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POSSIDIO

VITA DI SANT'AGOSTINO

Prefazione

Precedenti e propositi dell'autore

1. Per ispirazione di Dio creatore e reggitore dell'universo, memore del proposito di


servire nella fede, per grazia del Salvatore, la Trinità divina e onnipotente, e già da laico e
ora nell'ufficio episcopale desiderando giovare all'edificazione della santa e vera chiesa
cattolica di Cristo Signore con tutto ciò che ho ricevuto d'ingegno e di parola, non ho
voluto passare sotto silenzio ciò che, della vita e dei costumi di Agostino, predestinato e a
suo tempo rivelato ottimo vescovo, in lui vidi e da lui udii.
2. Infatti avevo letto e appreso che anche prima di me questo era stato fatto da pie
persone appartenenti alla santa madre chiesa: essi, ispirati dallo spirito divino, con la
lingua e lo stile di cui ognuno era fornito fecero sapere sia a voce sia per iscritto, a quanti
fossero desiderosi di apprendere tali cose sia con gli orecchi sia con gli occhi, quali e
quanti uomini avessero meritato di vivere e di perseverare nel mondo fino alla morte
secondo la grazia del Signore che è comune a tutti.
3. Perciò anche io, ultimo di tutti i ministri, con la fede non simulata (1 Tim. 1, 5) con la
quale i fedeli debbono servire e riuscire graditi a Dio e a tutti i buoni, ho intrapreso a
narrare, secondo che Dio me lo concederà, la nascita, il progresso e la meritoria fine di
quel venerabile uomo, esponendo quanto ho appreso e constatato proprio da lui, poiché
per molti anni sono stato a suo stretto contatto.
4. E prego la somma maestà di poter perseguire e portare a termine questo compito che
ho intrapreso, in maniera da non offendere la verità del padre delle luci (Giac. 1, 17) e da
non deludere per qualche parte la carità dei buoni figli della chiesa.
5. Non racconterò tutte quelle notizie che lo stesso beato Agostino ha esposto nei suoi
libri delle Confessioni riguardo a se stesso, quale egli sia stato prima di ricevere la grazia
e come viva dopo averla ricevuta.
6. Egli agì così, come dice l'Apostolo (2 Cor. 12, 6), perché nessuno avesse di lui stima
superiore a quanto sapeva di lui o da lui aveva appreso. Così egli, secondo il suo
costume, non veniva meno alla santa umiltà, cercando la gloria non sua ma del suo
Signore per la propria liberazione e per i doni che già aveva ricevuto e chiedendo le
preghiere dei fratelli per quelli che desiderava ricevere.
7. In verità, come è stato affermato dall'autorità dell'angelo, è bene tener celato il segreto
del re, ma è lodevole manifestare e glorificare le opere del Signore (Tob. 12, 7).

Vita e attività di Agostino (cc. 1-18)

Dalla nascita al battesimo


1. 1. Nacque nella provincia d'Africa, nella città di Tagaste, da genitori dell'ordine dei
curiali, di onesta condizione e cristiani. Fu da loro allevato ed educato con ogni cura e
anche con notevole spesa, e fu inizialmente istruito nelle lettere profane, cioè in tutte
quelle discipline, che chiamano liberali.
1. 2. Così insegnò prima grammatica nella sua città e poi retorica a Cartagine, capitale
dell'Africa. Successivamente insegnò anche al di là del mare, a Roma e a Milano, dove
allora risiedeva la corte dell'imperatore Valentiniano II.
1. 3. In questa città era allora vescovo Ambrogio, uomo eccellente fra i migliori e
sommamente gradito a Dio. Questi predicava molto frequentemente la parola di Dio nella
chiesa, e Agostino seduto in mezzo alla gente lo stava a sentire con la massima
attenzione.
1. 4. In effetti, tempo prima quando era ancora giovane a Cartagine, Agostino era stato
sviato dall'errore dei Manichei: perciò assisteva alle prediche di Ambrogio con più
attenzione degli altri, per vedere se fosse detta qualcosa a favore o contro quell'eresia.
1. 5. E per clemenza di Dio liberatore, che ispirò il cuore del suo sacerdote, avvenne che
certe questioni riguardanti la legge fossero risolte in senso avverso all'errore dei
Manichei; così Agostino gradualmente fu istruito, e a poco a poco per benevolenza divina
quella eresia fu cacciata dal suo animo. In poco tempo fu confermato nella fede cattolica
e in lui nacque l'ardente desiderio di progredire nella religione per ricevere l'acqua della
salvezza nei giorni della Pasqua che erano prossimi.
1. 6. Così, grazie all'aiuto divino, per opera di un vescovo di tale levatura quale era
Ambrogio, Agostino ricevette la dottrina della chiesa cattolica, apportatrice di salvezza, e
i sacramenti divini.

Rinuncia al mondo per donarsi a Dio

2. 1. Subito nel più intimo del cuore abbandonò ogni speranza che aveva riposto nel
mondo, senza più ricercare moglie né figli della carne né ricchezza, né onori mondani,
ma deliberò di servire Dio insieme con i suoi, studiandosi di essere di quel gregge, cui il
Signore si rivolge con queste parole: Non temete, piccolo gregge, perché il Padre vostro
ha voluto dare a voi il regno. Vendete ciò che possedete e fate elemosina: fatevi borse
che non invecchiano, un tesoro che non viene meno nei cieli, ecc. (Lc. 12, 32 s.).
2. 2. Quel santo uomo desiderava fare anche quanto dice ancora il Signore: Se vuoi
essere perfetto, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni,
seguimi (Mt. 19, 21). Desiderava edificare sul fondamento della fede: non legna fieno e
paglia, ma oro argento e pietre preziose (1 Cor. 3, 12).
2. 3. Aveva allora più di 30 anni e gli restava solo la madre: essa stava sempre con lui e
gioiva del proposito che egli aveva intrapreso di servire Dio più che se avesse avuto
nipoti carnali. Suo padre infatti era morto.
2. 4. Comunicò perciò agli scolari, cui faceva lezione di retorica, che si provvedessero un
altro maestro, poiché egli aveva stabilito di servire a Dio.
Vita monastica e prime fiamme di zelo apostolico

