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Il movimento del saggio del profitto secondo Andrew Kliman

(Prima versione provvisoria)

Paolo Giussani 

Andrew Kliman è fra i rari che pongono, in un modo o nell'altro, la tendenza alla diminuzione del
saggio generale del profitto alla base della crisi in cui il capitalismo mondiale è entrato dal 2007, e
che quindi rigettano più o meno completamente l'idea che negli ultimi trent'anni grazie all'avvento di
un un nuovo regime di accumulazione, l'onnipresente “neoliberismo”, il saggio del profitto abbia
recuperato in gran parte se non in tutto il calo avvenuto nella prima metà del dopoguerra.1

Il saggio generale del profitto

Del tutto indipendentemente dalle misurazioni statistiche che Kliman oppone a quelle dei suoi
avversari, riguardo alle quali può avere eccellenti ragioni, egli propone une legge teorica dei
movimenti del saggio del profitto sulla quale vale la pena di riflettere un poco.

Secondo Kliman il saggio del profitto2 tende nel tempo verso il saggio incrementale del profitto, da
lui definito come il rapporto fra la variazione annuale del plusvalore prodotto e la variazione annuale
del valore dello stock netto di capitale fisso.

Definendo:

S plusvalore prodotto in un anno

K stock netto di capitale fisso

si ha
𝑆
r = saggio del profitto
𝐾

∆𝑆
𝑟 = saggio incrementale del profitto.
∆𝐾

Come detto, secondo Kliman il saggio del profitto tende verso il saggio incrementale, che Kliman
considera come fondamentalmente costante nel lungo periodo. Ciò significa


(Milano, Maggio 2010)
1
Si veda A.Kliman (2009) The Persistent Fall in Profitability Underlying the Current Crisis: New Temporalist Evidence ,
in http://akliman.squarespace.com/persistent-fall/. Asssieme al suo testo Kliman rende disponibile anche un file di Excel
con tutti i dati da lui utilizzati.
2 Naturalmente qui non si tratta di forme particolari ma della forma generale del saggio del profitto marxiano, dato dal

flusso annuo del plusvalore complessivo prodotto in rapporto al valore dello stock netto di capitale fisso in quell'anno.

1
∆𝑆
𝑟 = = R (R costante > 0), e
∆𝐾

r (t) → R (per t → ∞) .

L'equazione del saggio incrementale del profitto è in forma discreta con il plusvalore annuo e lo stock
di capitale fisso posti come funzioni del parametro temporale t :

𝑆𝑡+1 −𝑆𝑡
=𝑅 [1]
𝐾𝑡+1 − 𝐾𝑡

Per risolvere la [1] occorre definire la funzione Kt ; il modo più semplice è considerare lo stock di
capitale fisso come funzione temporale con un tasso di variazione costante, gk :

𝐾𝑡+1 = 𝐾𝑡 (1 + 𝑔𝑘) , ossia

𝐾𝑡 = 𝐾0 (1 + 𝑔𝑘)𝑡

Utilizzando quest'ultima espressione per Kt , la [1] diviene

𝑆𝑡+1 − 𝑆𝑡 = 𝑅 [𝐾0 1 + 𝑔𝑘 𝑡 𝑔𝑘] [2]

Integrando quindi l'equazione alle differenze [2] otteniamo il plusvalore annuo


𝑆𝑡 in funzione delle costanti R e gk e delle condizioni iniziali 𝐾0 e 𝑆0 :

𝑆𝑡 = 𝑅 1 − 1 + 𝑔𝑘 𝑡 𝐾 0 + 𝑆0 [3]

Dividendo infine i due lati della [3] per 𝐾𝑡 e svolgendo i necessari aggiustamenti si ottiene
l'equazione dinamica del saggio del profitto,

𝑆𝑡 𝐾0 𝑆0
𝑟𝑡 = = 𝑅(1 − )+ [4]
𝐾𝑡 𝐾𝑡 𝐾𝑡

A questo punto, calcolare il limite di 𝑟𝑡 (per 𝑡 → ∞) è del tutto immediato. Dato che
𝐾0 𝑆
sia che 𝐾0 tendono ovviamente a zero, dalla [4] si vede subito che allo scorrere del tempo il
𝐾𝑡 𝑡

saggio del profitto deve tendere al valore costante del saggio incrementale del profitto, 𝑟𝑡 → 𝑅 .

