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AFFARI CINESI

di

Leonello Bosco

Voci dal campo: esperienze, case histories, commenti e


suggerimenti per imprese, imprenditori e manager che
intendono avvicinarsi professionalmente al mercato
cinese

Settembre 2008

© Copyright 2008 Leonello Bosco – Tutti i diritti riservati

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Presentazione dell’autore

Leonello Bosco è un Consulente di Internazionalizzazione e


Sviluppo Organizzativo da oltre 20 anni.
Da 4 anni si occupa prevalentemente di Cina, attualmente come
Consulente Senior di Keen Score International Ltd., società attiva
nella consulenza strategica e assistenza tecnica alle imprese
italiane in Cina, e come Componente dell'Italian Desk di Dezan
Shira & Associates, la maggiore organizzazione europea di
consulenza Fiscale, Amministrativa, Societaria in Cina, con 9 Uffici e
oltre 200 dipendenti diretti in Cina, India, Vietnam.
Voci dal campo è il sottotitolo di questo manuale. Non una
trattazione accademica sul Celeste Impero, ma una guida per le
Piccole e Medie Imprese impegnate, con diverse modalità, a
ritagliarsi il proprio spazio cinese. Storie di difficoltà, insuccessi ed
errori, ma anche di grandi opportunità e grandi risultati. Spunti,
commenti, case histories e suggerimenti pratici per non perdere una
occasione storica. Nel momento in cui la Cina non è più solo la
Fabbrica del Mondo, ma è ora il più grande Mercato del Mondo, il
sistema delle Piccole e Medie Imprese italiane rischia di rimanerne
fuori. Un’analisi a volte impietosa ma realistica del ritardo del
sistema Italia. Il testo vuole essere un contributo concreto per chi
intende entrare in Cina, e rimanerci. Il taglio è pragmatico e
concreto, il linguaggio mutuato dalla quotidianità del linguaggio
imprenditoriale e manageriale.

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INDICE

1) Introduzione Pagina 6

2) Diversità culturali: cosa significa nel mondo “ 9


degli affari in Cina

3) Fragilità strutturali delle PMI italiane “ 19

- La dimensione aziendale
- Scarsa disponibilita di risorse umane
qualificate.
- Scarse competenze linguistiche
- Basso cash flow disponibile per gli
investimenti
- Difficoltà a fare sistema

4) Panorama delle imprese italiane in Cina “ 37

5) Errori più comuni nell’approccio al mercato “ 46


cinese

- Struttura organizzativa
- Fidarsi dei cinesi
- Risparmi finti - costi veri
- Replicare i modelli

6) La gestione delle risorse umane nelle unità “ 59


delocalizzate

- Selezionare e assumere personale cinese


- La nuova legge sui contratti di lavoro

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7) Produrre in Cina per vendere nel mondo “ 65

- Cedere know how per mantenere la


competitività in Italia
- Case history

8) Comprare in Cina “ 71

- Traders, produttori, compratori: comprare


qualità
- Organizzarsi per l’acquisto professionale
- I contratti OEM
- La Ricerca e Sviluppo da parte dei fornitori

9) Vendere in Cina “ 87

- Mercato al consumo: “Italian Style – China Made”


- Segmentazione del mercato “consumers”: il
fenomeno “Chyuppies”
- Qualcuno copre i bisogni
- Come si costruisce il sistema Italian Style - China
Made
- La maggiore obiezione: la protezione della proprietà
intellettuale
- Gli strumenti per vendere in Cina
- Non ci facciamo mancare nulla, se non ci copiano i
cinesi ci copiamo da soli. Il caso del vino auto-
contraffatto
- La vendita nel settore industriale
- Italian Style - China Made nel settore industriale
- Seguire il cliente
- Cina su Cina
- Know How in cambio di fatturato e quote di
mercato

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10) Pillole di competitività “ 140

- Competitività quotidiana
- La scuola elemento chiave di competitività

11) Il mondo dei “Private Equity Funds” “ 146

12) Strumenti di informazione “ 149


Allegati

A) Regole della Due Diligence Operativa 151


B) La nuova Legge sul lavoro 155

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1. Introduzione

I manuali sulla Cina, voltata e rivoltata da ogni punto di vista, hanno


sommerso gli scaffali delle librerie, così come le pubblicazioni
tecniche sugli aspetti societari, fiscali e legali sulle attività in Cina.
Consulenti, esperti, avvocati internazionalisti, hanno autorevolmente
detto tutto su questi aspetti. Non intendiamo dunque ripercorrere
questi passi, vogliamo invece fornire un manuale di istruzioni
pratico, concreto, pragmatico a chi, imprenditore, manager o
consulente, si trova di fronte a concreti problemi operativi nella
gestione delle China Operations.
Sono voci dal campo, estratti di vita quotidiana di chi si trova ogni
giorno ad affrontare i problemi che la corsa alla Cina presenta
quotidianamente, a fianco di imprenditori, manager e personale
italiano delocalizzato. Il taglio che troverete su questo testo è quindi
di tipo industriale e manageriale, steso con un linguaggio il più
possibile piano, mutuato dal quotidiano dell’industria e del
management. Non c’è pretesa di completezza e esaustività nella
trattazione, intendiamo limitare il campo alle modalità operative, ai
casi pratici, agli esempi, cercando, dove possibile, di offrire un
contesto culturale per la migliore comprensione del fenomeno Cina.
Il solo intento è quello di cercare di far sbagliare un pò meno gli
operatori, fornendo esperienze già vissute che possono servire da
esempio, monito o indirizzo.

Saremo comunque costretti a citare in molti casi aspetti legali e


amministrativi, che non approfondiremo in questa sede, ma che
possono essere di grande interesse per i lettori.

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Rimandiamo quindi da subito al sito di Dezan Shira & Associates,
la maggiore struttura consulenziale italiana in Cina, con 9 uffici nelle
maggiori città cinesi, oltre duecento dipendenti e collaboratori diretti.
Il sito di riferimento, dal quale sono accessibili molte aree di
approfondimento specialistico è www.dezshira.com
Qualora anche l’approfondimento nel sito non fosse sufficiente,
maggiori dettagli possono essere ottenuti inviando una mail a
italiandesk@dezshira.com
Analogamente, per l’approfondimento degli aspetti strategici e
operativi che non trovino adeguata soddisfazione in questo manuale,
possono essere richiesti a bosco@keenscore.com
A conclusione di questa introduzione, due parole sugli aspetti
morali ed etici del lavorare in Cina.
Non è certo questa la sede per una trattazione sui diritti umani e
sulla situazione sociale cinese, che pur rappresentano un elemento
importante del contesto socio-economico del Paese, e che sono
sempre nello sfondo di chi vi opera, ma mi piace ricordare un
episodio che a mio avviso rappresenta bene quello che oggi
l’intellighenzia cinese, anche quella non allineata, pensa del sistema
sociale.
A cena con un docente dell’università di Shenzhen, di grandi
vedute e di grande preparazione culturale, gli argomenti toccano gli
aspetti etici del sistema economico cinese. Ad una mia precisa
domanda in merito ai diritti civili, il docente mi risponde con una
affermazione a cui, al momento, non ho trovato replica:

“Il sistema cinese ha tolto dalla povertà 3/400 milioni di persone


negli ultimi 20 anni. Questo è il primo diritto civile. Nessun altro
sistema al mondo ha saputo fare altrettanto”.

Come dire: stiamo stiamo uscendo da 40 anni di isolamento


internazionale e di sviluppo bloccato. Prima pensiamo a sfamare la
gente, poi penseremo alla democrazia.
Possiamo condividere o meno. Certo, fa riflettere.
L’impressione che si ha vivendo in Cina, è che il sistema conosca
perfettamente le sue contraddizioni, e che agisca per risolverle, con i
tempi e le modalità concesse da un Paese di 1 miliardo e 300 milioni

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di persone, modalità poco note, o poche comprese in Occidente.
Ad esempio, non si ha notizia in Italia della recente delibera del
Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese che ha fissato come
una delle maggiori priorità del Paese la copertura del gap nei redditi
tra città e campagna. Questo aspetto sintetizza tutte le grandi
contraddizioni del Paese, le differenze di reddito sono la fonte della
sperequazione tra classi sociali, con tutto quello che ne consegue.
Anche la politica dello sviluppo delle città cosiddette “di seconda
fascia” (all’interno del Paese, fuori dalle zone costiere che si sono
sviluppate per prime), con forti incentivi all’investimento, e
creazione di importanti poli industriali e tecnologici, rientra in questa
politica di perequazione dei redditi.

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2. Diversità culturali: cosa significa nel mondo
degli affari in Cina

La grande notorietà assunta dalla Cina nei recenti anni della sua
espansione, ha messo in moto una serie di analisi e studi sulle
diversità culturali tra il mondo cinese e il mondo occidentale. Le
differenze sono tante, e sono enormi.
Senza addentrarci in questioni filosofiche, ci riferiremo solo alle
implicazioni di tali diversità nel mondo degli affari, e ci limiteremo
ad elencare una serie di situazioni critiche addebitabili alla scarsa
conoscenza della cultura cinese, lasciando agli esperti di
interculturalità e di sociologia analisi più dettagliate.
Metteremo in evidenza quindi solo alcuni aspetti che permettono
forse una lettura diversa della visione che normalmente si ha della
Cina.

− La cultura cinese, ha profonde radici nel Confucianesimo1.


Questa cultura ha permeato per migliaia di anni la società ed i

1 Confucio (Kǒngzǐ (孔子) o Kǒng Fūzǐ (孔夫子) -- Maestro Kong) (551 a.C. – 479
a.C.) Non si confonda però il Confucianesimo con una religione, si tratta invece di
una “filosofia applicata allo stile di vita”, basata sull'etica personale e politica, sulla
correttezza delle relazioni sociali, sulla giustizia, sul rispetto dell'autorità familiare
e gerarchica, sull'onestà e la sincerità. I suoi insegnamenti sono raccolti negli
Analecta (Lùnyǔ 論語), una raccolta di aforismi e frammenti di discorsi compilata
molti anni dopo la sua morte dai suoi discepoli.

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costumi cinesi. La Cina parte quindi da lontano, ed è necessario
tenerne conto nei rapporti con i Cinesi. Come dire, non sono gli
ultimi arrivati!

− Confucio è tuttora fortemente presente in tutte le manifestazioni


sociali della Cina: l’economia stessa, e le sue abitudini ne sono
intrise. É un velo che non si vede, un filtro attraverso il quale
passano tutti i comportamenti della vita quotidiana, nessuno
escluso.
Anche nelle classi più acculturate ed evolute, che hanno imparato
ad usare strumenti e conoscenze occidentali, il filtro funziona
come un miscelatore ed un adattatore tra mondi, culture,
linguaggi e valori diversi. Non si tratta quindi di un vincolo o di
un limite culturale, bensì, al contrario, una chiave di
interpretazione dei fenomeni sociali, politici ed economici.

− L’economia cinese non sta arrivando, sta tornando. La sua storia


l’ha già portata in precedenza ad essere una superpotenza
economica mondiale. Vediamo come.

Nell’anno 1000, quando ancora il G8 non esisteva, la Cina


produceva già il 25% del PIL mondiale
(Angus Maddison, The Word Economy: millennial persepctive –
OCSE 2002)

Le condizioni dell'Europa e della Cina, ancora nel Settecento,


erano del tutto simili: per speranza di vita, consumi, mercato dei
beni e dei fattori produttivi, strategie familiari, ecologia. A creare
la differenza furono il carbone e i commerci con le Americhe. La
combinazione di questi due fattori consentì all'Europa nord-
occidentale di svilupparsi secondo un modello basato su un alto
sfruttamento di risorse e su una bassa intensità di lavoro, al
contrario di quanto avvenne in Cina.
(Kenneth Pomeranz «La grande divergenza – La Cina, l'Europa
e la nascita dell'economia mondiale moderna» pubblicato negli
Stati Uniti nel 2000 e in Italia da Il Mulino nel 2004)

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Nel 1800 la quota nazionale cinese nella produzione
manufatturiera mondiale era pari al 33,3% .
(P. Bairoch, "Storia economica e sociale del mondo: vittorie e
insuccessi dal XVI secolo a oggi" ,1997), Torino, Einaudi, 1999.

Bairoch dimostra che, nel 1750, il PIL pro capite dei paesi più
avanzati, ad esempio la Gran Bretagna – era di 230 dollari, la
media dei paesi europei era di 182 dollari e la media dei paesi
non europei era di 188 dollari, l’Europa e l’Asia avevano livelli
di vita sostanzialmente analoghi. L’aspettativa di vita nel delta
dello Yangzi (la regione più sviluppata della Cina con, all’epoca,
una popolazione compresa tra 31 e 37 milioni di abitanti),
sarebbe stato marginalmente superiore a quello dell’Inghilterra,
come dimostrano, ad esempio, le stime sulle rispettive speranze
di vita (34-39 anni in Cina, 35-38 anni in Inghilterra)

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Anche senza scomodare Vico e la sua teoria dei corsi e ricorsi
storici, non ci si può meravigliare dello sviluppo industriale ed
economico cinese. Solo chi ha memoria (e storia) corta può
sorprendersi di questo sviluppo.

- Nell’ultimo secolo la Cina si è defilata per lunghi decenni dal


panorama economico mondiale. Questo ha provocato un oblio da
parte dell’occidente meno attento alle evoluzioni del mondo
asiatico, e il risveglio è stato improvviso e traumatico.

Torniamo alle diversità culturali. Quali sono gli elementi di questa


diversità che incidono nelle operazioni di business con i cinesi?
Tentiamo una sintesi, anche se è facile capire, per chiunque abbia
una conoscenza minima della Cina, che le situazioni sociali e di
business in cui emergono le differenze sono innumerevoli:

- Il Cinese non esprime sempre pienamente il proprio pensiero.


Durante le trattative è perfettamente inutile forzare l’interlocutore
cinese ad esprimersi in maniera esplicita e chiara. Lo farà nel
momento in cui avrà maturato una posizione, e si sentirà
sufficientemente sicuro di potersi fidare dell’interlocutore;

- Molto raramente viene espresso un esplicito dissenso con le


posizioni dell’interlocutore, è considerato poco educato, e
turberebbe l’armonia del rapporto.
Questo atteggiamento crea spesso dei grossi equivoci, per i quali
l’interlocutore occidentale potrà ritenere di avere l’accordo del
Cinese. In realtà spesso ha solo un apparente non-disaccordo, il
che può anche significare un pieno disaccordo.

- Analogamente, i cinesi ritengono poco educato esprimere un no


deciso. Anche questo è fonte di importanti errori. Se davanti ad
una domanda diretta, (che dovremmo evitare accuratamente) il
nostro interlocutore cinese non ci oppone un NO perentorio, non
è detto che sia un SI. Probabilmente farà dei grandi giri di parole
per non dire un no diretto, ma la sostanza potrebbe essere questa.

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- Far perdere la faccia ad un interlocutore cinese può significare
interrompere definitivamente un rapporto di collaborazione.
Probabilmente è la situazione piú critica in un rapporto
interpersonale, e pressochè irreversibile in un rapporto d’affari.
Può succedere, ad esempio quando facciamo rilevare un errore ad
un nostro interlocutore, oppure lo smentiamo, o lo
rimproveriamo, di fronte ad un suo collaboratore o subalterno.
Analogamente può accadere per un diverbio con un nostro
dipendente al quale magari rivolgiamo delle accuse o facciamo
rilevare delle inefficienze di fronte ad un suo subalterno. Sempre
per la questione dell’armonia, probabilmente, anzi sicuramente,
non vi sarà una immediata reazione da parte sua, ma non
meravigliatevi se dopo qualche giorno quell’interlocutore non si
farà piú vivo, o se quel vostro collaboratore presenterà le sue
irrevocabili dimissioni. Si, la gravità di questa cosa arriva a
queste conseguenze. In quante occasioni si sarebbero potuti
evitare gravi problemi di rapporti con i dipendenti, se si fosse
tenuto presente questa norma basilare nei rapporti sociali con i
Cinesi!

- I cinesi amano molto costruire situazioni formali (riunioni,


cerimonie, ecc.) ma vi accorgerete presto che le decisioni vere
verranno prese a tavola, quando il clima si rilassa e le persone
entrano in rapporti più personali e amicali.

- Il tempo è dalla loro parte. Spesso i nostri clienti vengono in Cina


dopo aver gia affrontato i temi della trattativa con l’interlocutore
cinese via mail, o in precedenti incontri, ed è convinto di venire
in Cina solo per concludere. Non è quasi mai così .
L’interlocutore cinese riprenderà in mano tutti i dettagli della
trattativa, cercando di ottenere dei miglioramenti all’ultimo
minuto. Questo innervosisce molto i nostri clienti italiani pressati
dal tempo, il che li rende più deboli e propensi a cedere su alcune
richieste della controparte cinese pur di chiudere la trattativa.

- Il rispetto dei ruoli e dell’autorità è molto importante. I cinesi non


si opporranno a trattare con qualcuno che non riveste un ruolo

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aziendale del loro stesso livello, non sarebbe educato, ma se il
direttore vendite di un’azienda riuscisse, per qualche fortunata
coincidenza, ad avere un incontro con il Presidente di una Società
cinese, non ne caverebbe probabilmente un ragno dal buco.
Il Presidente sarà gentile ed educato, ma esprimerà le sue vere
opinioni, e assumerà delle decisioni solo davanti al suo omologo
straniero. Per questo c’è molta attenzione ai biglietti da visita.
Quando lo consegnate ad un Cinese, lo leggerà davvero
attentamente, diversamente da quanto siamo abituati a fare noi.
Vuole sapere se siete al suo livello gerarchico, e quindi abilitati a
trattare con lui.

- Uno dei principi che sentirete spesso citare dai cinesi nelle
introduzioni alle trattative d’affari, è quello del win-win, vale a
dire: gli affari buoni si fanno in due, ognuno degli interlocutori
deve essere soddisfatto del risultato, e nessuno deve sentirsi
perdente nella trattativa. Ḗ un bel principio, ma vi accorgerete
che pian piano potete diventare perdenti nella trattativa con i
cinesi. La tecnica del disco rotto, che noi impariamo nei corsi di
comunicazione e di vendita, per i cinesi sembra essere una dote
naturale. Consiste nel tornare ripetutamente, e ossessivamente ad
esprimere una certa richiesta o un certo concetto. Se questo per
loro è essenziale, ve lo sentirete ripetere, di tanto in tanto, nel bel
mezzo della discussione, ogni volta che il contesto lo permette.

- Quando vi meraviglierete del fatto che il vostro interlocutore è un


copione, e che magari ha già copiato il vostro prodotto (forse è
per questo che siete li), prima di esprimere disapprovazione
morale per questa pratica, dovete pensare che ai bambini cinesi
viene insegnato che il più bravo è quello che “copia” meglio gli
ideogrammi (è l’unico modo per impararli). Quindi per loro
copiare bene, in dettaglio, è stato da sempre un valore positivo, e
improvvisamente si ritrovano a viverlo con la disapprovazione di
tutto il mondo. Se davvero il rapporto con questo interlocutore vi
interessa, conviene fare buon viso a cattivo gioco, magari
facendogli i complimenti per la loro abilità di copiare così bene il
vostro prodotto.

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Bisogna anche chiarire che gli atteggiamenti culturali cinesi non
sono delle scelte consapevoli di comportamento o delle strategie
negoziali, si tratta invece di modalità intrinseche nel loro DNA,
quindi è del tutto inutile cercare di forzarne i comportamenti.
Questo vale anche per le proposte commerciali che vengono
avanzate ai Cinesi. Se il vostro prodotto funziona in tutto il mondo, è
probabile che prima o poi funzionerà anche in Cina, ma se qualcosa
del vostro prodotto irrita la sensibilità o la cultura cinese, potreste
dover aspettare cambiamenti nell’arco di alcuni anni perchè questo
venga accettato.
Allo stesso modo, quando i nostri clienti visitano le fabbriche di
loro competitor o partner cinesi, la tendenza è di giudicare le loro
modalità di lavoro rispetto alle nostre (ovviamente decantate come
migliori). In molti casi ovviamente questo è vero, in altri non lo è per
niente, e spesso i nostri clienti scoprono delle modalità che
potrebbero essere utili anche in Italia. In ogni caso, il pragmatismo
cinese concluderebbe, senza dirlo:

“Se tu sei qua, vuoi comprare da me, o vuoi collaborare con me,
vuol dire che riesco a fare meglio di te”.

Cito un caso vero di uno dei miei primi clienti nel settore dei
piccoli elettrodomestici, diversi anni fa. Il titolare avvia un’azienda
di produzione in Cina, e assume da subito un giovane Ingegnere
cinese di ottimo livello con esperienze in Cina presso aziende
dell’automotive, e con una esasperata (e sana) passione per “The
Toyota way”.
A lui viene assegnato il compito di organizzare il layout della
produzione, sulla base della sua esperienza, dopo aver visitato
l’azienda italiana. L’Ingegnere molto velocemente predispone le
macchine e ripartisce le aree produttive per processi.
Visitando l’azienda cinese, nella fase di avvio, le soluzioni
adottate mi erano sembrate adeguate. Ovviamente non disponevo
delle competenze per valutare questi aspetti tecnici specifici della
produzione, quindi si è deciso di inviare in Cina il Direttore di
Produzione italiano per una validazione di quanto proposto dal
collaboratore cinese.

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A distanza di qualche settimana, tornando nella fabbrica italiana,
scopro con grande sorpresa che il Direttore di Produzione, di ritorno
dalla Cina, aveva adottato molte delle soluzioni di layout adottate in
Cina dall’Ingegnere cinese.

I Cinesi sanno velocemente adeguarsi ed applicare le innovazioni


e i cambiamenti che si trovano ad affrontare, se lo ritengono utile, ed
hanno una straordinaria velocità di apprendimento e cambiamento,
ma per loro questo non significa affatto rinunciare alle profonde
convinzioni e abitudini tradizionali. Semplicemente riescono ad
adattare le due cose con una naturalità ed un pragmatismo davvero
straordinari.

Infine, un elemento fondamentale da tenere in considerazione è la


lingua. Non si tratta solo della differenza fonetica, grammaticale,
lessicale e grafica rispetto alle lingue occidentali. Queste componenti
della lingua cinese hanno a che fare con il concetto di “lingua
naturale”, e sottintendono una modalità del tutto diversa di
costruzione del pensiero, del ragionamento e di capacità astrattiva.
Gli studiosi considerano pensiero algebrico quello cinese, e pensiero
geometrico quello occidentale.

“Il cinese è potuto diventare una potente lingua di civiltà e una


grande lingua letteraria senza doversi preoccupare né della
ricchezza fonetica né della comodità grafica, senza nemmeno
cercare di creare un materiale astratto di espressioni o di fornirsi
di un armamentario sintattico.
È riuscito a conservare alle parole e alle frasi un valore
emblematico affatto concreto. Ha saputo riservare al solo ritmo
la cura di organizzare l’espressione del pensiero.
Come se volesse innanzitutto liberare lo spirito dal timore che le
idee possano diventare sterili se espresse meccanicamente ed
economicamente, la lingua cinese si è rifiutata di offrire quei
comodi strumenti di specificazione e coordinazione apparente che
sono i segni astratti e gli artifici grammaticali.
Si è conservata ostinatamente ribelle alle precisioni formali per
amore della espressione adeguata, concreta, sintetica. Il cinese

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non sembra organizzato per notare concetti, analizzare idee,
esporre discorsivamente dottrine. Nel suo insieme, esso è
costruito per comunicare atteggiamenti sentimentali, per
suggerire condotte, per convincere, per convertire.”
(Marcel Granet : Il Pensiero Cinese, Adelphi, 2004, prima
edizione 1934)

Uno degli elementi chiave messi in evidenza dal sinologo Granet


si sintetizza nell’osservazione che più che in ogni altra delle grandi
civiltà, in quella cinese i diversi piani, fìlosofico, religioso e sociale,
sono stati, in origine, pressoché indistinguibili.
Come si intuisce, tutto questo ha poco a che fare con la
traduzione dal cinese in una lingua diversa. Anche se conversate con
un Cinese che parla bene in inglese, la struttura del pensiero, le
modalità di esprimerlo, le categorie del pensiero stesso, sono diverse
dalle nostre. Per capirsi con i Cinesi bisogna cercare di capire come
costruiscono i pensieri e i ragionamenti, il che vuol dire cambiare il
modo con cui siamo abituati a costruire i nostri. Davvero uno sforzo
di adattamento e flessibilità mentale!

Per finire il panorama sulle differenze culturali e sugli ostacoli


che queste comportano nel mondo degli affari, un cenno su una
credenza popolare in occidente: quella che il fenomeno economico
cinese sia legata alla tradizione della collettività, della massa
indistinta, del popolo tutt’uno . Il fenomeno cinese è spesso descritto
come un’onda inarrestabile per il fatto che è compatta, che si muove
tutta nella stessa direzione. Questo è assolutamente vero, ed è questa
la ragione dell’efficacia degli interventi pubblici di indirizzo in
economia, ma è vero anche che in questa situazione culturale e
sociale si è paradossalmente innescato, come un detonatore,
l’individualismo esasperato, la voglia personale di emergere, di
arricchirsi, di diventare i numeri uno di qualcosa, di assumere
visibilità e apprezzamento sociale, come se il capitalismo alla cinese
di Deng Xiao Ping avesse spalancato le porte non solo alla
liberalizzazione economica, ma anche allo sviluppo delle potenzialità
individuali, prima inibite o mascherate dalla prevalente cultura
collettivista.

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Mettete insieme questi elementi apparentemente contradditori, e
avrete una delle spiegazioni sulla forza dell’arrembaggio cinese alle
economie occidentali.
Soprattutto, tenete in considerazione questo aspetto quando
avrete davanti un giovane e rampante industriale cinese.

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3. Fragilità strutturali delle PMI italiane

Ḗ stato commesso un errore di fondo dal parte del sistema


economico italiano rispetto alla Cina. Un errore drammatico dai cui
effetti ora è difficile uscire. Il fenomeno Cina è esploso negli ultimi
10 anni, con un picco negli ultimissimi anni, ma è iniziato in sordina
almeno 20 anni fa.
Qual’è stata la reazione del sistema industriale italiano al risveglio
dell’economia cinese? Fatte salve rare ed encomiabili eccezioni, la
reazione è stata la stessa che si è avuta all’apparire (30/40 anni fa)
del fenomeno Giappone.
Quando il Giappone ha iniziato ad invadere, negli anni 50-60 il
mondo occidentale con i suoi prodotti a poco prezzo, (plastica,
elettronica, ecc.), il sistema italiano ha pensato che si trattasse di un
fenomeno temporaneo, un fuoco di paglia che si sarebbe estinto nel
giro di pochi anni, implodendo nelle sue stesse contraddizioni (le
stesse che oggi rileviamo nei cinesi),
Ḗ inutile dire com’è finita, cosa sia diventato il Giappone e la sua
economia, nel panorama mondiale, è sotto gli occhi di tutti.
Con la Cina si è adottata la stessa identica analisi.
Anziché avvicinarsi a questo nuovo mondo per capirne le
minacce, per valutarne le occasioni e le opportunità, si è snobbato il
fenomeno, certi che prima o poi si sarebbe sgonfiato, e tutto sarebbe
tornato alla normalità.
Le imprese italiane si sono quindi arroccate a difesa delle proprie
quote di mercato mondiali, con due strumenti: uno intelligente ed
uno meno.

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Grandi aziende, capaci di pensare in grande e dotate di vera
capacità di innovazione e sviluppo, hanno intensificato i valori
intrinseci ed il valore aggiunto dei loro prodotti, creando una vera
barriera all’accesso dei prodotti cinesi.
Creatività, stile, design, tecnologia, bellezza, insomma Italian
Style, hanno fatto da motore al grande sviluppo del Made in Italy,
costruendo barriere di accesso molto elevate ai loro mercati,
mettendo al riparo queste aziende dalla minaccia cinese, e
consentendo loro di accrescere i profitti, che ora stanno usando per
massicci investimenti commerciali proprio in Cina. Questo è stato lo
strumento intelligente.
Lo strumento, diciamo così, meno intelligente, è stata la strenua
difesa delle quote di mercato attraverso l’erosione dei margini
industriali. Si è cioè cercato di mantenere posizioni commerciali,
clienti, quote, tentando di fare fronte alla concorrenza dei Cinesi sul
versante del prezzo, con l’ovvio risultato di erosione dei margini. Ḗ
stato un atteggiamento suicida, che ha avuto come effetto
l’impoverimento delle imprese, che ora sono incapaci, sul piano
finanziario, di far fronte all’innalzamento del livello tecnologico ed
estetico cinese, che sta minacciando anche le produzioni più
sofisticate. Dall’altro lato, questa politica non ha comunque garantito
il mantenimento di quote di mercato, delle quali le industrie cinesi si
stanno pian piano impossessando sugli scenari mondiali.
Quando si è compreso che la battaglia commerciale contro il
gigante asiatico non si sarebbe potuta vincere in questo modo, si è
passati alla richiesta a gran voce di dazi doganali e protezionismi vari
contro l’export cinese, sostenendo che le imprese cinesi facessero
dumping2 sui loro prodotti, senza ricordare che il 60% di questo
export è fatto da imprese straniere o imprese partecipate da capitale
straniero. La tipica zappa sui piedi.
La Cina non ha mai fatto dumping, ha proposto i prodotti ai suoi
costi, e va smentita la convinzione che ci fossero, o ci siano, aiuti

2Vendite sottocosto sostenute da aiuti governativi per ragioni di penetrazione


commerciale.