3. 1. Ricevuta la grazia, insieme con altri concittadini e amici che ugualmente servivano a
Dio, volle tornare in Africa, alla sua casa e ai suoi campi. Tornato, vi rimase circa tre
anni; e dopo aver ceduto quei beni, insieme con quelli che gli erano vicini viveva per Dio,
con digiuni preghiere buone opere, meditando notte e giorno la legge del Signore.
3. 2. E tutto ciò che Dio faceva comprendere a lui che meditava e pregava, egli faceva
conoscere a presenti e assenti con discorsi e libri.
3. 3. In quel tempo uno di coloro che sono chiamati agenti d'affari, che risiedeva ad
Ippona, un buon cristiano timorato di Dio, ebbe conoscenza della buona fama di cui
Agostino godeva e della sua dottrina, e desiderò ardentemente di poterlo vedere,
avanzando la promessa che, se avesse meritato di ascoltare la parola di Dio dalla bocca
di quello, avrebbe potuto disprezzare tutte le cupidigie e le lusinghe di questo mondo.
3. 4. Poiché questo fu fedelmente riferito ad Agostino, egli desiderando che un'anima
fosse liberata dalle insidie di questo mondo e dalla morte eterna, senza indugiare andò
subito in quella città, vide quell'uomo e gli parlò molte volte e lo esortò, per quanto Dio gli
concedeva, a mettere in pratica il voto che aveva fatto a Dio.
3. 5. Quello prometteva di farlo di giorno in giorno, ma non lo mise in pratica allora,
quando Agostino stava lì. Ma certamente non potette rimanere inutile e senza effetto ciò
che la divina provvidenza operava in ogni luogo per mezzo di un tale strumento puro e
onorevole, utile al Signore e adatto per ogni opera buona (Rom. 9, 2 1; 2 Tim. 3, 17).

Sacerdote per forza

4. 1. In quel tempo esercitava l'ufficio di vescovo nella comunità cattolica di Ippona il


santo Valerio. Mentre egli un giorno parlava al popolo di Dio circa la scelta e l'ordinazione
di un prete e l'esortava in proposito, perché così richiedeva la necessità della chiesa,
frammisto in mezzo al popolo assisteva Agostino, sicuro e ignaro di ciò che stava per
succedere: infatti egli era solito - come ci diceva - non frequentare soltanto le chiese che
sapeva prive di vescovo
4. 2. Allora alcune persone, che conoscevano la dottrina di Agostino e i suoi propositi,
gettategli le mani addosso, lo tennero fermo e, come suole accadere in casi del genere,
lo presentarono al vescovo perché fosse ordinato, mentre tutti unanimi in quel proposito
chiedevano che così si facesse. Mentre insistevano con grande entusiasmo e clamore,
egli piangeva a calde lacrime: alcuni - come egli stesso ci riferì -interpretarono tali lacrime
come manifestazione di superbia e cercavano di consolarlo dicendo che certo egli era
degno di maggiore onore, ma che comunque l'esser prete lo avvicinava alla dignità
episcopale.
4. 3. Invece l'uomo di Dio - come ci disse - osservava la cosa più a fondo e gemeva
prevedendo i molti e grandi pericoli che sarebbero derivati alla sua vita dal governo e
dall'amministrazione della chiesa: per tal motivo piangeva. Ma infine la cosa si compì
secondo quanto voleva il desiderio del popolo.
Predicatore

5. 1. Fatto prete, subito istituì un monastero accanto alla chiesa e cominciò a vivere con i
servi di Dio secondo il modo e la norma stabiliti al tempo degli apostoli. Soprattutto, in
quella società nessuno doveva avere alcunché di proprio ma tutto per loro doveva essere
in comune, e ad ognuno doveva esser dato secondo le proprie necessità: proprio questo
egli aveva già fatto precedentemente, allorché era tornato d'oltre mare a casa sua.
5. 2. Il santo Valerio, che lo aveva ordinato, com'era uomo pio e timorato di Dio, esultava
e rendeva grazie a Dio di aver esaudito le sue preghiere. Diceva che molto spesso aveva
pregato che per volontà divina gli fosse concesso un uomo che fosse in grado di
edificare la chiesa di Dio con la parola di Dio e con retta dottrina: infatti egli si
riconosceva poco adatto a questa incombenza, in quanto era greco ed era poco versato
nella lingua e nelle lettere latine.
5. 3. Egli affidò al suo prete l'incarico di spiegare in chiesa il Vangelo alla sua presenza e
di predicare frequentemente, contro quella che è la consuetudine delle chiese d'Africa:
per tal motivo alcuni vescovi lo criticavano.
5. 4. Ma quell'uomo venerabile e previdente, ben sapendo che nelle chiese d'Oriente così
si faceva comunemente e provvedendo all'utilità della chiesa, non si curava delle critiche
dei detrattori, purché fosse compiuto dal prete ciò ch'egli sapeva non poter esser fatto da
lui vescovo.
5. 5. in tal modo la lampada accesa e ardente, posta sul candelabro, dava luce a tutti
coloro che stavano nella casa (Gv. 5, 35; Mt. 5, 15). La fama di questo fatto si diffuse
rapidamente, e alcuni preti, seguendo il buon esempio e ottenutane facoltà dai loro
vescovi, cominciarono a predicare al popolo in presenza del vescovo.

