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Consiglio Nazionale dell’Economia e del

Lavoro

Osservatorio socio-economico sulla criminalità

Rapporto di ricerca

La criminalità organizzata cinese in Italia.


Caratteristiche e linee evolutive

Roma, Aprile 2011


Indice

Premessa 5

I. Il disegno della ricerca 8


1. Gli interrogativi
2. Le categorie concettuali
3. Metodo e fonti

Prima parte
Il contesto internazionale

II. La criminalità organizzata cinese nella letteratura 13


1. La tradizione dell’associazionismo segreto in Cina
2. Le Triadi nelle colonie dei “cinesi d’oltremare” del Sud-Est asiatico
3. Tong e gang negli Stati Uniti
4. Le attività criminali prevalenti

Seconda parte
L’immigrazione sul territorio nazionale

III. Le comunità cinesi in Italia 26


1. Entità, distribuzione sul territorio e composizione demografica
2. Aree di origine e segmentazione interna delle comunità
3. L’imprenditoria “etnica”

2
Terza parte
Uno sguardo d’insieme: la fenomenologia criminale e le sue
trasformazioni

IV. Immigrazione illegale e tratta di esseri umani 33


1. Smuggling e trafficking: una definizione concettuale
2. Le modalità organizzative dello smuggling
3. Le rotte e il “reclutamento” dei migranti illegali
4. Trafficking e sfruttamento del lavoro
5. Smuggling e trafficking: alcuni dati
6. Conclusioni

V. Reati violenti e associativi 44


1. Entità e tipologia dei reati
2. Gang e criminalità organizzata
3. I conflitti
4. Conclusioni

VI. La prostituzione 57
1. Le diverse fenomenologie prostituzionali
2. Le forme di reclutamento
3. I dati su trafficking e sfruttamento sessuale
4. Conclusioni

VII. Contrabbando e contraffazione di merci 61


1. L’importazione di prodotti dalla Cina
2. Il business della contraffazione
3. I reati
4. Le rotte e la filiera distributiva
5. Conclusioni

VIII. Riciclaggio e reati economici 74


1. Reati economici maggiormente diffusi
2. Il riciclaggio: alcuni dati
3. Le tecniche di riciclaggio

3
Quarta parte
La ricerca sul campo

IX. Le aree di approfondimento 83

1. Milano 83
1.1 L’immigrazione in città
1.2 L’inserimento economico nel contesto locale
1.3 Le attività e i gruppi criminali

2. Firenze e Prato 93
2.1 Distretti industriali e imprese cinesi
2.2 La criminalità organizzata

3. Roma 106
3.1 Le imprese cinesi nel tessuto economico della capitale
3.2 Il contesto criminale metropolitano

4. Napoli 114
4.1. Le attività economiche a Napoli e nelle aree limitrofe
4.2. La fenomenologia criminale

5. Il confronto fra le aree d’indagine 124

X. Conclusioni 128

XI. Raccomandazioni e best practice 135

Riferimenti bibliografici 142


Appendice 160
Ringraziamenti 164

4
Premessa

Assieme ad associazioni mafiose radicate in ampie aree del


territorio nazionale, si sono aggiunte, in questi ultimi decenni,
organizzazioni criminali di origine straniera che hanno richiamato la
crescente attenzione dei massimi organi investigativi. Prova ne è lo
spazio che esse occupano nei rapporti annuali della Direzione
Investigativa Antimafia e del Ministero dell’Interno sullo “stato della
sicurezza in Italia”.
Il rapporto di ricerca prende in esame la criminalità organizzata di
origine cinese. Tuttavia, prima di affrontare nello specifico il tema in
oggetto, vale la pena avanzare alcune osservazioni introduttive.
Innanzitutto, su tale fenomeno criminale si confrontano due
interpretazioni sensibilmente diverse. L’una, in gran parte veicolata dai
mass media, tende a valutare il fenomeno criminale come un insieme
“omogeneo”, caratterizzato dall’esistenza di gruppi strutturati a carattere
verticistico, in grado di esercitare forme cogenti di controllo sull’insieme
dei cittadini cinesi presenti in Italia. Sotto questo profilo, per quanto non
si possa parlare in senso stretto di controllo del territorio, analogamente
alle forme di “signoria territoriale” messe in atto da associazioni
mafiose quali Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra in varie parti del
Paese, le organizzazioni criminali cinesi eserciterebbero tuttavia un
potere per certi aspetti ancor più penetrante e capillare, in quanto non
avrebbe una precisa delimitazione spaziale ma, in ragione della sua
natura, verrebbe esteso all’insieme dei connazionali dimoranti in Italia.
Da qui, la tendenza a configurare il fenomeno criminale come un
insieme articolato di gruppi fra loro interconnessi, in grado di gestire una
pluralità di attività illecite, dall’immigrazione illegale, allo sfruttamento
della forza lavoro, alla prostituzione, fino a reati associativi di vario tipo.
Questi gruppi criminali, che farebbero riferimento alla tradizione della
Triade, disporrebbero di risorse peculiari quali l’uso della violenza, la
disponibilità di ingenti capitali e, infine, la capacità di esercitare sulle
comunità di connazionali la forza intimidatrice tipica delle
organizzazioni mafiose autoctone. Come queste, tali formazioni
criminali orienterebbero la loro azione secondo una pretesa di “totalità”,
esercitando cogenti forme di controllo sui cittadini cinesi presenti in
Italia.

5
Mentre la prima interpretazione tende a enfatizzare la pericolosità
sociale del fenomeno criminale, equiparandolo alle organizzazioni
mafiose italiane, la seconda, al contrario, si caratterizza per una visione
sensibilmente diversa. Innanzitutto, non fa riferimento all’esistenza di
formazioni criminali risalenti alla tradizione della Triade, né reputa che i
gruppi criminali in esame siano contraddistinti da precisi vincoli interni.
Tantomeno, si sostiene, è possibile riferirsi a categorie concettuali come
“mafia” o “fenomeno mafioso”. Anzi, il loro utilizzo sarebbe per molti
aspetti fuorviante perché non permetterebbe di evidenziare la
provvisorietà e mutabilità nel tempo delle formazioni criminali cinesi, la
ridotta capacità di controllo sui propri connazionali e, infine,
l’impossibilità di comprendere l’insieme del fenomeno illecito entro un
corpo unitario. Piuttosto, laddove si rilevano manifestazioni criminali di
una certa consistenza e pericolosità, si tratterebbe per lo più di “bande”
variamente strutturate, scarsamente collegate fra di loro e sottoposte a
continue ridefinizioni e aggregazioni in relazione alle diverse
opportunità illecite che via via si presentano. Seguendo tale linea
interpretativa, queste associazioni criminali sarebbero basate su legami
di tipo patron-client, gravitanti attorno al concetto di guanxi
(connessioni, relazioni), piuttosto che su strutture verticistiche quali
quelle esistenti nelle associazioni mafiose italiane (Myers 1996; Rastrelli
2008; Albini 1972). In più, tali gruppi criminali sarebbero
fondamentalmente orientati alla gestione delle attività illecite senza che
ciò determini un controllo pervasivo e capillare sulle comunità di
connazionali.
Pur presenti all’interno delle comunità cinesi, i gruppi criminali
non avrebbero legami significativi con figure di rilievo appartenenti alle
stesse comunità, come ad esempio i rappresentanti delle varie
associazioni presenti in Italia. Al contrario, si tratterebbe di un fenomeno
criminale “separato” dalle strutture associative interne, per lo più
riconducibile a problemi di marginalità sociale e disadattamento. Più in
generale, esso sarebbe il risultato di una mancata integrazione sociale
sia all’interno della comunità che all’esterno, nella società più ampia.
Ciò vale, in particolar modo, per i giovani, nati in Italia o arrivati da
adolescenti sul territorio nazionale, che sperimentano un duplice senso di
inadeguatezza, sia rispetto ai modelli di valore interni alla comunità che
nei confronti della società d’accoglienza.
L’una e l’altra interpretazione divergono per alcune questioni
salienti: a proposito del tipo di struttura organizzativa (verticistica o

6
orizzontale, persistente o labile) adottata dai gruppi criminali, così come
per quanto riguarda la capacità di questi ultimi di estendere, o meno, il
loro potere sui connazionali presenti in Italia. La prima tesi tende a
enfatizzare la pericolosità del fenomeno criminale, mettendolo in stretta
connessione con fattori interni alle stesse comunità, mentre la seconda è
orientata piuttosto a ridimensionarne la portata, riconducendolo per lo
più a un problema di marginalità sociale e di mancata integrazione nella
società italiana.
La prima interpretazione, nel momento in cui focalizza
l’attenzione su fattori causali interni alle comunità, omette di prendere in
esame, da un lato, le relazioni fra attori criminali cinesi e italiani e,
dall’altro, le connessioni esistenti fra le caratteristiche assunte dalla
criminalità cinese e fattori strutturali riconducibili alla società italiana, i
quali possono svolgere un ruolo determinante nell’alimentare o meno lo
stesso fenomeno criminale. Trascurare tali aspetti comporta il rischio di
cadere in spiegazioni di tipo culturalista, in base alle quali la cultura di
cui sono portatori gli immigrati cinesi sarebbe all’origine del fenomeno
criminale.
Sebbene una serie di elementi sembrerebbero propendere verso
questa interpretazione - ad esempio l’esistenza di una certa
autoreferenzialità delle comunità cinesi, come anche il constatare che la
quasi totalità dei reati coinvolgono, in qualità di vittime, i propri
connazionali - occorre tuttavia ricordare che spiegazioni di questo tipo
risultano insufficienti per una serie di motivi. Innanzitutto, perché esse
sono state applicate, nel corso dei decenni passati, agli emigrati italiani ai
quali veniva attribuita - pensiamo a questo riguardo alla criminalità
mafiosa italo-americana negli Stati Uniti - una presunta predisposizione
culturale all’origine della “loro” criminalità.
Semmai, per rimanere nell’ambito del paragone, il significativo
declino di Cosa nostra negli Stati Uniti avviene, non per caso, a cavallo
fra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, in coincidenza con il
progressivo processo di integrazione degli italiani di seconda e terza
generazione nella società statunitense, tanto che Cosa nostra americana,
come testimoniano alcune fonti istituzionali dell’epoca, è costretta a
reclutare “picciotti” dalla Sicilia per rinfoltire i propri ranghi (US Senate
1990). Visto che la letteratura sulle origini della mafia ha superato da
tempo le inadeguatezze dell’approccio culturalista - per capirci quello
proposto da Giuseppe Pitrè (1889) per cui la mafia era ritenuta
espressione del “costume” culturale dei siciliani - non si vede perché

7
esso dovrebbe valere, mutatis mutandi, nell’analisi della criminalità
organizzata di origine straniera presente in Italia1.
Detto ciò, la seconda interpretazione richiamata in precedenza ha il
merito, per un verso, di privilegiare un punto di vista che focalizza
l’attenzione sulle relazioni esistenti fra fenomeno criminale cinese e
società d’accoglienza, mentre, per l’altro, rischia di non tenere in debito
conto la dimensione organizzativa dei gruppi criminali, né la loro
capacità di intimidazione nei confronti dei connazionali; minacce e
intimidazioni grazie alle quali queste formazioni criminali possono
essere in grado di stabilire significative infiltrazioni nel tessuto socio-
economico delle comunità cinesi.

I. Il disegno della ricerca

Al fine di esplicitare nel dettaglio i passaggi metodologici che


hanno contraddistinto la ricerca, riportiamo gli interrogativi da cui essa
ha preso avvio, le categorie concettuali utilizzate - ovvero il
corrispondente punto di vista nell’analisi del fenomeno criminale - e,
infine, il metodo e le fonti cui abbiamo fatto riferimento.

1. Gli interrogativi

Sulla base delle questioni messe in luce in precedenza, ci


chiederemo innanzitutto se la fenomenologia criminale di origine cinese

1
Come risulta da varie ricerche, l’origine della mafia in Sicilia è da
ricondurre a una strutturale incapacità dello Stato di garantire, da un lato, l’ordine
sociale e, dall’altro, il corretto funzionamento delle transazioni economiche. A
cominciare dai “facinorosi della classe media” (i campieri, ovvero gli amministratori
delle terre dell’aristocrazia siciliana) di cui parlano Leopoldo Franchetti e Sidney
Sonnino (1974) nella loro inchiesta in Sicilia nella seconda metà dell’Ottocento, fino
alle ricerche storiche e antropologiche sull’origine del fenomeno mafioso (Hess
1993; Lupo 1996; Blok 2000) e a quelle sociologiche (Arlacchi 1983; Catanzaro
1991; Gambetta 1992), possiamo ritrovare un tratto comune a tali organizzazioni
criminali. Insinuandosi in quelle società non sufficientemente regolate, nelle quali il
monopolio della forza non è esclusivo appannaggio dello Stato, esse esercitano in
proprio una risorsa scarsa e non a tutti accessibile quale la violenza. Dato il contesto
in cui operano e le peculiari risorse di cui dispongono, i mafiosi svolgono una
specifica funzione sociale quali agenti “mediatori” delle relazioni sociali e degli
scambi economici.

8
sia riconducibile alla struttura e alle modalità organizzative delle
associazioni mafiose italiane o, al contrario, se essa se ne distanzi per
alcuni aspetti rilevanti, denotando, diversamente da quanto vale per Cosa
nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, schemi organizzativi e modalità di
azione tendenzialmente aleatori e non facilmente riproducibili nel tempo.
Si tratta inoltre di accertare quale sia il modus operandi di tali
associazioni criminali entro il contesto comunitario e quanto esse siano
effettivamente in grado di esercitare pressanti forme di controllo sui
connazionali. Inoltre, ci chiederemo se l’esistenza di specifiche
fenomenologie criminali in cui sono coinvolti i cittadini cinesi, come
l’immigrazione illegale, lo sfruttamento del lavoro e, di recente, la
contraffazione di merci, trovino alimento non solo all’interno di un tipo
di immigrazione fortemente orientata in senso imprenditoriale ma anche
in base a fattori di ordine sociale ed economico riconducibili al contesto
più ampio. Al riguardo, cercheremo di appurare quali fattori strutturali
presenti nella società italiana possono essere messi in relazione con la
specifica fenomenologia criminale in cui risultano maggiormente
coinvolti i cittadini cinesi.
Infine, secondo una prospettiva diacronica, ci siamo chiesti quali
linee di mutamento è possibile costatare a proposito degli schemi
organizzativi e delle attività illecite in cui sono inserite le associazioni
criminali cinesi. Ovvero se sia possibile appurare, a partire da un
decennio a questa parte, una continuità in quanto a modalità
organizzative e attività illecite o non, piuttosto, rilevare significativi
mutamenti2.

2. Le categorie concettuali

Abbiamo inizialmente fatto ricorso alla letteratura internazionale


sulla criminalità organizzata in modo da delineare alcune categorie
analitiche attraverso le quali interpretare il fenomeno criminale di
origine cinese.
La prima assunzione che possiamo trarre dalla letteratura è che
quando parliamo di “criminalità organizzata” non necessariamente
possiamo stabilire una sinonimia semantica con la criminalità mafiosa,
diversamente da quanto di solito avviene nel dibattito pubblico
nazionale, in ragione di una peculiarità tutta italiana segnata dalla storica
presenza di organizzazioni mafiose autoctone. Semmai, la criminalità
2
Tale questione verrà esaminata nelle sezioni tematiche della terza parte.

9
organizzata include, in senso “tecnico”, una pluralità di forme comprese
all’interno di un continuum cui corrisponde, a una estremità, le
formazioni criminali che presentano un elaborato grado di
organizzazione interna, come le associazioni mafiose e, all’altra,
fenomenologie criminali scarsamente strutturate costituite da un numero
ridotto di individui, ciascuno dei quali risulta essere determinante
affinché le stesse attività illecite possano realizzarsi (Sellin 1963; Cohen
1977).
Sotto questo profilo, le forme di criminalità si distinguono
secondo la loro dimensione organizzativa, ovvero l’esistenza di strutture
di comando interne al gruppo criminale, la differenziazione funzionale
dei compiti, la presenza di vincoli associativi, nel caso corroborati
tramite rituali di affiliazione e, infine, l’uso di risorse non a tutti
accessibili come la violenza e la forza intimidatrice. Tutte caratteristiche
ampiamente presenti nelle organizzazioni mafiose italiane.
A tale configurazione, di cui la letteratura ha dato ampio conto, si
contrappone, per alcuni aspetti salienti, il modello basato sul network
criminale, risalente all’analisi di rete (network analysis), nata negli anni
Trenta dello scorso secolo all’interno della Scuola antropologica di
Manchester. Applicata alla criminalità organizzata, essa fa riferimento a
una duplice dimensione. La prima rileva l’importanza della dimensione
relazionale come unità di analisi nello studio dei fenomeni criminali.
Entro un insieme fluido di relazioni sociali, ciascun attore illecito
condivide con altri legami di varia natura e intensità, funzionali alla
prosecuzione delle attività illecite. Da questo punto di vista, la rete
relazionale costituisce l’ambiente, in un certo senso la risorsa e il tramite
grazie al quale egli entra in contatto con opportunità che
successivamente potranno effettivamente tradursi in attività illegali
(McIllwain 2000).
La seconda caratteristica del network, in questo caso riferita alla
sua dimensione transnazionale, consiste nell’esistenza di una
“costellazione” di nodi sovranazionali interconnessi fra di loro, in grado
di apportare, ciascuno per proprio conto, un contributo allo svolgimento
delle attività illecite (Williams 2001). Tale struttura a rete consentirebbe,
molto di più di quanto sia possibile per un’organizzazione criminale
basata su criteri verticistici, di adattarsi agevolmente ai mutamenti del
contesto in cui opera, essendo così in grado di cogliere le nuove
opportunità illecite che di volta in volta si presentano. In linea con i
mutamenti più ampi che attraversano le odierne società globali, i

10
network criminali transnazionali si caratterizzano per flessibilità ed
estrema capacità di adattamento ai contesti in cui operano, spostandosi
facilmente da un ambito illecito all’altro.
Enucleate le categorie analitiche di riferimento, il secondo
passaggio ha preso in esame la letteratura internazionale specificamente
rivolta alla criminalità cinese. Sono stati tenuti in debito conto i
principali studi compiuti in quei paesi che, ben prima dell’Italia, hanno
ospitato una consistente presenza di migranti cinesi, come gli Stati Uniti,
Hong Kong, colonia britannica per oltre un secolo, e alcuni paesi del
Sud-Est asiatico. Tale analisi ha permesso di individuare, attraverso un
processo comparativo, le analogie e le differenze fra il fenomeno
criminale presente in Italia e nei paesi appena menzionati.

3. Metodo e fonti

Il rapporto di ricerca ha tenuto conto di una duplice prospettiva:


per un verso, uno sguardo nazionale sulla criminalità organizzata di
origine cinese teso ad evidenziare le caratteristiche e gli ambiti illeciti
entro cui queste formazioni sono maggiormente coinvolte; per l’altro,
l’attenzione si è concentrata su alcune aree contraddistinte da una
significativa presenza di cittadini cinesi. Nello specifico, sono state
scelte le province di Milano, Firenze, Prato, Roma e Napoli che, secondo
i dati del Ministero dell’Interno corrispondono nel 2009 (ma analogo
discorso vale per il recente passato) al 35% di tutti i cittadini cinesi
regolarmente presenti in Italia.
La metodologia d’indagine si è basata su una “integrazione” di
elementi quantitativi e qualitativi. Pur tenendo conto che, sotto il profilo
metodologico, facciamo riferimento a “universi” di per se non
comparabili, è parso tuttavia proficuo raccogliere informazioni di tipo
statistico, da un lato, e di tipo squisitamente qualitativo, dall’altro. Le
une e le altre hanno consentito di formulare delle possibili risposte agli
interrogativi delineati in precedenza e stabilire, come avremo modo di
vedere esaminando le cinque aree di approfondimento, alcune
significative “corrispondenze” fra la raccolta di dati statistici e le
informazioni qualitative acquisite nel corso della ricerca sul campo.
Nell’ambito del primo gruppo di informazioni, sono state prese in
esame le statistiche della delittuosità, ovvero le denunce a carico di
cittadini cinesi rilevate dalle forze dell’ordine e raccolte presso il
Servizio Analisi Criminale del Ministero dell’Interno. I dati sono stati

11
selezionati secondo due principali tipologie di reati. La prima,
sinteticamente denominata “reati a carattere violento e/o associativo”, ha
tenuto conto di delitti come omicidi, lesioni volontarie, estorsioni,
rapine, sequestri di persona, mentre la seconda ha preso in
considerazione i reati economici, come truffe, usura, riciclaggio,
bancarotta.
Sono state raccolte le segnalazioni sospette in possesso dell’Unità
d’Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, i dati dell’Agenzia delle
Dogane relativi alle merci importate dalla Cina e i sequestri di beni di
provenienza cinese effettuati dal Comando Generale della Guardia di
Finanza. Inoltre, nell’ambito delle cinque aree in esame, abbiamo tenuto
conto delle informazioni statistiche presso le anagrafi comunali e le
Camere di commercio, in relazione al numero di cittadini cinesi residenti
e al tipo e settore economico in cui sono inserite le imprese con titolare
cinese. L’arco temporale di riferimento, per la gran parte delle fonti
statistiche, va dal 2004 al 2010.
Il secondo gruppo di informazioni, di tipo qualitativo, ha fatto
riferimento ai provvedimenti giudiziari che hanno avuto una prima
convalida della magistratura giudicante (ordinanza di custodia cautelare,
rinvii a giudizio, sentenze) presenti presso la Direzione Nazionale
Antimafia per il periodo 2005-10. E’ stato raccolto il materiale
giudiziario più rilevante esistente nelle Procure della Repubblica
corrispondenti alle cinque aree di approfondimento. Inoltre, sono state
acquisite alcune analisi d’insieme sulla criminalità cinese redatte da
organi centrali, come la Direzione Investigativa Antimafia e il Servizio
Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di
Finanza. Infine, attraverso vari sopralluoghi nelle cinque città sono stati
intervistati 66 testimoni privilegiati, appartenenti a varie istituzioni,
inclusi alcuni cittadini cinesi. Le interviste sul campo hanno consentito
di delineare un quadro d’insieme del fenomeno criminale, mettendo in
evidenza una serie di elementi comuni, vere e proprie costanti, come
anche, nel contempo, alcune peculiarità relative a ciascun contesto
locale.

12
I Parte
Il contesto internazionale

II. La criminalità organizzata cinese nella letteratura

In questo capitolo prendiamo in considerazione le principali


modalità organizzative assunte dalla criminalità cinese su scala
internazionale, facendo riferimento sia alla tradizione
dell’associazionismo segreto esistente nella madrepatria che alle
principali fenomenologie criminali rilevabili nelle colonie dei “cinesi
d’oltremare”, in paesi del Sud-Est asiatico come Malesia, Singapore e
degli Stati Uniti, aree di insediamento da lungo tempo di immigrati
cinesi. Vengono inoltre delineate, sulla base della letteratura
internazionale, le principali attività illecite in cui è coinvolta tale tipo di
criminalità.

1. La tradizione dell’associazionismo segreto in Cina

La Triade deve la propria denominazione nella seconda metà


dell’Ottocento ai colonialisti inglese che, per primi, scoprirono
l’esistenza di queste logge segrete, il cui simbolo di riconoscimento era
un triangolo equilatero, raffigurante secondo la cosmologia cinese le tre
forze primordiali dell’universo: Uomo, Terra e Cielo. Nella letteratura
specialistica, il termine cinese corrispondente è Tiandihui, Società del
Cielo e della Terra, oppure Sanhehui (Società delle Tre Armonie),
conosciuta anche come Lega di Hong3, in riferimento al primo carattere
del regno Hongwu, assunto da Zhu Yuanzhang, il monaco buddista a
capo del movimento insurrezionale che portò all’instaurazione della
dinastia Ming (1368-1664) (Davis 1971; Schlegel 1973).
Al di là del mito delle origini cui si rifà la tradizione
dell’associazionismo segreto, le versioni più accreditate sull’origine
della Triade fanno risalire l’emersione delle prime logge segrete alla fine
del XVIII secolo, nelle province meridionali del Fujian e Guangdong, in
corrispondenza col passaggio dalla dinastia imperiale dei Ming a quella

3
Il termine cinese Hong Meng, “alleanza o lega di Hong”, nella letteratura in
lingua inglese è sovente tradotto con l’espressione Hung-League.

13
dei Qing, fondata da conquistatori Manciù (Murray 1994)4. Proprio
questa connotazione “straniera” della dinastia regnante condusse le
società segrete anti-manciù a ispirarsi al fondatore della dinastia Ming:
fan Qing fu Ming (opporsi ai Qing per restaurare i Ming) era infatti il
motto che ne contrassegnava l’attivismo politico. In seguito, attraverso le
migrazioni interne dei loro aderenti, esse ebbero modo di espandersi in
altre aree della Cina centrale e meridionale, come le province di Hunan,
Yunnan, Guizhou, Jiangxi, Sichuan, Zhejiang e Guangxi (Booth 1990,
Murray 1994).
Le società segrete costituivano una forma di aggregazione volta a
garantire protezione e mutuo aiuto ai loro appartenenti (Ownby 1993;
Ownby 1996; Murray 1994). Di fronte a un potere imperiale che, da un
lato, tendeva a regolare in modo minuzioso la vita degli individui
secondo rigide regole di differenziazione sociale e, dall’altro, manteneva
l’ordine sul vasto territorio dell’impero concedendo ai funzionari locali
ampi poteri discrezionali, gli strati più bassi della popolazione si
organizzavano in società segrete in risposta ai soprusi e all’arbitrio delle

4
Sulla base del mito delle origini, del quale peraltro non si è avuto alcun
riscontro significativo, cinque monaci di un monastero buddista presso Saholin, nella
provincia del Fujian, avrebbero dato vita alla società segreta della Triade. Seguendo
tale leggendaria origine, l’imperatore Kangxi della dinastia Qing, in grave difficoltà
per il sopraggiungere di orde barbariche nel territorio dell’impero, fece un appello a
tutti coloro che fossero disposti a venire in suo aiuto. I 128 monaci di Saholin, esperti
di arti marziali, decisero di soccorrere l’imperatore, dopodiché, sconfitti gli invasori,
ritornarono alla solitudine del monastero. Ma un segretario dell’imperatore molto
ambizioso, che vedeva i monaci come un ostacolo alle sue mire di potere, convinse
l’imperatore ad attaccare il monastero. Grazie a un monaco traditore, le guardie
imperiali penetrarono nel monastero e lo dettero alle fiamme. Dei 128 monaci solo
cinque sopravvissero. Essi si strinsero in giuramento, promettendosi solennemente di
vendicare i fratelli uccisi. Dopo molte peregrinazioni, si rifugiarono nella Grotta
della Cicogna Bianca. Qui, mentre erano intenti ad affiliare nuove reclute alla
neonata società segreta, apparve in cielo un grande bagliore rosso, che venne
interpretato come un segno di buon auspicio (il termine “Hong” derivante dal nome
di regno Hongwu che significa “piena”, di un fiume, o “ampio”, “magnanimo” è
infatti omofono della parola Hong che significa “rosso”). Come possiamo notare, tale
versione, che raccoglie elementi simbolici e “didascalici” di grande effetto (uomini
probi e valorosi che subiscono un’ingiustizia senza motivo; la figura del traditore,
immancabile in ogni leggenda che si rispetti; la lotta per il potere a opera di
ambiziosi senza scrupoli) serve a giustificare la nascita di organizzazioni non
tollerate dall’ordinamento dell’epoca, attribuendo loro, peraltro, un manto di
rispettabilità e giustizia sociale che spesso non sono state in grado di affermare nella
pratica (Morgan 1960).

14
autorità5. Un proverbio cinese che recita: “I funzionari derivano il loro
potere dalla legge, il popolo dalle società segrete” esprime in modo
emblematico le profonde linee di differenziazione che attraversavano il
paese durante la dinastia Qing e la funzione di mutua assistenza ricoperta
dalle società segrete (Davis, 1971, 7). Coloro che appartenevano a
categorie socialmente disprezzate o erano privi di una qualsiasi forma di
protezione, come contadini senza terra, battellieri, venditori ambulanti,
vagabondi, facchini, soldati sbandati e intellettuali esclusi dalla carriera
amministrativa, ingrossavano le fila delle società segrete (Chesneaux
1965)6. Tali individui, accomunati da povertà relativa e mobilità sul
territorio, facevano ufficialmente parte della “popolazione fluttuante”,
youmin, letteralmente i “vagabondi”, esposti per la loro condizione
sociale a severe punizioni da parte delle autorità.
Oltre che essere inserite in attività illecite di vario tipo, come il
commercio illegale di beni monopolio di Stato (sale, tè, cavalli), rapine e
saccheggi, le società segrete erano espressione, in forma “pre-politica”,
del diffuso malcontento presente nella società. Malcontento che, a
seconda delle fasi di maggiore o minore turbolenza sociale, esplodeva in
ampie rivolte di massa. Basti ricordare, a questo proposito, le grandi
insurrezioni avvenute nelle regioni meridionali della Cina, come quella
dei Taiping (1850-1864), promossa da una setta della Triade di
ispirazione eterodossa, i cosiddetti “adoratori di Dio” convertitisi al

5
Il sistema amministrativo locale era costituito da un pletora di livelli
burocratici che avevano al punto più alto il Governatore generale, a capo di ciascuna
provincia, e a quello più basso il Magistrato di Distretto. Questi aveva il compito di
riscuotere le imposte nel proprio distretto (xian), che rappresentava la più piccola
unità amministrativa dell’impero. Tuttavia, poiché gli era fatto esplicito divieto di
fare affidamento sulle imposte erariali per coprire i costi dell’amministrazione, il
Magistrato di Distretto aveva, a sua discrezione, la facoltà di introdurre una nuova
tassa non ufficialmente riconosciuta (denominata lougui, letteralmente “consuetudine
vile”) a carico della popolazione (Davis 1971).
6
Ciò valeva, in particolar modo, per coloro che non potevano fare riferimento
a legami parentali allargati in virtù dei quali garantirsi forme di aiuto reciproco. La
struttura della parentela nella Cina dell’ultima dinastia imperiale dei Qing era
contraddistinta da più livelli: l’unità di base era la famiglia “primaria” che
comprendeva tre generazioni (nonni, genitori e figli), la “famiglia allargata”, simile
al modello della famiglia dell’antica Roma, che includeva concubine, fratellastri,
domestici, figli adottivi), quest’ultima, infine, era parte della stirpe o casata (zu). La
stirpe, come ricorda Fei-Ling Davis, “possedeva terre proprie, un tempio degli
antenati, scuole proprie e un tribunale, che servivano a orientare e dirigere l’intera
attività economica, sociale e politica delle famiglie ad essa appartenenti” (1971, 60).

15
cristianesimo, che durò ben sedici anni e causò, prima che venisse
definitivamente repressa dalle truppe imperiali, alcuni milioni di morti e
la distruzione di centinaia di villaggi, o la rivolta dei Nian (1853-1868),
promossa nella provincia di Shandong dalla setta segreta di ispirazione
buddista del Loto Bianco.
Dalla seconda metà dell’Ottocento il Sud della Cina (in particolare
tutta l’area circostante il bacino dello Yangtze) divenne l’epicentro di
una guerra civile promossa dalle società segrete della Triade che si
concluse nel 1911 con l’instaurazione della Repubblica da parte di Sun
Yat-sen, anch’egli membro di una Triade di Hong Kong col titolo di
“Randello Rosso”7(Morgan 1960).
Una volta raggiunto lo scopo politico che si erano date, ossia
esautorare la dinastia mancese dei Qing, queste associazioni segrete, forti
dei vincoli esistenti tra i propri appartenenti, accentuarono ancor di più la
loro deriva criminale. Un processo che ebbe ulteriore sviluppo dopo la
sconfitta del Guomindang di Chiang Kai-shek, sostenuto dalla quasi
totalità delle società segrete del Sud, ad opera del movimento
rivoluzionario maoista che condusse alla proclamazione, nel 1949, della
Repubblica Popolare Cinese. Dopo la sconfitta del Guomindang, anche
le società segrete ad esso affiliate lasciarono la Cina, stabilendosi nelle
vicine aree di Taiwan, Macao e Hong Kong.

2. Le Triadi nelle colonie dei “cinesi d’oltremare” del Sud-Est asiatico

A Hong Kong, colonia britannica dal 1842 al 1997 (a parte il


periodo di occupazione giapponese durante la seconda guerra mondiale),
le società segrete della Triade evidenziano, fin dal loro insediamento nel
dopoguerra, alcuni significativi cambiamenti rispetto alla precedente
configurazione assunta nella madrepatria. Innanzitutto, viene meno il
controllo delle logge più influenti su tutte le altre, di solito esercitato
dalle più grandi che rivendicavano una sorta di primogenitura risalente
al mito delle origini8. Per quanto nella stessa Cina la costituzione di
7
All’interno della struttura organizzativa della Triade, il Randello Rosso
corrispondeva al numero 426. Egli aveva il compito di difendere il territorio di
competenza della loggia da invasioni di altre società segrete e di imporre il rispetto
delle regole interne comminando le sanzioni ai trasgressori (Fong 1981; Morgan
1960).
8
Seguendo l’origine leggendaria della Triade, viene fatta una distinzione fra
prime e seconde logge. Le prime, cosiddette “maggiori”, sarebbero state fondate da
ciascuno dei cinque monaci fuggiti alle persecuzioni dell’imperatore nelle province

16
organismi unitari di comando assai di rado sia andata oltre il territorio di
una provincia, a Hong Kong ha luogo un’ulteriore parcellizzazione delle
società segrete, tanto che ciascuna si muove autonomamente senza
tenere conto delle altre. Le opportunità di arricchimento esistenti nel
dinamico contesto economico della colonia britannica contribuiscono ad
ampliare ulteriormente le spinte centrifughe esistenti all’interno delle
società segrete.
I rituali di affiliazione, che nella madrepatria rappresentavano una
fase particolarmente elaborata e coinvolgente per ciascuna loggia
segreta, subiscono una drastica semplificazione, tanto che in taluni casi
vengono affiliati nuovi membri senza fare alcun ricorso alla cerimonia di
iniziazione9. I motivi di tali cambiamenti sono dovuti al fatto che, da un
lato, vi è la necessità di evitare grandi assembramenti di persone per non
essere individuati dalla polizia coloniale (il governo inglese fin dal 1842

del Fujian, Guangdong, Yunnan, Hunan e Zhejiang, mentre le secondo legge, dette
“minori”, furono fondate da cinque “capi ribelli”, nel frattempo aggiuntisi ai monaci
superstiti, nelle province del Guanxi, Sichuan, Hubei, Jiangxi-Henan e Gansu (Davis
1971).
9
Il complesso rituale di affiliazione è suddiviso in tre fasi: rappresentazione
drammatica del mito delle origini, cerimonia del giuramento e, infine, banchetti
celebrativi. Prima di entrare nella loggia segreta, il candidato viene lavato e obbligato
a indossare giacca e pantaloni di cotone bianco, dei sandali di paglia e una fascia
rossa intorno alla testa. Superate le guardie poste all’ingresso della loggia, la recluta
dichiara la sua identità (nel frattempo viene minacciato di morte dagli astanti qualora
si rifiuti di avanzare), giunto al centro della sala viene accompagnato
dall’Avanguardia (o Randello Rosso) davanti all’altare per la cerimonia iniziatica.
Qui, come i cinque monaci fondatori della Triade, le reclute si promettono fedeltà e
aiuto reciproci. L’Avanguardia, dopo aver ricordato quali sono gli scopi
dell’associazione segreta (rovesciare la dinastia mancese dei Qing e restaurare i
Ming), legge in tono solenne una preghiera, nella quale si ricorda che gli affiliati alla
Triade “hanno tutti una sola mente e una sola volontà”. A questo punto, un membro
della loggia legge i Trentasei giuramenti, contenenti le regole di comportamento a
cui gli appartenenti si devono attenere. Poco dopo, le reclute bevono del tè, per
simboleggiare che si sono imbevuti delle regole dell’associazione e si pungono il dito
medio, lasciando cadere il sangue che ne sgorga in una coppa di vino, da cui tutti gli
altri affiliati poco dopo berranno. Per ammonire quale sarà la punizione riservata ai
traditori, viene decapitato un gallo bianco per ciascun nuovo affiliato. Infine, i nuovi
adepti vengono condotti alla porta Ovest della loggia, dove i giuramenti scritti
vengono bruciati, nella convinzione che, così facendo, sarebbero saliti fino agli dei, i
quali avrebbero punito gli spergiuri. Nella fase conclusiva, i nuovi membri ricevono
il certificato di iscrizione alla loggia, una copia del libro segreto contenente lo
statuto, i Trentasei giuramenti, i segni di riconoscimento fra affiliati e due pugnali.
Terminata la cerimonia di affiliazione, si aprono i banchetti (Davis 1971).

17
aveva dichiarato illegali le società segrete cinesi) e, dall’altro, le grandi
opportunità di arricchimento criminale nel nuovo contesto di Hong Kong
determinano un indebolimento dei legami interni fra gli affiliati. Un
segno preciso in tal senso è dato dal fatto che, da ora in poi, figure
interne alle logge, come il Maestro dell’Incenso, custode della tradizione
della Triade e addetto a officiare il rituale, passano in secondo piano a
vantaggio di figure e ruoli eminentemente operativi, come il Randello
Rosso, (the fighter, il combattente) (McKenna 1996; Morgan 1960).
Un ulteriore cambiamento rispetto al passato attiene alle diverse
finalità che caratterizzano le Triadi di Hong Kong. Mentre in Cina
fornivano sostegno e protezione per coloro che erano sprovvisti di
analoghe forme di mutuo-aiuto, a Hong Kong, dissolta la precedente
caratterizzazione “politica” e definitivamente compiuta la trasformazione
in senso criminale, le società segrete sono fondamentalmente interessate
a imporre il loro potere sulla comunità di connazionali. Sebbene vi siano
casi che in un certo qual modo riproducono le originarie funzioni delle
società segrete, come ad esempio il reclutamento di affiliati presso i
venditori ambulanti della città che vi aderiscono per evitare rapine a loro
danno, esse si trasformano in vero e proprio gruppo di potere criminale.
Con la crescita esponenziale dell’immigrazione dalla Cina - a metà
dell’Ottocento vi erano circa 15.000 cinesi mentre un secolo più tardi
erano divenuti 300.000 - le società segrete detengono il controllo delle
associazioni di mestiere, finendo così per esercitare significative forme
di condizionamento sui connazionali.
Entro le 220 società segrete rilevate alla fine degli anni Cinquanta
dello scorso secolo, alcune acquisteranno in seguito “fama”
internazionale. Tra queste, la società segreta 14K, originariamente una
costola militare del Guomindang, da cui deriva la propria iniziale,
mentre il numero fa riferimento all’indirizzo in cui venne stabilito a
Canton, in Po Wah Road, n. 14, il proprio quartiere generale, adibito
durante la guerra civile fra il Guomindang e il partito comunista cinese al
reclutamento di affiliati. La Sun Yee On (in cinese: Xinyi’an), la Fuk
Yee Hing (in cinese: Fuyixing), il gruppo Wo (in cinese: He), composto
da 12 società madri, il cui termine significa “Pace” e, infine, la Big Four
e Big Circle, queste ultime costituitesi di recente, nel corso degli anni
Novanta, nel dinamico contesto criminale della città. Il radicamento di
queste società segrete nella realtà cantonese di Hong Kong e, in senso
più ampio nei luoghi della diaspora cantonese nel mondo, traspare anche
dai loro nomi, che sono tutti in cantonese e non in cinese mandarino.

18
Prima che la Cina ritornasse in possesso nel 1997 di Hong Kong, le
autorità inglesi avevano rilevato la presenza in città di 57 organizzazioni
criminali facenti capo alla tradizione della Triade (McKenna 1996).
Analogamente a Hong Kong, nelle aree vicine come la Malesia e
Singapore, le società segrete da tempo si sono insediate all’interno delle
comunità cinesi. Esse furono facilitate dal sistema di governo utilizzato
dalle amministrazioni coloniali, il cosiddetto Kapitan System, che
prevedeva la nomina di rappresentanti cinesi a cui venivano demandate
funzioni politiche e giurisdizionali nella gestione degli “affari” delle
comunità. Poiché spesso i “governatori” erano una loro diretta
espressione, le società segrete furono agevolmente in grado di esercitare
la loro supremazia sui connazionali. Non per caso, ogniqualvolta i
colonialisti inglesi, francesi e portoghesi sono ricorsi a tale sistema di
governo indiretto, le società segrete hanno fatto la loro comparsa
all’interno delle comunità dei cinesi d’oltremare (Fong 1981).
Dall’Ottocento fino alla prima metà del Novecento, le società
segrete detenevano il monopolio della forza lavoro attraverso il Credit
ticket system: oltre che reclutare e trasportare a destinazione i migranti,
facevano da “garanti”, assicurando all’imprenditore che gli operai
avrebbero lavorato alle sue dipendenze fino all’estinzione del debito di
viaggio. Un sistema di reclutamento della manodopera congegnato in tal
modo permise alle società segrete di controllare i principali mercati del
lavoro interni alle comunità della Malesia e di Singapore.
Dalla seconda metà del Novecento, si aprì un’accesa fase
conflittuale interna alle società segrete la cui posta in gioco era il
controllo del racket sulle attività economiche. Ad essa, fece seguito un
periodo di relativa calma, basato sulla spartizione del territorio secondo
le diverse sfere d’influenza attribuite a ciascuna loggia. Le società
segrete fecero diffusamente ricorso al sistema della
protezione/estorsione, messo in luce a proposito della Mafia siciliana da
Diego Gambetta, secondo il quale l’organizzazione criminale obbliga le
vittime attraverso la violenza a richiedere la propria protezione (1992).
Con le parole di Mak Lau Fong “le società segrete creavano una
situazione per cui la protezione diventava una necessità. Tra i proprietari
di esercizi commerciali poco propensi a sottostare alle richieste
estorsive, le società segrete facevano ricorso a metodi coercitivi per
indurli a pagare. Per esempio, il Tiger-General [corrispondente al
Randello Rosso] prendeva di mira un determinato esercizio
commerciale, derubando il titolare di tutto ciò che voleva. Questo

19
sistema veniva ripetuto finché il proprietario non si decideva ad
accettare la richiesta estorsiva” (1981, 86-87).
L’origine e la persistenza più che secolare delle società segrete nei
principali paesi del Sud-Est asiatico sono da ricondurre a tre fattori
principali: la scarsa sicurezza garantita ai migranti cinesi da parte delle
autorità coloniali, che delegavano a referenti interni funzioni ufficiose di
governo sulle stesse comunità; l’occultamento delle società segrete entro
la comunità di connazionali, reso possibile grazie alla sensibile
semplificazione della loro struttura interna e alla riduzione della
conflittualità, sancita dalla suddivisione del territorio in sfere di
influenza sotto il controllo di ciascuna società segreta. Infine, l’ultimo e
più rilevante aspetto deriva dall’aver stabilito strette relazioni
simbiotiche con la comunità di connazionali, tramite individui che, da un
lato, erano affiliati alle società segrete e, dall’altro, rivestivano ruoli di
rilievo entro la medesima organizzazione comunitaria10.

3. Tong e gang negli Stati Uniti

Nel contesto statunitense, dove sono attualmente presenti vari


milioni di migranti cinesi, i Tong hanno costituito, fin dalla seconda metà
dell’Ottocento, le prime embrionali forme di autogoverno delle
comunità11. Talvolta confusi erroneamente con le società segrete della
Triade, essi sono associazioni legalmente riconosciute che rendono
pubblici gli elenchi degli iscritti e garantiscono servizi di vario tipo,
come la consulenza amministrativa e l’assistenza legale ai propri
associati. Semmai, l’aspetto che, dal nostro punto di vista, assume
rilevanza consiste nel fatto che al loro interno, come risulta da una serie
di investigazioni giudiziarie, si celano elementi criminali. Si tratta, di
solito, di figure di rilievo che, grazie al camuffarsi dietro il paravento di
cariche legali, conducono attività illecite di vario tipo. E’ per esempio il

10
Nello specifico, ci riferiamo al fatto che le società segrete esaminate da
Mak Lau Fong riproducevano in gran parte la segmentazione interna esistente nelle
comunità di immigrati, ovvero vi era una corrispondenza fra migranti provenienti da
certe province della Cina e sfere di influenza territoriale su cui insistevano le società
segrete appartenenti al medesimo ceppo geo-dialettale (ciascuna provincia cinese ha
una propria “lingua” che non coincide con il cinese standard).
11
Anche in tal caso, la trascrizione corrente del termine Tong è in cantonese,
mentre in cinese mandarino è tang, ovvero “sala, aula”, in riferimento a un luogo di
riunione generalmente riservato ai membri di un medesimo clan famigliare o di
un’associazione filantropica. Da qui l’estensione del significato in “associazione”.

20
caso dei tong On Leong (in cinese: Anliang) e Fujian Merchant
Association di New York, i cui dirigenti sono stati coinvolti in molteplici
attività illegali, dal traffico di clandestini al gioco d’azzardo, dallo
sfruttamento della prostituzione al racket sugli esercizi commerciali
cinesi (US Senate 1992).
Nel panorama criminale degli Stati Uniti troviamo, assieme ai
tong, le gang di giovani cinesi. Secondo alcuni studiosi, queste bande
sono divenute un fenomeno criminale preoccupante dalla fine degli anni
Sessanta, in corrispondenza con il crescente arrivo di migranti nelle
Chinatown americane12. Nate inizialmente come una forma di autodifesa
in risposta agli attacchi di altre bande “etniche”, esse hanno avuto, nel
corso degli ultimi decenni, un progressivo consolidamento, grazie alle
relazioni di scambio e sostegno reciproco con elementi criminali dei
tong.
Per non perdere il rispetto della comunità, i capi dei tong
preferiscono delegare alle bande i lavori “sporchi”, come l’attività di
controllo delle bische clandestine e le azioni di rappresaglia che
implicano il ricorso alla violenza. I maggiori tong, come ad esempio
quelli presenti nella Chinatown di New York, sono in grado di
controllare una o più bande, fornendo ai loro componenti le basi dove
rifugiarsi in caso di necessità, il vitto e l’alloggio nei ristoranti e negli
alberghi dei soci del tong13.
La consistente crescita delle gang cinesi negli Stati Uniti è
principalmente dovuta a due fattori. Innanzitutto, il crescente arrivo di
migranti cinesi da una estrema varietà di luoghi della Cina ha
irrimediabilmente messo in crisi l’originaria coesione sociale delle
Chinatown americane, costituite in precedenza da una sensibile
omogeneità geo-dialettale, dando luogo ad ampi fenomeni di marginalità
e “frammentazione” socio-culturale. Infine, la crescente integrazione tra
elementi adulti (al contempo esperti criminali e figure di rilievo dei
tong) e giovani “sbandati” ha consentito a questi ultimi di intraprendere
un percorso di ascesa criminale, difficilmente realizzabile in assenza di
legami con elementi influenti interni alle comunità. Tuttavia, pur in
12
L’incremento di cittadini cinesi negli Stati Uniti ha avuto luogo, in
particolare, con l’abolizione nel 1965 del Chinese Exclusion Act che disciplinava in
modo estremamente restrittivo il loro ingresso nel paese.
13
La gang di New York denominata Ghost Shadows è legata al tong On
Leong, mentre gli appartenenti alla gang Flying Dragons fanno riferimento al tong
Hip Sing. E’ possibile, inoltre, rilevare analoghi vincoli fra gang e tong in altre
grandi città americane, come Los Angeles e San Francisco (Huston 1997).

