (Gli artifici della non-fiction. La messinscena narrativa in Albinati, Franchini, Veronesi, transeuropa 2011): non senza sottolinearne le tangenze con un altro sotto-genere, quello dellautofiction, o autobiografia (in parte) immaginaria da noi rappresentato, a livelli altissimi, soprattutto da Walter Siti. Con rigore filosofico, eleganza di scrittura e gusto della provocazione intellettuale, Mazzarella esordisce denunciando il profondo svilimento cui va incontro la scrittura letteraria quando sceglie per smania dattualit, o per ansia dimpegno di occultare la propria funzione creativa; di ripudiare le vertigini dellimmaginario per rincorrere la mera oggettivit del fatto: sempre irraggiungibile, del resto, come sanno Truman Capote, Leonardo Sciascia e James Ellroy. Perch realt e irrealt, fatti e proiezione fantasmatica, si aggrovigliano in una proliferazione dimmagini:

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riflessi della realt per Capote, fantasmi di fatti per Sciascia, trame estemporanee per Ellroy ipotesi interpretative fondate sullordine delle possibilit, e perci pi adatte a decifrare la complessit del reale; o spettri della mente, pronti a moltiplicarsi senza fine, condannando ogni evento a rimanere incompiuto; ma imprimendogli proprio per questo una dilatazione che ne amplia la portata. Conoscenza ipotetica, chiamata a fare economia delle prove lo ribadiva Pasolini, nel celeberrimo Romanzo delle stragi , la letteratura si rivolge, secondo Mazzarella, verso lalone fantasmatico che avvolge i fatti: significato e (possibile) verit per riprendere unimmagine di Cuore di tenebra non stanno allinterno del guscio come un gheriglio, ma al di fuori, nella spettrale luminescenza che ne sfrangia i contorni. C un frase di Antonin Artaud che condensa la tesi centrale, e lethos, di Poetiche dellirrealt: limmagine di un delitto pu apparire infinitamente pi terribile della realizzazione di quello stesso delitto. Il decisivo mutamento del rapporto tra la realt e la finzione che, moltiplicando gli occhi tecnologici dei media, ha sottratto a chi prende parte a un evento il monopolio della testimonianza non implica come vuole una lettura di Benjamin tanto vulgata quanto

FANTASMI DEI FATTI ED ESPERIENZE FRANTUMATE

imprecisa la fine tout court dellesperienza. Anzi, latrofia del testimone oculare si pu capovolgere in potenziamento dellordine percettivo. Fino a riscattare luniverso delle immagini da una secolare condanna (in proposito: W.J.T. Mitchel, Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale, :duepunti 2009); e produrre, in una longue dure che giunge ora a compimento, un modello di gran lunga pi sofisticato dellesperienza ordinaria: come in un film del 2007 di Brian De Palma, Redacted, dove protagonista non la guerra in Iraq, ma la sua rappresentazione attraverso una pluralit di media, la cui sovrapposizione finisce per generare i fatti. Davvero, levento coincide pienamente con la propria immagine. Senza per questo apparire anestetizzato: come sognavano, euforici, trentanni fa, i profeti postmoderni della de-realizzazione; e come ancora oggi temono, cupi, gli araldi di un ritorno al realismo. In Mazzarella questo il punto lapologia dellimmagine, del riflesso, del fantasma (come quella di illusione, favola e sogno, in un altro suo libro: La potenza del falso, Donzelli 2004), non tradisce condiscendenze con quellilare disimpegno che, agli occhi di certo italico provincialismo, il marchio dinfamia di ogni impresa di decostruzione. Se occorre richiamarsi a Derrida per

FANTASMI DEI FATTI ED ESPERIENZE FRANTUMATE

scalfire il mito del testimone eroe e vittima: custode di inconfutabili verit e feticcio dellet contemporanea, esemplarmente incarnato, oggi, dal Saviano pi mediatico non certo per sottrarsi alla realt, piuttosto per sondarne la trama impalabile. Come provano a fare Antonio Franchini nellAbusivo, o Nanni Balestrini in Sandokan: libri sulla camorra che mirano a dar conto, oltre la denuncia, di ingorghi conoscitivi e esperienze frantumate. Non si tratta, insomma, di sottoscrivere vacui vaticini sulla fine della storia o sulla dissoluzione della realt; al contrario, letteratura e cinema suggeriscono di sottrarre allirrealt il suo logoro statuto dinesistenza, per trasformarla in unincessante sequenza generativa di possibilit; di ammettere, cio, senza pregiudizi moralistici, che la finzione il perimetro entro il quale si snoda interamente la realt. Come mostra con lugubre evidenza ogni filmato di videoesecuzione evento concepito come recita della crudelt, che trova la sua stessa ragion dessere nel fatto di poter contare su un numero imprecisato di spettatori. O come risulta dallanalisi delle immagini scattate da soldati americani, in primis laspirante fotografa Sabrina Harman, nella prigione di Abu Ghraib: documento sconvolgente dellumiliazione delle vittime; ma anche sinistra

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messinscena teatrale, prodotto e infernale farmaco della paura alla quale rimangono sospesi i carnefici che, prima di ogni giusta condanna, pure nostra.