Disputa col manicheo Fortunato

6. 1. In quel tempo ad Ippona la peste dei manichei aveva infettato e contagiato molti sia
cittadini sia stranieri, sviati e tratti in errore da un prete della setta, di nome Fortunato,
che lì risiedeva ed operava.
6. 2. Allora alcuni cristiani, cittadini di Ippona e stranieri, sia cattolici sia anche donatisti,
vanno dal prete Agostino e gli chiedono d'incontrare quel prete manicheo, ch'essi
credevano dotto, e di discutere con lui intorno alla legge.
6. 3. Quello, che - com'è scritto - era pronto a rispondere ad ognuno che gli chiedesse
spiegazioni intorno alla fede e alla speranza ch'è rivolta a Dio e ch'era in grado di
esortare con sana dottrina e di confutare chi contraddiceva (1 Pt. 3, 15; Tit. 1, 9), non si
sottrasse; chiese però se anche quello fosse d'accordo.
6. 4. Allora quelle persone riferirono subito ciò a Fortunato, chiedendo ed insistendo che
neppure egli rifiutasse. Infatti Fortunato aveva già conosciuto a Cartagine il santo
Agostino, quando questo era ancora implicato nel suo stesso errore, e temeva di entrare
in discussione con lui.
6. 5. Tuttavia costretto soprattutto dalle insistenze dei suoi e spinto da un senso di
vergogna, promise d'incontrare Agostino e di venire a discussione con lui.
6. 6. S'incontrarono nel giorno e nel luogo stabilito, dove si erano radunati molti che
erano interessati alla questione e gran folla di curiosi: gli stenografi aprirono le tavolette e
cominciò la discussione nel primo giorno per concludersi nel successivo.
6. 7. In essa il dottore manicheo -come riferiscono gli atti - non fu in grado di confutare la
posizione cattolica e non riuscì a confortare con argomenti validi la dottrina manichea.
Alle ultime battute si ritirò, dichiarando che avrebbe discusso insieme con i suoi superiori
gli argomenti che non era riuscito a confutare: se neppure essi ci fossero riusciti, egli
avrebbe provveduto alla sua anima. In tal modo tutti coloro che lo ritenevano capace e
dotto, giudicarono che egli non aveva avuto alcuna efficacia nel difendere la sua setta.
6. 8. Fortunato, pieno di vergogna, successivamente partì da Ippona e non vi fece più
ritorno. Così, grazie a questo uomo di Dio, quell'errore fu cacciato via dagli animi di tutti
coloro che o erano stati presenti o assenti erano venuti a conoscenza di quel che si era
svolto, mentre veniva confermata e rafforzata la veritiera dottrina cattolica.

Con la parola e gli scritti risolleva le sorti della Chiesa

7. 1. Agostino insegnava e predicava, in privato e in pubblico, in casa e in chiesa, la


parola di salvezza (Atti, 13, 26) con piena fiducia contro le eresie che erano fiorenti in
Africa, specialmente contro i donatisti, i manichei e i pagani. Faceva ciò sia scrivendo libri
sia improvvisando discorsi, circondato da indicibile ammirazione e lode dei cristiani, che
tutto ciò non tacevano, ma appena potevano lo divulgavano.
7. 2. Così per dono divino la chiesa cattolica cominciò in Africa a risollevare il capo che
per lungo tempo aveva avuto oppresso a terra, sviata e pressata dal vigoreggiare degli
eretici, soprattutto perché i partigiani di Donato ribattezzavano grandi folle di Africani.
7. 3. Questi suoi libri e discorsi, che scaturivano e derivavano da mirabile grazia divina ed
erano sorretti sia da abbondanza di argomenti razionali sia dall'autorità delle sacre
scritture, gli stessi eretici correvano ad ascoltarli insieme con i cattolici, spinti da intenso
ardore: chiunque voleva e ne aveva possibilità, si valeva di stenografi che trascrivevano
ciò che veniva detto.
7. 4. E ormai di qui si diffondevano e si mettevano in evidenza per tutta l'Africa l'insigne
dottrina e il soavissimo odore di Cristo (2 Cor. 2, 15; Ef. 5, 2); venuta a sapere tutto
questo, ne godeva anche la chiesa di Dio al di là del mare: infatti, come quando patisce
un solo membro, insieme patiscono tutte le membra, così quando un membro viene
glorificato, gioiscono insieme tutte le membra (1 Cor. 12, 26).

È ordinato vescovo coadiutore d'Ippona

8. l. Ma il beato Valerio, ormai vecchio, che più degli altri esultava e rendeva grazie a Dio
per avergli concesso quello speciale beneficio, considerando quale sia l'animo umano,
cominciò a temere che Agostino fosse richiesto come vescovo da qualche altra chiesa
rimasta priva di pastore, e così gli fosse tolto. E ciò sarebbe già accaduto, se il vescovo,
che era venuto a sapere la cosa, non lo avesse fatto trasferire in un luogo nascosto, sì
che quelli che lo cercavano non riuscirono a trovarlo.
8. 2. Il santo vecchio, vieppiù timoroso e ben consapevole di essere ormai molto
indebolito per le condizioni del corpo e per l'età, scrisse in modo riservato al primate di
Africa, il vescovo di Cartagine: faceva presente la debolezza del corpo e il peso degli
anni e chiedeva che Agostino fosse ordinato vescovo della chiesa d'Ippona, sì da essere
non tanto suo successore sulla cattedra bensì vescovo insieme con lui. Di risposta
ottenne ciò che desiderava e chiedeva insistentemente.
8. 3. Qualche tempo dopo, essendo venuto Megalio, vescovo di Calama e allora primate
della Numidia, per visitare dietro sua richiesta la chiesa d'Ippona, Valerio, senza che
alcuno se l'aspettasse, presenta la sua intenzione ai vescovi che allora si trovavano lì per
caso, a tutto il clero d'Ippona ed a tutto il popolo. Tutti si rallegrarono per quanto avevano
udito e a gran voce e col massimo entusiasmo chiesero che la cosa fosse messa subito
in atto: invece il prete Agostino rifiutava di ricevere l'episcopato contro il costume della
chiesa, mentre era ancora vivo il suo vescovo.
8. 4. Allora tutti si dettero a persuaderlo, dicendo che quel modo di procedere era d'uso
comune e richiamando esempi di chiese africane e d'oltremare a lui che di tutto ciò era
all'oscuro: infine, pressato e costretto, Agostino acconsentì e ricevette l'ordinazione alla
dignità maggiore.
8. 5. Successivamente egli affermò a voce e scrisse che non avrebbe dovuto essere
ordinato mentre era vivo il suo vescovo, perché questo era vietato dalla deliberazione di
un concilio ecumenico, che egli aveva appreso soltanto dopo essere stato ordinato:
perciò non volle che fosse fatto ad altri ciò che si doleva essere stato fatto a lui.
8. 6. Di conseguenza si adoperò perché da concili episcopali fosse deliberato che coloro
che ordinavano dovevano far conoscere a coloro che dovevano essere ordinati o anche
erano stati ordinati tutte le deliberazioni episcopali: e così fu fatto.