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all’export da parte del Governo3.
C’è stata molta confusione in occidente sul fatto che i rimborsi
IVA all’export costituissero un incentivo pubblico. In realtà il
meccanismo economico dell’export funziona in pratica come in quasi
tutto il mondo. Quando si acquista un prodotto destinato
all’esportazione, si paga normalmente IVA sugli acquisti. Se quel
prodotto viene riesportato, la fatturazione è esente da IVA. Mentre in
Italia ed in Europa questa differenza viene compensata con le
dichiarazioni IVA periodiche, in Cina si procede specificamente ad
un rimborso da parte del fisco, come in Italia quando le
compensazioni periodiche non sono sufficienti a recuperare il credito
IVA accumulato. Tutto qui. I numeri, e gli effetti economici non
cambiano, recuperano semplicemente l’IVA versata in acquisto.
Questa modalità ha però indotto una lettura superficiale di questi
rimborsi IVA da parte di politici ed esperti del Belpaese, che li hanno
scambiati per un aiuto all’export.
Dirò di piú. Con gli ultimi provvedimenti fiscali del governo
cinese, questo rimborso IVA è stato fortemente ridotto, per favorire
le imprese ad alto valore aggiunto e scoraggiare le imprese a basso
contenuto di tecnologia, basate solo sull’aggiunta di manodopera.
Facciamo un esempio. L’IVA base sugli acquisti in Cina è del
17%, che si paga per l’acquisto di qualsiasi materia prima o
semilavorato. Per le imprese manufatturiere (diverso è il
ragionamento per le attività puramente commerciali), il rimborso
IVA varia da settore a settore, ma è mediamente intorno al 5%,
percentuale che viene rimborsata quando si riesporta (lavorata, e in
esenzione IVA), quella materia prima o quel semilavorato. É
evidente che per recuperare l’IVA in acquisto, il prezzo a cui quel
prodotto deve essere esportato, deve essere pari a circa tre volte il
valore di acquisto della materia prima o del semilavorato. Quindi

3 Diverso il ragionamento per le esenzioni fiscali in aree come le Free Trade Zone,
nate per lanciare specifiche zone geografiche cinesi, e di cui le imprese occidentali
hanno fatto grande utilizzo, cosi come hanno ben utilizzato i meccanismo di
esenzione fiscale, riservati alle imprese straniere, che consentiva di arrivare al
pieno regime fiscale dopo ben tre anni (a partire dal primo anno di utile prodotto)

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deve esserci molto valore aggiunto.
L’esempio è approssimativo, e ci sarebbero molti dettagli da
aggiungere e casi specifici da citare, ma la sostanza è questa. Non si
tratta quindi di incentivi pubblici, come le stonate, ossequiose e
omologate fonti informative europee hanno fatto spesso credere, ma
di puri e semplici rimborsi IVA, anche penalizzanti per le imprese
manufatturiere a basso valore aggiunto, che infatti stanno
ulteriormente delocalizzando in Vietnam e Paesi limitrofi.4
Quando la Cina ha avuto l’autorizzazione dal WTO5, con un
preavviso di anni, di vendere in occidente prodotti consumers come
scarpe, tessile, ecc. si è cercato di innalzare muri di protezione.
L’introduzione dei dazi antidumping nel 20066 sulle scarpe è stata
salutata come una vittoria dei produttori europei, ma nell’adeguante
panorama informativo italiano, alcune voci di perplessità sono
emerse, a conferma delle nostre tesi. Una di queste è quella di

4 Su questa “Fuga dal Guangdong”, come ha titolato un recente articolo del Sole 24
Ore dedicato proprio a questo fenomeno, nessuna delle ossequiose fonti
informative italiane ha avuto nulla da ridire. Se i grandi colossi mondiali della
scarpa o dell’abbigliamento vanno a “sfruttare” i Vietnamiti o i Tailandesi, anzichè
i cinesi, non fa notizia. Il Vietnam non fa paura, la potenza cinese si. Questo è il
malcelato e ipocritamente sottaciuto ragionamento su cui si basa la difesa dei diritti
dei lavoratori in Cina da parte di alcuni degli improvvisati paladini nostrani.
5 L’ingresso formale della Cina nel WTO è datata 10 Novembre 2001 (Doha),
dopo 15 anni di negoziati, ma ricordiamo che la Cina fu uno dei fondatori del
GATT, nel 1947 (da cui nacque il WTO, nel 1995), per uscirne all’avvento di Mao
Tze Dong.
6 Il regime di dazi scade nell’Ottobre 2008, e già si ripropone la battaglia tra chi
vorrebbe una ulteriore proroga, e chi invece sostiene la necessità di abolirli, Tra
questi utlimi, in prima fila la FESI (Federazione dell’industria degli articoli
sportivi), sostenendo che “L'Ue ha limitato i dazi a due anni per una ragione:
colpiscono negativamente i consumatori europei e la sua industria di calzature
moderna” e un’estensione di questi sarebbe una "beffa" alla politica anti dumping
portata avanti dall’Unione in questi anni. (La Stampa del 17/9/2008)

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Giorgio Barba Navaretti, redattore de Lavoce.info7, che il 9.10.2006
scriveva:

“In primo luogo queste misure rischiano di essere più che altro una
fragile (e vedremo dopo perché) protezione per le inefficienze dei nostri
produttori che la punizione per un comportamento scorretto.
Le regole della World Trade Organization (Wto) prevedono la
possibilità di attivare un’azione anti-dumping contro un concorrente
sleale che adotti pratiche di prezzo predatorio. In altri termini, quando i
prodotti vengono venduti a un prezzo più basso dei costi di produzione
per ‘predare’ le quote di mercato dei concorrenti corretti. Se si
osservano dei prezzi particolarmente bassi (quelli delle scarpe di cuoio
cinesi e vietnamite sono diminuiti in media del 27 per cento dal 2001),
bisogna però dimostrare che sono riconducibili a un comportamento
predatorio piuttosto che alla maggiore efficienza degli esportatori. Le
procedure stabilite dalla Wto sono complesse: prevedono una
comparazione dei prezzi all’export ai prezzi domestici e ai costi di
produzione. Nel caso di paesi con economie non pienamente di mercato
come la Cina, costi e prezzi domestici sono poco significativi. È
necessario allora fare riferimento ai costi di produzione di un paese
analogo che abbia un’economia di mercato e caratteristiche simili, in
termini di disponibilità di fattori produttivi, al paese sotto accusa. In
questo caso il paese utilizzato come riferimento è stato il Brasile. È
chiaro che su questa base la presunzione di dumping è soggetta a
fortissima discrezionalità.
Il sito della Commissione europea sostiene che la decisione è stata
presa dopo quindici mesi di indagine presso i produttori vietnamiti e
cinesi e dopo aver riscontrato interventi pubblici distorsivi della
concorrenza come sussidi ed esenzioni fiscali che permetterebbero alle
imprese di finanziare azioni predatorie. L’adozione di queste misure di
supporto alle imprese è giustamente proibita dalla Wto, che prevede un
iter preciso per contrastarle (iter che coinvolge direttamente il tribunale
dell’organizzazione e ha dunque carattere di sanzione multilaterale),

7 Il sunto dell’articolo è tratto da www.lavoce.info che ne autorizza la


pubblicazione. Il testo integrale è disponibile sul sito www.lavoce.info

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ma non necessariamente conduce a pratiche predatorie e non è in sé
argomento sufficiente a giustificare un’azione antidumping (che è
invece un’azione decisa unilateralmente dall’Unione Europea).
La seconda considerazione di merito riguarda quanto il dumping
possa avere effettivamente danneggiato i produttori europei (condizione
necessaria per l’adozione delle misure di contrasto) La commissione
stessa cita la contrazione del 30 per cento nella produzione europea dal
2001. Ma ancora una volta non è chiaro quanto questa contrazione sia
riconducibile a pratiche di commercio sleale da parte dei nostri
concorrenti e quanto alla loro maggiore efficienza. La caduta dei
prezzi dal 2001 è in gran parte dovuta alla liberalizzazione delle
importazioni piuttosto che alla concorrenza sleale. In altri termini su
quel 27 per cento la concorrenza sleale probabilmente pesa per pochi
punti percentuali. Inoltre, la contrazione dei volumi prodotti, ha
soprattutto riguardato le scarpe di minor qualità, mentre i dati sulle
nostre esportazioni ci dicono che c’è stato un certo rafforzamento del
segmento di qualità medio alta”

Che cosa si è fatto in Italia in questi lunghi anni di preavviso


passati dall’ammissione della Cina al WTO, alla sua effettiva
autorizzazione a vendere questi prodotti in Europa? E in questi due
anni di regime di dazi, che avrebbero dovuto consentire alle impese
europee di riorganizzare i loro fattori competitivi?
Poco o nulla. Si è aspettato che il fenomeno si sgonfiasse.
Non è stato così, ed era fin troppo facile prevederlo per chiunque
si fosse affacciato al mondo cinese nei primi anni di sviluppo.
Gli altri Paesi hanno reagito con strumenti efficaci e con molta
maggiore lungimiranza.
Così mentre le imprese americane, tedesche, giapponesi, francesi,
hanno predisposto in questi anni sbarchi massicci in Cina, con
investimenti milionari8, l’Italia è stata alla finestra, accumulando un
ritardo di almeno 10 anni, che oggi tenta velleitariamente di colmare
con una corsa alla Cina.

8 La Cina è oggi il primo paese al mondo come ricettore di investimenti diretti


esteri: più della metà delle 500 maggiori Società al mondo sono presenti nel Pearl
River Delta

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Ḗ stata quindi la presupponenza di una parte del sistema
industriale italiano, vecchio e provinciale, e la sottovalutazione della
potenza industriale cinese, a portare a questa situazione di grande
svantaggio. Ma la battaglia commerciale oggi non è più solo con le
industrie cinesi.
Veri concorrenti ora sono anche le imprese straniere in Cina, i
concorrenti europei di casa nostra che, avendo massicciamente
investito in attività di produzione 10-15 anni fa hanno acquisito
posizioni di forza intaccabili, per aggredire ora il grande mercato
cinese dei consumi, mercato dal quale l’Italia – escludendo i soliti
casi di eccellenza – è semplicemente fuori.
Si è accumulato ritardo anche nel settore della proprietà
intellettuale, un altro terreno minato per le imprese italiane. Mentre si
gridava al ladro per l’attitudine cinese di appropriarsi di idee, design,
e tecnologia europea, ci si è dimenticati di attrezzarsi per proteggere
marchi, loghi, innovazioni tecnologiche con le modalità formali
previste da tutti i sistemi economici, Cina inclusa.
La maggiore risorsa del sistema industriale italiano, la creatività è
stata messa a repentaglio, con risultati a volte drammatici, a volte
semi-comici, in balia di un sistema asiatico affamato di idee,
innovazione, estetica.
Posso documentare molti casi in cui imprese italiane si sono rese
conto che il loro prodotto era improvvisamente diventato cinese solo
quando gli ordini dal mercato mondiale sono lentamente scesi, sotto
la spinta dell’analogo prodotto cinese. Senza una adeguata protezione
della proprietà industriale non ci sono state possibilità di difesa. In
alcuni casi, vissuti personalmente, l’unico tentativo da perseguire è
stato quello di acquisire il concorrente cinese.
La leggerezza di non aver speso 4-5.000 Euro per depositare il
marchio o il brevetto in Cina, costringe ora a investire somme enormi
per mantenere le proprie quote di mercato, ammesso che il
concorrente cinese sia disposto a farsi comprare. Allo stato attuale, è
più probabile che sia il Cinese nella posizione di comprare azienda,
marchio e brevetto italiano.
Cito spesso il caso, davvero emblematico, di un cliente produttore
di utensili industriali, che mesi fa ha stretto un accordo di
distribuzione con una impresa cinese.

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Il cliente si dice molto soddisfatto di questa collaborazione ed ha
una grande fiducia nel distributore cinese, così attaccato all’azienda
italiana, al punto di aver modificato la propria denominazione
societaria, adottando semplicemente il nome dell’azienda italiana,
aggiungendoci il suffisso China.
Mi sono davvero sentito a disagio nello smontare tanta ingenuità.
Ho chiesto al cliente se avesse depositato il Marchio Aziendale
(molto noto sui mercati internazionali) in Cina.
Naturalmente no. Sono pronto a scommettere che nel giro di uno o
due anni, i prodotti italiani che oggi l’azienda cinese distribuisce,
saranno Made in China, utilizzando – in maniera legale – marchio e
logo dell’azienda italiana! Il problema non sarà solo il mercato
cinese. Questo cliente si troverà i suoi prodotti perfettamente copiati,
e legalmente marchiati, su tutti i mercati internazionali, ad un costo
inferiore almeno del 20/30%., e non certo per una politica di
dumping.
Cosa dire? Probabilmente potrà avviare e forse vincere una lunga
e costosa causa legale – dall’esito molto incerto – per recuperare i
diritti sul proprio nome. Ma sarà comunque tardi. I danni saranno
fatti. Anche in questo atteggiamento si nota la scarsissima
conoscenza della Cina, che viene trattata come un mercato
secondario, non strategico, ma non si sono fatti i conti con il
dinamismo cinese sui mercati mondiali, con la capacità di spinta e
velocità di innovazione di queste aziende.
Chiunque abbia visitato una Fiera in Cina, e abbia lasciato un
biglietto da visita, si sarà reso conto di quanto i Cinesi siano attivi e
aggressivi nel marketing sui mercati stranieri. Sarà stato tempestato
di e-mail di ringraziamento per la visita, di messaggi auguranti mutua
collaborazione e successo , di invio di foto, cataloghi, listini, di
incitamento a ricontattare l’azienda e a chiedere informazioni.

Il ritardo, unanimemente riconosciuto, del sistema industriale


italiano sul mercato cinese, ha tante origini, e non è ovviamente
imputabile solo alle fragilità strutturali delle PMI italiane.
Un enorme peso in questo ritardo deriva dall’inadeguatezza e
arretratezza dell’intero Sistema Paese, presente a macchia di
leopardo e con scarso coordinamento in tutta la Cina.

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Bisogna però dire che su questo tutti hanno avuto un cattivo
maestro: il sistema pubblico o para-pubblico italiano, anch’esso a
volte poco coordinato, con interventi individuali e slegati di Regioni,
Provincie, Camere di Commercio, tutte con costose sedi proprie in
Cina, spesso disaggregate e isolate dal Sistema Paese, in alcuni casi
semi-abbandonate o inutilizzate a distanza di qualche anno
dall’inaugurazione in pompa magna.
Il sistema centrale, da parte sua, non ha certo aiutato. Ambasciate,
Consolati, Uffici ICE talvolta si muovono in modo frammentato,
sovrapponendo le funzioni, con pochi e mal ripartiti mezzi finanziari.
Per contro devo dire di aver incontrato persone di grande
preparazione e grande volontà all’interno di queste istituzioni
pubbliche, e questo ha certamente garantito, nonostante tutto, molti
importanti successi delle iniziative pubbliche.
Abbiamo visto un primo importante tentativo di aggregazione
delle risorse nazionali solo durante la missione del Governo Italiano
nel Settembre 2006, a conclusione dell’anno dell’Italia in Cina,
quando il ministro Bonino ha effettivamente messo insieme il settore
industriale, bancario e dei servizi pubblici a sostegno
dell’esportazione e degli investimenti italiani. Il focus di queste
iniziative è però sempre centrato sulla grande impresa italiana,
indubbiamente meritoria, e pionieristica riguardo alla penetrazione
italiana in Cina, ma le PMI rimangono a margine delle grandi
iniziative pubbliche.
La stessa missione aveva un secondo grande obiettivo: recuperare
il ritardo del sistema Italia nell’attrazione dei grandi flussi di
investimento cinesi, che si prevedono di dimensioni straordinarie nei
prossimi anni. Non solo investimenti di fondi sovrani, come sta in
effetti accadendo, ma investimenti privati delle grandi aziende cinesi
pronte ad acquisire, pagando, quei plus industriali e commerciali di
cui la Cina non dispone ancora.9 Anche su questo il ritardo del nostro

9
Gli investimenti esteri cinesi di imprese non finanziarie cinesi sono passati da da
2,8 a 17,6 miliardi di dollari negli anni tra il 2003 e il 2006. Tra questi spicca
l’acquisizione del ramo PC della IBM da parte della cinese LENOVO. Gli
ivestimenti esteri di Istituzioni Bancarie Cinesi, a fine 2006 ammontavano a 12,3
miliardi di USD. (La Bank of China è già presente con una propria filiale in Italia

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sistema sembra davvero incolmabile.
Per finire, il sistema bancario italiano non ha supportato
efficacemente le iniziative industriali in Cina, fornendo solo servizi
di supporto e di rappresentanza, ma rimanendo pressochè assenti sul
piano finanziario e di assistenza operativa.
Gli investimenti stranieri nel sistema bancario cinese hanno
raggiunto i 15 miliardi di USD, ma l’unico investimento italiano
ammonta a circa 135 milioni di USD (Intesa S. Paolo, con
l’acquisizione del 19,9% del capitale della Qingdao City Commercial
Bank - Qccb - di Qingdao).
Le imprese quindi si sono mosse quasi sempre autonomamente,
con i limiti strutturali e le fragilità tipiche delle Piccole Imprese, ma
bisogna riconoscerlo, con quel fiero spirito pionieristico, capacità di
rischio, intraprendenza e quel pizzico di creatività (o follia) che ha
tenuto in piedi il sistema delle PMI italiane, nonostante il disastrato
sistema-Italia.

Intendiamo quindi mettere a fuoco proprio gli aspetti critici interni


alle imprese italiane, augurandoci di suscitare una riflessione
positiva. Si tratta di elementi distintivi del sistema industriale
italiano, basato sulle Piccole e Medie Imprese, che hanno costituito
la struttura portante dell’economia italiana dal dopoguerra in poi, ma
che oggi meritano almeno una revisione critica rispetto alla loro
adeguatezza ai tempi. Non dovremmo lasciare che quelli che furono i
punti di forza del nostro sistema industriale, si trasformino ora in
grandi punti di debolezza.

Esaminiamone alcuni.

dal 1998). La stima per il 2010 è che gli investimenti esteri cinesi in uscita
superino gli investimenti esteri in entrata. Dato sbalorditivo, ricordando che la Cina
è il primo Paese per attrazione di investimenti esteri.

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3.1 Dimensione aziendale.

La piccola dimensione non è in sè un elemento negativo, ma è un


elemento che mette in luce le debolezze nel momento del confronto
sui mercati mondiali. Da questo elemento derivano una serie di
conseguenze a catena.

3.2 Scarsa disponibilita di risorse umane qualificate.

Le piccole imprese hanno spesso risorse umane molto limitate.


Molto del lavoro è incentrato sulla figura dell'imprenditore e della
famiglia, non vi sono risorse umane da delocalizzare.
In molti casi, vi sono ostacoli importanti nelle risorse disponibili,
in termini di lingue straniere (parliamo di inglese, non di cinese!), in
termini di competenze culturali necessarie ad affrontare un mercato
come quello cinese, in termini di mentalità e visioning internazionale.

3.3 Scarse competenze linguistiche

Avviare una collaborazione tecnica con un impresa cinese per


sviluppare un prodotto, richiede quanto meno che l’ufficio tecnico
italiano disponga di una adeguata conoscenza dell’inglese. Fatto
piuttosto raro. Ḗ molto più probabile (esperienza diretta) che un
ufficio tecnico italiano boicotti il lavoro dei colleghi cinesi, cercando
di dimostrare la loro inadeguatezza, che essi stessi costruiscono,
rallentando i flussi di informazione, le risposte alle domande
tecniche, talvolta fuorviando i colleghi cinesi.
Quando sosteniamo che la scelta cinese è una scelta strategica
che deve coinvolgere tutta l’azienda, e non il solo imprenditore,
parliamo anche di questo.

Quanto alla conoscenza della lingua inglese a cui abbiamo appena

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accennato, questo problema non riguarda ovviamente solo gli addetti
tecnici. Secondo una recente ricerca di Eurobarometro, gli Italiani
sono ultimi in Europa relativamente alla capacità di sostenere una
conversazione in lingua straniera (dietro di noi ci sono solo irlandesi
e britannici, che ovviamente hanno pochissima necessità di imparare
una seconda lingua). Secondo questa ricerca, ripresa dal sito on line
del Corriere della Sera, la situazione non sta migliorando, anzi:

“Se si confrontano i dati del 2001 con quelli del 2006 si scopre
che gli Italiani in grado di sostenere una conversazione in una
lingua straniera sono passati dal 46% al 41%, a fronte di una
media Ue del 50%, che sale a oltre il 90% per molte nazioni del
Nordeuropa.
Anche l’indagine condotta dal Censis per il progetto Let it Fly
(«Learning education and training in the foreign languages in
Italy») indica che gli Italiani le lingue le studiano (il 66,2%) ma
non le parlano. Il 50,1%, infatti, confessa di averne una
conoscenza solo «scolastica», il 23,9% la definisce «buona» è
solo il 7,1% «molto buona». «Il quadro è veramente triste — dice
Giuseppe Roma, direttore generale del Censis —perché conoscere
l’inglese a livello scolastico significa non poterlo parlare.
Purtroppo in Italia le lingue non le sappiamo insegnare, abbiamo
una scuola tutta incentrata sui contenuti. Invece bisognerebbe
cercare di trasmettere un metodo.
Se a questo si aggiunge lo scivolone del Ministero della
Pubblica istruzione che all’ultima maturità ha presentato una
traccia per la prova di inglese piena di errori da matita blu, il
dubbio che la scarsa conoscenza delle lingue in Italia non sia
dovuta alla pigrizia dei suoi cittadini diventa quasi una certezza”

Questo gap linguistico si avverte molto in Cina, in molti casi


risulta un handicap insormontabile. Esistono situazioni nelle quali è
praticamente impossibile comunicare attraverso un interprete.
A prescindere dalla qualità linguistica dell’interprete, raramente
all'altezza di traduzioni tecniche o comunque sofisticate, in molti casi
il dialogo diretto tra manager italiani e Cinesi è assolutamente
indispensabile.

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Pensiamo ad esempio a situazioni che riguardano la Ricerca e
Sviluppo di un prodotto, dove i dettagli sono essenziali, oppure alla
stesura di accordi e contratti, anche preliminari, dove la precisione
linguistica è un elemento chiave.
Ho letto personalmente contratti e accordi tra Italiani e Cinesi da
far davvero rabbrividire.
A prescindere dagli aspetti legali dei contenuti (in genere non ci si
preoccupa affatto della legislazione cinese, che è un animale
sconosciuto), sono certo che una volta letti questi accordi, il partner
cinese, già di suo non troppo scafato nella lingua, non abbia capito
assolutamente nulla.
Sono stato più volte richiesto di rivedere alcuni di questi contratti,
(in particolare contratti di Agenzia), naturalmente dopo che si erano
già presi accordi pressochè definitivi con il potenziale Agente cinese,
ma in alcuni casi era davvero impossibile revisionare , era necessario
riscrivere tutto dall’inizio, sia in termini di adeguamento alla legge
cinese, sia in termini di comprensione linguistica.
Questo naturalmente costituiva un impegno di risorse (nel legale e
nella stesura in inglese), e quindi un costo. In molti casi, per questa
ragione, non se n’è fatto nulla, ma sono certo che almeno uno di
questi contratti di Agenzia è stato firmato dalle parti nella sua
sgrammaticata e scorretta stesura italo-inglese, così come sono certo
che al primo screzio quel contratto salterà in aria, con tutte le
conseguenze operative (e legali, poiché verrà fatta applicare la legge
cinese).

Un caso analogo, a cui ho personalmente partecipato, riguardava


un incarico affidatoci per assistere un impresa italiana nell’attività di
sviluppo di nuovi prodotti in un settore piuttosto tecnico.
Al momento della valutazione dei campioni forniti dal partner
cinese c’è stata la più totale incapacità di comunicare a distanza con
il fornitore rispetto ai dettagli tecnici dei campioni, se non attraverso
il nostro Ingegnere addetto al sourcing, che ovviamente non può
essere specialista di tutti i settori. Il progetto è stato abbandonato.
Alcune delle condizioni che poniamo spesso negli incarichi che ci
vengono affidati riguardano la lingua inglese e le comunicazioni
(audio e video) via skype.

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Quando ci assicurano che il loro inglese è discreto, significa che
non ci si capirà con i Cinesi. Quando ci dicono che è scolastico, è
meglio lasciar perdere il contratto. La mole di lavoro che ci
troveremmo a sostenere per i soli aspetti di comunicazione e
traduzione vanificherebbe i margini di profitto, ed è un lavoro che i
Clienti non ci riconoscerebbero, dando per scontato che noi parliamo
inglese. Ma le Società di Consulenza non sono Società di traduzione
e interpretariato, e le competenze del nostro personale altamente
qualificato non possono essere impiegate per queste attività di base.
Se anni fa una ottima conoscenza della lingua inglese poteva
essere considerata un plus da valorizzare, oggi è solo una
competenza basic, propedeutica a qualsiasi attività, e non solo in
Cina.
Quanto a Skype, qualche volta abbiamo dovuto fare noi stessi
l’installazione per i nostri clienti!
Parlando della competitività del sistema Italia, la componente skill
linguistici non viene quasi per nulla presa in considerazione, in effetti
invece rappresenta un grave limite in termini di tempo, risorse, costi,
precisione del rapporto. In sostanza, un elemento di competitività
negativa.

3.4 Basso cash flow disponibile per gli investimenti

Le piccole imprese, con fatturati modesti, non dispongono di cash


flow finanziari sufficienti ad affrontare investimenti sul mercato
cinese, ed in generale per investimenti di lungo termine nella
internazionalizzazione. Le riserve disponibili sono ovviamente
indirizzate prioritariamente a investimenti tecnici e produttivi.
Ogni movimento in Cina comporta comunque la necessità di
investimenti, con ritorni a medio e lungo termine, e questa barriera è
insuperabile per molte imprese. Il ricorso a operazioni di finanza
straordinaria, di supporti finanziari pubblici, pur esistenti, è reso
raramente accessibile, da un lato per la complessità tecnica, dall’altro
per le stesse ragioni di inadeguatezza per cui si cerca il
finanziamento (cash flow insufficienti, difficoltà di accesso al credito

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ordinario, ecc.).
Si tratta di problemi strutturali di molte PMI, aggravati anche
dalla nota problematica della sottocapitalizzazione del nostro sistema
industriale che, nella tematica della internazionalizzazione, appare
evidente in tutta la sua portata.

3.5 Difficoltà a fare sistema

Alcuni di questi vincoli (soprattutto quello dimensionale e quello


dell’accesso alla finanza straordinaria) potrebbero in buona parte
essere superate attraverso l’aggregazione di più imprese, fino al
coinvolgimento di intere filiere industriali, sotto forma di Società
specificamente costituite, Consorzi, aggregazioni temporanee
finalizzate.
Devo confessare di aver tentato almeno due operazioni di questo
tipo, una nel settore degli impianti industriali e della meccanica di
precisione, l’altra sul fronte agro-alimentare. Anche di fronte a
situazioni di grande concretezza, non velleitarie, con opportunità
pratiche e immediate, la resistenza all’aggregazione, l’individualismo
esasperato, e la scarsa conoscenza delle opportunità offerte dal
mercato cinese, hanno vanificato il tentativo.
Sinteticamente, possiamo stendere un breve elenco di ulteriori
elementi critici, non specificamente legati alla situazione delle PMI
italiane, ma che hanno un impatto molto forte, rispetto alle
dimensioni e alla capacità reattiva delle imprese stesse. Si tratta di
nuove variabili del quadro di riferimento economico mondiale, sulle
cui conseguenze le PMI dovranno avviare una riflessione strategica.

− La velocità di cambiamento dello scenario economico


mondiale. La Banca Mondiale ha definito il fenomeno cinese la
più grande rivoluzione economica di tutti i tempi, paragonabile
solo alla rivoluzione industriale dell’inizio del secolo scorso.
Come si può affrontare questa rivoluzione con i mezzi
tradizionali? L’approccio alla Cina richiede passaggi culturali,
manageriali e di politica industriale del tutto innovativi, e spesso

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sconosciuti alle nostre imprese, abituate si a gestire
cambiamenti, ma all’interno di schemi e processi noti e
controllabili. L’esplosione cinese è un fenomeno del tutto nuovo,
con regole, tempi, meccanismi e scenari non tradizionali.

− Obsolescenza delle competenze, con necessità di riallineamento


e adeguamento.
Le conoscenze su cui fa forza il sistema industriale italiano
potrebbero non essere più adeguate o sufficienti ad affrontare un
cambiamento completamente fuori dagli schemi. Non si tratta
naturalmente di buttare a mare esperienze e conoscenze, ma di
valutarle con spirito critico, con la disponibilità a metterle in
discussione e ad acquisirne di nuove, di valorizzarle alla luce di
un nuovo scenario. Chi è abituato da decenni a fare le cose allo
stesso modo, cercando di salvaguardare passivamente un
patrimonio di prassi e di esperienze importanti, si trova
improvvisamente scoperto rispetto alla esigenza di molte
competenze professionali e culturali del tutto nuove.

− Differenti relazioni culturali e interazziali. É un capitolo su cui


si è detto e scritto moltissimo, ma che ancora appare un
argomento ostico e difficile. Le differenze culturali con la Cina,
con il sistema economico cinese, e con il “diverso pensiero
filosofico” rappresentano veramente l’ostacolo maggiore alla
penetrazione delle imprese italiane in Cina, e sintetizza in
sostanza tutti gli altri ostacoli, che da queste differenze prendono
corpo.

− Declino della superiorità tecnologica occidentale. I maggiori


sviluppi industriali mondiali sono indirizzati nell’area
dell’ambiente, delle bio-tecnologie, delle nano-tecnologie, dei
nuovi materiali. Non sarà un caso se i maggiori progetti di
ricerca e sviluppo, nati soprattutto negli Stati Uniti, si stanno
sviluppando in Cina, e qui si stanno sperimentando le loro
applicazioni industriali. La credenza secondo cui la Cina sia
buona solo per produrre manufatti economici a basso prezzo ha
reso l’occidente poco attento all’evoluzione tecnologica cinese,

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assolutamente poco conosciuta, e quindi sottovalutata. Intere
filiere della Ricerca e Sviluppo, sia nel settore industriale che nel
settore ‘’consumers’’ si sono o stanno per essere trasferite in
Cina.
Questa, e non il prodotto a basso costo sarà la vera minaccia
asiatica (non solo cinese) alle nostre imprese nei prossimi anni.

− Variazioni rapide e inattese delle capacità competitive tra i


competitors internazionali. Un tempo la velocità di reazione dei
mercati e dei competitors era programmabile e prevedibile. La
Cina ha scompaginato le carte. La velocità di adattamento e di
cambiamento delle imprese cinesi è inattesa e imprevedibile, e la
localizzazione in Cina di molte imprese occidentali ha sviluppato
in maniera celere e imprevista la loco capacità di competizione.

− Risposte ritardate agli stimoli dei mercati internazionali. É


l’effetto del punto precedente. La spinta alla velocità di
cambiamento, impressa dallo sviluppo tecnologico asiatico, e
dalla velocità reattiva delle stesse imprese asiatiche, rende
inadeguati i tempi di risposta delle imprese occidentali.

− Il gap tecnologico ed estetico di cui godeva il Made in Italy non


è più così elevato, e lo sarà sempre meno nei prossimi anni.
Non basta dire Made in Italy. Occorre venderlo. Occorre riuscire
a portare a casa dei consumatori asiatici i prodotti che
desiderano, renderli disponibili, renderli attraenti e competitivi.
L’idea che il solo fatto che si chiamino Made in Italy renda di
per sè vendibili i prodotti italiani, è velleitaria ed obsoleta. Il
marketing funziona in Cina meglio che in Europa (come sempre
del resto nei paesi di nuovi consumi ). Il Made in Italy è solo un
pezzo del marketing, importante e necessario, ma non sufficiente.
Occorrono strutture, uomini preparati, mezzi finanziari. Occorre
istruire i consumatori cinesi.

Ḗ esemplare il caso della Angelo Po, importante marchio


italiano nel settore degli impianti industriali per la ristorazione
che, per vendere le proprie cucine ha fondato a Shanghai una

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Accademia della cucina italiana.
Ha messo a disposizione uno staff di chef italiani, pronti ad
educare i loro colleghi cinesi non solo sull’uso delle cucine,
quanto sull’arte culinaria italiana, e quindi sull’Italian Style.
Così si venderanno le cucine italiane. E così si dovrebbe
vendere il cibo italiano. Educando i consumatori, in tutti i settori
del food italiano. Perchè devo vedere ogni domenica nel miglior
supermercato di Shenzhen, frequentato da europei e ricchi cinesi,
il mio amico sommelier francese fare scuola di degustazione a
decine di interessatissimi Cinesi che poi fanno la fila per
comprare il vino che hanno appena assaggiato, e non devo
assistere ad una degustazione di Chianti, Prosecco, Barbera,
Barolo, Franciacorta?
Naturalmente la Angelo Po ha vinto l’appalto per la fornitura
degli impianti di cottura per le Olimpiadi di Pechino, necessari
alla preparazione di 80.000 pasti al giorno, mettendo un solido
piede in un mercato stimato in 150 milioni di Euro.

− Il movimento dei competitors occidentali sui mercati emergenti


è più pericoloso dell’attività dei produttori locali. Le imprese
francesi, tedesche, giapponesi, coreane e americane sono decine
di migliaia, agguerrite e determinate a sfruttare al massimo
l’opportunità cinese, mettendola frutto non solo nel mercato
interno, ma pronte a riversarla sui mercati internazionali e a
mettersi in concorrenza con le nostre imprese.

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4. Panorama delle imprese Italiane in Cina

Forniamo alcuni dati sulla presenza italiana in Cina. Abbiamo già


parlato del ritardo del sistema Paese nel suo complesso rispetto ai
competitors europei. Alcuni semplici dati forniranno un quadro
sufficiente (e per alcuni versi sconsolante) del panorama delle
imprese italiane in Cina.

- Aziende italiane operanti in Cina: 1.42810, di cui l’83% di grandi


dimensioni, concentrate per oltre il 70% in tre aree: Shanghai,
Pechino, Guangdong, con una netta prevalenza di Shanghai che
raccoglie oltre il 34% delle imprese italiane.11

- Il 38% degli investimenti italiani è al di sotto dei 2 ml/usd. (In


effetti sono moltissimi gli Uffici di Rappresentanza, che non
rappresentano un vero e proprio investimento, ma solo la sua
potenziale avanguardia).

- L’Italia è al 13.mo posto tra gli investitori esteri, sia per valore
degli investimenti che per numero di progetti. Anche
considerando che una parte degli investimenti italiani transiti

10 Fonte: Osservatorio Asia


11 Il 47,84% degli investimento arriva dal Nord-Ovest italiano, contro il 38,68%
del Nord-Est e il 12,21% del Centro. In testa di gran lunga tra le regioni la
Lombardia, seguita a distanza da Veneto, Emilia Romagna e Piemonte (Fonte:
Osservatorio Asia)

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attraverso holding di Hong Kong, la posizione italiana è molto
lontana da Francia e Germania (i maggiori competitor europei) e
ovviamente lontanissima dalla posizione di Giapponesi e
Americani).12

Questa è la tabella dei Top Ten: i primi dieci Paesi investitori in


Cina nel 2005/2006.

Primi 10 paesi investitori in Cina 2005/2006

*Note: Non include I settori finanziari


Fonte: MOFCOM

Amount Invested Amount Invested Year-on-Year


Country/Region of Origin 2005 ($ biliion) 2006 ($ billion) Growth (%)

Hong Kong 18.0 20.2 13.0

British Virgin Islands 9.0 11.3 25.0

Japan 6.5 4.6 -30.0

South Korea 5.2 3.9 -25.0

United States 3.1 2.9 -6.0

Taiwan 2.2 2.1 -1.0

Singapore 2.2 2.3 3.0

Cayman Islands 2.0 2.1 8.0

Germany 1.5 2.0 29.0

Western Samoa 1.4 1.5 13.0

Non sorprenda il dato di Hong Kong, da sempre primo nella


classifica degli investimenti esteri in Cina, sia per la sua posizione

12 Il ministero del Commercio cinese ha comunicato che l'afflusso di investimenti


diretti approvati dall'estero nei primi 8 mesi del 2008 ammonta a 67,7 miliardi di
dollari con una crescita superiore al 41%. (Fonte Radiocor – Il Sole 24 ore -)

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fiscalmente privilegiata, sia per i grandi capitali della mainland
China che, un tempo esportati, ora rientrano per essere reinvestiti in
Cina.
Analogamente, sono presenti nella classifica altri paradisi fiscali
da cui provengono forti investimenti, ma rimangono solidamente
nella classifica Top Ten dei Paesi investitori, Giappone, Stati Uniti e
Germania.
Non ci dilungheremo oltre sui dati statistici.
Il sintetico quadro che abbiamo illustrato, indica, in termini di
IDE (Investimenti Diretti Esteri) la strutturale debolezza del sistema
Italia.13
Una debolezza che a mio modesto avviso non è oramai più
recuperabile. Il momento d’oro della produzione in Cina è oramai
finito, e dobbiamo chiaramente ammettere che il sistema Italia lo ha
definitivamente perso.

Si apre però ora una nuova grande prospettiva per il Made in Italy.
Il mercato cinese sta diventando in moltissimi settori il primo
mercato mondiale.
La locomotiva dei consumi cinesi conferma un trend inarrestabile.
A Luglio 2008 i consumi sono cresciuti del 23%, per un totale di
862,9 miliardi di RMB, il dato piú alto negli ultimi 9 anni. (Fonte:
http://www.Chinaretailnews.com/)
Non si può piú sostenere che il dato sia inficiato dal basso livello
di partenza. Che i consumi interni stiano crescendo in modo
esponenziale, e che siano supportati di disponibilità di spesa è oramai
un dato acquisito. Non ci sono segnali che l'inflazione elevata eroda
il potere di acquisto: la capacità di spesa nelle aree urbane è cresciuta
del 14,4% (6,9 al netto dell'inflazione). Il mercato cinese si sta quindi
dimostrando sempre piú "il mercato del mondo", contribuendo a
ridurre gli effetti devastanti della diminuzione dei consumi nei Paesi
Occidentali.

13 Il volume totale degli investimenti esteri in Cina approvato a tutto Luglio 2008 è

di 327,7 miliardi di Dollari, per un totale di 353.000 progetti esteri di investimento.