Eden, opera 45. Mimmo Jodice.

Tuttavia, quandanche la manipolazione dellimmagine diventi davvero lo spazio privilegiato di produzione della realt, legittimo chiedersi se non convenga invocare, con Susan Sontag (Davanti al dolore degli altri, Mondadori 2006), un pudore etico, a inibire lestetizzazione del dolore, a

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proteggere da sguardi indiscreti, o perfino morbosi, lestrema degradazione fisica tortura e assassinio; e se, radicalmente, in ogni rappresentazione non testimoniale della tortura non si annidi una sotterranea connivenza con il male, come invita a sospettare Coetzee nellallegoria di Aspettando i barbari (in proposito: L. Fiorella, Figure del male nella narrativa di J.M. Coetzee, Ets 2006). Mazzarella mostra scetticismo nei confronti di schemi concettuali ormai superati dal corso degli eventi; nondimeno denuncia il paralizzante nichilismo dei rituali di morte; e poi torna a vagliare ipotesi pi produttive di impiego dellimmagine: nei romanzi di Sebald e Houellebecq, come nei film di Herzog e Lynch. Esempi di un personale canone a prima vista eteroclito, accomunati dalla rappresentazione di un rilkiano Nirgends, spazio neutro nel quale le immagini perdono una precisa identit per offrirsi allarbitraria manipolazione. La ricerca identitaria del protagonista di Austerlitz si smarrisce fra ombre e fantasmi, nel cortocircuito solo apparentemente documentario fra il testo e le immagini: che sembrano chiamate a illustrare il passato, a dar forma al rimosso (la deportazione dei genitori), e invece

FANTASMI DEI FATTI ED ESPERIENZE FRANTUMATE

riconfigurano, nel raffinato illusionismo di Sebald, la dimensione straniante di una realt dilatata e fluida. Qualcosa di simile lekphrasis fotografica ha ormai una sua tradizione si pu segnalare nella recente autofiction impersonale di Annie Ernaux (Les Annes, 2008): dove il trauma quasi indolore della modernizzazione scandita da pubblicit e reminiscenze cinematografiche si sostituisce a quello indicibile della Shoah. Che un libro sulle Poetiche dellirrealt si concluda sullanalisi delluniverso labirintico di David Lynch, dove losmosi naturale di fatto e fantasma, in una vertiginosa trama di sdoppiamenti, raggiunge i suoi esiti pi virtuosistici, non pu stupire; ma sono le pagine, del tutto convincenti, sulla Possibilit di unisola a riassumere la proposta teorica del libro. Per Houellebecq, come per gli studiosi delle realt virtuali che danno prova di maggiore rigore metodologico, la virtualit non cancella la realt ordinaria, ma la scompone in un fascio di connessioni invisibili, capaci di instaurare illimitate connessioni fra loro. Gli scrittori che rinunciano a cercarle, assegnando alla narrazione i confini angusti del proprio campo ottico

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empirico, tradiscono secondo Mazzarella la pi autentica vocazione conoscitiva della rappresentazione letteraria. Torna al men

UN MANIFESTO DEL NUOVO TRIBALISMO DIGITALE

Frdric Martel

Mainstream Come si costruisce un successo planetario e si vince la guerra mondiale dei media
traduzione di Matteo Schianchi Feltrinelli, pp. 440, 22,00

UN MANIFESTO DEL NUOVO TRIBALISMO


DIGITALE
Carlo Formenti
Mainstream un termine difficile da tradurre. Letteralmente significa flusso (tendenza, corrente) principale (prevalente, maggioritario) e viene utilizzato per connotare lindustria culturale di massa la cultura popolare in opposizione alle culture di nicchia e/o alla produzione artistica. Tuttavia Martel, giornalista e docente della International Business School di Parigi, spende pi di quattrocento pagine per spiegare come queste contrapposizioni siano obsolete, e come il termine si possa ormai applicare a qualsiasi tipo di produzione culturale, senza residuare scarti n

UN MANIFESTO DEL NUOVO TRIBALISMO DIGITALE

alternative. Se si riesce a superare lirritazione per il plateale americanismo dellautore, per lempatia che esprime nei confronti dei boss dello show business globale (ne ha intervistati centinaia, nel corso di una ricerca durata cinque anni) e per il suo entusiasmo nei confronti della svolta anti-intellettualista della societ e della cultura postmoderne, la lettura di Mainstream stimolante e istruttiva.