Attività antidonatista

9. l. Diventato vescovo, Agostino predicava la parola di salvezza eterna (Atti, 13, 26) con
più insistenza ed entusiasmo e con autorità maggiore, non più soltanto in una regione ma
dovunque gli chiedevano di venire, con alacrità e diligenza, mentre la chiesa del Signore
si sviluppava e fioriva sempre di più. Egli era sempre pronto a dare spiegazione a chi lo
richiedesse sulla fede e sulla speranza in Dio; e le sue parole e gli appunti presi
soprattutto i donatisti d'Ippona e dei paesi vicini li riferivano ai loro vescovi.
9. 2. Costoro ascoltavano e talvolta cercavano di replicare qualcosa: ma o venivano
confutati proprio dai loro seguaci ovvero le risposte erano riportate ad Agostino. Questi,
quando le apprendeva, con pazienza e dolcezza e - com'è scritto (Fil. 2, 12) - con timore
e tremore provvedeva alla salvezza di quegli uomini, dimostrando che quei vescovi non
erano riusciti a confutare proprio niente e che invece era veritiero e manifesto ciò che
crede e insegna la fede della chiesa di Dio. In tal modo egli si adoperava costantemente,
giorno e notte.
9. 3. Scrisse anche lettere private ad alcuni vescovi eminenti di quella setta ed a laici,
dando spiegazioni e esortando ed ammonendo che o si emendassero da quell'errore
ovvero venissero a discussione.
9. 4. Ma quelli, che non avevano fiducia nella loro causa, non vollero neppure rispondere
ma presi dall'ira e dal furore dicevano che Agostino era seduttore e ingannatore di anime.
Gridavano così in pubblico e in privato e affermavano anche nelle loro prediche che
quello doveva essere ucciso come un lupo per la difesa del gregge, e che senza dubbio
bisognava credere che Dio avrebbe rimesso tutti i peccati a quelli che fossero riusciti in
tale impresa, senza timore di offendere Dio e di doversi vergognare davanti agli uomini.
Allora Agostino si dette da fare perché tutti venissero a conoscere che quelli diffidavano
della loro stessa causa e che, invitati ad un pubblico dibattito, non avevano avuto il
coraggio di presentarsi.

Conquiste e persecuzioni

10. 1. In quasi tutte le loro chiese i donatisti avevano un genere di uomini incredibilmente
perversi e violenti, che solevano andare in giro facendo professione di continenza. Si
chiamavano circumcellioni e si trovavano in numero molto ingente in quasi tutte le regioni
d'Africa.
10. 2. Essi, istruiti da malvagi dottori, con sfrontata audacia e illecita temerarietà non
avevano riguardo né per i loro compagni di setta né per gli estranei: contro ogni diritto
impedivano alla gente di procedere nelle cause giudiziarie, e se qualcuno non obbediva,
gli arrecavano danni gravissimi e violenza. Armati con armi di diverso genere,
imperversavano per le campagne e i villaggi e non temevano di arrivare fino allo
spargimento di sangue.
10. 3. Così, mentre la parola di Dio era predicata con zelo e si trattava di pace con coloro
che avevano odiato la pace, costoro senza ragione facevano violenza a quanti parlavano
di queste cose.
10. 4. E poiché la verità si faceva sempre più forte contro la loro dottrina, quanti dei
donatisti avevano volontà e possibilità si staccavano in maniera più o meno manifesta
dalla loro setta e aderivano alla pace e all'unità della chiesa con quanti dei loro potevano
convincere.
10. 5. Perciò i circumcellioni, vedendo diminuire gli aderenti al loro errore e invidiando
l'incremento della chiesa, accesi ed esaltati da ira grandissima, cominciarono a fare
intollerabili persecuzioni contro quelli che aderivano all'unità della chiesa: aggredivano di
notte e di giorno gli stessi vescovi cattolici e i ministri della chiesa e distruggevano ogni
cosa.
10. 6. Così ridussero a mal partito molti servi di Dio con le percosse, ad alcuni gettarono
negli occhi calce con aceto, altri uccisero. Per tal motivo questi donatisti che erano soliti
anche ribattezzare vennero in odio perfino ai loro.

Il monastero d'Ippona fucina di apostoli. Scritti di Agostino

11. l. Progredendo intanto l'insegnamento divino, coloro che nel monastero servivano a
Dio sotto la guida del santo Agostino e insieme con lui, cominciarono ad essere ordinati
preti della chiesa di Ippona.
11. 2. Così di giorno in giorno s'imponeva e diventava più evidente la verità della
predicazione della chiesa cattolica, e così anche il modo di vita dei santi servi di Dio, la
loro continenza e assoluta povertà: perciò dal monastero che quel grande uomo aveva
fondato e fatto prosperare con gran desiderio (varie comunità) cominciarono a chiedere e
ricevere vescovi e chierici, sì che allora prima ebbe inizio e poi si affermò la pace e l'unità
della chiesa.
11. 3. In fatti circa dieci uomini santi e venerabili, continenti e dotti, che io stesso ho
conosciuto, il beato Agostino, richiesto, dette a diverse chiese, alcune anche molto
importanti.
11. 4. D'altra parte costoro, che dal loro santo modo di vita venivano a chiese di Dio
diffuse in vari luoghi, si dettero ad istituire monasteri, e poiché cresceva lo zelo per
l'edificazione della parola di Dio, preparavano a ricevere il sacerdozio fratelli, che furono
messi a capo di altre chiese.
11. 5. Pertanto progrediva per mezzo di molti e in molti la dottrina di fede salutare, di
speranza e di carità insegnata nella chiesa, non solo in tutte le parti d'Africa ma anche
nelle regioni d'oltremare: infatti con la pubblicazione di libri, tradotti anche in greco, grazie
a quel solo uomo, con l'aiuto di Dio, tutto il complesso della dottrina cristiana venne a
conoscenza di molti.
11. 6. Allora - com'è scritto - il peccatore a veder questo s'adirava, digrignava i denti e si
struggeva (Sal. 111, 10); invece i tuoi servi - secondo quanto sta scritto - erano in pace
con quelli che odiavano la pace e quando parlavano erano combattuti da quelli senza
motivo (Sal. 119, 7).