Abbiamo così scoperto che una volta che si sia dichiarato che il saggio incrementale del profitto è
una grandezza costante diventa del tutto superfluo aggiungere che il saggio del profitto tende nel
tempo al valore del saggio incrementale del profitto, dato che la seconda affermazione è già
necessariamente contenuta nella prima. La cosa veramente importante tuttavia è che, se lungo questo
percorso il saggio del profitto deve seguire un movimento discendente, occorre che il punto di
partenza, ossia le condizioni iniziali siano maggiori del punto di arrivo. È cioè necessario che
all'inizio del movimento si abbia

2
𝑆0
𝑟0 = > 𝑅. [5]
𝐾0

L'esistenza di una tendenza calante del saggio del profitto dipende esclusivamente da condizioni
iniziali conformi a [5], ma cosa può garantire che la condizione [5] sia effettivamente soddisfatta?

Le condizioni iniziali

Secondo Kliman, il grande sconvolgimento planetario del periodo 1929-1945, formato dalla
congiunzione di grande depressione e seconda guerra mondiale, è un esempio eccellente, anzi il
maggior esempio di quello che precisamente serve a garantire la realizzazione della condizione [5]
cioè di un saggio del profitto anormalmente elevato, gradualmente consumato nella realizzazione del
grande boom del dopoguerra, a mo' di un corpo che scendendo verso un centro di gravità esaurisce la
propria energia potenziale convertendola in energia cinetica.

Ma, prima del periodo 1929-1945 che era successo? Forse, anche nel periodo di boom precedente
come accaduto dopo il 1945, il saggio del profitto si era mosso tendendo dall'alto verso il valore
costante dato dal saggio incrementale? E quale periodo prima della fase espansiva che ha preceduto i
disastri dell'intervallo 1929-1945 era riuscito ad innalzare così tanto, o in una misura comunque
storicamente grande, il saggio del profitto, appunto in modo da poter produrre la fase di boom,
conclusasi nel 1929, attraverso la graduale riduzione del saggio generale del profitto?

Nei periodi critici, quelli in cui l'accumulazione tende a fermarsi, il saggio del profitto aumenta
rapidamente sia perchè la distribuzione del reddito varia a sfavore dei salari sia perchè il capitale
fisso che sopravvive viene usato più intensivamente e si riduce di prezzo. Le guerre su vasta scala,
quelle sufficientemente ampie da condizionare tutta l'economia a lavorare per esse, possono perciò
venire considerate come dei metodi per prolungare e/o amplificare gli effetti di una crisi perchè ne
riproducono il meccanismo in maniera, per così dire, controllata.

Secondo i dati di Kliman, la grande depressione non riuscí ad aumentare il saggio generale del
profitto dell'economia americana al di sopra del livello del 1929. La crisi inizialmente fece calare di
circa ¾ il saggio del profitto dal 1929 al minimo del 1932; successivamente il saggio del profitto
prese a recuperare, ma nel corso della depressione si rialzò di meno di tre volte dal 1932 al 1938,
toccando in quest'ultimo anno un livello di circa il 26% inferiore rispetto a quello del 1929. Fu la
mobilitazione bellica dal 1939 in poi a portare molto più in alto dell'epoca precedente il saggio del
profitto, fino al 1943 che segna il massimo storico di tutto il periodo dal 1929 ad oggi, pari a poco più
del doppio del valore del 1929. Se accettiamo l'idea che il saggio del profitto costituisca l'energia
potenziale accumulata per l'accumulazione e la crescita della produzione, il boom del dopoguerra fu
reso possibile dalla perdita (conversione) di circa il 36% di questa energia dal 1943 al 1970. Dopo il
1970 la perdita diviene quasi trascurabile, in corrispondenza del rallentamento e della stagnazione

3
dell'accumulazione, e il saggio generale del profitto si mantiene sempre ad un livello mediamente
superiore di circa il 20% a quello del 1929 pur declinando ancora tendenzialmente.