Eden, opera 37. Mimmo Jodice.

UN MANIFESTO DEL NUOVO TRIBALISMO DIGITALE

Il libro si occupa di tutti settori della produzione culturale cinema, musica, letteratura, news, fumetti, videogiochi ecc. ma lanalisi pi interessante si riferisce allevoluzione del modello hollywoodiano (che funziona da paradigma nei confronti di tutti gli altri). Le major di Hollywood hanno anticipato di decenni la transizione dal fordismo al postfordismo. Fino al secondo dopoguerra, le case di produzione accentravano al proprio interno lintero ciclo produttivo, organizzato come una vera e propria catena di montaggio: dalla stesura dello script alla proiezione nelle sale; produttori, sceneggiatori, tecnici, registi e attori erano tutti stipendiati con contratti a lungo termine. Da quando le autorit antitrust ne smantellano le strutture verticali (a partire dal divieto di possedere catene di sale cinematografiche), le major avviano un radicale processo di ristrutturazione che le porta ad assumere lattuale modello a rete: dietro i marchi si nascondono societ finanziarie che delegano lintero ciclo produttivo a migliaia di aziende specializzate perlopi molto piccole nominalmente indipendenti, limitandosi a rastrellare i capitali necessari a finanziare i progetti, a dare semaforo verde per la loro realizzazione, nonch, ovviamente, a mantenere il controllo del copyright sul prodotto finale e i suoi derivati (lindotto di un film di

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successo gadget, videogiochi ecc. pesa pi degli incassi in sala). In questa situazione, parlare di cinema indipendente pura mistificazione: laggettivo pu valere se mai come etichetta estetica, a condizione di non dimenticare che, sul piano economico, il cosiddetto cinema indipendente non altro che un sottosettore che permette alle major di sperimentare nuovi generi e linguaggi senza assumere rischi. Questo modello, che si estende progressivamente agli altri comparti dellindustria culturale, rappresenta la base economica del trionfo della cultura mainstream nellultimo mezzo secolo. Trionfo che sancisce il tramonto di ogni possibile alternativa europea al dominio americano; non solo per limpossibilit di reggere il confronto sul piano delle disponibilit finanziarie e dellinnovazione tecnologica, ma anche per la perdita di centralit del ruolo dellintellettuale e del critico: la stampa mainstream non ama punti di vista netti, o impegnati, preferisce assecondare il gusto del lettore offrendogli informazioni, gossip, interviste, anteprime materiali che gli consentono di formarsi un giudizio senza ricorrere allexpertise degli addetti ai lavori. Il critico alleuropea gi oggetto di indifferenza e scherno in America, dove da sempre visto come un traditore dello

UN MANIFESTO DEL NUOVO TRIBALISMO DIGITALE

spirito popolare e democratico della nazione subisce ora lo stesso destino in unEuropa sedotta dai gusti doltreoceano. A radicalizzare ulteriormente tale tendenza contribuiscono i nuovi media: lutente di internet non sopporta di sentirsi dire che cosa bello o brutto, intelligente o stupido, divertente o noioso dai soloni della cultura, vuole elaborare autonomamente la propria opinione discutendo con i suoi compagni di trib on-line. Gi, le trib: non si era detto che il proliferare delle nicchie avrebbe messo in crisi la vecchia industria culturale, gi incalzata dalla pirateria digitale che ne minaccia i modelli di business? Niente paura, rassicura Martel: internet sulla buona strada per divenire a sua volta un medium mainstream. Dopo avere combattuto ferocemente la rete, le major del cinema e del disco si sono rese conto che consentire al pubblico di partecipare attivamente alla costruzione di un repertorio condiviso di miti e immaginari, attraverso pratiche di manipolazione e scambio dei prodotti industriali, un formidabile strumento di marketing, nonch unarma strategica per rafforzare ulteriormente la propria egemonia. I nuovi media vengono cos integrati nellarsenale che mira a rafforzare legemonia globale americana attraverso inedite forme di soft power. Il fatto che le lobby della

UN MANIFESTO DEL NUOVO TRIBALISMO DIGITALE

Ict stiano infiltrando tutti i gangli vitali dellamministrazione Obama al cui trionfo elettorale hanno dato un contributo decisivo , mentre i guru della rete fanno da consulenti alla signora Clinton, ispirandone le campagne per la libert e la democrazia in rete (a meno che libert e democrazia non minaccino gli interessi Usa, come nel caso WikiLeaks!), la dice lunga sul peso che il settore sta assumendo nel sostenere i nuovi sogni imperiali. vero che Martel descrive lemergere di grossi poli concorrenziali a livello globale: a Bollywood, in Cina, in America Latina e perfino in Africa, ma il nostro non sembra avere dubbi in merito al vincitore: per quanto agguerriti, i concorrenti non riescono a fare altro che clonare i modelli culturali americani, adattandoli ai rispettivi contesti regionali. Martel ci offre insomma un vero e proprio manifesto del neo imperialismo Usa che, indebolito sul piano dellegemonia economica, politica e militare, cerca di conservare lo scettro colonizzando il mondo con il proprio immaginario. Per fortuna, questo disegno fa i conti senza loste che, nel nostro caso, sono la crisi globale e le contraddizioni di classe essa innesca: le masse non mangiano celluloide n bit, dopo tutto. Torna al men