Attentati contro Agostino e contro Possidio

12. 1. Alcune volte circumcellioni armati tesero insidie lungo le strade al servo di Dio
Agostino, quando egli richiesto andava a visitare, istruire, esortare le comunità cattoliche,
il che egli faceva molto di frequente.
12. 2. Una volta avvenne che quei sicari persero l'occasione in questo modo: successe,
certo per provvidenza divina e comunque per errore dell'uomo che faceva da guida, che
il vescovo insieme con i suoi compagni arrivarono per altra strada al luogo ove erano
diretti, e grazie a questo che dopo seppe essere stato un errore sfuggì alle mani degli
empi e insieme con tutti gli altri rese grazie a Dio liberatore. E quelli secondo il loro modo
di fare non risparmiavano né laici né chierici, come testimoniano i documenti ufficiali.
12. 3. A tal proposito non si deve passare ora sotto silenzio ciò che a gloria di Dio fu fatto
contro questi donatisti ribattezzatori grazie all'attività di sì illustre uomo nella chiesa e al
suo zelo per la casa di Dio.
12. 4. Uno di coloro che egli dal suo monastero e dal suo clero aveva dato a varie chiese
come vescovi, visitava la diocesi della chiesa di Calama affidata alle sue cure e
predicava ciò che aveva appreso contro l'eresia donatista in favore della pace della
chiesa. In tale occasione, egli durante il cammino cadde nell'insidia dei circumcellioni che
lo assalirono insieme con i suoi compagni e, derubatili degli animali e delle loro cose, lo
coprirono di ingiurie e di gravissime percosse.
12. 5. Perché il progresso della pace nella chiesa non fosse ostacolato da avvenimenti di
tal fatta, il difensore della chiesa, che aveva la legge dalla sua, non passò il fatto sotto
silenzio. Allora Crispino, ch'era il vescovo donatista nella città e nella regione di Calama,
uomo conosciuto e dotto e di età avanzata, fu condannato a pagare una multa stabilita
dalle leggi contro gli eretici.
12. 6. Ma quello presentò opposizione e al cospetto del proconsole disse di non essere
eretico: allora, poiché il difensore della chiesa si era ritirato , si presentò la necessità per
il vescovo cattolico di fare opposizione e dimostrare che quello era proprio ciò che aveva
negato di essere. Se infatti quello fosse riuscito a nasconderlo, addirittura avrebbero
potuto credere eretico il vescovo cattolico, poiché quello negava di essere ciò che era, e
così da questa trascuratezza sarebbe potuto derivare ai deboli motivo di scandalo.
12. 7. Allora, grazie alle insistenze pressanti del vescovo Agostino di beata memoria, i
due vescovi di Calama ebbero una pubblica discussione e per tre volte parlarono l'un
contro l'altro sulle divergenze della loro fede, mentre grande era l'attesa dell'esito da
parte di tutte le comunità cristiane a Cartagine e nell'intera Africa: per sentenza scritta del
proconsole Crispino fu dichiarato eretico.
12. 8. Il vescovo cattolico intercesse per lui perché non pagasse la multa, e la sua
richiesta fu esaudita. Ma poiché quell'ingrato si era appellato all'imperatore, questi dette
alla richiesta la dovuta risposta: di conseguenza fu ordinato che in nessun luogo
dovevano esserci eretici donatisti e contro di essi dovevano aver vigore tutte le leggi che
erano state emanate contro gli eretici.
12. 9. Perciò il giudice, il tribunale e Crispino stesso furono condannati a pagare al fisco
dieci libbre d'oro ciascuno, poiché non si era preteso il pagamento della multa. Ma subito
allora i vescovi cattolici, e soprattutto Agostino di beata memoria, si dettero da fare
perché quella condanna fosse rimessa dalla generosità del principe, e con l'aiuto del
Signore ci riuscirono. Di questa sollecitudine e di questo santo zelo la chiesa si giovò
molto.

Frutti di unità e di pace

13. l. Per tutto ciò che Agostino operò in difesa della pace della chiesa il Signore qui gli
concesse la palma e presso di sé gli riservò la corona di giustizia (2 Tim. 4, 8). Così, con
l'aiuto di Cristo, di giorno in giorno sempre di più aumentava e si diffondeva l'unità della
pace e la fratellanza della chiesa di Dio.
13. 2. Questo si verificò soprattutto dopo la conferenza che tutti i vescovi cattolici tennero
a Cartagine insieme con i vescovi donatisti, per ordine del gloriosissimo e religiosissimo
imperatore Onorio, che per tale incombenza aveva mandato come giudice in Africa dalla
sua corte il tribuno e notaio Marcellino.
13. 3. In questo dibattito i donatisti, completamente confutati e convinti di errore dai
cattolici, furono condannati dalla sentenza del giudice; e dopo il loro appello la risposta
del piissimo imperatore condannò quegli iniqui come eretici.
13. 4. Per questo motivo vescovi donatisti col loro clero e col loro popolo entrarono più
del solito in comunione con i cattolici, e aderendo alla pace cattolica sopportarono molte
persecuzioni da parte dei loro, fino all'amputazione delle membra e all'uccisione.
13. 5. E tutto quel bene, come ho già detto, ebbe inizio e si realizzò per opera di quel
santo uomo, con cui erano d'accordo e cooperavano gli altri nostri vescovi.