In sostanza, la teoria di Kliman è quella di un saggio del profitto che cade a causa dell'innalzamento
rapido provocato da processi potentemente inibitori dell'accumulazione, e non semplicemente dalle
crisi che in questo caso non sono abbastanza efficaci, come quello delle guerre, e non di guerre
semplici ma di guerre generali, esattamente come la seconda guerra mondiale, in cui tutto il
funzionamento dell'economia è forzatamente posto sul percorso della riproduzione semplice. Ma
questo non c'entra nulla con la caduta del saggio del profitto dovuta al progresso tecnico che si
esprime in un aumento della parte costante in rapporto a quella variabile del capitale, e che
costituisce il nucleo della teoria di Marx. Nella teoria di Kliman esiste una sorta di livello di
equilibrio del saggio del profitto, calcolabile dal valore costante del saggio incrementale, dal quale il
saggio effettivo viene violentemente allontanato per opera delle forti perturbazioni causate da guerre
e/o processi dello stesso tipo, ma verso il quale tende nuovamente nel corso della normale crescita
successiva. All fin della fiera, la teoria di Kliman sembra ridursi all'affermazione che il saggio del
profitto deve scendere perchè prima é salito troppo e deve salire perchè prima è sceso troppo.

In realtà questo presunto saggio del profitto di equilibrio di Kliman non è propriamente un saggio di
equilibrio ma una specie di limite inferiore approssimandosi il quale le crisi economiche devono
diventare sempre più frequenti e potenti, fino all'emergere del meccanismo violento capace di
reindirizzare velocemente verso l'alto il saggio del profitto. Se si trattasse di un saggio di equilibrio
dovrebbe in qualche maniera fungere da centro gravitazionale per il saggio effettivo del profitto, in
maniera che quest'ultimo prima di risalire scenderebbe al di sotto di esso e non si limiterebbe ad
avvicinarlo progressivamente. Il fatto è che delle possibili tipologie di meccanismo forzoso capace di
far risalire molto rapidamente il saggio del profitto noi conosciamo solo la seconda guerra mondiale;
dei periodi anteriori non sappiamo praticamente nulla e di quelli posteriori soltanto che un
meccanismo del genere non si è più (o non ancora, se si preferisce) rivisto.

Probabilmente Kliman risponderebbe che un meccanismo di crisi capace di agire in profondità


riducendo molto consistentemente il prezzo degli elementi del capitale fisso e variando in buona
misura la distribuzione del reddito a favore dei profitti non ha potuto svolgersi liberamente in questo
dopoguerra, e segnatamente dagli anni '70 in poi, perchè inibito dall'intervento economico dello stato
composto da politica monetaria, politica fiscale e regolamentazioni varie, praticamente assente nel
secolo XIX fino alla grande depressione, in grado di convertire una crisi generale da acuta in cronica.
Tuttavia, indipendentemente dai possibili effetti dall'azione economica dello stato, un innalzamento
del saggio generale del profitto come quello osservabile nel decennio dal 1932 al 1943, e che si trova
a fondamento del grande boom postbellico, non è stato opera della svalorizzazione del capitale
costante realizzata dal puro e semplice lavorìo della crisi. In base ai dati disponibili, la parte di rialzo
del saggio del profitto che si può considerare come prodotto dalla depressione in sè prima del

4
sopravvenire degli effetti dell'economia di guerra non sarebbe bastata affatto a generare l'espansione
fino agli anni '70, anzi non sarebbe stata sufficiente a produrre praticamente nessuna espansione visto
che nel 1938 il saggio del profitto non era ancora riuscito a recuperare neppure il livello del 1929.