21
presenza di alleanze incentrate su reciproci vantaggi, la relazione che
intercorre fra capi dei tong e gang è soggetta a continue ridefinizioni,
tanto da mettere in crisi l’accordo iniziale. Ciò accade quando il leader
della gang - di norma il solo che mantiene i contatti diretti con il tong -
presenta richieste eccessive agli occhi dei capi del tong, come ad
esempio esigere un maggiore compenso per i suoi servigi. Tale
situazione dà luogo a conflitti che possono sfociare in una delazione alla
polizia da parte dell'esponente del tong o nel reclutamento di una gang
rivale meno “problematica” da parte di quest’ultimo. In definitiva,
sebbene si tratti di attori che condividono codici culturali storicamente
risalenti alla tradizione delle società segrete, la relazione tra capi dei tong
e gang è di natura strumentale e opportunistica e, in ragione di ciò, può
condurre facilmente a improvvisi ribaltamenti di fronte.

4 Le attività criminali prevalenti

Le organizzazioni criminali operanti all’interno delle comunità dei


cinesi d'oltremare sono inserite in un numero ampio e differenziato di
attività illegali. Fra l’Ottocento e il Novecento nelle colonie del Sud-Est
asiatico le società segrete gestivano il traffico di clandestini, la
prostituzione e il gioco d'azzardo. Assieme a tali ambiti, oggi si sono
aggiunti la commercializzazione su scala internazionale degli
stupefacenti, la produzione di valuta contraffatta, il traffico di microchip
e il racket sugli esercizi commerciali dei connazionali.
Il coinvolgimento di organizzazioni criminali cinesi nel traffico di
eroina è emerso in varie operazioni di polizia. L’eroina proveniente dal
Sud-Est Asiatico, la cosiddetta China white, comparsa nelle maggiori
metropoli statunitensi fin dall’inizio degli anni Ottanta, è riuscita
facilmente a soppiantare il tipo brown sugar (proveniente
dall’Afghanistan) grazie all’alta percentuale di purezza e ai suoi bassi
costi (Chin 1995). Secondo alcuni osservatori, l’ingente liquidità
accumulata attraverso il traffico internazionale di stupefacenti avrebbe
permesso a queste associazioni criminali un salto di qualità, in quanto a
capacità operativa su scala internazionale e diversificazione delle attività,
sia lecite che illecite (Booth 1990).
Tuttavia, la letteratura specialistica mette in luce l’esistenza di due
interpretazioni sensibilmente differenti circa la struttura organizzativa
dei gruppi criminali cinesi operanti su scala internazionale. La prima
avvalora l'ipotesi di uno stretto collegamento tra Triadi (con base a Hong

22
Kong, Macao e Taiwan), tong e gang “statunitensi” coinvolte nelle
principali attività illecite a carattere internazionale (Posner 1988; Bresler
1980). L'altra, al contrario, evidenzia l’assenza di una relazione
gerarchica fra questi tre attori. Il ruolo svolto dalle Triadi consisterebbe
nel mettere a disposizione la propria rete relazionale a vantaggio dei
singoli appartenenti, facendo da “agente facilitatore” dei traffici illeciti,
senza esserne coinvolte in quanto organizzazione (Dobinson 1993; Bolz
2001; Joe 1994). Più in generale, si tratterebbe di attività illecite messe
in atto da nuclei relativamente ristretti di individui che operano su scala
internazionale secondo logiche eminentemente opportunistiche e
flessibili, pronti ad associarsi fra di loro nel momento in cui se ne
presenta l’occasione e, al contempo, suscettibili di rompere i precedenti
legami quando il quadro delle opportunità cambia di segno (Zhang, Chin
2003). Facendo riferimento all’esistenza di network flessibili e mutevoli
nel tempo, tale interpretazione si contrappone alla precedente, che al
contrario delinea la criminalità transnazionale cinese come un insieme
costituito da strutture unitarie e gerarchiche.
Nel complesso, sembra più appropriato configurare tale
criminalità come un network, gravitante attorno a una serie di nodi fra
loro virtualmente indipendenti, che ridefiniscono la propria articolazione
a seconda delle necessità che si presentano di volta in volta. Una grossa
operazione della Drug Enforcement Agency contro un’ampia rete di
trafficanti cinesi ha messo in luce come gli individui coinvolti
appartenessero a differenti gruppi criminali e come ciascuno di essi
avesse preso parte al traffico di stupefacenti sul piano individuale senza
necessariamente coinvolgere la propria organizzazione criminale (US
Senate 1992).
L’immigrazione illegale rappresenta, negli Stati Uniti come in altri
paesi occidentali, un’attività particolarmente redditizia per i trafficanti
cinesi. Mentre l’Immigration and Naturalization Service stima che ogni
anno entrino illegalmente negli Stati Uniti circa 100.000 cinesi, ciascuno
dei quali è costretto a pagare 30.000 dollari per giungere a destinazione, i
profitti derivanti da questa attività oscillerebbero fra uno e tre miliardi di
dollari (Chin 1999). La gran parte dei migranti che entrano illegalmente
negli Stati Uniti provengono dalla provincia del Fujian, in particolare
dalla capitale della provincia, Fuzhou e da due distretti vicini (Zhang,
Gaylord 1996). Non per caso, grazie ai legami che intrattiene con le aree
di provenienza dal Fujian, uno dei tong più coinvolti nel traffico di
migranti è il Fujian American Association di New York. Secondo le

23
autorità statunitensi, le considerevoli opportunità di arricchimento
gravitanti attorno all’immigrazione illegale avrebbero spinto le gang
cinesi a organizzare autonome linee di trasporto, affrancandosi così dal
ruolo subordinato svolto al servizio dei capi dei tong, per conto dei quali
si occupavano di riscuotere il pagamento del debito di viaggio contratto
dal migrante (Chin 1996).
In analogia con ciò che vale per il traffico di droga e, in senso più
ampio, per qualsiasi attività illecita che abbia carattere transnazionale,
anche nel caso dell’immigrazione illegale vale la pena interrogarsi sulla
natura delle modalità organizzative che sovrintendono a tale tipo di
attività. Secondo alcune ricerche condotte a Hong Kong e nel Fujian,
luoghi di partenza dei migranti diretti verso gli Stati Uniti, sono emerse
due distinte forme organizzative alla base dell’immigrazione illegale. La
prima fa riferimento a network propriamente criminali composti da un
insieme di individui in precedenza coinvolti nel traffico internazionale di
stupefacenti che di recente hanno convertito la loro organizzazione e i
rispettivi referenti locali al traffico di migranti, in ragione dei consistenti
profitti e dei minori rischi connessi a tale attività. La seconda modalità
organizzativa è costituita da gruppi relativamente ridotti di individui che,
al confronto con i precedenti, dispongono di minori risorse finanziarie e
risultano essere inseriti sia in attività lecite che illecite. O meglio, per
essere più precisi, gestiscono sulla base di un proprio reticolo familiare
agenzie di viaggio e/o attività di import-export di prodotti cinesi,
svolgendo entro tali attività lecite anche servizi di natura illegale come il
traffico di migranti (Chin 1999).
Questi network criminali (gli uni e gli altri), grazie al loro
carattere fluido e “informale”, presentano una spiccata attitudine di
adattamento a un contesto criminale globale in continuo mutamento. Essi
basano i loro punti di forza su un nucleo centrale costituito da legami
parentali e, in senso più ampio, su relazioni face to face gravitanti
attorno a una comune fiducia “etnica”. All’interno delle innumerevoli
transazioni di natura più diversa, qualificabili in senso ampio come
“diaspore commerciali”, hanno luogo traffici illeciti transnazionali che
possono agevolmente celare le proprie tracce14. In ragione di una comune
appartenenza, i promotori degli scambi illeciti stabiliscono una pluralità

14
Il fenomeno delle “diaspore commerciali” consiste in continui contatti tra
individui dispersi spazialmente ma collegati sotto il profilo culturale e commerciale
(A. Cohen, Cultural Strategies in the Organization of a Trading Diaspora, cit. in
Arlacchi 1988, 30).

24
di accordi che, in altri contesti, potrebbero essere difficilmente
realizzabili. La condivisione dei medesimi codici linguistici e culturali
può tradursi in forme di vero e proprio “capitale sociale” a disposizione
degli attori illeciti15.
Le estorsioni sembrano avere assunto nelle Chinatown americane
carattere pervasivo e stabile, tanto che, secondo le autorità statunitensi,
ben il 90% degli esercizi commerciali cinesi della città di New York
sarebbero soggetti al racket. Pur indicando valori inferiori, una ricerca
effettuata in città tramite questionario di vittimizzazione ha messo in
luce la rilevanza del fenomeno estorsivo: fra i 603 esercenti cinesi
intervistati, il 69% ha dichiarato di aver subito richieste estorsive e il
55% di averle soddisfatte (Chin 1995). Le modalità di imposizione del
racket sono le più varie: obbligare il negoziante ad acquistare prodotti a
un prezzo superiore al valore di mercato; esigere una determinata somma
di denaro, chiamata lucky money (offerta augurale) in coincidenza con le
festività comunitarie come il Capodanno cinese e la Festa della Luna; il
furto di beni e servizi con finalità estorsive; la richiesta esplicita di
denaro in cambio di protezione.
La capillarità del fenomeno e la variabilità delle somme richieste
(da poche centinaia di dollari a molte migliaia) indicano quanto sia
importante per le gang attuare uno stretto controllo sulle attività
economiche della Chinatown di New York. Controllo che, come
sottolinea la letteratura sulla criminalità mafiosa, non implica solo una
distorsione del mercato, ma rappresenta prima di tutto una precisa
manifestazione di potere. Ciò trova riscontro nel numero estremamente
basso di denunce presentate alla polizia di New York dai cittadini cinesi,
a fronte di una quota molta alta di commercianti che hanno dichiarato,
via inchiesta di vittimizzazione, di aver subito richieste estorsive (Chin
1995).

15
Ci riferiamo alla definizione di James Coleman di “capitale sociale” nella
sua accezione “positiva”, intesa come una componente delle relazioni sociali che
consente a singoli o a gruppi appartenenti a determinate cerchie sociali di produrre
“beni pubblici” o, se vogliamo, “esternalità positive” (2005). Così come esiste
un’accezione positiva di capitale sociale, ne esiste una di segno opposto che permette
l’accesso a opportunità illecite di vario tipo.

25
Seconda Parte
L’immigrazione sul territorio nazionale

III. Le comunità cinesi in Italia

Al fine di fornire una serie di elementi di contesto propedeutici


all’analisi dei fenomeni criminali, prenderemo in esame l’origine e
l’entità dei flussi migratori dalla Cina verso l’Italia e le caratteristiche
socio-economiche dell’immigrazione cinese nel contesto nazionale.

1. Entità, distribuzione sul territorio e composizione demografica

La prima presenza di un certo rilievo di cittadini cinesi risale alla


fine degli anni Ottanta, quando raggiungono quasi 10.000 unità. In
seguito, grazie anche alle sanatorie del dlg. 286/98 e della l.189/02,
passeranno a 47.108 nel 1999 e a 100.109 nel 2003, mentre alla fine del
2009 risultano 188.352, la quarta collettività straniera dopo rumeni
(887.763), albanesi (466.684) e marocchini (431.592) (Caritas/Migrantes
2000, 2004, 2010).
I migranti cinesi sono principalmente concentrati nelle aree urbane
medio-grandi del Centro-Nord come Milano, Prato, Firenze, Roma,
Brescia, Torino, Treviso e Reggio Emilia, anche se, in questi ultimi anni,
si rileva una crescente presenza in città del Mezzogiorno, come Napoli,
Palermo e Catania. Più in generale, la distribuzione territoriale per macro
aree regionali vede la percentuale maggiore di cittadini cinesi nel Nord,
pari al 60%, il 28% nel Centro e il 12% nel Sud e nelle isole (Di Corpo
2008)16.
Essi si distinguono da altre collettività per una distribuzione
pressoché paritaria fra uomini e donne, rispettivamente il 51% e il 48%
(Caritas/Migrantes 2009). In più, presentano una struttura demografica
per fasce d’età particolarmente cospicua fra la popolazione giovanile e,
in modo ancor più rilevante, nella fascia fra i 25 e i 45 anni. Hanno
inoltre un bassissimo numero di persone oltre i 60 anni, pari allo 0,74%,
ovvero un ultrasessantenne ogni 135 cinesi, diversamente da quanto
risulta per la popolazione italiana alla quale corrisponde un over sessanta

16
I dati si riferiscono al 2006 (Di Corpo 2008).

26
ogni 4/5 residenti. La sensibile concentrazione nella fascia in età di
lavoro aiuta probabilmente a sfatare il luogo comune secondo il quale i
cinesi presenti in Italia “non muoiono mai”. Considerata la diversa
composizione demografica dei cinesi e degli italiani, è come se, nel
confronto fra le due popolazioni, i tassi di mortalità dei primi
diminuissero di 40 volte rispetto ai secondi (Di Corpo 2008)17.

2. Aree di origine e segmentazione interna delle comunità

I primi nuclei di cittadini cinesi in Italia si stabiliscono a Milano


intorno agli anni Trenta del Novecento, giunti dalla Francia dove
originariamente erano stati fatti arrivare direttamente dalla madrepatria
per sostituire gli operai occupati al fronte. Essi provenivano dal distretto
di Qingtian, appartenente alla provincia del Zhejiang, collocata nella
parte Sud-Est della Cina. A questi si sono aggiunti, pochi anni dopo,
nuovi connazionali originari di altri tre distretti contigui: Wenzhou,
Wencheng e Rui’an (Cologna 1997). Essi costituiscono il primo nucleo
di migranti cinesi, al quale negli anni Ottanta seguiranno, attraverso il
sistema delle catene migratorie, nuovi connazionali dagli stessi luoghi di
partenza.
Nel decennio successivo arrivano migranti dalla vicina provincia
del Fujian, in particolare dalle aree confinanti con la città di Wenzhou,
richiamati in Italia da analoghe catene migratorie risalenti a legami di
parentela con i connazionali del Zhejiang (Cologna 2003a). Questi due
gruppi geo-dialettali costituiscono, ancora oggi, la quota largamente
prevalente di cittadini cinesi presenti in Italia18. Infine, verso la fine degli
17
In linea con quanto detto, a Milano nel 2008 risultavano negli archivi
dell’anagrafe comunale solo 99 cinesi ultrasettantenni su circa 15.000 residenti,
mentre dal 1998 al 2007 sono avvenuti 67 decessi di cittadini cinesi (Casti,
Portanova 2008). Lo stereotipo invalso nell’opinione pubblica cui facevamo
riferimento sottintende, in realtà, una seconda argomentazione secondo la quale le
morti non verrebbero denunciate al fine di riutilizzare l’identità del defunto per far
arrivare illegalmente in Italia i connazionali. Come avremo modo di vedere in
seguito, sebbene le organizzazioni coinvolte nell’immigrazione illegale ricorrano a
un pluralità di sistemi per introdurre migranti cinesi in Italia, per quanto risulta
nessuno di essi contempla un’eventualità del genere.
18
Facciamo riferimento alle differenziazioni geo-dialettali interne, visto che
in ciascuna provincia viene parlata una propria “lingua” che, di per sé, non ha alcuna
assonanza semantica con quelle delle province vicine, tanto che un cinese del
Zhejiang non è in grado di comunicare con un proprio connazionale del Fujian, a
meno che entrambi non usino la lingua standard, il cinese mandarino.

27
anni Novanta, si registra l’arrivo di nuovi migranti da alcune province
del Nord-Est della Cina, come Liaoning, Jilin e Heilongjiang, la
cosiddetta Manciuria (Ceccagno 2003). Qui il processo migratorio ha
avuto origine a seguito della decisione del governo centrale di
privatizzare, alla fine degli anni Ottanta, l’industria pesante della
regione, determinando la perdita del lavoro per circa 14 milioni di
persone (Di Corpo 2008).
Per l’immigrazione cinese sembra appropriato, al contrario di
quanto vale per altre popolazioni straniere presenti in Italia, fare
riferimento all’esistenza di “comunità” e non genericamente di
“collettività”, in ragione del fatto che esiste un senso di appartenenza
condivisa. Tuttavia, occorre precisare che tale dimensione ha
principalmente rilievo verso l’esterno, in quanto assume importanza
l’immagine che gli altri - gli outgroup - possono avere del singolo,
inteso non solo come responsabile individuale delle proprie azioni, ma
come il tramite di una rappresentazione collettiva che egli, attraverso il
proprio comportamento, contribuisce a fornire verso la società ospitante
del gruppo sociale a cui appartiene. Sotto questo profilo, la concezione
comunitaria assume significato per il singolo migrante nel momento in
cui egli si trova a interagire con persone esterne e non, come solitamente
si tende a credere, in rapporto alle relazioni fra connazionali. La
valutazione prevalente nell’opinione pubblica secondo cui le comunità
cinesi sarebbero contraddistinte da una forte omogeneità interna denota,
a uno sguardo più attento, tutta la sua inadeguatezza. Al contrario, esse
sono attraversate da sensibili segmentazioni, che in larga parte orientano
i comportamenti e le pratiche d’azione degli appartenenti alla comunità.
Le diverse modalità di aggregazione sociale gravitano attorno a tre
principali criteri: i legami familiari e parentali in senso ampio, la
comunanza territoriale (essere tongxiang, ovvero compaesani, ma anche
appartenere allo stesso gruppo geodialettale) e, infine, le relazioni
incentrate sul guanxi, ossia lo scambio reciproco di aiuto e favori
(Cologna 2003b; Ceccagno 1998; Rastrelli 2008). Queste tre dimensioni
tendono a strutturare le relazioni economiche e sociali di ciascun
appartenente alla comunità. Se, ad esempio, il titolare di un’impresa
dovesse scegliere chi assumere fra due connazionali appartenenti allo
stesso gruppo geo-dialettale, l’uno parente e l’altro no, assumerebbe
probabilmente il primo e non il secondo. In modo analogo, se un
commerciante del Zhejiang parte da Firenze per recarsi a Roma presso

28
un proprio corregionario19 allo scopo di acquistare capi di abbigliamento
potrà con molta probabilità ottenere un trattamento di favore rispetto al
medesimo acquirente proveniente da un’altra area della Cina.
Diversamente da quest’ultimo, egli avrà la possibilità di avere la merce
in conto vendita o stabilire forme di pagamento rateali sui prodotti
acquistati20.
Mentre i primi due tipi di legami si riferiscono a criteri ascrittivi, il
terzo - il guanxi - corrisponde a un insieme di relazioni contraddistinte
da fiducia e aiuto reciproco, la cui ampiezza e intensità possono variare
in modo consistente da individuo a individuo. Come ricorda uno
studioso di cultura cinese, il guanxi è costituito da “quei legami che
possono tirarti fuori dai guai nei momenti di maggior bisogno o magari
sostenere i tuoi progetti imprenditoriali” (Cologna 2006, 2). In relazione
alla varietà, qualità e numerosità di guanxi posseduti, il singolo migrante
detiene un peculiare capitale sociale su cui, in caso di necessità, sa di
poter sempre contare.
In ragione di tali legami, gli immigrati appena giunti in Italia
possono fare affidamento su varie forme di solidarietà, grazie alle quali
ottenere un lavoro e soddisfare tutta una serie di bisogni di prima
necessità. Sebbene il reticolo etnico possa tradursi, quanto più le proprie
relazioni sociali gravitino attorno ad esso, in un vincolo piuttosto che in
un vantaggio, le spinte a rimanere al proprio interno finiscono per
prevalere, non solo per motivi di ordine simbolico-culturale, ma anche
per precisi risvolti pratici: lavorare presso un connazionale permette di
ridurre in modo significativo i costi del soggiorno, in ragione della
consuetudine esistente nella madrepatria che prevede, da parte del datore
di lavoro, la disponibilità di un alloggio e del vitto ai propri dipendenti.
Le forme di associazionismo interne riflettono, in larga parte, la
segmentazione esistente nelle comunità. I principali criteri in base ai
quali vengono costituite le associazioni fanno riferimento a una comune
appartenenza geo-dialettale e/o alla salvaguardia di interessi economici
fra gli associati, analogamente a quanto avviene, in quest’ultimo caso,
per le associazioni di categoria italiane. Nell’uno come nell’altro caso,
esse agiscono per lo più secondo la logica del gruppo di pressione in
difesa degli interessi dei loro appartenenti, mentre di rado promuovono
istanze generalizzabili all’intera comunità di connazionali.

19
Dal punto di vista amministrativo, le province cinesi corrispondono, grosso
modo, alle nostre regioni, mentre i distretti interni a ciascuna delle nostre province.
20
Intervista a un cittadino cinese (Roma, 20 maggio 2010).

29
3. L’imprenditoria “etnica”

La presenza di cittadini cinesi in Italia si caratterizza per una


elevata quota di imprese “etniche”, nel senso che i dipendenti trovano
impiego presso un connazionale. I principali ambiti di inserimento delle
imprese cinesi sono il settore manifatturiero e quello dei servizi, in
particolare ristorazione ed esercizi commerciali. Le imprese
manifatturiere sono in gran parte collocate nelle aree di storico
insediamento della cosiddetta “Terza Italia”, ovvero i distretti industriali
del Centro e del Nord-Est, mentre per quanto riguarda il settore dei
servizi sono principalmente presenti nel tessuto metropolitano delle
grandi e medie città italiane (Bagnasco 1977).
Vale inoltre la pena evidenziare l’esistenza di una diffusa
instabilità di fondo delle imprese cinesi. Esse presentano un turn over
annuale molto alto, nell’ordine, per quanto riguarda alcune dettagliate
informazioni relative alla provincia di Prato, del 47,6%. Tuttavia,
bisogna ricordare che il tasso medio di turn over nel 2009 fra gli
imprenditori di Prato appartenenti alle maggiori collettività straniere è
del 38,5% (tre volte più alto degli imprenditori italiani), con i cinesi al
primo posto, cui seguono i pakistani (42,5%), i nigeriani (37,8%), i
rumeni (32,6%), i marocchini (32,5%) e, infine, gli albanesi (23,8%)
(Caserta, Marsden 2010).
Che l’alto tasso di turn over delle imprese cinesi si configuri come
una strategia volta ad evitare i controlli fiscali - e quindi nasconda illeciti
economici di varo tipo - ha trovato un certo riscontro nel corso delle
interviste sul campo, durante le quali alcuni interlocutori hanno fatto
esplicito riferimento a commercialisti che lavorano solo con imprenditori
cinesi, consigliandoli in un certo modo sul da farsi, spesso chiedendo
loro parcelle estremamente onerose21. Rinviando tale aspetto alle sezioni
successive, dove si esamina la fenomenologia criminale relativa ai reati
economici, qui preme sottolineare che altri fattori estranei a intenti
illeciti influiscono nel determinare l’alto tasso di cessazioni e successive
attivazioni di imprese cinesi.
Tra questi, vi sono l’intensa mobilità dei migranti sul territorio
italiano e la caratterizzazione eminentemente imprenditoriale che fin
dall’inizio ha assunto l’immigrazione cinese in Italia. La scelta del luogo
in cui stabilirsi è dettata, in larga misura, dal tipo di opportunità

21
Interviste effettuate a cittadini cinesi e a rappresentanti di associazioni no
profit (Prato, 13 febbraio e Roma, 14 marzo 2010).

30
imprenditoriali che questo offre e non, come può avvenire per altre
collettività straniere, in base alle possibilità d’impiego esistenti presso
famiglie e imprese italiane. In tal senso, la presenza di migranti cinesi
non si configura come una mera esportazione di manodopera, quanto
piuttosto come una scelta orientata alla realizzazione di un preciso
progetto imprenditoriale (Colombi 2002). Nel momento in cui il luogo
prescelto non soddisfa le aspettative, essi agevolmente si trasferiscono
altrove, non solo in altre città italiane ma anche in altri paesi europei. Per
un migrante che giunge in Italia dall’altra parte del mondo, la
concezione dello spazio assume significati ben diversi a confronto con la
popolazione italiana: dal suo punto di vista, l’Italia è parte integrante del
continente europeo e le distanze fra un paese e l’altro dell’Unione
europea sembrano relative.
Così come essi sono disponibili a spostarsi, analogo atteggiamento
prevale nel momento in cui si presentano nuove opportunità
imprenditoriali, come è il caso odierno della progressiva saturazione del
settore manifatturiero dell’abbigliamento. Mentre nel corso degli anni
Novanta il principale sistema di ascesa sociale era rappresentato dal
costituire un’impresa manifatturiera, oggi, a causa della concorrenza
proveniente dalla madrepatria, tale ambito sembra aver in gran parte
esaurito le sue potenzialità. Semmai, le maggiori opportunità di
arricchimento si collocano nell’import-export di prodotti provenienti
dalla Cina (Ceccagno 2008a).
Lo spiccato dinamismo imprenditoriale dei cittadini cinesi trova
alimento attraverso una concezione per cui divenire titolare di
un’impresa, essere laoban, cioè una sorta di “padrone” alle cui
dipendenze altri prestano il proprio lavoro, costituisce un tangibile segno
di prestigio sociale. Alla figura dell’imprenditore viene attribuita, nella
stratificazione di status interna alla comunità, una forte valenza
simbolica tanto che chi lavora alle dipendenze di un connazionale
appena può costituisce una propria impresa. Analogamente a quanto è
avvenuto negli anni Settanta per lo sviluppo dei distretti industriali nel
Centro-Nord, la cui manodopera originaria era costituita da nuclei di
famiglie contadine inurbate, gli immigrati cinesi basano la propria forza
economica sulla famiglia, ottimizzando le risorse familiari secondo le
esigenze dell’impresa (Bagnasco 1977).
Assieme alla famiglia-azienda, altri fattori contribuiscono allo
sviluppo imprenditoriale, come il sistema di mutuo aiuto interno alla
comunità e la possibilità di fare ricorso, grazie all’immigrazione illegale,

31
a forza lavoro a costi estremamente ridotti. Le retribuzioni dei lavoratori
irregolari oscillano da un minimo di 100 a un massimo di 500 euro al
mese, e si basano sul cottimo, con tempi di lavoro estremamente dilatati
(Trib. Trieste 2002; Trib. Milano 2005b). Nei casi peggiori, non vi è
alcuna soluzione di continuità fra lavoro ed extra-lavoro: i dipendenti
dormono poche ore per notte all’interno del laboratorio, osservando solo
le pause necessarie per il loro sostentamento (Casti, Portanova 2008;
Trib. Prato 2010a, 2010b).
Anche quando si tratta di lavoratori regolari, le retribuzioni sono
estremamente basse, di gran lunga inferiori a quelle previste dalle
normative vigenti. Secondo una recente ricerca, nei laboratori
manifatturieri gli stipendi dipendono dalle diverse mansioni svolte dai
dipendenti. Al gradino più basso troviamo gli zagong (letteralmente
“lavoratori che fanno un po’ di tutto”), addetti al taglio dei fili e alla
piegatura degli abiti, il cui salario si aggira attorno a 7.200 euro l’anno;
gli shougong, (“lavoratori manuali)”, capaci di cucire e stirare anche se
non perfettamente, il cui compenso annuale è di circa 8.400 euro; infine,
vi sono i chegong, (“addetti alla cucitura”), operai specializzati in grado
di cucire in modo professionale che guadagnano circa 1.000 euro al mese
(Ceccagno 2008b)22.

22
A condizione di lavorare molte ore al giorno, dormire 3-4 ore per notte e
disporre di adeguate competenze professionali, si può arrivare a guadagnare fino a
3.000 euro al mese (intervista a una mediatrice culturale cinese, Napoli, 23 marzo
2010).

32
Terza Parte
Uno sguardo d’insieme: la fenomenologia criminale e le sue
trasformazioni

IV. Immigrazione illegale e tratta di esseri umani

L’immigrazione illegale, analogamente a quanto avviene per gli


ambiti illeciti successivi, viene esaminata entro una prospettiva
diacronica che permetterà, per un verso, di evidenziare le linee evolutive
che i gruppi della criminalità organizzata hanno avuto nel corso
dell’ultimo decennio e, per l’altro, di illustrare il loro modus operandi,
con particolare riferimento alle categorie teorico-interpretative illustrate
nella parte introduttiva.

1. Smuggling e trafficking: una definizione concettuale

Come noto, nell’ambito della letteratura specialistica viene


delineata una distinzione analitica fra smuggling, ovvero l’introduzione
illegale di migranti nel territorio di uno Stato, e trafficking, ossia lo
sfruttamento sessuale o economico in condizioni analoghe alla schiavitù.
La medesima differenziazione viene ribadita nei due protocolli collegati
alla Convenzione sulla criminalità transnazionale delle Nazioni Unite del
2000, secondo cui le persone oggetto di trafficking sono considerate
vittime delle organizzazioni di trafficanti, mentre, al contrario, i migranti
coinvolti nello smuggling sono coloro che richiedono il servizio di
trasporto dal loro paese di origine a quello di destinazione (United
Nations 2000a, 2000b).
Lo smuggling si qualifica come una relazione “contrattuale” fra
migrante e trasportatori che solitamente ha termine quando il primo
giunge a destinazione, mentre il trafficking si basa sullo sfruttamento
intensivo del migrante una volta che questi termina il viaggio. Spesso
gravato da un debito contratto con l’organizzazione criminale che ha
anticipato i costi del trasporto, egli subisce, proprio alla fine del viaggio,
forme intensive e potenzialmente illimitate di sfruttamento.
Per quanto i contorni dell’uno e dell’altro fenomeno nella realtà
siano molto spesso sfumati, la distinzione appena delineata ci permette di
includere l’immigrazione illegale di cittadini cinesi all’interno dello

33
smuggling, ma, a seconda di come possono andare le cose, può
trasformarsi facilmente in trafficking23. Anche se sono gli stessi cittadini
cinesi che volontariamente scelgono di affidarsi a una organizzazione di
trasportatori per giungere in Italia, le incognite legate al viaggio possono
comportare, come spesso accade, che il migrante passi dal ruolo di
“cliente” a quello di vittima. Ciò è dovuto, innanzitutto, al fatto che il
pagamento del viaggio non viene effettuato in un’unica soluzione al
momento della partenza ma, al contrario, una parte è anticipata all’inizio,
mentre la rimanente, di solito la metà della somma concordata, viene
saldata dai propri parenti nel momento in cui il migrante giunge a
destinazione.
Il pagamento in più tranche, condizionato al buon esito dell’intera
operazione, consente al migrante di cautelarsi rispetto a tutta una serie di
incognite e imprevisti che, trattandosi di transazioni di natura illecita,
non possono essere eliminate. Tuttavia, poiché il migrante costituisce
occasione di arricchimento nel momento in cui avrà terminato il viaggio,
ciò implica molto spesso che referenti dell’organizzazione lo seguano
nelle differenti tappe dalle aree di partenza fino in Italia. Si tratta di
figure che, all’occorrenza, intervengono per risolvere problemi logistici
legati al trasporto, anche se più spesso hanno il compito di controllare il
migrante, facendo in modo che non commetta imprudenze che
potrebbero mettere a rischio l’intera operazione e, soprattutto, che non
possa sottrarsi al controllo dell’organizzazione di trasportatori. Una volta
giunto a destinazione, egli viene segregato in un luogo sicuro in attesa
che i suoi parenti saldino il debito di viaggio. Poiché non è infrequente
che i trafficanti avanzino richieste di denaro che vanno ben al di là
dell’accordo stabilito inizialmente, è in questa fase che i migranti
vengono sottoposti a brutali violenze per costringere i parenti a sottostare
alle richieste di pagamento (Trib. Macerata 2007).
Un caso analogo si ha quando il migrante viene sottratto da un
gruppo di trafficanti a quello che lo aveva in custodia. In tali frangenti, i
nuovi trafficanti si preoccuperanno di rintracciare i parenti del
malcapitato e di esigere il pagamento del debito, che assai di rado potrà
coincidere con la somma concordata in Cina. In ogni caso, sorgeranno
problemi di non poco conto perché chi ha sottratto il clandestino al

23
A questo proposito, citiamo il caso di due donne cinesi sottoposte a
sequestro da parte dei trafficanti e minacciate, se i loro parenti residenti a Brescia
non avessero pagato 100.000 yuan (circa 10.000 euro), di essere vendute in Olanda
come prostitute (Trib. Ancona 2010).

34
gruppo criminale che lo teneva sotto il proprio controllo difficilmente
farà capo allo stesso reclutatore con il quale il migrante ha preso accordi
al momento della partenza (Trib. Trieste 2002; Trib. Venezia 2005).

2. Le modalità organizzative dello smuggling

Nella gestione dell’immigrazione illegale cinese, possiamo rilevare


con una certa continuità l’esistenza di un modello fortemente strutturato,
la cui principale caratteristica consiste nella capacità di controllare
l’intero percorso migratorio dei migranti. Mentre per l’arrivo in Italia di
altre collettività straniere le associazioni di trafficanti denotano modelli
organizzativi assai segmentati e privi di un adeguato coordinamento, le
organizzazioni cinesi si caratterizzano per una spiccata capacità di
imbastire collegamenti e ramificazioni transnazionali, grazie ai quali
sovrintendere alle diverse tappe del viaggio dei migranti (Trib. Ancona
2005, 2007)24.
Il controllo sui migranti può risolversi tutto all’interno della rete di
connazionali oppure, com’è emerso in un ampio procedimento
giudiziario della Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste che ha
portato allo smantellamento di una cospicua organizzazione di trafficanti
cinesi, sloveni, italiani e serbi, fare affidamento a gruppi di diversa
nazionalità (Trib. Trieste 2002). L’associazione criminale, che aveva il
proprio centro direttivo in Cina, si appoggiava su vari referenti dislocati
nei paesi di transito: trasportatori vietnamiti lungo il confine fra la
Repubblica Ceca e la Germania, singoli passeur sloveni col compito di
guidare i migranti lungo sentieri di montagna per superare i controlli di
frontiera e, infine, responsabili cinesi dell’organizzazione che
prendevano in custodia i migranti in territorio italiano e li conducevano a
destinazione. In tal modo, l’associazione cinese era stata in grado di
stabilire una certa integrazione funzionale con gruppi minori di

24
Nello specifico, ci riferiamo a una serie di interviste effettuate nei primi
anni del Duemila ad alcuni migranti giunti in Italia dall’Afghanistan. Attraverso la
dettagliata testimonianza di uno di loro, traspare l’assenza di un coordinamento
transnazionale fra le varie organizzazioni inserite nell’immigrazione illegale.
L’intervistato ha riferito di aver trovato di volta in volta, paese per paese, i contatti
per proseguire il suo viaggio in Europa. Inizialmente intenzionato a raggiungere la
Germania dove aveva alcuni parenti, alla fine di un viaggio durato oltre un anno è
approdato sulle coste pugliesi, perché questa è stata la prima destinazione utile una
volta arrivato in Albania (Becucci 2006).

35
trafficanti, ciascuno dei quali aveva ruoli e compiti specifici in relazione
all’ambito territoriale di propria competenza.
Assieme a forme di cooperazione fra associazioni criminali di
diversa origine nazionale che riducono tutta una serie di inefficienze
logistiche e organizzative connesse alla gestione dell’immigrazione
illegale, coesistono spinte di segno opposto potenzialmente
destabilizzanti. Nella stessa inchiesta giudiziaria è emerso come i
trafficanti cinesi si preoccupassero di arrivare in tempo alla consegna dei
migranti perché avevano timore che altri gruppi di connazionali
potessero sottrarglieli. Nel passaggio da un’organizzazione all’altra, i
migranti venivano “venduti e comprati” più volte, in modo che gli attori
illeciti potessero cautelarsi nel caso in cui l’intera operazione non fosse
andata a buon fine.
In caso di organizzazioni cinesi transnazionali che operano in
totale autonomia, le modalità di ingresso in Italia spesso si svolgono via
aerea e prevedono l’arrivo in uno dei vari aeroporti italiani direttamente
dalla Cina. In un procedimento giudiziario istruito presso la Procura di
Milano, i migranti venivano introdotti in Italia tramite visto turistico25.
Grazie all’esistenza di collusioni con l’ambasciata austriaca di Pechino e
alcune agenzie di viaggio che predisponevano il finto piano turistico -
per un costo a carico del migrante di circa 7.000 euro - i trafficanti erano
in grado di introdurre in Italia gruppi di 30-50 persone alla volta (Trib.
Milano 2005b).
Come riferisce un cittadino cinese che ha deciso di collaborare
con le autorità:
“Tutto il nostro gruppo era stato informato della presenza di un
programma di viaggio per i paesi Schengen e per una durata di 15 giorni
e infine che in teoria, saremmo poi tornati in Cina con partenza aerea da
Madrid. Il viaggio aereo lo facemmo con la compagnia aerea cinese, la
tratta era Pechino-Malpensa-Roma. Nonostante la maggior parte di noi
dovesse fermarsi a Milano per raggiungere altre città o Paesi
dell’Europa, scendemmo a Roma, ci spiegarono che a Roma i controlli
sono meno severi rispetto a Milano-Malpensa. Una volta giunti a Roma,

25
Ricordiamo che dal primo settembre 2004 è entrato in vigore un accordo fra
l’Unione europea e la Cina che prevede agevolazioni per i cittadini cinesi che
vogliono recarsi nei paesi europei in visita turistica. Il rilascio di questo tipo di visto
è subordinato ad alcune condizioni: che sia chiesto da un numero minimo di 5
persone, che queste siano dotate di un biglietto di andata e ritorno e che si spostino
in gruppo secondo il programma di viaggio stabilito.

36
oltrepassammo il controllo passaporti e, una volta all’esterno, il gruppo
si divise. I nostri passaporti sono stati trattenuti dalle nostre guide che
dovevano riportarli in Cina per far apporre il timbro di rientro in Cina
prima della scadenza del visto turistico ottenuto. In ogni caso, il
passaporto non mi è mai stato riconsegnato ed è tutt’ora nelle mani di C.
[il capo dell’organizzazione in Cina]. Affermo questo perché a oggi non
è ancora stato consegnato ai miei genitori” (Trib. Milano 2005b, 21).
Espletate le procedure d’ingresso, i migranti venivano suddivisi in
sottogruppi e presi in carico da vari referenti dell’associazione che
avevano il compito di condurli a destinazione. I capi presenti nella
provincia dello Shandong attribuivano a ciascuna “guida” una
determinata quantità di denaro in relazione al numero di migranti presi in
custodia. L’esistenza di una relazione eminentemente contrattuale fra i
trafficanti in Italia, interessati a vedersi attribuire il numero maggiore di
migranti per ottenere così più profitti, ha incentivato, in questo caso,
un’accesa competizione interna. Competizione che non ha impedito a
uno di essi di denunciare in forma anonima alle forze dell’ordine
l’esistenza delle attività illecite, col proposito di utilizzare
strumentalmente l’intervento delle autorità per sgombrare il campo dai
propri associati/competitori.
Un analogo procedimento, istruito dalla Direzione Distrettuale
Antimafia di Milano, ha condotto alla disarticolazione di un’associazione
criminale che reclutava migranti dal Liaoning, provincia del Nord-Est
della Cina. I capi dell’organizzazione in Cina operavano come “agenzia
di servizi” fornendo un pacchetto completo di viaggio che, in base alle
richieste del “cliente”, includeva il biglietto aereo, il visto turistico
d’ingresso rilasciato da varie ambasciate europee presenti a Pechino e un
lavoro presso i connazionali in Italia. Con costi relativamente bassi,
nell’ordine di 6.000-7.000 euro, e una buona pubblicità nelle aree di
partenza, i reclutatori in Cina potevano fare affidamento su un’ampia
domanda da parte dei connazionali. Questi entravano in Italia con visto
turistico e, appena superati i controlli di frontiera, i loro passaporti
venivano inviati in Cina, dove funzionari corrotti vi apponevano il visto
di reingresso, in modo da certificare il rientro dell’intestatario entro i
termini previsti. In seguito, i passaporti venivano riutilizzati per far
entrare nuovi migranti in Europa (Trib. Milano 2005a).
Grazie alla disponibilità di connazionali dislocati in vari paesi
dell’area Schengen, l’associazione di trafficanti poteva predisporre
pacchetti di viaggio sia in Italia che in Francia, Spagna, Grecia e Austria.

37
Una volta arrivati in Italia, i migranti venivano presi in carico da una
“guida” che li conduceva nel paese prescelto dietro l’ulteriore pagamento
di 800 euro. L’organizzazione, che aveva una delle sue basi a Milano
presso Via Paolo Sarpi, faceva arrivare tramite tale sistema
apparentemente legale alcune decine di persone al mese.
Come si evince dalla seguente conversazione telefonica fra due
trafficanti, la domanda di emigrazione dalle province del Nord-Est è
molto alta: “Y. andava a prendere i clienti ed è stato arrestato [in altro
stato europeo] e deve restare in carcere per 10 anni, lui aveva nelle sue
mani 40/50 passaporti”, “Sì, nel suo dormitorio sono stati trovati 40/50
passaporti. L.H. mi ha detto che ci sono tante persone che vogliono
venire qua” (Trib. Milano 2005a, 37). A capo dell’associazione illecita vi
era un ristretto numero di parenti, che si occupavano del reclutamento
nelle aree di partenza e della supervisione complessiva delle operazioni,
mentre per mansioni specifiche si affidavano a connazionali che
ricevevano un compenso per ogni prestazione svolta.
Sensibilmente orientate secondo relazioni tipicamente
“contrattuali”, possono essere costituite vere e proprie joint venture, che
consentono a ciascun partecipante di investire una propria quota
finanziaria nella gestione dell’attività illecita. E’ il caso, a questo
riguardo, di un traffico di migranti via terra dai paesi dell’Est Europa
scoperto presso la Procura di Venezia. Nelle conversazioni tra gli
organizzatori, “si parlava degli affari, delle ripartizioni degli utili in
funzione delle quote anticipate nella società da taluni e delle somme da
destinare a coloro che pur non avendo finanziato l’operazione avevano
prestato un servizio prelevando i clandestini con la propria autovettura
e/o mettendo a disposizione la propria abitazione, e che il riferimento ad
altre analoghe operazioni già consumate o in programma metteva in luce
la stipula di un vero e proprio ‘pactum sceleris’ diretto alla commissione
di una serie indeterminata di delitti” (Trib. Venezia 2005, 18-19). Un
pactum sceleris che, essendo basato pressoché esclusivamente su
relazioni d’interesse, era sottoposto a scorrettezze e rivalità fra coloro
che costituivano il nucleo centrale dell’organizzazione. Infatti, vi era chi
ometteva di dire agli altri il numero preciso di migranti fatti partire dalla
Cina allo scopo di accaparrarsi le quote maggiori di profitti. Nel
momento in cui l’affidabilità fra trafficanti viene messa in crisi, alcuni di
loro mettono in conto la possibilità, per risolvere le rivalità che
attraversano l’organizzazione, di eliminare chi non rispetta gli accordi.

38
3. Le rotte e il “reclutamento” dei migranti illegali

Le rotte seguite dai trafficanti per introdurre i connazionali in Italia


si snodano lungo varie direttrici. Il principale itinerario via terra seguito
fino ai primi anni del Duemila prevedeva la partenza in aereo da
Pechino, l’arrivo a Mosca e il successivo trasporto a Praga. Qui i
migranti venivano raccolti in luoghi prestabiliti e successivamente
consegnati a propri referenti in relazione al paese europeo di
destinazione. L’ingresso in Italia avveniva attraverso la frontiera con la
Slovenia, con il superamento nottetempo del Carso grazie a passeur
locali. In seguito, con l’entrata della Slovenia nell’Unione europea, i
controlli di frontiera si sono spostati verso questo paese.
Attiva fino ai primi anni del Duemila, la seconda rotta prevedeva
la partenza in aereo dalla Cina e una tappa intermedia a Mosca,
terminando con l’ingresso via mare lungo il canale d’Otranto grazie
all’apporto dei trafficanti albanesi. Oggi, col sostanziale azzeramento
degli sbarchi lungo il litorale pugliese, gli organizzatori cinesi hanno
scelto il porto di Ancona, occultando i migranti all’interno di navi
mercantili. Infine, la terza rotta si basa, come abbiamo visto, su voli di
linea direttamente dalla Cina, entrando in Italia attraverso forme
apparentemente legali mediante visto turistico.
Le modalità di reclutamento dei migranti si articolano per lo più
secondo le provenienze geo-dialettali in cui è suddivisa la popolazione
cinese. Tale aspetto traspare da uno dei vari procedimenti raccolti, nel
quale i trafficanti si lamentano per la perdita di nuove opportunità di
profitto poiché non sono riusciti ad entrare in contatto con potenziali
emigranti non appartenenti al loro consueto bacino di “reclutamento”
delle province del Nord-Est.
Così gli investigatori sintetizzano il dialogo fra due interlocutori dediti
all’immigrazione illegale:
“Il primo (S.) dice che quella persona (in attesa di documenti) gli ha
detto che se non riuscirà ad averli per le tre di domani, non li farà più e
se ne andrà. S. dice che questa persona è del Fujian e se lo perdono come
cliente, significa che ne perderanno tanti altri, perché se riusciranno a
procurargli i documenti, lui poi, lo dirà ad altre persone che ne hanno
bisogno.
Il secondo (Z.) dice di capire la situazione e domani chiamerà S. per
fargli sapere qualcosa.