Recriminazioni dei donatisti e vittoria sul loro vescovo Emerito

14. 1. D'altra parte, anche dopo la conferenza che fu tenuta con i donatisti, non
mancarono alcuni di costoro i quali affermarono che ai loro vescovi non era stato
permesso di esprimersi con completezza in difesa della loro parte presso l'autorità che
aveva presieduto la causa, perché il giudice in quanto cattolico favoriva la sua parte.
14. 2. Ma essi, dopo la sconfitta, avanzavano questo argomento come un pretesto,
poiché gli eretici anche prima della controversia sapevano che il giudice era cattolico, e
quando erano stati invitati da lui con atto pubblico a presentarsi alla discussione, invece
di accettare, avrebbero potuto rifiutare l'incontro, poiché ritenevano quello non
imparziale.
14. 3. Tuttavia la provvidenza di Dio onnipotente fece sì che tempo dopo Agostino di
beata memoria si trovasse a Cesarea, città della Mauretania, dove lo aveva fatto andare,
insieme con altri vescovi, una lettera della sede apostolica, per provvedere ad alcune
necessità della chiesa.
14. 4. In tale circostanza Agostino ebbe occasione di vedere Emerito, il vescovo
donatista di quel luogo che nella conferenza era stato importante difensore della sua
setta, e con lui discusse pubblicamente sempre sullo stesso argomento, in chiesa alla
presenza di appartenenti alle due comunità. Poiché (i donatisti) sostenevano che Emerito
nella conferenza non aveva potuto dire tutto, Agostino richiamandosi agli atti ufficiali, lo
invitò a non aver esitazione a parlare in quella occasione, in cui non c'era divieto da parte
della pubblica autorità, e a non rifiutare di difendere con coraggio la sua parte proprio
nella sua città, alla presenza di tutti i suoi concittadini.
14. 5. Ma né questa esortazione né la pressante insistenza dei parenti e dei concittadini
lo convinsero ad accettare: eppure quelli gli promettevano di ritornare nella sua
comunione, anche a rischio dei loro beni e della loro salute temporale, purché egli
riuscisse ad aver la meglio sulla posizione cattolica.
14. 6. Ma quello non volle né fu capace di dir di più di quanto è contenuto in quegli atti,
se non solo questo: « Ormai gli atti contengono ciò che i vescovi hanno fatto a Cartagine,
se abbiamo vinto ovvero siamo stati vinti ».
14. 7. E un'altra volta, poiché il notaio lo spingeva a rispondere, disse: « Fa' tu »; e
poiché taceva e così fu a tutti evidente la sua sfiducia, da tutto ciò la chiesa di Dio risultò
aumentata e rafforzata.
14. 8. Chi poi vorrà conoscere più a fondo la sollecitudine e l'operosità di Agostino di
beata memoria in difesa della condizione della chiesa di Dio, potrà esaminare il
resoconto di quei fatti: troverà qui quali argomenti Agostino abbia proposto, e con quali
abbia invitato e spinto il suo avversario, dotto eloquente e rinomato, a dire ciò che
volesse in difesa della sua parte, e riconoscerà come quello sia stato vinto.
Attività antimanichea. Perde il filo del discorso e guadagna un'anima

15. 1. Ricordo ancora, non solo io ma anche altri fratelli che allora vivevano con noi nella
chiesa d'Ippona insieme con quel santo uomo, che una volta mentre eravamo insieme a
tavola, egli disse:
15. 2. « Vi siete accorti come oggi in chiesa la mia predica, dall'inizio alla fine, si sia
svolta contro quella ch'è la mia abitudine, perché non ho spiegato completamente il tema
che avevo proposto, ma l'ho lasciato in sospeso? ».
15. 3. Gli rispondemmo: « Infatti ricordiamo di esserci meravigliati in quel momento ». E
lui: « Credo - disse - che proprio per mezzo della mia dimenticanza e del mio errore il
Signore abbia voluto ammaestrare e risanare qualcuno del popolo che è nell'errore,
poiché nelle sue mani siamo noi e le nostre parole.
15. 4. Infatti, mentre trattavo alcuni punti della questione che avevo proposta, con una
digressione mi sono inoltrato in un altro argomento, e così, senza spiegare fino in fondo
quella questione, preferii terminare la predica polemizzando contro l'errore dei manichei,
piuttosto che continuando a trattare l'argomento che avevo iniziato ».
15. 5. Uno o due giorni - se non sbaglio - dopo questi fatti si presenta un commerciante di
nome Fermo e alla nostra presenza si getta gemendo ai piedi di Agostino che stava nel
monastero: fra le lacrime scongiurò il vescovo di pregare insieme con i santi il Signore
per i suoi peccati, confessando di aver seguito la setta dei manichei e di essere vissuto in
quella per molti anni. Per di più aveva versato inutilmente forti somme di danaro ai
manichei, soprattutto a quelli che essi definiscono gli eletti. Ma trovandosi poco prima in
chiesa, per misericordia divina, era stato richiamato sulla retta via dalla predica di
Agostino ed era diventato cattolico.
15. 6. Allora il venerabile Agostino in persona e noi che eravamo lì presenti gli
chiedemmo di indicarci con precisione quale punto soprattutto di quella predica avesse
fatto effetto su di lui; e mentre egli riferiva e tutti noi richiamavamo alla mente la trama del
discorso, ammirammo con stupore il misterioso disegno di Dio per la salvezza delle
anime, glorificammo il suo santo nome e benedicemmo colui che opera la salvezza delle
anime quando vuole, donde vuole e come vuole, per mezzo di strumenti consapevoli e
inconsapevoli.
15. 7. Da quel momento quell'uomo abbracciò la norma di vita dei servi di Dio e lasciò il
commercio. Poiché si segnalava per i suoi progressi fra i membri della chiesa, mentre era
in un'altra regione, per volere di Dio richiesto e pressato diventò prete, conservando e
custodendo la sua santa norma di vita. E forse egli, che si è stabilito in un paese oltre
mare, è ancora vivo.

Smaschera i Manichei e li converte

16. 1. A Cartagine poi alcuni manichei, di quelli che chiamano eletti ed elette, furono
sorpresi da Orso, procuratore della casa imperiale, ch'era di fede cattolica, e tradotti in
chiesa da lui stesso, furono interrogati dai vescovi alla presenza degli stenografi.
16. 2. Fra i vescovi c'era anche Agostino di beata memoria, che più degli altri conosceva
quella nefanda setta: perciò gli riuscì di mettere in luce i loro riprovevoli errori con
citazioni tratte dai libri che i manichei hanno in uso, e così li indusse a confessare le loro
bestemmie. Quegli atti ufficiali misero altresì in luce, per confessione di quelle donne,
cosiddette elette, le pratiche indegne e turpi che essi secondo il loro perverso costume
erano soliti commettere.
16. 3. Così lo zelo dei pastori procurò incremento al gregge del Signore e lo difese in
maniera adeguata contro i ladri e i predoni.
16. 4. Agostino ebbe anche una pubblica disputa nella chiesa d'Ippona con un certo
Felice, del numero di quelli che i manichei chiamano eletti, alla presenza del popolo e
degli stenografi che trascrivevano ciò che veniva detto. Dopo il secondo o il terzo dibattito
quel manicheo, vedendo confutati la vanità e l'errore della sua setta, si convertì alla
nostra fede e passò alla nostra chiesa, come risulta anche dalla lettura degli atti.