LINTRUSO: SU OVIDIO

LINTRUSO: SU OVIDIO
di Anne Carson a cura di Antonella Anedda
On Ovid I see him there on a night like this but cool, the moon blowing though black streets. He sups and walk back to his room. The radio is on the floor. Its luminous green dial blares softly. He sits down at the table: people in exile write so many letters. Now Ovid is weeping. Each night about this time he puts on sadness like a garment and goes on writing. In his spare time he is teaching himself the local language (Getic) in order to compose in it an epic poem no one will ever read.

LINTRUSO: SU OVIDIO

Su Ovidio Lo vedo laggi in una notte come questa ma fresca, con la luna che soffia attraverso strade nere. Cena e torna nella sua stanza a piedi. La radio sul pavimento. Il suo luminoso disco verde stride sommessamente. Si siede al tavolo, la gente in esilio scrive cos tante lettere. Ora Ovidio sta piangendo. Ogni notte a questora indossa la sua tristezza come un abito e continua a scrivere. Nel tempo libero insegna a se stesso la lingua locale (dei Geti) provando a comporre un poema epico che nessuno legger mai.

LINTRUSO: SU OVIDIO

Nell8 d.C. Publio Ovidio Nasone viene condannato alla relegatio da Ottaviano Augusto. La destinazione Tomi, sul mar Nero. Durante lesilio che non verr mai revocato Ovidio scrive le undici elegie Tristia, le cose tristi, le invocazioni inascoltate, prefigurate nelle Metamorfosi da Filomela, vittima dalla lingua mozzata che ricama lo scelus della violenza sulla tela. Sesto dei trentuno Short talks contenuti in Plainwater (1995), On Ovid listantanea di ogni esilio. Esattamente come in altre opere, penso a Economy of the unlost, con Simonide trasportato nel XX secolo di Paul Celan, anche qui Anne Carson disloca il tempo e lo trasporta nel nostro spazio spesso inserendo un dettaglio spiazzante come in questo caso la radio. Chi legge On Ovid punta il riflettore sullinutilit, la solitudine, il dolore di chi bandito dal proprio linguaggio (band in sanscrito significa parola) vive in un luogo senza verso di cui non riconosce n suoni n odori. Come ogni esule Ovidio scrive lettere che non riceveranno risposta. Rientra di notte, mangia nella sua stanza, passa il tempo insegnando a se stesso una lingua straniera, progettando di scrivere, in quella lingua che non padroneggia, un poema. Si trasformato. un poeta senza pubblico, senza interlocutori. Indossa i panni della tristezza. Piange, come le

LINTRUSO: SU OVIDIO

schiave di Achille. Sono gli effetti del potere sulla vita quotidiana, gli stessi rivelati da Pukin nellepistola A Ovidio del 1823, gli stessi vissuti da Osip Mandeltam che sente il proprio destino talmente vicino a quello di Ovidio da intitolare Tristia la sua seconda raccolta poetica. LOvidio di Carson allora vola sui secoli e sui nomi, rende attuale il passato mostrando leternit di una condizione instabile. Lesule non arriva a decifrare completamente i codici di chi lo accoglie e lo respinge, lo respinge e lo accoglie. Vive in questo dondolio. Riceve una continua lezione di amarezza. A refugee population, aveva scritto Anne Carson in Autobiography of Red, is hungry for language, and aware that anything can happen. Ovidio condivide il destino dei rifugiati: senza riparo, affamati, esposti. Linaspettato respira tra le linee di questo componimento, squadrato come una gabbia, esposto come unisola.

LINTRUSO: SU OVIDIO

Eden, opera 39. Mimmo Jodice.