(Fonte: www.peopledaily.com)

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Una recente indagine pubblicata da Newsweek su 500 giovani
cinesi ha evidenziato come il 90% di queste persone pensi di
spendere nel 2008 molto piú di quanto abbia speso nel 2007, in
considerazione di una aspettativa di incremento dei loro salari
variabile da un + 10 ad un + 25% nei prossimi due anni.
Lo stesso Vice – Primo Ministro cinese Li Quequiang, dato come
potenziale futuro Primo Ministro, ha recentemente dichiarato
(Settembre 2008) che accelerare la domanda interna è essenziale per
sostenere la crescita, spostando quindi il focus dal problema
inflazione (peraltro in netto ridimensionamento a Settembre 08)
all’opportunità di sviluppo attraverso la crescita della domanda
interna.14
Il sistema Italia ha la possibilità di un forte recupero sul ritardo
nella propria presenza in Cina.
Le esportazioni verso la Cina stanno aumento fortemente, ma
l’Italia rappresenta ancora solo l’1% circa delle importazioni cinesi, e
l’interscambio commerciale con la Cina la pone al 10.mo posto della
classifica (pur essendo cresciuto del 22% nel 2006, e sia ancora in
crescita). Il disavanzo commerciale dell’italia con la Cina continua
però a crescere a tassi intorno al 20%, il che significa che il sistema
Italia sta aumentando le importazioni dalla Cina molto più di quanto
riesca ad aumentare le esportazioni.
L’attrattiva del prodotto italiano è comunque molto forte, ma
anche in questo caso la debolezza strutturale del Sistema Italia, e
delle PMI italiane, potrebbe rappresentare un ostacolo insuperabile.
Ad oggi, circa il 50% dell’export italiano verso la Cina è
rappresentato da macchinari e impianti industriali, settore nel quale
manteniamo una buona competitività, ma lo spazio di incremento nel
settore consumers, quello in cui il Made in Italy esprime il massimo
della sua potenzialità, è veramente enorme.

14 Il valore medio del “disposable income” cinese, nelle zone urbane, è cresciuto
dell’11,5% - anno su anno – ad Aprile 2008, raggiungendo il valore di 4.386 RMB,
un dato peraltro in relativa diminuzione a fronte del problema inflattivo che nei
primi mesi del 2008 ha attanagliato la Cina. (Fonte: National Statistic Bureau of
PRC)

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Considerando che l’Italia rappresenta, come dicevamo, l’1%
dell’import cinese, e che metà è fatto da macchine e impianti
industriali, significa che il nostro export di prodotti consumers verso
la Cina rappresenta circa lo 0,5% dell'import cinese.
A volte è quasi umiliante per gli espatriati italiani in Cina vedere
come nel grande mondo dei consumi cinesi l’Italia sia davvero una
cenerentola.
Solo i grandi brand della moda, hanno fatto un lavoro eccellente
sul piano degli investimenti e dell’immagine del Made in Italy, e
alcuni grandi marchi del food (Barilla, Illy, Grandi Salumifici
Italiani), anch’essi davvero meritori.
Dietro di loro troviamo un vero deserto, punteggiato di marchi
improvvisati o sconosciuti, frutto di iniziative volenterose e
sporadiche, incapaci di darsi una strutturazione permanente a lungo
termine. Reggeranno fino a quando una macchina da guerra
commerciale di un qualche Paese non deciderà di puntare a quello
specifico segmento.
(Per ora l’Italia è al 30.mo posto tra i Paesi esportatori nel settore
agro-alimentare in Cina!)

Il settore del pronto moda di fascia media, tutto il settore


alimentare, in particolare il mercato del vino, è relegato in nicchie
sconsolatamente minoritarie nella grande distribuzione cinese.
Troviamo invece piazzati in maniera eccellente la Spagna, la
Francia, e i grandi produttori di vino cileni, neozelandesi,
sudafricani, californiani, che stanno letteralmente invadendo gli
scaffali dei supermercati. Nessuna traccia dei nostri grandi olii
(quelli a marchio italiano presenti sono già di proprietà spagnola), dei
prodotti tipici italiani, dei succhi di frutta, dello scatolame di qualità
(ben piazzati tedeschi e americani).
Pochissimi i vini italiani, ripartiti in due grandi livelli: il livello
Brunello (venduto a oltre 2.000 RMB, e i modestissimi e anonimi
rossi da tavola, abbigliati per l’occasione con una sgargiante
etichetta-civetta, venduti sotto i 200 RMB (Sono prodotti che alla
cantina hanno un prezzo inferiore ai 2 Euro). I nostri Prosecco e
Franciacorta? I nobilissimi vini Piemontesi, Toscani, Friulani e
Siciliani? Nessuna, o al massimo qualche pallida apparizione.

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Le problematiche statistiche cinesi dicono che l’import del vino in
Cina è raddoppiato nel 2007, che la Francia ha pure raddoppiato le
sue esportazioni nello stessso anno, arrivando a quota 15.517,251 di
litri, l’Italia è ferma a quota 5,113,181, seguita dalla Spagna a quota
3,399,425 litri.
Con una quota di mercato del 37% in volume, la Francia gode di
una posizione privilegiata e difficilmente scalzabile. In termini di
valore la posizione è ancora piú forte, assommando l’export a 56,3
milioni di Euro, mentre in questa classifica è seguita dall’Australia
(19,8%) e dall’Italia (9,7%). Questo significa che non solo
esportiamo poco vino, ma riusciamo ad esportare solo vino
economico. Al contrario, la media del prezzo all’import dei vini
francesi nel 2007 è salita del 25%., a fronte comunque di un
incremento medio del prezzo dei vini importati del 60%.
Basta per capire da che parte sta andando il mercato. (Avremo
modo nel prosieguo di tornare sul mercato del vino, per illustrare uno
dei modi con cui alcuni produttori italiani riescono ad andare contro
il mercato)
Come se non bastasse (le brutte notizie non arrivano mai da sole),
il Gruppo Francese Romanėe – un colosso da 700 milioni di Euro -
ha sottoscritto un nuovo contratto con il proprio agente cinese, la
Xiamen Fengde Imported Trade Co., Ltd. (che già vende per circa 10
milioni di RMB), per aprire insieme 50 negozi diretti nel Fujian,
pianificando l’apertura di 300 punti vendita in tutta la Cina.
Perfino una Società moldava, la Cricova ha aperto una propria
Società diretta in Cina (Huangzhou Cricova Winery Co.) per vendere
addirittura vino sfuso. Il mercato è insomma in pieno fermento,
mancano solo gli Italiani.
Così quindi, come già ora la pizza, il gelato e il caffè sono
“americani”, il vino in Cina sarà francese, cileno, neozelandese. E
l’olio d’oliva, un settore di grande possibilità, sarà rigorosamente
spagnolo.15

15 Secondo I dati del Global Trade Information Services di Ginevra, la Cina ha


avuto un deficit agro-alimentare di 5,78 miliardi di Dollari nel primo semestre
2007, contro un surplus di 2,45 miliardi dell’anno precedente, diventando per la

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Il grande sviluppo delle città cinesi e l’innalzamento del potere
d’acquisto, sta aprendo un altro settore di grandi prospettive: il
mobile e l’arredamento.
Anche in questo siamo maestri indiscussi, ma il settore è partito, e
siamo già in ritardo. A Shanghai, Pechino, Shenzhen, Gunangzhou,
Hangzhou, ma anche nelle città di seconda fascia, si stanno aprendo
showroom di design di alta qualità, con prodotti europei e americani.
Non abbiamo avvisaglie di sbarchi in grande stile degli eccellenti
produttori della Brianza o del Friuli, che in Italia stanno fortemente
soffrendo la crisi del mercato americano e la svalutazione del dollaro,
ma che non stanno mettendo in piedi strategie commerciali per
penetrare quello che potrebbe diventare il loro nuovo mercato di
riferimento, senza aspettare il 2035, anno nel quale è previsto il
sorpasso dell’economia cinese su quella americana. Il mercato del
mobile è in gran parte gia pronto. Nei prossimi 3/5 anni si assisterà
ad un vero boom.
Ma dei nostri produttori italiani non c’è traccia.
Buoni risultati li sta invece ottenendo il settore pugliese
dell’imbottito, soprattutto per prodotti destinati al mercato
americano, e alcune iniziative importanti si sono registrate nel settore
del mobile da ufficio.
Probabilmente stiamo perdendo anche questa sfida, che avremmo
tutte le possibilità di vincere. Il tempo, in Cina, è una variabile
determinante. In un Paese che sta solo ora acquisendo il concetto di
stile di vita, di bellezza, di immagine, chi occupa lo spazio
commerciale e propone la propria visione del mondo , mette una seria
ipoteca sul mercato.
I panini in Cina si chiamano Mc Donald, loro hanno insegnato ai
Cinesi a mangiare i panini. Ora, provate a chiedere in qualsiasi città
della Cina un qualsiasi panino. Vi serviranno qualcosa di simile al
Big Mac. Per i Cinesi quello è il panino. Pane e mortadella? A volte
si trova, ma se non siete velocissimi a bloccare l’esecuzione del
panino, una bella spalmata di maionese o ketchup non ve la toglie

prima volta un importatore netto. Le sue importazioni nel settore sono cresciute del
73%, mentre le esportazioni del 12%..

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nessuno.
Voglio citare un episodio vero, con amarezza e delusione, ma
bisogna prendere atto di tutto quello che non è stato fatto per
promuovere l’Italia in Cina, e l’industria italiana è solo un pezzo del
sistema, che non può vincere da solo la battaglia del mercato cinese.
L’episodio è questo: il General Manager di una importante
azienda pubblica cinese, di cui sono amico, mi chiede un aiuto per
organizzare un viaggio di studio in Italia per una ventina di dirigenti.
Non un viaggio al risparmio, il budget era adeguato, poteva essere
una buona occasione per aprire un nuovo, piccolo ma qualificato
canale, al turismo cinese in Italia.
Mi do da fare per cercare sui siti istituzionali italiani filmati,
immagini, descrizioni in cinese. Cerco anche nel sito più
istituzionale, quello dell’ENIT, ma non trovo uno straccio di filmato
promozionale da proporre al Cda dell’Ente (mettiamoci in testa che i
Cinesi conoscono pochissimo dell’Italia, e che se vogliamo attrarre i
loro flussi turistici bisogna mostrargliela).
Decido allora di costruirmi un piccolo filmato amatoriale,
mettendo insieme le foto più suggestive di Venezia, Roma, Firenze,
Milano, e mettendo in sottofondo una canzone di Pavarotti. Ne era
venuto un discreto lavoro, una sintesi condensata delle bellezze
italiane.
Orgoglioso per il piccolo contributo che stavo apportando al
nostro Paese, invio il filmato al mio amico per presentarlo al
Consiglio di Amministrazione della sua Società, a sostegno della
proposta di viaggio in Italia. Aiuto il mio amico anche a costruire un
itinerario e ad avere dei preventivi da tour operatori italiani (che in
quanto a immagine scadente hanno fatto la loro parte). Alcuni dei
Consiglieri però si sono dichiarati più favorevoli ad un viaggio in
Francia, ed è passata questa proposta contro quella del mio amico
Direttore che proponeva l’Italia. Quando ho chiesto la motivazione
della scelta, la risposta ha letteralmente mandato a pezzi le mie
residue speranze sulle capacità del nostro Paese di farsi valere per
quello che è, o è stato. La risposta, più o meno, è stata:

“L’Italia è un Paese che si è appena affacciato alla


modernizzazione, ed è appena uscito dalla miseria !”

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Questo è quello che siamo riusciti a trasmettere ai Cinesi
dell’immagine italiana. Così i Cinesi considerano Ferrari, Prada,
Valentino, Versace, Bottega Veneta, delle punte di eccellenza in un
panorama di miseria.

Mi è venuto da chiedermi se non sia davvero così.

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5. Errori più comuni nell’approccio al mercato
cinese

Le pagine che seguono potranno probabilmente apparire un pò


scomode, poiché tenderanno a mettere a nudo comportamenti
scorretti, approcci maldestri, modalità operative inadeguate, in
sostanza errori che hanno in comune il punto di partenza e il punto di
arrivo.
Non si tratta di mettere alla berlina i comportamenti sbagliati,
semplicemente è il tentativo di fornire qualche maggiore elemento di
comprensione, cercando di evitare alcuni di questi errori,
apprendendo dall’esperienza sul campo.
Il punto di partenza è quasi sempre la presunzione degli
imprenditori o dei manager che ritengono di applicare
pedissequamente modelli e comportamenti che conoscono bene per
esperienza, e che ritegnono semplicemente di poter riprodurre.
E la presunzione di chi non sa di non sapere. Mi riferisco
naturalmente alla conoscenza del mondo, della mentalità, delle
regole di relazione in Cina, oltre che degli aspetti amministrativi e
burocratici, che non si sottraggono, anche nella loro modernità, alla
filosofia e alla cultura che permea l’intero mondo orientale, e la Cina
in particolare.
Il punto di arrivo si chiama sostanzialmente costi. Gli errori in
Cina, si pagano molto cari.
Con vari livelli di gravità e di conseguenze, in troppi casi abbiamo
visto letteralmente buttare al vento centinaia di migliaia di Euro, e in
alcuni casi addirittura abbandonare il campo in maniera definitiva,

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convinti che non esista una strada percorribile che consenta di stare
in Cina con un basso rischio e un buon risultato.
Queste strade naturalmente ci sono, abbiamo decine di esempi di
casi di successo di imprese straniere, anche italiane, in Cina (come
abbiamo gia osservato, oltre il 60% dell’export cinese proviene da
aziende straniere o da società partecipate da capitale straniero).
A beneficio di chi intende avvicinarsi al mercato cinese con una
propria stabile organizzazione diretta, o con una Joint Venture
(produttiva o commerciale), ecco una serie di errori comuni registrati
nell’esperienza quotidiana.

5.1 Struttura organizzativa

L’errore più comune è quello di non strutturare l’organizzazione


cinese nello stesso modo in cui normalmente si organizzerebbe una
qualsiasi impresa in Italia. Struttura organizzativa, controllo di
gestione, gestione delle risorse umane, sono spesso trascurate nello
start up di una organizzazione in Cina.
Non se ne comprende la ragione. La difficoltà di controllo di una
struttura delocalizzata e distante, dovrebbe favorire una maggiore
attenzione al controllo, non un allentamento.
In realtà le ragioni sono legate ad alcuni fattori che abbiamo
individuato:

- La convinzione di poter comunque garantire il controllo


personale dell’imprenditore sulle operazioni in Cina
basandosi sulle proprie precedenti esperienze;

- La necessità di fare in fretta. In molti casi la decisione


sull’insediamento in Cina viene ponderata per mesi, addirittura
per anni. Nel frattempo i concorrenti corrono (e i Cinesi ancora di
piu) e talvolta ci si trova quasi costretti ad andare in Cina per
mantenere la competitività
Questa è la situazione peggiore. Non si ha abbastanza tempo per
prepare l’Azienda e il personale allo sbarco in Cina. Ci si

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concentra quindi esclusivamente sul prodotto o sul risultato che si
deve ottenere a brevissimo, non c’è tempo per pensare alla
struttura organizzativa.

Lo scadenzamento dei tempi è ovviamente legato alla capacità di


elaborazione di strategie e di pianificazione delle iniziative. La
necessità di fare in fretta è sempre legata alla mancata
pianificazione, e quasi sempre alla scarsa elaborazione strategica.
Per dare un esempio concreto della tempistica che riteniamo
indicativa per la realizzazione di una iniziativa industriale in
Cina, riportiamo il nostro schema base, da cui partiamo per il
confronto con il Cliente per la pianificazione dei tempi, partendo
dal momento in cui si decide di avviare uno studio serio sulla
possibile delocalizzazione.

Delocalizzazione produttiva in Cina – Schema di timing operativo

Azioni Mesi
Valutazioni strategiche 2
Presa di decisione 1 -3
Costituzione Società cinese 3-4
Individuazione location 2
Costruzione della supply chain 3-6
Set up degli impianti 3
Selezione del personale 1 2-3
Avvio delle prime produzioni 2

Come si vede dalla tabella, bisogna preventivare almeno dodici


mesi di lavoro prima di poter avviare un’attività produttiva, pur
potendo sovrapporre diverse fasi. Ḗ un tempo piuttosto lungo, e
faticoso, quindi la capacità di pianificazione diventa un elemento
molto rilevante. Molto ridotta è invece la tempistica per
l’apertura di una Società commerciale e, ovviamente, di un
Ufficio di Rappresentanza.

- La scarsa preparazione del personale italiano delocalizzato in


Cina. La convinzione, non detta ma molto diffusa, è che i Cinesi

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siano incivili (bisogna dire che loro pensano lo stesso di noi,
questo lo sanno in pochi). Questa convinzione induce il personale
italiano incaricato di gestire le attività in Cina, ad assumere
esclusivamente degli atteggiamenti direttivi. Questa modalità,
mutuata in molti casi dalle esperienze di delocalizzazione nei
Paesi dell’Est Europa o del Nordafrica, dove probabilmente ha
funzionato, non funziona affatto con i Cinesi, che hanno una loro
precisa idea del lavoro, del rapporto con l’azienda e del rapporto
con l’autorità rappresentata dal dirigente.
I Cinesi però, a differenza di altri popoli, tendono a non dirlo, per
non minare quella situazione di armonia (termine che vi sentirete
ripetere spesso, e che per i Cinesi non ha una valenza solo
formale), che per loro è essenziale nei rapporti di lavoro. Poi
magari se ne vanno alla prima occasione, e spesso l’impresa non
ne capisce la ragione, rafforzando la propria convinzione sulla
inciviltà dei Cinesi. Anche in fatto di lavoro, i Cinesi hanno un
forte senso dell’autorità, ma se questo funziona bene con le
posizioni piú basse, non illudiamoci che questo significhi
posizioni passive e remissive a livello di middle e high
management.
Molti dei giovani manager cinesi che ho conosciuto hanno spesso
buone competenze professionali, e quasi sempre background
scolastici superiori a molti manager italiani da cui dovrebbero
ricevere ordini e coordinamento, ma hanno voglia di imparare, e
di fare esperienza con contesti internazionali. Molti di loro hanno
lauree cinesi o straniere e MBA16 americani o inglesi, ma hanno
ruoli e compiti che i nostri bocconiani disdegnerebbero. Ma loro
vogliono imparare, sanno di non sapere e di avere bisogno di un
confronto con le realtà straniere in termini di prassi, di
esperienza, di lavoro sul campo. Ma sono prontissimi ad
assumere presto ben altre responsabilità.

- La mancanza di una strategia a lungo termine. In troppe


situazioni la decisione di sbarcare in Cina non è legata ad un

16 Master in Business Administration

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preciso piano strategico, ma ad un bisogno immediato di
recuperare competitività.
Si pensa quindi, o si spera, che si tratti di una situazione
contingente e che primo o poi rallenterà, permettendo alle
imprese europee di rintanarsi nel loro provincialismo e nel loro
torpore per riprendere fiato.
La conseguenza è una scarsa attenzione a costruire legami a
lungo termine con i fornitori ed i clienti, a non strutturare
procedure di gestione del personale e percorsi di carriera.
Insomma, a non fare tutto quello che i Cinesi mettono al primo
posto nella lista delle loro priorità nei rapporto professionali e di
affari con le imprese straniere, dando ai Cinesi una sensazione di
provvisorietà, esattamente il contrario di quello che i Cinesi si
aspettano dalle imprese straniere.

Riassumiamo quindi quelle che potremmo chiamare le sfide


organizzative delle imprese delocalizzate (in Italia e in Cina)

- Sistema di delega appropriato e coerente

- Sistemi di controllo efficienti e gestibili a distanza

- Nuove competenze di titolari, dirigenti e collaboratori

- Riassetto del sistema della logistica

- Tempi di reattività enormemente più rapidi

- Interculturalità

- Capacità di pensare in grande

- World Wide Visioning

- Grande efficienza dei sistemi informativi e uso di


strumenti di comunicazione innovativi

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- Capacità di identificazione e copertura dei bisogni
formativi del personale italiano (anche in Italia) e cinese.

5.2 Fidarsi dei Cinesi

Premetto che nell’esperienza quotidiana incontro personale


cinese di primissimo livello, a cui ci si può affidare con una certa
sicurezza nella gestione delle imprese delocalizzate.
Spesso però gli imprenditori italiani si affidano quasi ciecamente al
partner cinese di cui sanno pochissimo, sull’onda dell’entusiasmo per
l’iniziativa.
I risultati possono essere pesanti. Le imprese italiane tendono a
non spostare personale italiano, se non personale tecnico, ma anche
in questo caso si creano grosse difficoltà nelle relazioni con fornitori
e clienti.
Il personale italiano ha ovviamente le competenze tecniche per
gestire il prodotto, molte meno competenze nella gestione delle
relazioni con fornitori e clienti. In Cina la capacità relazionale è
fondamentale.
Raramente viene spostato personale manageriale capace di
garantire uno start up efficiente e trasferire al personale cinese le
competenze necessarie per la gestione.
Ci si fida quindi completamente di personale cinese. In alcuni casi
può funzionare benissimo. In altri può diventare l’inizio della fine.
Quali sono i maggiori rischi a cui si va incontro con questi errori:

- Il responsabile cinese si attornia di una serie di figure amiche, sia


all’interno che all’esterno. Si crea così una rete di alleanze fatte
da amici degli amici. Chi conosce la mentalità e la filosofia
cinese sa bene che questo significa la creazione di un gruppo
solido, autoreferenziale e inattaccabile. Non si tratta però di un
team, ma piuttosto di un clan, in cui non ci si tradisce, e non si
tradiscono gli amici degli amici.

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- Possono nascere problemi nei rapporti con fornitori e clienti, con
la creazione di legami malati, spesso fonte di grossi problemi di
onestà e di trasparenza, che spesso portano alla rottura del
rapporto con il personale cinese.

- Le comunicazioni interne tendono ad essere accentrate sul


responsabile cinese, i collaboratori hanno lui come guida (per i
motivi che abbiamo visto sopra), anche a scapito dei rapporti con
l’impresa italiana. Spesso si tende a comunicare solo in cinese,
rendendo talvolta inaccessibili all’imprenditore italiano molte
informazioni.

5.3 Risparmi finti - costi veri

Questo elemento è molto forte nella prassi di avvio di una Società in


Cina. Come dicevo, nasce dalla presunzione di poter agire in Cina
sulla scorta delle proprie esperienze, considerandole sufficienti ad
affrontare le sfide cinesi. Non è così . Dopo un pò tutti diventano
consapevoli che la Cina è un mondo diverso. Questa tardiva
consapevolezza può costare cara.
Un altro elemento legato ai finti risparmi è la scarsa propensione
all’investimento che, combinandosi con la scarsa conoscenza del
Paese, fanno diventare costi veri quelli che sembrano risparmi, che si
rivelano quasi sempre finti.

Vediamone alcuni:

- Affidarsi ad un economico studio legale e amministrativo


cinese, anziché ad una struttura internazionale (piú costosa) per il
set up societario e per la contabilità. Normalmente lo studio
cinese viene indicato dal partner o dal contatto locale. Risultato:
scarso controllo sul set up della Società, con situazioni nascoste o
non verificate che daranno effetti gravi nel tempo, scarso
controllo contabile, problematiche fiscali anche importanti,
difficoltà ad integrare i dati contabili in un eventuale bilancio

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consolidato. Nel caso poi di un conflitto tra i partner, possiamo
stare certi che lo studio cinese starà sempre dalla parte del
cinese, per ragioni di cultura e di relazioni che chiunque conosca
la Cina capisce perfettamente.

Il caso emblematico è quello di un nostro cliente italiano, una


piccola azienda, giovane, brillante e molto attiva, peraltro ben
guidata dai giovani manager italiani, in un settore tecnologico
avanzato, che scelse di mantenere all’interno la propria
contabilità anzichè affidarla ad uno studio di consulenza esterno.
Scelse inoltre di far selezionare il personale dal proprio General
Manager cinese, a cui fu affidata quella posizione su consiglio di
un amico cinese con cui bisognava tenere buoni rapporti. I costi
furono ovviamente molto inferiori rispetto ad una selezione
professionale affidata ad una Società di consulenza, ma il costo
del General Manager no.
L’ultimo aggiornamento a distanza di pochi mesi dallo start up è
la seguente:

- Il General Manager era stato incaricato da mesi di ricercare


una figura di supporto tecnico. Dei due candidati individuati,
uno non si è presentato all’appuntamento (frequentissimo), il
secondo ha dato forfait dopo aver firmato il contratto di
assunzione (anche questo fatto è molto frequente; si
accordano su tutto per cambiare lavoro, fanno addirittura
firmare all’azienda il contratto preliminare, poi usano questa
situazione per battere cassa alla loro azienda, ricattandola con
la minaccia di andarsene. In genere, se la persona è valida,
l’Azienda cede e gli concede un aumento di stipendio. In Cina
non è un comportamento considerato disdicevole, anzi è
indicatore del valore della persona).

- La responsabile amministrativa (scelta a suo tempo dal


General Manager), sulla quale ci era stato chiesto un
assessment delle competenze17, (con nostro giudizio

17 Valutazione delle skill e delle competenze professionali

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pesantemente negativo nel quale ne proponevamo la
sostituzione), aveva commesso alcune leggerezze formali che
costeranno all’azienda 45.000 $ tra tasse evitabili e mancati
rimborsi fiscali.

- Sia la responsabile amministrativa che il General Manager, a


seguito di questa catena di inefficienze, hanno annunciato
l’intenzione di andarsene.

- Il manager ha già affidato la selezione del nuovo personale ad


una Società di consulenza, insieme ad un incarico per la
revisione organizzativa.

Sostanza: in termini di puri esborsi finanziari, abbiamo già detto. In


termini di inefficienza e time wasting rispetto a Clienti, produzione,
ecc. saranno enormemente superiori rispetto a quanto sarebbe costato
affidarsi da subito a dei consulenti amministrativi internazionali e ad
head hunter. Davvero risparmi finti, costi (enormi) veri.

- Selezionare il personale sulla base di indicazioni, suggerimenti,


raccomandazioni del partner o del contatto locale. La verifica
delle competenze è molto scarsa, si creano delle alleanze
all’interno dello staff che possono provocare gravi ripercussioni
in termini organizzativi, con reciproche coperture.
La selezione del personale da parte di professionisti italiani o
europei è più costosa, ma garantisce un tasso di errore inferiore,
ed è già un risultato.
Liberarsi del personale legato a doppio filo con il partner risulta
quasi sempre una strada impraticabile. Le soluzioni sono sempre
costose.

- Scelta del partner con cui avviare le operazioni. Anche in questo


caso c’è molta occasionalità. Spesso il partner è una conoscenza
superficiale o quasi. Al partner cinese viene talvolta affidata la
completa gestione della Società. Il controllo è molto scarso. Gli
effetti disastrosi, in termini economici ma anche di responsabilità
legale (fisco e diritto del lavoro in particolare)

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- Avviare una iniziativa sulla base di pochi dati parziali. Abbiamo
visto casi di imprese gasate dal mercato, sulla base di un
esperienza di alcuni giorni o alcune settimane in Cina. Qualche
spettacolarità, in cui i Cinesi sono abilissimi, è sufficiente a
convincere l’azienda che la Cina è il suo futuro, e che il partner è
quello giusto.
Raramente si procede ad una analisi approfondita del mercato, a
svelarne i dettagli, a fare delle verifiche di tipo strategico ed
economico sul Paese. Quando l’affare è avviato, ed escono i
bubboni, l’Azienda è sostanzialmente costretta a fare fronte alle
inaspettate situazioni che quasi sempre hanno gravi riflessi
economici.
I partner cinesi improvvisati appaiono molto più economici di
uno studio approfondito del mercato. I costi successivi sono
talvolta molto più pesanti. Quando si è costretti ad intervenire per
rimettere in sesto la situazione, e proteggere l’investimento, non
si può badare a spese.

- Non eseguire una due diligence prima di avviare una JV o


addirittura di acquisire in parte o in toto un’azienda cinese. La
due diligence è uno strumento di estrema utilità, che previene
sorprese successive. Ḗ una revisione contabile, legale, fiscale,
societaria. Garantisce che tutti gli adempimenti amministrativi
siano regolari, che il nuovo socio, o il compratore non si trovi
con sorprese relativamente a diritti di proprietà, tasse non pagate,
problematiche del lavoro, ecc. Può essere un servizio costoso, a
seconda di quanto si debba andare in profondità con la revisione,
ma come sempre, il risparmio è fittizio, se poi le sorprese si
rivelassero molto piú costose. Questa procedura è poco usata
dalle imprese italiane, salvo le imprese strutturate e gestite da
procedure e management qualificato, o che hanno già verificato
la necessità di questo strumento, mentre è prassi consolidata, ad
esempio, per le imprese americane.

Parlando poi del mondo degli acquisti in Cina, non basterebbero le


pagine di questo libro per documentare il rosario di lamentele da
parte degli importatori italiani, un cahiér de doléance che potrebbe

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essere molto ridotto, a fronte di pochi accorgimenti. Quali sono gli
errori più critici sul fronte degli acquisti:

- Emettere ordini ad aziende sconosciute, incontrate spesso nelle


Fiere di Hong Kong, che si dichiarano produttori cinesi e
presentano uno stand con prodotti perfetti e molto economici. In
moltissimi casi si tratta di Trading Companies che non producono
proprio nulla, non hanno una fabbrica, ma sono molto esperti nel
commercio internazionale e nelle tecniche di marketing. Queste
imprese spesso presentano prodotti o campioni perfetti, li
mandano in Italia per l’approvazione, si fanno pagare l’ordine in
anticipo (è prassi consolidata in Cina) e provvedono alla
spedizione. Solo che nel frattempo cercano il fornitore più
economico, che spesso non è lo stesso che ha fornito il campione.
Risultato, la merce che arriva non è uguale al campione, la
qualità è del tutto diversa, le dimensioni sono sbagliate.

− Non eseguire controlli di qualità . Anche quando lavoriamo con


aziende conosciute e affidabili, non si può prescindere da un
controllo di qualità sul posto prima della spedizione, e soprattutto
prima del saldo dell'ordine. In molti casi le Aziende cinesi
tendono a rilassarsi dopo le prime consegne eseguite
perfettamente. In altri casi, non avendo la perfetta
consapevolezza del prodotto o del suo uso, tendono a risparmiare
sull’acquisto di componenti, magari non visibili, che possono
inficiare, per il valore di pochi Rmb, ordini di decine di migliaia
di Euro. In altri casi, in perfetta buona fede, commettono errori
banali che possono diventare, in Italia, molto gravi, mandando su
tutte le furie l’importatore, che non capisce il motivo di tanta
leggerezza. Se fosse stato a visitare la fabbrica, magari lo
capirebbe, e probabilmente avrebbe realizzato la necessità di
allestire un servizio di Controllo Qualità sui prodotti ordinati.

Il solo accorgimento utile per garantire qualità stabile, puntualità


nelle consegne, affidabilità dei fornitori e loro competenza
tecnica, consiste nell’affidare il controllo di qualità ad una delle
tante organizzazioni che forniscono questo servizio in Cina,

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oppure di farlo in proprio, fisicamente, presso il produttore.
Il servizio è particolarmente importante quando si tratta di
contratti OEM18, sulla base dei quali il produttore cinese produce
dei prodotti su disegno e specifiche tecniche del cliente italiano,
che saranno poi utilizzati come componenti di apparecchiature,
macchine o altri prodotti finiti da parte dell’azienda italiana..
In questo caso, queste Società di servizi garantiscono la ricerca
del fornitore adeguato per competenza tecnica ed esperienza, il
controllo del campione, il controllo di qualità di componenti e
processo, infine eseguono il controllo di qualità in fase di mass
production, e in fase di pre-carico.
Naturalmente questi servizi hanno un costo, variabile dal 5 al
10% del valore FOB19 degli ordini emessi, di solito inversamente
proporzionale ai volumi di acquisto. La tendenza al risparmio di
molti compratori italiani tende ad evitare questo servizio, ma
possiamo documentare, dati alla mano, che questo costo è
incommensurabilmente più basso rispetto alle perdite
economiche derivanti dal mancato controllo.
Non si tratta solo del problema di un diverso (inferiore) valore
del prodotto fornito (spessori, materiali, componenti). Il vero
costo è rappresentato dalla mancanza di disponibilita del prodotto
nei punti vendita nel momento in cui dovrebbe esserci. Questo
elemento è particolarmente grave nel settore fashion e nei
prodotti stagionali, che devono essere in negozio con tempistiche
precise e improrogabili.

L’esempio che mi viene in mente è quello di un noto Marchio


italiano dell’intimo che ha delocalizzato tutta la produzione in Cina.
Il controllo di qualità, che normalmente viene eseguito su
componenti e processo produttivo, non è stato eseguito in uno degli
ultimi lotti di costumi da bagno in quanto il QC Manager si trovava
in ferie. Il produttore cinese ha acquistato di sua iniziativa, una

18 Original Equipment Manufacturer


19Free On Board (Reso franco bordo nave) al porto di partenza, escluso quindi il
costo del nolo marittimo

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fettuccia per il reggiseno, evidentemente piú economica di quella
normalmente usata. Il risparmio era di pochi Euro, un niente fronte
del valore di vendita dei prodotti, ma la fettuccia, al contatto con
l’acqua...si restringeva. Per un costume da bagno non è certo il
massimo. Lascio immaginare le conseguenze per l’azienda, e per tutti
i suoi franchisee.20

5.4 Replicare i modelli

Potremmo definire questo errore come il basic format degli errori


in Cina, dentro il quale sostanzialmente sono contenuti quasi tutti gli
altri.
Quando le imprese hanno forte esperienza nel proprio campo,
tendono semplicemente a replicare il modello di business e di
organizzazione aziendale che conoscono. Questa faciliterebbe di
molto le cose, ma quasi sempre il modello utilizzato non si adatta alle
specificità del mercato. Ripristinare la situazione è sempre costoso e
time consuming.
La Cina è diversa. Per molti appare un modo di dire, e si pensa a
questa diversità solo in termini di stile di vita, filosofia, cucina. Non
si ha la consapevolezza che i Cinesi hanno profondamente dentro di
sè la storia e la cultura, e non se ne staccano ovviamente nemmeno
sul posto di lavoro. Pensare di insegnare ai Cinesi modelli
manageriali stereotipati, senza adattamento culturale, è del tutto
velleitario.
I Cinesi sono assolutamente disposti ad imparare, ma lo fanno
solo a fronte di una autorevolezza e una assoluta credibilità del loro
maestro. Soprattutto, lo fanno con facilità quando percepiscono lo
sforzo di comprensione che gli stranieri fanno per interpretare la
cultura cinese e modellare su questa i loro standard manageriali,
rendendoli comprensibili ed accettabili per i Cinesi.