39
[alcuni giorni dopo, trascrizione diretta] Z. dice a S.: adesso per fare i
documenti quella persona ha già chiamato e il cellulare è acceso.
S.: E’ acceso, ma adesso la persona che doveva fare i documenti è andata
via, abbiamo perso, perché lui dopo ha trovato un’altra persona del
Fujian che glieli ha fatti.
Z.: Ti chiedo scusa per quel giorno per quella persona, avevo solo 50
euro.
S.: Comunque abbiamo perso non solo una persona ma tanto lavoro”
(Trib. Milano 2005a, 49).
Poiché emigrare illegalmente implica considerevoli rischi e molte
incognite, la condizione fondamentale che induce il migrante a
rivolgersi a certi trasportatori è presumere di potersi fidare di loro. Sotto
questo profilo, il rapporto di fiducia fra trafficanti e migranti si basa sulle
indicazioni di parenti e conoscenti che indirizzano i potenziali migranti
verso specifiche associazioni di trasportatori. In senso più generale, la
scelta del migrante si orienta in base a informazioni e reti relazionali che
gravitano entro la medesima provenienza geo-dialettale, cui spesso
appartengono sia i migranti che gli organizzatori del trasporto.

4. Trafficking e sfruttamento del lavoro

Nell’ambito del trafficking finalizzato allo sfruttamento


economico, possiamo rilevare, in vari casi, un collegamento stretto fra
organizzatori del trasporto e imprenditori. In particolare, gli
imprenditori mettono a disposizione laboratori e ristoranti come luogo di
raccolta dei migranti in attesa che venga estinto il debito di viaggio o li
impiegano nelle loro attività economiche. Ciò avviene quando i
trafficanti sono essi stessi imprenditori o questi ultimi risultano
strettamente collegati all’organizzazione di trasportatori.
Più in generale, tuttavia, le relazioni che intercorrono fra trafficanti
e imprenditori che impiegano i clandestini come forza lavoro sono
contingenti e non organicamente strutturate. Si tratta, per lo più, di
imprenditori che, sapendo quali sono gli shetou (“le teste di serpente”
coinvolte nell’immigrazione illegale), fanno affidamento su di loro per
procurarsi i lavoratori. E’ un tipo di relazione che si basa sulla
soddisfazione di vantaggi reciproci, come si evince dalla seguente
conversazione fra una donna e un trafficante dello Shandong: la donna
“gli dice che lei ha intenzione di aprire un laboratorio per confezionare
scarpe e quindi se avrà bisogno di operai gli chiede se lui glieli potrà

40
mandare”. Oppure, in un caso analogo, una guida coinvolta nel traffico
comunica al suo sodale “di mandare una donna a Civitanova [Marche]
per lavoro. Gli passa il numero di telefono e gli dice che il padrone è un
suo paesano e che ha già parlato con lui, vuole una persona” (Trib.
Milano 2005b, 27, 65).
La condizione preliminare affinché un rapporto di lavoro, per
quanto basato sullo sfruttamento intensivo, possa dare luogo a forme di
trafficking attiene, nella maggior parte dei casi, alla questione del debito
di viaggio, ovvero al fatto che questo sia stato saldato (o meno) da parte
del migrante ai trafficanti o all’imprenditore che lo ha ingaggiato.
Laddove il debito persiste, i lavoratori subiscono vessazioni e vincoli
assimilabili alla condizione di schiavitù, come essere segregati
all’interno dei laboratori lavorando 16-18 ore al giorno per paghe
mensili irrisorie o inesistenti (Trib. Forlì 2006; Trib. Bologna 2008a,
2008b)26. Al contrario, una volta affrancatisi dal debito - ciò che avviene
nella gran parte dei casi grazie all’aiuto dei parenti presenti in Italia - i
migranti sono liberi di andarsene e scegliere un nuovo datore di lavoro.

5. Smuggling e trafficking: alcuni dati

Le denunce che coinvolgono i cittadini cinesi per reati relativi


all’immigrazione in violazione del dlg. 286/98 risultano particolarmente
consistenti: dal 2004 al 2010 sono state denunciate 28.464 persone.
Occorre precisare che nel totale è compresa un’ampia varietà di delitti,
dalle violazioni relative al permesso di soggiorno, all’introduzione e
favoreggiamento dell’immigrazione illegale, fino alle assunzioni
irregolari da parte del datore di lavoro. Più nel dettaglio, riportiamo nella
tab. IV.1 le denunce a carico di cittadini cinesi attinenti alle norme
sull’immigrazione27.

26
Alcune donne impiegate in un laboratorio percepivano per 10 ore di lavoro
giornaliere 25 euro al mese, mentre gli uomini 75 euro. I migranti erano arrivati in
Italia tramite il datore di lavoro, il quale era in collegamento con i reclutatori in Cina.
L’accordo sottoscritto dai migranti alla partenza prevedeva che essi percepissero
circa 100 euro al mese fino all’estinzione dell’intero debito di 18.000 euro. Debito
che includeva il pagamento del viaggio e l’ottenimento del permesso di soggiorno
(Trib. Bologna 2008a).
27
Tutti i dati del Ministero dell’Interno riferiti al 2010 sono da considerarsi
non definitivi.

41
Tab. IV.1. Persone di nazionalità cinese denunciate per violazione delle norme
sull’immigrazione (anni: 2004-2010)
Violaz. artt. 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
dl.gs 286/98
art. 5 13 32 24 19 30 89 62
art. 6 722 1.662 1.616 1.840 2.135 1.963 1.397
art. 10 bis 798 1.459
art. 12 365 934 722 892 881 849 686
art. 13 19 53 51 88 56 7 11
art. 14 98 342 644 1.291 1.535 1.394 1.215
art. 22 219 503 417 425 378 289 217
art. 24 1 4 3 3 1 6 4
Totale 1.437 3.530 3.477 4.558 5.016 5.395 5.051
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno
Legenda: gli artt. 5 e 6 del dl.gs 286/98 disciplinano la presenza in Italia degli
stranieri e gli obblighi relativi al soggiorno; l’art.10 bis sanziona l’ingresso e il
soggiorno illegale nel territorio italiano; l’art. 12 punisce l’organizzazione
dell’immigrazione illegale; l’art. 13 concerne l’espulsione amministrativa; l’art. 14
l’esecuzione dell’espulsione; l’art. 22 la violazione da parte del datore di lavoro delle
norme sull’assunzione di lavoratori dipendenti e l’art. 24 di lavoratori stagionali.

Nell’arco di tempo considerato, tutte le voci, eccetto quelle relative


all’espulsione amministrativa e alla violazione delle norme sulle
assunzioni di lavoratori dipendenti, crescono in modo consistente. In
particolare, del 93% le persone denunciate per trasgressione degli
obblighi relativi al permesso di soggiorno (art. 6), dell’88% per
organizzazione dell’immigrazione illegale, del 1140% le persone
sottoposte ad “esecuzione dell’espulsione” e, infine, con l’introduzione
della l. 94/2009 che sancisce il reato di immigrazione e permanenza
illegale, dal 2009 al 2010 il numero di cittadini cinesi cresce dell’83%.
Il reato di tratta di esseri umani, finalizzato allo sfruttamento
sessuale o economico in condizioni analoghe alla schiavitù (ex. art. 600
c.p. e 601 c.1. c.p.) è contraddistinto da valori ben più bassi, in totale pari
a 136 persone (tab. IV.2). Sebbene si registri negli ultimi anni un certo
aumento del trafficking, va ricordato che facciamo comunque
riferimento a valori assoluti molto bassi, sia per il primo anno preso in
esame che per tutto l’arco temporale di riferimento.
In ogni caso, per tutti i reati, inclusi quelli che verranno presentati
in seguito, vale il principio di cautela secondo cui le statistiche della
criminalità indicano in maniera diretta la capacità delle forze dell’ordine
di scoprire i reati e la propensione della popolazione (vittime incluse) a
denunciarli. In tal senso, le statistiche forniscono solo in modo indiretto

42
informazioni sull’entità dei reati, in quanto persiste per ciascuna
fenomenologia criminale il problema del cosiddetto numero oscuro,
ovvero un ammontare difficilmente accertabile di reati che, pur essendo
stati commessi, non vengono scoperti dalle forze dell’ordine né
denunciati dalla popolazione (Bandini et al. 1991). Tutto ciò induce a
prendere con una certa cautela l’entità dei reati rilevati attraverso le
statistiche criminali.
Tab. IV.2. Persone di nazionalità cinese denunciate in Italia per i reati di riduzione
in schiavitù e tratta di esseri umani (anni: 2004-2010)
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Riduzione in 9 5 7 30 43 24 14
schiavitù
Tratta e 2 2
commercio
Totale 11 5 9 30 43 24 14
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno
Legenda: la categoria “riduzione in schiavitù” comprende le seguenti fattispecie di
reato previste dall’art. 600 c.p. (art. 600: riduzione in schiavitù; 600 bis:
prostituzione minorile; 600 ter: pornografia minorile; 600 quater: detenzione di
materiale pornografico; 600 quinques: iniziative turistiche volte allo sfruttamento
della prostituzione minorile). La categoria “tratta e commercio di esseri umani”
corrisponde all’art. 601 c.1. c.p. (tratta e commercio di schiavi).

6. Conclusioni

Se confrontiamo le caratteristiche attuali dell’immigrazione


illegale cinese con la seconda metà degli anni Novanta - ovvero da
quando il fenomeno assume particolare rilevanza - possiamo notare sia
alcuni elementi di continuità che aspetti sensibilmente diversi rispetto al
passato. All’origine del traffico di migranti prevale, allora come oggi,
una modalità organizzativa incentrata su due caratteristiche, indicante
ciascuna un diverso grado di fiducia fra gli attori illeciti. Innanzitutto, i
trafficanti sono accomunati da legami di tipo familiare, e ciò vale in
particolar modo per coloro che operano in Cina in stretto contatto con i
referenti in Italia con ruoli direttivi. In secondo luogo, abbiamo forme
organizzative basate su vere e proprie joint venture, al cui interno
prevalgono relazioni meramente contrattuali fra gli attori illeciti.
I gruppi cinesi operanti nell’immigrazione illegale tendono a
coniugare in modo peculiare l’uno e l’altro criterio. La possibilità di fare
affidamento a un nucleo centrale accomunato da legami familiari,
tendenzialmente stabile e più propenso al rispetto degli accordi, a cui si

43
associa il reclutamento di figure minori, ingaggiate di volta in volta in
relazione alle necessità operative del momento, sembra costituire la
formula organizzativa più efficace per dare risposta a una duplice
necessità: da un lato, garantire una certa stabilità all’organizzazione
criminale entro un universo illecito intrinsecamente instabile e,
dall’altro, consentirle di modulare, a seconda delle necessità, rotte,
referenti locali e sistemi d’ingresso in Italia dei migranti illegali.
Invece, il primo cambiamento di rilievo avvenuto in questi ultimi
anni riguarda l’ampliamento delle aree di origine dei migranti cinesi:
mentre in passato erano circoscritte alle province del Zhejiang e Fujian,
oggi interessano in particolar modo il Nord-Est della Cina. Il secondo
mutamento attiene al prezzo di viaggio pagato dal migrante per giungere
in Italia. Per coloro che arrivano in aereo direttamente dalla Cina, il
costo è sensibilmente diminuito rispetto allo scorso decennio. Mentre in
passato, per tutti i migranti si aggirava attorno a 15-20 milioni di lire e
nei primi anni del Duemila, con l’entrata in vigore della moneta unica,
era fra 10.000 e 15.000 euro, oggi per chi utilizza la rotta aerea
corrisponde a 8.000-9.000 euro (Trib. Milano 1999; Trib. Trieste 2002).
Secondo una mediatrice culturale cinese, il costo odierno per
giungere illegalmente in Italia, pari a 7.000-8.000 euro, verrebbe
praticato per i cinesi che provengono dal Nord-Est della Cina, zone più
povere e depresse economicamente di quelle del Sud, dove al contrario il
prezzo sarebbe quasi doppio. Tuttavia, il costo a carico del migrante è
influenzato, oltre che dalla regione di partenza, anche dalle modalità di
viaggio utilizzate per giungere in Italia. Lo spostamento delle rotte dalla
via terrestre - attraverso i paesi dell’Europa dell’Est - alla via aerea, ha
consentito una riduzione del costo del viaggio. Mentre in passato il
percorso via terra poteva prolungarsi per mesi se non addirittura per
alcuni anni, ed era reso particolarmente difficoltoso dal superamento di
vari confini nazionali, oggi molti migranti arrivano con visto turistico,
salvo poi rimanere sul territorio italiano oltre il periodo consentito dal
permesso d’ingresso.

V. Reati violenti e associativi

Nella varietà dei reati in cui sono coinvolti i cittadini cinesi, qui ne
prendiamo in esame alcune tipologie, secondo le seguenti categorie:
reati violenti, come omicidi e lesioni dolose, predatori, come rapine e

44
furti e reati che, per le loro caratteristiche, spesso implicano forme di
collaborazione fra più individui, come il traffico e la
commercializzazione di sostanze stupefacenti e le estorsioni. In ultimo,
concentriamo l’attenzione sulle bande di giovani e sulle forme più
strutturate di criminalità organizzata, a cui tali reati sono in gran parte
riconducibili.

1. Entità e tipologia dei reati

Come ricordato in precedenza, le statistiche criminali danno conto


dei reati scoperti e non del loro numero effettivamente commesso. In
più, non tutti i reati presentano lo stesso numero oscuro, visto che per gli
omicidi è sostanzialmente inesistente, mentre per i furti è, al contrario,
molto alto, arrivando, secondo alcune stime risalenti ai primi anni
Novanta, a ben tre volte quelli effettivamente denunciati in Italia
(Barbagli 1995).
La diversa entità del numero oscuro è influenzata da altre due
variabili. La prima attiene alla distinzione fra reati che implicano
l’esistenza di vittime immediatamente rilevabili e altri, invece, che non
ne hanno, se non in senso lato e indiretto quale potrebbe essere l’intera
collettività. Nel primo gruppo rientrano tutti i reati violenti e di tipo
predatorio, mentre nel secondo vi sono, ad esempio, i reati legati agli
stupefacenti, al gioco d’azzardo e alla prostituzione. La seconda variabile
riguarda, invece, la differenza fra attività pro-active e re-active delle
agenzie di law enforcement. Le azioni pro-active corrispondono
all’autonoma iniziativa delle forze dell’ordine nel valutare dove
indirizzare la propria attenzione investigativa. Le azioni re-active, al
contrario, spingono le agenzie investigative a intervenire sulla base di
sollecitazioni esterne, si tratti delle vittime che denunciano un reato, di
comitati cittadini reclamanti maggiore sicurezza nel quartiere in cui
vivono o di “pressioni” mediatiche di vario tipo.
Tenendo conto di tutto ciò, riportiamo nella tab. V.1, le denunce
rilevate dalle forze dell’ordine nei confronti di cittadini cinesi per una
serie di reati. Il dato più preoccupante sotto il profilo dell’ordine
pubblico e della sicurezza riguarda il numero di omicidi e di tentati
omicidi che, assieme, ammontano negli anni presi in esame a 289. Le
altre fenomenologie criminali, pur avendo dal 2004 al 2010 un
significativo incremento (i reati legati agli stupefacenti del 513%,
l’associazione a delinquere ex 416 c.p. del 708%, i furti del 920%), nel

45
complesso presentano valori assoluti tendenzialmente bassi, di gran
lunga inferiori al coinvolgimento criminale di altre collettività straniere
presenti sul territorio nazionale.
Tab. V.1. Cittadini cinesi denunciati in Italia per i seguenti reati (anni: 2004-2010)
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Omicidi volontari
consumati 20 10 13 16 15 18 16
Tentati omicidi 9 20 8 20 36 46 42
Lesioni dolose 142 148 170 208 213 215 261
Furti 73 74 117 114 136 175 231
Rapine 59 52 64 43 35 40 56
Estorsioni 47 40 71 53 66 74 140
Sequestri di persona 42 20 26 8 25 20 59
Associazione 416 c.p. 34 100 65 147 123 111 269
Associazione 416 bis 1 7 5 18
Stupefacenti 23 23 37 52 87 78 141
di cui Produz. e 3 1 3 11 15 5 2
traffico:
di cui Spaccio: 12 21 19 36 54 47 97
Totale 450 494 571 661 741 777 1.233
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno

Basti dire, a questo proposito, che in una precedente ricerca che ha


preso in esame un insieme di reati analoghi agli attuali, il totale di
cittadini cinesi nei confronti dei quali l’autorità giudiziaria ha avviato
l’azione penale era pari, nel periodo compreso fra il 1995 e il 1999, a
630 individui, mentre per gli stranieri provenienti dall’Albania e dal
Marocco ammontava rispettivamente a 16.197 e 35.647 individui
(Becucci 2002)28. Per quanto un qualsiasi confronto sui tassi di
criminalità debba tenere conto del numero di migranti irregolari
appartenenti a ciascuna collettività straniera, le grandi differenze
esistenti fra cittadini cinesi e altri gruppi nazionali sono così rilevanti che
difficilmente il coinvolgimento criminale della popolazione cinese

28
I reati cui ci riferiamo erano: omicidio volontario, lesioni volontarie,
percosse, violenze sessuali, sfruttamento della prostituzione, furto, rapina, estorsione,
produzione e spaccio di stupefacenti, violenza, resistenza e oltraggio e, infine,
associazione per delinquere. In tal caso i dati si basavano sull’Annuario giudiziario
dell’Istat, prendendo in esame non le denunce rilevate dalle forze dell’ordine ma le
denunce per le quali l’autorità giudiziaria ha avviato l’azione penale. Va da sé,
naturalmente, che le due fonti statistiche - denunce rilevate dalle forze dell’ordine e
procedimenti dell’autorità giudiziaria - non possono essere comparate fra loro.

46
potrebbe cambiare di segno considerando una quota, seppur cospicua, di
illegali29.
Detto ciò, bisogna ricordare che alcuni reati riportati nella tab. V.1
sono senza vittime, come quelli connessi agli stupefacenti, o implicano
l’esistenza di una componente solitamente alta di reati non denunciati
come i furti. A proposito di altri reati, quali rapine, estorsioni e sequestri
di persona la condizione principale per cui vengano alla luce, salvo
essere scoperti attraverso un mirato e autonomo intervento delle forze
dell’ordine, è che le vittime li denuncino.
La propensione della popolazione a denunciare i reati dipende da
una serie di fattori, quali l’entità del danno sofferto, la ragionevole
aspettativa che la denuncia contribuisca alla riparazione del danno, la
fiducia riposta nelle forze dell’ordine e, in senso più ampio, un
orientamento volto al rispetto delle norme (Barbagli 1995). Se ciò vale,
in linea generale, per la popolazione italiana, quando facciamo
riferimento a collettività straniere la questione si complica, poiché in tal
caso dobbiamo tenere conto delle relazioni che intercorrono fra la
popolazione autoctona e gli immigrati. Se queste relazioni saranno
basate, come sembra essere il caso per le comunità cinesi, da separatezza
e reciproca incomunicabilità, tutto ciò influirà negativamente sulla
volontà di denunciare i reati subiti dai cittadini cinesi. Per quanto
l’analisi delle relazioni fra migranti cinesi e popolazione autoctona vada
al di là degli scopi della presente ricerca, il dato prevalente emerso dalle
interviste è che i rappresentanti delle agenzie di law enforcement
considerano le comunità cinesi chiuse, se non addirittura impermeabili al
contesto circostante, mentre i cinesi hanno fatto presente che la loro
presunta “chiusura” è strettamente legata ai problemi di relazione
esistenti con la società italiana.

29
Il confronto metodologicamente corretto dovrebbe tenere conto della quota
di immigrati illegali, il cui numero cambia in relazione al periodo temporale
considerato e alla specifica collettività straniera presa in esame. Tuttavia, senza
volersi addentrare in tale questione, che di per sé esula dalle finalità del rapporto di
ricerca, alcune ricerche hanno stimato che nel 2005 vi erano in Italia 169.000
cittadini cinesi, al cui interno la quota di irregolari sarebbe stata dell’11,4%
(Blangiardo, Rimoldi 2006). Di recente, l’entità complessiva di immigrati irregolari
in Italia sarebbe, al primo gennaio 2009, di 422.000 persone rispetto a 4,4 milioni di
regolari (Blangiardo 2009, 2010a). Secondo altre stime, il numero di irregolari nel
2009 raggiungerebbe almeno 900.000 persone (incluse le 300.000 regolarizzazioni
del settembre 2009 nel settore del lavoro domestico) (Pittau 2010).

47
Inoltre, va tenuto conto di una certa “propensione” degli immigrati
cinesi a risolvere al proprio interno le controversie fra connazionali. A
questo proposito, riportiamo un episodio avvenuto alcuni anni fa a
Milano, indicativo di tale tendenza. A seguito della scoperta da parte
delle forze dell’ordine di un esercizio finanziario abusivo che svolgeva
servizi di deposito contante, prestito e trasferimento di denaro verso
l’estero, la magistratura provvede al sequestro dell’immobile e del
denaro rinvenuto al suo interno. Secondo il magistrato che ha riferito
l’episodio, ciascun cliente aveva affidato ai gestori della finanziaria cifre
ingenti, che andavano da poche migliaia di euro ad alcune decine.
Tuttavia, nessuno dei clienti si è presentato presso la Procura per
presentare denuncia come parte lesa, passo indispensabile per ottenere
indietro il proprio denaro30 (Trib. Milano 2009b).
I reati commessi dai cittadini cinesi coinvolgono per la quasi
totalità i connazionali. Pur in assenza di dati statistici in grado di stabilire
questa corrispondenza, abbiamo tuttavia appurato che, nell’insieme
delle fonti consultate, solo tre casi - di cui uno rimasto allo stato di
progetto - hanno interessato degli italiani in qualità di vittime. Il primo
riguarda le pesanti percosse subite da un automobilista che aveva avuto
un incidente d’auto a Napoli nel 2004 con una macchina nella quale
viaggiavano alcuni elementi appartenenti a una banda criminale. Poiché
sembra che l’italiano abbia apostrofato in modo offensivo l’altro
guidatore, il diverbio è finito con il pestaggio del primo da parte del
gruppo di cinesi (Trib. Napoli 2006a). Il secondo episodio, rimasto allo
stato di progetto perché nel frattempo i promotori sono stati arrestati,
consisteva nel minacciare un imprenditore catanese che voleva inserirsi
nel trasporto di prodotti cinesi dalle aree doganali di sbarco ai luoghi di
vendita in alcune città del Sud Italia per conto di esercenti cinesi. Un
grossista e trasportatore cinese di Catania, venuto a conoscenza del
progetto, ha chiesto alla banda criminale con la quale era in stretto
contatto di attuare delle ritorsioni nei confronti dell’imprenditore
italiano, in modo da farlo desistere dal progetto (Trib. Napoli 2006a).
Infine, il terzo episodio ha coinvolto un italiano, cliente di una casa di
prostituzione cinese, ucciso dalla tenutaria e da altri tre suoi connazionali
(Dia 2007a).

30
Intervista effettuata a Milano (21 febbraio 2010).

48
2. Gang e criminalità organizzata

Fino a un decennio fa un fenomeno marginale all’interno delle


comunità, attualmente le bande giovanili costituiscono la maggiore fonte
di preoccupazione per i cittadini cinesi. Secondo alcuni osservatori, la
loro crescita è stata facilitata, in questi ultimi anni, dal ritorno in Italia di
giovani che fin dai loro primi anni di vita erano stati mandati in Cina
presso i nonni perché i genitori non potevano accudirli adeguatamente.
Trascorsa l’infanzia e la prima adolescenza in un ambiente familiare
particolarmente protettivo, una volta in Italia hanno dovuto fare i conti,
oltre che con un contesto completamente diverso, con significativi
problemi di relazione con i genitori, coi quali non avevano praticamente
mai vissuto e che ai loro occhi sembravano degli estranei. Ben lontani
dal ripercorrere quel modello fatto di duro lavoro e sacrificio dei loro
padri, questi giovani sperimentano sensibili problemi di adattamento
sociale. Un disagio a cui alcuni di essi rispondono secondo un percorso
“tipico” di molte aggregazioni devianti, trovando all’interno del gruppo
di pari una compensazione di ordine identitario e simbolico alle
frustrazioni subite. Da qui, l’elaborazione di specifici codici espressivi,
come tingersi i capelli di vari colori e vestirsi in un certo modo, per
testimoniare la loro appartenenza al gruppo di coetanei31.
La costituzione di bande giovanili è inoltre da collegarsi alla
necessità di doversi difendere da aggressioni di altri gruppi, sia italiani
che stranieri. In analogia con quanto è stato messo in luce a proposito
della nascita delle gang giovanili nelle Chinatown americane, abbiamo
avuto di recente un fenomeno molto simile nella città di Prato, dove si
sono costituite alcune bande di giovani cinesi in risposta alle offese
provenienti da coetanei di altre nazionalità (Rastrelli 2005).
Anche se i processi di disgregazione e disadattamento sperimentati
dai giovani di seconda generazione hanno costituito il brodo di coltura
che ha alimentato il fenomeno delle bande, tuttavia, secondo il materiale
giudiziario consultato, assai di rado emerge una precisa demarcazione
fra bande giovanili e forme maggiormente strutturate di criminalità. A
proposito di rapine, furti ed estorsioni sembra esserci piuttosto una
sostanziale continuità. Semmai le differenze fra i giovani appartenenti
alle bande e i soggetti adulti maggiormente esperti sotto il profilo
criminale riguardano, da un lato, il diverso modus operandi e, dall’altro,
il peculiare tipo di relazione che intercorre fra gli uni e gli altri.
31
Intervista a una studiosa di cultura cinese (Milano, 12 febbraio 2010).

49
Le bande di giovani si distinguono per mettere in atto rapine e furti
in modo improvvisato, denotando una scarsa capacità in quanto a
pianificazione e scelta delle vittime. E’ il caso, ad esempio, di incursioni
in laboratori di connazionali da parte di giovani poco più che ventenni
che sequestrano i malcapitati e li derubano di tutto quello che hanno -
operazione che può fruttare qualche centinaio di euro o varie migliaia a
seconda dei casi - compresi i cellulari, che poi usano regolarmente per
telefonare e fare foto di se stessi, salvo poi, a seguito della denuncia della
vittima, essere arrestati dalle forze dell’ordine grazie al numero di
identificazione dell’apparecchio mobile (Trib. Firenze 2005a). Al
contrario, i gruppi maggiormente esperti sotto il profilo criminale
scelgono oculatamente le proprie vittime sulla base di informazioni
raccolte sul loro conto e spesso le aggrediscono nelle case dove sanno di
poter trovare la disponibilità di consistenti somme di denaro (Trib.
Napoli 2006a).
La relazione che intercorre fra criminali adulti e bande giovanili si
basa su uno scambio di favori fra gli uni e gli altri: i primi si fanno carico
dei giovani delle bande, fornendo loro alloggio e sostentamento
economico, mentre questi ultimi prestano i loro servigi come forza
criminale (Trib. Prato 2008a). Così come vi sono bande che si muovono
autonomamente, scegliendo le vittime fra i connazionali e
sottoponendole a rapine, furti ed estorsioni, ve ne sono altre che vengono
assoldate per tenere sotto controllo le bische clandestine e le case adibite
alla prostituzione, in modo da proteggerle da attacchi di altri gruppi
criminali. Laddove queste relazioni esistono, le bande di giovani mettono
in atto, su mandato di elementi criminali adulti, richieste estorsive e
azioni di rappresaglia nei confronti di formazioni rivali o di singoli
individui.
Le estorsioni seguono varie modalità. Un sistema utilizzato nei
confronti dei ristoratori consiste nel recarsi in gruppo nel ristorante,
disturbando i clienti e minacciando di distruggere il locale se non
verranno soddisfatte le richieste estorsive. In modo analogo, dopo aver
provocato lo scontro con il titolare dell’esercizio commerciale, il leader
del gruppo gli fa presente che si reputa offeso per il trattamento ricevuto
e che solo in cambio di denaro sarà possibile rimediare. Oppure, in
occasione di ricorrenze tradizionali come il Capodanno cinese e la Festa
della Luna, il gruppo criminale si reca presso il titolare dell’esercizio
commerciale con una busta rossa (che nella cultura cinese ha valore
beneaugurante), chiedendo un “contributo” in denaro. Infine, secondo il

50
tipico meccanismo della protezione/estorsione, vengono avanzate
esplicite richieste di denaro minacciando il proprietario di pesanti
ritorsioni qualora rifiutasse di pagare.
Le somme estorte variano in modo consistente, andando da poche
centinaia di euro a varie migliaia alla volta. Il loro ammontare è
principalmente influenzato da due aspetti: le informazioni in possesso
del gruppo criminale circa il volume d’affari e la liquidità a disposizione
della vittima prescelta e il tipo di strategie difensive adottate da
quest’ultima. Poiché la principale finalità è trarre profitti dal racket,
l’estorsore formulerà una richiesta di denaro tendenzialmente
compatibile con la capacità di pagamento della vittima.
L’esercente ricorre ad alcune strategie di sopravvivenza tese a
spostare nel tempo la minaccia estorsiva - ad esempio chiedendo più
volte all’estorsore di tornare perché non c’è il titolare o perché in quel
momento l’attività economica non va bene - oppure, in modo più
“pratico” ed efficace, ricorre alla propria rete di conoscenze,
individuando un parente o una persona influente conosciuta dagli stessi
estorsori capace di negoziare per lui una riduzione, anche consistente,
della somma richiesta inizialmente. Questa fase di “negoziazione”,
peraltro già rilevata dalla letteratura anglosassone, può durare settimane
o mesi, obbligando l’estorsore a recarsi più volte presso il titolare prima
di concludersi con il pagamento del denaro.
L’apertura di una contrattazione fra estorsori e vittime è stata
rilevata in alcuni procedimenti penali e confermata in via indiretta nel
corso di alcune interviste a esponenti delle forze dell’ordine: nel
confronto fra le modalità seguite dai gruppi mafiosi operanti a Palermo e
quelli cinesi della capitale, gli intervistati hanno riferito che gli estorsori
cinesi si recano anche 4-5 volte presso le loro vittime allo scopo di
avanzare richieste di pagamento, mentre nella città di Palermo, in caso di
rifiuto, “si passerebbe immediatamente alle vie di fatto, dando fuoco al
negozio”32. In effetti, mentre varie fonti giudiziarie riferiscono di gruppi
criminali coinvolti nel racket non vi è, per contro, alcun accenno a
incendi dolosi e attentati incendiari subiti dalle vittime33. Se a ciò
aggiungiamo il fatto che, secondo quanto risulta agli investigatori, non si
registrano attentati incendiari a danno di esercizi commerciali cinesi in

32
Intervista svolta a Roma (30 giugno 2010).
33
In alcuni casi, gli attori criminali riferiscono di aver danneggiato l’esercizio
commerciale della vittima per obbligarla a sottostare al racket (Trib. Napoli 2006a).

51
questi ultimi anni, l’insieme di questi elementi induce a pensare che, in
molti casi, si arrivi a un “accordo” fra estorsori e vittime34.

3. I conflitti

I gruppi criminali operanti sul territorio nazionale tendono, da un


lato, a stabilire forme di collaborazione nella gestione delle attività
illecite mentre, dall’altro, non è infrequente che la medesima
collaborazione sia sottoposta a pressioni destabilizzanti che possono
sfociare in scontri aperti.
Al riguardo, citiamo alcuni passi tratti dal resoconto di un
collaboratore di giustizia cinese che, dopo aver affermato di conoscere il
contesto criminale (cinese) presente a Napoli, Catania, Roma e Prato,
descrive in questi termini le relazioni che intercorrono fra le diverse
associazioni illecite: “in Italia non c’è un’unica organizzazione criminale
cinese. Ci sono gruppi dislocati sul territorio nazionale. Ogni gruppo ha
un capo. I capi tra di loro si conoscono, perché sono amici per cui capita
anche che si incontrino fra di loro o perché si è creato un contrasto tra i
singoli gruppi e occorre, quindi, trovare una soluzione o perché si deve
realizzare una qualche azione illecita che un singolo gruppo da solo non
è in grado di sostenere, per cui chiede supporto ad altri […] Quando i
capi si incontrano tra di loro, nessuno degli affiliati può partecipare alla
riunione. Dico questo perché spesso è capitato che ero in compagnia di
W. [il capo del suo gruppo] quando questi si doveva incontrare con altri
capi, per cui mi sono dovuto allontanare e loro si sono appartati” (Trib.
Napoli 2006a).
Le conoscenze personali che intercorrono fra i vertici delle
associazioni criminali contribuiscono a stabilire forme di collaborazione
reciprocamente vantaggiose nella gestione delle attività illecite. Tuttavia,
assieme ad accordi di questo tipo, fanno da contrappunto spinte
centrifughe che frequentemente portano a situazioni di estrema
conflittualità. I motivi ricorrenti all’origine degli scontri sono legati alla
volontà di esercitare un controllo monopolistico sulle attività illecite da
parte di un gruppo a svantaggio di altri. Tentativo che ha determinato fra

34
Interviste a rappresentanti delle forze dell’ordine di Prato, Milano, Roma,
Napoli e Firenze (un magistrato di Firenze in precedenza in servizio presso la
Procura di Prato ha fatto presente che alcuni anni fa vi erano stati degli incendi di
natura dolosa a dei laboratori gestiti da cittadini cinesi, probabilmente legati al
mancato pagamento di richieste estorsive).

52
il 2007 e il 2008 una serie di scontri armati fra bande operanti nelle città
di Milano e Padova, dove la posta in gioco era il controllo della
distribuzione di exstasy e chetamina (un anestetico usato correntemente
nelle operazioni veterinarie) all’interno di discoteche e internet point
frequentati da ragazzi cinesi.
Come riferisce l’ordinanza del Gip di Milano, “le indagini
compiute nel corso degli anni hanno portato a delineare la presenza di
almeno due bande di giovani cinesi originari di Yuhu [cittadina di
montagna in un area rurale del distretto di Wencheng, nell’entroterra
della città di Wenzhou] e Daxue [capoluogo del distretto di Wencheng e
suo principale centro urbano], che rivaleggiavano per il controllo del
‘territorio’, nell’ultimo periodo questi gruppi delinquenziali hanno
iniziato ad affittare discoteche e a organizzare serate danzanti riservate a
cittadini cinesi, serate danzanti durante le quali effettuano e controllano
lo spaccio di sostanze stupefacenti che vanno dall’exstasy alla
chetamina, la prima detta yaotouwan - extasy - (ovvero “pillola che fa
girare la testa”) o Caramelle, la seconda detta K o King - chetamina -
(polvere di colore bianco simile alla cocaina chiamata anche weijin o
“glutammato di sodio)” (Trib. Milano 2008, 5-6).
Il conflitto, scaturito dall’estromissione di uno dei gruppi dalla
gestione di una discoteca di Padova utilizzata come luogo di spaccio, era
stato seguito nel 2007 da uno scontro fra una cinquantina di giovani a
colpi di pistola, armi da taglio e bastoni. Per dare un’idea della
pericolosità costituita da queste formazioni criminali, le forze
dell’ordine di Milano hanno sequestrato nel 2008 un fucile mitragliatore
Kalashnikov e alcune pistole ai componenti di una delle due bande in
conflitto.
In altri casi, gli iniziali conflitti trovano risoluzione grazie
all’intervento di alcuni elementi di rilievo nel panorama criminale
nazionale; aspetto emerso all’interno di un’ampia operazione delle forze
dell’ordine che ha scompaginato alcune formazioni criminali operanti fra
Firenze e Prato. Il primo gruppo, sopraggiunto dalla Francia per sfuggire
ai provvedimenti giudiziari di quel paese, era entrato in contrasto, per
rivalità legate il controllo del mercato degli stupefacenti, con alcuni
elementi criminali dell’area fiorentina. Da qui ebbe luogo nel 2003 uno
scontro all’interno di un locale di Prato che portò successivamente a una
ricomposizione fra i rivali grazie “all’intervento di un soggetto cinese
residente a Roma che, dopo aver organizzato un ‘summit’ pacificatore
presso il ristorante […] di Prato alla presenza di una ‘commissione di

53
anziani’, avrebbe fatto in modo che i due gruppi (il ‘francese’ e quello di
Firenze) avessero da allora in poi collaborato. L’accordo era stato fatto
seguendo un preciso cerimoniale in uso nella comunità, ovvero lo
scambio reciproco di buste rosse contenenti denaro, in segno di scuse”
(Trib. Firenze 2005a, 30). Come evidenziato in precedenza, analoga
situazione conflittuale ha luogo nella gestione dell’immigrazione
illegale, nel momento in cui non vengono rispettati gli accordi fra
trafficanti oppure un gruppo criminale tenta di sottrarre i migranti a
coloro che li hanno in custodia.
I conflitti possono inoltre avere origine dal mettere in discussione
il prestigio dei singoli elementi criminali (il cosiddetto mianzi35). In tali
casi, il rischio che i contrasti degenerino in forme estremamente violente
non è infrequente. Il seguente brano riferisce le intenzioni vendicative di
un individuo, il quale è stato picchiato per punirlo dei danneggiamenti
arrecati a un locale di Milano, provocati, a suo dire, dal comportamento
arrogante del proprietario:
“mi hanno umiliato! [dice al telefono a suo cognato] Hai capito?! Tutti
quelli di Parigi [il gruppo di suoi conoscenti e sodali dal quale lo stesso
proveniva prima di giungere in Toscana] lo hanno saputo, sono andati a
Milano raccontando ai miei amici che mi hanno sequestrato e picchiato.
Dico che era meglio se mi davano qualche coltellata, allora ammettevo la
loro potenzialità, ma non mi hanno neanche picchiato e hanno telefonato
a tutti, non riesco più a sopportarlo perché tutti mi vengono a chiedere:
‘A.H. sei stato sequestrato e picchiato?’ non riesco più a sopportare
questa cosa….Ho intenzione con D.N. [la persona che gli ha procurato
una pistola] di farli fuori tutti [ovvero le otto persone responsabili
dell’aggressione], domani o domani l’altro”.
[Il cognato, certo A., gli ricorda che fare] “così è troppo
avventato…sequestra le persone.
W.: Sequestrare le persone? No, ci sono difficili intrecci di rapporti
d’amici, mi dicono di chiudere il caso con un colpo solo….
A.: Se li sequestri ti salveresti la faccia ugualmente.
W.: Poi tutti vogliono salvarsi la faccia.
A.: Ma se li sequestri e gli fai tirare fuori la cosa…
W.: Sono intenzionato a….
A.: Se riesci a prendere i soldi ogni tua faccia è stata salvata.

35
A questo riguardo, “il concetto di mianzi, ‘faccia’, riassume un complesso
universo di decisioni e di scelte che costruiscono a un tempo l’identità, l’immagine
sociale e la dignità percepita della persona nella società cinese” (Cologna 2003b, 67).

54
W.: Non mi preoccupo per i soldi […] io non voglio i soldi, non riesco a
sopportare l’offesa, non per i soldi. Loro lo sapevano chiaramente, quel
giorno [del pestaggio] c’era G., lo conosci no?! Mi ha chiesto se A.
[ovvero la persona con la quale sta dialogando] era mia cognato e se
venivo da Parigi e poi mi ha chiesto se conoscevo H., e io ho detto che
H. era mio amico-fratello36, loro nonostante lo sapessero non mi hanno
lasciato nessuna faccia e mi hanno ugualmente picchiato, io dico così: se
mi picchiavano e non dicevano niente, allora lasciavo stare, ma sti
bastardi sono andati a raccontare tutto” (Trib. Firenze 2005a, 95-99).
L’accesa conflittualità che attraversa gli attori illeciti può essere
interpretata come il risultato di assetti non sufficientemente consolidati,
contraddistinti da spinte di opposta valenza. Le prime tendono a stabilire
forme di collaborazione reciprocamente vantaggiose fra i diversi gruppi,
mentre le altre, alimentate da rivalità personali e ambizioni di potere di
ciascuno a danno degli altri, determinano effetti destabilizzanti entro
l’articolato “universo” criminale di origine cinese.

4. Conclusioni

In una ricerca condotta oltre dieci anni fa che prese in esame tutti i
procedimenti giudiziari istruiti nei confronti di cittadini cinesi presso i
distretti giudiziari di Roma, Firenze e Milano nel periodo compreso fra il
1990 e il 1997, emergevano alcuni aspetti che sinteticamente
riassumiamo. Nei 176 procedimenti istruiti a carico di 419 imputati, i
reati relativi al traffico e al commercio di sostanze stupefacenti
risultavano sostanzialmente inesistenti, mentre i sequestri di persona
erano per la gran parte riconducibili alle richieste di pagamento del
debito contratto dal migrante per giungere in Italia (Becucci 1998)37.
Ad eccezione di alcune costanti, come il fatto che le vittime siano
costituite esclusivamente da connazionali e i sequestri di persona
finalizzati al pagamento del debito di viaggio siano tutt’ora in uso, il
contesto criminale corrente si differenzia per alcuni aspetti salienti dallo
scorso decennio. Innanzitutto, il commercio di sostanze stupefacenti ha

36
Nel linguaggio utilizzato comunemente da tali soggetti, il termine “fratello”
indica gli appartenenti al proprio gruppo criminale, con i quali è stato stabilito uno
speciale vincolo di solidarietà.
37
Nei tre distretti giudiziari risultava un procedimento per traffico di sostanze
stupefacenti che ha coinvolto un cittadino cinese di Hong Kong trovato alla frontiera
con un certo quantitativo di sostanze stupefacenti.

55
assunto un rilievo che in passato non aveva. Pur in assenza di elementi
statistici che ne attestino la rilevanza, il quadro che traspare dall’analisi
del materiale giudiziario induce a ritenere che vi sia un’ampia richiesta
di sostanze stupefacenti da parte delle nuove generazioni. I luoghi
privilegiati di spaccio sono le discoteche e gli internet point, dove
circolano ingenti quantitativi di droghe, per lo più droghe sintetiche
come exstasy, chetamina e kefen (un nuovo composto chimico che
sfugge al controllo dei cani antidroga)(Dia 2010).
Mentre in passato le bande giovanili erano un fenomeno marginale
se non del tutto assente, oggi, particolarmente coinvolte nei reati
predatori, costituiscono la minaccia più evidente alla sicurezza dei
cittadini cinesi. Esse si muovono autonomamente sul territorio,
compiendo rapine e furti a danno dei connazionali, ma, nello stesso
tempo, vengono arruolate come forza criminale da elementi adulti e
maggiormente esperti nella gestione delle attività illecite. Infine, le
estorsioni appaiono attualmente un fenomeno di gran lunga più diffuso
di quanto risultasse in passato, mentre i sequestri di persona (quelli non
collegati all’immigrazione illegale) si configurano effettivamente come
tali, oppure nascono come azione di rappresaglia nei confronti di coloro
che non hanno mantenuto fede agli impegni presi.
La presenza di bande giovanili, unitamente alla rapida crescita
della domanda di sostanze stupefacenti fra i giovani “cinesi” sono
segnali che indicano l’esistenza di un indebolimento dei legami familiari
e comunitari. Legami che, in precedenza, potevano esercitare un freno
nei confronti dello sviluppo di comportamenti devianti e antisociali. Per
quanto il contesto italiano non manifesti quei processi di disgregazione e
frammentazione esistenti nelle comunità di paesi con più lunga
immigrazione, come ad esempio gli Stati Uniti, il quadro delineato finora
induce a ritenere che il percorso di ascesa sociale dei migranti degli anni
Ottanta, fatto di sacrifici e duro lavoro, difficilmente potrà essere seguito
dalle nuove generazioni. D’altronde, i giovani nati in Italia si sentono
sia italiani che cinesi e legittimamente tendono a condividere con i loro
coetanei italiani aspirazioni simili, allontanandosi dai modelli di
riferimento dei loro padri. Sotto questo profilo, la discrepanza esistente
fra modelli culturali di tipo acquisitivo diffusi nelle società occidentali e
le opportunità legittime effettivamente percorribili alimenta la nascita di
processi anomici nelle nuove generazioni di cinesi/italiani38.

38
Seguendo Robert Merton (2000), mentre le mete proposte dalla “struttura
culturale” spingono verso la ricerca potenzialmente senza limiti di maggiore

56
VI. La prostituzione

L’offerta di servizi sessuali a pagamento si differenzia per il tipo di


luogo nel quale viene esercitata, al chiuso o all’aperto, e per la presenza
(o l’assenza) di attori criminali che ne sfruttano l’attività. Tenendo conto
di questa distinzione preliminare, prendiamo in considerazione la
prostituzione che coinvolge le donne di origine cinese, esaminando le
diverse tipologie prostituzionali e il sistema di reclutamento e
sfruttamento messo in atto dalle organizzazioni di connazionali.

1. Le diverse fenomenologie prostituzionali

Le modalità di prostituzione sono di tre tipi, in gran parte distinte


per costo delle tariffe e clientela di riferimento. La prima riguarda una
prostituzione rivolta alla clientela cinese, costituita dagli strati sociali
benestanti interni alle comunità e da uomini d’affari venuti in Italia per
stabilire contratti commerciali con i connazionali. A questi ultimi,
l’interlocutore offre la compagnia di una ragazza, come auspicio per il
futuro accordo commerciale. Vi sono inoltre veri e propri luoghi adibiti
alla prostituzione per una clientela selezionata di connazionali. Tale
segmento coinvolge giovani donne particolarmente avvenenti le cui
tariffe possono essere molto alte, nell’ordine di varie centinaia di euro a
prestazione.
Un secondo tipo di prostituzione, anch’esso indirizzato alla
clientela cinese, viene svolto in appartamenti, “mimetizzati” all’interno
delle zone abitate da connazionali. Come riferisce un collaboratore di
giustizia a proposito delle case di appuntamento interne alla locale
comunità cinese: “a Prato ci sono molte case di prostituzione” (Trib.
Napoli 2006a). Qui, le donne che si prostituiscono chiedono tariffe
molto più basse, nell’ordine di 20-30 euro a prestazione.
L’offerta sessuale per la clientela italiana avviene all’interno di
finte sale massaggio mediante l’inserzione di annunci su periodici
locali, del tipo: “Nuova ragazza giapponese 20 anni moderna bellissima
massaggi tutti i giorni anche Domenica”; “Dea dell’oriente ti porta in
paradiso, prendi un giorno di relax vieni da noi. Eliminiamo stanchezza

ricchezza, non tutti, in relazione alla posizione occupata nella “struttura sociale”,
potranno utilizzare i mezzi leciti previsti dalla regolamentazione istituzionale,
optando al contrario per quelli di tipo illecito.