Contraddittorio col vescovo ariano Massimino

17. l. Provocato da un certo Pascenzio e poiché lo richiedevano persone di alta


condizione, Agostino ebbe a Cartagine una pubblica discussione con costui. Era questi
un conte della casa imperiale, di fede ariana, esattore molto severo del fisco, che si
valeva del suo potere per contrastare duramente e sistematicamente la fede cattolica, e
con le sue spiritosaggini e la sua autorità tormentava e maltrattava molti sacerdoti di Dio
un po' sempliciotti nella loro fede.
17. 2. Ma l'eretico rifiutò in modo assoluto che si portassero le tavolette e lo stilo, che il
nostro maestro richiese con grande insistenza prima e durante il dibattito. Quello negava,
sostenendo che per timore delle leggi dello stato non voleva mettersi a rischio con questa
trascrizione: tuttavia Agostino vedendo insieme con altri vescovi che erano presenti che
quel modo di fare era accetto a coloro che assistevano, cioè che si disputasse in modo
privato senza che alcunché fosse messo per iscritto, accettò il dibattito. Predisse
comunque ciò che poi si verificò: che, terminata la riunione, ciascuno, in assenza di
documentazione scritta, sarebbe stato libero di sostenere di aver detto ciò che non aveva
detto e di non aver detto ciò che aveva detto.
17. 3. Discusse con Pascenzio: sostenne la sua dottrina, ascoltò ciò che sosteneva
l'avversario, con valido ragionamento e con l'autorità delle scritture insegnò e dimostrò i
fondamenti della nostra fede, dimostrò poi che le proposizioni di Pascenzio non erano
suffragate da alcuna evidenza né dall'autorità della sacra scrittura e le confutò.
17. 4. Ma quando le due parti si divisero, quello ancor più adirato e furente andava
diffondendo molte menzogne per sostenere la sua fede erronea, vantandosi che
Agostino, da tanti esaltato, era stato sconfitto da lui.
17. 5. Poiché queste vanterie erano ormai divulgate, Agostino fu costretto a scrivere a
Pascenzio, pur senza fare i nomi di quelli che avevano disputato per riguardo al timore
che aveva Pascenzio, e nelle lettere espose fedelmente ciò che le due parti avevano
detto e fatto: se quello avesse negato, egli a comprovare i fatti aveva molti testimoni, cioè
quelle persone di alta condizione che erano state lì presenti.
17. 6. Alle due lettere che gli erano state indirizzate, a stento quello ne inviò una sola di
risposta, nella quale era solo capace di insultare piuttosto che dare dimostrazione della
sua dottrina. Tutto ciò può esser provato a chi vuole e sa leggere.
17. 7. Ancora con un vescovo ariano, di nome Massimino, che era venuto in Africa con i
Goti, Agostino ebbe una pubblica discussione ad Ippona, per desiderio e richiesta di
molti, alla presenza di persone importanti: ciò che le due parti esposero, sta scritto.
17. 8. Se gl'interessati vorranno leggere con attenzione, senza dubbio esamineranno sia
ciò che afferma l'astuta e irragionevole eresia per sviare ed ingannare, sia ciò che
professa e insegna la chiesa cattolica sulla divina Trinità.
17. 9. Ma quell'eretico, tornato da Ippona a Cartagine, in forza della grande loquacità di
cui aveva dato prova nel dibattito, si vantava falsamente di essere uscito di qui vincitore.
E poiché tutto ciò non poteva essere esaminato e valutato facilmente da persone non
versate nelle sacre scritture, più tardi Agostino ricapitolò per iscritto tutto quel dibattito,
presentando una per una le obiezioni e le risposte. Fu così messo in chiaro che quello
non aveva saputo rispondere alle obiezioni di Agostino, e furono fatte pure alcune
aggiunte, poiché nel ristretto tempo del dibattito Agostino non aveva potuto dire e far
trascrivere tutto. infatti quell'uomo perfido aveva fatto in modo che il suo ultimo
intervento, protratto molto in lungo, occupasse tutto lo spazio di tempo che rimaneva.

Attività antipelagiana. Frutti delle sue fatiche. Gli scritti

18. 1. Anche contro i pelagiani, nuovi eretici del nostro tempo, abili polemisti che con arte
sottile e nociva scrivevano e parlavano ovunque potevano, in pubblico e nelle case
private, Agostino ebbe a che fare per circa 10 anni: a tal riguardo scrisse e pubblicò molti
libri e molto spesso predicò in chiesa al popolo su questo errore.
18. 2. Poiché questi perversi con grande attività cercavano di attirare alla loro perfidia
anche la sede apostolica, in maniera pressante anche concili di vescovi africani si
adoperarono perché i papi della città santa, prima il venerabile Innocenzo e dopo il beato
Zosimo suo successore, si convincessero quanto quella dottrina dovesse essere respinta
e condannata dalla fede cattolica.
18. 3. Quei vescovi di sede tanto importante in tempi diversi condannarono i pelagiani e li
separarono dalle membra della chiesa, e con lettere inviate alle chiese d'Africa, d'Oriente
e d'Occidente, stabilirono che quelli dovevano essere condannati ed evitati da tutti i
cattolici.
18. 4. Anche il piissimo imperatore Onorio, informato di questo giudizio emanato contro i
pelagiani dalla chiesa cattolica di Dio, si uniformò ad esso e con alcune sue leggi li
condannò e decretò che quelli dovevano essere considerati eretici.
18. 5. Per cui alcuni di loro, che si erano allontanati dal grembo di santa madre chiesa, vi
sono ritornati e altri ancora vi ritornano, mentre si fa strada e prevale sempre di più
contro quel detestabile errore la verità della retta fede.
18. 6. Quell'uomo memorabile era un importante membro del corpo del Signore, sempre
sollecito e vigile per tutto ciò che riuscisse utile alla chiesa universale.
18. 7. Per volontà divina gli fu concesso di godere già in questa vita il frutto delle sue
fatiche, innanzitutto nella regione della chiesa d'Ippona, cui specificamente egli era a
capo, e anche nelle altre parti d'Africa: infatti vedeva che sia per opera sua sia di quelli
che egli stesso aveva dato come vescovi la chiesa del Signore si era amplificata e
incrementata, e godeva che manichei donatisti pelagiani e pagani in gran parte erano
venuti meno e si erano uniti alla chiesa di Dio.
18. 8. Favoriva gli studi e i progressi di tutti i buoni e se ne rallegrava, e piamente e
santamente tollerava certe mancanze di disciplina dei fratelli, mentre s'addolorava della
malvagità dei cattivi, sia di quelli nella chiesa sia fuori della chiesa; gioiva sempre, come
ho detto, di ciò che recava giovamento alle cose del Signore e s'addolorava per ciò che
recava loro danno.
18. 9. Molti libri furono da lui composti e pubblicati, molte prediche furono tenute in
chiesa, trascritte e corrette, sia per confutare i diversi eretici sia per interpretare le sacre
scritture ad edificazione dei santi figli della chiesa. Queste opere furono tante che a
stento uno studioso ha la possibilità di leggerle e imparare a conoscerle.
18. 10. D'altra parte, per non defraudare di nulla chi ha brama di parole di verità, ho
stabilito con l'aiuto di Dio di allegare alla fine di questo libro anche l'indice di quei libri,
prediche e lettere. Una volta che lo avrà letto, chi ama più la verità di Dio che le ricchezze
temporali potrà scegliersi l'opera che vorrà da leggere e conoscere e potrà chiederne
copia anche alla biblioteca d'Ippona, dove troverà esemplari più corretti, ovvero cercherà
dove potrà. Così trascriverà e conserverà le opere che avrà trovato e senza gelosia le
darà da trascrivere anche a chi glielo chiederà.