20 Punti vendita affiliati alla rete di Franchising dell’azienda.

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6. La gestione delle risorse umane nelle unità
delocalizzate

6.1 Scegliere e assumere personale cinese

Il tema della gestione delle Risorse Umane in unità estere


delocalizzate in Cina è un tema trasversale, toccando tutti i diversi
momenti, situazioni e fasi di un investimento estero in Cina. Ne
abbiamo già accennato in precedenza, e ci ritorneremo ancora in
seguito. In questo capitolo vorremmo occuparci specificamente delle
fasi di ricerca e selezione.
Diciamo subito che non è un argomento facile. Esistono molti
canali per ricercare delle figure professionali, ma sono accessibili
solo ad aziende che abbiamo già una propria presenza formale in
Cina. Si tratta in particolare di siti web specializzati (in particolare
ricordo l’affollatissimo e seguitissimo www.51job.com). Altri siti
specialistici di Associazioni datoriali e di settore possono essere
molto utili per ricercare posizioni di particolare spessore
professionale.. In ogni caso l’impresa italiana non riesce quasi mai ad
accedere da sola a questi database, ha bisogno di un supporto
consulenziale locale. Ma il supporto consulenziale non è solo legato
all’accesso ai canali di ricerca.
Il sistema scolastico cinese è diverso, e le modalità con cui
vengono definite le diverse qualifiche possono portare ad
interpretazioni scorrette dell’effettivo titolo di studio e delle
conseguenti competenze professionali.
Il colloquio di lavoro è pieno di insidie e di potenziali

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incomprensioni. I ragazzi cinesi che si candidano ad una posizione di
lavoro si preparano molto bene imparando quasi a memoria il loro
curriculum (soprattutto quando la conversazione si svolge in inglese,
come accade quasi sempre). In questo caso possono dare
l’impressione di una buona conoscenza dell’inglese, ma se li
interrompiamo spesso non riescono a riprendere il filo, o ci rendiamo
conto che non comprendono le nostre domande, mettendo in
evidenza le loro lacune linguistiche.
La parte piú difficile da valutare in un colloquio di lavoro è quella
relativa alla persona in sè, alle sue caratteristiche umane e relazionali.
I Cinesi non amano molto parlare di se stessi, forzano il colloquio sui
temi tecnici, e sono talvolta sorpresi se facciamo loro delle domande
relative alle loro caratteristiche personali. Se le nostre domande
riguardano la loro attitudine in termini di motivazione, di impegno
personale, ecc. la loro risposta è pressoché standard:

“I want to improve my professional position, and I am ready to do


my best to cooperate with your Company”21 o poco più.

Le domande relative alla loro vita privata, pur molto soft e


rispettose della privacy, lasciano sorpresi i Cinesi, che non si
aspettano domande di questo tipo, che normalmente in occidente si
pongono per costruirci un’idea generale della persona. Le risposte
normalmente sono imbarazzate, anche se gli argomenti in sè non lo
sono per nulla, almeno ai nostri occhi. I Cinesi, che quasi non hanno
il concetto di privacy,22 data la loro storica situazione di vita
collettiva e promiscua, in questo caso diventano impenetrabili.
Quindi non è affatto facile comprendere le vere attitudini della

21 Voglio migliorare la mia posizione professionale, e sono pronto a dare il meglio


di me per collaborare con la vostra Società.
22 Molti in Cina avranno notato che non c’è la nostra abitudine di scusarsi se per
strada ci scontriamo involontariamente con qualcuno. Per i Cinesi la gente è
“invisibile” perchè in realtà tutti vino “dentro alla gente”. E” un concetto forse
difficile per chi non conosce la Cina, ma molto evidente dopo qualche ora di
passeggiata in mezzo alla folla di una grande città cinese.

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persona, e talvolta il curriculum è poco specifico rispetto alle
effettive attività svolte in precedenza, mettendo invece bene in vista
il titolo professionale raggiunto. A cosa equivalesse effettivamente in
termini di mansioni operative, bisogna intuirlo o cercare di farcelo
spiegare con domande mirate e dirette. Un accorgimento importante
che usiamo sempre nelle fasi di selezione, è quello di farci assistere
da un collega cinese con una buona preparazione professionale,
capace di intuire sottigliezze linguistiche che cercherà di
approfondire con domande ad hoc.
Quindi i curricula sono solo un elemento base della selezione.
Spesso i Cinesi ci provano, soprattutto con le aziende straniere,
proponendosi per posizioni per le quali non sono qualificati, o
dichiarando di ricevere al momento uno stipendio che appare
chiaramente spropositato rispetto agli standard di mercato.
Le difficoltà di reperimento di personale qualificato variano molto
a seconda delle competenze richieste. Non è difficile individuare
figure come Quality Control Manager, Buyer, Project Engineer,
Production Manager, ecc., per i quali viene richiesta sostanzialmente
una buona preparazione tecnica, ma non sono richieste specifiche
competenze gestionali, che sono una lacuna formativa nel sistema
scolastico cinese, a cui ora si sta cercando di porre rimedio con un
fiorire di Business Schools.
In effetti, quando si ricerca un Financial Manager, o un Factory
Manager, un R&D23, o peggio ancora un General Manager, la cerchia
dei potenziali candidati si restringe moltissimo.
Non perchè non ci siano risposte agli annunci, (anzi, più è elevato
il livello richiesto, più si otterranno risposte), ma proprio per la
difficoltà a far comprendere ai candidati che non basta essere un
ottimo Ingegnere per gestire una fabbrica, e che non basta un titolo
altisonante per coprire la funzione di General Manager.
Le competenze gestionali sono poco diffuse (Pianificazione,
Gestione delle risorse umane, Gestione Finanziaria, Budgeting,
Vendite), mal si combinano con la forte convinzione dei Cinesi che
l’elemento sufficiente per ricoprire posizioni manageriali è una

23 Research & Development (Ricerca e Sviluppo)

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buona preparazione tecnica e una buona conoscenza del prodotto.
Questo è il frutto di un’economia ancora giovane, centrata sulla
produzione e sul prodotto, non ancora sofisticata in termini di
management e gestione.
Selezionare figure manageriali in Cina quindi non è affatto facile.
Naturalmente esistono molte eccezioni, e sono tutte il frutto di
esperienze maturate all’interno di grandi aziende straniere,
prevalentemente americane, europee o giapponesi (ricercatissimi nel
settore automotive i tecnici provenienti da Toyota o Volkswagen).
Queste imprese investono metodicamente e massicciamente nella
formazione del personale, fornendogli quel plus di competenze
manageriali che la scuola cinese non è evidentemente ancora in
grado di fornire.
Queste figure naturalmente conoscono il valore aggiunto della
propra competenza manageriale, e ovviamente parlano un ottimo
inglese. Di conseguenza, lo stipendio di un Ingegnere che
normalmente potrebbe aggirarsi intorno ai 7.000 – 10.000
RMB/mese, schizza velocemente a 12.000 -15.000 RMB/mese.24 Il
solo fatto di parlare un buon inglese, normalmente fa lievitare di un
15/20% lo stipendio, per tutte le figure professionali.
Un’altra importante ragione per utilizzare Società di Consulenza
nella selezione del personale riguarda gli aspetti contrattuali e di
gestione del personale. Esiste un meccanismo molto intricato di
bonus, house allowance, social costs, ecc. per cui talvolta si finisce
per non capire bene quanto ci costerà in effetti la persona che stiamo
assumendo.
Un ultimo aspetto riguarda le motivazioni del personale
manageriale. L’aspetto economico è naturalmente rilevante per un
Cinese (come lo è per un italiano o un tedesco), ma non è il solo
elemento che lo farà propendere per l’accettazione dell’incarico.
L’immagine e la reputazione dell’Azienda e del suo brand, il suo
posizionamento di mercato, le prospettive di carriera che vengono
proposte, sono tutti elementi tenuti in grande considerazione dai

24 Stipendio lordo del dipendente. Include solo le quote di imposte e oneri a suo
carico

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candidati di valore, insieme ad un elemento che a noi sembra banale,
ma in Cina non lo è affatto: il titolo formale che viene assegnato alla
persona (General Manager, piuttosto che Factory Manager, QC
Manager, piuttosto che Quality Engineer, e così via).
Proprio per tutti gli aspetti che ho appena citato, la giusta scelta
del personale dirigente in Cina è assolutamente essenziale. Non
dimentichiamo che starà poi a loro selezionare il resto dello staff, e
da loro quindi dipende la qualità delle vostre risorse umane. Il
tentativo di risparmiare sui costi di selezione, o sui costi dello
stipendio, affidandosi ai buoni uffici del partner cinese, o fidandosi
di incontri quasi casuali (sto pensando ad esempi molto concreti a cui
ho personalmente assistito) rischia di minare la stabilità
organizzativa del vostro investimento.

6.2 La nuova legge sui contratti di lavoro

Ḗ entrata in vigore dal 1 Gennaio 2008 la nuova legge sul lavoro in


Cina. Un cambiamento molto forte, per quanto atteso, che allinea la
legislazione cinese alle norme abitualmente utilizzate in occidente,
mettendo peraltro fine a quella infinita serie di critiche e accuse
rispetto allo sfruttamento della manodopera cinese. L’effetto di
questo cambiamento peraltro, sta iniziando a provocare un piccolo
terremoto rispetto agli investimenti esteri in Cina.
Già alcune delle grandi imprese manifatturiere occidentali,
americane in particolare, la cui produzione è ad alta intensità di
lavoro, stanno pensando di trasferire le loro produzioni in Vietnam,
India, o altri Paesi orientali.
Quali sono le caratteristiche principali di questo cambiamento.
Viene introdotta l’obbligatorietà del contratto scritto, si
stabiliscono le regole di orario (8 ore giornaliere per 5 giorni la
settimana) e conseguentemente viene riconosciuto il diritto al
compenso straordinario per l’overtime (che arriva fino a 3 volte il
compenso ordinario per lavoro prestato in giornate festive).
Vengono definiti i benefit sociali e assicurativi, e si introduce il
concetto di liquidazione. Si tratta di norme che nel mondo

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occidentale sono del tutto scontate, facendo parte della normativa
relativa alla protezione dei diritti dei lavoratori. L’effetto che questa
nuova legislazione sta provocando in Cina è invece piuttosto pesante,
soprattutto per le imprese straniere, che saranno probabilmente molto
più controllate rispetto alle imprese cinesi. C’è indubbiamente un
impatto rispetto al costo del lavoro, e questo ha allarmato la
comunità degli investitori stranieri.
In effetti, questa nuova legislazione giuslavorista si inquadra in
una serie di tasselli legislativi (ristorni Iva, restrizioni a particolari
attività industriali, ecc.) che fanno intravedere una strategia
industriale del governo cinese tendente a valorizzare produzioni con
alto valore aggiunto, a minore intensità di lavoro, con alto valore
tecnologico e di innovazione.
Si inquadra anche nella politica di allineamento agli standard
sociali richiesta a gran voce dal mondo occidentale.

Per un maggiore dettaglio sulla nuova legge cinese sul lavoro,


rimandiamo al successivo allegato B)

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7. Produrre in Cina - Vendere nel mondo

7.1 Cedere know how per mantenere la competitività in


Italia

Il titolo contiene naturalmente un paradosso provocatorio. Cedere


tecnologia non aiuta normalmente a mantenere la competitività, ma
le esperienze in Cina stanno dimostrando che attraverso la cessione
in licenza di tecnologia italiana, si sostiene la competitività delle
stesse imprese italiane che la possiedono.
Di che cosa stiamo parlando? Esistono molte situazioni,
soprattutto nella meccanica, e nelle PMI italiane, nelle quali le
imprese italiane stentano fortemente a mantenere il passo
competitivo di competitor cinesi o, molto più spesso, di competitor
europei che hanno decentrato la produzione in Cina.
Le aziende italiane stanno cercando di mantenere il passo, e le
quote di mercato, con l’unico strumento di immediato utilizzo: la
riduzione dei margini di profitto. Questa strada ha come premessa la
convinzione che prima o poi il fenomeno cinese si sgonfi, e che il
differenziale qualitativo italiano venga riconosciuto e ripagato.
In effetti la realtà sembra molto diversa.
Da un lato le imprese cinesi sono ben lontane dall’aver esaurito la
loro forza propulsiva sui mercati esteri, dall’altro bisogna riconoscere
che la loro velocità di innovazione tecnologica è veramente
straordinaria.
Il risultato è che prima o poi il gap effettivo della tecnologia

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italiana verrà superato.
Perchè parlo di gap effettivo?
Esiste indubbiamente un differenziale tecnico e qualitativo dei
prodotti italiani rispetto alla produzione cinese, ma molto di questo
gap viene interpretato dai mercati emergenti come fronzoli poco
rilevanti rispetto al vero gap di efficienza o economicità della
produzione, che davvero interessa alle industrie di questi mercati.
Su questi importantissimi mercati (Cina, India, Vietnam, ecc.)
conta naturalmente molto il livello tecnologico, ma conta soprattutto
il rapporto tra costi ed efficienza. Quindi, le imprese orientali sono
certamente diposte a pagare un prodotto italiano più di quello locale,
ma limitatamente agli effettivi vantaggi che questo prodotto può
determinare rispetto ad un analogo prodotto locale.
Una delle possibili strade che possono aiutare a risolvere questo
problema, riguarda la possibilità di far produrre in Cina componenti,
parti finite, o intere apparecchiature, da partner cinesi, attraverso un
contratto di licenza che vincoli fortemente il partner al rispetto dei
diritti di proprietà intellettuale. Esistono diverse strade per ottenere
questo risultato, una delle quali è costituire una Joint Venture con il
partner, per il solo sfruttamento della licenza, o per produrre insieme.

Gli effetti di questa soluzione sono molteplici:

1. L’Azienda italiana mantiene il controllo della propria tecnologia

2. Nello stesso tempo, può concedere al partner cinese il diritto di


vendere i prodotti derivati da questa tecnologia sul mercato
cinese, direttamente o in partnership, attraverso il
riconoscimento di royalties all’azienda italiana. In questo modo,
peraltro, si tengono sotto controllo i vari parametri commerciali
del partner: posizionamento sul mercato, tipologia di clientele,
politiche di prezzo, margini industriali e commerciali.

3. L’Azienda italiana può essa stessa commissionare prodotti


derivanti dalla tecnologia ceduta.
Si approvvigiona quindi a prezzi competitivi sia per il mercato
interno italiano, sia per i propri mercati di esportazione,

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recuperando quei margini che sta perdendo.

Il mix che si genera è veramente interessante, e va a coprire un


bisogno di tecnologia che effettivamente esiste sui mercati orientali,
offrendola ad un prezzo competitivo derivante dal minor costo della
produzione cinese. Nello stesso tempo, l’Azienda recupera la
possibilità di contrastare le produzioni orientali sui mercati europei,
grazie al mix tra tecnologia italiana e minor costo della produzione
cinese.25

7.2 Case history

Per fornire un esempio concreto di quanto sopra descritto, posso


citare un progetto che ho seguito per alcuni mesi in Cina. Si tratta di
una Engineering Company italiana specializzata nella produzione di
alcune macchine industriali utilizzate nel processo di produzione
della carta. Grazie all’indubbio talento dei progettisti, il processo
industriale forniva dei plus formidabili al produttore di carta, in
termini di costi energetici e di qualità .
Nei grandi mercati emergenti però il rapporto qualità/prezzo non
era più sostenibile, e molte commesse venivano perse, o acquisite a
prezzi non convenienti, a favore di concorrenti europei o degli stessi
paesi emergenti, che, a fronte di un diverso livello qualitativo (non
incolmabile nel medio periodo), garantivano un prezzo di
eccezionale competitività, assolutamente fuori portata della nostra
azienda cliente.
Si presentava quindi la necessità di produrre quelle macchine a
standard di qualità assolutamente identici, ma con un prezzo che, pur
non scendendo fino a quello dei concorrenti più scadenti, garantisse

25
Nella classifica mondiale della competitivitàla Cina ha scalato ben 12 posizioni
nel corso del 2005 (dal 31°al 19°). L’Italia è al 56°posto. (Fonte: Camera di
Commercio Italiana in Cina)

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un discreto appeal sui clienti più esigenti.
La risposta è stata ovviamente: Cina, anche considerando che il
mercato di questo prodotto in Cina si presentava enorme, e in fase di
crescita e di sostituzione di impianti obsoleti.
Contemporaneamente però’ si presentava un ulteriore problema.
Quel processo non era brevettato, e probabilmente non era
brevettabile. Consegnarlo direttamente nelle mani di un terzista
cinese, sostanzialmente un concorrente, per farlo produrre,
significava un suicidio certo in tempi brevi.
Ci si indirizzò quindi alla individuazione di una modalità
accettabile per l’impresa italiana, che intendeva monetizzare anni di
ricerca e sviluppo sul prodotto, e consentisse contemporaneamente di
ottenere i vantaggi economici del sistema produttivo cinese.
Fu quindi messo a punto un progetto di cessione di know how che
fosse in grado di garantire tutti gli aspetti e gli attori coinvolti,
secondo lo schema che segue:

Grafico 1

Societa italiana di Societa cinese di


Engineering produzione impianti

J.V. FICE

Lo schema fu messo a punto secondo questi parametri:

- La Società italiana intendeva cedere la tecnologia relativa a


questo processo industriale per 3 ml. di USD

- Si costituiva una FICE (Foreign Invested Commercial

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Enterprise)26 nella forma di una Joint Venture tra i due partner. Il
capitale della JV veniva fissato in 3 ml/USD (il valore
concordato della tecnologia)

- Il capitale iniziale veniva ripartito al 70% alla Società Italiana,


attraverso il conferimento della tecnologia alla JV, e al 30% alla
Società cinese, mediante versamento in cash, che rappresentava
dunque un primo anticipo all’azienda italiana sulla cessione.
(Una difficoltà di questo passaggio è rappresentata dalla necessità
di verifica della congruenza del valore della tecnologia apportata
da parte della autorità cinesi. L’apporto in kind, anche sotto
forma di know how, è accettabile, ma è difficile vendergli
lucciole per lanterne. In un sistema tecnologico come quello
italiano, dove l’abitudine di brevettare prodotti o processi
industriali è poco diffusa, questo può essere un passaggio
insormontabile)27

- La JV (controllata al 70% dalla Società italiana) divenva quindi


detentrice della tecnologia, rendendola disponibile alla Società
cinese attraverso un contratto di licensing per la produzione e la
commercializzazione sul mercato cinese.

- Su tutte le vendite effettuate sul mercato cinese, la Società


avrebbe versato una royalty del 15%, a fronte della quale la
Società italiana avrebbe proporzionalmente ceduto quote della JV
cinese, fino al completo ripagamento dei 3 ml/USD.

Quindi, alla fine del percorso, la Società cinese sarebbe diventata


proprietaria del 100% della JV, ovvero della tecnologia, e la Società
italiana avrebbe incassato i 3 milioni. che si era ripromessa.
Ma il contratto forniva ulteriori importanti vantaggi alla Società

26 Società commerciale a partecipazione straniera. Una forma societaria introdotta


solo recentemente nell’ordinamento Cinese.
27
Anche nel caso di conferimenti in natura con macchinari, attrezzature, ecc. il
percorso può diventare difficile.

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italiana. Questa avrebbe mantenuto l’esclusiva di vendita dei prodotti
manufatti dalla Società cinese sulla base della sua (ex) tecnologia, su
alcuni mercati in cui l’Azienda era particolarmente forte, godendo
dei vantaggi competitivi del prodotto Made in China, e mantenendo
per alcuni anni un impegno di assistenza tecnica e di formazione del
personale cinese, che le garantiva la effettiva qualità della
produzione
Mi pare di poter dire che questo esempio rappresenti una vera
integrazione tre le diverse economie (italiana, cinese, e dei paesi terzi
clienti), è un effettivo esempio di Italian Style - China Made nel
settore dei prodotti industriali.

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8. Comprare in Cina

8.1 Traders, produttori, compratori: comprare qualità

Acquistare in Cina è da molti anni una scelta per diverse aziende


italiane, per altre una necessità, ma comprare in Cina non è affatto
facile, e gli esempi di risultati negativi si contano a decine, andando
dalla truffa vera e propria fino a effettivi problemi industriali relativi
alla qualità.
Sono sempre frutto di un improvvisazione, di un mancato
controllo, di una non conoscenza delle modalità di lavoro cinesi,
della loro mentalità, e dell’ambiente economico cinese.
Molti compratori italiani non sono mai stati in Cina, non hanno
mai visto le fabbriche cinesi che producono i loro prodotti. Si sono
spesso fidati delle Fiere a Hong Kong (Paese molto più comodo della
Cina).
Nelle Fiere di Hong Kong si incontrano moltissime Società di
Trading (honkonghine o cinesi), che in generale hanno personale
preparato alla vendita e con un ottimo inglese.
Questo dovrebbe gia allertare i compratori, perchè un ottimo
inglese è molto difficile da reperire nelle fabbriche cinesi. Ciò non
significa che sia in ogni caso negativo acquistare dalle Trading.
Non c’è niente di male a pagare un sovrapprezzo per un servizio
di controllo qualità, per una più facile comunicazione con il
fornitore, ecc. Basta saperlo.
Basta sapere quanto paghiamo in più dell’effettivo costo

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industriale, e quando affidabile è il trader. Alcune Società di trading
infatti sono veramente forti in Cina, e molto affidabili.
La loro forza contrattuale è veramente tale, e consente di acquisire
prodotti controllati a prezzi molto interessanti. Le stesse aziende
produttrici cinesi, molto spesso prive delle licenze di esportazione, si
affidano completamente alle trading per i loro ordini export.
Altre, invece, sono dei puri speculatori che non hanno alcun
interesse a mantenere rapporti duraturi con il compratore, fanno
operazioni spot cercando solo il massimo del profitto. Propongono
campioni che poi fanno produrre al prezzo più basso possibile,
indipendentemente dalla qualità, non hanno alcuna attenzione per il
prodotto ed il suo controllo, per le componenti utilizzate, ecc.
Quando insorge un conflitto sulla qualità, su un prodotto difforme,
non hanno alcun interesse a cercare una transazione conciliativa.
Cambiano cliente, o settore, o fornitore. Il loro unico interesse è il
profitto immediato.
Diversamente funziona con i produttori. Generalmente hanno una
reputazione da difendere, cercano un rapporto continuativo, sono
disponibili ad apprendere, e disponibili a negoziare una transazione
qualora insorgano problemi di qualità o di compliance rispetto alle
richieste del Cliente.
Individuare il fornitore adeguato non è semplice. Sono necessari
incontri diretti (piu di uno), analisi degli impianti e delle attrezzature,
verifica della affidabilità del fornitore, capacità tecniche e
manageriali.
Molti fornitori cinesi presentano un sito internet
straordinariamente efficace e con una grande immagine. Spesso
questo nasconde una situazione del tutto diversa: aziende decotte,
sotto standard da tutti i punti di vista, disorganizzate e prive del
minimo scrupolo rispetto ai dipendenti, alla sicurezza, ai diritti.
Per molte imprese italiane, e per me in primis, la valutazione etica
del fornitore è una delle discriminanti nella scelta e validazione di un
partner.
Anche per quanto riguarda i prezzi di acquisto, la cautela è
d’obbligo.
Il primo prezzo che viene fornito ad un potenziale compratore
straniero non è quasi mai quello che si può effettivamente pagare, il

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prezzo vero esce dopo un pò di trattativa, dopo alcuni incontri
personali, dopo che al venditore è stato sottoposto un programma di
acquisto, e dopo che lo stesso ha maturato una certa fiducia nei
confronti del compratore.
Questo significa che la ricerca di fornitori e trattativa richiedono
tempo, molto tempo, e presenza fisica in Cina. A volte osserviamo
importatori italiani che immaginano di fare una ricognizione in Cina
per una settimana, pensando di potersi fare un idea della produzione
e dei prezzi in un tempo ridotto.
Questo è possibile solo se si sono fatte preventivamente delle
attività di marketing di acquisto, una scrematura preliminare dei
fornitori, e questa è un attività che, anch’essa, richiede tempo, sia che
sia svolta direttamente dall’impresa, sia che sia affidata a Società di
consulenza locali.
Molte imprese italiane, presenti in Cina da molto tempo, si sono
ben attrezzate, probabilmente memori di sonore bastonate e perdite
economiche.
Moltissime altre però sono del tutto impreparate ad affrontare gli
acquisti nel mercato cinese. I risultati talvolta sono davvero pesanti.
Potremmo raccontare di decine e decine di situazioni che abbiamo
vissuto direttamente, relativamente a:

- Anticipi pagati, fornitore sparito


- Porte o finestre ordinate con una misura e fornite con un’altra
- Componenti metalliche fornite in quantità diversa da quella
prescritta, con spessori diversi e inadeguati
- Componenti in fusione di ghisa con un tasso di rilavorazione in
Italia del 30%
- Antine da cucina fornite con spessore e finiture diverse
- Borsette in cuoio fornite in finta-pelle
- Ordini evasi con settimane di ritardo
- Richieste di aumento di prezzo nel corso della lavorazione

E così, via, con una via crucis di dolori e danni economici. Come
si evitano questi problemi?
Ci sono due tipologie molto diverse di compratori:

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- Compratori professionali, in genere buyer di imprese produttrici
italiane che acquistano componenti o prodotti finiti.
Generalmente hanno una visione professionale degli acquisti,
grande precisione nella definizione degli ordini, inquadratura
strategica degli acquisti in Cina nell’ambito delle strategie
aziendali.
Questi compratori in genere capiscono velocemente la situazione,
si strutturano con un Ufficio di Rappresentanza, o almeno con
personale cinese in loco, oppure si affidano a Società di
consulenza italiane che garantiscono loro il controllo qualità, la
gestione ordini, le consegne, le ispezioni pre-carico.
Non vogliono correre rischi. Se il prodotto o il componente
cinese è strategico, il 5 o l’8% che devono mettere nei costi non
fa alcuna differenza.
La mancata aderenza agli ordini, la ritardata consegna, o
problemi di qualità, avrebbero costi decisamente superiori. Questi
compratori conoscono bene il costo della non-qualità .

- Compratori occasionali. Si tratta molto spesso di commercianti,


in difficoltà con il prodotto europeo, minacciato dalla presenza di
prodotto cinese sui loro mercati. Vogliono disporre di un
prodotto alternativo per non subire passivamente la concorrenza
cinese.
La Cina non è sempre strategica per loro. Se conviene, comprano
in Vietnam, Thailandia, India, Indonesia.
Sono i più soggetti al problema qualità. La loro situazione di
mercato li costringe a cercare il prezzo più basso, e il costo del
controllo e della assistenza agli acquisti appare loro insostenibile.
Non hanno quindi struttura di controllo, acquistano spot spesso
da Trading Companies.
Ho visto alcuni di questi comprare direttamente da alibaba.com
(il piú grande portale per gli acquisti in Cina), senza aver mai
incontrato il fornitore, senza vedere l’azienda, magari anche
senza aver visto un campione. Tutti i traders professionali in Cina
usano alibaba.com per la sua vastità, completezza, efficienza, e
rapidità di consultazione, ma a nessuno di loro verrebbe mai in
mente di piazzare un ordine on line di un contaienr, e di pagarlo

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pure in anticipo. Alibaba.com è la modalità piú semplice per la
ricerca, ma poi si mettono in moto i contatti diretti e il Controllo
di Qualità in Cina.
Molte volte quindi, questi compratori occasionali lasciano cadere
l’iniziativa dopo alcune esperienze negative, diffondendo in Italia
l’idea del Made in China scadente, inaffidabile, insicuro.

Lo raccontino a Toyota, Mercedes, BWM, Volkswagen, ai grandi


stilisti italiani che producono in Cina, o ai grandi produttori
americani di elettronica o di cellulari! (l’80% dei cellulari del mondo
è prodotto in Cina).
Persino il caso dei giocattoli americani MATTEL ritirati dal
mercato perche prodotti con modalità e materiali pericolosi, si è
smontato con l’ammissione da parte della multinazionale americana
che il problema è nato da un loro errore di progettazione.
I giornali italiani, spesso superficiali e approssimativi, hanno dato
grande risalto al problema, ma non ho letto una riga, o forse mi è
sfuggita, tanto probabilmente era ben nascosta, sul fatto che il
Presidente della Mattel è volato in Cina a scusarsi personalmente con
le autorità cinesi per la cattiva immagine del Paese che questa
situazione aveva diffuso.
Le televisioni cinesi, ovviamente, hanno dato un enorme risalto a
questo fatto.
In Cina quindi, è ampiamente dimostrato, si possono produrre
prodotti di qualità identica a quella europea, ma la cosa non avviene
da sola.
Nonostante le forti campagne governative a favore della
valorizzazione e della qualità del Made in China, esistono molte aree
di rischio e di incertezza che possono essere coperte solo
dall'intervento di controllo dei compratori.
Le imprese cinesi infatti tendono ad essere ligie per i primi ordini,
poi spesso si lasciano un pò andare e tendono a curare meno la
qualità . In altri casi spesso non hanno perfettamente presente l’uso e
il valore di un dettaglio tecnico.
Deve essergli spiegato in dettaglio, e deve esserne data una forte
motivazione tecnica. Quello che per il compratore italiano è
un’esigenza, magari solo estetica, per il produttore cinese può

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apparire un fronzolo inutile.

8.2 Organizzarsi per l’acquisto professionale

A seconda delle effettive esigenze, e della complessità industriale


e commerciale, i compratori professionali si organizzano con
modalità diverse:

a) Uffici di Rappresentanza. Gestiscono gli acquisti e la logistica, il


controllo qualità, il processo produttivo

b) Eseguono costantemente marketing di acquisto, ricercando nuovi


fornitori e materiali

c) Coordinano team di QC Engineer sparsi in tutta la Cina

Abbiamo esperienza diretta di almeno due o tre casi casi di grandi


aziende italiane che, pur producendo tutto in Cina, non dispongono
di nessuna struttura produttiva propria in loco, ma dispongono invece
di team di QC Engineer28 composti da centinaia di tecnici in tutta la
Cina, coordinati dal Chief Representative, e supportati da tecnici
italiani.
Tutta la loro produzione è affidata a terzisti sotto contratto OEM.
In altri casi, il coordinamento di centinaia di fornitori locali, da cui
vengono acquistati tutti i componenti per la produzione di un
prodotto, che poi vengono affidati a pochi assemblatori cinesi,
richiede una forma più strutturata.
Ecco allora la necessità di utilizzare una FICE partecipata al 100%
dalla Società italiana.

Quali sono le ragioni per questo investimento:

28 Tecnici addetti al Controllo di Qualità

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- La grande quantità di componenti da acquistare

- Il numero elevato di fornitori da gestire, e la loro diversificata


localizzazione geografica

- La necessità di acquistare direttamente dai fornitori tutti i


componenti, evitando di creare un rapporto diretto tra sub
fornitori e assemblatori. Questo consente di mantenere sotto
controllo il dettaglio dei costi, ed evita accordi sottobanco tra
fornitore di componenti e assemblatori.

- La necessità/possibilità di utilizzare la FICE anche per la


riesportazione diretta dalla Cina dei prodotti acquistati dai terzisti
verso Paesi terzi.

Case history

In altri casi, la necessità di una FICE nasce da valutazioni


commerciali di altro tipo. Nel caso che esemplifichiamo qui sotto,
schematizzato, un produttore italiano di piccoli elementi per la
pneumatica, riceve forti sollecitazioni dal suo distributore brasiliano
(mercato strategico per l’azienda) che, pur volendo mantenere il
rapporto con il produttore italiano, di cui è socio, è sotto pressione
per la presenza in Brasile di competitors cinesi.
Chiede quindi al proprio fornitore e partner italiano di sostenerlo
approvvigionandosi a sua volta in Cina. Lo schema che abbiamo
messo a punto per questo caso è il seguente:

a) Viene steso un accordo di massima tra la Società italiana e il


distributore brasiliano che garantisce l’azienda italiana rispetto
all’impegno del distributore di non trattare prodotto di origine
cinese, se non fornito dall’azienda italiana;

b) L’Azienda italiana costituisce una Società di diritto di Hong

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Kong, domiciliata presso una Società di servizi29

c) La Società di Hong Kong, fonda una Società di diritto cinese, di


cui detiene la maggioranza, assieme al proprio fornitore cinese

Grafico 2

Produttore italiano Distributore


brasiliano
Elabora un accordo di
100% collaborazione con il
proprio distributore
brasiliano

Società di HK Service di Hong


Kong
Si domicilia presso un
51% “Service” di HK

FICE Joint Venture


Produttore cinese
49%

Che cosa ha ottenuto il produttore italiano con questa architettura


che appare elaborata, ma in effetti è molto semplice:

a) Mantiene le quote di mercato in Brasile, e vincola il proprio

29
La procedura di costiture una holding company ad Hong Kong è molto diffusa,
in relazione alla necessità, spesso avvertita, ma non sempre necessaria, di creare un
filtro tra l’investitore e la Società operative cinese. La domiciliazione presso un
Service (in genere una Società di avvocati) semplifica la procedura ed i costi.

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distributore a non trattare altro materiale di origine cinese

b) Si approvvigiona a condizioni di favore, presso il partner cinese,


sia per l’esportazione diretta in Brasile sia per fornire il mercato
italiano, che comunque richiede l’alternativa del prodotto cinese.

c) Vincola il proprio partner cinese rispetto alla vendita sul mercato


brasiliano e italiano, evitando la presenza di un competitor
potenzialmente molto pericoloso nei suoi mercati privilegiati
(Italia e Brasile)

d) Dal punto di vista fiscale, ottiene una serie di vantaggi potendo


decidere una allocazione ottimale dei profitti (in Cina, ad Hong
Kong, in Italia, o addirittura in Brasile dove la Società italiana è
partner di minoranza nella Società di distribuzione). Questo
aspetto è comunque legato a specifici approfondimenti legali e
fiscali in merito al transfer price30, elemento regolamentato sia in
Italia che in Cina.