57
accumulata”39. Le sale massaggio, che hanno tariffe da 30 a 70 euro a
seconda del tipo di prestazione sessuale, sono gestite da una donna che
prende gli appuntamenti telefonici con i clienti e talvolta da figure
maschili addette al controllo (Trib. Rovigo 2007).
In altri casi, tuttavia, vi sono forme organizzative più complesse
costituite da appartamenti e sale messaggio presenti in diverse città e
collegati fra loro, come emerso da alcune recenti operazioni di polizia
che hanno portato alla scoperta a Piacenza, Cremona, Torino e Prato di
una rete di sfruttatori cinesi operanti nel Centro-Nord. E’ inoltre da
segnalare la recente individuazione a Milano di 6 appartamenti adibiti a
luogo di prostituzione, mentre in base a un’altra operazione, sempre
nella città di Milano, è stato possibile scoprire 35 appartamenti, in
questo caso gestiti da cinesi e italiani. Questi ultimi fornivano un
supporto logistico, individuando gli alloggi maggiormente idonei e
facendo da prestanome per la stipulazione dei contratti d’affitto
(Gruppo Interforze 2005). Di recente, sono state messe a punto nuove
operazioni di contrasto che hanno condotto all’arresto in varie città
italiane di alcune decine di cinesi e italiani, gli e gli altri coinvolti nella
gestione comune dello sfruttamento sessuale (Dia 2007a, 2010).
Sebbene da qualche anno a questa parte sia comparsa la
prostituzione di strada in varie città italiane, come Prato, Torino, Milano
e Roma, quella al chiuso resta comunque la forma prevalente. Tale
configurazione indoor è influenzata da criteri di ordine culturale, per cui
la prostituzione all’aperto e a tutti visibile è tradizionalmente oggetto di
biasimo da parte dei connazionali (Light 1977).

2. Le forme di reclutamento

Il reclutamento delle donne indirizzate al mercato dei servizi


sessuali in Italia si inserisce all’interno del più ampio fenomeno
dell’immigrazione illegale (Carchedi 2008). Sotto questo profilo, esse
seguono le aree di provenienza dalla Cina, come il Zhejiang, il Fujian e,
di recente, le province del Nord-Est.
Le donne trafficate giungono in Italia illegalmente, talvolta
facendosi passare per cittadine giapponesi, per poi essere segregate
negli appartamenti adibiti a luogo di prostituzione (Trib. Trieste 2006).
Vi sono anche modalità di reclutamento basate sul consenso. In tal
caso, le donne percepiscono un compenso dall’organizzazione di
39
Annunci tratti da un quotidiano della Toscana, 7 luglio 2008.

58
sfruttatori che, in genere, corrisponde a una percentuale che va dal 20%
al 40% per ogni prestazione sessuale (Trib. Udine 2008a). Nell’uno
come nell’altro caso, sembra che esse arrivino in Italia tramite
l’organizzazione criminale che anticipa i costi del viaggio, diversamente
dalle consuete modalità seguite dai migranti illegali (Mazzesi 2006).
Quando si tratta di adesione consapevole, la prostituzione è vista
come un’opportunità di arricchimento che permette di migliorare
sensibilmente la propria condizione economica, malgrado comporti
essere sottoposti al biasimo della comunità. Tuttavia, i freni inibitori
derivanti dal subire la disapprovazione dei connazionali vale
essenzialmente per quelle persone che hanno relazioni familiari e sociali
all’interno della comunità40. Per le altre, arrivate di recente e soprattutto
sprovviste di legami significativi, il discorso si pone in modo ben
diverso. Questo è il caso delle donne provenienti dal Nord-Est (l’antica
Manciuria) che sembrano costituire il principale segmento che alimenta
la prostituzione di strada (Rastrelli 2008). Sole e prive di solide reti
familiari di sostegno, non solo sono maggiormente esposte al rischio di
cadere nelle reti del trafficking, ma hanno anche minori remore ad
entrare nel mercato del sesso a pagamento, poiché spesso l’unica
alternativa che si trovano davanti è lavorare molte ore al giorno nel
laboratorio di un connazionale, dove percepiscono retribuzioni di poche
decine di euro al giorno e non godono di alcuna considerazione.

3. I dati su trafficking e sfruttamento sessuale

Dai primi anni del Duemila è emerso con una certa consistenza il
coinvolgimento di cittadini cinesi nello sfruttamento sessuale. Dal 2004
al 2010, sono state denunciate dalle forze dell’ordine per sfruttamento
sessuale (e pornografia minorile) 1.896 persone, rispettivamente 75 nel
2004, 219 nel 2005, 229 nel 2006, 343 nel 2007, 371 nel 2008, 277 nel
2009 e 382 nel 2010, con una crescita rispetto al primo anno di oltre
quattro volte.
Trattandosi per lo più di prostituzione al chiuso, la possibilità di
scoprire le forme di sfruttamento sessuale dipendono da operazioni
mirate delle forze dell’ordine e/o dalla collaborazione delle vittime.

40
Al riguardo, una ricerca svolta a Prato riferisce che gli immigrati
provenienti dal Zhejiang ”sostengono che le loro donne non potrebbero mai dedicarsi
a tale attività [la prostituzione] perché hanno troppi parenti e conoscenti in Italia e
temono il giudizio dell’intera comunità” (Tolu 2003, 147).

59
Diversamente dalla prostituzione di strada, immediatamente visibile e
oggetto di biasimo da parte di comitati di cittadini che si attivano
richiedendo l’intervento delle forze dell’ordine, quella al chiuso tende a
occultarsi, non destando particolare allarme sociale. Volgere
l’attenzione degli apparati di law enforcement verso la prostituzione di
strada, tendenza in atto dai primi anni del Duemila, induce
probabilmente a trascurare quella al chiuso (Becucci, Garosi 2008). C’è
quindi da aspettarsi che i dati statistici sul coinvolgimento di cittadini
cinesi nello sfruttamento della prostituzione - ma ciò vale per qualsiasi
altra modalità di prostituzione indoor - siano sensibilmente sottostimati
rispetto alla effettività entità del fenomeno criminale.

4. Conclusioni

L’aumento del numero di cittadini cinesi coinvolti nello


sfruttamento sessuale, unitamente alla parallela crescita della
prostituzione, segnalano un allentamento dei legami all’interno delle
comunità. Quanto più esse presentano segmentazioni e fratture, tanto più
viene meno la capacità, attraverso una propria “regolazione” interna, di
ostacolare l’incremento di servizi sessuali a pagamento. Ciò sembra
essere avvenuto con il recente arrivo di donne dalle province del Nord-
Est inserite nella prostituzione di strada; un fenomeno fino allo scorso
decennio estremamente ridotto.
I gruppi della criminalità organizzata gestiscono la prostituzione
rivolta ai connazionali, mentre per la clientela italiana possiamo rilevare
due diverse modalità organizzative. La prima fa riferimento a una rete di
luoghi adibiti alla prostituzione, siano essi appartamenti o sale
massaggio, dislocati in varie città italiane, controllati in modo accentrato
da uno o da più gruppi criminali che collaborano fra di loro. Talvolta gli
sfruttatori si appoggiano a italiani, che figurano come affittuari, oppure
sono le donne cinesi che firmano i contratti con il proprietario italiano
dell’immobile. La seconda modalità, scarsamente strutturata, fa
riferimento a gruppi ridotti di individui che gestiscono singole case di
prostituzione, senza appartenere a una rete più ampia comprensiva di
basi logistiche, di referenti locali per ogni città italiana, né una precisa
organizzazione di collegamento.
Pur esistendo l’una e l’altra, alcuni segnali indiretti fanno ritenere
che la gestione della prostituzione basata su un collegamento a rete fra
gruppi criminali sia la modalità prevalente. Ricordiamo a questo

60
proposito la grande mobilità delle donne dedite alla prostituzione, che
solitamente rimangono non più di alcune settimane in un determinato
luogo per poi spostarsi altrove, come il fatto che molte di esse si trovino
in condizioni d’illegalità (Dia 2008). Ulteriore segnale in tal senso, viene
dall’analisi di alcuni procedimenti giudiziari nei quali risulta che gli
appartenenti alle bande gestiscono le case di appuntamento o vengono
stabilmente impiegati dai gestori per difendersi dagli attacchi di
eventuali rapinatori. Tutto ciò fa ritenere che chi gestisce le case di
appuntamento abbia stretti legami con la criminalità organizzata (Trib.
Napoli 2006a; Trib. Prato 2009a).

VII. Contrabbando e contraffazione di merci

Sulla base dei dati forniti dall’Agenzia delle Dogane, prendiamo


in esame l’entità, la tipologia e il valore dichiarato dei prodotti di
fabbricazione cinese arrivati in Italia, il business illecito collegato alla
contraffazione di marchi e, infine, il coinvolgimento dei gruppi criminali
in tale attività.

1. L’importazione di prodotti dalla Cina

Con l’ingresso, nel dicembre 2001, della Cina nell’Organizzazione


Internazionale del Commercio (Wto), i paesi dell’Unione europea hanno
visto crescere in modo consistente le importazioni di beni dal paese
asiatico. La tabella VII.1 riporta l’entità delle merci importate in Italia
dalla Cina, il valore monetario dichiarato, le percentuali di variazione di
anno in anno e, infine, il rapporto fra valore in milioni di euro e migliaia
di tonnellate.

Tab. VII.1. Volume (in migliaia di tonnellate) e valore dichiarato (in milioni di euro)
delle merci importate in Italia dalla Cina (anni 2005-2010; variazione percentuale e
rapporto annuale fra valore dichiarato e volume delle merci)
Anni Migliaia ton. Variaz.% Milioni euro Variaz.% Rapporto
2005 5.444 14.261 2,61
2006 9.445 73% 18.156 27% 1,92
2007 10.573 12% 21.876 20% 2,06
2008 9.579 -9% 24.071 10% 2,51
2009 5.027 -47% 19.693 -18% 3,91
2010 7.368 47% 29.095 48% 3,94
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Agenzia delle Dogane

61
Il volume delle merci importate aumenta in modo particolare dal
2005 al 2006, mentre nel 2008 e nel 2009 diminuisce, per poi crescere di
nuovo nel 2010. Il valore dichiarato al momento dello sdoganamento
segue, anch’esso, significative oscillazioni. Ma l’aspetto più interessante
è costituito dal rapporto fra il valore monetario e l’entità delle merci, da
cui si evince una relazione non lineare fra l’uno e l’altra. Ciò trova
spiegazione (oltre che nella composizione interna di merci
contraddistinte da un valore aggiunto maggiore) nella recente strategia
adottata dall’Agenzia delle Dogane tesa a contrastare il fenomeno della
sottofatturazione. Mentre in precedenza veniva contestato il valore
dichiarato per le merci effettivamente sottoposte a controllo, in questi
ultimi anni, l’Agenzia ha modulato diversamente i propri parametri di
rischio per i container provenienti dalla Cina, effettuando sistematici
controlli su quelle merci che, in base alla documentazione,
evidenziavano una sensibile discrepanza fra tipologia di prodotto e
corrispondente valore dichiarato. Tale modus operandi ha così indotto gli
spedizionieri (e gli importatori) a dichiarare importi superiori per evitare
che i container subissero controlli approfonditi41.
Una conferma in tal senso proviene dall’esame dettagliato di
alcune voci, come i prodotti di abbigliamento e calzaturieri che, pur
essendo contraddistinti da un calo delle importazioni, registrano tuttavia
un incremento del loro valore monetario (tab. VII.2). Come mostrano le
colonne C1 e C2, il valore monetario per kg. di prodotto importato
cresce in modo significativo: per i capi di abbigliamento a maglia più del
doppio, per quelli non a maglia raddoppia e per le calzature cresce di un
terzo. Sebbene ciò possa essere in parte dipeso dall’aumento del costo
dei fattori di produzione, considerando tuttavia l’interesse
dell’importatore a dichiarare importi monetari inferiori a quelli reali, è da
ritenere che il consistente aumento del valore della merce importata sia
in gran parte dovuto all’intervento messo in campo dall’Agenzia delle
Dogane.

41
Interviste a personale dell’Agenzia delle Dogane del porto di Napoli e della
sede centrale di Roma, nonché a una cittadina cinese che ha lavorato per alcuni anni
come segretaria in una grossa impresa di import-export di Roma di un connazionale
(Napoli e Roma, 12-18 maggio 2010).

62
Tab. VII.2. Beni importati dalla Cina per alcune tipologie di prodotto (quantità in
kg.; valori dichiarati; valori monetari per chilogrammo di prodotto; variazione
percentuale delle importazioni; anni: 2005 e 2010)
A B C1 A B C2 D
2005 Val. 2005 Rap. 2010 Val.2010 Rap. %
Ind.
M. 121.270.725 800.443.428 6,6 104.657.350 1.645.210.356 15,7 -13,6
Ind.
NM 131.893.317 1.238.488.984 9,3 103.006.404 1.905.170.819 18,5 -21,9
Calz. 87.102.325 570.271.386 6,5 86.927.401 857.466.861 9,9 - 0,2
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Agenzia delle Dogane
Legenda:
Ind. M.: “indumenti e accessori di abbigliamento a maglia”
Ind. NM: “indumenti e accessori di abbigliamento diversi da quelli a maglia”
Calz.: “calzature, ghette e oggetti simili e parti di questi oggetti”
A: quantità in kg. di beni importati
B: valore monetario totale dichiarato
C1 e C2: valore monetario per chilogrammo di prodotto importato (2005 e 2010)
D: variazione percentuale 2005-10 della quantità in kg. di prodotto importato

3. Il business della contraffazione

Secondo il rapporto sulla difesa dei diritti di proprietà pubblicato


di recente dagli Stati Uniti, la Cina si colloca fra i primi posti
all’interno di un gruppo di undici paesi particolarmente coinvolti nella
contraffazione42. Pur ricordando che la Cina ha fatto, di recente, passi
avanti nel contrasto al fenomeno, la capacità delle autorità di difendere il
diritto di proprietà rimane largamente insufficiente. Più in particolare,
“diffuse violazioni del diritto di proprietà intellettuale caratterizzano la
produzione di beni, marchi e tecnologie all’interno di un’ampia gamma
di settori, inclusi film, musica, editoria, informatica, abbigliamento,
equipaggiamento sportivo, rivestimenti edili, beni di largo consumo,
prodotti chimici, materiali elettrici e tecnologia informatica. Nel 2009, il
42
Gli altri Stati che compongono l’elenco sono: Russia, Algeria, Argentina,
Canada, Cile, India, Indonesia, Pakistan, Tailandia e Venezuela. L’Italia, invece, fa
parte di un secondo gruppo di paesi, appartenenti alla cosiddetta watch list, mentre la
Cina appartiene alla priority watch list. A proposito dell’Italia, il rapporto ricorda
che di recente sono stati fatti progressi sul versante della contraffazione,
introducendo una nuova disciplina che ha previsto pene più severe. Semmai, resta il
consistente problema della pirateria informatica, come anche il fatto che, “mentre le
forze dell’ordine portano avanti investigazioni e sequestri di merce contraffatta,
pochi casi arrivano a sentenza definitiva e i tribunali non riescono a mettere in atto
efficaci misure deterrenti” (USA 2010, 33).

63
79% di tutti i prodotti contraffatti sequestrati presso il confine
statunitense era di origine cinese, una leggera diminuzione rispetto
all’81% del 2008” (USA 2010, 19). Cifre inferiori, seppur molto
rilevanti, riguardano i paesi dell’Unione europea, dove secondo un
recente rapporto della Commissione europea il 53% delle merci
sequestrate nel 2008 era di origine cinese (EU 2009).
Come altri paesi dell’Unione europea, l’Italia è sensibilmente
coinvolta nella contraffazione di prodotti provenienti dalla Cina. A titolo
esemplificativo, una breve e non sistematica rassegna stampa, di cui
riportiamo solo alcuni titoli, dà conto della varietà ed entità dei beni
sequestrati di provenienza cinese: “Computer, giocattoli, cd contraffatti:
maxisequestro di prodotti cinesi. Trovati depositi con 10 milioni di pezzi
pericolosi o illegali per un valore commerciale di 50 milioni di euro”43;
“Nas sequestrano in tutt’Italia 100.000 giocattoli pericolosi”44;
“Sequestrato un milione di falsi capi. Operazione GdF a Prato,
denunciato un imprenditore cinese”45.
Non va inoltre sottovalutato l’allarme lanciato dalla
Confagricoltura, secondo la quale “La Cina sta facendo incetta di genomi
in giro per il mondo.[…] L’obbiettivo è chiaro: decodificare il genoma di
un organismo significa comprendere i segreti più profondi, porre le basi
per la ricerca applicata, acquisire un vantaggio tecnologico e conoscitivo
formidabile”. L’articolo prosegue affermando che “Secondo l’Università
di Verona le ricadute di questa massiccia attività di ricerca biotech sul
business agroalimentare sono enormi: una volta in possesso delle
‘chiavi’ della vita dei nostri prodotti, individuato il microclima ideale e
adottate le nostre tecniche di produzione, il passo verso la concorrenza
sui mercati mondiali, attuata ‘clonando’ scientificamente il made in Italy
è immediato”46.
Citiamo infine un passo di un quotidiano dai risvolti
particolarmente preoccupanti: “Dopo le pericolose droghe sintetiche
create nei laboratori di fortuna e le pillole blu dell’amore (Viagra)
contraffatte Made in China riprodotte fedelmente alle originali, ora
sbarcano in Italia anche i farmaci salvavita fasulli. Come nel caso
dell’ultima operazione conclusasi all’aeroporto di Fiumicino dalla

43
www.milano.corriere.it (10 luglio 2010).
44
www.grnet.it (17 marzo 2010).
45
www.ansa.it (18 marzo 2010).
46
Vino: Confagricoltura, allarmante dossier su cinesi da università di
Verona, www.libero-news.it (4 marzo 2010).

64
Guardia di Finanza e dal Servizio Antifrode Merci della Dogana, che
hanno sequestrato circa 240.000 pillole contraffatte di ‘Vastarel’,
farmaco […] impiegato per la cura di alcune malattie cardiache, come
l’angina pectoris”47.
Il mercato del falso si basa su stretti collegamenti fra trafficanti di
prodotti che operano in Cina e in Italia. Nel paese di partenza, non solo
le sanzioni amministrative vengono applicate in modo discontinuo ma
sono talmente ridotte da essere considerate come una delle tante voci di
costo per chi produce merci contraffatte. Per contro, l’applicazione delle
sanzioni penali è possibile solo a condizione che vengano superati
determinati volumi e valori monetari di merci contraffatte (USA 2010).
In più, come risulta da recenti ricerche, il paese è caratterizzato da ampie
forme di corruzione, particolarmente presenti in ambito locale che
vedono il coinvolgimento di pubblici amministratori e funzionari di
partito (Ping 1996; Wang 2001; Napoleoni 2008)48.
Il sistema di corruzione è così rilevante per cui può accadere che il
tal imprenditore di successo arricchitosi in fretta cada in disgrazia perché
il suo protettore politico è uscito sconfitto da una lotta di potere interna
al partito unico. Oppure, quando un appartenente alla classe dei
nouveaux riches viene processato per corruzione e attività antistatali,
l’opinione pubblica interpreta tale fatto come un preciso segnale che il
suo patron politico non è più in grado di assicuragli le protezioni di cui
godeva fino ad allora (Chin, Godson 2006).
Un giornalista italiano, durante un viaggio in Cina, descrive in
questi termini il problema: “Più persone, tra quelle incontrate in quei
giorni, mi hanno spiegato come gli intrecci tra falsari e potere pubblico
siano assai più stretti in campagna. E’ spesso questione di sussistenza:
l’economia di interi villaggi si basa ormai su qualche specializzazione di
falso. Per questo, se e quando la polizia si presenta, la reazione di tutta la
comunità può essere durissima […]. E’ gente, quella dei villaggi, che
campa con niente, assai meno dei 500 yuan (una cinquantina di dollari al
mese) che un operaio regolare è solito ricevere in busta paga. Ma se gli si
47
www.ilgiornale.it (20 febbraio 2010).
48
Secondo un recente rapporto di ricerca, “molti gruppi criminali in Cina
hanno monopolizzato alcuni settori di vendita di beni all’ingrosso e la maggior parte
di questi gruppi godono della protezione delle autorità”, i cui funzionari corrotti sono
conosciuti come baohusan, una sorta di “ombrello protettivo” (Finckenauer, Chin
2006, 6). A proposito delle medesime pratiche corruttive, una cittadina cinese
originaria della provincia del Zhejiang ha precisato che “tutti in Cina ne parlano,
lamentandosi della corruzione esistente nel paese” (Firenze, 2 luglio 2010).

65
toglie anche quello, si può arrabbiare irrimediabilmente perché quel
nulla è il tutto che ha. Sul problema di ordine pubblico si incista poi
quello politico. Anche se gli agenti, fedeli al nuovo corso di Pechino,
procedessero con mano pesante ci sono sempre i giudici locali con cui
fare i conti. I magistrati, almeno sino a cinque-sei anni fa, erano tutti
affiliati al Partito comunista. Provengono da quelle file. E in quella veste
elettiva non possono permettersi il lusso di scontentare troppo la loro
costituente” (Staglianò 2006, 38-39)49.
Sul versante italiano, vi è l’apporto dei connazionali stabilmente
inseriti nelle comunità cinesi presenti sul territorio. Una parte di essi,
ancorché minoritaria rispetto a tutti i cittadini cinesi presenti in Italia, ha
avviato dai primi anni del Duemila un florido commercio di beni
contraffatti che giungono via mare presso i principali porti italiani, come
Napoli, Genova, Taranto e Gioia Tauro. All’interno di questo business
non va trascurato il ruolo, per così dire “strategico”, degli spedizionieri
italiani, i quali prestano i propri servizi ai “clienti” cinesi nelle
operazioni di import/export, analogamente a quanto avviene per i
commercialisti che si occupano di consulenza aziendale per le imprese
cinesi. Gli spedizionieri coinvolti nella contraffazione sanno come
muoversi sul territorio italiano, gestiscono un ampio ventaglio di
relazioni sociali e spesso godono di collusioni con figure appartenenti
alla sfera legale.
Come alcuni recenti procedimenti giudiziari hanno permesso di
appurare, i porti di Napoli e di Genova erano, fino ai primi anni del
Duemila, lo scalo preferito per un’organizzazione criminale composta
da cinesi e italiani50. I primi si recavano periodicamente in Cina
49
Riguardo al “nuovo corso”, l’autore si riferisce al governo centrale che in
questi ultimi anni ha portato avanti azioni concrete contro la contraffazione, aspetto
confermato anche dal rapporto statunitense e da altri osservatori (USA 2010;
Fatiguso 2008). Tuttavia, come abbiamo riferito in precedenza, tali azioni hanno
talvolta assunto un carattere propagandistico, denotando la loro strumentalità in
relazione alla lotta politica interna al partito unico.
50
L’indagine portata avanti dal Nucleo di polizia tributaria di Napoli e
coordinata dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia ha permesso di appurare che
l’organizzazione italo-cinese operante presso il porto di Napoli gestiva il 90% delle
merci in transito provenienti dalla Cina. Come riferisce il rapporto della Guardia di
Finanza: “L’attività di servizio ha consentito di eseguire 30 ordinanze di custodia
cautelare, sottoporre a sequestro preventivo 7 società per un valore complessivo di
circa 23 milioni di euro, 88 automezzi per un valore di 2 milioni di euro, nonché 16
rapporti bancari per un saldo complessivo di circa 2 milioni di euro” (Scico 2010,
16).

66
stabilendo i contatti con i produttori e inviando i container verso l’Italia,
mentre i secondi, collegati ad esponenti di spicco della Camorra, si
occupavano di superare agevolmente, grazie alle collusioni con agenti
delle forze dell’ordine e col personale delle dogane, i controlli doganali.
Una delle modalità ricorrenti era dirottare i container da Genova a
Napoli, dove gli spedizionieri garantivano ai loro clienti l’inefficacia dei
controlli. Come infatti riferisce uno di loro a un preoccupato
interlocutore cinese che ha appena saputo che la dogana controlla tutti i
container: “Napoli sì, si fa controllo…però è più calmo… qualcosa si sta
facendo…” (Trib. Napoli 2006b, 280).
Le aderenze di cui godevano gli imputati italiani erano tali per cui,
a seguito del cambio al vertice all’Agenzia delle Dogane di Napoli e al
sistematico controllo dei container provenienti dalla Cina, uno degli
organizzatori italiani, che si trova ad avere molti container in procinto di
essere controllati e verosimilmente sequestrati, decide di rivolgersi a un
alto esponente delle forze dell’ordine, perorando le sue rimostranze. Altri
spedizionieri preferiscono invece indirizzare i container dal porto di
Napoli verso uno scalo laziale (Circoscrizione doganale Roma I), nel
quale presumibilmente godevano di collusioni con il personale interno,
ricorrendo al sistema del transito T1, “ossia attribuire alla merce un
regime sospensivo dell’imposizione daziaria vincolato al mero transito
del carico nel territorio della Comunità fino all’arrivo del medesimo a
una determinata dogana dell’UE di destinazione” (Trib. Napoli 2006b,
506).
Per esplicitare ulteriormente quali erano le relazioni d’affari fra
componente italiana e cinese, riportiamo un passo tratto dal
procedimento istruito presso la Dda di Napoli:
“Va rimarcato il gigantesco business economico insito nella gestione, a
livello doganale, dell’enorme volume di movimentazioni commerciali
poste in essere, secondo la direttrice ‘Cina - Italia’, da una pletora di
operatori di etnia cinese impiantati nel nostro Paese e sistematicamente
dediti a importare dalla madre Patria ingenti quantità di prodotti
(soprattutto tessili ed alimentari) poi destinati al mercato nazionale.
Evidentemente attratti dai considerevoli guadagni connessi a una realtà
economico-commerciale di siffatte dimensioni, taluni operatori del
settore doganale […] si sono adoperati fattivamente al fine di garantire ai
richiamati clienti cinesi una gamma eterogenea di servizi che possiamo
indubbiamente definire, per gran parte, di natura illecita. In sostanza,
vista la necessità di dover disporre di idonee licenze per l’immissione nel

67
territorio nazionale di prodotti tessili e alimentari e tenuto conto che
l’ottenimento delle medesime è risultato assai arduo visti i limiti
all’import imposti dalle Autorità, è facilmente intuibile quale sia stato il
generale obiettivo dell’imprenditoria cinese in Italia: riuscire a far
sdoganare quanta più merce possibile51. Ebbene, anche sulla base della
precedente esperienza organizzativa maturata, [gli imputati italiani]
hanno predisposto un’articolata struttura finalizzata: da un lato a
garantire alla clientela, per l’appunto costituita da commercianti di etnia
cinese per lo più attivi sulla piazza di Roma, i servizi tipici (e legali)
degli spedizionieri doganali; dall’altro, a intervenire illecitamente in
ambito doganale con lo scopo di consentire, a detti clienti, di aggirare il
sistema dei divieti economici, evadere un’enorme porzione
dell’imposizione daziaria e introdurre senza essere scoperti prodotti
illeciti di ogni tipo (Trib. Napoli 2006b, 510-511).
I clienti cinesi, un cospicuo gruppo di imprenditori operanti per lo
più presso il quartiere Esquilino di Roma, presentavano una peculiare
organizzazione interna, essendo le imprese “quasi tutte caratterizzate
dall’accensione di più partite iva, ciascuna delle quali intestata a un
membro del nucleo familiare. Nel complesso, quindi, si può parlare di
singole unità economiche asservite a un disegno imprenditoriale più
vasto in cui ogni ditta o società detiene un compito ben preciso,
cosicché, spesso, se importatore, grossista e dettagliante risultano
ufficialmente riconducibili a soggetti economici differenti, in realtà il
tutto avviene nell’ambito di un’unica realtà economica di tipo familiare
(Trib. Napoli 2006b, 81)52. Il volume d’affari e i danni erariali erano
particolarmente elevati53. Poiché spedizionieri e importatori utilizzavano
sistematicamente il meccanismo della sottofatturazione secondo un
51
Nel gennaio del 2005 ha avuto luogo la liberalizzazione delle importazioni
di prodotti tessili dalla Cina.
52
Secondo la medesima logica familiare, a Roma, gli ampi capannoni della
Casilina e Prenestina utilizzati come depositi vengono suddivisi in vari lotti
differenziati per tipologia di merci, in modo tale che, se qualcuno di essi venisse
sottoposto a sequestro, la merce contenuta negli altri può compensare le perdite
subite (interviste ad alcuni appartenenti alle forze dell’ordine, Roma, 30 giugno
2010).
53
Altri procedimenti giudiziari su contraffazione e contrabbando di merci
ripercorrono le medesime caratteristiche organizzative enucleate finora, ovvero
l’esistenza di alleanze fra italiani e imprenditori cinesi. I primi operano in qualità di
spedizionieri o “faccendieri” allo scopo di rendere inefficaci i controlli doganali,
mentre i secondi usufruiscono dei servizi offerti (Trib. Lecce 2009; Trib. Roma
2008; Trib. Napoli 2005a).

68
rapporto di 1 a 4 (ovvero per un valore 100 veniva dichiarato nella
documentazione doganale 25), è stato possibile ricostruire l’entità di
denaro sottratta all’imposizione fiscale. Per il solo 2004, rispetto a un
valore dichiarato di 61,5 milioni di euro, quello effettivo era pari a 246
milioni, su cui avrebbero dovuto gravare dazi doganali del 12% (aliquota
applicata alle materie tessili) e Iva del 20%, arrivando così a stimare
un’evasione totale di 63,4 milioni rispetto ai 21 effettivamente
corrisposti dall’organizzazione criminale.

3. I reati

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, i cittadini cinesi


denunciati per contraffazione di marchi sono relativamente pochi,
almeno rispetto a quanto ci si aspetterebbe tenuto conto delle merci
contraffatte che circolano in Italia. Le denunce per contraffazione di
marchi hanno coinvolto 132 persone nel 2004, 186 nel 2005, 176 nel
2006, 155 nel 2007, 177 nel 2008, 128 nel 2009 e, infine, 115 nel 2010,
per un totale, nell’arco di tempo considerato, di 1.069 persone.
La tab. VII.3 riporta l’entità delle merci sequestrate, da cui si
evince che, dal 2007 al 2010, la voce “tutela del Made in Italy”
diminuisce (-63%), mentre le altre voci crescono (in particolare la
“contraffazione” del 31%), determinando un aumento complessivo dei
sequestri del 5%.
Tab. VII.3. Merci sequestrate in Italia dalla Guardia di Finanza in violazione delle
norme su contraffazione, sicurezza dei prodotti e tutela del Made in Italy (in numero
di pezzi e tipologia di sequestro; anni: 2007-2010)
2007 2008 2009 2010
Prodotti sequestrati
per:
Contraffazione n. 49.266.865 68.979.730 69.194.037 64.609.259
Tutela Made in n. 16.599.404 16.557.319 13.636.234 6.043.236
Italy
Sicurezza prodotti n. 39.143.239 9.415.993 29.975.874 40.014.374
Totale sequestrato n. 105.009.508 94.953.042 112.806.145 110.666.869
di cui:
Moda n. 31.702.330 28.933.176 48.448.349 37.104.306
Elettronica n. 7.236.983 31.116.967 8.214.119 8.271.252
Beni di consumo 32.440.125 29.008.511 33.689.427 45.930.509
Giocattoli 33.630.070 5.894.388 22.454.250 19.360.802
Fonte: elaborazione personale su dati del Comando Generale della Guardia di
Finanza

69
Secondo la tipologia di prodotti, i sequestri di “giocattoli” diminuiscono
(-42%), mentre i “beni di consumo” (+41%) e la “moda” (+17%)
denotano aumenti significativi. Poiché si tratta di un fenomeno illecito
che si colloca entro la categoria dei “reati senza vittime”, la capacità pro-
active delle forze dell’ordine di individuare e contrastare il fenomeno
della contraffazione assume, in questo caso, particolare rilevanza.

4. Le rotte e la filiera distributiva

La gran parte delle merci contraffatte di origine cinese viaggia su


navi mercantili battenti bandiera della Repubblica Popolare Cinese,
anche se sono stati rilevati casi di navi che, secondo la documentazione
di bordo, hanno iniziato il loro viaggio transoceanico da paesi quali
l’Indonesia e la Malesia. La triangolazione con un paese terzo che figura
surrettiziamente come luogo di origine delle merci rientra nelle strategie
di mascheramento utilizzate dai trafficanti al fine di eludere i controlli
presso i porti italiani. Più spesso, tuttavia, viene occultato all’interno di
un trasporto di merce regolare una quota di prodotti contraffatti. In altri
casi, gli organizzatori inviano inizialmente navi mercantili di “prova”
contenenti merce regolare allo scopo di saggiare i controlli che verranno
effettuati nello scalo italiano di approdo, per poi far seguire la spedizione
di merce contraffatta. Un’altra modalità consiste nell’apporre sui prodotti
il logo CE, giocando sull’ambiguità fra acronimi “uguali” che hanno
tuttavia significati opposti: il primo corrisponde a “China Export”,
mentre il secondo a “Comunità Europea”54. Infine, il sistema
attualmente più diffuso è far arrivare prodotti privi di etichetta o con
regolare etichetta del luogo di fabbricazione, salvo poi, una volta
sdoganata la merce, sostituire le etichette originarie e apporvi quelle
contraddistinte dal marchio Made in Italy.
A condizione che superi i controlli negli scali portuali e
aeroportuali, la merce contraffatta viene trasportata presso i magazzini in
attesa di entrare nel circuito commerciale55. Tra i più importanti luoghi di

54
I due loghi si distinguono per uno spazio fra le due lettere: China Export
corrisponde a CE, mentre Comunità Europea a C E (interviste a rappresentanti delle
forze dell’ordine, Napoli, 15 marzo 2010).
55
I controlli effettuati dal personale dell’Agenzia delle Dogane prevedono tre
modalità, contraddistinte da un grado crescente di capacità ispettiva: verifica della
documentazione di bordo, controllo a campione tramite scanner secondo parametri di
rischio che di volta in volta vengono aggiornati dal sistema centrale (tale modalità

70
stoccaggio, vi sono i depositi situati nella periferia di Roma, area che
sembra essere diventata il principale snodo di smistamento per il Centro-
Nord Italia, mentre Napoli, Catania e Palermo lo sono per il
Mezzogiorno56. In seguito, i prodotti vengono immessi sul mercato,
passando dal grossista cinese all’esercente al dettaglio (cinese e non),
inserito a tutti gli effetti nella distribuzione legale o, in alternativa, a
venditori stranieri ambulanti, presenti in molte città italiane.
Laddove vi sono associazioni mafiose autoctone coinvolte
nell’importazione di merci o nella loro produzione sul territorio
nazionale, come nel caso della Camorra, la catena distributiva si
configura in termini estremamente organizzati e capillari. Grazie a
un’ampia rete consolidata negli anni, i gruppi camorristici distribuiscono
i prodotti contraffatti a grossisti e commercianti al dettaglio a tutti gli
effetti legali.
Assieme al canale d’importazione dalla Cina, vi è la parallela
produzione sul territorio italiano di beni contraffatti. Difficile da stimare
in termini quantitativi, tale produzione viene realizzata nell’ambito dei
distretti industriali in cui sono presenti le imprese cinesi57. Esse
contribuiscono all’incremento dell’industria del falso secondo due
modalità: la prima consiste nel copiare in breve tempo e in modo del
tutto autonomo marchi di successo immettendoli sul mercato. La
seconda, invece, si realizza grazie a una sovrapproduzione di prodotti
commissionati dalla griffe all’impresa cinese o, in via indiretta, tramite
l’impresa italiana che cede per conto terzi parte della produzione al più
conveniente laboratorio cinese. Sia che si faccia riferimento alla prima
che alla seconda modalità, vale la pena richiamare l’attenzione sul ruolo
particolarmente rilevante ricoperto dalle imprese italiane specializzate
nella produzione di marchi metallici, di solito su commissione delle
stesse griffe, che vendono illegalmente ai laboratori cinesi quei pezzi (la
cosiddetta “minuteria metallica”) grazie ai quali il prodotto
“contraffatto” assume tutti i requisiti di autenticità, tanto che spesso solo

permette di rilevare anomalie fra il tipo di merce dichiarata e quella effettivamente


trasportata) e, infine, il più accurato controllo manuale sul contenuto del container.
56
Interviste ad alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine della capitale
(Roma, 11 marzo 2010).
57
Non che altre imprese siano esenti dal produrre beni contraffatti, semmai
qui l’attenzione si concentra sul coinvolgimento di cittadini cinesi nell’industria del
falso.

71
figure professionali esperte sono in grado di capire quale sia il falso e
quale l’autentico58.

4. Conclusioni

Mentre fino ai primi ani del Duemila il fenomeno della


contraffazione di prodotti cinesi era di modeste dimensioni, oggi
costituisce il principale business delle organizzazioni criminali cinesi.
Per l’entità dei profitti coinvolti, tale attività ha soppiantato le originarie
forme di accumulazione illecita che in passato si basavano per lo più
sull’immigrazione illegale.
Inoltre, come emerso da alcune recenti operazioni delle forze
dell’ordine, assistiamo al coinvolgimento di organizzazioni mafiose
autoctone nella contraffazione, attratte anch’esse dall’ingente giro di
profitti in gioco. Oltre alla Camorra di cui abbiamo riferito in
precedenza, è stata accertata la collaborazione fra alcune ‘ndrine della
Locride e trafficanti cinesi di merce contraffatta. Fra le azioni di
contrasto più rilevanti citiamo la cosiddetta “Operazione Rilancio”, che
nel maggio 2009 ha condotto all’arresto di 12 individui appartenenti a
un’organizzazione transnazionale con propri referenti in Italia,
Repubblica Ceca e Vietnam, che aveva scelto come luogo di sbarco delle
merci il porto di Gioia Tauro. La componente asiatica aveva il compito
di reperire in Cina e in Vietnam i prodotti falsificati, una famiglia
ndranghetista di Sinopoli (RC) si occupava dello sdoganamento dei
container, i sodali della Repubblica Ceca collocavano i prodotti nella
distribuzione commerciale del loro paese, mentre alcuni cittadini cinesi
di Roma erano addetti al momentaneo immagazzinamento nella capitale,
in attesa che la merce venisse spedita a destinazione. Secondo le
valutazioni della polizia ceca, tale organizzazione era in grado di
trasportare lungo la rotta Cina-Repubblica Ceca, via Gioia Tauro o
Amburgo, circa 300-350 container al mese (Trib. Roma 2009)59.
L’operazione “Maestro”, condotta nel dicembre 2009, ha portato
all’arresto di 25 persone, alcune di esse appartenenti a due cosche

58
Interviste a tre rappresentanti delle forze dell’ordine (Firenze, 9 maggio
2010).
59
Si trattava inoltre di un’organizzazione transnazionale particolarmente
efficiente e articolata, in quanto “dalle indagini è emerso che solitamente i prodotti
contraffatti vengono prodotti in un Paese, assemblati in un altro, fatti transitare in un
terzo e, infine, commercializzati in un quarto Paese” (Trib. Roma 2009, 251).

72
ndranghetiste della Locride, accusate di importare ingenti quantitativi di
merce contraffatta dalla Cina. L’amministratore delegato di una società
di import/export, uomo di fiducia di un boss mafioso, ha favorito - grazie
alle collusioni con il personale addetto ai controlli - l’introduzione
fraudolenta di prodotti cinesi, evadendo somme rilevanti di dazi doganali
e aliquote Iva60.
In conclusione, riportiamo il seguente fenomeno emerso nel corso
di alcune interviste a personale dell’ufficio intelligence dell’Agenzia
delle Dogane. Con l’inizio, dal 2003 in avanti, di controlli stringenti
sulle navi mercantili provenienti dalla Cina che trasportano
abbigliamento e calzature, si assiste al progressivo spostamento delle
rotte di destinazione dall’Italia verso altri scali europei, in particolare
verso la Germania e l’Inghilterra che accettano valori nominali della
merce molto più bassi. Il contrasto delle dogane alla sottofatturazione ha
fatto sì che, ad esempio, il valore dichiarato nel 2003 per le magliette di
cotone fosse di 5 euro al kg, mentre nel 2009 è passato a 15 euro al kg. Il
decremento del traffico mercantile dei prodotti messi “sotto
osservazione” eguaglia in termini quantitativi il corrispondente
incremento rilevato negli scali portuali di altri paesi europei. Peraltro,
una volta che la merce è entrata nel territorio dell’Unione europea
attraverso i varchi di altri paesi, può essere portata ovunque, incluse le
precedenti destinazioni italiane.
Tali mutamenti possono essere letti secondo due interpretazioni
tendenzialmente opposte. Per un verso, come il segnale dell’esistenza di
forme organizzate, sia legali che illegali, operanti su scala internazionale
che hanno la capacità di dislocare verso gli ingressi dell’Unione europea
meno “problematici” il contrabbando di merci (le operazioni di contrasto
appena menzionate avvalorano un’ipotesi di questo tipo). Oppure,
secondo un’ottica squisitamente razionale, come una risposta di attori
individuali e scarsamente organizzati che si passano fra di loro
informazioni, e conseguentemente adottano le strategie più opportune
per rispondere al regime più restrittivo messo in atto in Italia. In effetti,
la Cosco (China Ocean Shipping Group), che trasporta un terzo di tutte
le merci movimentate fra la Cina e Napoli, ha la propria sede centrale ad
Amburgo e questa città è uno dei principali approdi delle merci che in
precedenza arrivavano presso i porti italiani (Sacchetti 2007).

60
Intervista a un rappresentante delle forze dell’ordine (Roma, 23 giugno
2010).

73
In ogni caso, l’ingente movimentazione di denaro derivante
dall’industria del falso rappresenta un forte incentivo perché una
pluralità di attori siano spinti ad entrarvi, dalle organizzazioni criminali
transnazionali ai gruppi scarsamente strutturati, ai singoli importatori che
colgono le opportunità che di volta in volta si presentano al fine di
accumulare profitti illegali. I reati a sfondo economico e, più in
particolare, la movimentazione di capitali e il riciclaggio dei profitti
illeciti costituiscono l’argomento specifico del prossimo capitolo.

VIII. Riciclaggio e reati economici

A partire da un’analisi quantitativa dei reati a carattere economico,


quali bancarotta, frodi, usura, gioco d’azzardo e riciclaggio, l’esame si
concentra sul riciclaggio e sulle principali modalità utilizzate per
reinvestire i proventi di natura illecita nell’economia legale.

1. Reati economici maggiormente diffusi

Le prime irregolarità a carattere economico che coinvolgono i


cittadini cinesi riguardano l’evasione fiscale. Il rapporto fra partite Iva
intestate a cittadini cinesi e il totale delle dichiarazioni dei redditi
corrisponde a cifre molto basse: rispetto a circa 44.000 partite Iva
abbiamo, per il 2008, un ammontare complessivo di 300 milioni di euro.
La principale strategia utilizzata per evitare i controlli fiscali consiste nel
chiudere la propria posizione nel giro di due anni, contando sul fatto che
entro tale periodo le probabilità di subire una verifica fiscale saranno
estremamente esigue. Le imprese individuali, per le quali è richiesta una
semplice comunicazione agli uffici competenti, si prestano più delle
società allo “stratagemma” di aprire e chiudere l’attività per evitare i
controlli fiscali. Semmai, per il tipo “elementare” di forma giuridica,
esse implicano tecniche fraudolente scarsamente elaborate, mentre i
detentori di società intenzionati a commettere reati economici fanno
ricorso a sistemi più sofisticati, come ad esempio far figurare un
fiduciario fittizio o irreperibile che funge da prestanome a capo della
società.
La tab. VIII.1 riporta i dati relativi ai reati economici nei quali
sono stati coinvolti i cittadini di origine cinese.

74
Tab. VIII.1. Serie di reati per i quali sono stati denunciati cittadini di origine cinese
in Italia (anni: 2004-2010)
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Truffe e frodi 32 36 314 127 108 81 127
informatiche
Bancarotta et al. 55 65 109 99 186 118 151
Gioco d’azzardo 87 169 77 83 100 170 187
Usura 1 2 11
Riciclaggio 1 14 1 13 19 10 102
Totale 175 284 501 322 414 381 578
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno
Legenda:
la voce “bancarotta et al.”, corrispondente a “Bancarotta e bancarotta fraudolenta”,
comprende una serie di violazioni di diversa gravità previste dal dlgs. 74/2000.

Nel confronto fra il 2004 e il 2010, abbiamo aumenti percentuali


significativi, nell’ordine del 297% per “truffe e frodi informatiche”, del
174% per “bancarotta e bancarotta fraudolenta”, del 114% per il gioco
d’azzardo, mentre la crescita totale dei reati è del 230%. Tuttavia, i
valori assoluti sono sostanzialmente bassi, per non dire, infine, dei reati
di usura e riciclaggio (a parte il 2010 per quest’ultimo).
I reati di usura e gioco d’azzardo sono di gran lunga più
consistenti di quanto appare dalle statistiche criminali. Il numero così
basso di reati usurai indica che i migranti cinesi, nel momento in cui
sorgono problemi legati ai prestiti di denaro, fanno riferimento a
modalità di risoluzione delle controversie interne alla comunità.
Le pratiche usuraie si inseriscono entro il più ampio sistema di
“mutuo aiuto” esistente fra connazionali. Si tratta di vere e proprie
forme di sostegno reciproco, che hanno precisi risvolti pratici,
traducendosi nello scambio di favori (anche di tipo monetario) e
nell’apertura di un credito nei confronti di colui al quale si è prestato il
proprio aiuto. Bisogna anche dire che la pratica di prestare denaro non
implica necessariamente l’esistenza di interessi usurari, ladove vi sia una
reciproca fiducia fra contraenti (Cologna 2003b). Tuttavia, nel caso in
cui una delle due parti non rispettasse gli impegni presi, il conflitto che
ne consegue può trovare composizione in via pacifica o, al contrario,
sfociare in reazione violenta.
Il gioco d’azzardo, che ha un collegamento con i prestiti usurai, è
una pratica corrente che attraversa i diversi strati sociali delle comunità.
Si gioca “sempre”, in ogni occasione, si tratti di un matrimonio, un
compleanno o alla fine di una giornata di duro lavoro. Alcuni studiosi
hanno osservato che è un modo per passare il tempo e trascorrere

75
momenti piacevoli con conoscenti e amici (Ceccagno 1998). Altri,
analizzando il gioco d’azzardo nelle comunità dei cinesi d’oltremare, vi
hanno visto, a ragione, qualcosa di più del semplice passatempo tra
connazionali. Secondo tale interpretazione, il gioco d’azzardo troverebbe
le proprie ragioni all’interno della particolare propensione
imprenditoriale dei migranti cinesi. La sfida del giocatore di fronte alla
sorte ripropone l’atteggiamento dell’imprenditore in cerca di successo
economico che si affida al proprio intuito, mettendo in conto una
componente imponderabile di rischio e incertezza. Con le parole
dell’autore: “così come il destino può distruggere i migliori sforzi
imprenditoriali, lo stesso può accadere al giocatore professionista di
majiang [gioco meglio noto con il termine cantonese mah jong] che alla
fine della giornata può perdere tutto il denaro vinto” (Oxfeld Basu 1991,
247). Inoltre, il gioco d’azzardo ha precise implicazioni sociali, in quanto
definisce ruoli e status dei partecipanti: colui che è in grado di rilanciare
grosse somme e perderle con apparente noncuranza ostenta disponibilità
economica e indifferenza nei confronti del denaro, il “bene” più
facilmente riproducibile di altri.
Analogamente a quanto vale per usura e gioco d’azzardo, il
fenomeno del riciclaggio presenta un’evidenza statistica di scarso rilievo.
Sotto il profilo giudiziario, le principali difficoltà relative a istruire
imputazioni di riciclaggio hanno a che fare, come ha riferito un
rappresentante delle forze dell’ordine, con la pratica di “parcellizzare la
ricchezza accumulata all’interno della famiglia allargata. Le indagini
patrimoniali hanno appurato che le persone indagate acquistano beni di
lusso come auto costose, alta gioielleria, grandi abitazioni, ma per la
suddivisione dei beni fra i tanti membri della famiglia, non è stato
possibile accertare l’origine illecita delle ricchezze. Poi, con le autorità
cinesi non c’è alcun tipo di collaborazione giudiziaria”61. Pur con tutto
ciò, alcune rilevanti operazioni di contrasto al riciclaggio, di cui
parleremo a breve, sono state portate avanti in questi ultimi anni.