LINTRUSO: SU OVIDIO

La canadese Anne Carson (1950) uno dei pi importanti autori contemporanei, uno dei pochi capaci di sfidare le convenzioni dei generi in testi slittanti tra poesia, saggio e racconto, spesso in dialogo con altre arti, come recentemente, la danza e il collage. Grecista, autrice di importanti versioni da testi classici (Grief lessons. Four Plays by Euripides e If not Winter. Fragments of Sappho) Carson concepisce la traduzione come una prova ininterrotta e sempre mancata. Un percorso che inizia con il libro di esordio (Eros the bittersweet), geniale rilettura della poesia di Saffo e culmina nella rilettura-svisceramento del carme 101 di Catullo nel recente Nox scatola notturna e sarcofago, custode della memoria del fratello morto. Tra i numerosi volumi ricordiamo Autobiography of Red,Decreation, Eros the bittersweet, Glass, Irony and God, Plainwater, The economy of the unlost e nel 2010 Nox. In Italia sono stati tradotti Autobiografia del rosso (Bompiani 2000) e Antropologia dellacqua (Donzelli 2009). Torna al men

Libri/Le classifiche di qualit

Libri/Le classifiche di qualit Pordenonelegge-Stephen Dedalus: i risultati di giugno 2011


Narrativa Punti 1. Paolo Sortino, Elisabeth, Einaudi, 65 2. Mauro Covacich, A nome tuo, Einaudi, 36 3. Gabriele Frasca, Dai cancelli dacciaio, Sossella, 24 4. Viola Di Grado, Settanta acrilico trenta lana, e/o, 23 5. Luigi Grazioli, Tempesta, Effigie, 22 6. Guido Ceronetti, In un amore felice, Adelphi, 18 7. Giacomo Sartori,

Libri/Le classifiche di qualit

Cielo nero, Gaffi, 8. Mario Desiati, Ternitti, Mondadori, 9. Antonio Tabucchi, Racconti con figure, Sellerio, 10. Sergio Nelli, Orbita clandestina, Einaudi,

14 13 12 10 Punti 61 24 23 22 21 20

Poesia 1. Eugenio De Signoribus, Trinit dellesodo, Garzanti, 2. Anna Maria Carpi, Lasso nella neve, transeuropa, 3. Filippo Strumia, Pozzanghere, Einaudi, 4. Carlo Carabba, Canti dellabbandono, Mondadori, 5. Andrea Raos, I cani dello Chott el-Jerid, Arcipelago, 6. Gabriel Del Sarto, Sul vuoto, Transeuropa, 7. Laura Pugno,

Libri/Le classifiche di qualit

La mente paesaggio, Giulio Perrone, 18 8. Patrizia Cavalli, La patria, nottetempo, 15 8. Azzurra DAgostino, Daria sottile, Transeuropa, 15 10. Massimo Zamboni, Prove tecniche di resurrezione, Donzelli, 14 Saggi Punti 1. Alfonso Berardinelli, Non incoraggiate il romanzo, Marsilio, 32 2. Domenico Scarpa, Uno. Doppio ritratto di Franco Lucentini, :duepunti 27 3. Mario Lavagetto, Quel Marcel! Frammenti della biografia di Proust, Einaudi 25 4. Andrea Gibellini, Lelastico emotivo, Incontri Editrice, 21 5. Carla Benedetti, Disumane lettere, Laterza, 16 6. Goffredo Fofi, Zone grigie, Donzelli, 15 6. Arturo Mazzarella,

Libri/Le classifiche di qualit

Politiche dellirrealt, Bollati Boringhieri, 8. Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica, Einaudi, 9. Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra, Laterza 9. Giorgio Fontana, La velocit del buio, Zona, 9. Alessandro Portelli, America profonda, Donzelli, Altre Scritture 1. Alberto Arbasino, America amore, Adelphi, 2. Tommaso Pincio, Hotel a zero stelle, Laterza, 3. Paolo Di Stefano, La catastrfa, Sellerio, 4. Andrea Inglese, Quando Kubrick invent la fantascienza, La camera verde, 5. Fabio Geda, La bellezza nonostante, Transeuropa,

15 14 12 12 12 Punti 64 54 24 17 16

Libri/Le classifiche di qualit

6. Maria Grazia Calandrone, Linfinito mlo, Sossella 7. Gianni Celati, Conversazioni del vento volatore, Quodlibet, 8. Luca Doninelli, Cattedrali, Garzanti, 8. Michela Murgia, Ave Mary, Einaudi, 8. Adriana Zarri, Un eremo non un guscio di lumaca, Einaudi,

15 11 10 10 10

Il regolamento delle Classifiche prevede lesclusione delle opere pubblicate dai coordinatori e dal segretario delle Classifiche, nonch dei responsabili di Pordenonelegge; e consente altres a singoli Lettori di escludere i propri libri dalle votazioni. Di conseguenza sono esclusi i libri, per la sezione Poesia, Alberto Casadei, Le sostanze, Atelier; Massimo Gezzi, In altre forme, Transeuropa; Gian Mario Villalta, Vanit della mente, Mondadori; per i Saggi, G. Alfano-A. Cortellessa-D. Dalmas-M. Di Ges-S. Jossa-D. Scarpa, Dove siamo?, :duepunti edizioni; Alberto Casadei, Poetiche della creativit, Bruno Mondadori. Flavio Santi ha escluso i suoi