30 Valore di trasferimento di beni o servizi tra Società collegate (controllate o


participate), soggetto a valutazioni fiscali nella maggior parte degli ordinamenti.

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8.3 I contratti OEM

Raramente le imprese italiane acquistano prodotti pronti


disponibili nel catalogo del produttore cinese. Hanno quasi sempre
bisogno di comprare uno specifico prodotto, esattamente uguale a
quello che stanno gia producendo, o comprando, in Italia o in
Europa.
Si tratta di produzioni definite OEM (Original Equipment
Manufacturer). Sostanzialmente, la ditta Cliente fornisce tutti i
dettagli tecnici di un prodotto che normalmente è un componente di
un altro, più complesso, prodotto.
La correttezza tecnica della produzione in Cina, è quindi
essenziale, poiché una difettosità del componente cinese rischia di
compromettere l’intero prodotto italiano su cui viene montato, e che
normalmente ha un valore enormemente più elevato dello specifico
componente commissionato al fornitore cinese. Si tratta quindi di un
aspetto molto delicato del processo produttivo.
Le garanzie che il cliente italiano può mettere in campo per
evitare la compromissione del proprio processo produttivo per ritardi
nella consegna o non conformità del prodotto sono costituite da:

- Fornitura di dettagli tecnici molto precisi al produttore cinese


(disegni, progetti, in 2D o 3D), grande cura della traduzione in
inglese e/o cinese;

- Controllo e collaudo di eventuali sub-componenti acquistati in


Cina (direttamente dal fornitore o dal cliente stesso, e
successivamente consegnati al fornitore)

- Controllo di qualità da parte di personale tecnico italiano sul


posto di produzione nella fase di lavorazione.

- Controllo in fase di pre-carico del prodotto.

Tutto questo dovrebbe essere inoltre dettagliatamente previsto da


specifici contratti denominati appunto contratti OEM.

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Quando sono stesi nella corretta formulazione legale cinese,
possono costituire un valido elemento di eventuale rivalsa giuridica
nei confronti del fornitore cinese.
Questi contratti, proprio per la loro complessità, e la necessità di
adeguarli alla specifica normativa cinese, devono essere affidati a
consulenti legali europei o italiani in Cina, che dispongano di
competenze legali cinesi molto approfondite, e possano utilizzare
legali di lingua cinese.
Per questo, hanno normalmente un certo costo, che varia in
funzione della complessità del contratto, ma diciamo che siamo
nell’ordine di alcune migliaia di Euro. Molto poco, rispetto ad danni
che potrebbero evitare, ma sufficienti a sconsigliare la spesa alla
maggior parte dei compratori italiani. Consigliamo costantemente
l’uso di questi strumenti, ma raramente il consiglio viene accettato.
Molto più spesso, siamo invece richiesti di avviare cause legali
contro fornitori cinesi inadempienti, trovandoci purtroppo a
consigliare di non intentare la causa, destinata con grande probabilità
ad essere persa, in assenza di un assetto formale corretto del rapporto
tra cliente e fornitore.
Ma vediamo in dettaglio che cosa dovrebbero contenere i contratti
OEM (e che possono analogamente valere per i contratti Processing
and Assembling).

(Questi elementi sono tratti da elaborazioni su materiale del Dott.


Alberto Vettoretti, Managing Partner di Dezan Shira & Associates)31

- Dettagli delle Società contraenti

- Dettaglio della licenza sulla base della quale viene formulato il


contratto, includente la clausola Supply only to:, vale a dire il
divieto di fornire altri clienti con lo stesso prodotto

- Specifiche dettagliate del prodotto

31 www.dezshira.com

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- Descrizione dei processi produttivi e definizione degli impianti e
dei materiali da utilizzare

- Eventuali vincoli nell’acquisto di semilavorati, materie prime,


sub componenti

- Dettagli sul controllo di qualità: modalità del controllo interno,


identificazione della difettosità, accettazione di visite ispettive
del cliente o di terzi autorizzati

- Restrizioni: vincolo di esclusiva, impegno di non divulgazione

- Prezzi, consegne, pagamenti

- Vincoli sulla proprietà intellettuale

- Termini per la rescissione del contratto

- Altre specifiche di prodotto

Come si vede, si tratta di una stesura di una certa complessità, e


richiede una precisa consapevolezza dei problemi da parte
dell’impresa cliente.

Vademecum sintetico per avviare un buon rapporto per le relazioni


industriali su base OEM

Oltre agli aspetti formali e contrattuali, alcuni suggerimenti per la


costruzione di un buon rapporto con il fornitore a cui intendete
trasferire competenze e know how per la produzione, per vostro
conto, dei vostri prodotti. Come sempre in Cina, gli aspetti
comportamentali e relazionali vanno di pari passo con quelli formali.

- Esaminate le dimensioni aziendali del vostro partner. Non


dovrebbe essere né troppo grande nè troppo piccolo. Dovreste

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diventare un loro main client per garantirvi affidabilità e
continuità del rapporto. Per contro, un azienda troppo piccola
potrebbe non essere in grado di seguirvi su volumi importanti. Un
buon compromesso è una piccola azienda, con voglia di crescere,
ma già strutturata sul livello di qualità che vi necessita.

- Gli aspetti ingegneristici sono importanti. Verificate le effettive


competenze del vostro partner in termini tecnologici e di uso di
software evoluto, se necessario per la vostra attività. Non fidatevi
delle varie certificazioni ISO che vi verranno presentate da quasi
tutte le industrie. Verificate direttamente i parametri di qualità del
partner, pretendete di esaminare i processi industriali, di valutare
le effettive competenze dei dipendenti che seguiranno le vostre
attività .

- Strutturate la Company Governance della vostra struttura cinese.


Non fate da soli, fate in modo che i vostri collaboratori siano ben
guidati, e capaci di relazionarsi positivamente con i partner
cinesi;

- Mantenete rapporti personali con il partner cinese. Anche se la


vostra struttura locale è adeguata per mantenere buone relazioni,
una vostra visita periodica personale al fornitore irrobustisce i
rapporti. I Cinesi amano il contatto con i livelli più alti della
controparte. Partecipate volentieri agli inviti a cena, ad eventuali
feste sociali, a gite aziendali, ad eventuali inviti in casa. (In
questo caso documentatevi bene sugli usi e costumi per gli ospiti
invitati a cena in casa privata);

- Concordando i costi che dovrete con il vostro partner, siate


preparati. Informatevi sul costo del lavoro nella zona, costi degli
affitti, tassazione, costi delle materie prime e dei semi-lavorati,
tempi delle lavorazioni, ecc. Potrete discutere con maggior potere
contrattuale e per i Cinesi sarà piacevole trattare con un partner
competente. Inoltre, ricordate che i primi prezzi che vi verranno
forniti non saranno quasi mai quelli che in realtà potrete pagare
con i giusti tempi di trattativa e con la giusta relazione.

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- Non trascurate la logistica. Riveste un ruolo importante
nell’economia complessiva delle operations in Cina. Concordate
con il vostro partner le consegne e l’immagazzinamento in Cina, i
lotti minimi di produzione rispetto alle vostre esigenze, alla
necessità di magazzino in Italia, ai tempi di trasporto e
sdoganamento, per i quali dovrete mettere in conto almeno 4
settimane.

- Ponete attenzione alle problematiche etiche. La ricerca del prezzo


e delle condizioni migliori è naturalmente importante, ma non
trascurate i temi delle questioni ambientali, del lavoro minorile,
delle condizioni di lavoro nelle aziende del vostro partner. Non si
tratta solo di un problema di coscienza. Oggi questi argomenti
hanno grande sensibilità in Italia e in Europa rispetto ai prodotti
Made in China, ed hanno dirette ripercussioni sul gradimento del
pubblico europeo. Non dimenticate anche che queste valutazioni
etiche diventeranno certamente uno dei parametri di gradimento
delle autorità cinesi rispetto agli investimenti esteri. E questo ha
un grande peso in Cina.

8.4 La Ricerca e Sviluppo da parte dei fornitori

In molti casi, le imprese italiane rinunciano a sviluppare


direttamente il prodotto o alcune componenti in Italia.
Spesso richiedono direttamente al fornitore cinese lo sviluppo
tecnico, partendo da semplici prototipi, moke up, o da disegni di
massima non esecutivi, a fronte di un potenziale e continuativo
ordinativo del prodotto al fornitore stesso.
In genere questo sistema funziona piuttosto bene, i Cinesi sono
veloci ed esperti nella individuazione dei materiali e dei sub fornitori
adatti, nell’individuazione del processo di lavorazione e montaggio.
Per qualche incomprensibile ragione, molto spesso il cliente non è
disponibile a pagare questa attività (che in Italia sarebbe
costosissima), ritenendo che i successivi ordinativi (ancora da

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confermare e definire) debbano ripagare l’investimento del fornitore
cinese.
I Cinesi accettano in genere questa condizione, ma non perchè
siano ingenui o sprovveduti. Sanno bene che difficilmente il cliente
richiederà un contratto OEM o un vincolo di esclusiva, quindi
considera il suo investimento come un acquisto di know how. Non
deve quindi scandalizzare i compratori italiani che, appena
sviluppato il prodotto, il fornitore lo ritenga suo, e sia pronto a
fornirlo al prossimo cliente che potrebbe richiederlo.
Una grande capacità dei Cinesi è quella di apparire davvero
ingenui e sprovveduti, e accettano pure di essere considerati tali, ma i
compratori italiani più esperti sanno benissimo che non lo sono
affatto, anzi. Stanno semplicemente facendo i loro affari, sfruttando
al meglio possibile la situazione.
Hanno imparato a menadito la lezione di pragmatismo di Den
Xiaoping, che in un discorso al Comitato Centrale del Partito
Comunista Cinese, l’8 Luglio 1983 diceva:

“Dovremmo fare uso delle risorse intellettuali degli altri


Paesi, invitando gli stranieri a partecipare allo sviluppo dei nostri
progetti in diversi campi. Non abbiamo riconosciuto quanto
questo sia importante, e quindi non abbiamo fatto tutto quello che
potevamo fare. In fatto di modernizzazione non abbiamo
esperienza nè conoscenza. Non dobbiamo avere paura di
spendere per assumere degli stranieri. Non importa quanto
restino per poco tempo, per lungo tempo, o solo per un progetto.
Una volta che sono qui, bisogna sfruttare al meglio le loro
conoscenze. Dovremmo aprire il nostro Paese al mondo esterno, e
chiedere aiuto ai Paesi europei per velocizzare la nostra
trasformazione tecnologica. Dovremmo fare lo stesso anche con i
Paesi dell’est europa, perchè alcune loro tecnologie sono piuà
avanzate delle nostre. La Cina può fornire loro un grande
mercato, e questi Paesi sono molto disponibili a sviluppare la
collaborazione con noi. Dobbiamo cogliere questa opportunità, è
una questione di importanza strategica.

Lungimiranza e pragmatismo allo stato puro.

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Ḗ interessante notare come le cose dette e impostate da Deng 25
anni fa abbiano effettivamente prodotto i risultati che Deng si
prefiggeva: una grande modernizzazione del Paese, e un salto
tecnologico impressionante, proprio grazie allo scambio tecnologia-
mercato che Deng prefigurava.
Dovremmo ricordarci di questo quanto i Cinesi dicono che
vogliono diventare un Paese tecnologicamente avanzatissimo, e
scordarci delle nostre abitudini mediterranee di ascoltare senza
interesse i discorsi della classe politica, che tanto non fa mai quello
che promette, e le loro previsioni sembrano quelle di Mago Merlino.
In Cina lo dicono, e prima o poi, lo fanno. É succeso con tutti i
piani quinquennali di sviluppo, con tutti i grandi progetti di
infrastrutture. Succederà ancora.

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9. Vendere in Cina

9.1 Mercato al consumo: Italian Style – China Made

Le opinioni e le informazioni diffuse in Italia sul mercato cinese,


contengono spesso delle credenze , in alcuni casi solo distorsive della
realtà, in altre addirittura dannose per le imprese che intendono
approcciare il mercato cinese, sia dal verso della produzione/acquisti,
sia, e di questo ci occuperemo, sul versante della penetrazione
commerciale.
Che il Made in Italy, in tutte le sue declinazioni, rappresenti un
grande richiamo per i consumatori cinesi, è un dato scontato e
condiviso da tutti gli osservatori, e questa tendenza positiva sembra
mantenere un grande trend di crescita, aprendosi a nuovi settori della
produzione italiana. 32

32 Il valore complessivo dei beni esportati dall’Italia in Cina è quasi triplicato dal
2000 al 2006, passando da 174 milioni circa di euro a più di 400 milioni di euro.
Le quantità esportate di prodotti di Made in Italy hanno contestualmente registrato
un incremento esponenziale, in particolare a partire dal 2002. Nel 2006 le quantità
sono state quattro volte superiori a quelle del 2000. (Fonte: Fondazione Masi su
dati Eurostat). Al 39% dei cinesi l'Italia fa venire in mente i capi d'abbigliamento
alla moda, i prodotti italiani che i cinesi dichiarano di aver acquistato più spesso
sono i generi alimentari (pastasciutta e affini, 35%), seguiti dai nostri vini (20%),
dalle calzature (18%) e dall'abbigliamento e pelletteria (18%).Il 91% dei cinesi ha
una percezione positiva dei prodotti italiani (40% molto positiva, 51% abbastanza

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Spesso si ritiene che questo enorme mercato sia importante solo
per i grandi brand che si rivolgono a quel 10 % di nuovi ricchi che
aspirano allo status symbol rappresentato dal prodotto di lusso
italiano, e che le Piccole e Medie Imprese italiane, protagoniste
assolute in molti mercati di nicchia, siano tagliate fuori da questo
mercato.
In realtà il mercato cinese consumers mostra numeri colossali, con
un tasso di crescita estremamente interessante, e non sembra
mostrare alcun segno di cedimento a seguito della crisi finanziaria
internazionale.
Questo mercato è più articolato e complesso di quanto
comunemente si ritenga, e offre opportunità diversificate per molte
imprese italiane, tuttavia il contatto con questi consumatori non è
affatto facile, in particolare per le PMI italiane, sia per la vastità del
mercato stesso, che frappone soglie di accesso molto impegnative,
sia per la scarsissima conoscenza che in Italia si ha di questo
mercato.
In effetti, il grande mercato emergente cinese del consumo si sta
aggregando intorno a quel target di consumatori che ho definito
chyuppies - Chinese yuppies - formato prevalentemente da giovani
sotto i 32/35 anni, con due stipendi intorno ai 1.000 Euro mensili in
famiglia, con forte propensione agli acquisti, fortemente attratti dallo
stile italiano, e occidentale in generale.
Una recente indagine pubblicata da Newsweek su 500 giovani
cinesi appartenenti a questa fascia di consumatori, ha evidenziato
come il 90% di queste persone pensi di spendere nel 2008 molto più
di quanto abbia speso nel 2007, in considerazione di una aspettativa
di incremento dei loro salari variabile da un + 10 ad un + 25% nei
prossimi due anni.
Quello che però appare ancora più rilevante, è che i modelli di
acquisto sono sempre meno condizionati dai mezzi tradizionali di
persuasione o pubblicità, in particolare dalla televisione, e sempre
più invece da Internet. Questo significa, per le imprese interessate a

positiva (Fonte: Ricerca "L'immagine dei prodotti italiani all'estero", realizzata


dall'Istituto Piepoli per il Comitato Leonardo e l'ICE, e Dati ICE)

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conquistare questi giovani cinesi, un ripensamento delle strategie di
avvicinamento e di persuasione e che i modelli utilizzati in altri
mercati sono molto poco applicabili in Cina.
Questo principio, del resto, è oramai una regola nota quando si
parla di mercato cinese.

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9.2 Segmentazione del mercato consumers : il
fenomeno Chyuppies

Come si avvicina questo enorme mercato?


Per procedere con un minimo di tecnicità dobbiamo ipotizzare una
segmentazione del mercato cinese formato da almeno tre diversi
livelli, tenendo ovviamente in considerazione solo le fasce di
popolazione che gia dispongono, seppure in modo molto
diversificato, di un certo potere di acquisto.
Proviamo quindi a identificare questi segmenti, e a dare loro una
identità rispetto alla tipologia di consumi.

Grafico 3
New
Rich Italian Style - Italian Made

Chyuppies Italian Style - China Made

China Style - China Made


New consumers

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New rich

Reddito pari o superiore al top europeo. Compra BMW,


Mercedes, Armani, Valentino, Prada, Gucci, Brunello, Champagne.
Frequenta boutique italiane e francesi.
Viaggia molto. Status first. Cultura media. Skills professionali
medie. Possiede tutto il superfluo, diverse auto in famiglia.
Imprenditore. Innovativo per trend, conservatore per cultura. Non
lascerà mai la Cina per trasferirsi in occidente.
Vive in villa o appartamento di lusso. Rappresenta circa il 10%
della popolazione. Se acquista Made in Italy , deve essere fatto in
Italia. Hanno intorno ai 50 anni, figli dei figli della Rivoluzione
Culturale.

Chyuppies (Chinese Yuppies)

Reddito familiare superiore ai 2.000 Euro/mese. Compra


occasionalmente pret-à-porter italiano, vino francese a 20/30 Euro, e
cibo italiano nella grande distribuzione. 30 anni, laureato, sposato,
maschio o femmina, lavora per grandi aziende o ha posizioni chiave
in piccole aziende (spesso straniere). Possiede almeno 2 cellulari.
Usa VAIO, MAC, NOKIA, LG, che ama esibire e ama viaggiare,
ma viaggia poco. Ha figli in ritardo, prima la carriera. Innovativo,
legato alla cultura cinese, ma aperto al nuovo. Cultura e skill
professionali elevate, spesso ha ottenuto un Master all’estero.
Ha esperienze internazionali, e vuole godersi la vita. Possiede o
comprerà a breve un’auto. Vive in appartamento di proprietà in zone
residenziali di pregio ma non esclusive, (spende fino 25.000 RMB al
metro quadrato per l’acquisto di un appartamento). Ama molto lo
stile italiano, ma può acquistare prodotti costosi solo saltuariamente,
è però disposto ad acquistare a prezzo inferiore un prodotto Italian
Style, anche se China Made, purché rispetti lo stile, il design, la
qualità italiana, in sostanza lo status ed il life style italiano.
Noti anche come me generation, i chyuppies sono stimati in circa

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300 milioni, tra meno di dieci anni saranno 500 milioni. Pensano
sostanzialmente a godersi la vita e al loro portafoglio. Escono dalle
migliori università cinesi, molti da quelle americane. Possiedono e
usano disinvoltamente diverse carte di credito.33

New consumer

Possiede gia un potere d’acquisto, ma ha un reddito familiare


complessivo non superiore a 1.000 Euro/mese. Acquista prodotti
cinesi. Frequenta supermarket cinesi. Acquista cellulari cinesi,
spesso cloni. Usa LENOVO.
Non viaggia. Ha figli presto. Tradizionalista, legato alla cultura
cinese. Cultura medio-alta. Skills professionali medie. Family first.
Non possiede un auto, ha poca esperienza internazionale.
Vive in appartamento in affitto, ma tende ad acquistare la casa in
zone periferiche della citta in cui lavora, (spende intorno ai 15.000
RMB al metro quadrato), spesso immigrato da zone interne del
Paese.
Per dare un esempio concreto della segmentazione di questi tre
livelli di consumatori, proponiamo una ulteriore esemplificazione
usando noti marchi nel settore moda, e sovrapponendoli virtualmente
al segmento di mercato nel quale questi marchi si muovono.

33
Le carte di credito circolanti in Cina sono circa 50 milioni, ma sembra che circa
il 50% non le usi, se non come status symbol, anche perchè sono accettate solo dal
4% dei commercianti cinesi.

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Grafico 4

New
Rich

Chyuppies

New consumers
ITAT

Il Marchio GIORGIO ARMANI non ha bisogno di presentazioni.


Forse meno conosciuto è A/X (Armani Exchange), marchio diffuso
solo in certi Paesi, e dichiaratamente made in questi Paesi.
Quindi lo troviamo etichettato Made in China, come Made in Perú
o altro.
ITAT è invece una grossa realtà distributiva nel settore moda,
vende prodotto economico cinese con alcune pretese stilistiche.
La presenza di una classe media cinese e il suo grande sviluppo in
termini di quantità e di potere d‘acquisto, dovrebbe rappresentare
l’elemento chiave della penetrazione commerciale delle PMI Italiane
in Cina. Questo elemento è poco considerato, e poco conosciuto, il
che limita enormemente le possibilità di molti settori del Made in
Italy.
Il riconoscimento di questo elemento discriminante nel panorama

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del mercato cinese, porterebbe ad un drastico cambiamento delle
logiche commerciali delle imprese italiane, e farebbe comprendere
meglio la necessità di lavorare nell’ottica ITALIAN STYLE –
CHINA MADE .

Sono moltissimi i settori industriali italiani che possono accedere


al mercato medio cinese, adottante le opportune strategie industriali e
commerciali:

- Sistema Moda

- Sistema Casa (mobili, arredi, accessori, ceramica)

- Sistema Persona (Cosmetica, Servizi legati alla bellezza e al


benessere)

- Settore agro-alimentare

Questo ultimo settore presenta enormi potenzialità. Per quanto il


Concetto di Italian Style - China Made non sia facilmente applicabile
a questo settore, un mix commerciale adeguato può portare a risultati
eccellenti. Ne vedremo più avanti un esempio.

Anche il settore industriale ha molte opportunità di ingresso sul


mercato cinese utilizzando le stesse lenti di lettura, cercando quindi
di integrare il Made in Italy nei prodotti cinesi, ad esempio:

- Automotive

- Meccanica di precisione

- Macchine e impianti industriali

- Processi di lavorazione nel settore alimentare

Quali sono le modalità con cui le PMI italiane possono

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raggiungere il grande mercato della classe media cinese?

Possibili opzioni:

1. Conservazione in Italia dello Styling, Design, Materiali,


Prototipazione

2 Produzione in Cina sotto supervisione italiana

3. Distribuzione in Cina attraverso:

- Canali diretti dell’Azienda italiana (negozi/corner


monomarca)

- Distribuzione utilizzando canali del produttore cinese

- Distribuzione a cura del produttore cinese con contratto di


licenza

- Distribuzione attraverso una JV mista tra produttore italiano


e produttore cinese, sia con shops monobrand che su negozi
multibrand

Questo mix, che si presta naturalmente a moltissime variabili, non


è applicabile solo ai prodotti destinati al consumo, ma può essere
applicato, con le dovute variazioni, anche al settore del prodotto
industriale.
Esistono gia numerosissimi esempi di imprese italiane che stanno
operando con questa logica: prodotto italiano, produzione cinese. Un
settore di punta nel quale molte PMI italiane sono gia attive, è quello
dell’automotive.
Il passo veloce dei grandi marchi europei di automobili, da anni
delocalizzati in Cina, ha costretto molti produttori italiani a fornire
dalla Cina gli stessi prodotti precedentemente forniti dall’Italia.
Credo che nessuno dubiti del fatto che le componenti fornite a
Vokswagen da aziende italiane in Cina debbano essere di qualità
analoga a quelle prima fornite dall’Italia.

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Allo stesso modo ci sono esempi di ottimizzazione e integrazione
dei sistemi produttivi da parte di imprese italiane, che si mettono in
condizione di maggiore competitività sui mercati mondiali,
permettendo a loro partner cinesi di produrre in Cina per loro conto,
o per la distribuzione in JV sul mercato cinese (mediante
trasferimento di tecnologia, o semplicemente con contratti di
licenza), prodotti finiti, semilavorati o componenti di progettazione
italiana.
In questo modo le imprese italiane riescono a rimanere
competitive in un mercato dal quale Cina e India le stavano
estromettendo, grazie ad un migliore rapporto qualità/prezzo.
Produrre in Cina componenti, macchine, impianti, mantenendo in
Italia il valore software rappresentato da R&D, progettazione,
styling, si sta rivelando, per molte imprese italiane, un vero toccasana
per sostenere il Brand sui mercati internazionali e i tassi di
occupazione in Italia, senza rinunciare ai margini che l’esasperazione
competitiva ha eroso negli ultimi anni.
I grandi valori tecnici e l’esperienza italian nel settore automotive
sono sfruttati pochissimo in Cina. Esistono naturalmente casi di
grande eccellenza nei grandi nomi (Ferrari, Pinifarina, altri grandi
designer italiani), ma di tutto il mondo del blasonatissimo
engineering motoristico e impiantistico della motor valley emiliana
vi è poca traccia.
Una delle ragioni che abbiamo verificato rispetto a questa assenza,
risale alla scarsa volontà di investimento. La Cina viene vista come
un qualsiasi mercato (non come il futuro maggiore mercato mondiale
dell’auto), quindi i Cinesi devono venire da noi, non il contrario.
Nel momento in cui le grandi imprese automobilistiche cinesi si
stanno aggregando proprio per raggiungere una loro autonomia nella
progettazione e sviluppo della motoristica e dello stile (ma
ovviamente anche per ragioni di massa e di economie di scala), e
hanno un fortissimo bisogno di supporto tecnico, creativo,
tecnologico e stilistico, grandi nomi della progettazione italiana sono
riluttanti rispetto ad un investimento, anche limitato, necessario ad
aprire e gestire almeno un Ufficio di Rappresentanza, che li
metterebbe in posizione di prima fila rispetto ai Clienti cinesi.
Schiere di progettisti tedeschi, americani, svedesi, sono pronti a

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fornire i loro servizi alle imprese automobilistiche cinesi. Ci
salviamo solo nello styling. Per questo, se vogliono, devono venire
da noi, ma gli stilisti italiani che lavorano in Cina hanno aperto le
loro belle sedi, i loro centri stile, e collaborano fianco a fianco con i
progettisti cinesi. Torinodesign, una nuova azienda di progettazione
automobilistica, sorta da esperienze alla Bertone, ha già aperto il
proprio ufficio a Shanghai, cosi come a Pechino ha aperto la Cobra
(Beijing) Automotive Technologies, facente capo all’omonima
azienda varesina nel settore della sicurezza automobilistica.
Pinifarina, da canto suo, è presente con una propria struttura a
Pechino dal 2005, vantando comuque forunate collaborazioni
decennali con i maggiori gruppi auomobilistici cinesi.
Le alternative sono purtroppo legate alla potenzialità finanziarie
delle industrie cinesi, in grado di sostenere l’acquisizione di
organizzazioni europee del settore come sembra stia succedendo,
secondo la stampa, per la Bertone, storica carrozzeria di Grugliasco.

9.3 Qualcuno copre i bisogni

Nel marketing, così come nella maggior parte delle situazioni


umane, quando emerge un bisogno, questo certamente viene in
qualche modo coperto o sublimato.
Quindi, se il bisogno di status e di autoaffermazione dei giovani
cinesi, anche attraverso la dimostrazione della propria capacità di
acquisto, emerge dal mercato della classe media, questo bisogno sarà
coperto, su sollecitazione degli stessi consumatori.
Se le imprese italiane (tipicamente identificate come potenziali
fornitori del prodotto del desiderio ) non sono in grado di soddisfare
questo bisogno, qualcuno interviene a farlo. In questo modo siamo
arrivati al paradosso che almeno tre dei settori classici del Made in
Italy sono oggi in mano a Società americane:

Il Caffe in Cina si chiama STARBUCKS (Usa)

La Pizza in Cina si chiama PIZZA HUT o PAPA JOHN S (Usa)

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Il Gelato in Cina si chiama HAAGEN DASZ (Usa)

Bisogna anche ammettere che gli italici produttori agro-


alimentari non sono certo stati aiutati dal sistema distributivo
italiano, che in Cina non ha praticamente messo piede. I francesi, con
Carrefour, dispongono di 118 punti vendita sparsi in tutto il Paese,
(ultima apertura a Shanghai il 20 Agosto 2008, ma in genere ne
aprono tre alla volta), e in Asia realizza quasi il 7% del proprio
fatturato, con un incremento del 17,5% (2007, Fonte: Sito Carrefour),
ma nel primo trimestre 2008 l’incremento è già salito al 19,8%.
Un bel vantaggio rispetto a chi, come noi, per la distribuzione dei
propri prodotti deve partire da un green field, e fare tutto da solo.

Nel settore moda, fortunatamente non vi sono credibili alternative


al Made in Italy, ma ecco quindi il fiorire di un grande mercato dei
falsi marchi italiani.
Un mercato che potrebbe rappresentare uno sbocco per quelle
imprese capaci di proporre ai consumatori cinesi un prodotto di
autentico stile italiano a prezzi accessibili alla classe media,
attraverso l’integrazione industriale con il sistema produttivo cinese.
In realtà il Sistema Moda italiano in Cina è rappresentato per la
stragrande maggioranza dai grandi e grandissimi brand noti in tutto il
mondo, mentre il settore del prodotto medio o medio/alto,
rappresentato dalle PMI italiane, è praticamente assente o quasi.

Case history

Grandi Salumi Italiani: Un perfetto esempio di Italian Style –


China Made

Quando si decide di intervenire con la logica dell’Italian Style -


China Made, i risultati sono stupefacenti. Mi ero sempre chiesto,
vista la massiccia presenza dei salumi di Casa Modena nei
supermercati cinesi, da dove derivasse tale forza commerciale, quasi
unica, insieme a Barilla, e in misura minore a Lavazza e Illy, nel

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desolante panorama del food italiano in Cina. Ci è voluto un articolo
di Gianluca Pedrazzi, apparso sul supplemento on line Affari e
Finanza de La Repubblica34 per svelarmi l’arcano.
Il suo articolo, che ricostruisce la presenza di Grandi Salumifici
Italiani35 in Cina, dipinge in maniera precisissima, e con dettagli
altrettanto precisi una prassi di vero Italian Style – China Made, con i
risultati che ne conseguono.

Riporto una parte dell’articolo, che ritengo davvero illuminante:

“Mettete insieme un altoatesino come il signor Franz Senfter e i


cooperatori emiliani dell’Unibon e avrete i Grandi Salumifici
Italiani. Il più grande gruppo italiano del settore salumi. Che a forza
di mettere in tavola prosciutti, insaccati e wurstel non solo fa a fette
la crisi dei consumi ma attacca pure il mercato cinese. Sono infatti
dieci anni che la Gsi porta la bandiera delle buone cose della tavola
italiana oltre la Grande Muraglia.
Tredici anni fa fu il signor Senfter a fiutare con una prima joint
venture il business in Cina.
Oggi, dopo il matrimonio tra l’imprenditore altoatesino e
l’emiliana Unibon, avvenuto nel 2000 attraverso la costituzione di
una unica Società commerciale con quote paritetiche che mette
insieme la cooperativa alimentare modenese nata nell’immediato
dopoguerra e la componente altoatesina che risale addirittura al
1857, Gsi ha creato una Società Dhangai Yihua Food Co. Ltd e
uno stabilimento per essere uno degli attori principali del
posizionamento del Made in Italy in Cina, producendo e vendendo
salumi secondo la ricetta italiana, inondando le tv cinesi con spot
pubblicitari dove gli occhi a mandorla brillano gustando le
prelibatezze di Casa Modena.
"Il nostro partner cinese è Shineway Group, primo produttore di
carne suina nel grande paese asiatico e numero tre mondiale per
volumi — spiega Claudio Palladi, amministratore delegato di

34 Pubblicata l’8 Settembre 2008


35 Marchi Casa Modena, Senfter, Cavazzuti e Gasser

99

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Grandi Salumifici Italiani —
Un’alleanza che è partita nel 1995, quando realizzammo la joint
venture paritetica Luohe Hua Yi Food Co. Ltd.
Dopo quella prima alleanza, Gsi ha partecipato alla costruzione
di altri due stabilimenti destinati alla produzione di prodotti
sterilizzati.
Nel 2002 a Jin Hua la ‘Langhirano cinese zona tipica del
prodotto ‘Jinhua ham’ un prosciutto crudo con una tradizione alle
spalle,36 è nata la quarta joint venture preposta alle attività di
macellazione, lavorazione e trasformazione carni e stagionatura dei
prosciutti".
Il passo successivo è stata una Società cinese, ma controllata al
100% da Gsi.
"Grazie all’individuazione a Shangai di un allevamento pubblico,
con un macello integrato, che alleva suini semi pesanti, con una
genetica molto simile a quella utilizzata in Italia, la qualità dei
prodotti realizzata dalla Società in Cina è equiparabile a quella dei
prodotti italiani — puntualizza Palladi — Teniamo presente che
salumi di qualità come i nostri, sul mercato cinese, vengono
venduti a prezzi mediamente 15 volte superiori a quelli degli
analoghi prodotti locali e le indagini di mercato ci dicono che in
breve tempo potremmo già avere ricavi per 25 milioni di euro. Con
prospettive di crescita ancora più interessanti. Ma non guardiamo
solo all’Estremo Oriente. Stiamo anche rafforzando le filiali
commerciali in Germania e Francia e vogliamo avere una presenza
forte anche negli Stati Uniti".

Ogni commento mi pare superfluo.

Ḗ una strategia perfetta, anche nelle diverse scansioni temporali


in cui si è sviluppata e che, come avete letto, sta ampiamente
ripagando l’Azienda.

36
La tradizione del prosciutto Jinhua ham ha oltre mille anni la. La sua fortuna è
dovuta ad un particolare aroma provocato da un enzima che trasforma grassi e
proteine in profumatissime molecole a catena corta.