61
A proposito del riciclaggio, l’intervistato ha inoltre precisato: “si tratta di un
terreno minato, perché quando i Presidenti del Consiglio italiani si recano in Cina,
assieme si aggregano imprenditori italiani. Queste visite politiche di alto livello
aprono poi a tutta una serie di accordi economici di import-export fra l’Italia e la
Cina dove potenzialmente può accadere di tutto. Mi ricordo di un caso avvenuto
negli anni Novanta a Roma, quando, nel corso di un’indagine, venne arrestato un
cinese che era un rappresentante della locale comunità. Fermato all’aeroporto di
Fiumicino, nel bagaglio a mano gli venne trovata una fotografia che lo ritraeva
assieme al Presidente del Consiglio dell’epoca” (Firenze, 19 gennaio 2010).

76
2. Il riciclaggio: alcuni dati

Presentiamo in via preliminare i dati relativi alle segnalazioni


sospette comunicate all’Unità d’Informazione Finanziaria della Banca
d’Italia, che si occupa di raccoglierle e successivamente trasmetterle al
Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza. Al
riguardo, riportiamo il totale delle segnalazioni, le segnalazioni relative
a cittadini di origine cinese e il corrispondente numero di persone
segnalate.
Tab. VIIII.2. Segnalazioni sospette distinte per ente segnalante e numero di soggetti
di cittadinanza cinese (Italia; anni: 2005-2010)
2005 2006 2007 2008 2009 2010

Totale segnalazioni 7.743 11.573 11.720 13.382 18.827 26.963


Totale segnalazioni relative a
cittadini cinesi 505 747 640 637 1.353 2.786
Segnalazioni per enti relative a
cittadini cinesi:
Banche 279 340 420 462 448 892
Money transfer 221 333 144 157 882 1.862
Altri enti 5 74 76 18 23 32
N. soggetti segnalati di nazionalità
cinese 1.151 2.009 746 1.342 2.992 4.858
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Unità Investigativa Finanziaria

Dal 2005 al 2010, vi è stata una media di 15.035 segnalazioni all’anno.


Le segnalazioni riconducibili a cittadini cinesi costituiscono il 7%
(percentuale media), mentre per il solo 2010 salgono al 10%. Se
consideriamo il tipo di ente segnalante relativo ai cittadini cinesi, dal
2005 al 2010 vi sono state 6.668 segnalazioni sospette, il 43% di esse
(valore medio) provenienti dalle banche, il 54% dai money transfer e il
3% dalla categoria “altri enti”62. Infine, considerando le variazioni dal
2005 al 2010, vediamo che tutti i valori crescono, segno del fatto che è
aumentata la sensibilità degli operatori economici verso il rischio
riciclaggio. Più in particolare, il totale delle segnalazioni aumenta del
62
La voce “altri enti” include finanziarie, assicurazioni e alcune categorie di
professionisti, tenuti a inviare le segnalazioni. Le segnalazioni sospette provenienti
da questi enti sono estremamente esigue, nell’ordine di circa cento rispetto a tutte le
segnalazioni che ogni anno giungono all’Unità d’Informazione Finanziaria (intervista
a un suo rappresentante, Roma, 12 maggio 2010).

77
248%, quelle relative ai cittadini cinesi aumentano ancor di più, pari al
452%, mentre il numero di cinesi segnalati cresce del 322%. Per tipo di
ente, la crescita delle segnalazioni provenienti dalle banche è del 220%,
del 742% per i money transfer e del 540% per gli “altri enti”.

3. Le tecniche di riciclaggio

Le modalità di riciclaggio si basano prevalentemente sul


trasferimento di denaro verso la madrepatria, violando le norme
antiriciclaggio63. Tali trasferimenti si inseriscono nell’ampio flusso di
rimesse che nel 2009 hanno raggiunto - per tutti gli stranieri presenti in
Italia - la consistente cifra di 6,7 miliari di euro, oltre dieci volte i 600
milioni di euro del 2000. La Cina, con quasi 2 miliardi di euro di
rimesse, è al primo posto, seguita da Romania (823 milioni) e Filippine
(800 milioni)64.
Il riciclaggio resta comunque un fenomeno sommerso, di cui le
statistiche penali ne danno conto solo in modo estremamente marginale.
Tuttavia, quando l’attenzione degli apparati di law enforcement ha modo
di trovare una serie di riscontri, viene alla luce un “universo”
particolarmente rilevante per movimenti finanziari e soggetti coinvolti.
63
Una peculiare modalità di movimentazione finanziaria al di fuori del
sistema bancario è il cosiddetto Hawala, che consiste nel trasferimento di denaro e/o
informazioni fra due persone tramite una terza. Utilizzato in tempi remoti dai
commercianti arabi per evitare di essere derubati dalle bande di predoni, il sistema
Hawala fa affidamento su relazioni fiduciarie, non lascia alcuna traccia, né implica
necessariamente il trasferimento materiale del denaro (Lambert 2002). Un esempio di
questo tipo viene fornito da Catherine Lamour e Michel Lamberti, riguardante il
traffico di droga nel Sud-Est asiatico gestito da mercanti cinesi: “E’ difficilissimo
seguire le loro operazioni finanziarie: hanno una tecnica di scambio molto speciale,
propria dei cinesi d’oltremare, siano essi trafficanti o meno. Raramente una consegna
viene pagata in contanti o con assegno bancario. Il corriere della merce può ricevere
a Bangkok, ad esempio, un pezzetto di carta grande come un francobollo scritto dal
signor Wang che lo autorizza a chiedere al signor Chiang, originario della stessa
regione, una somma per x migliaia di dollari; magari questo Chiang nulla ha a che
fare con il traffico di oppio o di eroina, ed è tranquillamente un droghiere o il gerente
di un ristorante a Singapore, Nuova Delhi, Londra o Parigi; ma, alla vista del
quadratino di carta del signor Wang, consegnerà la somma richiesta, se necessario se
la farà imprestare. Parecchi mesi dopo, potrà pagare una consegna di pesce in
salamoia a un suo fornitore asiatico con un pezzetto di carta incassabile al nome del
signor Wang di Bangkok” (1973, 56).
64
F. Paula, I cinesi guidano la multinazionale delle rimesse, “Il Sole 24 Ore”,
3 maggio 2010 (www.ilsole24ore.com).

78
E’ ciò che è emerso da un procedimento istruito presso la Direzione
Distrettuale Antimafia di Roma che ha interessato dieci persone (italiani
e cinesi), i quali sono stati in grado, fra il luglio 2004 e il gennaio 2005,
di inviare in Cina 22 milioni di euro, con trasferimenti giornalieri negli
ultimi mesi che oscillavano fra 500.000 e 1,2 milioni di euro (Trib.
Roma 2005).
Al centro vi era una finanziaria gestita da alcuni italiani che
fornivano, assieme ai trasferimenti di denaro in Cina, servizi di
consulenza per le imprese cinesi inserite nell’import/export. La
finanziaria aveva alcuni dipendenti cinesi che interloquivano con i
connazionali e li consigliavano sul da farsi, come riferisce il dialogo fra
una donna, certa S., dipendente della finanziaria, e W., un cliente:
“S.: Tu sei W.?
W.: Sì
S.: Io sono qui nell'ufficio che manda i soldi, tu hai la contabilità da M.
[presso una società di consulenza aziendale della quale gli stessi titolari
della finanziaria detenevano delle quote societarie] giusto?
W.: Sì
S.: Mi hanno detto che tu volevi spedire i soldi, noi siamo all'ufficio di
prima, […] Se vuoi tu puoi venire dal lunedì al venerdì dalle ore 09.00
fino alle 16,00 .....
W.: Allora dalle ore 09,00 alle 16,00 ???? .....
S.: Sì, Sì esatto ..... puoi venire e portare direttamente i soldi non c'è
bisogno di nessuna pratica ..... la nostra commissione è dell'1%, la
somma che puoi portare non ha limite.
W.: Ah, non ha nessun limite?
S: Sì...
W.: Se la somma è tanta fate lo sconto sulla commissione?
S.: Se tu vieni spesso e la somma è alta, ti facciamo lo sconto...
W.: Allora io i soldi non li porto più con me [in questo caso si riferisce
presumibilmente al fatto che quando si recava in Cina portava con sé del
denaro], se ho i contanti vengo direttamente da voi per spedirli....
S.: Sì...anche gli altri vengono tutti da noi per spedire i soldi in Cina...
poi tu hai già la contabilità da noi, così hai meno preoccupazioni...
W.: Va bene” (Trib. Roma 2005, 62).
I trasferimenti venivano attribuiti a società fittizie presso la città di
Wenzhou, facendoli sembrare consuete operazioni commerciali fra la
Cina e l’Italia, come si evince dalla seguente conversazione fra una

79
dipendente (M.) della finanziaria e una cliente (H.), che si lamenta
perché non viene eseguita la procedura della volta precedente:
“H:: Ma l'altra volta me lo hai mandato tu, perché hai messo due nomi, a
che cosa serve? (Dal tono della sua voce è chiaramente arrabbiata)
M: Noi usiamo la nostra società per mandare i soldi .... non è a tuo
nome…
H:: Allora io vorrei usare solo il mio nome privato…
M.: Prima usavamo la nostra società di investimento per mandare i
soldi, siccome la tua somma è molto alta, mandarla su un conto privato
non è molto giusto, per quello abbiamo messo il nome di una società di
import export del posto (Cina n.d.r.)..... così i soldi sembravano
pagamento di merci” (Ivi, 78).
I clienti cinesi erano per lo più titolari di imprese della capitale che
avevano accumulato ingenti profitti evadendo dazi doganali e Iva sulla
commercializzazione di beni importati dalla Cina. Il sistema di
riciclaggio era particolarmente sofisticato perché, oltre che garantire il
mascheramento dei trasferimenti monetari, i “consulenti” italiani si
preoccupavano di agire come collettori di denaro, stipulando mutui -
per un ammontare accertato di 10 milioni di euro - a beneficio dei
clienti cinesi con un noto gruppo bancario presso l’Esquilino, dove
disponevano di collusioni col personale direttivo. Così il denaro di
provenienza illecita poteva essere ripulito tramite il pagamento rateale
dei mutui.
Un ampio e ancor più consistente procedimento di riciclaggio
risale al giugno del 2010, con la convalida del Gip delle richieste di
arresto e di sequestro preventivo di beni avanzate dalla Direzione
Distrettuale Antimafia di Firenze nei confronti di 108 persone (Trib.
Firenze 2010a). Si è trattato di una grossa operazione che ha portato allo
smantellamento di un’organizzazione costituita da italiani e cinesi che si
occupava di inviare ingenti quantità di denaro in Cina, per un ammontare
complessivo, fra il 2006 e il 2009, di 2,7 miliardi di euro. Il centro delle
attività di riciclaggio ruotava attorno a una società di intermediazione
finanziaria, la Money2Money, con base a Bologna, di cui facevano parte
soci italiani e cinesi. Mentre i cinesi avevano un ruolo direttivo, gli
italiani prestavano i loro servizi professionali istruendoli su quali
procedure seguire per superare i vincoli delle norme antiriciclaggio.
Come riferisce il Gip, a proposito di uno di loro, socio occulto della
Money2Money: egli “ha interpretato e oggettivato le esigenze della
famiglia C. [ovvero i tre fratelli cinesi al comando della società di

80
intermediazione finanziaria], reali promotori e capi del sodalizio,
curando il coordinamento dell’attività degli altri partecipanti
all’associazione, l’impiego razionale delle risorse e individuando i mezzi
necessari al corretto funzionamento del sistema fraudolento” (Trib.
Firenze 2010a, 63).
L’agenzia centrale di Bologna si appoggiava su 13 sub-agenzie
presenti nelle città di Prato (2), Firenze (3), Roma (4), Milano (2),
Padova (1) e Napoli (1), intestate a cittadini cinesi, alcune di esse prive
di iscrizione all’albo degli intermediari finanziari. La Money2Money
raccoglieva il denaro e successivamente lo inviava in quote ai sub
mandatari, i quali lo trasferivano in Cina parcellizzando le operazioni
poco sotto la soglia di segnalazione. Le agenzie sub mandatarie
attribuivano i trasferimenti a una moltitudine di cittadini cinesi,
disponendo di “un elevato numero di copie di documenti di identità, in
parte acquisiti da cittadini cinesi che hanno realmente e lecitamente
trasferito valori nel proprio paese di origine, in parte falsificati o
acquisiti in altro modo, […] omettendo di comunicare le reali generalità
dei soggetti per conto dei quali le operazioni erano effettuate, utilizzando
le generalità di tanti concittadini quanti ne sono necessari per frazionare
la somma consegnata in tranches da euro 1.999,99, a nome dei quali
falsamente risultano spedite in Cina” (Trib. Firenze 2010a, 71-72).
Una volta individuati i reali mittenti dei trasferimenti monetari, è
stato possibile risalire alla provenienza illecita del denaro, riguardante
un’ampia gamma di attività: il contrabbando di merce, in particolare di
prodotti tessili provenienti dalla Cina, l’immigrazione illegale, lo
sfruttamento lavorativo dei connazionali, lo sfruttamento della
prostituzione e, infine, l’importazione e la produzione di marchi
contraffatti. Peraltro, i titolari di attività economiche coinvolti in qualità
di reali mittenti dichiaravano un reddito annuale che andava da 5.000 a
18.000 euro, pur trasferendo ciascuno somme di denaro comprese fra le
centinaia di migliaia e il milione di euro.
In analogia con quanto avviene per la contraffazione, il ruolo
svolto degli italiani coinvolti nel riciclaggio risulta essere
particolarmente importante poiché, in ragione delle conoscenze
professionali e delle “aderenze” giuste di cui dispongono, forniscono un
servizio particolarmente prezioso ai “sodali” cinesi.
Il procedimento istruito presso la Dda di Firenze evidenzia tuttavia
un preoccupante salto di qualità nelle forme di riciclaggio messe in atto
dai cittadini di origine cinese. Ciò vale sia per l’entità straordinariamente

81
rilevante del denaro in circolazione che per il ruolo a tutti gli effetti
preminente degli attori criminali cinesi - i reali proprietari e gestori della
società di intermediazione finanziaria su cui ruotavano gli agenti sub-
mandatari - rispetto agli autoctoni. Questi, infatti, avevano il compito di
risolvere problemi di tipo tecnico-professionale, mentre la direzione
delle attività era demandata alla componente di origine cinese.
Le forme di riciclaggio che coinvolgono i migranti cinesi si
realizzano sia trasferendo denaro in Cina che acquistando immobili e
attività imprenditoriali. Sull’acquisto di attività economiche non
abbiamo rilevato - a parte alcune informazioni a margine del materiale
consultato - specifici approfondimenti utili a fornire un quadro
sufficientemente chiaro e sistematico65. A tutt’oggi, le forme prevalenti
di riciclaggio avvengono attraverso il trasferimento del denaro verso la
madrepatria, sia secondo le modalità illustrate che trasportandolo
materialmente all’estero in violazione delle norme valutarie, come danno
conto i sequestri effettuati dalla Guardia di Finanza nei confronti di
cittadini cinesi presso i varchi di frontiera66.

65
A margine di un’indagine su un traffico di stupefacenti, il capo di una
banda investe, grazie all’utilizzo di prestanome, i profitti illeciti in attività
economiche nel quartiere cinese di Milano (Trib. Milano 2009). Tuttavia, come ci è
stato confermato dal magistrato che ha istruito il procedimento, il reato di riciclaggio
non è stato perseguito per mancanza di sufficienti elementi probatori (Milano, 10
gennaio 2010).
66
Nel 2007, sono stati identificati 87 cittadini cinesi che trasportavano
illegalmente valuta per un ammontare complessivo di 448.000 euro; 79 nel 2008 per
367.000 euro; 344 nel 2009 per 1,3 milioni di euro; 244 nel 2010 per 3,5 milioni di
euro (Comando Generale della Guardia di Finanza).

82
Quarta parte
La ricerca sul campo

IX. Le aree di approfondimento

In quest’ultima sezione prendiamo in esame cinque aree,


corrispondenti alle città di Milano, Firenze, Prato, Roma e Napoli. Sulla
base delle informazioni acquisite nel corso della ricerca sul campo,
vengono evidenziate, entro un comune impianto comparativo, le
caratteristiche economiche delle comunità cinesi locali e le
corrispondenti fenomenologie criminali.
Occorre tuttavia premettere che, mentre per l’ambito economico è
possibile individuare per ciascuna area alcune peculiari caratteristiche,
sul versante criminale va tenuto conto di una serie di difficoltà che, al
momento, rendono difficile delineare in modo preciso il contesto illecito
locale. Innanzitutto, si tratta di gruppi estremamente mobili, abituati a
spostarsi e operare agevolmente sull’intero territorio nazionale lungo le
direttrici di insediamento dei cittadini cinesi. A ciò si aggiunge la
mancanza di un retroterra di conoscenze “storiche” a disposizione delle
agenzie di contrasto sui gruppi criminali cinesi presenti in Italia. Mentre
per la criminalità mafiosa italiana le forze dell’ordine dispongono di un
ampio patrimonio di conoscenze che permette loro di ricostruire con
buona approssimazione gli organigrammi su scala locale, per tale
criminalità, come abbiamo avuto modo di constatare nel corso di varie
interviste, le informazioni disponibili sono frammentarie e il più delle
volte non sistematiche. Ciò dipende dal dover fronteggiare un fenomeno
illecito, se paragonato alla criminalità organizzata italiana, relativamente
“nuovo” e dalle difficoltà a penetrare un “universo” criminale
sensibilmente diverso per lingua e cultura rispetto a quello nazionale.

1. Milano

Seguendo una comune struttura di analisi sia per il contesto


milanese che per i successivi, viene innanzitutto riferita l’entità nel corso
degli anni della presenza di cittadini cinesi (minori inclusi), le loro
modalità di inserimento socio-economico e, infine, le caratteristiche dei
gruppi criminali. Questi vengono analizzati tenendo conto di alcune

83
dimensioni: le attività illecite in cui sono coinvolti, le modalità
organizzative adottate e le eventuali relazioni con figure influenti interne
alla comunità, ovvero con individui che, pur operando nell’ambito
legale, intrattengono strette relazioni con gli attori criminali, rivestendo
un ruolo di cerniera fra sfera lecita e illecita.

1.1 L’immigrazione in città

La prima presenza d’immigrati cinesi a Milano risale agli anni


Venti dello scorso secolo, quando uno sparuto gruppo giunse in Italia
dalla vicina Francia. La città meneghina costituisce, fin da allora, il
primo nucleo di cittadini cinesi sul territorio italiano, a quel tempo poche
decine, per poi ospitare, nei decenni successivi, un numero crescente di
connazionali (nel 1984 vi erano 500 residenti, 1.867 nel 1990, 3.853 nel
1996, 7.494 nel 1999); fino a giungere ai nostri giorni, in cui Milano si
colloca al primo posto fra le città italiane per popolazione cinese
(Cologna 2003a).
Nella tab. IX.1 riportiamo il numero di residenti dal 2001 al 2010,
cui corrisponde rispetto al primo anno di riferimento una crescita del
157%67.
Tab. IX.1. Cittadini cinesi residenti a Milano suddivisi per genere ( anni 2001-2010)
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
M 3.819 4.567 4.835 6.061 6.890 7.392 7.739 8.000 8.956 9.761
F 3.528 4.193 4.463 5.452 6.205 6.631 6.984 7.244 8.245 9.157
Tot. 7.347 8.760 9.298 11.513 13.095 14.023 14.723 15.244 17.201 18.918
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Milano

Le aree di origine dei migranti cinesi di Milano riproducono per la gran


parte le caratteristiche richiamate in precedenza. In particolare, il gruppo
maggioritario del Zhejiang proviene dai distretti dell’entroterra che si
affacciano sulla città portuale di Wenzhou: Qingtian, Wencheng, Rui’an
e Wenzhou-Ouhai. La seconda componente è costituita dai cinesi del
Fujian, arrivati in città nei primi anni Novanta, mentre il gruppo più
recente è originario del Nord-Est. Secondo alcune valutazioni, il 90% dei
cinesi presenti nella provincia di Milano all’inizio dei Duemila era

67
A proposito delle stime relative alla componente irregolare, secondo le
valutazioni redatte dall’Ismu, in Lombardia i cinesi irregolari sarebbero stati nel
luglio 2009 circa 8.000, mentre nella provincia di Milano 4.820, di cui 3.910 nel
comune (Blangiardo 2010b).

84
originario del Zhejiang, mentre il rimanente 10% dalle altre province
cinesi (Cologna 2003a).
Come noto per qualsiasi persona che, in questi ultimi anni, si sia
recata a Milano e casualmente abbia chiesto in quale zona della città
risiedano i cittadini cinesi, tutti o quasi avrebbero risposto indicando il
quartiere Canonica-Sarpi, vicino al parco Sempione e a tre fermate di
tram dal Duomo. Effettivamente via Sarpi costituisce da decenni il luogo
scelto dai primi migranti presenti a Milano, semmai ciò che pochi sanno
è che oggi, molto più che in passato, il quartiere è il principale luogo di
esercizi commerciali della laboriosa comunità cinese, mentre solo una
parte minoritaria di essa effettivamente vi risiede. Come mostra la tab.
IX.2, solo l’8% abita nel quartiere Sarpi, mentre molti di essi abitano in
zone più periferiche della città68.
Tab. IX.2. Primi dieci quartieri del comune di Milano per numero di popolazione
cinese residente e percentuale rispetto al totale (anno 2010)
Villapizzone 1.947 10,2%
Sarpi 1.608 8,4%
Quarto Oggiaro 1.296 6,8%
Affori 1.220 6,4%
Dergano 1.193 6,3%
Loreto 1.126 5,9%
Padova 888 4,6%
Maciachini-Maggiolina 652 3,4%
Comasina 648 3,4%
Bovisa 594 3,1%
Totale dieci quartieri 11.172 59,0%
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Milano

Tuttavia, il nostro ipotetico abitante di Milano, che probabilmente non ha


alcun motivo specifico per conoscere in dettaglio la loro distribuzione
residenziale in città, attribuisce il quartiere Canonica-Sarpi ai “cinesi”
facendo riferimento prima di tutto a ciò che vede, ovvero al dato
percettivo. Sotto questo profilo, chi percorra alcune vie del quartiere (in
particolar modo via Sarpi e via Bramante) può notare che esse sono
andate caratterizzandosi come uno spazio fisico e sociale ben connotato,
costituito da insegne variopinte e una pluralità di attività commerciali.
Come ricorda Daniele Cologna, attento studioso
dell’immigrazione cinese a Milano, il quartiere ha avuto nel corso degli

68
I dati del 2010, sia per Milano che per le altre città, sono da considerarsi
non definitivi.

85
ultimi due decenni ampi processi di cambiamento: da iniziale area di
laboratori cinesi che producevano capi in pelle per conto delle imprese
italiane, è progressivamente divenuto, dalla fine degli anni Ottanta,
luogo di esercizi commerciali (Cologna 2003b). Nel contempo, a causa
del forte processo di valorizzazione immobiliare, il quartiere ha
sensibilmente ridotto la sua importanza come area residenziale,
assumendo sempre più i contorni di centro di servizi sia per i cittadini
cinesi che per la popolazione più ampia.

1.2 L’inserimento economico nel contesto locale

Al fine di illustrare le attività economiche nel tessuto


metropolitano, riportiamo i dati della Camera di Commercio di Milano,
il cui riferimento territoriale è, in questo caso, su scala provinciale. La
tabella IX.3 mostra il numero di attività, suddivise per forma giuridica,
con titolare cinese. Nel confronto fra il 2004 e il 2010, l’insieme delle
attività economiche aumenta del 55%, segno del fatto che la comunità,
oltre che crescere in termini numerici, continua a manifestare la propria
spiccata attitudine imprenditoriale. Pur costituendo le imprese
individuali la componente largamente maggioritaria (il 65% nel 2010),
le società di capitale presentano tuttavia i tassi di crescita più alti rispetto
al 2004 (+140%).

Tab. IX.3. Imprese cinesi attive nella provincia di Milano per forma giuridica (anni:
2004-2010)
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Società capitale 175 208 230 247 305 365 421
Società persone 1.061 1.166 1.262 1.245 1.403 1.521 1.483
Impr. Individuali 2.319 2.561 2.822 2.678 2.987 3.209 3.626
Altre forme 33 38 39 37 28 29 28
Totale 3.588 3.973 4.353 4.207 4.723 5.124 5.558
Fonte: elaborazione personale su dati InfoCamere

Allo scopo di mostrare i principali cambiamenti avvenuti nella


provincia di Milano in questi ultimi anni, facciamo riferimento alle sole
ditte individuali, suddivise secondo la classificazione Ateco delle
Camere di Commercio69.

69
Per quanto non esaustivo del numero totale d’imprese cinesi presenti in
Italia, le informazioni sulle imprese individuali sono più attendibili del numero di
imprese attive suddivise per forma giuridica, perché in quest’ultimo caso il conteggio

86
Al primo posto troviamo, nel 2010, il commercio al dettaglio, con
923 imprese, inserite prevalentemente nella vendita di capi
d’abbigliamento. Rispetto al 2004, tale ambito ha avuto un incremento
del 41% (una maggiore percentuale di crescita si ha per le imprese
commerciali all’ingrosso, passate da 231 a 377; +63%). Al secondo
posto vi sono le attività di ristorazione (894 imprese, +213% rispetto al
2004).
La terza voce più consistente riguarda le attività manifatturiere
delle confezioni e abbigliamento, pari nel 2010 a 484 imprese. Tali
attività hanno tuttavia avuto, nel corso degli anni, una drastica riduzione.
Mentre negli anni Novanta vi è stato un trend espansivo (166 nel 1995,
347 nel 1999), i laboratori manifatturieri hanno toccato il picco nel 2002
(769) per poi diminuire fino ai valori odierni (analogo trend discendente
vale per le imprese pellettiere: 222 nel 2004, 184 nel 2010) (Cologna
2003b). Segno del fatto che le attività economiche che garantiscono le
migliori opportunità d’intrapresa si collocano nel più ampio contesto
metropolitano, incentrato ormai da anni nell’ambito dei servizi piuttosto
che nel settore manifatturiero.

1.3 Le attività e i gruppi criminali

La città di Milano presenta una pluralità di attività illecite che, in


linea di massima, riproducono la fenomenologia criminale esaminata sul
piano nazionale. Milano è centro di arrivo e di successivo
“smistamento” di migranti cinesi per l’intera regione. L’aeroporto
internazionale di Malpensa, con oltre 190.000 voli di linea e 17,5
milioni di passeggeri (2009), costituisce, per coloro che giungono tramite
la rotta aerea, il principale punto di ingresso per il Nord Italia e il
crocevia in direzione di altri paesi70. L’immigrazione illegale sembra

viene fatto sulle persone e non sul numero di imprese. Potrebbe quindi darsi il caso,
in realtà non infrequente, che un individuo sia titolare nello stesso momento di più
imprese, venendo quindi contato più volte.
70
In una nota di servizio redatta dall’Ufficio di Polizia di Frontiera presso lo
scalo aereo di Malpensa, si legge: “Il personale dell’Ufficio di Polizia Giudiziaria
preposto alle verifiche documentali di secondo livello ha portato a termine
un’indagine relativa a una organizzazione criminale dedita al favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina di cittadini di nazionalità cinese che venivano fatti
giungere presso lo scalo aereo di Malpensa con documenti genuini di Singapore che
ritraevano persone diverse dai latori, per poi essere trasferiti attraverso l’Italia negli
stati Uniti passando dal Messico” (Trib. Busto Arsizio 2006, 2). Più di recente, il

87
essere un fenomeno tuttora consistente: i controlli delle forze dell’ordine
presso case e laboratori hanno portato alla luce una ragguardevole quota
di irregolari, intorno al 40% di tutti i migranti controllati71. Si affittano
letti o posti a sedere al costo di 5-10 euro a coloro che sono in attesa di
trovare un lavoro e una sistemazione72.
Non mancano reati economici, quali l’esercizio abusivo
dell’attività creditizia e la violazione delle norme antiriciclaggio, come
emerso in un recente procedimento giudiziario che ha portato al
sequestro di una finanziaria che svolgeva funzioni bancarie e attività di
money transfer. Come riporta la sentenza, la società finanziaria
“reperiva clienti prevalentemente nell’ambito della comunità cinese di
Milano, ai quali venivano offerti i servizi di deposito bancario, conto
corrente, trasferimento di denaro da e per la Repubblica Popolare
Cinese, erogazione di finanziamenti, stime immobiliari, avvio e
istruzione di pratiche mutuo con istituti di credito [più in particolare]
instaurando e intrattenendo rapporti di ‘conto corrente’ e/o ‘deposito
bancario’ con 1.143 persone di nazionalità cinese, ricevendo dalle stesse
nel periodo dal 2 dicembre 2002 al 6 maggio 2005 la somma
complessiva di 9.362.812 euro”, mentre a proposito dell’attività di
money transfer, sono state ricostruite, fra il novembre 2004 e l’aprile
2005, 890 trasferimenti di denaro per un ammontare complessivo di 7,2
milioni di euro (Trib. Milano 2009b, 3-5).
La prostituzione ha luogo per lo più nelle sale massaggio e negli
appartamenti. Nel 2009, secondo i dati riferiti alla locale Camera di
Commercio, su un totale di 86 centri benessere aperti in città, ben 56
hanno come titolare un cittadino cinese73. Entro una parte minoritaria di
essi, viene esercitata la prostituzione mascherata. In altri casi, essa ha
luogo in appartamenti appositamente adibiti allo scopo, spesso affittati
da cittadine cinesi regolari o, più raramente, da italiani che si prestano a
fare da copertura.

Procuratore Generale di Busto Arsizio ha ricordato, nella sua relazione annuale, che
nel 2008 sono stati respinti 1.294 stranieri e scoperte varie associazioni
transnazionali coinvolte nell’immigrazione illegale, fra cui una costituita da cittadini
malesi che utilizzava lo scalo come area di transito a favore di migranti cinesi diretti
in alcuni paesi del Sud America (Trib. Busto Arsizio 2009).
71
Intervista a due rappresentati delle forze dell’ordine (Milano, 26 febbraio
2010).
72
Intervista a una studiosa di cultura cinese (Milano 14 gennaio 2010).
73
Imprese: Lombardia, 50% dei nuovi centri benessere gestiti da cinesi, 2
marzo 2010 (www.libero-news.it).

88
La contraffazione di prodotti rappresenta una fonte ragguardevole
di profitti illeciti. La merce proveniente dalla Cina arriva tramite navi
mercantili che sdoganano a Napoli o a Gioia Tauro, via aerea attraverso
l’aeroporto di Roma oppure, in altri casi, dall’Austria per poi essere
stoccata in capannoni della periferia milanese, affittati da italiani ai
rivenditori cinesi a prezzi molto alti, nell’ordine di 1.500 euro a
settimana. Si tratti di scarpe Nike perfettamente contraffatte (vendute a
30-35 euro mentre il prezzo di mercato si aggira attorno a 150-200), o
giubbotti “firmati”, la merce staziona solo alcuni giorni nei magazzini
per poi essere immessa nel mercato della distribuzione attraverso
rivenditori al dettaglio sia cinesi che italiani. Un’indagine denominata
Indianapolis, avviata nel 2007 dalla Guardia di Finanza, ha portato al
sequestro di capi d’abbigliamento perfettamente contraffatti per un
valore di 11 milioni di euro. Molti cinesi coinvolti nell’operazione erano
formalmente nullatenenti o dichiaravano per la loro attività
imprenditoriale redditi di poche migliaia di euro74.
Sul versante dell’ordine pubblico, la principale minaccia alla
sicurezza degli stessi cittadini cinesi è costituita da rapine ed estorsioni.
Entrambe vengono messe in atto da bande criminali che vivono
taglieggiando imprenditori e commercianti. Le estorsioni seguono le
modalità già evidenziate in precedenza, andando dalle esplicite richieste
di protezione, alla creazione di “incidenti” provocati strumentalmente al
fine di estorcere denaro sotto forma di risarcimento per l’offesa subita,
fino ad esigere denaro una tantum in occasione delle tradizionali feste
comunitarie.
Le bande sono costituite da varie decine di persone, per la gran
parte giovani fra i 16 e i 20 anni, anche se chi riveste un ruolo di
comando ha un’età più avanzata e spesso è stato coinvolto in precedenti
eventi criminali, in Cina o in Italia. Esse tendono ad aggregarsi secondo
una comune provenienza territoriale. Ciò vale per due formazioni
criminali presenti fino a poco tempo fa nella comunità cinese di Milano,
i cui componenti provenivano in gran parte da alcune aree urbane del
distretto di Wencheng, rispettivamente Yuhu e Daxue (Trib. Milano
2008).
Fin dai primi anni del Duemila, le due aggregazioni criminali
entrano in conflitto per il controllo del mercato degli stupefacenti,

74
Interviste a un magistrato e a un appartenente alle forze dell’ordine
(Milano, 19 gennaio 2010).

89
mettendo in atto alcuni efferati omicidi a danno dell’una e dell’altra parte
(Trib. Milano 2004). Una ragazza, coinvolta suo malgrado in quelle
vicende, riferisce che: “L. [il capo di una di queste bande] e i suoi amici
fanno parte di un gruppo molto conosciuto in tutto il quartiere di Paolo
Sarpi. Si tratta di giovani cinesi molto uniti tra di loro che sono soliti
aggirarsi nel quartiere” (Trib. Milano 2003, 25). Secondo un altro
testimone, in origine L. e la sua banda farebbero parte di una formazione
criminale nata a Wencheng e Yuhu. Così, “alcuni appartenenti a questa
organizzazione, approfittando delle richieste di ricongiungimento
familiare formulate dai loro genitori, riuscivano a stabilirsi in Italia [a
Milano], ricostituendo il ‘gruppo’ formato in Cina e continuando a
commettere estorsioni e altri gravi reati a danno di connazionali” (Trib.
Milano 2002, 60).
Procedimenti giudiziari successivi hanno messo in luce che altre
bande operanti nel quartiere Canonica-Sarpi erano coinvolte sia nelle
estorsioni che nel traffico di sostanze stupefacenti: extasy e chetamina, il
tipo di droghe correntemente utilizzate dai giovani consumatori cinesi75.
Come riferisce un ex-componente che ha deciso di collaborare con la
giustizia: “più o meno si parlava di un carico al mese di ketamina per un
peso di circa 10 kg. Per ciò che riguarda invece l’exstasy, si trattava di
circa 1.000 pasticche al mese, perché aveva meno mercato a Milano”
(Trib. Milano 2009a, 3).
I capi erano soliti sostenere economicamente l’intero gruppo,
fornendogli vitto, alloggio e spese quotidiane. Inoltre, ciascuno aveva
ruoli funzionalmente differenziati nella gestione delle attività illecite:
“tutti i ragazzi che ho indicato [riferisce ancora il collaboratore di
giustizia] avevano il compito di spacciare all’interno delle discoteche e si
occupavano anche di chiedere il pizzo ai commercianti (in genere una
quota mensile predefinita) ed il c.d. ‘ricatto’, nel senso che vengono
creati ad arte incidenti per poi chiedere una specie di risarcimento per il
torto subito (si chiama ‘busta rossa’), inoltre si occupavano anche di
organizzare bische clandestine e prestare denaro ai giocatori delle bische.
In particolare, ricordo che A. si occupava prevalentemente delle bische
clandestine, L. trasportava e spacciava lo stupefacente sempre su ordine
di D. [il capo]; X. si interessava dei contatti per affittare le discoteche

75
Di recente, sulla base di controlli effettuati dalle forze dell’ordine nei
confronti di giovani cinesi, la tipologia di droghe commercializzate include anche la
cocaina e l’eroina (interviste a rappresentanti delle forze dell’ordine, Milano 26
febbraio 2010).

90
dove spacciare; Y. si occupava prevalentemente di richiedere il pizzo
alle case di prostituzione” (Ibidem). I gruppi criminali importavano gli
stupefacenti dall’Olanda, facendo affidamento a grossisti e corrieri
appartenenti alla propria rete di connazionali76. In seguito, l’exstasy e la
chetamina venivano vendute in locali karaoke, internet point e
discoteche di Milano, Padova e Brescia, affittate appositamente a tale
scopo. Di recente, le due bande sono entrate in guerra l’una contro
l’altra, la cui posta in gioco era, ancora una volta, il controllo degli
stupefacenti. Gli scontri e le rappresaglie reciproche hanno avuto termine
nel 2008, quando le forze dell’ordine hanno arrestato la gran parte dei
loro componenti, circa 20 persone, determinando lo scompaginamento
delle due associazioni criminali. Da allora, il vuoto causato dagli arresti è
stato ricoperto, nel giro di poche settimane, da nuove bande criminali di
cui fanno parte sia elementi in precedenza contigui agli arrestati sia
nuove aggregazioni provenienti da Brescia e Torino, intenzionate a
entrare nel proficuo business degli stupefacenti; un mercato che,
secondo gli investigatori “è costituito da un ampio bacino di giovani
clienti cinesi”77.
Gli aspetti più preoccupanti nel contesto milanese sono costituiti
dall’esistenza di bande criminali dedite ad estorsioni, reati predatori e
commercio di sostanze stupefacenti. I componenti sono legati fra di loro
da una forte senso di solidarietà interna: vivono assieme nello stesso
appartamento e se qualcuno di essi viene arrestato, gli altri si
preoccupano di procurargli un avvocato di fiducia e inviargli
regolarmente del denaro per consentirgli di sopportare più agevolmente
le restrizioni del carcere. Dall’analisi delle fonti giudiziarie, i profitti
derivanti dalle attività illecite vengono suddivisi in parti uguali fra i
componenti del gruppo oppure, in altri casi, il capo e i suoi stretti
collaboratori ne incamerano una quota consistente, nell’ordine del 60-
70%, lasciando il resto agli altri.

76
L’Olanda risulta essere il principale paese di destinazione di precursori
chimici provenienti dalla Cina, come il Pmk (piperonilmetilchetone) e il Bmk
(benzilmetilchetone), utilizzati per produrre ecstasy e anfetamine. Su scala
mondiale, “la produzione di Pmk è quasi esclusivamente concentrata nella
Repubblica Popolare Cinese. Il Bmk è prodotto anche in alcuni paesi del precedente
blocco dell’Est Europa, anche se il Bmk cinese è considerato di maggiore qualità”
(Soudijn, Kleemans 2009, 463; Dia 2009).
77
Interviste a rappresentanti delle forze dell’ordine (Milano, 26 febbraio
2010).

91
Inoltre, tali aggregazioni criminali prestano i loro servigi, dietro
pagamento, a coloro che hanno conti in sospeso con i propri
connazionali. Tra i pochi eventi effettivamente documentabili che
avvalorano l’esistenza di pratiche volte a risolvere in via extragiudiziaria
i conflitti interindividuali, ricordiamo l’omicidio di un cittadino cinese
avvenuto nel 2003 a opera di una gang di giovani (in cambio di 5 milioni
di lire), su richiesta di un uomo, la cui moglie aveva una relazione
sentimentale con la vittima78(Trib. Milano 2003). Come anche il caso di
un datore di lavoro che, di fronte al rifiuto dei suoi dipendenti (illegali)
di accettare retribuzioni molto basse, non esita a ricorrere a uomini
armati per ricondurli a più miti pretese (Trib. Milano 2005c).
Pur entro un contesto che desta preoccupazione per l’abituale
ricorso alla violenza delle bande e la loro capacità di riprodursi nel
tempo, non sono tuttavia emersi elementi che avvalorano l’esistenza di
un collegamento fra figure di rilievo interne alla comunità e attori
criminali79. Semmai, il proliferare delle bande, assieme al crescente
consumo di sostanze stupefacenti, sono indicatori di un allentamento dei
legami sociali comunitari, mostrando la crescente difficoltà delle
famiglie e delle strutture associative interne a porre un freno ai fenomeni
di disgregazione che coinvolgono in particolar modo le nuove
generazione. Una certa S., contigua a una gang, riferendo che “loro [gli
appartenenti alla banda] sono venuti qui per fare soldi”, esplicita il
progetto di ascesa sociale che muove questi individui, a prescindere dal
seguire o meno mezzi istituzionalmente consentiti (Trib. Milano 2008,
198). Un progetto incentrato sull’acquisizione della ricchezza “facile e
immediata”, ben lontano dall’esperienza di vita dei loro padri e che, a
78
Secondo la ricostruzione fornita da un testimone dell’omicidio, nel
quartiere cinese “tutti dicono che l’uomo cinese è stato ucciso a causa di una
relazione che aveva con una donna, il cui marito, accortosi di ciò, avrebbe incaricato,
previo compenso, i giovani in questione [la banda di L.] per dargli una lezione. La
cosa sarebbe poi degenerata con la morte dell’uomo” (Trib. Milano 2003, 23-24).
79
I vari interlocutori - istituzionali e non - hanno escluso che le bande abbiano
stabilito relazioni reciprocamente vantaggiose con appartenenti alle associazioni
cinesi della città. Nell’ambito del materiale giudiziario abbiamo trovato solo due
riferimenti, che tuttavia non forniscono elementi precisi a confermare la presenza di
tali collegamenti: il primo riguarda un procedimento per immigrazione illegale dove
è emerso che i migranti illegali venivano temporaneamente ospitati presso i locali di
un’associazione cinese di Via Sarpi; il secondo concerne un procedimento per
traffico di sostanze stupefacenti nel quale alcuni imputati affermano, nel corso di
alcune conversazioni telefoniche, di essere in contatto con tre vicepresidenti di
associazioni cinesi di Milano (Trib. Milano 2008; 2005b).

92
ben vedere, trova una certa corrispondenza con gli orientamenti di valore
effettivamente praticati nelle odierne società occidentali.

2. Firenze e Prato

La presenza di cittadini cinesi nella provincia di Firenze inizia ad


assumere un certo rilievo dalla seconda metà degli anni Ottanta. Le
prime aree di insediamento sono le frazioni di Brozzi e San Donnino, al
confine fra i comuni di Firenze e Campi Bisenzio. Quest’ultima frazione,
che a quel tempo la stampa denomina non senza ilarità “San Pechino”,
nel 1991 ospita, secondo alcune stime, circa 1.400 cittadini cinesi, di cui
il 50% irregolare, mentre i residenti in tutta la provincia di Firenze erano,
nello stesso anno, 1.557 (Bortolotti, Tassinari 1992).
Gli imprenditori cinesi si inseriscono nel distretto industriale della
pelle e del cuoio, un ambito produttivo presente fin dagli anni Sessanta
nel territorio fiorentino80. Essi affittano i capannoni a imprenditori
italiani prossimi al fallimento (o che comunque reputano più conveniente
cederli piuttosto che continuare l’attività) e li suddividono in spazi
interni, occupati ciascuno da una ditta individuale a gestione familiare.
Lavorano per conto terzi su commissione di imprese italiane,
determinando come primo effetto la fuoriuscita dal mercato del lavoro di
alcune centinaia di lavoranti a domicilio che fino ad allora svolgevano
compiti di rifinitura per gli artigiani locali (Colombo et al. 1995).
In breve tempo, il loro inserimento a San Donnino dà luogo a
intense proteste da parte della popolazione locale, tanto che la piccola
frazione alle porte di Firenze viene alla ribalta delle cronache nazionali
per l’emergenza “cinesi” (Marsden 1994). Di tali problemi si farà carico
l’Amministrazione comunale di Campi Bisenzio che avvierà una serie di
controlli sui laboratori cinesi, sovente utilizzati come abitazioni81. I

80
Per dare un’idea della rilevanza che il settore della lavorazione pellettiera
aveva a livello locale (e in parte ha tuttora), nel censimento Istat del 1981 risulta che
la provincia di Firenze deteneva il 56% delle unità produttive e il 30% degli addetti
di tutto il territorio italiano (Bortolotti, Tassisnari 1992).
81
A tale proposito, riportiamo una dichiarazione del Sindaco di Campi
Bisenzio a un convegno, svoltosi nel 1994 presso la Baia fiesolana di Firenze:
“Quando si critica l’atteggiamento di Campi nei confronti dei cinesi, bisogna tener
conto del fatto che in proporzione è come se a Firenze fossero arrivate in due anni
200.000 persone in più. I sandonninesi sono 4.000 e i cinesi sono 2.000, di cui molti
clandestini e quindi indisponibili a farsi ‘contare’ [….] Al capannone Ugolini si
ammassavano 250-300 persone, laddove storicamente stavano 40 italiani a lavorare,

93
controlli, unitamente ad un clima sociale di forte ostilità nei loro
confronti, spingeranno molti migranti a trasferirsi in aree vicine, come la
zona industriale dell’Osmannoro (comune di Firenze) e i comuni di
Empoli e Prato82.
L’ampliamento della presenza nell’area fiorentina si deve, quindi,
sia a fattori endogeni al contesto locale che inducono gli immigrati a uno
spostamento verso località meno problematiche che a fattori esogeni,
legati al progressivo incremento, negli anni Novanta, degli arrivi dalla
madrepatria. I migranti giungono prevalentemente dal Zhejiang,
componente ancor oggi maggioritaria, dal Fujian e, in misura
sensibilmente minore, da alcune province del Centro-Sud (Guangdong,
Shandong e Guizhou) e del Nord-Est (Laioning, Jinan, Jilin) (Colombo
et al. 1995). Alla fine del 2010, come mostra la tab. IX.4, nel comune di
Firenze risiedono 3.852 cittadini cinesi.
Tab. IX.4. Cittadini cinesi residenti a Firenze suddivisi per genere (anni 2001-2010)
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
M 2.005 2.103 2.134 2.130 2.173 2.146 2.018 1.921 1.903 1.983
F 1.551 1.706 1.787 1.788 1.833 1.844 1.793 1.767 1.793 1.869
Tot. 3.556 3.809 3.921 3.918 4.006 3.990 3.811 3.688 3.696 3.852
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Firenze

Nel confronto fra il 2001 e il 2010, il numero di residenti cresce dell’8%,


anche se dal 2005 in poi si assiste a un movimento discendente delle
presenze. Più nel dettaglio, la tab. IX.5 illustra la distribuzione sul
territorio comunale, da cui si può notare la consistente concentrazione di
cittadini cinesi nel quartiere 5, area periferica circostante alla zona
industriale dell’Osmannoro e dell’aeroporto; secondo in ordine
d’importanza il quartiere 1, coincidente con il centro storico. L’una e
l’altra area di residenza trovano una certa corrispondenza con il tipo di
inserimento economico nel territorio comunale: laboratori manifatturieri
nella periferia, esercizi commerciali e (in parte) ristoranti nel centro
storico.

con divisori fatti in legno, scatoloni (pieni o vuoti), tendaggi… Lavoravano a turni
per 24 ore su 24. L’unica entrata consisteva in una scala a chiocciola, ogni
‘abitazione’ consisteva in due letti con 10 cm attorno […] Dopo i nostri interventi
sono diventati rari i casi di promiscuità e il numero di cinesi si è ridotto […]
(Colombo et al. 1995, 64).
82
Sulle forme di intolleranza manifestate nei primi anni Novanta da alcuni
segmenti organizzati della popolazione fiorentina si veda il dettagliato resoconto di
Anna Marsden (1994).