Sembra perciò molto difficile che il saggio del profitto possa seguire un andamento secolare come
quello prospettato da Kliman: violente ascese che spostano in alto le condizioni iniziali del nuovo
periodo di accumulazione e crescita normali in cui il saggio del profitto tende gradualmente verso il
suo limite, guidato dal movimento di oscillazione del saggio incrementale attorno ad un trend
costante.

Il saggio incrementale del profitto

Ma, è poi vero che nella realtà di fatto il saggio incrementale del profitto sia tendenzialmente
costante, come è asserito da Kliman? È una questione spinosa, che non può avere una risposta
semplice.

Nell'insieme del periodo preso in esame dai dati di Kliman (1930-2007) il saggio generale
incrementale del profitto si presenta come segue: 3

3
Per i due Grafici 1 e 2 e la Tabella 1, i dati sono gli stessi usati da Kliman ma nella revisione piu recente pubblicata dal
Bureau of Economic Analysis (www.bea.gov). Il denominatore del saggio incrementale è la variazione dei valori storici
dello stock netto di capitale fisso del settore delle corporation ( Bea Fixed Asset, tab. 6.3, linea 2). Al numeratore si trova
la variazione del corrispondente statistico del plusvalore complessivo, come calcolato da Kliman sottraendo dal valore
aggiunto lordo del settore corporation il compenso totale dei lavoratori e il deprezzamento del capitale fisso a valori
storici (risp. Bea Nipa tab. 1.14, linea 2; Bea Nipa, tab. 1.14, linea 4 e Bea Fixed Asset tab. 6.4, linea 2).

5
Il movimento del saggio incrementale annuale è fortemente fluttuante e le oscillazioni del periodo
della depressione e della guerra sono così ampie da non rendere discernibili nel Grafico 1 le
caratteristiche dell'andamento del dopoguerra. Non essendo tuttavia in vigore alcun comandamento
divino a considerare sempre e solo i valori annuali delle cose, l'altalena continua cui il movimento
del saggio incrementale annuale è soggetto, spingono ad esaminare l'andamento di valori più lunghi,
ad es. quadriennali, del saggio incrementale nel periodo dal 1945 in poi, visibile nel seguente
Grafico 2:

Grafico 2.
0,7 US. Saggio del profitto incrementale quadriennale.
0,6
1945-2007

0,5

0,4

0,3

0,2

0,1

0
1945-49 1949-53 1953-57 1957-61 1961-65 1965-69 1969-73 1973-77 1977-81 1981-85 1985-89 1989-93 1993-97 1997-01 2001-05 2005-07

Il trend di questo saggio incrementale quadriennale nell'intero intervallo è così debolmente negativo
da poter essere considerato praticamente costante ma ciò dipende esclusivamente dal valore del
periodo 2001-2005, senza il quale diviene abbastanza negativo:

Tabella 1.
Trend del saggio incrementale quinquennale del profitto
Intervallo Inclinazione Trend
1945-49 : 2005-07 -0.0011
1945-49 : 2005-07 * -0.0069
1945-49 : 1997-01 -0.0096
1945-49 : 1993-97 -0.0060
1945-49 : 1989-93 -0.0094
1945-49 : 1985-89 -0.0121
* Con estrapolazione del valore del quadriennio 2001-2005

Questa del saggio incrementale del profitto è una faccenda alquanto delicata perchè è sufficiente un
qualsiasi valore non positivo oppure in tendenziale declino del saggio incrementale per far sì che il
saggio del profitto tenda a diminuire indefinitamente, oltrepassando ogni possibile limite prefissato

6
verso lo zero. Ed è ovvio che muovendo da un qualsiasi valore positivo in direzione dello zero un
punto realmente critico, per quanto a priori non determinabile, non può mancare prima o poi di
arrivare. Circostanza invece non necessaria in un movimento calante che tende però verso un limite
positivo ossia che non può scendere al di sotto di una certa soglia; dato che nulla può garantire che il
momento critico che mette in moto il meccanismo di arresto dell'accumulazione si trovi al di sopra
del limite cui tende il saggio generale del profitto.