100

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É stata certamente importante la forza di questa grande azienda,
ma moltissime Piccole e Medie Imprese potrebbero fare altrettanto,
in molti settori, rinunciando ad una piccola fetta di orgoglio (con cui,
diceva mia mamma, non si mangia) per mettere in piedi filiere
produttive, o anche solo Società commerciali, organizzate e
strutturate in una logica di sistema con altre imprese della filiera
produttiva e commerciale.
C’è un’altra esperienza, avviata a Settembre 2008 a Pechino, che
sembra avviata sulla giusta strada per la promozione del food
italiano. Riporto la notizia AGI News del 9 Settembre 2009,
riguardante una iniziativa CRAI, con il sostegno di SIMEST:37

“Un angolo di Italia nel cuore di Pechino. Duemila prodotti


enogastronomici distribuiti su 3.600 metri quadrati presi d'assalto
da oltre mille visitatori al giorno. Piazza Italia, questo il nome del
food center tricolore appena aperto nella capitale cinese da Trading
Agro Crai con il supporto di Simest, è solo l'inizio di uno sbarco in
grande stile del marchio nel Paese orientale.
Entro il mese di ottobre sarà completato il centro di Pechino, di
cui oggi è aperto solo il primo dei tre piani previsti dal progetto,
mentre sono già in cantiere aperture a Shangai, Tiaanjim e
Hangzhou, per un investimento complessivo che viaggia intorno ai 9
milioni di euro a regime e un fatturato stimato in 35/40 milioni. Nei
mega store Piazza Italia arriverà l'eccellenza della gastronomia
italiana, quella artigianale e quella industriale di qualità: dai pelati
in scatola alle orecchiette di Bari, dal prosciutto di San Daniele alle
friselle salentine.
Dei 2mila prodotti che sbarcheranno in Cina, il 40% saranno
alimentari confezionati, il 30% formaggi e prosciutti, il 20% vini e il
10% olio d'oliva. Al primo piano del mega food store di Pechino, nel
cuore del quartiere di lusso della capitale (China central Place) è
già disponibile una galleria di di tipicità artigianali Dop, Igp, una
scelta di eccellenze vitivinicole e di prodotti industriali di alta

37 Società mista italiana pubblicòprivata attiva nel finanziamento


all’internazionalizzazione

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gamma. Al secondo piano del centro, che sarà completato entro la
fine del mese di settembre, sarà aperto un angolo per la gastronomia
calda e fredda, uno spazio dedicato alla pasta e alla carne, 145
metri quadrati di enoteca, un'oleoteca con 70 etichette diverse di
extra vergine, ma anche un'area per gli accessori per la casa, una
scuola di cucina italiana e altri spazi in cui fermarsi e assaggiare. Al
terzo piano, previsto entro la fine di ottobre, ci sarà un ristorante
alla carta, un bar e un salone per grandi eventi. Il progetto è firmato
da Trading Agro Crai, Società per azioni nata a luglio 2007,
partecipata da Crai Secom, Consorzio Grana Padano, Cavit,
Conserve Italia, San Daniele srl, Frantoi Artigiani d'Italia, Boscolo
Etoile del gruppo Boscolo che si occupa della parte ristorativa e da
Emanuele Plata, amministratore delegato, con il supporto di Simest,
finanziaria pubblico-privata, guidata da Massimo d'Aiuto. (AGI)

Un esempio di come una aggregazione industriale possa mettere


insieme risorse ed energie per iniziative di spessore, radicate sul
territorio cinese, strutturate e destinate ad incidere nelle abitudini e
nei gusti alimentari dei Cinesi. L’iniziativa è forse in ritardo, ma può
dare ottimi frutti.

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9.4 Come si costruisce il sistema Italian Style - China
Made

Le modalità per ottimizzare le catene di relazione e i flussi al fine


di ottenere il risultato richiesto sono molteplici. Ne evidenziamo
alcune:

Grafico 5

Opzione 1

Italian Co. Chinese Manufacturer


Supervisione
Concept, Stile, Immagine, italiana Produzione e
Materiali, Campioni commercializzazione
in licenza
Reimportazione
Supervisione
italiana

Chinese retailers Chinese retailers Chinese retailers

In questa opzione il controllo software viene mantenuto


saldamente in mano italiana, mentre le attività di produzione e
distribuzione sono affidate al partner cinese, con il quale si instaura
un contratto di licensing.
Lo svantaggio di questa prima opzione è di lasciare in mano al
partner cinese il controllo del mercato. Si ottiene comunque l’effetto
penetrazione, ma le decisioni strategiche sul marchio sono affidate
esclusivamente alla capacità e alla convenienza del partner cinese.

103

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Rimane inoltre il rischio che, una volta conquistato il mercato,
imparato i sistemi di produzione, e scaduta la licenza, il partner
cinese decida di mettersi autonomamente sul mercato con un
prodotto tutto suo, identico al prodotto italiano.
Ḗ evidente quindi come, a monte della concessione di una licenza
per la produzione e la commercializzazione di un prodotto o di un
marchio debba esserci un forte controllo sulla proprietà intellettuale
del prodotto o marchio stesso.

Grafico 6

Opzione 2

Italian Co. Chinese Manufacturer

Concept, Stile, Immagine, Supervisione Produzione e


materiali, campioni italiana commercializzazione in
licenza
Reimportazione
Supervisione
italiana

Mono or multi brand Mono or multi brand Mono or multi brand


shops and corners shops and corners shop and corners

In questo caso la variante riguarda il canale di distribuzione. Il


partner cinese può distribuire il prodotto manufatto in licensing
attraverso l’apertura di propri punti vendita diretti monobrand o
multibrand, che rimangono comunque sotto il suo controllo.
L’utilizzo dei punti vendita monomarca si va estendendo per tutto
il settore del fashion. Molti imprenditori italiani sono attratti da
questa modalità distributiva, che fornisce immagine, prestigio, e
mette in forte evidenza il marchio. Bisogna però ricordare che

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l’avvio di un punto vendita monomarca nei grandi centri commerciali
cinesi richiede un investimento finanziario molto elevato, e anche se
viene fatto dal produttore cinese, si rischia di accomunare il proprio
marchio con una esperienza negativa. Richiede inoltre un accurato
controllo della gestione, una scelta molto oculata sulla location in cui
aprire.
Non va inoltre sottovalutata la problematica delle risorse umane a
cui si affida il negozio.
In sostanza, se ci si affida ad un partner produttivo, o anche solo
gestionale, per aprire un punto vendita monomarca bisogna essere
più che certi sulle capacità tecniche e professionali del partner.

Grafico 7

Opzione 3

Italian Co. Chinese Manufacturer

Concept, Stile, Immagine, Produzione


Materiali, Campioni Supervisione
italiana

FICE Commerciale JV tra


brand italiano e produttore
cinese (oppure 100% italiana)

Mono brand shops or Reimportazione in Export verso altri Paesi


retailers Italia

105

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Questa è certamente la modalità più sicura per il mantenimento
del controllo del marchio e del prodotto. Prevede che la distribuzione
affidata al produttore cinese, non in licensing, ma con un contratto
OEM, sia commercializzata sul mercato cinese da una Joint Venture
tra il produttore italiano e il partner cinese, con la modalità societaria
chiamata FICE (Foreign Invested Commercial Enterprise), una forma
societaria piuttosto recente, e molto utilizzata dalle imprese straniere
in quanto consente:

a) Di distribuire sul mercato cinese

b) Di reimportare prodotto in Italia

c) Di esportare il prodotto in altri mercati.

9.5 La maggiore obiezione: la protezione della proprietà


intellettuale38

L’obiezione che ci si sente spesso opporre alla politica di


integrazione industriale con i produttori cinesi per la produzione in
Cina dell’Italian Style, è legata alla consapevolezza di trasferire
conoscenze e processi che farebbero crescere enormemente i nostri
potenziali concorrenti. Le risposte a questa obiezione:

- Garantire la proprietà intellettuale italiana in sede legale in Cina.


Il deposito di Marchi e Brevetti non è prassi diffusa in Italia.
Questo invece fornirebbe una buona arma legale contro la
contraffazione.

38 Un manuale completo ed esauriente sulla difesa della Proprietà intellettuale


(Intellectual Property Rights in China) è disponibile sul sito di China Briefing.
http://shopping.china-briefing.com/

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- É solo questione di tempo. Se il desiderio emergente del mercato
è di avere prodotti italiani, ed il loro costo è inaccessibile per la
maggior parte della classe media, il sistema produttivo cinese
risponderà pragmaticamente a questo bisogno, copiando i
prodotti e proponendoli ad un costo (e qualità ) molto bassi al
mercato. Questo è un gravissimo danno al Made in Italy, non solo
in termini di perdita di quote di mercato, ma soprattutto in
termini di creazione di una immagine scadente del prodotto
italiano. La presenza diretta delle imprese italiane detentrici dei
brand garantisce un forte controllo. In ogni caso, il sistema
produttivo cinese è in grado di raggiungere standard qualitiativi e
tecnici, oggi fuori portata, ad una velocità inimmaginabile, è solo
questione di tempo. Sottovalutare le capacità tecnologiche cinesi
è un grave errore strategico. Quello che manca, lo comprano. La
strenua difesa di retroguardia del Made in Italy è basata sulla
convinzione che l’industria cinese non abbia le competenze
stilistiche, tecniche, estetiche necessarie a proporre un prodotto
alternativo – in termini di appagamento del bisogno – a quelli del
Made in Italy. Questo è vero. Ma è vero anche che per l’industria
cinese è molto facile acquistare oggi in Italia quello che manca
loro: la creatività e lo stile:

- I maggiori designer automobilistici italiani stanno disegnando i


nuovi modelli di auto cinesi (tre dei modelli di maggiore
successo all’ultimo salone automobilistico cinese sono firmati
Pinifarina, per conto di altrettanti marchi cinesi)

- Designer italiani di mobili sono già alle dipendenze di aziende


cinesi

- Nella moda (in particolari negli accessori), i designer italiani


fanno la fila davanti alle industrie cinesi per proporre i loro
modelli

- I grandi marchi del Fashion italiano stanno già producendo in


Cina sia per il mercato interno che per l’export. Il trasferimento

107

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di know how è di fatto cominciato da decenni. Se l’impresa
italiana si limita a terziarizzare la produzione presso le industrie
cinesi, questo significa di fatto un trasferimento gratuito e
incontrollato del Know How

Parola d’ordine: integrazione. Integrare i sistemi produttivi italiani


e cinesi significa quindi ottenere gli stessi risultati, o quasi, in termini
di costi, mantenere il controllo della qualità industriale, ma
soprattutto mantenere il controllo della tecnologia, del design, in
sostanza della tradizione e del gusto italiano, soddisfacendo nel
contempo i bisogni di economicita dei consumatori cinesi.

9.6 Gli strumenti per vendere in Cina

Come abbiamo sommariamente visto in precedenza, le modalità di


vendita sul mercato cinese sono innumerevoli, e le decisioni
commerciali vanno assunte sulla base di diversi fattori:

• Struttura, risorse e attitudini dell’Azienda


• Tipologia di prodotto
• Disponibilita all’investimento
• Necessità di controllo del mercato (marchio, prodotto)
• Abitudini commerciali cinesi rispetto al prodotto

9.6.1 Le informazioni e le ricerche di mercato

Le modalità di assunzione delle informazioni sui mercati sono


piuttosto difficili in Cina. Raramente sono disponibili ricerche e dati
aggregati in termini di marketing che normalmente utilizziamo sui
mercati occidentali.
Sono disponibili invece dati macro, normalmente di origine
pubblica, poco utili ai fini della definizione di una strategia
commerciale. I dati potenzialmente utili sono nelle mani delle varie

108

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Associazioni di categoria, che si guardano bene dal metterle a
disposizione dei competitor stranieri.
Quando si parla di ricerca di mercato in Cina, si parla quindi
sostanzialmente di ricerca sul campo , effettuata partendo dai dati
macro a cui si riesce ad avere accesso, sostenuti da un indagine
diretta, fatta di rilevazioni nei centri commerciali, contatti diretti con
gli operatori, e la messa a confronto delle diverse informazioni
assunte, per arrivare ad una immagine sufficientemente attendibile
del mercato.
Vi è una importante variabile che riguarda le dimensioni del
Paese.
In alcuni settori tradizionali (in particolare il fashion), le modalità
si sono oramai standardizzate in tutto il Paese, in altri vi sono ancora
grandi variabili tra le diverse aree del Paese.
Quando si affida una ricerca di mercato ad una Società di
Consulenza, è quindi molto importante che l’azienda fornisca una
griglia molto precisa dei risultati che si aspetta, piuttosto che una
generica richiesta di informazioni che si rivelerebbe poco utili ai fini
della definizione di una strategia operativa.

La ricerca va quindi effettuata:

- Su prodotti specifici e ben definiti, con la disponibilità in loco di


campioni

- Su target commerciali precisi (grandi mall, reti di negozi,


investitori cinesi)

- Con lo specifico obiettivo di verificare la effettiva vendibili del


prodotto (quindi individuazione della catena del valore, trasporto,
dazi doganali, provvigioni, costi della distribuzione, sell in e sell
out price)

- Richiedendo una stima del potenziale di vendita, basata su


effettive indagini presso potenziali compratori

- Richiedendo la lista verificabile di contatti diretti con potenziali

109

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acquirenti/partners/coinvestitori, ecc.

Quindi, va favorita una ricerca molto mirata sui partner cinesi e


sulla loro effettiva disponibilità ad avviare una collaborazione, anche
a scapito di un livello più sofisticato, ma più accademico, di analisi
di trend e dati commerciali macro, che comunque devono supportare
la ricerca.

9.6.2 Gli strumenti legali e operativi per vendere in Cina

La ricerca preliminare a cui abbiamo accennato sopra, e che è


sempre fondamentale per assumere decisioni ponderate, fornirà solo
elementi valutativi sulla fattibilità.
Sarà poi necessario decidere gli strumenti legali e operativi da
utilizzare per avviare le operazioni.
Possiamo indicare alcune tra le modalità più diffuse, tra le quali
vanno scelte quelle più adatte al nostro scopo.

a) Vendita diretta dall’Italia ad un distributore cinese


b) Apertura di un ufficio di rappresentanza
c) Apertura di una FICE
d) Vendita attraverso un distributore europeo presente in
Cina
e) Franchising

Vendita diretta dall’Italia ad un distributore cinese

E la modalità che le nostre aziende preferirebbero. Non richiede


investimenti e strutture di gestione, non presenta rischi commerciali,
se non limitatamente all’affidabilità dei clienti, ma è quella di minor
efficacia. Se da un lato presenta diversi vantaggi, la lista degli
svantaggi è molto lunga:

- Perdiamo di fatto il controllo dei canali commerciali e del

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posizionamento di marketing del prodotto. Le decisioni sono di
fatto assunte dal distributore, che sceglie sulla base della sua
convenienza;

- Rischio di perdere il controllo del Marchio e del design/stile, se


non si sono assunti in precedenza i necessari accorgimenti
(deposito del Marchio)

- Perdiamo la sensibilità del mercato

Se la Cina non è un mercato strategico per l’Azienda, ma solo un


plus rispetto ai propri mercati tradizionali, questa modalità può
essere utilizzata. Se pensiamo che la Cina possa diventare un mercato
chiave per i nostri prodotti, è l’ultima delle opzioni.

Apertura di un ufficio di rappresentanza

E la prima, la più economica è la più rapida delle modalità


strutturate , e spesso precede una decisione di maggiore impegno
quale può essere l’apertura diretta di una FICE.
Anche questa opzione presenta vantaggi e svantaggi. Sul versante
negativo abbiamo:

- Impossibilità del Rep. Off. di gestire direttamente transazioni


commerciali. Quindi l’ufficio non può acquistare e rivendere
prodotto, ma semplicemente promuoverlo, coordinare le vendite,
mantenere rapporti con i partner, fare controlli di qualità nel caso
parte del prodotto sia manufatto in Cina;

- Nonostante non possa gestire attività commerciale, il Rep. Off.


viene tassato con una aliquota flat del 10% su tutte le spese
sostenute per la gestione dell’ufficio.

Sul versante dei vantaggi però l’elenco è molto più esteso:

- Agli occhi di un partner o cliente cinese, la strutturazione di una

111

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stabile organizzazione in Cina rappresenta un importante punto a
favore in termini di affidabilità aziendale. Un elemento molto più
rilevante di quanto possa apparire ad un osservatore occidentale,
gli operatori cinesi sono interessati a collaborazioni stabili, a
lungo termine, con aziende che siano fisicamente impegnate e
presenti in Cina.

- Permette di gestire una rete di vendita. Un network di Agenti o


Promoter cinesi può essere gestito e coordinato molto bene da un
Rep. Off. Inoltre, è il modo più adeguato per mantenere un
rapporto contrattualmente corretto con i venditori e con eventuale
personale dipendente. Molto spesso infatti le aziende italiane si
affidano per un primo approccio ad un rapporto economico
informale, con pagamenti in cash o direttamente dall’Italia, senza
la formalizzazione di un rapporto di lavoro. Con la nuova legge
sul lavoro vigente in Cina, questi aspetti sono molto ben regolati,
e le situazioni informali sono fortemente sconsigliate.

Ḗ pur vero che il Rep. Off. non ha la titolarità per l’assunzione


diretta di personale cinese, ma deve utilizzare strutture pubbliche
di lavoro interinale, il che rende l’iniziativa più costosa, ma
garantisce la massima trasparenza rispetto alle autorità cinesi,
molto ligie nel controllo delle iniziative straniere.

- Se parte del prodotto viene commissionato a produttori cinesi, il


Rep. Off. può coordinare e dirigere le attività di QC39 in Cina.

- Agisce da customer service. Il rapporto con il Clienti, la gestione


del post-vendita, la soluzione dei contenziosi può essere affidata
all’ufficio. Può naturalmente seguire con maggiore efficacia
eventuali problemi legati ai pagamenti dei clienti.

- Gestisce la logistica. In molti casi, anche vendendo a diversi


operatori cinesi può essere vantaggioso fare delle spedizioni

39 Controllo di qualità

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cumulative presso una locale struttura di logistica, e affidare al
Rep. Off. il reindirizzamento e lo smistamento dei singoli ordini.

- Può fare da showroom. Anche questo è un elemento di notevole


importanza. Soprattutto nel settore fashion, con vendite
stagionali, è sufficiente inviare un campionario al proprio Rep.
Off., che provvede ad invitare i Clienti presso lo showroom per la
visione del campionario e gli ordini per la prossima stagione.
Anche se dovessimo sostenere le spese di trasferta dei clienti in
Cina, si rivela il mezzo più economico per presentare il
campionario e acquisire gli ordini.40

Apertura di una FICE

L’apertura di una Società Commerciale propria, a totale capitale


italiano, o in J.V. con un partner cinese, è la modalità più strutturata e
più idonea per gestire le vendite sul mercato cinese, ed è
normalmente il punto di arrivo, una volta verificata la effettiva
fattibilità del progetto commerciale.
La FICE (Foreign Invested Commercial Enterprise) funge quindi
da importatore e distributore dell'Azienda italiana, gestisce
direttamente le vendite, gli incassi dai clienti, i pagamenti alla casa
madre.
Inoltre, può diventare un forte punto di appoggio per gli acquisti
in Cina, sia destinati alla importazione in Italia, sia destinati alla
rivendita su tutti i mercati mondiali .
L’apertura di una FICE è comunque impegnativa in termini
finanziari (capitale sociale e capitale di esercizio), sia in termini di
gestione. In sostanza, si deve prevedere lo stesso impegno che si
prevede nella gestione di una srl o di una spa italiana. (Organi
Societari, Cda o Amministratore Unico, Responsabile

40 Tutti i dettagli legali e operativi per l’apertura e la gestione di un Rep. Office in

Cina sono disponibili nelle pubblicazioni professionali di Dezan Shira &


Associates, al sito www.china-briefing.com

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Amministrativo, Collegio Sindacale, gestione formale della
contabilità e degli aspetti fiscali)

Vendita attraverso un distributore europeo in Cina

Questa può rappresentare una buona via intermedia per la vendita


a negozianti/retailers cinesi, ai quali non sempre si può chiedere di
addossarsi i problemi doganali, di trasporto, ecc.
I retailers cinesi preferiscono acquistare il prodotto in Cina, a
prezzo preciso, lasciando al produttore le incombenze amministrative
e logistiche.
Il funzionamento di questa modalità prevede che la gestione della
vendita sia direttamente in mano al produttore italiano (sia
direttamente dall’Italia che attraverso un Rep. Off., o personale
cinese)
Si individua una struttura europea (normalmente una FICE, quindi
in possesso di tutte le licenze di importazione e distribuzione sul
mercato cinese) e si concorda un valore, in genere una provvigione
variabile dal 5 al 15%, a seconda delle operazioni che le si
richiedono.
La FICE importa il prodotto che l’azienda ha già venduto in Cina,
gestisce la logistica, rifattura i singoli ordini ai clienti, ne cura la
spedizione e gli incassi, e provvede alla liquidazione dei pagamenti
all’azienda italiana.
In alcuni casi può anche supportare il produttore in alcune
lavorazioni finali come l’imballaggio, o semplici operazioni di
finissaggio più convenienti in loco.

Il Franchising

Il Franchising è già molto sviluppato in Cina.


Le grandi aziende multinazionali lo utilizzano da anni, nonostante
una certa complessità nell’ottenimento delle licenze. Recentemente,
la legislazione è stata rivista, per renderla più adeguata alle norme
internazionalmente adottate.

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Tuttavia mantiene una certa complessità, e l’avvio di
un’operazione di franchising deve assolutamente essere assistita dalla
consulenza di esperti internazionali operanti in loco.
Poiché comunque riteniamo che il Franchising rappresenterà per
molte imprese italiane un ottimo strumento di penetrazione
commerciale, cerchiamo di fornire alcuni elementi base per una
prima valutazione.

Ultime fonti normative: Maggio 2007 – MOFCOM41

Regulations on the Administration of Commercial Franchises ( Fran-


chise Regulations ).

Administrative Measures for the Information Disclosure of Commer-


cial Franchises ( Information Disclosure Measures )

Administrative Measures for Archival Filing of Commercial Fran-


chises

- Il franchisor deve dimostrare il possesso di un proprio modello di


business, essere in grado di mantenere una assistenza
manageriale e tecnica continuativa, nonché servizi di formazione
al franchisee.

- Il Franchisor deve dimostrare l’attività di almeno due punti


vendita propri attivi da almeno un anno: regola del 2+1. (Non
viene precisato che i due punti vendita devono essere in Cina,
questo ha fatto presumere che i Franchisor stranieri possano
entrare immediatamente nel mercato cinese, ma questo elemento
è ancora in discussione, quindi la situazione va verificata di caso
in caso)

41Una documentazione compelta e dettagliata in italiano sulla nuova normativa


Cinese del franchising è disponibile anche sul sito www.corriereasia.com

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− A partire dal primo contratto di Franchising concluso in Cina, il
Franchisor deve registrarsi presso l’apposito registro gestito dal
MOFCOM, che provvede a registrare tutti i dettagli del contratto
di franchising e i dati aziendali, e a pubblicarlo sul proprio sito.
Eventuali cambiamenti del contratto di franchising o degli altri
elementi registrati, devono essere comunicati al MOFCOM entro
30 giorni dalla loro applicazione.

− Gli elementi informativi, soggetti a registrazione sono i seguenti:

(Precisiamo che si tratta di una doppia traduzione dal cinese e


dall’inglese, quindi la effettiva definizione dei dettagli da fornire va
accuratamente verificata)

a) Informazioni base sul Franchisor

b) Informazioni sulle modalità distributive dei negozi in


franchising che si intendono attivare in Cina

c) Prospetto commerciale del Franchisor

d) Copia della licenza per l’attività o Registrazione


dell’Impresa presso gli Uffici preposti

e) Copia del deposito di Marchi d’impresa, logo, o altre


risorse aziendali messe a disposizione del franchisee

f) Copia standard del contratto di affiliazione

g) Manuale per l’operatore affiliato

h) Piano di marketing

i) Dichiarazione di ottemperanza alla regola del 2+1 (due


negozi aperti direttamente da almeno 1 anno)

j) Certificazione della regola del 2+1 da parte delle

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autorità municipali cinesi (nel caso di negozi aperti in
Cina) o delle autorità estere (per negozi aperti all’estero)
tradotto e legalizzato dal Consolato cinese.

9.6.3 Good practice per vendere in Cina

Cito con piacere un articolo che ho tradotto e sintetizzato, di


Matte Harrison, di B2B, che contiene alcuni buoni consigli per chi
intende vendere in Cina. (L’articolo poteva, a buon titolo, anche
essere inserito nel capitolo delle diversità culturali).

a) Non dimenticare gli elementi base del marketing: Prodotto,


Prezzo, Posizione, Promozione (le 4 P del marketing) hanno tutte
un grande valore in Cina.

b) Pazienza. La procedura di vendita in Cina è più lunga, più


complessa, più snervante di quanto siamo abituati in Europa. La
ragione è solo in parte di ordine culturale e di abitudini cinesi. In
gran parte è tempo necessario affinché il Cliente si convinca della
credibilità dell’azienda straniera.

c) Ascolto. Una delle critiche più spesso rivolte ai venditori


stranieri, è quella di scarso ascolto, inteso come incapacità di
comprendere i bisogni del mercato cinese. L’errore più
grossolano che le imprese straniere tendono a commettere è
quello di cercare di rieducare il gusto e la tradizione cinese,
anziché sforzarsi di offrire un prodotto compatibile con il gusto
cinese. Questo atteggiamento viene spesso considerato arrogante
e poco rispettoso.

d) Relazioni. Sono molto importanti, ma non vanno sopravvalutate,


non sono più importanti degli elementi base del marketing. Vale
molto di più dare soddisfazione ai bisogni e assumere un
atteggiamento win-win.

e) Fiducia nella propria qualità. La forza di partenza in una

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trattativa è la qualità che normalmente i compratori cinesi
attribuiscono al prodotto occidentale. É una importante leva su
cui fare forza per dimostrare la capacità del nostro prodotto di
fornire valore aggiunto.

f) Metodici ma flessibili. La metodicità nell’approccio al business


da parte degli occidentali è nota e riconosciuta dai cinesi. Quando
però questo approccio diventa un dogma , impermeabile alle
esigenze di pragmatismo e a volte di creatività dei Cinesi, può
diventare un ostacolo importante nella relazione.

g) Prepararsi a lunghe negoziazioni. Un business in Cina richiede


sempre diversi round. Non possiamo pensare che le condizioni
siano accettate alla prima proposta. Ripartire da zero in alcune
trattative che sembravano gia in fase di conclusione, fa parte più
di una prassi negoziale che di un atteggiamento aggressivo.

h) Evitate esagerazioni. Siate moderati nella descrizione della


vostra azienda, evitate di sovrastimare i vostri prodotti, puntate
sugli effettivi benefici per il cliente. Una presentazione esagerata
potrebbe sembrare il tentativo di coprire delle lacune. E poi,
aggiungiamo, possiamo avere una brutta sorpresa scoprendo che
il nostro interlocutore possiede un azienda con 4/5.000
dipendenti, e noi abbiamo appena finito di osannare le
dimensioni della nostra azienda di 300 dipendenti. Il fattore
dimensione in Cina va sempre tenuto presente.

Case history semi-comica

Uno dei racconti dei miei clienti che mi ha fatto maggiormente


sorridere, pensando alla improvvisazione, e alla scarsa conoscenza
della Cina, riguarda un imprenditore emiliano, invitato in Cina con la
proposta di acquisto di una sua macchina. L’imprenditore arriva a
Shenzhen, e viene invitato a discutere in un noto ed elegante
ristorante.
Durante la cena vengono messi a punto i dettagli del contratto che

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in quella sede però i Cinesi si guardano bene dal firmare (ma sarebbe
stato lo stesso). Alla fine della cena, viene presentato il conto del
ristorante all’imprenditore: quasi 4.000 Euro per una cena di 5
persone.
L’imprenditore paga, un pò stupito del costo, ma non sa nulla
della Cina. Carta di credito e via. Quel ristorante non fa pagare più di
15/20 Euro a persona per una cena. I suoi interlocutori cinesi
avevano organizzato una combine con il ristorante. Qualche migliaio
di Euro in tasca facili.
L’imprenditore è ancora convinto di fare l’affare e torna in Italia,
ma i suoi interlocutori non si fanno più vivi. Si rivolge alla sua
Associazione imprenditoriale che ha una convenzione con le nostre
Società di consulenza.
Ci attiviamo subito, ma dalla prima descrizione capiamo che si
tratta di una truffa alla Totò. Ovviamente l’azienda cinese non esiste,
non ha la business license, non ha un ufficio. E chissà quanto altri
potenziali venditori ha attirato nella loro trappola..

9.7 Non ci facciamo mancare nulla. Se non ci copiano i


Cinesi ci copiamo da soli. Il caso del vino auto-
contraffatto

Parliamo di vino, un prodotto chiave del nostro sistema agro-


alimentare, e uno dei simboli del Made in Italy, che proprio per
questa ragione dovrebbe essere trattato in guanti bianchi. E invece..
In uno dei più noti ristoranti italiani a Canton mi viene proposta
una carta dei vini dove noto uno dei vini che abitualmente apprezzo
in Italia. Vedo che l’indicazione del produttore è diversa, ma il
marchio era così chiaramente indicato che non me ne preoccupo.
Ordino un calice per aperitivo, e noto subito che il vino è molto
spento, diversamente dal perlage brillante, consistente e persistente
che conosco. Immagino che il vino sia stato aperto da tempo, quindi
chiedo una bottiglia che mi viene prontamente servita, alla giusta
temperatura.
Bottiglia identica (riconoscibile perchè molto particolare),

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etichetta apparentemente identica, anch’essa molto riconoscibile, ma
non c’è traccia del nome del produttore italiano, che conosco bene,
né del marchio di questo produttore, pubblicizzato invece nella Carta
dei Vini. Chiedo lumi al maître, ma non mi sa dare risposta.
Mi viene quindi il dubbio che si tratti di un vino contraffatto,
infatti anche la qualità del vino della della bottiglia è lontana mille
miglia da quella che conoscevo bene.
Scrivo quindi una mail al produttore e metto in copia il General
Manger del ristorante (sono fatto cosi, prevale sempre lo spirito del
giornalista).
Il Manager mi risponde piuttosto arrabbiato, sostenendo che
quella era l’indicazione ricevuta dall’importatore, e che non potevano
certo conoscere tutti i vini del Nord (la catena di ristoranti è di
proprietà di persone del centro Italia).
Mi risponde anche il Presidente della Società proprietaria del
Marchio, che porta lo stesso nome, con una lunga mail nella quale
sostanzialmente si sostiene che:

1) I Cinesi non capiscono nulla di vino

2) L’importatore aveva chiesto una linea di prodotto più bassa da


proporre al mercato, dato che la loro linea standard era troppo
costosa per i Cinesi.

3) Si era inventato un nome di fantasia per sostituire il nome della


propria Società come produttrice, e non legarlo ad un prodotto
scadente (aveva però’ purtroppo mantenuto insieme al nome di
fantasia del produttore il proprio notissimo marchio
commerciale, che ovviamente aiuta la vendita, tanto è vero che
l’ho comprato anch’io, che quell marchio conosco molto bene)

4) Il vino era comunque “piú potabile di tanti altri” (letterale!)

5) L’Azienda deve mantenere fatturati e quote di mercato.

Non riuscivo a crederci, si era copiato da solo!

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Stiamo parlando di un’azienda leader in una nicchia molto
importante di mercato, con tassi di crescita elevatissimi, un marchio
di grande prestigio, medaglie su medaglie raccolte ai vari Vinitaly.
Questa azienda ha però trattato il mercato cinese come un mercato da
trattoria (e il ristoratore non se n’era accorto, oppure ci stava al
gioco, poi vediamo il perchè).
Ho cercato di rispondere alla mail del Presidente con una serie di
considerazioni di marketing che riporto, trattenendo a stento una
certa rabbia su quanto anche un’azienda ben quotata e credo molto
ben gestita (è una SPA), sia completamente priva di strumenti di
conoscenza e informazioni su un mercato come quello cinese.

Riporto brevemente gli argomenti con cui ho risposto.

- Non è vero che in Cina non si possono vendere vini italiani di


qualità. Ce ne sono molti, sia nei supermercati che nei Ristoranti,
a prezzi adeguati;

- La richiesta dell’importatore di avere una linea più bassa di vini è


solo un problema di margini. L’importatore (una grande azienda
spagnola, peraltro concorrente di molti Italiani) non ha alcun
interesse sui marchi e sul posizionamento di mercato, valuta i
prodotti solo sulla base del margine che questi gli permettono.
(Diversa dovrebbe essere la posizione dei produttori italiani, per i
quali il marchio è un grande asset aziendale). Vediamo in
dettaglio i calcoli che ho ricostruito:

- L’importatore propone, sul proprio sito, un prezzo al pubblico di


153 RMB ( 15,3 € circa) per il vino diciamo autentico , e il
prezzo di 125 RMB per il vino auto-taroccato . Possiamo stimare
che acquisti il vino vero a circa 5,5 € dal produttore, quindi ha un
coefficiente di ricarico (incluso trasporto, dogana, costi di
distribuzione e margine) di 2,8 (che pare coerente ed accettabile).

- La stima del vino taroccato è di un costo di circa 1,5/2 €. (Non è


DOC, nessuna indicazione sulla provenienza territoriale delle
uve, probabilmente est-europee, ecc.). Se cosí fosse, e credo di

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essere molto vicino alla realtà, il coefficiente di ricarico
dell’importatore, in questo caso è di circa 8 volte. Il gioco è tutto
in questi numeri. Probabilmente, questo vale anche per il
ristoratore, che pur potendo scegliere di avere entrambi i vini
dall’importatore, ha scelto di mettere in lista solo quello più
scadente. Certamente anche lui ha una fetta di questo extra-
margine.

- Come si vede da questi numeri, i prezzi a cui vengono proposti i


due prodotti non sono poi così diversi. Tre Euro di differenza
sono pochi anche in Cina. Quindi, perchè montare tutta questa
messinscena? Solo per i maggiori margini del distributore?
(Dubito peraltro che il produttore sia a conoscenza dei due
diversi, e molto simili, prezzi di vendita.