94
Tab. IX.5. Cittadini cinesi presenti nel comune di Firenze per quartiere di residenza
e distribuzione percentuale sul totale (anno 2010)

Quartiere 1 591 15,3%


Quartiere 2 145 3,7%
Quartiere 3 51 1,3%
Quartiere 4 161 4,1%
Quartiere 5 2.904 75,3%
Totale 3.852 100%
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Firenze

Rispetto a Firenze, il contesto metropolitano di Prato evidenzia


alcune significative differenze. Innanzitutto, il numero di cittadini cinesi
è sensibilmente superiore, sia in termini assoluti che in rapporto alla
popolazione locale. Con valori ridotti fino alla seconda metà degli anni
Novanta (1.525 nel 1995, 3.162 nel 1998), la loro presenza cresce dai
primi anni del Duemila fino a raggiungere, nel 2010, 11.882 residenti,
con un aumento rispetto al 2001 del 147%83.

Tab. IX.6. Cittadini cinesi residenti a Prato suddivisi per genere (anni 2001-2010)
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
M 2.582 2.826 2.845 3.619 4.682 5.441 5.600 5.272 5.694 6.128
F 2.224 2.509 2.612 3.194 3.945 4.636 4.831 4.655 5.183 5.754
Tot. 4.806 5.335 5.457 6.813 8.627 10.077 10.431 9.927 10.877 11.882
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Prato

La seconda differenza di rilievo riguarda la loro distribuzione sul


territorio: chiunque visiti per la prima volta il “quartiere cinese”, il cui
asse centrale si dipana lungo via Pistoiese e via Filzi, può agevolmente
notare come, a un certo punto, lo spazio sociale assuma contorni e
caratteristiche ben diverse dalle precedenti. Come mostra la tab. IX.7, i
cittadini cinesi sono prevalentemente concentrati nella circoscrizione
Centro, all’interno del quartiere San Paolo - a dieci minuti a piedi dal
vero e proprio centro storico - che da solo ospita il 41% di tutti i residenti
del comune.
83
Nel 2009, i residenti cinesi erano pari al 6% dell’intera popolazione
comunale e al 39% di tutti gli stranieri. Secondo alcuni resoconti, a Prato vi
sarebbero circa 40.0000 cittadini cinesi impiegati nel distretto manifatturiero, di cui
30.000 irregolari (Pieraccini 2010). Se rapportata al numero di residenti tale
valutazione implicherebbe la presenza di quasi tre irregolari su ogni cittadino cinese
regolare. Tuttavia, un rapporto regolari/irregolari di queste proporzioni contrasta
sensibilmente con le stime sulla popolazione irregolare riferite in precedenza.

95
Tab. IX.7. Cittadini cinesi presenti nel comune di Prato per circoscrizione di
residenza (anno 2010)
Nord 1.653 13,9%
Est 643 5,4%
Sud 2.267 19,0%
Ovest 2.400 20,1%
Centro 4.919 41,3%
Tot. 11.882 100%
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Prato

Al contrario di quanto accade per il capoluogo toscano, dove i cittadini


cinesi risiedono per lo più nella periferia cittadina senza dare luogo a una
precisa demarcazione dello spazio urbano, a Prato, si percepisce
immediatamente la loro separatezza fisica e sociale rispetto al contesto
più ampio84.

2.1 Distretti industriali e imprese cinesi

L’inserimento economico delle imprese cinesi nell’ambito dei


distretti industriali di Firenze e Prato ha avuto luogo secondo modalità e
fasi che, in linea di massima, sono riscontrabili in altre aree del territorio
italiano contraddistinte da simili caratteristiche di contesto.
Grazie alla possibilità di abbattere i costi di produzione per tutta
una serie di motivi menzionati in precedenza sui quali non ritorniamo, le
imprese cinesi dell’area fiorentina si sono agevolmente inserite
all’interno dei settori manifatturieri del cuoio (Firenze) e delle confezioni
(Prato), utilizzando quelle sinergie funzionali che da tempo hanno
caratterizzato la nascita e lo sviluppo dei distretti industriali nel Centro-
Nord, come la disponibilità di ben avviate strutture logistiche di
comunicazione e la consueta pratica della produzione per conto terzi. Un
sistema di commissione del lavoro che ha coinvolto e tutt’ora coinvolge,
seppur in modo minore rispetto al passato, le imprese cinesi nella

84
In uno dei vari sopralluoghi nel “quartiere cinese”, siamo stati
accompagnati da un collega che, rivolgendosi in cinese ad alcune persone all’interno
di vari esercizi commerciali, ha potuto notare quanto per queste fosse insolito
interloquire nella loro lingua con un italiano. Un segnale dello stesso tenore è stato
osservare nella via centrale del quartiere un annuncio in caratteri cinesi di servizi
sessuali a pagamento con su scritto: “follie d’amore” e relativo numero di telefono;
segno del fatto che chi lo ha affisso pensava che solo i connazionali ne avrebbero
compreso il significato.

96
rifinitura di prodotti per conto di committenti italiani, grandi marchi
inclusi che, in modo diretto o indiretto, ovvero tramite imprese autoctone
“intermediarie”, fanno affidamento alle ben più economiche imprese
cinesi labor intensive.
A questa prima fase, che per Firenze avviene alla fine degli anni
Ottanta e per Prato all’inizio del decennio successivo, ne è seguita una
che ha portato, da un lato, a un ampliamento delle quote di mercato a
vantaggio delle imprese cinesi e, dall’altro, alla costituzione di una
propria filiera volta a inglobare sia la produzione che la distribuzione
commerciale. Tale è il caso, ad esempio, della produzione di borse e
prodotti in pelle che vengono commercializzati nel centro storico
fiorentino presso connazionali titolari di esercizi commerciali, o del
“pronto moda” a Prato, venduto sia a grossisti connazionali che ad altri
acquirenti. Di recente, infine, vi è stato lo spostamento dalla produzione
manifatturiera alla distribuzione commerciale, causato dalla concorrenza
delle imprese in madrepatria che producono a prezzi competitivi.
Per illustrare i mutamenti di questi ultimi anni, riportiamo i dati
sulle imprese cinesi delle province di Firenze e di Prato, suddivise per
forma giuridica e successivamente i principali ambiti economici delle
sole imprese individuali.

Tab. IX.8. Imprese cinesi attive nella provincia di Firenze per forma giuridica (anni:
2004-2010)
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Società capitale 93 100 98 114 143 151 158
Società persone 365 368 370 372 381 415 419
Impr. Individuali 2.426 2.538 2.618 2.765 2.903 2.919 3.099
Altre forme 4 2 3 4 4 4 4
Totale 2.888 3.008 3.089 3.255 3.431 3.489 3.680
Fonte: elaborazione personale su dati InfoCamere

Rispetto al 2004, le imprese crescono del 27%; sebbene le società di


capitale denotino l’aumento più consistente (+70%), le ditte individuali
continuano a rappresentare la quota largamente predominante delle
attività economiche gestite dai cittadini cinesi (84% per il 2010).
In linea con l’originario inserimento produttivo, la lavorazione del
cuoio rappresenta tuttora, per le ditte individuali, la principale attività
nella provincia di Firenze: pari nel 2010 a 1.581 imprese. Seguono,
seppur a distanza, le confezioni (793), mentre al terzo e quarto posto vi
sono le attività legate al commercio all’ingrosso e al dettaglio. In effetti,
le attività commerciali hanno avuto nel corso di questi ultimi anni dei

97
tassi di incremento particolarmente alti, ben superiori ad altre attività:
mentre nel 2004 queste imprese erano 178 (commercio all’ingrosso) e
174 (commercio al dettaglio), nel 2010 sono rispettivamente 298 (+67%)
e 282 (+62%).
Diversamente da Firenze, la provincia di Prato ospita un numero
particolarmente alto di imprese cinesi: 5.164 nel 2010, corrispondenti al
15% di tutte le imprese locali (Caserta, Marsden 2011). Esse hanno
avuto, dal 2004 a oggi, un aumento complessivo del 131%, con tassi di
incremento più consistenti per le imprese individuali (+141%) e le
società di capitali (+142%).

Tab. IX.9. Imprese cinesi attive nella provincia di Prato per forma giuridica (anni:
2004-2010)
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Società capitale 173 240 322 367 384 391 419
Società persone 287 327 342 385 428 481 478
Impr. Individuali 1.768 2.090 2.641 3.083 3.471 3.936 4.256
Altre forme 11 11 11 11 11 11 11
Totale 2.239 2.668 3.316 3.846 4.294 4.819 5.164
Fonte: elaborazione personale su dati InfoCamere

Fra le sole ditte individuali, il comparto delle confezioni


costituisce nel 2010 l’ambito prevalente, con le sue 3.141 imprese (+136
rispetto al 2004). Sono imprese inserite sia nella produzione per conto
terzi che artefici del prodotto finito. Per quest’ultimo, si tratta per lo più
del “pronto moda”, un tipo di produzione che ben si adatta, per tipo di
mercato, bassa specializzazione professionale e rapidi ritmi di consegna,
alle caratteristiche dei laboratori cinesi.
La seconda categoria in ordine d’importanza è il commercio
all’ingrosso, che presenta il tasso di incremento più alto, passando da 60
imprese nel 2004 a 301 nel 2010 (+402); la terza è costituita dal
commercio al dettaglio: 232 imprese nel 2010 (+119% rispetto alle 106
del 2004). Gli esercizi commerciali si occupano per lo più della vendita
di capi d’abbigliamento, si tratti di beni importati direttamente dalla Cina
o prodotti in loco sui quali viene apposto, in modo lecito o illecito,
l’etichetta Made in Italy. Il distretto industriale di Prato è uno dei
principali luoghi di vendita su scala nazionale di capi d’abbigliamento a
basso costo, particolarmente ricercati da una pluralità di rivenditori, sia
connazionali e negozianti italiani del Centro-Nord che intermediari di
vari paesi europei.

98
L’ultimo ambito in ordine d’importanza riguarda la produzione
tessile, corrispondente nel 2010 a 200 ditte individuali, anch’esse con
tassi d’incremento ragguardevoli (+ 59% rispetto al 2004). Tuttavia,
occorre ricordare a questo proposito che, in ragione dei consistenti
investimenti iniziali, si tratta per lo più di imprese coinvolte “quasi
soltanto in lavorazioni a diretto servizio della confezione [oppure] sono
emersi casi sporadici di rapporti di subfornitura con imprese pratesi”
(Marini 2010, VIII).

2.2 La criminalità organizzata

Il primo rilevante procedimento giudiziario del tribunale di


Firenze sulla criminalità organizzata cinese risale al maggio 1999, che
sancisce la condanna per associazione mafiosa nei confronti di oltre
venti persone. Le investigazioni presero avvio grazie alla collaborazione
con l’autorità giudiziaria di un cittadino francese, addetto per conto dei
trafficanti cinesi al trasporto di migranti fra la Francia, l’Italia e alcuni
paesi dell’Est Europa. A tale individuo, reclutato da un suo conoscente
cinese, ristoratore nella città di Fontaineblau, si aggiunsero
successivamente alcuni collaboratori cinesi, ex-appartenenti ai gruppi
criminali. L’insieme delle informazioni raccolte permise di portare alla
luce l’esistenza di alcuni gruppi criminali operanti a Firenze, Empoli,
Lucca e Viareggio.
Più nello specifico, si trattava di formazioni criminali collegate fra
loro da vincoli parentali: la famiglia Xiang, che aveva la propria base
nella città di Firenze, era a sua volta imparentata con alcuni membri della
famiglia Zheng di Empoli. Secondo alcune fonti confidenziali raccolte
dalle forze dell’ordine, nei primi anni Novanta il gruppo criminale più
potente a Firenze era rappresentato dalla famiglia Lin. Tuttavia, la morte
in carcere di uno dei due fratelli Lin nel 1993 e il successivo ritorno in
Cina dell’altro, crearono le condizioni perché la famiglia Xiang
assumesse la supremazia criminale all’interno della locale comunità
cinese.
I condizionamenti che l’associazione criminale era in grado di
mettere in atto sull’intera comunità “fiorentina” troveranno riscontro
nelle diffuse reticenze e titubanze manifestate da quasi tutti i cittadini
cinesi ascoltati nel corso del dibattimento. Come riporta il giudice, “vi
sono stati soggetti che hanno riferito informalmente alla polizia
giudiziaria in ordine a fatti criminosi ma si sono poi rifiutati di

99
verbalizzare le loro dichiarazioni […]. Vi sono coloro che, pur avendo
reso dichiarazioni accusatorie durante le indagini, in dibattimento hanno
con evidenza cercato di invalidarne il significato tramite risposte evasive
e il ricorso artificioso a difficoltà linguistiche” (Trib. Firenze 1999, 6).
Infine, ancor più grave, alcune vittime che avevano reso dichiarazioni
accusatorie nei confronti degli imputati sono state “uccise o hanno subito
reazioni così pesanti ([ovvero] percosse tali da determinare la perdita
quasi totale della vista), da parte di loro connazionali da indurli a
desistere da tale comportamento collaborativo” (Ibidem).
L’esponente più anziano della famiglia Xiang era “il personaggio
che nella comunità cinese fiorentina ha costituito (almeno dai primi anni
’90 fino al 1996) il punto di riferimento principale in tutte le attività,
lecite e illecite, che si svolgevano all’interno della comunità, colui che
dettava le regole del vivere sociale ed aveva il potere di farle rispettare,
sia che attenessero a leciti rapporti interpersonali [si rammentano le
pressioni esercitate su una donna che, decisa ad abbandonare il marito, le
fu imposto di rinunciare al proprio figlio] sia che attenessero ad attività
criminose [riferite alla funzione di paciere per dirimere contrasti insorti
fra gruppi criminali contrapposti]” (Ivi, 53). A conforto di tali
valutazioni, vi sono alcune testimonianze di cittadini cinesi rese agli
investigatori, per la gran parte ritrattate in sede di dibattimento, come la
seguente: “posso affermare che a Firenze ogni situazione relativa
all’immigrazione clandestina ed estorsioni deve avere il beneplacito
della famiglia Xiang” (Ivi, 70).
All’interno del più ampio fenomeno del gioco d’azzardo, le
famiglie Xiang e Zheng gestivano alcune bische clandestine a cui
partecipavano imprenditori e ristoratori facoltosi: negli appartamenti le
scommesse erano nell’ordine di 8-9 milioni di lire, mentre negli alberghi,
dove di solito partecipava un numero maggiore di persone, potevano
arrivare fino a 200-300 milioni di lire. Gli organizzatori svolgevano il
ruolo di “banca”, prestando denaro fino a tassi annuali del 600% ai
partecipanti.
Un elemento che desta particolare preoccupazione riguarda la
capacità di queste famiglie criminali di esercitare, nel corso degli anni,
sensibili condizionamenti sulle strutture associative della comunità.
Nonostante gli arresti e le condanne nel procedimento menzionato in
precedenza, tale aspetto ha trovato, qualche anno dopo, ulteriori
riscontri. Secondo la testimonianza di un cittadino cinse “l’associazione
di C.T. [ovvero una delle due associazioni presenti a Firenze nel 2003] è,

100
di fatto, una struttura di copertura dietro la quale operano persone di
estrema pericolosità che incutono, con atti intimidatori, terrore verso la
stessa comunità, il tutto per imporre la loro presenza egemonica sul
territorio. […] Queste sono persone molto pericolose perché legate ad
ambienti malavitosi presenti a Firenze e Prato ed anche perché sono in
stretto contatto con criminali provenienti dalla Francia”.
Di analogo tenore, la testimonianza di un imprenditore (cinese)
che ha denunciato di aver subito ripetute aggressioni perché si era
opposto alle richieste estorsive: “attualmente a Firenze ci sono due
associazioni cinesi: la prima è diretta dal cinese W.T., l’altra, da C.T.
[…]. L’associazione cui fa riferimento W.T. è composta generalmente
da commercianti e piccoli imprenditori; la loro gestione è piuttosto
regolare e, per questo, la loro opera è stata apprezzata per lungo tempo
dalla gran parte dei cinesi. Attualmente, il lavoro svolto da W.T. e dagli
altri soci è offuscato dalla presenza dell’associazione diretta da C.T. Non
ho timore a definire il gruppo di C.T. come una vera e propria
associazione mafiosa: sia perché la cosiddetta ‘associazione’ è composta
da persone molto pericolose e con precedenti penali, sia perché le stesse
stanno imponendo alla comunità un regime di terrore. Infatti, alla gran
parte dei titolari di medie e grandi aziende viene imposto di pagare
ingenti somme di denaro per ‘essere protetti’: le persone che aderiscono
alle richieste entrano a far parte dell’associazione e possono svolgere il
loro lavoro senza alcun problema… Sono al corrente che molti cinesi che
si sono opposti al pagamento imposto dall’associazione di C.T. sono stati
vittime di aggressioni violente e ripetute minacce: fatti mai denunciati
alle autorità di polizia italiana per il timore di nuove ripercussioni e per
la mancanza di fiducia riposta in esse”85(Trib. Firenze 2003, 16-17).
Da notare, inoltre, che il presidente dell’associazione cinese
appena citato, era in stretto contatto con un certo Z.L., il quale a sua
volta era legato con il patriarca della famiglia Xiang (condannato in via
definitiva nel 2001 con sentenza della Corte di Cassazione). Anzi, tale
Z.L., a seguito degli arresti subiti dalla famiglia Xiang alla fine degli
anni Novanta, si sarebbe imposto quale diretto successore, affermando
con la propria “reggenza il carisma e la determinazione che hanno
caratterizzato questo clan” (Pezzuolo, Manfrellotti 2008, 61).

85
Va detto che il collegio giudicante ha condannato molti degli imputati
coinvolti, senza tuttavia riconoscere l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso
facente capo all’associazione gestita da tale C.T., poiché secondo i magistrati non
sono emerse prove circostanziate in tal senso (Trib. Firenze 2005b).

101
I gruppi criminali presenti da più tempo nella zona (il clan Xiang e
in seguito alcuni elementi ad essi collegati) hanno dovuto fronteggiare
l’arrivo di nuove formazioni criminali, intenzionate a mettere in
discussione gli assetti criminali esistenti. Ciò ha dato luogo a fasi di
scontro e a successive ricomposizioni, risolvendosi comunque a
vantaggio delle famiglie criminali locali sulle formazioni venute da altre
città. E’ il caso, ad esempio, di una banda arrivata da Roma con
l’intenzione di organizzare delle bische clandestine a Firenze che ha
dovuto desistere dai propri propositi dopo che il membro più anziano
della famiglia Xiang li ha ammoniti dicendo loro: “andate all’altro posto
a fare, non venite qua, qui occupo solo io” (Trib. Firenze 1999, 146). E
ancora, come quando un gruppo criminale riparato a Prato per sfuggire
alla polizia francese, entra in conflitto con uno presente da tempo a
Firenze per questioni legate al controllo sulle principali attività illecite
(immigrazione illegale, rapine ed estorsioni). Conflitto infine ricomposto
grazie alla mediazione di un personaggio cinese proveniente da Roma
che nel 2003 ha organizzato una sorta di “commissione di anziani”,
inducendo i due gruppi, quello di Firenze e quello dei “francesi” a
collaborare, stabilendo sinergie reciprocamente vantaggiose nella
gestione dell’immigrazione illegale (Trib. Firenze 2005a).
Nell’insieme, si tratta di equilibri criminali relativamente instabili,
entro i quali il vantaggio di un gruppo a scapito degli altri dipende, prima
di tutto, dalla forza “militare” che ciascuno è in grado di far valere e dei
collegamenti con personaggi che godono di una certa autorevolezza
nell’ambiente criminale italiano e internazionale (interno
all’immigrazione cinese). La configurazione di nuovi assetti criminali è
inoltre influenzata, seppur involontariamente, dalle attività di law
enforcement, che causano un mutamento nei rapporti di forza fra attori
criminali, determinando una posizione di vantaggio per quelli che, sul
momento, non vengono scalfiti dalle operazioni di contrasto.
A proposito, invece, del contesto pratese, in città vi sono almeno
tre bande, ciascuna costituita da alcune decine di elementi di età
variabile fra i 16 e i 25 anni. Solitamente esse si identificano con lo
pseudonimo adottato dal loro capo, come ad esempio il caso della banda
del “Monaco”, il cui appellativo evoca vaghi riferimenti alla tradizione
dell’associazionismo segreto cinese86.

86
Tale appellativo viene utilizzato anche da alcune bande di Milano e Torino.
Intervista a un rappresentante delle forze dell’ordine (Milano, 10 settembre 2010).

102
Queste formazioni criminali sono coinvolte in varie attività
illecite, come l’importazione e il commercio di sostanze stupefacenti
(ecstasy, chetamina e kefen) che fanno arrivare da alcuni paesi del Nord
Europa tramite una propria rete di connazionali, e lo sfruttamento della
prostituzione, che avviene all’interno di case di appuntamento rivolte
principalmente a cittadini cinesi. Gli appartenenti alle bande vengono
assoldati dai gestori delle case di appuntamento per evitare di essere
sottoposti a rapine ed estorsioni, in alternativa, sono gli stessi capi del
gruppo criminale che gestiscono le case di appuntamento.
Le bande tendono ad aggregarsi sulla base di determinate aree di
origine, come le città di Wencheng per i gruppi zhejiangesi e di Changle
per i fujianesi di Prato. Alcuni recenti fatti di sangue avvenuti in città,
come l’uccisione nel luglio 2009 di un giovane di 16 anni e l’omicidio
di altri due nel giugno 2010 si inseriscono all’interno di uno scontro fra
bande di Wencheng, da un parte, e di Chang Le, dall’altra, per il
controllo delle principali attività illecite. Le bande del Fujiem, più
agguerrite e violente, avrebbero a capo, secondo la testimonianza di un
collaboratore di giustizia, un certo A.R., un “personaggio che ha molta
influenza nella città di Prato e commette insieme al suo gruppo molti
crimini”. Egli gestisce inoltre una bisca clandestina frequentata da molti
cittadini cinesi di un paesino del Fujian, e “quando i giocatori finiscono
i soldi, il gruppo di A.R. glieli presta e poi li vanno a chiedere a usura,
‘a strozzo’ con tassi di interesse molto alti” (Trib. Prato 2009a, 24).
Mentre, da un lato, le bande si muovono autonomamente sul
territorio, dall’altro, prestano i loro servigi, ovvero l’utilizzo della
violenza, a elementi criminali di maggior spessore, i quali forniscono
loro vitto, alloggio e spese quotidiane. Una conversazione fra due
individui, dove il primo (A) chiede all’altro (L) se è disponibile a
ricevere sotto la sua “protezione” un gruppo di cinque persone, dà conto
del rapporto che intercorre fra il “capo/protettore” e i componenti più
giovani delle bande:
A.: Tu guarda, se ti va bene gli do il tuo numero di telefono per farvi
incontrare.
L.: Ti dico come stanno le cose, noi siamo già più di dieci quando
rientreranno [alcuni appartenenti al gruppo si sono recati
temporaneamente in Cina].
A.: Qui ci sono due, tre persone che sono particolarmente intelligenti,
quando fanno le cose sono sempre calmi, non sono agitati.

103
L.: Se vengono bisogna trovare una casa, e come spese anche se
spendono 100 euro a persona al giorno, sono 500 euro, non ce la faccio a
mantenerli.
A.: Tu digli chiaramente… Io gli dico di fare i bravi.
L.: A ogni persona bisogna comprare un pacchetto di sigarette, giusto?
Ogni giorno bisogna comprare una stecca di sigarette, ogni giorno come
spese spendono più di 100/200 euro, ho paura di sostenerli! […]. B. e
J. [i capi di altre due bande] sono intelligenti perché controllano i
ragazzi, che si sostengono per conto loro e quando hanno bisogno
chiedono [a B. e J.] qualche cento euro. B. e J. in un mese spendono
1.000/2.000 euro per darli a questi ragazzi, così in questo modo non
fanno casino […]”
A.: Allora digli di prendere le stanze per conto loro.
L.: Allora in questo modo gli devo dare i soldi?
A.: Altrimenti… intanto vi incontrate, li faccio venire lì da te. Gli do
1.000 euro e se non ti vanno bene li faccio tornare qua [a Milano]. Va
bene?
L.: Comunque se tu vieni e fai qualcosa, si può parlare. Altrimenti io non
posso sostenere tutte queste persone [in realtà, il timore
dell’interlocutore è che, una volta chiamati, decidano di muoversi
autonomamente perché “vogliono fare i grandi, vogliono diventare
famosi”].
A.: Di quello ne parliamo dopo, fra una settimana.
L.: Comunque tu digli ai ragazzi che fra dieci giorni vado in Spagna e
non gli dire che sto a Empoli.
A.: Ma io a loro ho detto che eri andato a Catania, in Sicilia.
L.: Comunque se vengono gli si offre una cena… A Prato in questo
momento c’è tanto casino, ci sono tanti gruppi. Se loro sono paesani di
uno di questi gruppi, e succedono delle liti tra i gruppi, loro si
metteranno con il gruppo dei loro paesani (Trib. Prato 2008c, 18-19).
Mentre più elementi avvalorano l’esistenza di strette relazioni fra
giovani disposti a ricorrere alla violenza e figure adulte di maggior
spessore inserite nella gestione delle attività illecite, a proposito di
eventuali collegamenti fra criminalità e strutture associative interne alla
locale comunità cinese non risultano, al momento, segnali precisi in tal
senso. Tuttavia, secondo alcune valutazioni, queste relazioni avrebbero
luogo, anche se al momento non hanno trovato precisi riscontri sotto il

104
profilo giudiziario87. Le bande presterebbero, in caso di bisogno, i loro
servigi ad alcune figure influenti della comunità per risolvere
controversie interindividuali di vario tipo, si tratti di veri e propri
regolamenti di conti che di promesse non mantenute da una delle due
parti in gioco. La relazione che intercorre con alcuni personaggi di
prestigio della comunità - secondo gli investigatori si tratterebbe di circa
10-12 persone - presenta alcune ambiguità di fondo, derivanti
essenzialmente da una mancanza di conoscenze approfondite.
Tali ambiguità hanno a che fare, come riferisce un rappresentante
delle forze dell’ordine col fatto che “assistiamo a uno scontro fra bande
che si fronteggiano per il controllo delle principali attività illecite,
tuttavia questo è ciò che appare. Mentre, al contrario, abbiamo sentore di
collegamenti fra bande criminali e personaggi influenti della comunità,
anche se questi fanno molta attenzione a non compromettersi, a non
sporcarsi le mani”88. L’esistenza di una “zona grigia”, costituita da un
livello di interposizione fra figure legali ed elementi propriamente
criminali sarebbe garantita dai leader delle bande, anello di congiunzione
fra i due ambiti, i quali intrattengono relazioni privilegiate con elementi
influenti della comunità, a insaputa degli stessi appartenenti al gruppo
criminale.
Non va inoltre sottovalutata la capacità di alcuni personaggi interni
alla comunità di intrattenere relazioni collusive con appartenenti alle
agenzie di law enforcement. Certo D.B., con precedenti penali per
favoreggiamento dell’immigrazione illegale, è stato accusato nel marzo
del 2010 di aver corrotto alcuni appartenenti alle forze dell’ordine per
ottenere il rilascio di permessi di soggiorno per i propri connazionali e di
collusione con alcuni carabinieri che gli comunicavano in anticipo le
ispezioni a carico di imprenditori cinesi del settore alimentare. Tale
personaggio poteva entrare nelle celle di sicurezza della questura per
parlare con i connazionali in stato di fermo, dopo i blitz nei laboratori
delle confezioni, ostentando la propria amicizia con il personale di
polizia e accreditandosi così, agli occhi della comunità, come efficace
risolutore di problemi. Le vicende in cui D.B. è stato coinvolto fanno
ritenere che si tratti, come del resto è stato confermato dalle persone
intervistate, di un “faccendiere” particolarmente capace nell’intessere

87
Interviste ad alcuni esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine
(Prato, 15 maggio 2010).
88
Intervista effettuata a Prato (5 luglio 2010).

105
relazioni sociali - le cosiddette guanxi - incentrate sullo scambio di
favori reciproci.
In conclusione, per quanto non vi siano precisi elementi che
dimostrino l’esistenza di un connubio fra attori legali e illegali
all’interno della comunità cinese di Prato, quanto riferito desta una certa
preoccupazione, se non altro per le capacità di taluni personaggi di
stabilire relazioni collusive con vari soggetti appartenenti all’apparato di
law enforcement.

3. Roma

La presenza di uno sparuto gruppo di cittadini cinesi risale al


1949, anno in cui viene aperto a Roma il primo ristorante cinese (Melotti
2006). E’ tuttavia con la prima regolarizzazione del 1986 che essi
assumono una certa consistenza, fino a raggiungere, nel 2010, oltre
13.000 presenze. Come si può ricavare dai dati della tab. IX.10, dal 2001
al 2010 i cittadini cinesi residenti nel comune di Roma hanno avuto un
aumento del 121%.

Tab. IX.10. Cittadini cinesi residenti a Roma suddivisi per genere (anni 2001- 2010)
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
M 3.344 3.520 3.845 4.289 4.512 4.860 5.167 5.572 6.383 7.368
F 2.840 3.054 3.309 3.641 3.870 4.191 4.488 4.863 5.536 6.280
Tot. 6.184 6.574 7.154 7.930 8.382 9.051 9.655 10.435 11.919 13.648
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Roma

Il quartiere Esquilino è il principale luogo di insediamento dei migranti


cinesi. Analogamente con quanto rilevato per le città di Milano e Prato,
il quartiere presenta una specifica configurazione dello spazio urbano,
dovuta per lo più all’alto numero di esercizi commerciali cinesi che
occupano le vie attorno a Piazza Vittorio. Infatti, solo una parte
minoritaria, seppur consistente, di tutti i cittadini cinesi presenti nella
capitale risiede all’Esquilino. Come mostra la tab. IX.11, essi abitano in
modo altrettanto rilevante nei municipi VI e VIII, lungo le vie Casilina,
Prenestina e Tuscolana (Lucchini 2008).
La composizione interna dei cittadini cinesi di Roma riflette in
gran parte le caratteristiche esistenti sul piano nazionale. A parte una
quota minoritaria proveniente da Hong Kong e Taiwan, la componente
maggioritaria è rappresentata dai migranti originari del Zhejiang,
seguono i cinesi del Fujien e delle province del Nord-Est.

106
Tab. IX.11. Primi dieci municipi del comune di Roma per numero di popolazione
cinese residente e percentuale rispetto al totale (anno 2010)
Anno 2010 %
I. Esquilino, Monti, Trastevere, Celio 3.251 23,8%
VI. Tiburtino, Prenestino, Tuscolano 2.451 17,9%
VIII. Torre Spaccata, Torre Maura, Torre Gaia 2.032 14,8%
X. Tuscolano, Don Bosco, Appia Pignatelli 855 6,2%
VII. Tuscolano, Collatino, Don Bosco 807 5,9%
IX. Tuscolano, Prenestino, Appio Latino 649 4,7%
XI. Appia Pignatelli, Ostiense, Ardeatina 522 3,8%
V. Tiburtino, Pietralata, Collatino 502 3,6%
XV. Portuense, Pisana, Magliana 476 3,4%
IV. Monte Sacro, Val Melaina 352 2,5%
Totale primi dieci municipi 11.897 87,1%
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Roma

3.1. Le imprese cinesi nel tessuto economico della capitale

Diversamente da quanto è avvenuto a Milano e nell’area


fiorentina, dove vi è stato un iniziale inserimento nella produzione
manifatturiera, a Roma le prime attività economiche hanno interessato il
settore della ristorazione. Secondo alcuni resoconti, fino a metà degli
anni Novanta, la ristorazione “rappresentava ancora la principale fonte di
guadagno per i cinesi di Roma” (Wulian 2008, 18).
Al fine di avere una visione aggiornata, riportiamo la tipologia
giuridica delle imprese attive nella provincia di Roma e, più in dettaglio,
le principali informazioni sugli ambiti economici in cui sono presenti le
sole ditte individuali. Nel confronto fra il 2004 e il 2010, le diverse
tipologie di imprese cinesi crescono in modo consistente, con un tasso
percentuale complessivo del 91% (tab. IX.12). Tra queste, le società di
capitale, ovvero quelle che hanno una struttura giuridica più articolata,
denotano i tassi più elevati (+149%).

Tab. IX.12. Imprese cinesi attive nella provincia di Roma per forma giuridica (anni:
2004-2010)
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Società capitale 323 367 398 442 796 792 805
Società persone 482 468 464 492 725 712 722
Impr. Individuali 1.251 1.454 1.652 1.857 1.997 2.135 2.414
Altre forme 7 7 6 6 6 6 7
Totale 2.063 2.296 2.520 2.797 3.542 3.645 3.948
Fonte: elaborazione personale su dati InfoCamere

107
A proposito delle ditte individuali, al primo posto vi sono le
imprese commerciali (al dettaglio e all’ingrosso), rispettivamente 1.289 e
530 nel 2010: le prime hanno avuto, dal 2004 a oggi, una crescita del
145%, mentre le seconde del 73%. Per capire quanto il settore del
commercio caratterizzi le attività imprenditoriali dei cittadini cinesi basti
dire, a questo proposito, che le due categorie Ateco (Commercio al
dettaglio e all’ingrosso, esclusi autoveicoli) ammontano nel 2010 a
1.819, ovvero al 75% di tutte le 2.414 ditte individuali esistenti nella
provincia. Al terzo posto vi sono le attività di ristorazione (273 imprese)
e al quarto i laboratori di confezioni (102).
Il quartiere Esquilino, luogo di concentrazione della gran parte
delle attività commerciali, svolge la funzione di gigantesco trade center
per acquirenti all’ingrosso provenienti da tutt’Italia, si tratti di
connazionali, italiani o altri stranieri (D’Agostino 2005). Tuttavia, chi
percorra le strade che si affacciano su Piazza Vittorio, può rimanere
sorpreso dalla scarsità di clienti che frequentano i negozi cinesi, visto
che quasi sempre si tratta di luoghi vuoti o semivuoti, dall’aspetto
disadorno e poco curato, come se i gestori non fossero particolarmente
interessati ad attirare nuova clientela.
Tale impressione è confermata da alcuni ricercatori che di recente
hanno svolto uno studio sulle attività commerciali del quartiere. Essi
hanno parlato di “modello vuoto” cinese, volendo indicare sia la scarsità
di clienti che la mancanza nei luoghi di vendita degli esercenti di
qualsiasi riferimento alla loro cultura di origine. Una rappresentazione
esteriore che si pone in netto contrasto con il “modello bazar” dei
contigui negozi bengalesi e pakistani, i cui ornamenti evocano una
propria specificità geografica e culturale. Mentre questi si distinguono
per l’utilizzazione “intensiva e caotica delle vetrine e degli spazi interni
nei quali gli esercenti espongono le diverse merci […] Lo spazio asettico
degli interni e la sotto-utilizzazione espositiva delle vetrine si mostrano
come caratteristiche costanti dei negozi cinesi dell’Esquilino” (Berrocal
et al. 2008, 65).
L’apparente disattenzione nella cura dei negozi cinesi troverebbe
una propria ragione nel fatto di essere, per lo più, attività commerciali
all’ingrosso, rivolte a clienti che comprano in stock centinaia e migliaia
di capi di abbigliamento alla volta. In effetti, “se poi si intende
acquistare una merce, l’evidenza del commercio all’ingrosso si pone
quando il prezzo per un singolo capo d’abbigliamento risulta di gran
lunga superiore (fino a sei, sette volte) di quello che gli esercenti

108
propongono per l’acquisto in serie dello stesso prodotto” (Ivi, 67-68)89.
La commercializzazione di capi d’abbigliamento provenienti dalla
madrepatria costituisce il settore maggiormente remunerativo degli
imprenditori di Roma90. Per capire quanto quest’ambito consenta dei
margini di profitto di gran lunga superiore a qualsiasi altro, abbiamo
fatto riferimento a un indicatore che esemplifica la rilevanza del
commercio di prodotti importati dalla Cina. Ci riferiamo al prezzo
d’affitto per metro quadrato dei capannoni lungo la Casilina e la
Prenestina dove viene momentaneamente allocata la merce sdoganata dai
porti di Napoli e di Civitavecchia, in attesa di entrare nel circuito della
distribuzione commerciale. Nel corso di alcune osservazioni sul campo,
è stato appurato che l’affitto mensile di un capannone di mille metri
quadrati va da 10.000 a 20.000 euro91. A Milano, al contrario, vi sono
prezzi sensibilmente inferiori, pari a circa 6.000 euro, mentre a Prato,
dove la gran parte dei capannoni viene adibita a laboratori
manifatturieri, il costo mensile si colloca fra 2.500 e 3.000 euro.
I prezzi di Roma, che a una prima impressione possono sembrare
esorbitanti, non devono tuttavia stupire perché un container di quaranta
piedi contenente capi di abbigliamento ha un valore commerciale
nominale di circa 60-70.000 euro, per un costo totale, inclusi dazi e Iva,
di 100.000 euro. A tale cifra corrisponde un margine netto di circa il

89
Gli autori precisano che oggi i negozianti cinesi appongono i cartellini con
il prezzo su ciascun prodotto, mentre nel 2005, quando è stata effettuata la ricerca,
era molto raro che ciò accadesse (Berrocal et al. 2008). A questo proposito, occorre
ricordare che nei primi anni del Duemila la presenza di esercenti cinesi nel quartiere
suscitò molte proteste da parte della popolazione (infastidita per le operazioni di
carico e scarico merci), e dei negozianti, che li accusavano di concorrenza sleale
svolgendo attività all’ingrosso nonostante fossero in possesso di una licenza di
vendita al dettaglio. Con l’entrata in vigore della l. 22/2001, che vieta il commercio
all’ingrosso nei centri storici, l’Amministrazione comunale decise di spostare nella
periferia di Roma, in una grande area presso Ponte Galeria denominata Commercity,
lo stoccaggio delle merci di produzione cinese (D’Agostino 2005).
90
Il collaboratore di giustizia Salvatore Giuliano, capo dell’omonimo clan
camorristico, coinvolto nei primi anni del Duemila, fra le altre cose, nella compra-
vendita di immobili nel quartiere Esquilino, riferisce che “un negozio, cederlo a un
cinese poteva… si poteva ricavare, per esempio, sette-ottocentomila euro in contanti”
(Trib. Roma 2008, 115).
91
Intervista a un cittadino cinese, il cui fratello ha un’impresa di import-
export con la Cina (Roma, 15 maggio 2010).

109
10%92. Se poi aggiungiamo che di solito la merce staziona pochi giorni
nei magazzini, pronta per essere sostituita da nuovi arrivi, possiamo
intuire che chi è inserito nelle attività di import-export con la Cina abbia
dei volumi d’affari tali da poter agevolmente sopportare costi anche
molto alti per l’affitto dei luoghi di stoccaggio93. In definitiva, le imprese
cinesi della capitale sono per la gran parte inseriti nel settore dei servizi
(commercio e ristorazione) e solo in via marginale in altri ambiti.

3.2 Il contesto criminale metropolitano

Al Tribunale di Roma si deve, nel 1995, la prima condanna in


Italia per 416 bis nei confronti di un gruppo di cittadini cinesi,
appartenenti a un’associazione criminale denominata “Testa di Tigre”, al
cui vertice vi era un certo Zhou Yiping (Trib. Roma 1995). Il
procedimento giudiziario ebbe origine da alcuni fatti di sangue collegati
a uno scontro fra Zhou Yiping e tale Liao Zhonglin, a capo di un’altra
associazione criminale. Entrambe inserite nella gestione
dell’immigrazione illegale, le due organizzazioni entrarono in conflitto
all’inizio degli anni Novanta perché degli appartenenti al gruppo di Liao
si erano appropriati del riscatto di alcuni migranti a insaputa dell’altra
formazione. In breve, lo scontro degenerò velocemente in una vera e
propria lotta di potere interna alla comunità, la cui posta in gioca era la
presidenza della neonata “Associazione dei cinesi di Roma”, a cui
entrambi i leader ambivano. Il conflitto, che condusse a omicidi da una
parte e dall’altra, a sequestri di persona ed estorsioni a danno di
ristoratori legati all’uno o all’altro gruppo, si concluse con la vittoria sul

92
Secondo le stime riferite, rispetto a un container contenente 9-10 tonnellate
di capi d’abbigliamento, il margine netto per l’importatore è di circa mille euro per
tonnellata. Interviste a due rappresentanti delle forze dell’ordine (Milano, 19
gennaio 2010; Roma, 22 maggio 2010).
93
Come testimonia una cittadina cinese che ha lavorato presso un’attività
commerciale dell’Esquilino, “ci sono negozi all’ingrosso che, come minimo,
riescono a vendere dai 50 ai 100 container di merce all’anno, per un valore nominale
di 60.000 euro a container” (Napoli, 9 aprile 2010). A proposito di Milano, ci è stato
riferito che un negoziante all’ingrosso di abbigliamento, conosciuto personalmente
dall’intervistato, ha degli introiti mensili netti che vanno da 20.000 a 30.000 euro per
un volume d’affari lordo di circa 700.000 euro l’anno. Tale commerciante, come
l’intervistato ha precisato, “si colloca nel secondo passaggio della distribuzione
all’ingrosso” perché acquista la merce presso un connazionale di Piazza Vittorio
(Milano, 9 luglio 2010).

110
campo di Zhou Yiping, che riuscì ad aggiudicarsi la presidenza
dell’associazione e a designare tre vicepresidenti di sua fiducia.
Secondo le valutazioni del collegio giudicante, il potere di
condizionamento del principale imputato sui connazionali era così
rilevante da indurre quasi tutti i testimoni a ritrattare in sede di
dibattimento le loro dichiarazioni. Essi, come venne appurato nel corso
del processo, erano stati esplicitamente minacciati o avevano ricevuto
segnali inequivocabili in tal senso, come vedersi recapitare dei gladioli
rossi o un’effige di drago con la testa mozzata. Eventi che, in alcuni di
loro, provocarono vero terrore reso manifesto nel corso delle udienze,
mentre altri testimoni, piuttosto che confermare di aver subito richieste
estorsive, lasciarono la città poco prima che iniziasse il processo. Tutto
ciò indusse il collegio giudicante a riconoscere l’esistenza di
un’associazione di tipo mafioso che si avvaleva del vincolo associativo
interno e della forza intimidatrice nei confronti dei connazionali.
Assieme all’organizzazione criminale “Testa di Tigre” di Zhou
Yiping, sono state scoperte nel corso degli anni Novanta altre due
associazioni criminali, denominate dalle forze dell’ordine “Uccello
Paradiso” e “Alleanza Orientale del Qingtian” (dal distretto del Zhejiang
da cui provenivano i suoi appartenenti). Le tre organizzazioni, coinvolte
nella gestione dell’immigrazione illegale e nelle estorsioni, avevano
stretti collegamenti con referenti in altre città italiane, come Milano e
Firenze, e con Parigi, dove vi sarebbe stato il personaggio di maggior
spessore criminale, certo Ji Ronglin.
Da allora a oggi, sebbene non vi siano state nella capitale analoghe
sentenze di condanna per associazione di tipo mafioso a carico di
cittadini cinesi, il quadro generale presenta alcuni aspetti che destano
una certa preoccupazione, sia per quanto riguarda l’esistenza di nuovi
gruppi criminali che, in modo ancor più significativo, per la pluralità di
attività illecite in cui essi sono coinvolti.
A proposito della fenomenologia criminale, è da segnalare la
gestione e lo sfruttamento della prostituzione; attività che si suddivide in
due tipologie: l’una rivolta ai propri connazionali e l’altra alla più ampia
clientela italiana. Sia per l’una che per l’altra sono emerse strette forme
di controllo riconducibili a un numero relativamente ristretto di
individui (circa 50 persone) coinvolti in una pluralità di attività illecite94.