Il saggio del profitto e la seconda guerra mondiale

Il grande boom del dopoguerra si è valso di un saggio generale del profitto iniziale molto alto e
quindi di un saggio potenziale di accumulazione altrettanto alto – almeno per lo standard storico del
capitalismo del secolo XX – frutti del meccanismo peculiare dell'economia di guerra.

In buona sostanza si può concepire un'economia di guerra come un gigantesco spostamento attuato
forzosamente per mezzo dell'apparato statale dalla riproduzione allargata alla riproduzione semplice
del capitale, il cui tratto peculiare è la conversione del settore che produce mezzi di produzione in
una sezione supplementare del settore che produce i beni di consumo. Per questa massa addizionale
di beni di consumo non può esistere problema di realizzazione perchè l'amministrazione pubblica
utilizza più o meno coattivamente i risparmi esistenti nella società oppure crea i mezzi di circolazione
necessari, tanto direttamente che attraverso la cosiddetta monetizzazione del debito pubblico.

Se il controllo dei prezzi messo in atto dall'apparato statale riesce a funzionare, una quota più o meno
consistente dei salari si converte in risparmio forzato a causa della carenza sul mercato di una parte
dei beni di consumi prodotti in precedenza, se invece fa cilecca lasciando dilagare il mercato
clandestino questa quota salariale si converte in profitto addizionale speculativo generato dagli
aumenti dei prezzi, anche parecchio elevati, di una parte dei beni di consumo. In entrambi i casi viene
creato un margine ulteriore per gli acquisti in deficit da parte dello stato.

Nel corso della vasta espansione della produzione e del consumo bellici il prezzo dello stock di
capitale fisso complessivo si riduce (vedi Grafico 3)4 a causa degli accordi e fusioni forzate che nel
settore industriale sono imposte ai singoli capitali dall'applicazione della pianificazione generale
dell'economia di guerra, che tendono ad azzerare il prezzo di fatto di una parte del capitale fisso da
impiegare; ma soprattutto in virtù della riduzione progressiva dello stock di capitale fisso generata
tanto dal fatto che gli ammortamenti per logorio superano gli investimenti lordi quanto dal
grandemente aumentato tasso di utilizzo della capacità produttiva, che deve superare ogni limite

4
Il Grafico 3 riporta l'andamento del valore storico dello stock netto di capitale fisso di tutto il settore business
dell'economia americana compreso il settore noncorporate (Bea Fixed Asset, tab. 6.3, linee 1, 8 e 9) deflazionato mediante
l'indice dei prezzi degli elementi del capitale fisso non residenziale (Bea Fixed Asset, tab. 1.6.4, linea 25)

7
sperimentato in tempi normali, unito all'innaturale logoramento fisico provocato dalla conversione
produttiva.

Grafico 3.
1200 US. Business Fixed Capital Stock
Historical Values Deflated (2005 US$).
1000 1929-1951

800

600

400

200

0
1929 1932 1935 1938 1941 1944 1947 1950

È chiaro che l'assenza di accumulazione accompagnata dall'espansione della produzione mediante il


prolungamento del tempo e dell'intensità del lavoro incontra ben presto limiti invalicabili, oltre i quali
c'è la distruzione dell'apparato produttivo di una nazione. Ma, una volta che l'economia di guerra
venga abbandonata e la domanda di beni da parte dello stato diminuisca rapidamente, non c'è alcun
ostacolo a riconvertire ancora una volta l'utilizzo dell'apparto produttivo. Anzi, dati la sparizione
della domanda da parte dell'amministrazione pubblica, il livello molto elevato del saggio del profitto
e la mancanza assoluta di alternative riguardo alla destinazione dei propri capitali monetari, su tutti i
singoli capitali indistintamente si trova ad agire una medesima pressione che li costringere a
riprendere di buona lena la loro produzione normale pena la sparizione. Questa circostanza non può
evitare di mettere in movimento una fase di espansione a tassi elevati ossia corrispondenti all'alto
saggio del profitto raggiunto, e il resto viene da sè.