Quali sono gli effetti di questa politica del produttore:

- La politica di distribuzione del prodotto, ed il suo


posizionamento commerciale, è completamente in mano al
distributore. Il produttore non ha nessun controllo. Questo
significa che nel momento in cui i produttori italiani si
renderanno conto (ancora una volta in ritardo) che il mercato
Cinese sarà diventato, come sarà nel giro di pochi anni, il primo
consumatore mondiale di vino, e faranno una nuova ennesima
rincorsa alla Cina, le loro armi commerciali saranno spuntate, i
posizionamenti già definiti e poco scalzabili, se non al prezzo di
ricomprarsi le quote di mercato. Già visto.

- Proporre un vino scadente, abbinato ad un marchio di qualità è la


peggiore delle politiche commerciali che si possano immaginare.
In un mercato vergine, significa far coincidere, nella mente dei
consumatori cinesi, quel marchio con quel vino. Modificare la
percezione dei consumatori, stratificata nel tempo, è quasi
impossibile. É dura spiegare che quel marchio che costava 125
RMB dovrebbe costarne almeno 200. Cosa gli diciamo? Scusate,
abbiamo scherzato, questo è il vino vero?

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Ancora una volta la scarsa conoscenza del mercato cinese –
perchè in questo sta la ragione di tutti i problemi - sta giocando brutti
scherzi.
Come si stanno comportando i cugini-concorrenti francesi nel
settore del vino? Posso raccontare una vicenda esemplificativa di cui
ho avuto esperienza diretta.

Nel 2000 il governo cinese indisse una gara per mettere a dimora
24 ettari di viti a Taishi, nella provincia dell’Hebei (a circa 100
kilometri da Pechino, e per fornire tutti gli impianti di lavorazione
dell’uva e di produzione del vino. Si tratta di un’azienda dimostrativa
(denominata Sino-French Grape Growing and Winemaking
Demonstration Farm, inaugurata il 13 Novembre 2006, dopo 5 anni
di lavori), ma che, come vedremo, ha già buone attività commerciali.
La gara fu vinta da una Società di Consulenza Franco-Cinese (la
France-Tech-China Ltd)42, con sedi a Bordeaux e Hong Kong, e con
un ufficio a Shenzhen, che ha messo a dimora le viti, e ha fornito
tutti gli impianti di cantina.
Le 16 varietà di vitigni messe a dimora sono ovviamente
rigorosamente francesi.
A noi Italiani, maestri nella produzione dei macchinari e impianti
per la vinificazione, oltre che mastri vinai, questa gara deve essere
sfuggita! Gli impianti forniti dai francesi per questa iniziativa,
sembrerebbero essere italiani, secondo la descrizione del sito, ma il
cuore commerciale e industriale dell’iniziativa è tutto dei francesi.
La Società Franco-Cinese autrice dell’iniziativa, dichiara
apertamente su un sito francese,43 di avere come obiettivo la vendita
ai contadini cinesi di piccolo impianti (in kit) per la produzione del
vino, e di voler creare la prima DOC cinese.
Ora la Società ha cominciato a produrre il proprio vino e a
commercializzarlo nella grande distribuzione. La politica di prezzo è
estremamente oculata, i vini rossi sono posizionati intorno ai 16-18
Euro, molto al di sopra dei vinelli (o vinacci) cinesi, che troviamo a

42 http://www.francetechchina.com/
43 http://www.leventdelachine.com/vdlc.php?id=200331

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3-4 Euro, ma appena al di sotto dei vini europei di primo prezzo, che
si trovano a partire da circa 20 Euro.
Sono stato invitato ad una degustazione privata di questi vini, alla
quale erano presenti anche alcuni amici italiani professionisti del
settore, e devo dire che li ho trovati assolutamente al livello dei nostri
vini di primo prezzo, in alcuni casi direi ben al di sopra. I miei amici
confermano.
Questi vini potrebbero ben essere venduti al pubblico a 8-10
Euro, sicuramente ancora con margini interessanti, ma sia i
produttori che la Grande Distribuzione se ne guardano bene dal farlo,
e mantengono il loro posizionamento intorno ai 18 Euro. Da cosa
deriva questa loro capacita?
Dal semplice fatto che l’etichetta riporta molto in evidenza che il
vino è si cinese ma fatto con la famosa tradizione francese
(specificando di Bordeaux). Quindi, vino cinese ma tecnicamente
francese. I nomi dei vini poi, riportano spesso la dicitura Chateau.
Come dire: French Style – China Made. I francesi ci hanno pensato
prima di me, non ho inventato nulla.
Ma non si vendono bene solo i vini cinesi. In Cina il mercato è
pieno di vini francesi, neozelandesi, cileni, californiani, australiani,
che non vengono mai proposti al pubblico sotto i 200/250 RMB, né
alla Grande Distribuzione nè, tanto meno, al ristorante.
Allora, era proprio necessario per il nostro produttore di
bollicine, copiarsi da solo per vendere un vino a 15 Euro?
I francesi, i neozelandesi, gli australiani propongono
continuamente, nei punti vendita e nei ristoranti, degustazioni e
sessioni educative sul loro vino, e sono sempre affollate di Cinesi.
Non ho ancora visto una presentazione italiana in un supermercato.
Ne ho viste alcune in hotel, ma normalmente sono affollate solo da
Italiani, pochissimi i Cinesi, in genere amici (amiche) degli Italiani.
Questione solo di relazioni?
No. Questione di essere sul posto , di avere una organizzazione
che monitorizza il mercato, di avere un ufficio di rappresentanza, dei
sommelier che si spostano a fare le presentazioni. Insomma,
questione di esserci sul mercato, non di farci un giro ogni tanto per
concludere che i Cinesi non capiscono nulla di vino. Se fosse per noi,
continuerebbero nella loro sana ignoranza!

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I francesi ci saranno antipatici, saranno sciovinisti, noi faremo i
vini migliori dei loro, ecc., ma quanto a marketing del vino, chapeau!

9.8 La vendita nel settore industriale

Esistono comparti industriali molto avanzati, per i quali la


potenziale concorrenza cinese non è ancora uno spauracchio.
Continuano a vendere bene nei mercati europei e americani, oltre che
nei maggiori mercati emergenti dell’Est Europa e in alcuni mercati
orientali.
Stiamo comunque verificando una forte attenzione da parte di
settori estremamente avanzati sul piano tecnologico, rispetto non
tanto alle attività industriali cinesi, quanto alle manovre di
delocalizzazione dei loro principali concorrenti (spesso europei,
molto più spesso americani).
A prescindere dalle grandi multinazionali che si sono insediate in
Cina ben prima della svolta economica voluta da Deng Xiaoping44,
molte imprese americane si stanno insediando con unita produttive in
Cina, col lo scopo preciso di presidiare il mercato cinese.
Hanno la perfetta consapevolezza che la tecnologia cinese sta
facendo progressi a velocità inimmaginabili per le nostre imprese, e
intendono insediarsi con un prodotto di assoluto valore tecnologico,
ma proposto sul mercato cinese ad un prezzo competitivo. Questo
costituisce una soglia di accesso praticamente invalicabile per i
produttori cinesi almeno per i prossimi vent’anni.
Non sono quindi le imprese cinesi a fare paura. Le nostre aziende

44 Artefice della svolta cinese del “socialismo di mercato”. Con il suo famoso
discorso nel Guangdong, durante il celeberrimo “viaggio al sud” nella primavera
dell’82, nel quale dichiarò che le riforme economiche erano una linea guida
immutabile per la Cina, aprí di fatto la Cina all’attuale economia di mercato e
lanciò ai cinesi lo storico slogan: “arricchitevi!”. Rimane nella storia e
nell’annedottica la sua famosa frase: “Non importa se il gatto è bianco o nero,
purchè prenda il topo”, diventata il simbolo del proverbiale pragmatismo Cinese.

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dovrebbero temere molto di più i concorrenti europei, che si
insediano senza clamore in Cina, e per qualche anno accumulano il
gap economico derivante dai minori costi di produzione, immettendo
sul mercato europeo prodotti a prezzo invariato rispetto ai prodotti
Made in Europe.
Nel momento in cui ne hanno bisogno, sono in grado di
presentarsi sui loro mercati con una competitività straordinaria che
hanno maturato attraverso la produzione in Cina, e con una forza
finanziaria, derivante dalla stessa ragione, che permette loro di
comprare quote di mercato, se non le intere aziende concorrenti,
finanziariamente stremate.
Le PMI italiane su questo sono in grave ritardo, e non dimostrano
una strategia di fondo.
Poco tempo fa una azienda italiana straordinariamente efficiente e
tecnologicamente molto avanzata mi interpella per sottopormi un
problema che stava diventando molto grave.
Il loro prodotto, estremamente sofisticato, si è venduto bene in
Cina per anni, fino a far diventare il mercato cinese un mercato
strategico per l’Azienda, ma il calo di vendite che si stava
progressivamente verificando sul mercato cinese preoccupava molto
il management.
La ragione era dovuta al fatto che alcuni produttori cinesi, dopo
aver visto e studiato per anni il prodotto italiano importato, hanno
finalmente imparato a farlo, e lo propongono ad un prezzo
decisamente inferiore, anche se probabilmente con alcune lacune
tecniche non ancora colmate.
Chi legge penserà che l’azienda italiana mi abbia interpellato per
una consulenza circa un insediamento produttivo in Cina. No, il
livello strategico più elevato che l’azienda aveva elaborato era quello
di tentare di far passare prodotti finiti per semilavorati alla dogana
cinese, abbassando così leggermente le aliquote di importazione che
gravavano sul prodotto importato.
Ḗ una strategia, ammesso che funzioni, che ha una visione del
tutto miope, e indica una attitudine alla soluzione del problema di
oggi, ma nessuna visione di respiro strategico.
Ho cercato inutilmente di riportare l’azienda ad un ragionamento
più ampio, allo sviluppo enorme del mercato cinese nel loro settore,

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alla realtà dei fatti, senza riuscirci.
A conclusione del colloquio sono rimasto di stucco nel sentire
dall’imprenditore una frase che mette a nudo da un lato l’arroganza,
dall’altro l’incapacità di una analisi di realtà .
Sa, - mi dice l’imprenditore - noi nel nostro campo siamo una
boutique.
Si, ho pensato senza dirlo, ma avete perso il mercato cinese che
avevate in mano.

9.9 Italian Style - China Made nel settore industriale

I ragionamenti che abbiamo esposto per il settore del consumo,


sono in gran parte adattabili anche al settore industriale. Il punto
critico da cui partire per analizzare le possibilità e le necessità di
integrazione tra il sistema industriale italiano e cinese nel settore dei
prodotti industriali è riassumibile nei seguenti concetti:

- Il settore industriale italiano ha raggiunto un livello di


sofisticazione tecnologica e di cura del prodotto molto elevato,
consentito da anni grassi nei quali il fattore prezzo non era una
autentica discriminante. Quindi, il rapporto qualità/prezzo non è
stato sempre un criterio-guida.

- Il mercato cinese ha rimesso al primo posto questo concetto. Gli


industriali cinesi sono disponibili a pagare un prezzo più elevato
per un prodotto di alta qualità ma non sono disposti a pagare
quello che essi considerano fronzoli , ai quali ho gia accennato in
precedenza, e che nel mercato europeo rappresentano invece un
plus. Sono disposti a pagare solo la maggiore efficienza.

- Si è quindi creato un mercato cinese del prodotto industriale, solo


finalizzato al miglior prezzo, essendo in molti casi impossibilitati
ad aggiungere qualità . Ecco creato lo spazio per un prodotto
italiano di qualità costruito in Cina . Il risultato che si ottiene è
di coprire il bisogno delle industrie cinesi di avere macchine,

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impianti, sistemi di qualità superiore a quella cinese, ad un
prezzo certamente più elevato di quelli cinesi, ma inferiore a
quello italiano, quindi attraente per le industrie cinesi rispetto alle
prestazioni fornite.

In questo caso, ancor più che nel settore consumo è solo questione
di tempo. Il sistema industriale cinese ha dimostrato di possedere una
capacità di aggiornamento tecnologico e di innovazione impensabili
per le nostre abitudini anche grazie ai forti investimento in R & D
delle ricche industrie cinesi, e allo stretto rapporto con le Università
Tecnologiche cinesi.
L’idea che possiamo continuare a vendere impianti ai Cinesi,
senza preoccuparci di localizzare la produzione in Cina, o di fare
accordi per lo sfruttamento in loco delle tecnologie italiane, porterà a
risultati drammatici per le imprese italiane.
Non va infine dimenticato, che le alleanze industriali in Cina non
hanno esclusivamente finalità interne al mercato cinese. La Cina sta
diventando il riferimento per gli acquisti per moltissimi Paesi in via
di sviluppo. certamente è un mercato di riferimento per gli altri Paesi
asiatici, ma ora anche per l’Africa, con la quale la Cina ha stretto
fortissimi legami politici e commerciali.
Essere presenti in Cina con una capacità produttiva altamente
competitiva significa affacciarsi a tutto il mondo in via di sviluppo,
affamato ora di tecnologia e prodotti industriali sviluppati, ma a
breve anche di prodotti di consumo. Dobbiamo quindi vedere la Cina
come una piattaforma anche commerciale, e in questa logica le
decisioni di insediamento sul mercato cinese devono avere una
visione complessiva, strategica, dello sviluppo mondiale.
Andare in Cina quando non se ne può fare a meno, in termini di
competitività dei nostri prodotti, è certamente una scelta limitante e
molto rischiosa.
Non vale nemmeno la difesa rispetto ai posti di lavoro italiani. Per
citare un esempio che conosco bene, basti pensare al caso del
Distretto dello Sportsystem di Montebelluna (Treviso), il maggiore
polo mondiale per la produzione di calzature e abbigliamento
sportivo. Questo distretto ha delocalizzato le produzioni in Cina,
India, Vietnam da molti anni, ma secondo dati dell’Osservatorio del

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Museo dello Scarpone (l’Ente che monitorizza il distretto) non ha
perso un solo posto di lavoro negli ultimi anni, anzi, ha attratto
l’apertura di Centri Sviluppo di tutti i produttori mondiali del settore.
L’operazione di delocalizzazione ha infatti confermato il distretto
come il grande cuore software del settore (progettazione, sviluppo
prodotto, sviluppo materiali, design, stile, prototipazione), mentre la
delocalizzazione ha reso estremamente competitivi i prodotti sui
mercati mondiali, su cui le aziende del distretto competono almeno
alla pari con i grandi rivali tedeschi e le multinazionali americane.
Il cambiamento cinese nel settore industriale è sconvolgente. Le
imprese stanno accumulando risorse finanziarie che riverseranno nei
prossimi anni nell’acquisto di brand e tecnologia europea ed
americana, acquistando le asfittiche aziende nostrane.
Il governo cinese sta contrastando in tutti i modi l’insediamento di
imprese ad alta concentrazione di manodopera di basso profilo,
favorendo enormemente le aziende che investono in Cina apportando
tecnologia vera. Le nuove politiche sui rimborsi IVA
all’esportazione, che penalizzano drammaticamente le aziende con
basso valore aggiunto, hanno fatto fuggire a gambe levate centinaia
di aziende dal Guangdong, la vera fabbrica della Cina.
Stanno scappando le aziende povere, che sopravvivono grazie allo
sfruttamento della manodopera, lavorando su processi manuali di
basso valore, con margini ristretti.
Questo è quello che voleva ottenere il governo cinese, e lo sta
ottenendo anche a costo di creare un momento di vero panico nella
Regione. La situazione gli sta però dando ragione. nella zona si
stanno insediando imprese europee nel campo della ricerca
ambientale, delle nano tecnologie, dell’energia.
Un lampante esempio dell’indirizzo verso cui il governo cinese
intende spingere l’economia è il progetto IEPZ (International
Environmental Protection Science & Technology Zone), nel quale
sono coinvolte già molte imprese italiane, che si sta per avviare a
Yixing, interamente dedicato al settore ecologico, settore nel quale il
governo cinese ha dichiarato di voler investire 15 miliardi di Euro nei
prossimi anni.
In questo Centro troveranno posto circa 1.000 aziende di tutto il
mondo, su una superficie coperta di 400.000 metri quadrati, di cui

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140.000 dedicati alla ricerca.

Un nostro importante cliente italiano ha investito 4 milioni di


Euro per la creazione di un centro Ricerca & Sviluppo nel
Guangdong, concentrandovi tutte le operazioni dell’Estremo Oriente.
Un centro ricerca per materiali, per test tecnici, per innovazione
tecnologica, che occuperà circa 200 persone dalla sua apertura,
prevista per l’Ottobre 2008, fino alla messa a regime prevista nel
Giugno 2009.
Questa azienda non perderà posti di lavoro in Italia, ma avrà a
disposizione risorse umane, creatività, entusiasmo, skill tecniche, con
una disponibilità ed un costo che in questo momento forse solo la
Cina può offrire.
Senza dimenticare che i grandi buyer mondiali, quelli che
determinano il mercato della grade distribuzione, comprano
praticamente oramai solo in Cina, anche dai produttori europei.

9.10 Seguire il cliente

Per molte piccole e medie imprese italiane, la delocalizzazione più


o meno vasta della produzione da parte dei loro maggiori clienti è
stata un vero trauma. Per quelle di maggiori dimensioni, una grande
opportunità .
Molte piccole imprese, fornitrici di elettronica o componenti nel
campo dell’automotive, si sono trovate di punto in bianco davanti
alla richiesta del loro Cliente di fornire centraline, sistemi di
controllo, componenti sofisticate, non più a Reggio Emilia, Modena
o Bologna, ma magari a Guangzhou, vicino al loro nuovo
stabilimento cinese, naturalmente a prezzi cinesi.
Guanzhou?
Queste piccole aziende hanno impiegato anni per diventare
fornitori accreditati di un grande marchio, e nel momento in cui si
stavano un pò rilassando, ripagati dei loro sforzi e dei loro
investimenti, questo si inventa Guangzhou, o Shenzhen, o Foshan, o
qualche altra città cinese dal nome impronunciabile, per molti

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probabilmente solo dei puntini in una carta geografica che non
avevano forse mai osservato con attenzione. Per chi conosce la Cina,
città con milioni di abitanti.
Ma il mondo si muove, e molte piccole imprese hanno dovuto fare
di corsa quei passi che, se pianificati, sarebbero stati molto più facili.
Quindi ancora investimenti, ancora risorse, ancora fatica. Ma solo
perchè siamo terribilmente in ritardo e non ci siamo accorti di quanto
veloce corre il mondo.
I grandi marchi hanno tenuto il passo, e hanno fatto le loro scelte.
Per gli altri, come diceva il grande Fellini alle comparse prima del
ciack: “Chi c’è, c’è . Chi non c’è non si vede in proiezione”
Per le aziende di medie dimensioni, fornitrici dei grandi marchi
questa situazione è stata invece una grande opportunità .
Una media azienda di Udine, nostra cliente, fornitrice di impianti
di condizionamento alla Volkswagen (la maggiore quota di mercato
nel segmento automotive in Cina) è stata richiesta di fornire gli stessi
prodotti in Cina.
In due anni l’azienda ha messo in piedi una struttura produttiva
con 500 dipendenti, capace di sostenere i ritmi di acquisto di
Volkswagen, ma soprattutto, ha messo saldamente i piedi, e la testa,
nel più grande mercato automobilistico mondiale. E con questo si
liquida anche la sterilissima e ipocrita polemica sulla impossibilità
che in Cina si possa produrre con standard di qualità eccellenti e a
prezzi competitivi. Qualcuno pensa forse che il controllo di qualità
delle componenti della Golf sia meno severo in Cina rispetto alla
Germania o a qualsiasi altro Paese in cui Volkswagen produce una
vettura? Evidentemente no. É solo un problema di risorse tecniche,
umane e finanziarie, ma naturalmente Volkswagen non è certo
disposta a pagare un componente prodotto in Cina allo stesso prezzo
a cui lo paga in Germania. Seppelliamo quindi le credenze sulla
incapacità cinese di produrre in qualità. Sostanzialmente, dipende dal
cliente.
Ho citato solo alcuni esempi, ma posso dire che tutti i grandi
settori tecnologici che hanno attività produttive in Cina, hanno
sostanzialmente trasferito in Cina la loro supply chain europea o
americana. Naturalmente con i fornitori che ci stavano, o che erano
in grado di affrontare l’impresa. Quando non si è potuto avere i

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fornitori abituali, i grandi marchi hanno allevato e addestrato qualche
industria cinese, vogliosa di imparare, espandersi, e guadagnare, non
hanno certo rinunciato alle opportunità del mercato cinese.

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9.11 Cina su Cina

Il meccanismo triangolativo Cina su Cina merita di essere


spiegato in dettaglio trattandosi di una modalità utilizzata sempre di
piú, e con ottimi risultati, da parte di grandi e medi gruppi italiani.
É qualcosa di piú rispetto a quanto abbiamo già visto nella
costruzione del sistema Italian Style – China Made.
Il grafico che riportiamo può aiutare la comprensione, e
rappresenta una modalità concreta, tratta da uno specifico esempio di
due nostri clienti, entrambi operanti, in ambiti diversi, nel settore
della componentistica per calzature.

Grafico 8

Impresa Vende a grandi marchi , Cliente EU, USA,


Italiana produttori di calzature Giappone

Commissionano
prodotti finifi

Fattura a Clienti/Marchi Consegnano

Società Produttori Cinesi


Italiana in Cina
Talvolta fattura direttamente a produttore cinese
In alternativa, cede licenze d’uso della tecnologia

Commissiona componenti a
produttori cinesi Consegnano

Produttori Cinesi
Consegnano componenti a produttori
cinesi per conto dei Marchi
Mercato cinese

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Si tratta di un’operazione piuttosto complessa, che richiede
presenza e stabile organizzazione in Cina, con personale italiano, e
una forte assistenza consulenziale per gestire correttamente sia i
passaggi burocratici che gli aspetti contrattuali e doganali, in quanto
la materia prima per la costruzione dei componenti viene, in questo
caso, importata dal Giappone via Hong Kong.
É però un modello di grande forza e impatto, e costituisce una
base per uno sviluppo delle vendite sia sul mercato interno cinese che
sugli altri limitrofi mercati asiatici. É basato sullo sfruttamento della
massima efficienza economica dei mercati e degli attori dei mercati
stessi.
Si tratta, in questo caso, di una piccola azienda italiana specialista
in una innovativa applicazione nel settore footwear, che sfrutta un
proprio brevetto applicativo, che talvolta cede in licenza a produttori
cinesi, insieme alla tecnologia necessaria per usarlo.

Possiamo però citare un ulteriore esempio, ancora più sofisticato


e strutturato.
Si tratta in questo caso di un importante Gruppo industriale
italiano, con un marchio storico e notissimo nel mondo, fornitore di
uno specifico componente per la calzatura. La loro organizzazione
tende a creare un nuovo hub per tutto il settore Asia-Pacific,
replicando, e migliorando, un loro modello organizzativo già
applicato negli Stati Uniti.
Lo schema che riportiamo nella pagina successiva (Grafico 9)
ricalca in qualche passaggio quello precedente, con una forte
variazione. La Società ha costituito un grande Centro di Ricerca e
Sviluppo che, in coordinamento con il Centro italiano, svilupperà e
testerà nuovi materiali, prodotti e applicazioni per il mercato
specifico.

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Grafico 9

Società italiana Clienti mondiali


Vende produttori footwear

Controlla
Fattura
Commissionano
prodotti finiti
R & D Italia Coordina R & D Cina

Controlla Produttori cinesi


footwear per clienti
Tradferisce mondiali
Know How
FICE italiana in Marketing Clienti cinesi
Cina produttori footwear
in proprio

Commissiona i Clienti Asia Pacific


componenti Vende e fattura direttamente produttori footwear
in proprio

Produttori cinesi
per conto azienda
Consegnano i
italiana
componenti

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Come si vede, in questo caso la complessità è notevole, ed in
effetti l’azienda sta raggiungendo il quadro complessivo a piccoli
passi, sia per la notevole mole dell’investimento nel Centro cinese
R&D, sia per la difficoltà nella selezione del personale cinese a cui
affidare la gestione e le operazioni del Centro.
La lettura dell’intero sistema richiede un certo sforzo di
comprensione ed una certa dimestichezza con le strategie d’impresa.
Quello che appare però evidente anche a un non addetto ai lavori, è
che questi sistemi organizzativi non nascono dal nulla, sono frutto di
precisi progetti industriali, e delle relative strategie industriali e
commerciali necessarie a supportarli.
Non ultimo, il management di questa azienda è ovviamente di
primo livello, abituato a ragionare con una visione globale del mondo
e dei mercati, capace di strutturare un pensiero strategico e di
elaborarne le conseguenti strategie.

Gli effetti che scaturiranno da questo sistema, una volta a regime:

- Presidio dei mercati Asia – Pacifico

- Centro ricerche basato su giovani ricercatori cinesi, entusiasti e


relativamente economici, disposti a fare una carriera selettiva su
base meritocratica45

- Monitoraggio di nuovi materiali, prodotti, innovazioni, che


sempre piú stanno emergendo dalla Cina e da altri Paesi asiatici,
anche a seguito del trasferimento di molti centri di ricerca
americani ed europei, e all’attivismo delle Università cinesi

- Scambio di know how tra il centro R & D italiano e quello

45 Durante la selezione del personale per questo Centro Ricerche, un giovane


candidato, neolaureato, mi presentò un Curriculum che si chiudeva con questa
frase: “Maybe I am not the best, but I am special, and I do my best to improve more
and more” (Forse non sono il migliore, ma sono speciale, e faccio di tutto per
migliorarmi sempre di piú.)

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cinese, mantenendo peraltro il controllo integrale del KH stesso,
che viene trasferito ai produttori cinesi nella misura strettamente
necessaria a metterli in grado di produrre i componenti

- Controllo Qualità dei prodotti manufatti in Cina grazie alla


formazione dei giovani QC Manager all’interno del Centro
Ricerche cinese

- Possibilità di utilizzare al meglio i minori costi di produzione del


sistema-Cina nel suo complesso, recuperando competitività
nell’intera filiera economica dell’azienda.

- Funzioni marketing calibrate sulla cultura e sugli specifici


mercati asiatici, con la possibilità di produrre prodotti e
componenti come esattamente richiesto da questi mercati.

9.12 Know How in cambio di fatturato e quote di mercato

Un esempio di perfetta integrazione, di massima ottimizzazione


delle risorse e delle diverse esperienze delle aziende italiane e cinesi
è quello di importante gruppo tessile italiano, molto attivo anche nel
settore della confezione e della distribuzione di moda-donna.
La loro strategia integra in maniera molto efficiente il concetto di
Italian Style – China Made, ottimizzando al massimo l’efficienza del
sistema Cina-su-Cina, ricalcando, perfezionaldolo, il modello
presentato nel precedente Grafico 7.
Bisogna premettere che parliamo di un gruppo molto consistente,
in cui il problema non è piú come entrare in Cina, ma come scovare
sempre nuove opportunità di investimento e di crescita. Quindi non è
la problematica della piccola azienda che vuole mettere un piede in
Cina , ma quella di una grande azienda che vuole radicarsi,
aumentare quote di mercato, fatturato e margini.
La loro strategia, comunque, è illuminante e merita una
descrizione.
L’Azienda gestisce da molti anni diversi marchi commerciali,

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non abbastanza forti da stare in piedi da soli in Cina in negozi
monomarca, come invece avviene in Italia e in Europa.
Gli investimenti per superare la soglia della visibilità per questi
marchi in Cina sarebbero stati davvero pesanti, (i parametri di
riferimento nel marketing e pubblicità sono ovviamente gli
irrangiungibili brand della grande moda italiana e francese) e i ritorni
incerti e comunque lunghi.
Inoltre, il loro prodotto posizionato nella fascia media in Italia
sarebbe stato probabilmente out dal mercato medio cinese, che trova
prodotti analoghi (cinesi) a prezzi decisamente inferiori. Si sarebbe
poi dovuto fare un re-sizing di tutte le collezioni per adattarle alla
diversa conformazione fisica delle donne cinesi; per un prodotto a
ricambio veloce, di prezzo medio-basso, questo poteva essere molto
oneroso.
Tutte operazioni comunque fattibili e assolutamente alla portata
di una grande azienda, ma, come dicevo, dall’esito incerto e molto
lento; la soglia d’ingresso si rivelava piuttosto elevata.
L’Azienda cercava opportunità di investimenti, fatturato, quote di
mercato e utili a breve.
Hanno quindi deciso di puntare sui loro elementi forti: la perfetta
conoscenza dei metodi distributivi, del marketing del prodotto fast
fashion , la grande capacità e flessibilità nello styling. Sanno
esattamente come servire le donne della classe media, conoscono
perfettamente il profilo delle consumatrici a cui si rivolgono, hanno
una grande capacità di creare immagine e stile inconfondibilmente
italiano. Ed esperienza da vendere. Insomma, tutto il know how
necessario.
Con questi asset in portafoglio hanno iniziato una ricerca di
partner industriali in Cina che disponessero di capacità produttiva, di
un proprio marchio e soprattutto di propri canali distributivi diretti.
Trovato il partner giusto, con un marchio in quel momento
medio-basso, ma suscettibile di forte miglioramento, hanno costituito
con lui una Joint Venture al 50%, lasciando al partner la gestione
operativa e tenendo per sè l’intera area stile, marketing, immagine e
comunicazione.
In quattro anni hanno radicalmente cambiato faccia al marchio,
rivisto la comunicazione, ridisegnato negozi e insegne, riposizionato

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i negozi nelle location piú adatte e ridisegnato le collezioni (ora lo
styling viene tutto dall’Italia). Il posizionamento del prodotto è stato
spinto verso l’alto, il prezzo medio di vendita è raddoppiato.
La produzione viene tutta fatta in Cina dal partner cinese. In
quattro anni il fatturato dell’Azienda è quadruplicato, con l’apertura
di oltre 300 negozi diretti in tutta la Cina, incluse le città di seconda
fascia, e con utili importanti.
Il marchio è ora uno dei piú noti ed apprezzati marchi cinesi nel
settore donna, e l’azienda esegue un monitoraggio costante dei nuovi
Centri Commerciali in cui aprire nuovi punti vendita. Presidiare
subito le nuove location è diventato adesso il loro must.
Con la massima soddisfazione di tutti, Italiani e Cinesi.
Sulla base di questa esperienza, estremamente positiva, l’azienda
italiana sta ora ricercando nuove opportunità di investimento per
replicare il modello, non solo in Cina, ma in molti altri Paesi
dell’area Asia Pacific.

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10. Pillole di competitività

10.1 Competitività quotidiana

Come ho già avuto modo di dire, e contrariamente a quanto si


ritiene comunemente, la competitività della Cina non nasce solo dal
basso costo del lavoro; è una competitività di sistema. Gli elementi
macro sono difficilmente interpretabili a occhio nudo, ma i micro
elementi sono sotto gli occhi di chiunque viva un pò in Cina.
Possono sembrare aspetti contraddittori, rispetto ad un sistema
amministrativo notoriamente lento e iperburocratizzato, ma ci si
accorge presto che la Cina viaggia su diversi binari a velocità
diverse. Tutto ciò che riguarda la pubblica amministrazione ha una
velocità ridotta da un assetto burocratico pesante (anche se il
federalismo di fatto con cui si sta organizzando l’Amministrazione
cinese, sta dando una grossa mano alla velocizzazione e alla
semplificazione).

Quello che riguarda invece i servizi innovativi, o i servizi


necessari alle imprese hanno invece una straordinaria velocità e
semplicità .

Vediamo alcuni esempi.

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1. Tempo di apertura di un conto corrente personale per uno
straniero: circa mezz’ora, inclusa la consegna del bancomat (Il
PIN te lo scegli da solo).

2. Naturalmente, l’apertura del conto corrente, come ogni altra


operazione bancaria, si può fare anche il sabato e la domenica (ci
si mette un pò di più, il personale è a ranghi ridotti).

3. Tempo di allacciamento di una linea ADSL: entro mezza


giornata.

4. Tempo di intervento di un tecnico China Telecom per guasto


ADSL: poche ore.

5. Orari di apertura dei negozi: variabile, ma tutti i supermercati


sono aperti almeno fino alle 22. Comodo per chi lavora, e può
fare la spesa dopo il lavoro.

Sul costo della vita per uno straniero dovremmo aprire un


complesso capitolo a parte, ma alcuni esempi possono già essere
indicativi:

- Costo medio di una camera in un albergo a 3 o 4 stelle in centro


città: 50/70 Euro. Con buone convenzioni si scende sotto i 40
Euro, in alberghi piú che accettabili;

- Costo medio di una cena in un buon ristorante cinese: 8/15 Euro.


Si può facilmente scendere sotto questi valori, ma in genere non
sono ristoranti raccomandabili;

- Costo medio di una corsa in taxi di 15 minuti: 2/3 Euro (a


Shenzhen, inferiore a Pechino, Canton e Shanghai, circa 1,5/2
Euro).

A fronte di questi esempi, potremmo invece citare le rigidità del


sistema amministrativo rispetto alle procedure per le imprese, in
particolare per quanto riguarda gli aspetti fiscali, il controllo sulle

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valute straniere, i rimborsi Iva all'export, ecc., tutti aspetti che sono
in realtà ben gestibili attraverso un supporto consulenziale in loco.
Pretendere di gestire autonomamente, solo con proprio personale
diretto queste attività, è normalmente fonte di stress e di grandi
perdite di tempo per gli operatori stranieri.

Sempre in tema di competitività, che dire della velocità di


realizzazione delle grandi opere pubbliche? La Cina ha completato la
costruzione del ponte più lungo del mondo su un braccio di mare. Si
tratta dell’Hangzhou Bay Bridge, un opera di 36 chilometri che
attraversa il mar della Cina orientale.
Il ponte di cemento e acciaio batte di gran lunga altre strutture
analoghe come quella che unisce il Bahrein all’Arabia Saudita di soli
25 chilometri e potrebbe unire la Gran Bretagna alla Francia
attraverso il canale della Manica. É costato circa 1,5 miliardi, coperti
per il 29 per cento da ditte private.
La sua struttura è fatta per resistere ai tifoni che spesso colpiscono
quel tratto di mare a sud di Shanghai, così come a cedimenti del
terreno. Per la costruzione di questa che è una delle opere più
ambiziose della Cina ci sono voluti tre anni di lavoro.