94
Intervista a un rappresentante delle forze dell’ordine (Roma, 30 giugno
2010).

111
La scoperta nell’aprile 2010 da parte delle forze dell’ordine di un
night club rientra nella prima categoria: ad esclusivo uso di ricchi uomini
d’affari cinesi, i gestori avevano occultato all’interno di un capannone
della Prenestina un club privato dove gli investigatori hanno rinvenuto,
assieme a vari tipi di droghe sintetiche pronte per la vendita, una
cinquantina di clienti e quindici avvenenti ragazze cinesi, di cui due
minorenni, fatte arrivare appositamente per l’occasione da varie città
italiane. Le donne, originarie del Zhejiang e Fujian, si prostituivano al di
fuori del locale in un hotel a cinque stelle, le cui tariffe dovevano essere
consistenti, visto che il locale era arredato con materiali pregiati e il
costo delle consumazioni alcooliche molto alto.
Una successiva e ben più ampia operazione, denominata “Fiume
d’Amore”, ha portato sempre nel 2010 alla denuncia di quindici cittadini
cinesi e alla scoperta di undici case di appuntamento a Roma e in altre
quattordici città del Centro-Nord, tutte intestate a un fittizio locatorio
cinese. Si trattava, in tal caso, di un’organizzazione criminale
transnazionale dedita al reclutamento in Cina e allo sfruttamento in Italia
di giovani cinesi. Le donne percepivano dall’organizzazione la metà
delle tariffe, che andavano da 50 a 70 euro a prestazione.
Le figure femminili appartenenti all’organizzazione avevano il
compito di affittare a loro nome gli appartamenti, opportunamente
selezionati secondo precise caratteristiche (al piano terra e in zone
periferiche in modo da attirare il meno possibile l’attenzione del
vicinato); inoltre, esse gestivano gli appuntamenti con i clienti italiani e
le relazioni con le connazionali, mentre gli uomini avevano il compito di
controllare che tutto si svolgesse secondo i piani e, se necessario, fare
ricorso alla forza. Qui, come in altre precedenti operazioni, il gruppo al
vertice dell’organizzazione era al centro di una rete di case di
appuntamento dislocate in diverse città italiane (Guardia di Finanza
2006).
Il gioco d’azzardo in grande stile è gestito all’interno di bische
clandestine nelle quali il gestore prende il 5% delle somme vinte, che si
aggirano fra 20.000 e 30.000 euro, e presta i soldi a usura ai partecipanti
con tassi d’interesse del 20% appena effettuato il prestito, con aumenti
di un altro 20% per ogni giorno successivo. Queste bische sono gestite
da elementi criminali che spesso si servono di uomini armati, pronti a
intervenire qualora sorgano problemi.
Vi sono bande che girano nel quartiere sottoponendo i
commercianti a richieste estorsive e rapine. Pur trattandosi di elementi

112
intorno ai vent’anni, dediti all’uso abituale di stupefacenti, sarebbe
riduttivo includerli, secondo le valutazioni degli investigatori, all’interno
delle bande giovanili, visto che ciascun gruppo avrebbe al proprio
interno una sorta di “capozona”, ovvero un referente legato a figure
adulte appartenenti a organizzazioni criminali che operano in più città
italiane. Fra le “bande” più pericolose della capitale ve ne sono due
composte da individui provenienti dai distretti di Wenzhou e di Rui’an.
La loro convivenza ha dato luogo, negli anni, a fasi conflittuali legate
alla gestione delle attività illecite e, come attualmente, a successive
ricomposizioni e relativa tranquillità.
Il principale business illecito riguarda la contraffazione e il
contrabbando di merci95. A Roma vi sono 20-25 grossi importatori di
merci dalla Cina che fanno capo a una unica società, composta da cinesi
e italiani. Questi ultimi mettono a disposizione le loro conoscenze ed
expertise affinché le operazioni vadano a buon fine. La città di Roma è
la principale piazza di raccolta e di successivo smistamento di tutte le
merci contraffatte che hanno non solo come destinazione l’Italia ma
anche altri paesi europei (Trib. Roma 2009). Una prova in tal senso è
fornita dall’estrema facilità con cui gli importatori sono in grado di
cambiare rotte e porti di approdo per evitare i controlli: con l’avvio nel
marzo 2007 di un’intensa attività di controllo presso il porto di Napoli,
gli importatori scelsero in alternativa lo scalo di Taranto, per poi
indirizzarsi, una volta constatato che anche lì vi erano gli stessi problemi,
verso Valencia, pur avendo tuttavia Roma come destinazione finale della
merce di provenienza cinese96.
Sebbene si possa ragionevolmente ipotizzare che il settore della
contraffazione possa aver sollecitato gli interessi dei gruppi criminali
cinesi, non risultano, al momento, collegamenti precisi fra il numero
ristretto di importatori “romani” e attori cinesi e/o italiani appartenenti
alla criminalità organizzata97. Per contro, va anche detto che, secondo

95
Una delle ultime più rilevanti operazioni delle forze dell’ordine ha condotto
nel febbraio 2010 al sequestro di 500.000 tonnellate di merce, custodita in otto
capannoni della Tiburtina.
96
Interviste ad alcuni appartenenti alle forze dell’ordine (Roma, 15 febbraio
2010).
97
Nel recente passato, al contrario, tali collegamenti hanno avuto luogo. Al
riguardo, riportiamo la testimonianza del collaboratore di giustizia Salvatore
Giuliano, che nella prima metà degli anni Duemila impiantò a Cassino e a Roma un
traffico di merci contraffatte provenienti dalla Cina. A Roma, prese contatto con
alcuni elementi criminali cinesi che erano inseriti nel business della contraffazione.

113
alcune recenti valutazioni investigative, sarebbe in atto un conflitto fra
gruppi criminali del Zhejiang, che avrebbero una posizione di rilievo nel
cospicuo business delle merci contraffatte, e un gruppo originario del
Fujian, anch’esso interessato ad entrare nel controllo delle importazioni
dalla Cina98.

4. Napoli

Pur con una iniziale presenza nella metà degli anni Ottanta, solo di
recente i cittadini cinesi assumono un certo rilievo in città. Come mostra
la tab. IX.13, si tratta all’inizio di un numero ridotto, fino ad arrivare nel
2010 a 2.770 persone, con un aumento dal 2001 di oltre cinque volte.
Sebbene consapevoli che i dati ufficiali siano ben lontani dal
rappresentare la reale consistenza del fenomeno migratorio - ciò vale in
linea generale per qualsiasi ambito territoriale - il numero di residenti
cinesi a Napoli è sensibilmente inferiore a quello esistente nelle aree
metropolitane esaminate in precedenza99.
Tab. IX.13. Cittadini cinesi residenti a Napoli suddivisi per genere (anni 2001-
2010)
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Maschi 257 329 454 544 665 879 1.005 1.105 1.253 1.483
Femmine 188 252 333 435 538 704 817 910 1.089 1.287
Totale 445 581 787 979 1.203 1.583 1.822 2.015 2.342 2.770
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Napoli

Tra questi: “c’era anche un capo cinese, mi ricordo, che veniva più di una volta con
una Ferrari con altri uomini di scorta appresso, era giovane questo qua, c’aveva sui
trent’anni, che non gli stava bene che noi imponevamo questa cosa [il controllo sulle
merci], poi dopo ha accettato pure lui. Poi, l’ho detto, uno di questi capi
successivamente era più duro degli altri, quindi cominciammo a parlare di fargli
qualche cosa che non accettavo, poi io sono stato arrestato, quando sono uscito ho
saputo che l’anno ucciso i miei stessi compagni” (Trib. Roma 2008, 112).
98
Ricordiamo, a questo proposito, che nell’arco dei primi sei mesi del 2003
avvennero, lungo la Prenestina, ben dodici incendi dolosi a danno di capannoni
contenenti merci importate dalla Cina (Melotti 2006). Tali episodi possono essere
ricondotti non solo a un mero tentativo di estorsione, quanto piuttosto a un disegno
criminale più ampio volto a esercitare precise forme di controllo sulle attività di
import-export.
99
Secondo un’indagine dell’Ismu (Il mezzogiorno dopo la grande
regolarizzazione, Milano, 2005), in Campania vi sarebbe stato un tasso di irregolarità
del 26,4% rispetto a tutti gli stranieri regolarmente presenti (cit. in Sacchetti 2007).

114
Per quanto riguarda la loro distribuzione sul territorio comunale, i primi
dieci quartieri della città in ordine d’importanza comprendono quasi tutti
i residenti (93%).
Tab. IX.14. Primi dieci quartieri del comune di Napoli per numero di cinesi residenti
e distribuzione percentuale sul totale (anno 2010)
San Lorenzo 1.171 42,2%
Poggioreale 517 18,6%
Vicaria 330 11,9%
Mercato 230 8,3%
Pendino 169 6,1%
Barra 68 2,4%
Porto 35 1,2%
San Giovanni a Teduccio 31 1,1%
Fuorigrotta 19 0,6%
Vomero 16 0,5%
Totale 2.586 93,3%
Fonte: elaborazione personale su dati dell’Ufficio Statistica del Comune di Napoli

In particolare, San Lorenzo, Poggioreale e Vicaria ne ospitano il 73%.


Questi tre quartieri fanno parte del IV municipio, corrispondenti grosso
modo a un’area che dalla stazione centrale si estende verso Napoli Est.
Si tratta di una zona nella quale sono concentrate varie attività
commerciali gestite da cittadini cinesi. In particolare, lungo Via Carriera
Grande, da Piazza Principe Umberto a Porta Capuana, si trovano molti
esercizi commerciali, tanto che gli abitanti del luogo chiamano quel
tratto di strada “La via delle lanterne” (Sacchetti 2007). Sotto questo
profilo, vi è una sensibile corrispondenza fra principale luogo di
residenza dei cittadini cinesi e attività economiche in cui essi sono essi
inseriti.

4.1. Le attività economiche in città e nelle aree limitrofe

Le imprese presenti nella provincia hanno avuto, in questi ultimi


anni, una crescita del 60%, passando da 1.301 nel 2004 a 2.086 nel 2010
(tab. IX.15). Tra queste, rispecchiando una caratteristica nazionale,
prevalgono nettamente le ditte individuali che, da sole, equivalgono al
72% di tutte le attività economiche esistenti nel 2010.

115
Tab. IX.15. Imprese cinesi attive nella provincia di Napoli per forma giuridica
(anni: 2004-2010)
2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Società capitale 37 37 53 61 66 72 79
Società persone 578 545 531 525 510 504 483
Impr. Individuali 675 773 917 1.132 1.247 1.381 1.508
Altre forme 11 12 14 14 14 15 16
Totale 1.301 1.367 1.515 1.732 1.837 1.972 2.086
Fonte: elaborazione personale su dati InfoCamere

Le imprese individuali sono in larga parte inserite nel commercio


all’ingrosso e al dettaglio. Dal 2004 al 2010, le attività commerciali
all’ingrosso sono passate da 322 a 744 (+131%), mentre quelle al
dettaglio da 280 a 614 (+119%). Analogamente a quanto vale per Roma,
anche qui vi è una forte polarizzazione nel settore commerciale, che ne
comprende 1.358, ossia il 90% di tutte le imprese individuali della
provincia. Gli esercizi commerciali sono per lo più localizzati nelle zone
prossime alla stazione centrale lungo la direttrice Est, nei quartieri
menzionati in precedenza, e presso il centro commerciale “Cina
Mercato”, in via Gianturco, un’ampia area di 16.000 mq. al cui interno
vi sono 78 stand adibiti alla vendita all’ingrosso di abbigliamento, scarpe
e pelletteria di provenienza cinese (Sacchetti 2007).
La terza categoria in ordine d’importanza è costituita dai
laboratori di abbigliamento e prodotti in pelle. Nel 2004 tali imprese
erano 30, mentre nel 2010 sono 78 (+160%). Collocate nei comuni
dell’hinterland del capoluogo, come San Giuseppe Vesuviano e
Terzigno, le ditte manifatturiere si inseriscono nelle lavorazioni per
conto terzi delle imprese locali, che richiedono l’apporto degli
imprenditori cinesi in ragione sia dei bassi costi di produzione che,
soprattutto, della loro capacità di soddisfare in tempi rapidi gli ordini di
consegna.
Al contrario di quanto è avvenuto in modo evidente in aree come
Prato e Firenze, i laboratori dell’hinterland napoletano non hanno avuto
il consistente passaggio dalla lavorazione per conto terzi su richiesta dei
committenti italiani all’incorporazione dell’intera filiera produttiva e
commerciale. Gli stessi esercenti di Cina Mercato non si appoggiano alle
imprese manifatturiere dei connazionali, ma importano in proprio la
merce dalla madrepatria o, più spesso, fanno riferimento a “grossisti di
Roma, che provvedono anche al trasporto della merce con camion che
effettuano servizio giornaliero” (Sacchetti 2007, 95).

116
4.2. La fenomenologia criminale

Le principali attività in cui sono coinvolti i gruppi criminali


operanti in città sono la contraffazione di merci, l’immigrazione illegale,
le estorsioni e lo sfruttamento della prostituzione100.
Le estorsioni sono messe in atto da organizzazioni criminali che
agiscono sia in ambito locale che entro un raggio d’azione articolato su
più città italiane. E’ il caso, ad esempio, di un gruppo di estorsori di circa
30 persone che si rende responsabile nel 2004 del ferimento di una
donna presso il centro commerciale Cina Mercato e dell’omicidio di un
imprenditore a Catania (Questura Catania 2004). Ricorrendo a una serie
di atti intimidatori, il gruppo estorce agli imprenditori locali somme che
vanno da 500 a 3.000 euro mensili, acquisendo, in breve tempo, una
certa “notorietà” nella comunità cinese, tanto che tutti ormai li
conoscono e sono indotti a sottostare alle richieste estorsive. Uno dei
capi, in una telefonata con un connazionale, sostiene: “io sono… qua a
Napoli… nelle campagne [alcuni comuni dell’area vesuviana]… quasi
tutte le fabbriche devono prima passare da me… perché le persone che
vogliono andare a dare fastidio a loro, devono chiedere prima a
me…[…] sono io che comando… se loro vengono da te a distruggere..
io che faccio qua? Io voglio fare in modo che tutte le fabbriche e tutti i
negozi stanno bene… e che le persone da fuori non vengono a
disturbare”(Trib. Napoli 2005b, 21-22).
Per acquisire una posizione di potere, il gruppo decide di ricorrere
in modo sistematico alle richieste estorsive, distruggendo le attività di
coloro che si rifiutano di pagare. Come infatti riferisce un collaboratore
di giustizia, “una sera, in un internet point [presso Casilli, nel comune di
San Giuseppe Vesuviano], un appartenente al nostro gruppo offese senza

100
A proposito del coinvolgimento di elementi criminali nello sfruttamento
della prostituzione non disponiamo di informazioni dettagliate, se non del fatto che,
di recente, è avvenuto un omicidio causato dai conflitti fra due sfruttatori/amanti di
donne cinesi che si prostituivano in strada presso la stazione centrale (Trib. Napoli
2009). Il motivo per cui le forze di polizia e la stessa magistratura non hanno
acquisito informazioni di rilievo sullo sfruttamento della prostituzione (ciò vale
anche per il gioco d’azzardo) è legato, da un lato, al fatto che si tratta “di una
comunità silenziosa che attira l’attenzione solo quando avviene un evento violento”,
e, dall’altro, per il particolare contesto metropolitano, dove il contrasto alla
criminalità camorristica assorbe la quasi totalità delle risorse a disposizione delle
agenzie di law enforcement (interviste ad alcuni rappresentanti delle forze
dell’ordine, Napoli, 15-19 febbraio 2010).

117
motivo il proprietario dello stesso. Ne seguì una lite per cui questa
persona, per poter poi stare tranquilla, fu costretta a pagare 1.000 euro”
[…] Da quel momento in poi altre persone hanno iniziato a pagare soldi
al nostro gruppo. La seconda persona fu il titolare di un secondo internet
point che si trova proprio a Casilli. Trattasi sempre di un cittadino
cinese. In questo secondo caso, per convincerlo a pagare, gli
distruggemmo il locale. In pratica, la stessa sera in cui litigammo con il
proprietario del primo internet point, cui facemmo l’estorsione e del
quale ho poc’anzi parlato, distruggemmo questo secondo internet point
che fu, così, reso inservibile e dovette chiudere. Al proprietario di questo
secondo internet point fu successivamente detto che se intendeva riaprire
senza vedersi distrutto nuovamente il locale doveva versare al nostro
gruppo 2.000 euro. Cosa che fece dopo circa un paio di mesi” (Trib.
Napoli 2006a, 2-3). Secondo il collaboratore di giustizia, il suo gruppo
“aveva acquistato all’interno della comunità cinese una fama tale per cui
la gente pagava delle somme di denaro senza che fosse necessario
alcunché” (Trib. Napoli 2005a, 2).
Nel momento in cui alcune associazioni criminali si impongono
sulla scena locale grazie all’uso della violenza, esse divengono il punto
di riferimento per altri connazionali che chiedono il loro intervento per
regolare conti in sospeso di vario tipo. Il medesimo collaboratore
riferisce di alcuni concittadini impegnati nel sbrigare le pratiche di
soggiorno: “quanto all’organizzazione dedita a fare ottenere i permessi di
soggiorno, intendo precisare che trattasi di un’attività lecita. In altri
termini si tratta di persone che curano le pratiche necessarie per ottenere
il permesso. Per quanto ricordi, l’esistenza di tale attività risulta anche
dalle intercettazioni telefoniche dell’indagine effettuata qui a Napoli.
Trattasi di persone che, comunque, sono a noi collegate, poiché, benché
non facciano parte della mafia cinese, conoscono comunque W. [il capo
del gruppo]. Noi intervenimmo solo perché, in quest’occasione, questa
persona non voleva pagare e, quindi, i nostri connazionali, conoscendoci,
si rivolsero a noi” (Trib. Napoli 2006a, 4).
Secondo una logica simile, un imprenditore di Catania chiede al
medesimo gruppo criminale di attivarsi nei confronti di un connazionale
che vuole costituire un’impresa di trasporti nella sua stessa città. Dal
resoconto del collaboratore di giustizia: “nel 2003 o nel 2004 a Catania
c’era un nostro connazionale che voleva aprire un’agenzia di trasporti.
Ma non gli fu consentito […]. Per dissuaderlo, lo stesso W., in
compagnia di altre due persone, lo portò in campagna e lì lo minacciò.

118
Questo fatto mi è stato raccontato personalmente da W. e non so perché
non volessero che questo nostro connazionale aprisse quest’agenzia.
Posso però dire che a Catania c’è un nostro connazionale che ha una ditta
di trasporti e che è anche mio coimputato nel processo, il quale ha
chiesto a W. di fare in modo che lui abbia l’esclusiva nel settore” (Trib.
Napoli 2006a, 3).
Il ricorso alla violenza per mantenere posizioni economiche
vantaggiose può essere indirizzato anche nei confronti di italiani. Per
quanto si tratti di casi molto rari, un imprenditore inserito nel trasporto
merci chiede al capo della banda di risolvergli il problema di un italiano
- imprenditore nello stesso settore - che, a suo dire, gli ha causato una
diminuzione del lavoro. Nella seguente conversazione fra il capo della
banda e un suo sodale, le intenzioni sul da farsi sono chiare:
S.: M. mi ha chiesto un favore...
W. : che favore?
S.: lui [M.] mi ha chiesto un favore ...e io voglio discutere un po' con
te....c'è un italiano...che ha un agenzia di trasporto.. è aperto da poco.. da
quando è aperto quello..M. ha poco lavoro... M. vuole che noi.. facendo
in modo che lui non riesce più a trasportare... M. ci ha chiesto qual è
l'idea migliore...io gli ho consigliato...o di andare a minacciarlo un po’..
o di bruciare i suoi camion...tanto una volta al mese si fermano di
trasportare...che ne dici? o bruciamo i camion...o buchiamo le ruote?
W.: va bene...buchiamo le ruote...però devi stare molto attento...quando
buchi le ruote dei camion che potrebbero esplodere....
S.: il camion si ferma ogni un’ora...quando è fermo...noi mandiamo uno
di noi...lo bruciamo proprio....facciamo cosi! io domani vado a conoscere
un po’ il titolare....fare questo.. dobbiamo pensare anche a tutto.... (Trib.
Napoli 2005b, 25).
La rilevanza assunta dal settore del trasporto merci trova ulteriore
riscontro in un raid punitivo avvenuto nel 2006 in un ristorante di San
Giuseppe Vesuviano che ha portato all’uccisione di un cittadino cinese e
al tentato omicidio di altri tre. La rappresaglia si collocava all’interno di
uno scontro fra alcuni gruppi criminali operanti a Prato e a San Giuseppe
Vesuviano per il controllo del trasporto di merce dai laboratori
manifatturieri dell’area napoletana verso i clienti “pratesi”.
Come mette in luce il Gip, “la contrapposizione fra i due gruppi ha
origine da un duplice ordine di motivi: da un lato per contrasti personali
insorti tra elementi dei due gruppi, sfociati reiteratamente, negli ultimi
due anni, in scontri fisici, con esiti lesivi di varia gravità per alcuni

119
soccombenti; dall’altro lato, per scorrettezze di un gruppo a danno
dell’altro nella esecuzione della comune attività economica, consistite
nel tentativo di accaparramento della clientela pratese, tutta cinese,
fornitrice delle lavorazioni finite da trasportare prima dai laboratori alla
sede di stoccaggio e da qui nelle sedi dei corrieri italiani, per il definitivo
trasporto alle località di smistamento e di destinazione finale. I due
gruppi, infatti, sono interessati all’attività di trasporto e stoccaggio di
merci cinesi, provenienti o destinate a operatori della Toscana, del Lazio,
della Campania o della Sicilia, ovvero importate o destinate
all’esportazione nei paesi europei, e segnatamente in Francia e Spagna, a
cura dei corrieri italiani. Più specificamente, sotto questo secondo
profilo, le ostilità sono state originate dal tentativo della vittima e di
quattro suoi compagni di svolgere il servizio di trasporto merci
proponendosi ‘porta a porta’, sollecitando accordi e cercando di ottenere
direttamente, presso i laboratori dei potenziali clienti cinesi, operanti
nelle nuove zone artigianali di Prato (Iolo e Tavola in particolare),
l’incarico di trasportare le loro merci dai laboratori stessi al magazzino di
stoccaggio e da qui nei magazzini dei corrieri italiani” (Trib. Napoli
2008, 114-115).
L’immigrazione illegale è gestita da gruppi variamente organizzati
che sono stati in grado, fin dalla fine degli anni Novanta, di far arrivare
sul territorio campano centinaia, se non addirittura migliaia di
connazionali101. In base a uno dei primi procedimenti avviati nel 1999
dalla Direzione Distrettuale Antimafia, è stato appurato che
l’immigrazione clandestina veniva svolta da “un sodalizio cinese che in
pochi mesi ha introitato svariati miliardi [di lire] per tale attività (ogni
extracomunitario, in base a un tariffario prestabilito, che dipendeva
anche dal sesso del clandestino introdotto in Italia, per sbarcare a Napoli
pagava una cifra oscillante tra i 20 e i 25 milioni al sodalizio criminale)”
(Trib. Napoli 1999, 2).
Per quanto l’immigrazione illegale sia tuttora un fenomeno
rilevante, in special modo in alcuni comuni vesuviani come Terzigno e
San Giuseppe Vesuviano, rispetto allo scorso decennio risulta tuttavia
sensibilmente diminuita. Una nota informativa redatta dalle forze di
polizia dà conto dell’entità degli immigrati illegali presenti alla fine del
2009 nei comuni dell’area vesuviana. La comunità cinese “è in massima

101
Secondo le valutazioni di alcuni investigatori si tratterebbe di alcune
migliaia di migranti cinesi entrati illegalmente in Italia nel corso degli anni Novanta
che in seguito si sono stabiliti a Napoli (Firenze, 19 novembre 2010).

120
parte impegnata in laboratori artigiani, dotati generalmente di almeno 15
postazioni attrezzate per la cucitura, localmente denominati ‘laboratori di
Fasonisti’, ovvero imprese dedite al confezionamento di capi
d’abbigliamento. Il sistema […] si fonda generalmente sul rilevamento
di piccole imprese, già precedentemente costituite da cittadini stranieri, a
opera di soggetti cinesi in possesso di un adeguato capitale;
successivamente questi assoldano un numero di conterranei variabile, da
un minimo di 15 a un massimo di 30-35 unità, inizialmente (ovvero negli
anni Novanta) tutti clandestini, oggigiorno in massima parte muniti di
regolare permesso di soggiorno. Recenti controlli effettuati su diverse
ditte esistenti su questo territorio hanno riscontrato una presenza minima
- e solo nelle ore serali e notturne - di cittadini cinesi clandestini, pari a
circa 3-4 irregolari su 20” (Trib. Nola 2010, 2)102.
Comunque le attività illecite più redditizie riguardano l’industria
della contraffazione. Storicamente radicata nel contesto napoletano, la
contraffazione ha avuto un cospicuo sviluppo dai primi anni del
Duemila, da quando il porto di Napoli è divenuto il centro per tutto il
Sud Italia delle merci di provenienza cinese. Lo scalo portuale di Napoli
ha un movimento, in entrata e in uscita, di circa 500.000 container
l’anno, collocandosi al quarto posto per volume di traffico dopo i porti di
Gioia Tauro, Livorno e Genova103. Nel 2010, secondo i dati forniti
dall’Agenzia delle Dogane di Napoli, le importazioni dalla Cina
corrispondono (in kg.) al 21% di tutte le merci giunte presso il porto di
Napoli, mentre il corrispondente valore commerciale dichiarato all’atto
dello sdoganamento equivale al 28%.
I beni contraffatti sottoposti a sequestro da parte del Nucleo
operativo della Guardia di Finanza che opera presso lo scalo portuale
ammontano nel 2006 a 36.501.828 unità (in numero di pezzi), 3.684.072
nel 2007, 4.910.114 nel 2008, 4.173.157 nel 2009 e 5.822.637 nel
2010104. Fra i sequestri più consistenti avvenuti nel 2010, vi sono

102
Secondo questi resoconti, si può ipotizzare che nel 2009 la componente
irregolare sia del 25% rispetto ai 2.319 cinesi residenti nei sette comuni dell’area
vesuviana (San Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Ottaviano, San Gennaro Vesuviano,
Poggiomarino, Striano, Somma Vesuviana).
103
Interviste a personale dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di
Finanza (Napoli, 16-17 febbraio 2010).
104
La rilevante discrepanza fra il primo anno e i seguenti dipende dal fatto
che nel 2006 vengono sequestrati 25.419.698 pezzi di “ferramente e oggetti simili” e
5.220.000 “accessori per la telefonia”, mentre negli anni successivi le stesse voci
hanno valori nulli o molto più bassi.

121
3.581.530 pezzi di “merce varia”, 1.556.280 capi di “abbigliamento e
accessori”, 212.400 di “bigiotteria e ferramenta” e, infine, 146.256
“calzature”.
La merce che riesce a passare i controlli doganali, si tratti di
prodotti contraffatti o meno, viene in parte indirizzata verso altre località
italiane, mentre la rimanente trova collocazione attraverso quattro
canali: presso il centro commerciale Cina Mercato, dove si possono
trovare scarpe “Nike” assomiglianti all’originale a poche decine di euro,
elettrodomestici a un terzo del prezzo corrente e tanti altri prodotti di
vario tipo a basso costo; presso il triangolo delineato dai rioni Duchessa,
Forcella e Maddalena, contraddistinto, come Cina Mercato, dalla
consistente presenza di esercenti cinesi. Inoltre, la merce viene
distribuita attraverso il cospicuo numero di venditori ambulanti di varie
nazionalità che gremiscono le strade del centro cittadino, esponendo i
prodotti sui marciapiedi, a pochi metri dalle boutique di Corso Umberto
e via Toledo105. Infine, i prodotti di provenienza cinese trovano
collocazione presso gli stessi esercenti italiani.
Nello specifico, ci riferiamo ad alcuni procedimenti giudiziari che
hanno accertato il coinvolgimento di clan della Camorra
nell’importazione di merci dalla Cina. Il primo canale di collegamento
era costituito da alcuni spedizionieri italiani, in stretti rapporti con i
clan, che si occupavano di sveltire le pratiche di sdoganamento grazie
alla disponibilità di ampie forme di collusione con addetti al controllo
dell’area portuale (Trib. Napoli 2005a, 2006b). In seguito, erano gli
stessi camorristi che, utilizzando la loro rete di esercenti locali,
controllavano la distribuzione dei prodotti cinesi.
La testimonianza di Salvatore Giuliano, a capo in passato
dell’omonimo clan del rione Forcella, riferisce il sistema di distribuzione
su cui faceva affidamento: “[importata la merce dalla Cina tramite un
proprio referente napoletano] noi vendevamo ai grossisti, sempre in
‘nero’ nella quasi totalità e solo una piccola parte veniva fatturata e ciò
per giustificare il mantenimento della ditta import-export […], visto che
la ditta esisteva effettivamente[…] la merce non veniva venduta agli

105
Alla richiesta di spiegazioni circa il grande numero di venditori ambulanti,
alcuni appartenenti alle forze dell’ordine hanno fatto presente che nel recente passato
sono state fatte delle operazioni volte a disincentivare il commercio abusivo per
strada. Tuttavia, come ci ha riferito uno di essi, “il problema è che mentre ne
individui uno, tre scappano. In alternativa, dovremmo militarizzare tutto il centro di
Napoli” (Napoli, 18 febbraio 2010).

122
ambulanti e ai ‘marocchini’ direttamente, in quanto avevamo rapporti
solo con i grossisti, i quali acquistavano da noi quantità consistenti di
merce, per poi fornirla a loro volta agli ambulanti e agli altri venditori al
dettaglio” (Trib. Napoli 2006b, 112). L’ex-boss della camorra si riferisce
a un’attività di importazione di trapani e altri beni prodotti in Cina sui
quali venivano in seguito apposte, in fabbriche adibite al
confezionamento, false etichette che attestassero l’autenticità del
prodotto. Col passaggio, nei primi anni del Duemila, dai Giuliano ai
Mazzarella del controllo sul quartiere di Forcella, anche
l’organizzazione dell’industria della contraffazione diviene appannaggio
di quest’ultimo clan106. In più, altre organizzazioni camorristiche come i
Misso, i Licciardi e l’Alleanza di Secondigliano sono tutt’ora coinvolte
nell’importazione e commercializzazione di prodotti cinesi contraffatti.
Tra questi, secondo un altro collaboratore di giustizia, la borsa Louis
Vuitton, “la più forte, che va da anni, è diventata di proprietà del
Sistema”, ovvero viene gestita in comune dai clan della Camorra (Ivi,
120).
Considerato lo storico coinvolgimento delle organizzazioni
mafiose locali nella contraffazione di merci, si può ritenere che, ancora
oggi, vi siano collegamenti funzionali fra clan camorristici e
organizzazioni cinesi. Certo è che una parte consistente degli esercizi
cinesi della città sono andati a insediarsi nei rioni Duchessa, Forcella e
Maddalena, odierna area sotto il controllo del clan Mazzarella, senza che
ciò abbia dato luogo, almeno in questi ultimi anni, all’emersione di
particolari “problemi”. O meglio, per essere più precisi, apparentemente
non sono emerse tensioni da quando, nel dicembre 2002, gli esercenti
cinesi di via Carriera Grande (fra Porta Capuana e la stazione centrale)
non decisero di opporsi alle richieste estorsive dei clan camorristici
attuando la serrata dei loro negozi. Evento da cui scaturì, di lì a poco, la
ritorsione dei clan, che appiccarono il fuoco all’auto del promotore della
protesta e a due esercizi commerciali cinesi107.

106
Secondo Salvatore Giuliano, il figlio di Vincenzo Mazzarella ha convocato
uno a uno i grossisti al suo cospetto, “quindi ha imposto loro che da quel momento in
poi l’attività venisse svolta per suo conto. Inoltre, in certi casi, dove il controllo non
era molto chiaro - diciamo così - Vincenzo ha addirittura imposto un suo uomo di
fiducia all’interno dei punti vendita dei grossisti. Fino a quando io sono stato fuori,
ricordo, infatti, che c’erano dei grossisti che vendevano alla presenza di una persona
che registrava tutto quanto entrava e usciva”(Trib. Napoli 2006b, 115).
107
Cfr. P. Russo, Cinesi, fronte anti-racket chiudono 25 negozi su 30, “la
Repubblica”, 7 dicembre 2002; I. De Arcangelis, Un misterioso omicidio scatena la

123
Considerata la pervasiva presenza della Camorra, è difficile
pensare che i clan non abbiano avuto interesse ad esercitare la loro
supremazia sul rilevante business di merci contraffatte provenienti dalla
Cina, stabilendo con elementi criminali cinesi variamente organizzati
accordi reciprocamente vantaggiosi.

5. Il confronto fra le aree d’indagine

Alla luce di quanto emerso finora, si rilevano sotto il profilo


criminale alcune costanti, se non addirittura vere e proprie regolarità, che
accomunano le cinque aree metropolitane; dall’altro, taluni contesti
locali presentano delle peculiarità che li distinguono dagli altri.
A uno sguardo d’insieme, le medesime fenomenologie criminale
sono ben presenti in tutte le aree. Semmai, le differenze attengono al
diverso coinvolgimento dei gruppi criminali nelle attività illecite. Le
cinque aree di approfondimento si differenziano per alcuni aspetti
salienti, relativi, per un verso, all’esistenza di valori statistici (le denunce
delle forze dell’ordine) sensibilmente diversi per tipo di reato e, per
l’altro, alla capacità dei gruppi criminali di infiltrarsi all’interno del
tessuto comunitario.
Nella tab. IX.16 riportiamo, dal 2004 al 2010, il totale delle
denunce a carico di cittadini cinesi per ciascuna delle cinque aree. Come
possiamo notare dal dato aggregato, le province di Prato e Milano
presentano i valori più alti per una serie di tipologie: i reati violenti,
come gli omicidi (consumati e tentati) e le lesioni dolose; i reati di tipo
“predatorio”, come furti, rapine, estorsioni e sequestri di persona; i reati
associativi ex 416 c.p. (solo le province di Napoli e Prato - valore non
riportato in tabella - hanno rispettivamente 11 e 16 persone denunciate
per associazione di tipo mafioso); ciò vale anche per il gioco d’azzardo,

‘guerra gialla’, P. Russo, La mafia cinese sfida i clan, “la Repubblica”, 8 dicembre
2002; I. De Angelis, Racket alla mafia cinese: l’indagine passa alla Dda, “la
Repubblica”, 10 dicembre 2002; Racket ai cinesi, bruciate due auto, “la
Repubblica”, 22 dicembre 2002. Su tali eventi i giornalisti hanno ipotizzato che i
commercianti cinesi si siano recati a Roma per chiedere la protezione ai propri
“referenti capitolini della Triade” e non, come essi dichiararono, per avere
l’appoggio della loro ambasciata. In ogni caso, nessuno dei 150 commercianti cinesi
convocati dall’Autorità giudiziaria decise di firmare la denuncia, “né i presunti
estorsori furono riconosciuti attraverso le foto segnaletiche della Questura” (P.
Capua, ‘Lanterne rosse’ minacciate dal pizzo lo scorso Natale serrata di protesta,
“la Repubblica”, 12 agosto 2003).

124
i reati legati agli stupefacenti e lo sfruttamento della prostituzione (solo
Milano per quest’ultimo reato). Al contrario, la provincia di Roma
presenta i valori più alti per il reato di contraffazione, mentre le province
di Firenze e Prato si collocano al primo posto per organizzazione
dell’immigrazione illegale (art. 12 dl.gs. 286/98).

Tab. IX.16. Cittadini cinesi denunciati per i seguenti reati nelle province di Firenze,
Roma, Napoli, Prato e Milano (anni: 2004-2010)
Tipo di reato Firenze Roma Napoli Prato Milano
Omicidi volontari consumati 8 6 11 21 26
Tentati omicidi 9 8 2 24 38
Lesioni dolose 112 48 30 233 158
Furti 39 27 17 80 120
Rapine 37 12 3 104 70
Estorsioni 43 25 9 128 102
Sequestri di persona 11 6 43 24
Associazione 416 c.p. 52 51 41 71 111
Stupefacenti 29 11 24 208 47
Sfrutt. Prostituzione e 91 78 13 59 211
pornografia minorile
Contraffazione di marchi 108 167 81 63 117
Gioco d’azzardo 113 108 33 236 129
Oganizz. Immigraz. illegale 588 117 67 632 393
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno

Vale la pena rammentare, ancora una volta, che tali statistiche vanno
prese con una certa cautela per l’esistenza di tutta una serie di problemi
di ordine “metodologico”. L’ultimo dei quali e non il meno rilevante
riguarda la comparazione di dati statistici su ambiti territoriali
contraddistinti da un ordine di grandezza diverso sia per la popolazione
straniera residente che, soprattutto, per la sua componente irregolare. Su
quest’ultima, abbiamo ricordato che un’analisi dettagliata della quota di
cittadini cinesi irregolari va al di là delle finalità del presente rapporto di
ricerca, in quanto tale questione richiederebbe di per sé uno studio
specificamente dedicato. Semmai, laddove è stato possibile, abbiamo
riferito stime e valutazioni correnti sul numero di cittadini cinesi
irregolari presenti in ciascuna area d’esame.
Tuttavia, le differenze statistiche appena rilevate sono in linea con
quanto emerso nel corso delle interviste sul campo che hanno permesso
di appurare la particolare diffusione di bande variamente organizzate sia
a Milano che a Prato e il loro coinvolgimento in reati violenti e
predatori. Gli omicidi e i tentati omicidi nascono prevalentemente

125
all’interno degli scontri fra bande, oppure hanno a che fare con
regolamenti di conti nei confronti di chi non è stato ai patti, come nel
caso di prestiti usurai non onorati; mentre le rapine e le estorsioni sono
riconducibili alle medesime bande criminali. In più, il dato statistico sui
reati legati alla contraffazione che colloca la provincia di Roma al primo
posto è coerente col ruolo ricoperto dalla capitale quale principale snodo
di smistamento delle merci cinesi sia per l’intero territorio nazionale che
per vari paesi europei.
Le province di Prato e Firenze, aree caratterizzate dal cospicuo
inserimento delle imprese cinesi nei distretti industriali locali, presentano
i valori più alti per il reato di organizzazione dell’immigrazione illegale.
Tali valori si accordano con la necessità delle imprese cinesi di avere a
disposizione manodopera illegale a basso costo da impiegare nella
produzione manifatturiera. La stessa manodopera illegale può essere più
agevolmente occultata in un laboratorio piuttosto che all’interno di altre
attività imprenditoriali. Più in generale, laddove vi è un inserimento
economico orientato verso il commercio e la fornitura di servizi, come è
il caso di Milano, Roma e Napoli (per quest’ultima città relativamente
all’area metropolitana), non solo la richiesta di forza lavoro è minore
ma, nello stesso tempo, svolgendo i commercianti cinesi un’attività per
così dire sotto i “riflettori pubblici”, per essi sarebbe più difficile
impiegare e “nascondere” all’interno delle loro imprese connazionali
illegali.
Per venire alla capacità dei gruppi criminali di infiltrarsi
all’interno del tessuto associativo e acquisire così una posizione
“strategica” che va ben al di là del mero coinvolgimento in attività
illecite, in passato ci sono state prove precise in tal senso per quanto
riguarda Roma e Firenze. Grazie alle operazioni di contrasto dell’ultimo
decennio che hanno portato alla disarticolazione di quei gruppi criminali
che insistevano sulle comunità delle due città, a oggi non si rilevano
segnali di analoga gravità. Simili valutazioni valgono anche per Milano,
dove le bande di giovani e meno giovani che taglieggiano i connazionali
paiono muoversi, allo stato attuale delle conoscenze, in modo autonomo
e svincolato da qualsiasi riferimento a figure influenti appartenenti alla
comunità. Stesso discorso vale per Napoli, anche se in questo caso il
problema di comprendere quale sia la rilevanza della criminalità di
origine cinese si pone in termini diversi.
Rispetto alle altre aree, le conoscenze sulla fenomenologia
criminale in città presentano le lacune maggiori, mancando a

126
disposizione delle agenzie di law enforcement sia un patrimonio
pregresso di conoscenze che precisi punti di riferimento entro i quali
contestualizzare gli eventi criminali che coinvolgono i cittadini cinesi.
Ciò è dovuto a una serie di motivi: la presenza di un insediamento di
migranti cinesi relativamente recente e di minori proporzioni rispetto alle
altre città; l’esistenza di una comunità solitamente “tranquilla”, salvo
talvolta dare luogo ad episodi anche efferati di violenza; infine, la
discontinua attenzione nei confronti della criminalità cinese da parte
delle agenzie di contrasto, che spesso seguono logiche dettate
dall’emergenza. Tutto ciò avviene, comunque, non per la mancanza di
specifiche capacità investigative degli organi di law enforcement, quanto
in ragione del fatto che le risorse a loro disposizione sono principalmente
(e legittimamente) indirizzate al contrasto della criminalità camorristica.
Per concludere, il contesto di Prato è contraddistinto dallo scenario
più preoccupante sia sotto il profilo sociale che criminale. Pur all’interno
di segnali non univoci, i capi delle bande criminali potrebbero aver
stabilito forme di collegamento con alcuni elementi influenti della
comunità locale. Tali collegamenti sarebbero basati sullo scambio
reciproco di favori: da un lato, i gruppi criminali mettono a disposizione
una risorsa scarsa come la violenza, agendo sia come guardie del corpo
che come “regolatori” di conti in sospeso a vantaggio di certi personaggi
influenti apparentemente non coinvolti nelle attività illecite; dall’altro,
questi ultimi forniscono agli attori criminali la loro “protezione”, grazie
ai contatti di cui dispongono sia all’interno della rete di connazionali che
nell’ambito del contesto sociale più ampio. A ciò si aggiunge, come
ulteriore elemento problematico, la difficile coesistenza fra la
popolazione cinese e quella pratese, aspetto che certo non facilita la
comunicazione fra l’una e l’altra, né incentiva i cittadini cinesi a
collaborare con le autorità per contrastare fenomeni criminali “interni”,
di cui essi sono i primi a pagarne le conseguenze108.

108
Cfr. M. Bologni, Stranieri al corteo della festa, scontro a Prato, “la Repubblica”,
9 settembre 2010; S. Poli, Corteo di Prato, la rabbia di Chinatown, “la Repubblica”,
10 settembre 2010; L. Montanari, Prato, il maltempo fa strage annegano tre donne
cinesi il sindaco: no al lutto cittadino, “la Repubblica”, 6 ottobre 2010.

127
X. Conclusioni

Essendo venuto il momento di tirare le somme, riprendiamo gli


interrogativi enucleati all’inizio. Riassumendo, 1) ci siamo chiesti se la
criminalità organizzata cinese possa essere compresa all’interno delle
associazioni mafiose autoctone. Più in dettaglio, se essa presenti alcuni
specifici elementi della criminalità mafiosa, come l’esistenza di una
struttura gerarchica e un vincolo associativo interno che faccia
riferimento a un proprio universo simbolico-rituale.
2) Il secondo interrogativo, strettamente collegato al precedente,
rinvia alla natura dei legami che caratterizzano le associazioni criminali
cinesi e alle eventuali forme di infiltrazione e condizionamento sulle
comunità di connazionali.
3) Infine, al di là di una mera e per molti versi desueta
interpretazione del fenomeno criminale cinese come espressione del
background culturale della collettività straniera cui appartengono gli
attori criminali, ci siamo domandati quali fattori di ordine strutturale
esistenti nella società più ampia possono aver favorito lo sviluppo di
specifiche fenomenologie assunte dalla criminalità organizzata cinese,
come l’immigrazione illegale, lo sfruttamento del lavoro e, di recente, la
contraffazione e il contrabbando di merci provenienti dalla madrepatria.