Libri/Le classifiche di qualit

Aspetta primavera, Lucky, Socrates, e Il Tai e larte di girovagare in motocicletta. Friuli on the road, Laterza. Torna al men

SEMAFORO: ETNIE-UNIVERSIT

SEMAFORO: ETNIE-UNIVERSIT
Maria Teresa Carbone

Etnie
Da decenni gli attivisti sordi sostengono che la sordit non un difetto, bens un tratto del carattere, se non un vantaggio. Ma il recente The People of the Eye va oltre, sostenendo che i sordi costituiscono unetnia che deve essere riconosciuta in quanto tale, politicamente e culturalmente. Gli autori del volume, Harlan Lane, Richard C. Pillard, e Ulf Hedberg, scrivono infatti che, sebbene lidentit sorda non si basi sulla religione, la razza o la classe, non c espressione pi autentica di un gruppo etnico del suo linguaggio. Ora, la lingua il nucleo della vita dei sordi americani. La caratteristica primaria che distingue la sordit dalle altre condizioni classificate come disabilit che la sordit una questione di comunicazione. [] A mano a mano che il

SEMAFORO: ETNIE-UNIVERSIT

linguaggio americano dei segni (Asl) si sviluppato, i sordi sono stati in grado di comunicare meglio tra loro, e questo ha dato vita a una cultura sorda, perfino si potrebbe dire a una nuova way of life. (Stefany Anne Golberg, Can You See Me Now? Welcome to DeafWorld, The Smart Set, 23 maggio 2011)

Immortalit
Se noi aspiriamo allimmortalit, lo stesso fa, in un modo piuttosto perverso, la cellula tumorale. (Siddhartha Mukherjee, The Emperor of All Maladies, Simon & Schuster 2011)

Medicina
Il progetto pi recente di Melamid il ministero dellArte terapeutica, un ambulatorio su strada al 98 di Thompson Street a SoHo, dove le persone vengono ricevute su appuntamento e sono curate, attraverso il contatto con opere

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darte, per una quantit di disturbi fisici e psicologici, tra i quali stando a quanto scritto sui manifesti appesi alle pareti la bulimia nervosa, langioedema e lorticaria, le sindromi premestruali e liperplasia prostatica benigna. (Melamid ama la terminologia medica perch, dice, gli ricorda la critica darte). Come funzioni il processo terapeutico non del tutto chiaro, ma coinvolge delle particelle invisibili denominate creatoni. I creatoni, afferma Melamid, sono ovunque, e penetrano nel corpo umano. Se vengono usati come si deve, stimolano le funzioni corporali, aiutano a vivere meglio e liberano dalle impurit. Ma quando si va in un museo, bisogna stare molto attenti. La sovraesposizione pericolosa, come prendere troppe medicine. Larte va presa con moderazione, con laiuto di uno specialista in grado di prescrivere il giusto dosaggio. (Charles McGrath, Can a Picasso Cure You?, New York Times, 24 maggio 2011)

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Natura
La natura fornisce alleconomia britannica servizi gratuiti per un valore di decine di miliardi lanno, da luoghi e paesaggi ricreativi alla fertilizzazione dei terreni, alla purificazione delle acque. quanto emerge dalla prima valutazione finanziaria sistematica dellambiente. Condotto da cinquecento esperti nel campo dellecologia, delleconomia e delle scienze sociali, il National Ecosystem Assessment, offre un nuovo modo di valutare la nostra ricchezza nazionale, ha detto Lord Selborne, presidente dellassociazione governativa Living with Environmental Change. (Clive Cookson, Nature worth billions, says environment audit, Financial Times, 02 giugno 2011)

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Eden, opera 21. Mimmo Jodice.

Noia
La lettura pi enfaticamente storicista della noia la considera come uno degli effetti collaterali della modernit. La parola bore (noia) non compare nel dizionario di Samuel

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Johnson del 1755 e sembra entrare nella lingua inglese alla fine degli anni Sessanta del Settecento, senza una chiara provenienza etimologica. La tempistica del suo arrivo non casuale. La possibilit della noia emerge solo quando la gente ha la sicurezza e lagio di lamentarsi che sicurezza e agio non sono tutto. Questo coincide, ed rafforzato dal mercato in rapida espansione dei romanzi, pronti a ricordare che la vita di una persona pu essere ben pi interessante di quanto (ahim) solitamente sia. Verso la fine del XVIII secolo si erano insomma create le condizioni per un nuovo tipo di infelicit, che richiedeva di essere definita con una nuova parola. Fino ad allora la noia non era un vero problema: carestie e guerre avevano reso la vita decisamente troppo eccitante. (Full Bore, recensione di Scott McLemee a Boredom: A Lively History di Peter Toohey, Yale University Press 2011, Inside Higher Ed, 08 giugno 2011)