(Serve un consulente per il ponte sullo stretto di Messina?)

Non parliamo poi delle attività connesse alle Olimpiadi, uno sforzo
epocale per le autorità cinesi. Un solo esempio, certamente il meno
eclatante ma forse il più curioso, è rappresentato dalla messa a
dimora di due milioni di piante a medio e alto fusto nella città di
Pechino in meno di due mesi.

10.1 La scuola elemento chiave di competitività

La scuola cinese è selettiva, meritocratica, competitiva, costosa.


Gli studenti sono terrorizzati prima dai severi esame di ammissione,
poi dai voti, che possono compromettere l’ammissione alle
Università più prestigiose. Le famiglie fanno risparmi enormi per far

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studiare i figli, avendo capito che la scuola è un elemento chiave del
loro futuro successo.
So di famiglie che hanno organizzato vere e proprie collette, si
sono autotassati nonni, genitori, fratelli maggiori, zii, per mandare
all’Università il figlio minore.
La formazione per adulti in Italia interessa circa 220.000 persone.
In Cina, il solo Training College of the National Statistic Bureau,
Ente di formazione nazionale, facente capo all’equivalente cinese del
nostro ISTAT), prevalentemente dedicato alla formazione per adulti,
originariamente solo nell’area statistica, ora a tutto campo, opera sul
territorio cinese con 147 Training College, e 510 Technical Schools.
Le persone, sia dipendenti di Enti Pubblici che di aziende private,
pagano di tasca propria il costo della formazione.
L’Ente ha formato, dal 2005, 1.600.000 persone, e ogni anno
accompagna alla laurea 23.400 persone. Sono cifre notevoli, anche
per un Paese grande come la Cina, soprattutto pensando che si tratta
solo di uno degli innumerevoli Enti di Formazione pubblici cinesi.
Le Università cinesi hanno la fila di studenti stranieri fuori dalla
porta. Un tempo il sogno di tutti erano le Università americane, ora
tutti, americani compresi, vogliono frequentare la University of
Science and Technology of China o la Tsinghua University, detta
anche il MIT cinese.
Gli studenti stranieri in Italia rappresentano il 4,3% della
popolazione scolastica. In Europa le cifre sono ben diverse: i dati
sono questi: in Svizzera gli studenti stranieri sono il 23,6%, in
Germania il 10%, in Olanda il 13%, in Spagna il 5,7%, in Portogallo
il 5,5%, in Francia il 5%.
Gli studenti stranieri in Cina sono 110.000, ancora relativamente
pochi, ma se pensiamo che il tasso di crescita è del 20% l’anno, e che
la Cina accoglie studenti stranieri solo da pochi decenni, è un numero
enorme. La ragione non è solo moda.
Pochi numeri dovrebbero bastare per spiegare l’attrazione delle
Università cinesi e la disaffezione verso le Università italiane.
Secondo il rigido e consolidato metodo di valutazione denominato
Academic Ranking of Word University, elaborato dalla Shanghai Jiao
Tong University (e fatta propria dal sito della Commissione
Europea), la prima Università italiana (La Sapienza, di Roma), si

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trova alla posizione nr. 100 nel 2006, (19.ma in Europa), era al
70.mo posto nel 2003.
Nel 2006 e 2007, non è stata classificata, essendo fuori dalle
prime 100 al mondo.
Troviamo Milano al posto nr. 39 solo nella classifica europea.
Secondo un altra autorevole fonte statistica, lo spagnolo Consejo
Superior de Investigaciones Cientificas, la prima Università italiana è
quella di Bologna, posizionata al 95.mo posto della classifica
mondiale.
Per una ulteriore sintesi, la classifica più accreditata (Shanghai
Jiao Tong University) riporta 25 Università cinesi e 23 italiane tra le
prime 500 al mondo.
Non male, per la plurisecolare tradizione universitaria italiana! Si
obbietterà che la classifica è di parte e discutibile, pur essendo
accreditata dalle maggiori Istituzioni Europee, ma se si va a leggere
la classifica dell’inglese Times Higher Education Supplement, la
musica sostanzialmente non cambia.
Basta muoversi un pò nei siti delle Università italiane per capire
come facciano davvero poco per promuovere, almeno nella facciata,
l’afflusso di studenti stranieri.
Posso citare un esempio pratico molto recente, capitatomi a
seguito di una richiesta di aiuto da parte di un mio amico cinese, il
Direttore del succitato Training College of the National Statistic
Bureau, (manco a farlo apposta un esperto di organizzazione della
formazione!) la cui figlia, ingenua e di belle speranze, studentessa di
italiano a Pechino, decide di studiare e laurearsi in Italia.
Si iscrive alla Sapienza di Roma attraverso il Consolato di Canton,
e la cosa funziona bene. Quando si è trattato di farsi sostenere dalle
Istituzioni pubbliche in Italia, la cosa ha cominciato a perdere colpi.

In sintesi:

1. Il sito de La Sapienza, che contiene anche una sezione dedicata


agli studenti stranieri è rigorosamente in italiano. Poco male,
dovrebbero conoscere la lingua, ma il burocratese lo conosciamo
in pochi, men che meno una studentessa di italiano in Cina.

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2. La Regione Lazio ha istituito un sito per il diritto allo studio, che
aiuta gli studenti anche nelle questioni logistiche come l’affitto di
un appartamento, (cosa particolarmente complessa per uno
straniero che viene in Italia per la prima volta). Ovviamente in
italiano. Qual’è la prima cosa che viene richiesta per la
registrazione al sito? Il Codice Fiscale! Senza di questo non si
entra. Come pensano che uno straniero che vuole venire a
studiare in italia possieda un codice fiscale?46

3. L’assistenza per gli affitti agli studenti è affidata ad un sotto-ente


denominato Agenzia degli Affitti, che ha personale molto cortese
e disponibile, ma è difficile spiegare ad un Cinese che in Agosto
in Italia siamo tutti in Ferie, anche se gli esami di ammissione
cominciano il 17 Settembre, quindi presumibilmente Agosto è un
periodo molto intenso. No, ad Agosto tutti a casa!

4. Il sito, per ammissione degli stessi responsabili dell’Agenzia, non


ha funzionato per tutto il periodo delle Ferie, quindi non era
nemmeno possibile registrarsi per vedere le offerte di
appartamenti on-line. Dopo il rientro, il 25 Agosto, il sito non era
ancora del tutto funzionante, con tante scuse della Direttrice.

La super efficienza cinese rimane davvero colpita da questa


approssimazione e sciatteria italiana (ed io un pò imbarazzato).
Vogliono venire in Italia per studiare (anime ingenue!), e il primo
approccio è di una difficoltà che io stesso sono riuscito a risolvere
solo dopo numerose e costose telefonate in Italia, e usando tutta la
mia (notevole) capacità persuasiva.

Competitività del sistema Italia? Via, non scherziamo.

46 Una volta giunta in Italia la studentessa si è fatta dare il Codice Fiscale ed è stata
effettivamente ben aiutata dal personale dell’Agenzia degli Affitti.

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11. Il mondo dei Private Equity Funds

Il campo dei finanziamenti alle imprese che intendono espandere


il loro business in China è un area molto vasta, molto tecnica e
richiede un approccio professionale, e molte strutture specialistiche
stanno presentando diverse proposte per il supporto finanziario.
Intendo quindi aprire una semplice finestra sul mondo dei Private
Equity, una modalità relativamente nuova, almeno nel nostro Paese,
ma di grande interesse per aziende strutturate di medie dimensioni e
con una governance adeguata.
Si tratta di partecipazioni puramente finanziarie in Società in
sviluppo in Cina, che forniscano all’investitore prospettive di reddito
a medio termine.
É stato un grande motore dello sviluppo delle industrie americane
in Cina, e lo sviluppo del private equity in questo Paese, nei prossimi
tre anni, è stimato intorno al 30% (Fonte: Newsweek). Nel solo 2007
la Cina ha ricevuto fondi per 12,8 miliardi di USD dai Private Equity
Funds, per un totale di capitale gestito di 20,5 miliardi di USD, un
incremento del 40% rispetto al 2006 (Fonte: Zero2IPO, Pechino).
Gli ostacoli ad un ancora maggiore sviluppo del private equity,
sono al momento date da una scarsa trasparenza nella gestione dei
capitali in Cina, ma tutto il settore è ottimistico, e mentre il 2007 è
stato un anno di rallentamento per i fondi americani, le prospettive di
crescita degli investimenti americani in equity si allineeranno alla
crescita complessiva nel Paese, intorno al 30%.
Come dicevamo, l’esperienza italiana in questo settore è piuttosto
limitata.
Spicca in questo panorama l’iniziativa del Fondo Mandarin

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Capital Partners, una iniziativa mista italo-cinese, guidata per l’Italia
da Intesa San Paolo, e per la parte cinese da China Devotamente
Bank e la China Xi Bank. Il fondo nasce con una dotazione di 320
milioni di Euro, è centrato sulle iniziative Gotha, BO e BI, sia sul
versante degli investimenti italiani in Cina, che su quello delle
iniziative cinesi in Italia.
Per quanto il fenomeno dei fondi di investimento stia
dimostrando, con alti e bassi, una tendenza mediamente in crescita,
l’accesso a questo strumento, di grande utilità sia sul piano
finanziario che su quello della Consulenza di Internazionalizzazione
che i fondi possono fornire, è molto difficile per le PMI italiane.
Le difficolta sono legate alle debolezze strutturali delle PMI
italiane di cui abbiamo gia parlato:

- Basso dimensionamento delle imprese

- Scarso livello di corporate governance, con management di


basso profilo e concentrazione dei poteri nelle mani del
fondatore o della famiglia

- Scarsa capitalizzazione

- Forte orientamento al prodotto, basso orientamento ai mercati e


all’internazionalizzazione

- Basso livello di innovazione e ricerca, quindi bassa potenzialità


di sviluppo

Tutti elementi, questi che rendono molto difficile per un fondo


investire con sicurezza, a fronte di una mancanza piani industriali e
di sviluppo a lungo termine, basati su progetti industriali innovativi
su cui ragionare in termini di business plan e di sviluppo.
Nella strategia dei fondi c’è in primis, ovviamente, la costruzione
di ricchezza, e la prospettiva di uscita, che viene naturalmente
ipotizzata a termine, a fronte di reali benefici per gli azionisti del
Fondo.
Le alternative attualmente disponibili per le PMI italiane sono

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poche. Citiamo, per dovere, le possibilità di intervento finanziario di
SIMEST, ma la situazione, rispetto a quanto descritto, non varia di
molto. Di fatto, SIMEST richiede precise garanzie di rientro, quindi
siamo più sul piano del finanziamento che su quello del capitale di
rischio, contrariamente ai Fondi Equity che invece sono disponibili a
investire effettivo venture capital.

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12. Strumenti di informazione

Al fine di ottenere ulteriori dettagli o chiarimenti, invitiamo i


lettori a consultare alcuni siti, oltre a qulli già citati nelle note a piè di
pagina, che possono essere di aiuto per una prima valutazione, o per
il completamento di informazioni rispetto ad una iniziativa in Cina.
Alcuni siti sono gestiti direttamente dalle nostre Società di
consulenza, altri citati sono emanazione di istituzioni pubbliche o
private a sostegno degli investimenti in Cina, o informativi.

Dezan Shira & Associates


www.dezshira.com

China Briefing
www.China-briefing.com

2point6billion.com
http://www.2point6billion.com/

Keen Score International


www.keenscore.com

Camera di Commercio Italiana in Cina.


www.cameraitacina.com

Camera di Commercio Italo – Cinese


http://www.China-italy.it/

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China retail news
http://www.Chinaretailnews.com/

ICE Istituto per il Commercio Estero


http://www.ice.it/estero2/Cina/default.htm

Simest
www.simest.it

China Economic Review


http://www.Chinaeconomicreview.com/

China International Business


http://www.cibmagazine.com.cn/

South China Morning Post


http://www.scmp.com/portal/site/SCMP/

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Allegato A) Regole della Due Diligence Operativa

Poiché ritengo che il concetto di Due Diligence, peraltro poco


diffuso tra gli imprenditori italiani, e pochissimo utilizzato,
rappresenti invece un autentica polizza di assicurazione sugli
investimenti in Cina, riprendo un articolo che illustra in dettaglio
questo concetto, applicato in questo caso alla situazione di
acquisizione di una azienda cinese da parte di imprese straniere.
La Due Diligence ha aspetti più complessi, e può applicarsi a
molte situazioni, ma ritengo questo articolo ben esemplificativo. Per
approfondimenti www.dezshira.com

L’articolo è tratto da CHINA BRIEFING. (10/2007). Il numero


completo e scaricabile da www.China-briefing.com

Descrizione delle regole della Due Diligence operativa

Le business license cinesi

Bisognerebbe sempre chiederne una copia. Vi si potrà leggere, in


cinese, chi è il responsabile legale, quale è l’indirizzo legale della
Società, quale è l’ammontare di capitale sociale (che poi
corrisponde al limite di responsabilità patrimoniale) e la durata
della licenza. nella stessa è inoltre specificato se la Società in
questione è una Società di capitali a responsabilità limitata oppure
se si tratta di una Società di persone a responsabilità illimitata.
Queste semplici informazioni dovrebbero essere confrontate con i
dati in vostro possesso: non è del tutto raro scoprire che la persona
con la quale si stanno conducendo le trattative non sia nemmeno il
responsabile legale della Società. Questo accade in particolare in
occasione delle fiere, come per esempio quella di Canton, dove si
stima che il 90% degli espositori sia costituito da intermediari e non
da diretti rappresentanti delle aziende.
Le imprese cinesi spesso hanno pesanti mancanze relative alla
disponibilità di affidabili informazioni sull andamento delle attività
operative.
Proprio queste lacune hanno portato in alcuni casi alla delusione

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delle aspettative degli acquirenti, dopo che sono venute alla luce
sorprese e debolezze nella contabilità gestionale.
La probabilità che l’azienda acquirente possa rimanere delusa
dal rendimento dell’azienda target cinese può essere diminuita
drasticamente attraverso la conduzione della Due Diligence
Operativa (ODD).
La ODD può dimostrarsi uno strumento molto utile per la
comprensione del reale funzionamento della Società target,
contribuendo così a smorzare sul nascere tutte quelle problematiche
che potrebbero sorgere inaspettatamente subito dopo la conclusione
della transazione, e può inoltre risultare un mezzo assai efficace per
la valutazione, ad opera dell'acquirente, della corrispondenza ed
adeguatezza della gestione operativa corrente della Società target
rispetto agli obiettivi strategici pianificati. La Due Diligence
operativa include una valutazione dettagliata di molti aspetti
aziendali:

k) La gestione operativa della Società target, e dei singoli


processi e sistemi che la supportano
l) Le interconnessioni tra questi
m) Il probabile impatto della gestione operativa attuale sul
valore finanziario futuro della Società
n) La ODD può essere usata in diverse fasi del processo di
acquisizione ma è spesso utilizzata per raggiungere uno o
più dei seguenti risultati:

Apprezzamento dell’azienda target:

L’identificazione di potenziali miglioramenti apportabili alla


gestione operativa possono determinare le proprie decisioni, oltre ad
indirizzare la maniera di gestire l’affare.
Potrebbero trasparire opportunità apparentemente imprevedibili,
ipotizziamo per esempio che al valore base dell’affare vadano
aggiunti, diciamo 10 milioni USD, che si va ad aggiungere alla
nuova valutazione.
Se il valore previsto è calcolato come moltiplicatore di 5 del
flusso di cassa ciò si tradurrebbe in un repentino aumento del valore

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aggiunto nell’ordine di 50 milioni USD. Una rivalutazione come
questa potrebbe inoltre garantire quel vantaggio competitivo che
permetterebbe all’acquirente di fare l’offerta vincente superando
quelle degli eventuali concorrenti.

Valutazione dell’offerta

Rivedere le strutture manageriali e dei sistemi di controllo per la


costituzione di uno studio sulla efficacia della gestione operativa e
susseguente confronto con aziende di simili dimensioni operanti
nello stesso settore.
Identificazione e convalida di qualsiasi assunto di iniziativa per il
miglioramento gestionale quando queste siano alla base del Business
Plan della Società target dell’acquisizione. Deve quindi essere
controllata la capacità dell’azienda di mettere in pratica le iniziative
previste. La Due Diligence operativa metterà in luce eventuali piani
strategici assurdi ed assolutamente irrealizzabili strutturati da
manager troppo creativi.

Dopo la conclusione della transazione

Identificare e mettere in luce tutte quelle aree operative dove i


miglioramenti possono davvero essere ottenuti innalzando di
conseguenza la produttività e la redditività e lavorare con il gruppo
dirigenziale per accelerare questo processo.

Principali funzioni chiave

La capacità operativa di una Società potrebbe essere uno dei


motivi principali alla base di una intera acquisizione e deve quindi
essere adeguatamente monitorata e controllata lungo l’intera catena
del valore.
I passaggi necessari a portare a termine questi controlli variano
a seconda della Società che viene considerata per l’investimento.
In ogni caso dovrebbero includere una visita in loco per
verificare come funzioni nella quotidianità la produzione
dell’azienda target e quali sistemi di gestione vengano utilizzati.

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l’analisi dovrebbe includere il calcolo della capacità produttiva, i
flussi di materie prime in entrata, l’inventario delle scorte nei
magazzini e tutti gli altri fattori che sono fondamentali alla normale
conduzione della gestione quotidiana.

La chiave per fare una buona valutazione

La Due Diligence operativa, permettendo di avere una visione


completa di tutti quegli aspetti della Società target che non sono
adeguatamente analizzati nel corso di una Due Diligence
strettamente finanziaria, può rivelarsi uno strumento davvero utile
nell’identificazione del valore di una azienda e conseguentemente
nella determinazione del prezzo.
La Due Diligence finanziaria tipicamente analizza soltanto il
rendiconto finanziario dell’azienda da acquisire e presenta delle
previsioni di vendite e profitti futuri basate su assunzioni legate ai
dati storici e alle tendenze attuali. La ODD va invece molto più a
fondo nell’analisi delle funzioni chiave che costituiscono la gestione
caratteristica e delle loro interazioni.
Le informazioni che si acquisiscono grazie a queste verifiche
spesso costituiscono la base per il calcolo di gran parte del valore di
una azienda target oppure, al contrario, per azzerarne la
valutazione.

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Allegato B) La nuova legge sul lavoro

Il presente allegato è la sintesi di un documento pubblicato da


China Briefing nel numero 12/2007, a cura di .da Richard Hoffmann,
Senior Associate, e Stefanie Knirsch, Dezan Shira & Associates
Ufficio di Pechino

L’intero documento è scaricabile gratuitamente al sito


www.China-briefing.com

Il 29 giugno 2007 la Commissione Permanente del Congresso


Nazionale del Popolo ha varato la nuova legge sui contratti di
lavoro della Repubblica Popolare Cinese, entrata in vigore l’1
gennaio 2008.
La legge si applica a tutti i datori di lavoro operanti nella RPC,
alla stessa sono infatti assoggettate, oltre alle Società commerciali,
anche le agenzie governative, le istituzioni pubbliche e le
organizzazioni sociali. La nuova normativa disciplina tutte le fasi del
rapporto di impiego: l’instaurazione, l’esecuzione e la conclusione
dello stesso. La ratio della disciplina è di scoraggiare la conclusione
di contratti a termine di breve durata, per fare ciò la stessa avrà un
impatto diretto sul costo del lavoro. Obiettivo prefissato della stessa
è di migliorare i rapporti di lavoro, chiarificando diritti e doveri dei
dipendenti e dei datori di lavoro, e di garantire maggiore stabilità e
sicurezza per i lavoratori in Cina.
In questo articolo ci concentreremo in particolare sulle
implicazioni della nuova normativa per le imprese a partecipazione
straniera (FIEs). La nuova legge modificherà considerevolmente la
posizione sia dei dipendenti che dei datori di lavoro e comporterà
per numerose Società, sia straniere che domestiche, la necessità di
rivedere i propri contratti di lavoro.
In questo senso la nuova disciplina costituisce un ulteriore passo
avanti nel processo di uniformazione normativa tra Società ad
investimento straniero e Società cinesi, anche se molti temono che il
breve termine di implementazione e le prescrizioni particolarmente
restrittive della disciplina potrebbero causare per le FIEs una
situazione di svantaggio nei confronti dei concorrenti locali.

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Le responsabilità del datore di lavoro

I datori di lavoro sono responsabili per eventuali danni causati da


contratti di lavoro invalidi, per la mancanza del contenuto minimo
obbligatorio dei contratti, per l’emanazione di regolamenti aziendali
contrari alla legge o per il mancato rilascio del certificato di lavoro
al termine del rapporto. La legge prevede la possibilità per le
autorità di irrogare sanzioni pecuniarie a carico dei datori di lavoro
nel caso in cui questi trattengano i documenti di identità dei propri
dipendenti, richiedano agli stessi il versamento di un deposito di
sicurezza, non provvedano in tempo al pagamento delle retribuzioni
o nel caso in cui queste siano al di sotto del salario minimo
determinato a livello locale. Lo stesso tipo di sanzioni sarà
applicabile anche in caso di mancato pagamento, o riconoscimento
del corrispondente numero di ore libere, degli straordinari e per il
mancato versamento della liquidazione dovuta a fine rapporto.

Il contenuto obbligatorio di un contratto di lavoro comprende:

o) Nome della Società, indirizzo e rappresentante legale


p) Nome del dipendente, indirizzo e numero del documento
di identità
q) Termine
r) Descrizione delle mansioni e luogo di esecuzione
s) Orario di lavoro, giorni di riposo e permessi
t) Retribuzione
u) Condizioni di lavoro
v) Misure di sicurezza e protezione del luogo di lavoro
w) Assicurazioni sociali

Obbligo di forma scritta

Accertatevi che tutti i vostri contratti di lavoro siano stipulati in


forma scritta e sottoscritti da entrambe le parti.
Nell eventualità in cui un rapporto di lavoro che si protragga in
assenza di un contratto scritto per un periodo superiore ad un mese

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ma inferiore ai dodici, il datore di lavoro sarà obbligato a versare al
dipendente il doppio del salario pattuito per ogni mese di durata del
rapporto in assenza di contratto.
La conclusione di contratti verbali è ammessa solo nel caso di
lavoro part-time.

Periodo di prova

Le parti possono accordarsi sullo svolgimento di un unico


periodo di prova, la cui durata non è prolungabile. La legge
stabilisce l’obbligo di versamento di una retribuzione pari almeno
all’80% di quella contrattualmente prevista è non inferiore al
minimo salariale stabilito a livello locale. La durata massima del
periodo di prova è determinata in base ai termini del contratto, così:

Non può essere determinato alcun periodo di prova se la durata


del contratto è inferiore ai tre mesi;

Un mese, per i contratti stipulati per un periodo che va da tre


mesi ad un anno;

Due mesi, per i contratti stipulati per un periodo che va da un


anno a tre anni;

Sei mesi, per i contratti di durata superiore ai tre anni.

In caso di violazione delle regole sul periodo di prova, il datore di


lavoro è soggetto all’obbligo di versamento di una retribuzione pari
al salario applicabile al termine dello stesso. In determinate
circostanze il lavoratore ha diritto a terminare il rapporto con effetto
immediato (per esempio nel caso in cui le condizioni di lavoro
effettive non corrispondano a quelle determinate nel contratto
oppure nel caso di ritardo o inadempimento nel pagamento della
remunerazione). In questo caso il dipendente avrà diritto al
pagamento della liquidazione.
La situazione è differente nel caso in cui sia il lavoratore a voler
interrompere il rapporto durante il periodo di prova, questi è infatti

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obbligato a darne comunicazione al datore di lavoro con un
preavviso di tre giorni.
Nel caso di contratti a progetto o con una durata determinata
inferiore ai tre mesi non è previsto alcun periodo di prova.

Obbligo di confidenzialità

È prevista la possibilità di inserire nel contratto clausole di


confidenzialità relative agli obblighi di segretezza a carico del
dipendente in relazione alle informazioni sensibili della Società ed a
quelle relative a diritti di proprietà intellettuale. Qualsiasi violazione
delle stesse che causasse una perdita al datore di lavoro,
comporterebbe la responsabilità per danni a carico del lavoratore.

Obbligo di non concorrenza

Le parti possono stipulare clausole comportanti l’obbligo di non


concorrenza, le stesse devono però essere circoscritte a dirigenti ed
ingegneri senior o altri dipendenti con particolari obblighi di
confidenzialità. Non ci sono limitazioni relative alla portata,
all'ampiezza territoriale o ai termini del medesimo.
La durata massima del vincolo è di due anni. Quella della non
concorrenza è una tematica piuttosto sensibile per le FIEs, dal
momento che le loro operazioni coinvolgono spesso un significativo
know-how e trasferimenti di tecnologia.
La legge stabilisce a carico del datore di lavoro l’obbligo del
versamento di un indennità mensile, a titolo di compensazione, a
favore del lavoratore per tutta la durata del periodo in cui questi è
vincolato dall’obbligo di non concorrenza, a partire dalla data di
interruzione o dal termine del contratto.

Lavoro a tempo parziale

I lavoratori a tempo parziale non dovrebbero lavorare più di


quattro ore giornaliere e ventiquattro ore a settimana.
Il pagamento può avvenire con cadenza al massimo bisettimanale.
I contratti di lavoro a tempo parziale non necessitano la forma

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scritta e possono essere interrotti in ogni momento senza l’obbligo di
pagamento di alcuna indennità di compensazione.

Pagamento delle retribuzioni

Il datore di lavoro è obbligato a provvedere al pagamento delle


retribuzioni, conformemente alle regolamentazioni nazionali ed a
quanto previsto dal contratto di lavoro, in tempo e per l’intero
ammontare.
Ai sensi della normativa precedente, le denunce per il mancato
pagamento delle retribuzioni dovevano essere presentate dai
lavoratori al Tribunale Arbitrale del Lavoro; a partire dal 2008, in
modo progressivo, queste potranno essere presentate direttamente ai
tribunali ordinari per l’ottenimento di una condanna.

Scadenza e interruzione dei contratti di lavoro

Da parte del lavoratore

Come detto in precedenza, durante il periodo di prova il


lavoratore può interrompere il rapporto di lavoro dandone
comunicazione al datore di lavoro con un preavviso di tre giorni.
Dopo il periodo di prova invece il lavoratore ha il diritto di
interrompere il rapporto senza alcun preavviso nel caso in cui il
datore di lavoro utilizzi violenza, minacce o intimidazioni per forzare
i dipendenti a lavorare oppure impartisca ordini comportanti la
violazione di norme applicabili e/o la messa a rischio della loro
integrità fisica.
La medesima regola vale se non è garantita la sicurezza del luogo
di lavoro, se la remunerazione e gli oneri assicurativi non sono
versati pienamente, se il regolamento aziendale vìola la legge
oppure se il contratto di lavoro risulta essere invalido.
Al di fuori di questi casi il lavoratore può interrompere in ogni
tempo il rapporto di lavoro tramite comunicazione scritta al datore
di lavoro con un preavviso di trenta giorni.

Da parte del datore di lavoro

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Il rapporto di lavoro può venire interrotto da parte del datore di
lavoro con effetto immediato se: durante il periodo di prova il
lavoratore si dimostra incapace di adempiere alle mansioni
assegnategli; se vìola in modo significativo le regole aziendali; se
commette serie negligenze nell’adempimento dei suoi doveri o se è
coinvolto in pratiche concussive; se viene riconosciuto colpevole di
un reato, se intrattiene un rapporto di lavoro con un altra Società
che influisce materialmente sul completamento degli incarichi per il
datore di lavoro o, quando richiestogli, si rifiuta di risolvere la
questione.
Il datore di lavoro può inoltre porre termine al rapporto di
lavoro, dando al dipendente una comunicazione scritta con un
preavviso di trenta giorni, o corrispondendogli una un indennità pari
alla retribuzione del periodo di preavviso non concesso (una
mensilità), se:
Nel caso in cui avvenga un mutamento consistente delle
circostanze oggettive su cui si era fatto affidamento al momento
della stipula del contratto che lo renda irrealizzabile e, in seguito a
consultazione, emerga che il datore di lavoro ed il lavoratore non
sono in grado di raggiungere un accordo.

Divieto di licenziamento

Se il lavoratore soffre di un infortunio lavorativo, è sotto


osservazione medica o può essere provato che ha perso la propria
capacità lavorativa a causa di un rischio o di una malattia legata
alla sua occupazione, scatta il divieto di licenziamento.
Per assicurare la diagnosi delle suddette patologie, i lavoratori
esposti a rischi professionali in caso di licenziamento sono
obbligatoriamente sottoposti a visita medica. I datori di lavoro non
dovrebbero interrompere i rapporti di lavoro durante periodi di cure
mediche, gravidanza, degenza o allattamento.

Liquidazione ed indennità di compensazione dopo la scadenza dei


contratti a tempo determinato

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Nel caso di scadenza e mancato rinnovo di un contratto a termine
è previsto il pagamento di una indennità di liquidazione, il cui
importo viene determinato sulla base della durata del rapporto di
impiego e dell’ammontare del salario medio percepito nei dodici
mesi antecedenti alla conclusione dello stesso.
Per ogni anno di lavoro completato presso l’azienda, il lavoratore
matura il diritto al pagamento di un importo pari ad un mese di
salario, se il periodo di lavoro è compreso tra sei mesi ed un anno il
lavoratore ha diritto al pagamento di un unica mensilità, mentre per
un periodo inferiore ai sei mesi il datore di lavoro deve
corrispondere solo mezza mensilità. Il tetto massimo all’importo
della liquidazione corrisponde al salario annuale mentre quello
all’ammontare del salario medio mensile è fissato moltiplicando per
tre il salario medio pubblicato ufficialmente relativo all’area in cui è
localizzato il luogo di lavoro.
Molte FIEs utilizzano contratti a tempo determinato. Queste
dovranno verificare in tempo se sia necessario includere nel proprio
budget il pagamento di eventuali indennità di liquidazione e per
quale importo. Poichè un licenziamento ingiustificato fa sorgere in
capo al lavoratore il diritto ad essere reintegrato oppure al
riconoscimento di un ulteriore indennità a titolo di risarcimento,
corrispondente al doppio dell’ammontare di liquidazione stabilito,
anche in questo caso i datori di lavoro devono stare particolarmente
attenti.

Nessuna liquidazione è dovuta se il lavoratore:

ü dà le dimissioni;

ü vìola materialmente il regolamento aziendale;

ü non adempie ai suoi doveri o è licenziato durante il periodo


di prova per incapacità;
ü intrattiene un rapporto di lavoro con un altra Società che
influisce materialmente sul completamento degli incarichi
per il datore di lavoro, o si rifiuta di risolvere il problema
dopo che questo è stato portato all’attenzione del datore di

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lavoro;

ü è riconosciuto colpevole di une reato;

ü decede;

ü rifiuta un offerta di rinnovo del contratto alle stesse


condizioni o a condizioni più favorevoli.

Sindacati e rappresentanti dei lavoratori

I sindacati ed i rappresentanti dei dipendenti proteggono gli


interessi dei lavoratori. Possono organizzare contrattazioni collettive
e devono essere consultati in molte circostanze, anche se la loro
approvazione non è necessaria. Devono inoltre essere
obbligatoriamente coinvolti in caso di licenziamenti collettivi e nella
determinazione delle politiche aziendali. I sindacati devono essere
informati nel caso in cui il datore di lavoro decida unilateralmente di
terminare rapporti di lavoro o di stabilire dei cambiamenti nei
regolamenti e nelle politiche concernenti gli interessi diretti dei
lavoratori come la remunerazione, l’orario di lavoro, i giorni di
riposo, la sicurezza sul lavoro, l’assicurazione e la formazione.
Il sindacato fornisce inoltre supporto e assistenza ai lavoratori
che presentano un istanza presso il Tribunale Arbitrale del Lavoro o
intentano una causa.

Licenziamenti collettivi

I licenziamenti collettivi (più di 20 lavoratori o più del 10% della


forza lavoro) sono permessi solo se il datore di lavoro ha
preventivamente consultato il sindacato o i rappresentanti dei
lavoratori, ed ha proposto la misura al dipartimento del lavoro in
conformità alla legge.
È permesso procedere ad un licenziamento collettivo solo al
verificarsi Di alcune particolari circostanze descritte dalla Legge.

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Regolamenti aziendali

Per procedere alla valida adozione di un regolamento aziendale


deve essere seguita una procedura specifica. I termini e le condizioni
devono essere discussi dal comitato dei rappresentanti dei lavoratori
(ERC) o dal plenum dei dipendenti che potranno avanzare proposte
o commenti. Dopo di che la dirigenza condurrà un negoziato con il
sindacato o l’ERC al termine del quale comunicherà pubblicamente
ai lavoratori i regolamenti e le politiche di nuova adozione. La
medesima procedura deve essere seguita per ogni modifica o
revisione del regolamento aziendale.

Assunzione tramite agenzie di lavoro governative

La nuova legge tocca direttamente anche gli uffici di


rappresentanza che obbligatoriamente usufruiscono dei servizi delle
agenzie governative come il FESCO (Foreign Enterprise Service
Corporation). I requisiti per le agenzie sono i seguenti: capitale
sociale minimo pari a 500.000 RMB, contratto di lavoro biennale
con il dipendente, versamento di una retribuzione mensile anche in
assenza di reale occupazione.
Una Società che utilizza queste agenzie per le risorse umane
dovrà pagare le ore di straordinario lavorate, i bonus, e i benefits
basati sulle prestazioni, e applicare i medesimi standard di
retribuzione e gli aumenti salariali a tutti i dipendenti. La Società
non può trasferire il lavoratore ad un entità differente da quella
prevista dal contratto. è importante notare, inoltre, che l’agenzia e
l’impresa utilizzatrice sono entrambe ritenute responsabili per ogni
violazione del contratto.

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Per contattare l’autore:

bosco@keenscore.com

Per approfondimenti tecnici:

www.keenscore.com

http://keenscore.blogspot.com/

www.dezshira.com

https://www.xing.com/net/Cina/

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