1) Riprendendo le categorie analitiche enucleate all’inizio,


possiamo dire a ragion veduta che quando parliamo di criminalità
organizzata di origine cinese facciamo riferimento a un fenomeno che
presenta una propria stabilità e persistenza all’interno delle comunità di
connazionali. Semmai, occorre evidenziare alcune significative
differenze all’interno della fenomenologia di origine cinese, nel senso
che vi sono gruppi criminali coinvolti in ambiti illeciti specifici, mentre
altri gestiscono un ampio ventaglio di attività. Un esempio di attori
criminali appartenenti al primo tipo ci viene fornito dall’immigrazione
illegale. Vi sono associazioni criminali coinvolte nelle sole attività di
trasporto dei migranti che, non sempre, sono in grado di ricorrere all’uso
della violenza (abbiamo casi di trafficanti che richiedono l’intervento
delle bande per risolvere alcune questioni rimaste in sospeso con la loro
controparte). Comunque, anche quando la violenza subentra, è
fondamentalmente orientata a far sì che le operazioni di trasporto e di
pagamento da parte del migrante vadano a buon fine. Per il tipo settoriale
di attività e la loro spiccata flessibilità in quanto a rotte e interlocutori

128
coinvolti, tali gruppi risultano più vicini al modello del network
criminale che al modello mafioso di tipo gerarchico. Simile discorso
vale per la contraffazione, i cui elementi (leciti e illeciti, italiani inclusi)
denotano analoghe forme organizzative.
Il secondo tipo di attori illeciti, oltre che essere coinvolto in varie
attività illecite, come l’organizzazione delle bische clandestine, lo
sfruttamento della prostituzione, le rapine e le estorsioni, la stessa
immigrazione illegale, ricorre alla violenza come vera e propria risorsa
“strategica”, idonea a stabilire forme più ampie di controllo sui propri
connazionali. In tal senso, queste associazioni criminali sono
assimilabili, per gerarchia interna e uso sistematico della violenza, alle
organizzazioni mafiose. Come queste, hanno la pretesa di esercitare un
condizionamento tendenzialmente totalizzante sul contesto sociale in cui
operano. Semmai, ciò che distingue la criminalità organizzata cinese
dalle associazioni mafiose italiane è l’assenza di precisi riferimenti che
possano ricondurla alla tradizione della Triade. Sebbene le province del
Zhejiang e del Fujian - aree di provenienza della maggior parte degli
elementi criminali coinvolti in attività illecite - siano state
contraddistinte, sul finire degli anni Novanta dello scorso secolo,
dall’emersione di formazioni criminali che si richiamano allo storico
associazionismo segreto, riscontri in Italia in tale direzione sono
pressoché inesistenti (Xia 2008). Per essere più precisi, i riferimenti alla
tradizione della Triade sono scarsi ed estremamente discontinui nel
tempo. Pur essendovi stati in passato segnali di questo tipo, come ad
esempio l’invio a scopo intimidatorio di “gladioli rossi”, “immagini
raffiguranti teste di drago mozzate” e, oggigiorno, appellativi utilizzati
da alcune bande che, seppur vagamente, riecheggiano l’origine mitica
della Triade, questi riferimenti - dicevamo - sembrano più espressione di
un ricorso strumentale a una simbologia di sicuro effetto intimidatorio
che prove dell’esistenza, in Italia, di associazioni criminali appartenenti
alla tradizione della Triade.
Un altro aspetto, allo stato delle conoscenze controverso e non
sufficientemente chiaro, riguarda la presenza di strutture unitarie di
comando a carattere nazionale (e sovranazionale) presenti all’interno
delle associazioni criminali cinesi. Tale struttura unitaria, secondo alcune
recenti valutazioni, sarebbe presente in Italia. In tal senso, “emerge
sempre più la conferma che ci siano collegamenti con altre
organizzazioni operanti sul territorio italiano e internazionale. Nessuna
di loro agisce da sola o in un determinato, e ben delimitato, territorio”

129
(Ciconte 2010, 127). A riprova di ciò, nell’ambito di indagini avviate in
via autonoma dalle Dda di Napoli e di Firenze nei primi anni del
Duemila, è stato possibile appurare, attraverso la collaborazione con
l’autorità giudiziaria francese, l’esistenza di collegamenti fra alcuni
omicidi “avvenuti in provincia di Firenze e nei sobborghi parigini che
appaiono riconducibili a strutture e logiche criminali unitarie”109. In
effetti, alcuni collaboratori di giustizia in più occasioni hanno parlato di
figure di rilievo residenti in Francia che rivestirebbero un ruolo direttivo
nei confronti dei gruppi criminali operanti in Italia. Tuttavia, bisogna
anche dire che, in questa fase, le informazioni disponibili non sembrano
aver condotto a conoscenze approfondite ed esaurienti tali da chiarire in
modo preciso la questione.
A questo riguardo, è opportuno fare riferimento alla testimonianza
di un collaboratore di giustizia cinese, citato in precedenza, secondo il
quale i gruppi criminali presenti in Italia si conoscono fra di loro e
stabiliscono, nel contempo, forme di collaborazione reciprocamente
vantaggiose. Assieme a spinte centripete interne all’universo criminale,
ve ne sono tuttavia altre di segno opposto. Un indicatore in tal senso
proviene dall’alta conflittualità che attraversa i gruppi criminali cinesi;
conflittualità che è connessa alla pretesa di esercitare forme di controllo
monopolistico (a livello locale) sulle attività illecite e, in taluni casi,
anche su quelle lecite (il trasporto di merci di provenienza cinese dalle
aree portuali di sbarco in Italia alle città di destinazione); come anche,
infine, alle rivalità personali fra attori criminali che possono
successivamente sfociare, secondo i legami di solidarietà vigenti
all’interno di ciascun gruppo, in veri e propri scontri di portata più
ampia. L’alta conflittualità che attraversa i gruppi criminali fa ritenere
piuttosto che entro tale “universo” agiscano “forze” contrapposte: l’una
tendente alla costruzione di strutture di comando unitarie, mentre l’altra,
al contrario, contraddistinta dal prevalere di spinte centrifughe.
2) Ma quali sono, più nello specifico, i legami interni che
caratterizzano queste associazioni criminali? Essi sono essenzialmente di
due tipi, entrambi espressione, pur secondo gradi diversi d’intensità, di
un vincolo di solidarietà fra gli appartenenti. Il primo, presente in
particolar modo all’interno delle bande composte da giovani e meno
giovani, si basa su un senso di “fratellanza” derivante dal condividere le

109
G. Melillo, Distretto di Firenze, in Dna, Relazione annuale 2007 (cit. in
Ciconte 2010, 127).

130
medesime esperienze (per taluni risalenti a una fase precedente allo
stesso arrivo in Italia) contraddistinte da un modus operandi
propriamente criminale, in cui le attività illecite costituiscono la
principale se non l’unica “occupazione” quotidiana. Come riferisce uno
di essi, appena uscito dal carcere senza aver fatto menzione agli
inquirenti dei propri compagni, “quando io sono stato catturato…ho
preso tutte le responsabilità… perché voglio bene ai ‘fratelli’ miei”. Di
analogo tenore un’altra conversazione fra due interlocutori, in cui
entrambi criticano un terzo componente del gruppo perché con il suo
comportamento poco accorto rischia di attirare l’attenzione delle forze
dell’ordine su tutti loro: (A): “gli amici si devono utilizzare a vicenda e
invece i fratelli no”, (B): “con i nemici non fa niente, ma con i fratelli
non si può fare così, giusto?” (Trib. Napoli 2005b, 15-16). Con ciò
volendo dire che tra gli appartenenti al medesimo gruppo criminale
debbono prevalere la solidarietà e il mutuo aiuto, mentre con tutti gli
altri, al contrario, valgono comportamenti improntati a logiche
utilitaristiche.
Il secondo tipo di legame si basa sulla famiglia, analogamente a
quanto accade, ad esempio, per la ’Ndrangheta che recluta le nuove leve
all’interno del proprio nucleo familiare di origine. Facendo riferimento a
padri, figli e parentela allargata, l’organigramma criminale si struttura
per linea parentela secondo precise gerarchie interne. Ciò è valso per
alcune associazioni criminali dell’area fiorentina che, fino ai primi anni
del Duemila, avevano stabilito alleanze in base a vincoli parentali in più
città italiane. In ragione di legami particolarmente forti e del loro operare
a cavallo fra la sfera lecita e illecita, queste sono le forme criminali più
insidiose, capaci di mimetizzarsi con una certa facilità all’interno della
rete di connazionali.
Le infiltrazioni criminali all’interno della comunità hanno luogo
secondo varie modalità. La prima e più rilevante avviene attraverso
l’inserimento di attori criminali nel tessuto associativo, come emerso in
passato, dove alcuni presidenti e vice-presidenti di certe associazioni
cinesi operavano al contempo come rappresentanti “legali” e come
leader di gruppi criminali. In altri casi, i condizionamenti sono di tipo
indiretto, in base al collegamento fra bande criminali e personaggi
influenti della comunità cinese. In tal caso, l’anello di congiunzione fra i
due “mondi”, quello lecito e quello propriamente criminale, sarebbe
rappresentato dai capi delle bande criminali, i soli a mantenere contatti
riservati con individui che, pur muovendosi in ambito legale, ricorrono

131
se necessario alla violenza delle bande. I legami che si stabiliscono fra
questi personaggi e i capi delle bande fanno riferimento a logiche di
scambio patron-client reciprocamente vantaggiose, dove il “protettore”
elargisce favori e ricompense al proprio referente criminale. Semmai c’è
da aspettarsi che tale relazione sia soggetta a continue ridefinizioni,
inclusa la possibilità che i riferenti criminali prendano il sopravvento sul
loro “protettore”.
3) A proposito dei fattori di ordine strutturale presenti nella società
più ampia che possono aver influito sul tipo di attività illecite in cui sono
presenti, a vario titolo, i gruppi della criminalità cinese, ci riferiamo,
nello specifico, all’immigrazione illegale, allo sfruttamento del lavoro e
alla contraffazione di merci, tre ambiti nei quali vi è un significativo
coinvolgimento di cittadini cinesi.
Le prime due fenomenologie trovano un contesto, per così dire
“favorevole”, all’interno delle trasformazioni più ampie che hanno
contraddistinto, oramai da anni, il sistema produttivo nel suo insieme.
Se, da un lato, i migranti illegali che vengono impiegati nel circuito
“etnico” dei laboratori manifatturieri costituiscono un beneficio diretto
per l’imprenditore, non bisogna tuttavia trascurare, dall’altro lato, le
“pressioni” esercitate dal sistema produttivo più ampio nel quale queste
imprese si trovano a operare. Il loro inserimento nel comparto
manifatturiero si colloca entro le trasformazioni post-fordiste che il
sistema produttivo ha avuto in questi ultimi decenni. Tali trasformazioni
hanno portato a una profonda ristrutturazione del sistema
imprenditoriale, non più incentrato sulla grande impresa che tendeva a
inglobare l’intero processo produttivo, ma sul trasferimento all’esterno di
quote rilevanti di esso, al fine di ridurre i costi e mantenere una propria
capacità competitiva sui mercati nazionali e internazionali (Revelli
1995). Assieme a imprese ad alto contenuto di capitale che investono in
innovazioni tecnologiche e forza lavoro altamente qualificata, vi sono
imprese labor intensive che sopravvivono sul mercato grazie al
consistente ricorso a manodopera dequalificata e a basso costo. Questa
segmentazione - imprese ad alto contenuto di capitale e imprese labor
intensive - riguarda principalmente il mercato del lavoro dal punto di
vista dell’offerta (l’ingegnere, il tecnico informatico altamente
specializzato non si pongono in competizione con lavoratori impiegati in
mansioni scarsamente qualificate e poco retribuite) e solo parzialmente il
sistema produttivo più ampio (Sassen 2002).

132
L’attuale assetto industriale, sempre più orientato secondo il
modello just in time, richiede una crescente integrazione fra lavoro con
alto contenuto di valore aggiunto e lavoro povero e dequalificato.
Integrazione che si realizza attraverso il sistema dei sub-contractors e
della crescente espansione sia nei paesi occidentali che in quelli in via di
sviluppo della quota di economia informale (Beck 2000; Ehreinreich
2002). Anche se le strategie imprenditoriali possono differenziarsi
sensibilmente per quanto riguarda l’innovazione produttiva, per non
perdere competitività le imprese adottano modalità organizzative volte a
diminuire i costi, trasferendo all’esterno quote crescenti di produzione e
riducendo le scorte di magazzino. Mentre nel modello fordista i profitti
potevano essere realizzati grazie a economie di scala che consentivano la
riduzione del costo unitario per prodotto, oggi le imprese realizzano
modeste quantità di numerosi modelli, diversificando la produzione per
singoli target di consumatori e aggiustando velocemente l’offerta alle
oscillazioni della domanda (Marazzi 1999).
La necessità di tenere conto, per un verso, di un basso regime
produttivo volto alla riduzione dei costi e, per l’altro, di alta flessibilità
(produttiva) tesa a soddisfare “in tempo reale” le mutevoli esigenze della
domanda di beni, crea le condizioni di fondo per una crescente
integrazione fra unità labor intensive di piccole dimensioni e grande
impresa affermata sul mercato che, all’occorrenza, trasferisce quote di
produzione all’esterno in relazione alle richieste contingenti e
tendenzialmente “aleatorie” del mercato. A loro volta, le imprese labor
intensive sono spesso le sole in grado di soddisfare le richieste
improvvise e intermittenti di fornitura di beni provenienti dalle imprese
più grandi. Le ditte cinesi forniscono, grazie ai bassi costi di produzione
derivanti dal ricorso alla manodopera illegale, un contributo prezioso
agli attuali assetti del sistema produttivo110. Sotto questo profilo, assieme
a fattori endogeni esistenti all’interno delle comunità cinesi, ve ne sono
altri riconducibili al sistema economico più ampio che alimentano
l’immigrazione illegale e lo sfruttamento della forza lavoro.
110
Un programma giornalistico di approfondimento, “Report”, trasmesso su
Rai3 il 18 maggio 2008 ha riportato le interviste effettuate con telecamera nascosta a
vari imprenditori cinesi dell’area fiorentina, i quali hanno dichiarato che
producevano borse per alcuni grandi marchi italiani, ricevendo 30 euro per ogni
borsa, mentre il prezzo finale al consumatore nei negozi di via Montenapoleone, a
Milano, era di alcune migliaia di euro. La partecipazione delle imprese cinesi a tale
tipo di produzione è stata confermata dalle interviste svolte a rappresentanti della
magistratura e delle forze dell’ordine di Milano, Firenze e Prato.

133
Per venire, infine, alla contraffazione di merci, due principali
fattori hanno determinato l’incremento di tale attività. Lo straordinario
sviluppo economico della Cina di quest’ultimo decennio ha permesso
agli imprenditori cinesi presenti in Italia di indirizzarsi verso
l’importazione di prodotti a basso prezzo (contraffatti e non) provenienti
dalla madrepatria. Sia che i beni vengano interamente prodotti all’estero
o che una parte del processo di contraffazione sia realizzato in Italia,
nell’uno come nell’altro caso tale attività risulta particolarmente
insidiosa e difficile da debellare quanto più essa si colloca, com’è il caso
attuale, all’interno dell’ampio flusso di prodotti provenienti dalla Cina e
da altri paesi emergenti del Sud del mondo. In più, tali prodotti trovano,
a giudicare dai consistenti volumi d’affari che ne derivano, un ampio
mercato presso i consumatori italiani.
Al riguardo, potremmo dire, parafrasando un autorevole studioso
americano a proposito della distinzione fra criminalità organizzata e
criminalità comune, che l’immigrazione illegale, lo sfruttamento del
lavoro e la contraffazione di prodotti offrono “servizi” fortemente
richiesti che, qualora venissero meno, sarebbero amaramente rimpianti
dai loro fruitori, e cioè i medesimi migranti illegali, gli imprenditori
cinesi, il sistema produttivo più ampio e, infine, l’ampia platea di
consumatori di beni contraffatti esistente in Italia (Cressey 1964).
In conclusione, le linee future che la criminalità di origine cinese
assumerà in Italia saranno influenzate dal tipo di relazione che verrà
instaurata fra la società più ampia e i cittadini cinesi. Memori
dell’esperienza statunitense che ha coinvolto i nostri connazionali in
attività illecite di vario tipo, possiamo dire che, quanto più diffidenza e
assenza di comunicazione prevarranno fra la popolazione italiana e
quella cinese, quanto più si rivelerà difficile il processo di integrazione
delle giovani generazioni, tanto più la criminalità presente in seno alle
comunità potrà facilmente acquisire una posizione di vantaggio. Le
istituzioni italiane dovrebbero tenere in debito conto il problema della
sicurezza dei cittadini cinesi, creando le condizioni affinché essi
collaborino con le autorità per contrastare una criminalità cinese (e non
solo cinese, visto il ruolo rilevante degli italiani nelle pratiche illegali
relative all’immigrazione, alla contraffazione e al riciclaggio) che insiste
proprio su di loro111.

111
A proposito del problema relativo alla sicurezza, riportiamo un passo tratto
da sito di AssoCina, risalente all’8 dicembre 2006, dal titolo La giovane criminalità
cinese: “Parlando un po’ con gli abitanti cinesi delle zone ‘più a rischio’ capita

134
XI. Raccomandazioni e best practice

Le raccomandazioni contenute in quest’ultima parte si


suddividono in tre ambiti tematici: il primo concerne le politiche di
integrazione, il secondo attiene nello specifico alle capacità investigative
messe in campo dalle agenzie di law enforcement per contrastare la
criminalità organizzata di origine cinese e il terzo, infine, individua
alcune linee di ricerca che potrebbero essere intraprese al fine di
acquisire una migliore conoscenza del fenomeno criminale.

1) E’ opinione largamente diffusa presso la popolazione italiana che le


comunità di immigrati cinesi siano chiuse e impermeabili al contesto
sociale più ampio. Tali valutazioni trovano alimento nelle difficoltà di
doversi confrontare con una lingua e una cultura sensibilmente distanti
dalla nostra, così come nella tendenza della popolazione cinese a
riprodurre modalità organizzative e relazioni sociali autoreferenziali,
tutte interne alla comunità. Tale autoreferenzialità, vera o presunta che
sia, viene rafforzata creando all’interno dei luoghi di lavoro dei
microcosmi virtualmente separati dal contesto più ampio. E ciò è tanto
più rilevante quanto la dimensione lavorativa tende a saldarsi con quella
sociale, ovvero quanto più la rete relazionale di riferimento del migrante
è, per così dire, a maglie strette e dense, gravitando attorno ai propri
connazionali senza che vi siano significative opportunità di
comunicazione con la società più ampia. Questi sembrano essere i
principali ostacoli per superare la coesistenza di rappresentazioni sociali
opposte e tuttavia “convergenti”, che possono alimentare chiusure
reciproche da una parte e dell’altra.
Sul versante della società italiana, può essere sufficiente riferirsi al
ruolo svolto dai mezzi di comunicazione nell’alimentare
rappresentazioni sociali di segno negativo. Oltre al luogo comune di cui
abbiamo parlato a proposito dei “cinesi che non muoiono mai”, ve n’è un
altro ulteriormente pernicioso che riguarda la criminalità. Nel momento
in cui ha luogo un fatto di sangue che coinvolge i cittadini cinesi, la

spesso che ci raccontino della loro insicurezza, delle loro paure e che vorrebbero più
pattuglie di polizia a tutela anche della loro incolumità. E’ una presenza necessaria,
per far sì che la stragrande maggioranza di stranieri per bene possa essere tutelata,
per creare più fiducia nelle istituzioni ed evitare che nessuno si faccia giustizia da sé.
Il problema va affrontato subito, prima che possa diffondersi come un cancro
all’interno della comunità cinese” (www.associna.com).

135
tendenza largamente diffusa presso la stampa è di imputarlo alla
presenza di organizzazioni mafiose o della Triade, per quanto il più delle
volte non vi siano elementi che possano avvalorare tali argomentazioni.
Un esempio di ciò che vogliamo dire ci viene fornito da due studi
che hanno effettuato, a distanza di oltre dieci anni l’uno dall’altro, una
rassegna sistematica della stampa in relazione alla presenza
dell’immigrazione cinese in Italia. Il primo ha preso in esame tutti gli
articoli pubblicati dal 1988 al 1994 sulla cronaca locale di Prato e
Firenze di alcune testate nazionali: “La Nazione” e “Il Tirreno” di Prato,
“La Nazione”, “La Repubblica” e “L’Unità” di Firenze. Ebbene, il
risultato di tale ricerca è che, a proposito di “mafia e organizzazioni
criminali cinesi”, “la mancanza di fonti caratterizza oltre la metà del
totale degli articoli in proposito pubblicati dalle varie testate e tale
proporzione si ritrova all’interno di ognuna di esse (con l’unica
eccezione de “L’Unità” che focalizza anche meno l’attenzione sulla
mafia)” (Marsden 1997, 219). Replicando lo stesso metodo, il secondo
studio ha esaminato la cronaca di Roma sui quotidiani “Il Messaggero”,
“La Repubblica” e “Il Tempo” nel periodo compreso fra il 2000 e il
2003. Il risultato anche in questo caso è sostanzialmente lo stesso, nel
senso che “seppure la maggior parte delle volte in cui si è parlato di
‘mafia’ si sia utilizzata una fonte presumibilmente attendibile (Ministero
dell’Interno, Forze dell’Ordine, Magistratura), allo stesso tempo poco
meno della metà delle volte non è stata citata alcuna fonte per verificare
l’attendibilità della notizia” (Mirante 2008, 84).
La rappresentazione sociale che si ricava dai media sugli
immigrati cinesi non è certo positiva. A parte una componente
minoritaria di giovani della seconda generazione, come AssoCina, che ha
iniziato da alcuni anni un percorso di riflessione sugli stereotipi che
circondano l’immigrazione cinese, la gran parte dei cittadini cinesi non
sembra aver ben compreso la portata dei loro effetti negativi
sull’opinione pubblica (Pedone 2008).
I cittadini cinesi presenti in Italia sembrano trovarsi entro una
posizione angusta, una vera e propria strettoia: sul versante delle
rappresentazioni esterne vengono raffigurati come ostinatamente chiusi,
mentre sul versante “interno” essi lamentano le difficoltà d’inserimento
nella società italiana. Nelle parole di una donna che lavora come
mediatrice culturale: “al contrario di altri stranieri, i cinesi hanno meno
bisogno, sono più autosufficienti, questo per gli italiani viene interpretato
come un segno di chiusura. Tuttavia i cinesi non sono chiusi, appena

136
arrivati non possono partecipare alla società, poi, appena la loro
condizione economica è migliorata, lo vorrebbero, fanno di tutto per
ottenere riconoscimento sociale. Venendo dalle zone rurali del Zhejiang,
in Cina non sono nessuno, ma qui, in Italia, quali possibilità hanno? La
società italiana non li accoglie, allora stabiliscono nuovi contatti con la
Cina. Allora ritornano nel loro paese non più come contadini, ma con i
soldi e riconosciuti dal governo. Moltissimi cinesi vorrebbero essere
coinvolti di più nella società italiana, ma le occasioni per partecipare
alla vita sociale e politica non ci sono. C’è il problema della lingua, ma
posso garantire che moltissimi vorrebbero dare il loro contributo perché
dicono: noi viviamo qui e i nostri figli sono nati qui. Magari vivono in
venti in una stanza però, appena possono, comprano la Mercedes per
dimostrare ai connazionali e agli italiani che hanno avuto successo. Alla
fine, è un modo per realizzarsi e ottenere riconoscimento sociale quando
altre strade non sono possibili”112.
Se quanto appena riferito testimonia lo stato d’animo di almeno
una parte dei migranti cinesi in Italia, allora le politiche adottate in Italia
nei confronti degli stranieri dovrebbero predisporre un percorso orientato
a consentire nuove forme di partecipazione. Sul piano nazionale,
dovrebbe essere rivista la legge sulla cittadinanza, che, per il suo attuale
impianto, corrisponde più a un paese di emigranti che a un contesto di
immigrazione, quale è l’Italia da almeno tre decenni. Inoltre, gli
stranieri non comunitari dovrebbero avere accesso, dopo un congruo
periodo di regolare presenza sul territorio italiano, alle elezioni politiche
locali, come peraltro avviene, seppur in base a modalità e condizioni
diverse, nella gran parte dei paesi dell’Unione europea113. Ciò
permetterebbe di aprire quegli spazi di partecipazione sociale e politica
che attualmente sono preclusi a tutti coloro che non hanno la cittadinanza
italiana.
A livello locale, le amministrazioni comunali dovrebbero farsi
carico di aprire un canale di comunicazione con le comunità straniere più
strutturate e tendenzialmente autoreferenziali quali quella cinese,
investendo risorse finalizzate a mettere in campo strumenti operativi di
comunicazione interculturale.

112
Intervista svolta a Firenze, 28 giugno 2010.
113
Tra i 27 paesi dell’Unione europea, 9 (Germania, Austria, Cipro, Francia,
Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Romania), non prevedono alcun tipo di elettorato
(attivo o passivo) per gli stranieri non comunitari presenti sul loro territorio (per un
approfondimento cfr. Caritas/Migrantes 2008).

137
Sarebbe inoltre opportuno realizzare delle campagne informative
volte a far conoscere ai migranti cinesi la possibilità di ottenere il
permesso di soggiorno per “protezione sociale” (ex. art. 18, dlg. 286/98)
rivolto alle vittime di sfruttamento sessuale o economico. Una misura
che ha avuto, grazie ai progetti finanziati dalle amministrazioni locali e
gestiti da unità mobili di operatori, effetti significativi sul versante dello
sfruttamento sessuale per le donne straniere dedite alla prostituzione di
strada, ma che è rimasta largamente sottoutilizzata per i migranti
sottoposti a sfruttamento economico in condizioni analoghe alla
schiavitù.
Un altro tipo di campagna informativa dovrebbe essere indirizzata
a incentivare l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici in modo da
ridurre l’uso del contante cui ricorrono i cittadini cinesi nell’ambito delle
transazioni economiche. Se, da un lato, il pagamento in contanti si presta
alla commissione di operazioni illecite, dall’altro, esso riflette una
pratica largamente diffusa nel paese di origine, dove le banche sono
percepite come uno strumento a disposizione del partito unico al potere
per controllare i propri cittadini114. Peraltro, il ricorso prevalente al
contante caratterizza la medesima popolazione italiana, in un contesto
nel quale, secondo recenti valutazioni del Centro studi di Confindustria,
l’evasione fiscale ammonterebbe nel 2009 a 124 miliardi di euro115. In
definitiva, il tipo di decisioni assunte sul piano politico determinano
effetti ben precisi verso un processo di integrazione o, al contrario, di
esclusione delle collettività straniere presenti in Italia.
2) Sulla base dell’esperienza di altri paesi, come gli Stati Uniti,
che hanno avuto da tempo sul loro territorio la presenza di
organizzazioni criminali di origine straniera, possiamo trarre alcuni
significativi insegnamenti. Pensiamo, a questo riguardo, alle prime unità
investigative sorte nella città di New York all’inizio del XX secolo, al
cui comando vi era un tenente di polizia di origini italiane, Joe Petrosino,
ucciso a Palermo in Piazza Marina nel 1908, che indagava sulla
cosiddetta “Mano Nera”, un’organizzazione di immigrati italiani dedita
alle estorsioni a danno dei connazionali nelle Little Italy dell’epoca

114
Interviste a due studiose di cultura cinese (Milano, 15 maggio e 9 luglio
2010).
115
B. Ardù, Ricaricabile, revolving, classica, la rete oscura del denaro di
plastica. In Italia 67 milioni di tessere, ma poco utilizzate per gli alti costi, “la
Repubblica”, 9 aprile 2010; Anche Confindustria scopre l’evasione fiscale, secondo
il Csc ammonta a 124,5 mld (www.fiscoequo.it). .

138
(Petacco 1983). Come anche, per venire a eventi più recenti, al
contributo apportato da poliziotti di origini italiane che si sono infiltrati
all’interno della famiglia Bonanno di New York, causandone il suo
pressoché totale smantellamento (US Senate 1990).
Sarebbe opportuno costituire, in quelle città in cui vi è una
cospicua presenza di cittadini cinesi, delle unità investigative composte
da personale specializzato che dispone delle conoscenze di base della
cultura cinese ed è in grado di colloquiare nella lingua dei migranti,
mettendo in conto, in prospettiva, che tali unità dovrebbero essere
composte da cittadini italiani di origine cinese. A Milano, il fatto che
alcuni investigatori interloquiscano con i cittadini cinesi nella loro lingua
ha avuto rilevanti effetti nel contrasto alla criminalità, incentivando le
vittime a denunciare i reati. Pur non esponendosi pubblicamente, come
ha riferito un magistrato, esse hanno preso come riferimento questi
investigatori, tanto che “di recente, siamo stati in grado di effettuare un
arresto in flagranza per estorsione”116.
Un altro aspetto problematico attiene al ruolo degli interpreti cinesi
coinvolti nelle traduzioni. In taluni casi, vi sono stati interpreti che,
impiegati come traduttori, trasmettevano le informazioni ai connazionali
oggetto dell’indagine giudiziaria. Per evitare tale pericolo, servirebbe un
attento e scrupoloso screening delle persone di origine cinese abilitate a
prestare il loro servizio come traduttori, predisponendo un elenco di
nominativi su scala nazionale o regionale in modo che le forze
dell’ordine e la magistratura possano attingere ad esso, nel momento in
cui a livello locale non sia possibile reperire le persone appropriate.
In più, gli interpreti ricevono compensi estremamente bassi, pari a
5 euro all’ora, aspetto che senza dubbio non li incentiva ad avere una
relazione continuativa con le forze dell’ordine e la magistratura. Infine,
la questione più delicata riguarda le procedure volte a salvaguardare la
loro identità. Secondo quanto ci è stato riferito da alcuni investigatori, la
difesa degli imputati si trova nelle condizioni di conoscere l’identità
degli interpreti. Per cercare di occultare la loro identificazione, talune
questure inseriscono negli atti giudiziari, al momento della chiusura delle
indagini, i nominativi di tutti gli interpreti di cui normalmente si servono
in modo da non trascrivere solo colui che effettivamente ha condotto la
traduzione degli atti. In special modo per quei procedimenti che
prevedono imputazioni per associazione di tipo mafioso, le intimidazioni

116
Intervista svolta a Milano, 18 gennaio 2010.

139
cui potrebbero essere sottoposti gli interpreti, se non adeguatamente
tutelati, possono rivelarsi particolarmente pericolose.
L’ultima questione riguarda la cooperazione giudiziaria con le
autorità cinesi. Collaborazione che, come ci è stato confermato da più
intervistati appartenenti alle agenzie di law enforcement, è
sostanzialmente inesistente. Di recente, la Procura della Repubblica di
Milano ha richiesto, nell’ambito di un procedimento per contraffazione
di merci, la collaborazione delle autorità cinesi. Tuttavia, nel momento
in cui la parte cinese ha risposto chiedendo che le venissero inviati gli
atti, l’autorità giudiziaria italiana ha reputato opportuno non procedere
oltre, per non mettere a rischio l’indagine. In effetti, in assenza sia di
precisi protocolli d’intesa che di reciproca fiducia fra le parti, è arduo
pensare che si possa stabilire una proficua collaborazione fra autorità
italiane e cinesi.
La cooperazione giudiziaria con la Cina è di estrema rilevanza
poiché si tratta di una criminalità che, per il tipo di attività in cui è
coinvolta, ha carattere transnazionale. Ciò vale, in particolar modo, per
l’immigrazione illegale, lo sfruttamento della prostituzione, il traffico di
droga e la contraffazione di beni. In più, gli elementi criminali presenti
in Italia mantengono stretti legami con i loro interlocutori nel paese di
origine: talvolta si rifugiano in Cina dopo la commissione di un crimine,
in attesa che la situazione in Italia ritorni alla “normalità”; in altri casi, i
componenti dei gruppi criminali erano già conosciuti dai loro
connazionali come persone che avevano commesso dei reati nel paese di
origine. Ciò fa ritenere che le agenzie di law enforcement in Cina
dispongano di informazioni sul conto di elementi criminali operanti in
Italia che potrebbero risultare particolarmente proficue nel contrastare la
criminalità cinese. Infine, visto che molte attività illecite si basano su
collegamenti fra gruppi criminali operanti sia in Italia che in Cina, in
assenza di un’efficace cooperazione giudiziaria fra i due paesi è arduo
pensare di debellare in via definitiva tali associazioni criminali:
l’eventuale scompaginamento della componente “italiana” non
necessariamente condurrà a uno smantellamento dell’intera struttura
illecita.
3) Al fine di incrementare le conoscenze sul fenomeno criminale,
sarebbe opportuno realizzare, in quelle città contraddistinte da una
cospicua presenza di migranti, delle inchieste di vittimizzazione a un
campione rappresentativo di cittadini cinesi. A oggi, gli strumenti di
conoscenza di prima mano di cui disponiamo per delineare i contorni

140
della criminalità cinese rientrano per la gran parte entro due categorie.
La prima si basa sull’analisi delle statistiche criminali, la cui utilità,
tuttavia, può essere solo indicativa poiché esse tendono, per tutta una
serie di motivi evidenziati in precedenza, a sottostimare l’entità e la
tipologia dei crimini che coinvolgono i cittadini cinesi. La seconda, di
tipo qualitativo, fa riferimento agli atti giudiziari e alle interviste agli
appartenenti alle agenzie di law enforcement. Tuttavia anche tali fonti,
seppur contenenti informazioni puntuali e approfondite, rappresentano
un “punto di vista” istituzionale che raramente corrisponde a quello dei
cittadini cinesi potenziali vittime di eventi criminali. Per questi motivi, le
inchieste di vittimizzazione possono fornire un prezioso contributo di
conoscenza, consentendo di acquisire informazioni circostanziate e
generalizzabili sulla criminalità “interna” alle comunità cinesi.

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2007 Sezione dei giudici per le indagini preliminari e per
l’udienza preliminare presso il Tribunale di Ancona,
Sentenza, N. 08/07, 9 gennaio.
2010 Ufficio GIP - GUP presso il Tribunale di Ancona,
Ordinanza di applicazione della misura cautelare della
custodia in carcere, N. 2047/03 RGGIP, 21 aprile.
Trib. Busto Arsizio
2006 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Busto
Arsizio, Fermo di indiziato di delitto, N. 1412/06
RGNR, 22 luglio.
2009 Procura della Repubblica di Busto Arsizio, Relazione
sull’amministrazione della giustizia per l’anno 2009
(periodo 01.07.2008 – 30.06.2009), Prot.llo 1452/09-1-
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Tribunale di Bologna, Ordinanza applicativa della
misura cautelare della custodia in carcere, NRGGIP
17889/08, 30 dicembre.
2008b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna,
Richiesta del pubblico ministero di giudizio immediato,
N. 20508/08, 23 gennaio.
2009 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna,
Richiesta per l’applicazione di misure cautelari, N.
15303/07 RG, 4 febbraio.
Trib. Firenze
1999 II Sezione penale presso il Tribunale di Firenze,
Sentenza N. 670, 24 maggio.
2003 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze,
Richiesta per l’applicazione di misura cautelare, N.
20505/00 RGNR/Mod.21, 11 giugno.
2005a Ufficio del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Firenze, Ordinanza applicativa di misure
cautelari personali e reali, N. 18606/02 RGNR, 23
marzo.
2005b I Sezione penale presso il Tribunale di Firenze, Sentenza
N. 4599/05, 7 dicembre.
2007 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze,
Richiesta di rinvio a giudizio N. 5970/07.
2009 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze,
Richiesta per l’applicazione di misura cautelare e
contestuale richiesta di arresto europeo N. 10279/07, 20
novembre.
2010a Ufficio del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Firenze, Ordinanza applicativa di misure
cautelari personali e reali, N. 9667/09 RGGIP, 16
giugno.
2010b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze,
Decreto di citazione in giudizio N. 6947/08, 13 maggio.
2010c Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze,
Decreto di citazione in giudizio N. 6948/08, 26 maggio.

154
Trib. Firenze
2010d Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze,
Decreto di citazione in giudizio N. 6949/08, 13 maggio.
Trib. Forlì
2006 Tribunale di Forlì, Sentenza N. 1045/06, 4 ottobre.
Trib. Lecce
2009 Sezione dei giudici per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Lecce, Ordinanza di applicazione di misure
cautelari personali, N. 9281/08 GIP, 26 giugno 2009.
Trib. Macerata
2007 Tribunale di Macerata, Sentenza N. 314/07, 8 maggio.

Trib. Milano
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Tribunale di Milano, Ordinanza di custodia cautelare in
carcere, N. 2399/99 RGGIP, 29 ottobre.
2002 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,
Richiesta per l’applicazione di misure cautelari
personali, N. 28137/02 RGNR/Mod.21, 16 dicembre.
2003 Ufficio del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Milano, Ordinanza di applicazione di
misura cautelare personale, N. 5143/02 RGGIP, 6
giugno.
2004 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,
Richiesta di applicazione di misure cautelari, N.
2965/04 RGNR/Mod.21, 28 febbraio.
2005a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,
Richiesta di applicazione di misure cautelari personali,
N. 17568/05 RGNR/Mod.21.
2005b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,
Richiesta di applicazione di misure cautelari personali,
N. 12062/05 RGNR/Mod.21, 24 giugno.
2005c Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,
Richiesta di applicazione della misura cautelare della
custodia in carcere, N. 7546/05 RGNR/Mod.21, 14
marzo.

155
Trib. Milano
2006 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,
Richiesta di applicazione della misura cautelare della
custodia in carcere, N. 16393/05 RGNR/Mod.21, 13
febbraio.
2008 Sezione del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Milano, Ordinanza di applicazione di
misura cautelare personale, N. 8480/07 RGGIP, 9
giugno.
2009a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,
Richiesta di convalida di fermo, N. 39710/08
RGNR/Mod.21, 10 gennaio.
2009b Tribunale di Milano, Sentenza N. 14185/09, 8 febbraio.

Trib. Napoli
1999 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
Richiesta di convalida di fermo e di contestuale
applicazione di misura cautelare, N. 1284/99 RG, 8
ottobre.
2005a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
Richiesta per l’applicazione di misure cautelari e reali,
N. 56950/05, 20 maggio.
2005b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
Richiesta di applicazione della misura cautelare, N.
15492/04 Mod. 21, 8 marzo.
2005c Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
Verbale di interrogatorio di persona sottoposta a
indagini, N. 15492/04, 10 ottobre.
2006a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
Verbale di interrogatorio, N. 15492/04, 13 dicembre.
2006b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
Richiesta per l’applicazione di misure cautelari, N.
39396/R/03.
2008 Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Napoli, Ordinanza di applicazione della misura
cautelare personale della custodia cautelare, N.
18518/07 RGGIP, 1 luglio.

156
Trib. Napoli
2009 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
Richiesta di giudizio immediato, N. 55345/09 RG, 15
novembre.
Trib. Nola
2010 Sezione di Polizia Giudiziaria presso la Procura della
Repubblica del Tribunale di Nola, L’immigrazione
cinese nell’area, 18 febbraio.
Trib. Palermo
2007 Procura della repubblica presso il Tribunale di Palermo,
Richiesta di rinvio a giudizio, N. 1579/07 Mod. 21, 13
marzo.
2008 Sezione dei giudici per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Palermo, Sentenza, N. 800165/08 Reg.
GIP, 21 gennaio.
Trib. Prato
2004 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Richiesta di applicazione di misura cautelare, N.
1512/03 RGN, 10 giugno.
2005a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Fermo di indiziato di delitto, N. 2211/04 RGN, 18
maggio.
2005b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Richiesta di rinvio a giudizio, N. 1001/99 RGNR, 27
maggio.
2005c Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Richiesta di convalida di decreto di fermo e di
applicazione di misura cautelare, N. 5157/05 RNR, 30
maggio.
2005d Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Richiesta per l’applicazione di misura cautelare, N.
3604/04 RGNR, 13 settembre.
2008a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Richiesta di rinvio a giudizio, N. 5033/07 RGNR, 3
novembre.
2008b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Decreto di presentazione dell’arrestato al Giudice per
la convalida ed il contestuale giudizio, N. 4208/08
RGNR, 12 agosto.

157
Trib. Prato
2008c Ufficio del Giudice per le indagini preliminari,
Ordinanza di applicazione di misura cautelare
personale, N. 3380/06 RGGIP, 4 aprile.
2009a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Richiesta di applicazione di misura cautelare, N.
3548/09 RGNR, 10 novembre.
2009b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Richiesta di giudizio immediato, N. 3548/09 RG, 2
febbraio.
2010a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Decreto di presentazione dell’arrestato al Tribunale
Collegiale per la convalida ed il contestuale giudizio
direttissimo, N. 1841/10 RGNR, 11 marzo.
2010b Procura della Repubblica presso il Tribunale di Prato,
Decreto di presentazione dell’arrestato al Tribunale
Collegiale per la convalida ed il contestuale giudizio
direttissimo, N. 946/10 RGNR, 5 febbraio.
Trib. Roma
1995 Tribunale di Roma, Sentenza N. 285/94, 11 marzo.
2005 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma,
Richiesta per l’applicazione di misure cautelari, N.
456/05 RGNR, 14 giugno.
2008 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma,
Richiesta per l’applicazione di misure cautelari, N.
54402/05 RGNR, 5 febbraio.
2009 Sezione dei giudici per le indagini preliminari e per
l’udienza preliminare presso il Tribunale di Roma,
Ordinanza di applicazione di misura cautelare
personale, N. 53517/07 RGPM, 27 aprile.
2010 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma,
Avviso all’indagato e al difensore della conclusione
delle indagini preliminari, N. 456/05 NRG, 10 maggio.
Trib. Rovigo
2007 Compagnia di Rovigo (Regione Carabinieri Veneto)
presso la Procura della Repubblica del Tribunale di
Rovigo, Operazione “Ombre cinesi”, 5 febbraio.

158
Trib. Trieste
2002 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste,
Ordinanza per l’applicazione di misure cautelari, 3
ottobre.
2006 Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste,
Decreto di sequestro preventivo del Pubblico Ministero,
N. 1731/06, 12 luglio.
Trib. Udine
2008a Ufficio del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Udine, Sentenza N. 383/08, 2 settembre.
2008b Ufficio del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Udine, Sentenza N. 382/08, 16 ottobre.
Trib. Venezia
2005 Sezione del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Venezia, Sentenza N. 482/05, 31 maggio.

159
Appendice
Tab. 1. Cittadini cinesi denunciati per i seguenti reati nella provincia di Milano
(anni: 2004-2010)
Tipo di reato 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Omicidi volontari 2 1 2 6 4 11
consumati
Tentati omicidi 2 1 3 5 5 12 10
Lesioni dolose 6 25 18 26 22 25 36
Furti 9 16 14 12 20 17 32
Rapine 7 9 15 8 2 9 20
Estorsioni 6 3 17 8 8 9 51
Sequestri di persona 7 6 3 8
Associazione 416 c.p. 2 19 11 4 24 26 25
Stupefacenti 1 4 24 18
Sfrutt. Prostituzione e 11 38 26 18 72 29 17
pornografia minorile
Contraffazione di marchi 29 24 19 9 14 12 10
Gioco d’azzardo 8 67 1 1 21 18 13
Organizz. Immigraz. 16 64 48 46 84 93 42
illegale (art. 12 dl.gs
286/98)
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno

Tab. 2. Cittadini cinesi denunciati per i seguenti reati nella provincia di Firenze
(anni: 2004-2010)
Tipo di reato 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Omicidi volontari 2 1 2 1 1 1
consumati
Tentati omicidi 1 3 3 1 1
Lesioni dolose 13 6 9 29 11 15 29
Furti 2 7 5 5 4 8 8
Rapine 12 8 10 1 1 1 4
Estorsioni 6 3 9 7 3 6 9
Sequestri di persona 1 2 3 1 4
Associazione 416 c.p. 4 1 5 8 10 24
Stupefacenti 1 8 11 3 5 1
Sfrutt. Prostituzione e 5 4 12 30 40
pornografia minorile
Contraffazione di marchi 24 23 21 8 14 9 9
Gioco d’azzardo 10 10 5 10 21 10 47
Organizz. Immigraz. 68 106 93 88 104 61 68
illegale (art. 12 dl.gs
286/98)
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno

160
Tab.3. Cittadini cinesi denunciati per i seguenti reati nella provincia di Prato (anni:
2004-2010)
Tipo di reato 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Omicidi volontari 1 5 1 3 11
consumati
Tentati omicidi 4 6 1 2 1 5 5
Lesioni dolose 30 19 22 21 34 52 55
Furti 3 4 13 14 10 22 14
Rapine 12 13 12 14 16 22 15
Estorsioni 9 4 14 6 20 22 53
Sequestri di persona 6 2 5 1 1 28
Associazione 416 c.p. 5 1 11 23 11 20
Associazione 416 bis 16
Stupefacenti 9 3 10 24 41 20 101
Sfrutt. Prostituzione e 4 9 16 14 10 6
pornografia minorile
Contraffazione di marchi 11 10 4 4 13 17 4
Gioco d’azzardo 21 29 30 12 45 99
Organizz. Immigraz. 41 69 50 60 90 178 144
illegale (art. 12 dl.gs
286/98)
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno

Tab. 4. Cittadini cinesi denunciati per i seguenti reati nella provincia di Roma (anni:
2004-2010)
Tipo di reato 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Omicidi volontari 1 4 1
consumati
Tentati omicidi 1 2 5
Lesioni dolose 5 6 10 11 6 6 4
Furti 2 1 1 4 4 7 8
Rapine 1 2 3 2 3 1
Estorsioni 2 2 6 2 6 5 2
Sequestri di persona 5 1
Associazione 416 c.p. 4 4 4 9 12 18
Stupefacenti 1 2 3 1 4
Sfrutt. Prostituzione e 2 7 4 10 23 12 20
pornografia minorile
Contraffazione di marchi 11 31 27 30 32 23 13
Gioco d’azzardo 5 4 8 11 27 53
Organizz. Immigraz. 12 20 9 27 17 16 16
illegale (art. 12 dl.gs
286/98)
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno

161
Tab. 5. Cittadini cinesi denunciati per i seguenti reati nella provincia di Napoli
(anni: 2004-2010)
Tipo di reato 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Omicidi volontari 3 1 3 1 3
consumati
Tentati omicidi 2
Lesioni dolose 5 1 5 7 3 7 2
Furti 2 1 11 3
Rapine 2 1
Estorsioni 5 1 3
Associazione 416 c.p. 6 2 19 14
Associazione 416 bis 4 5 2
Stupefacenti 4 8 1 5 6
Sfrutt. Prostituzione e 4 1 3 3 2
pornografia minorile
Contraffazione di marchi 16 21 14 12 8 9 1
Gioco d’azzardo 11 2 20
Organizz. Immigraz. 17 18 7 7 10 2 6
illegale (art. 12 dl.gs
286/98)
Fonte: elaborazione personale su dati del Ministero dell’Interno

Persone intervistate nel corso della ricerca (dicembre 2009 - ottobre


2010)

Milano
3 appartenenti alle Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Arma dei
Carabinieri, Guardia di Finanza)
5 appartenenti alla magistratura
3 appartenenti alle associazioni no-profit e/o studiosi di cultura cinese
1 cittadino cinese
2 giornalisti

Firenze
5 appartenenti alle Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Arma dei
Carabinieri, Guardia di Finanza)
2 appartenenti alla magistratura
1 appartenente alle associazioni no-profit e/o studioso di cultura cinese
1 cittadino cinese

162
Prato
3 appartenenti alle Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Arma dei
Carabinieri, Guardia di Finanza)
2 appartenenti alla magistratura
1 appartenente alle associazioni no-profit e/o studioso di cultura cinese
1 cittadino cinese
1 Assessore del Comune di Prato

Roma
8 appartenenti alle Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Arma dei
Carabinieri, Guardia di Finanza)
2 appartenenti alla magistratura
2 appartenenti all’Agenzia delle Dogane
2 appartenenti alle associazioni no-profit e/o studiosi di cultura cinese
3 cittadini cinesi

Napoli
7 appartenenti alle Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Arma dei
Carabinieri, Guardia di Finanza)
7 appartenenti alla magistratura
2 appartenenti all’Agenzia delle Dogane
1 appartenente alle associazioni no-profit e/o studioso di cultura cinese
1 cittadino cinese

163
Ringraziamenti

Molte istituzioni e molte persone hanno fornito un valido aiuto nel


cercare di dipanare un inverso criminale che, per sua natura, tende a
occultarsi. Stefano Becucci, autore del rapporto di ricerca, ringrazia la
Direzione Nazionale Antimafia e le Procure della Repubblica che
hanno fornito il materiale giudiziario, il Ministero dell’Interno e le
Questure coinvolte, la Direzione Investigativa Antimafia, il Comando
Generale della Guardia di Finanza e i Comandi provinciali interessati, il
Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata e il
Nucleo Speciale di Valutazione Tributaria della Guardia di Finanza,
l’Arma dei Carabinieri, l’Agenzia delle Dogane, l’Agenzia delle Entrate,
l’Unità d’Informazione Finanziaria della Banca d’Italia e gli Uffici
statistici dei Comuni coinvolti. Inoltre, un ringraziamento particolare va
a Sergio Affronte, Sergio Amato, Antonio Bianciardi, Luca Binazzi,
Giovanni Bombardieri, Enzo Brogi, Rocco Burdo, Laura Canovai,
Francesco Carchedi, Leonardo Carocci, Dario Caserta, Lidia Casti,
Francesca Celle, Enzo Ciconte, Daniele Cologna, Giovanni Conzo,
Francesco Curcio, Dario Curtarello, Vincenzo Delicato, Federico Cafiero
De Raho, Elena Di Filippo, Maria Vittoria De Simone, Mario Dovinola,
Raffaello Falcone, Rita Fatiguso, Giuseppe Ferrara, Luigi Frisani, Piero
Grasso, Ettore Squillace Greco, Ombretta Ingrascì, Paolo Mancuso,
Catello Maresca, Anna Marsden, Giovanni Melillo, Francesco Messineo,
Aldo Milone, Paola Monzini, Alberto Nobili, Laura Trombetta Panigai,
Laura Pedio, Rossana Penna, Silvia Perrucci, Mario Portanova, Giuseppe
Quattrocchi, Angelo Renna, Maria Vittoria Romagnoni, Gennaro
Salese, Pietro Suchan, Alberto Tassinari, Piero Tony e i cittainci cinesi
che hanno partecipato alle interviste. Infine, l’autore ci tiene a precisare
come alcuni personaggi citati non abbiano ancora ricevuto un giudizio di
colpevolezza definitivo. Per tutti costoro, dunque, vale il benefico del
dubbio; il racconto delle vicende in cui risultano protagonisti ha un
valore semplicemente storico-documentale.

164

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