Proprio di recente, Paul Krugman ha affermato che il grande debito pubblico accumulato dal governo
americano per finanziare la seconda guerra mondiale fu in realtà resituito senza che l'amministrazione
dovesse fare nessun particolare sforzo.5 Non che sia falso, semplicemente Krugman omette la cosa

5 « [...] Nel 1946 gli Stati Uniti - appena usciti dalla Seconda guerra mondiale - avevano un debito federale pari al 122
per cento del loro Pil. Gli investitori, nondimeno, rimasero tranquilli, e a ragione: nel decennio successivo il rapporto tra
indebitamento Usa e Pil fu quasi dimezzato, alleggerendo tutte le preoccupazioni che la gente aveva potuto nutrire circa le
nostre effettive capacità di riuscire a restituire quanto dovevamo. Nei decenni seguenti in rapporto al Pil l' indebitamento
continuò a diminuire, toccando un minimo storico nel 1981 con il 33 per cento. Come fece il governo degli Stati Uniti a
ripagare i propri debiti contratti in tempo di guerra? In realtà non lo fece. Alla fine del 1946 il governo federale era
indebitato per 271 miliardi di dollari. Alla fine del 1956 tale cifra era salita di poco, arrivando a 274 miliardi di dollari. Il
rapporto indebitamento/Pil diminuì non perché fosse sceso il primo, ma perché fu il secondo ad aumentare, arrivando
quasi a raddoppiare in dollari nel corso di un solo decennio. L' aumento del Pil in dollari fu dovuto in misura pressoché

8
più importante, che non è stata la "crescita" a permettere al governo di ridurre progressivamente il
proprio debito ma l'eccezionalmente elevato saggio del profitto che ha reso contemporaneamente
possibili un alto tasso di accumulazione, e quindi un alto tasso di crescita della produzione
complessiva, e un livello di tassazione sufficiente a rimborsare la massa di titoli del debito pubblico
accumulati.

In effetti fra le cose più istruttive (ed ironiche) che si possono leggere oggi ci sono le fortissime
giaculatorie di molti keynesiani dell'epoca, fra i quali nientemeno che Kalecki e R.G.D.Allen, contro
la fine dell'economia di guerra cioè contro la riduzione rapida delle spese belliche dello stato
americano, che avrebbe fatalmente prodotto in poco tempo una replica, forse peggiorata, della
terribile depressione del decennio precedente a causa del subitaneo venir meno di gran parte della
domanda effettiva 6 – cui evidentemente non bastavano sessanta milioni di morti. Invece di una
seconda grande depressione, lo smantellamento dell'economia di guerra innescò il maggior boom del
secolo dimostrando che il meccanismo ciclico non era regolato dalla domanda effettiva a sua volta
controllata dallo stato, concetto che vanta il privilegio di non poter spiegare assolutamente niente e
quindi tutto, ma era la domanda effettiva ad essere regolata dal meccanismo ciclico.

uguale alla crescita economica e all' inflazione, e al fatto che sia il Pil reale sia i livelli dei prezzi in genere salirono tra il
1946 e il 1956 del 40 per cento circa. » (P.Krugman, “Che cosa ci insegna la crisi della Grecia”, http://ricerca.re-
pubblica.it/repubblica/archivio/repubblica /2010/04/10/cosa-ci-insegna-la-crisi-della-grecia.html)

6Si vedano: W.S.Woytinsky (1947) “What Was Wrong in Forecasts of Postwar Depression?” in The Journal of Political
Economy, vol.55, n.2 e S.Rosen (1965) “The Post-World War II Economic Forecasts” in Delaware Notes. Come oggi
per via della crisi generale in atto alcuni dell'ambiente sostengono pubblicamente che le false analisi e previsioni degli
economisti accademici hanno completamente screditato la "scienza"economica, così allora, constatato che non una nuova
depressione ma un grande boom era cominciato, a propositio dell'economia accademica molti dissero le stesse cose a
causa delle opposte previsioni avanzate da molti keynesiani.

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