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Stupro
Come ha rilevato la Nobel Womens Initiative (un convegno di attiviste e accademiche che si tenuto a Montebello in Canada tra il 23 e il 25 maggio, ndr), la violenza sessuale nei conflitti ha luogo in ogni regione del mondo, anche se le ragioni per il suo uso variano da regione a regione, e da conflitto a conflitto. Al tempo stesso, un numero crescente di ricerche dimostra che la violenza sessuale in un conflitto non affatto inevitabile, un dato che conferma la necessit imperativa di combattere contro questo uso. (Incidentalmente, anche lo stupro di personale dalbergo da parte di ospiti ricchi e potenti non da considerarsi inevitabile). (Anna Louie Sussman, Is Rape Inevitable in War, the Atlantic, 26 maggio 2011)

Universit
Possiamo apparire miti, noi docenti a contratto, con i nostri occhiali e le nostre giacche di velluto a coste, i capelli radi e le barbe curate, ma non siamo nullaltro che killer

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accademici. Siamo pagati dalluniversit per fare il lavoro sporco, quello che nessun altro vuole fare, il lavoro logorante e doloroso di insegnare e di giudicare gli impreparati che nella maggior parte dei casi non sanno nemmeno di esserlo. (Professor X, In the Basement of the Ivory Tower. Confessions of an Accidental Academic, Viking 2011) Torna al men

mirafiori 27-38

mirafiori 27-38
Gherardo Bortolotti
27. Seguivamo le vicende delle nostre settimane come storie di unet parallela, come intrecci secondari in cui la merce era innocente, le immagini infinite. Nel corso delle giornate, alcuni accettavano di assistere alle cose dal punto di vista di chi non ha ragione, di chi riconosce al mondo le sue necessit, i suoi bisogni, anche crudeli. Non capivamo fino in fondo perch eppure eravamo in vita, in visita presso il reale, presso le notizie di cronaca, le fattispecie del capitale. 28. Come tracce di una civilt scomparsa, ritrovavamo al mattino il senso delle nostre giornate, dei mesi a venire, mentre ascoltavamo in radio gli editoriali sullaccordo a Mirafiori, sulle rivolte tunisine. Sentivamo, nel petto, il peso di ci che era in corso, di ci che era vero, e guardavamo al

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futuro dalla cucina, quasi avendo il sospetto di un finale diverso. 29. Non il segno di niente che valga diceva bgmole alle schiene degli altri clienti, nelle file alla cassa che frequentava con lassiduit di un dilettante, con limpegno di chi ha riconosciuto nellacquisto gli indizi di un complotto pi vasto, di una strategia impersonale, sottile ma di ampio respiro. Le opinioni, gli equivoci quotidiani, si aprivano in lui come faglie sul fondo delloceano, e ne usciva una materia incolore, aliena, pi simile allumore di foglie in decomposizione, terriccio, carte abbandonate ai lati del viale. 30. E ammettevamo che cera il margine per indignarsi, per alzare la mano nella scenografia vuota che era linizio del secolo, lOccidente dopo la globalizzazione, mentre proliferavano i debiti pubblici, le speculazioni finanziarie ci colmavano di orrore e meraviglia, come epidemie di mali incurabili, come le gesta furiose dei signori del Pil e delle transazioni, e prendevamo ossessivamente la parola per sollevare eccezioni, per recriminare il fatto, il detto, il valore che avevamo sacrificato nelle ore che precedevano il sonno, seduti di fronte al televisore acceso, quasi astratti nella

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catastrofe povera dei suoi segni, nelle migliaia di trame, di particolari irrilevanti, di storie manipolate e incomprensibili in cui smarrivamo qualcosa. Ci inoltravamo nel futuro come in un fluido densissimo, lasciando che le correnti di ci che avveniva sfibrassero la nostra presenza, la prova che eravamo qualcuno. 31. Dopo il sonno, il lavoro ci attendeva e il dolore, e chi ci stava accanto distava di tutti i livelli di assenza di umano, di pulviscolo inerte, di aria e luce, che non avremmo mai colmato. 32. Del resto i tempi ci avevano cambiato e, spesso, le giornate convocavano come testimoni i passanti o le telecamere della sicurezza per certificare la nostra frantumazione, il dissiparsi della nostra persona in sistemi di opinioni, gesti involontari, abitudini dacquisto. Nelle ore dufficio, gli stadi di ci che eravamo scivolavano via, scendendo nel volume del giorno trascorso sempre pi stilizzati, spastici. Lasciavamo, nei livelli successivi del tempo che passa, le vestigia di sguardi distratti, di silenzi, di pause di fronte al distributore del caff.

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33. Risuonava uneco nella cavit delle cose, qualcosa che riguardava noi, il grande concetto di umano e lo stato dellarte del capitale. Dai parcheggi, sui tetti dei centri commerciali, avevamo spesso lintuizione di un grande progetto in espansione, alieno, vasto come lorizzonte e di cui abitavamo le propaggini segnate dai quartieri di nuova costruzione, dai tramonti, dalle estati suburbane. 34. bgmole seguiva con lo sguardo i battiscopa dei corridoi, esplorava gli angoli in penombra delle sue stanze, sperando che lo conducessero in regioni del vero che precedevano il denaro, in quel che rimaneva di domini leggendari di tempo libero, sogni a occhi aperti, inclinazioni personali che un giorno lo avrebbero premiato, rivelando la vera trama degli eventi che consumava, la storia autentica che le notizie di cronaca, il caff alla mattina, le ragioni delle piccole e medie imprese celavano con malizia. Il suo impiego gli stava alle spalle, scostandosi ogni volta che lui si voltava, nascosto in qualche punto cieco della giornata, intimo al sonno, alle mani, quasi fosse un organo metafisico innestato nel suo corpo, una concrezione di tessuti astratti che si radica nella vita che laccoglie, la cui amputazione era inaudita, inconcepibile. La notte, era steso incosciente nel buio, accolto

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dal coro dei suoi mobili, dai complementi darredo, vegliato dalle fattispecie pi prossime delleconomia mondiale che, intanto, in alto, come un fronte anticiclonico spostava i suoi enormi volumi di atmosfera, le sue correnti disumane lontano da l. 35. Ma ci accompagnava soprattutto il senso di qualche cosa di ingiusto, di qualcosa di feroce che allignava tra le vicende del prezzo del greggio, dietro i negozi e gli altri edifici della distribuzione al dettaglio che venivano ospiti nelle nostre giornate, nei quartieri da cui partivamo la domenica mattina, in bicicletta, e ci inoltravamo nel gratis della vita, nelle prospettive future che si curvavano oltre il cielo primaverile, verso punti di fuga inattingibili e impronunciabili. Ridevamo sullo sfondo della morte, del mercato e dei programmi di prima serata. Contribuivamo alla costituzione del giorno doggi, allimportanza dellopinione pubblica e perdevamo il segno del nostro avanzare nelle immagini dei marchi industriali, che ci riempivano gli occhi di visioni di democrazie perfette, di redditi garantiti.

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36. Era lavoro che non riuscivamo a pronunciare e aspettavamo che i pomeriggi pi profondi eccedessero le forme del salario, le sue scenografie vuote successive. 37. E a volte si presentava qualcuno e ci diceva: Ecco, questa la ragione economica delle cose e noi annuivamo, in silenzio, come se sapessimo di cosa parlasse. Ledificio del libero mercato aveva muri e soffitti trasparenti e, dalle sale dei piani inferiori, si vedevano, sullo sfondo del cielo, i capitali immensi degli ultimissimi piani. Ma il lavoro ci privava della vista. Sigillava lennesimo patto che ci obbligava a fissare per terra i nostri passi da cavie sentimentali, legati ai nostri amori, agli amici, alla maleducazione dei vicini di casa e alle morali che donavamo ai nostri figli, colmi di un senso di umano che dilagava ovunque, contro ogni ragione. 38. Tornavamo a pensare a Mirafiori. Sentivamo una fragile intimit con il vero, da riferire a qualcuno, da ricordare in un commento on-line. Torna al men

Sommario

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Gianluca Ranzi Mimmo Jodice Marco Belpoliti UN UOMO CHE SCRIVE Andrea Inglese e Andrea Raos NUOVE ANTOLOGIE, VECCHI CRITERI Niva Lorenzini LISTANTE DELLA RECIPROCIT Davide Dalmas MENO GENIO, PER FAVORE!

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Laura Barile RIFLESSIONI A BASSA VOCE SUL TRADURRE Cecilia Bello Minciacchi IL PARADOSSO DELLA CONSEGNA Rossana Campo CAPITAN FICTION, LICENZA DI UCCIDERE Conversazione fra Gisle Sapiro e Valentina Parlato RESPONSABILIT E IMPEGNO di Paolo Morelli immagini di Luciana Martucci SANGRITUDINE Guido Barbieri JOHN ADAMS, PERSONA DA ROMANZO Stefano Gallerani IL CINEMA CHE NON SI VEDE

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Fabiana Proietti CELATI, VIA COL VENTO Pierluigi Pellini FANTASMI DEI FATTI ED ESPERIENZE FRANTUMATE Carlo Formenti UN MANIFESTO DEL NUOVO TRIBALISMO DIGITALE di Anne Carson a cura di Antonella Anedda LINTRUSO: SU OVIDIO Libri/Le classifiche di qualit Maria Teresa Carbone SEMAFORO: ETNIE-UNIVERSIT Gherardo Bortolotti mirafiori 27-38

Autori

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