Agostino nella vita di ogni giorno (cc. 19-27)

Agostino giudice

19. 1. Agostino seguiva anche il consiglio dell'Apostolo che dice: Chi di voi ha una lite
con un altro, oserà appellarsi al giudizio degl'infedeli e non dei santi? Ignorate forse che i
santi giudicheranno il mondo? E se voi giudicherete il mondo, non siete capaci di
giudicare cose dappoco? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Ma allora non
giudicheremo tanto più le cose del mondo? Perciò, se giudicherete fra di voi cose del
mondo, mettete a presiedere coloro che nella chiesa contano di meno. Vi parlo così per
vostra vergogna. Non c'è fra di voi qualche persona saggia, che possa giudicare fra i suoi
fratelli? E invece il fratello viene a giudizio col fratello, e questo davanti agli infedeli? (1
Cor. 6, 1 ss.).
19. 2. Richiesto perciò da cristiani e da persone di ogni religione, ascoltava le cause con
religiosa attenzione: aveva sempre presente l'affermazione di uno che diceva che
preferiva giudicare fra persone sconosciute piuttosto che fra amici: infatti mediante un
equo giudizio di uno sconosciuto si poteva fare un amico, mentre invece avrebbe perso
l'amico, cui avesse dovuto dar torto nel giudizio.
19. 3. Con continuità ascoltava le cause e giudicava, talvolta fino all'ora di colazione,
altre volte per l'intera giornata rimanendo a digiuno; e in quest'attività considerava il
valore delle anime cristiane, quanto ciascuno progredisse nella fede e nei buoni costumi,
ovvero regredisse.
19. 4. Sapeva cogliere il momento opportuno per spiegare alle parti la verità della legge
divina e l'inculcava in loro, insegnando e rammentando il modo di conseguire la vita
eterna. Da coloro per i quali attendeva a quest'attività non richiedeva altro se non
l'obbedienza e la devozione cristiana, che è dovuta a Dio e agli uomini, e riprendeva i
peccatori alla presenza di tutti, perché gli altri ne avessero timore.
19. 5. Svolgeva tale attività quasi come sentinella stabilita dal Signore alla casa d'Israele
(Ez. 3, 17; 33, 7), predicando la parola e insistendo a tempo debito e non debito,
riprendendo esortando rimproverando con ogni pazienza e dottrina (2 Tim. 4, 2),
dedicandosi soprattutto ad istruire quelli che erano adatti ad insegnare anche agli altri.
19. 6. Richiesto anche da alcuni di occuparsi di loro questioni temporali, mandava lettere
a varie persone. Ma riteneva un peso questa occupazione che lo distoglieva da attività
più importanti: infatti gli era gradito discutere sempre delle cose di Dio, sia in pubblico sia
in discussione fraterna e familiare.

Sollecitudine e discrezione nei rapporti con le autorità

20. 1. Sappiamo anche che egli, pur richiesto da persone a lui molto care, non scrisse
lettere di raccomandazione alle autorità civili: a tal proposito soleva dire che si doveva
osservare la massima di un sapiente, del quale è scritto che, in considerazione del suo
buon nome, non aveva concesso molto agli amici; e di suo poi aggiungeva che per lo più
il potente che concede qualcosa preme per il contraccambio.
20. 2. Quando poi, pregato, vedeva che era necessario intercedere, lo faceva così
dignitosamente e discretamente che non soltanto non risultava fastidioso o molesto, ma
addirittura era oggetto d'ammirazione. Così una volta, presentatasi la necessità, egli
scrisse a suo modo ad un vicario d'Africa, di nome Macedonio, per raccomandare un
postulante; e il vicario, dopo aver esaudito la richiesta, gli rispose così:
20. 3. « Ammiro moltissimo la tua sapienza sia nei libri che hai pubblicato sia in questa
lettera che non hai ritenuto gravoso inviarmi per intercedere a favore di chi si trovava in
strettezze.
20. 4. Infatti quelli contengono tanto acume, scienza e santità che nulla vi è di superiore
ad essi; la lettera poi è scritta con tanta discrezione che, se non accordassi ciò che
chiedi, dovrei ritenere che la colpa è mia e non dipende dalla difficoltà della questione,
signore meritatamente venerabile e padre degnissimo.
20. 5. Infatti tu non insisti, come fanno quasi tutti quelli di qui, per ottenere ad ogni costo
ciò che chiede l'interessato; ma ciò che ti sembra opportuno chiedere ad un giudice
stretto da tante preoccupazioni, questo tu chiedi con quella delicatezza che fra i buoni è
la più efficace per ottenere cose difficili. Perciò ho accordato ciò che chiedevano le
persone che hai raccomandato: del resto già prima avevo dato loro motivo di sperare ».

Concili e ordinazioni

21. l. Quando poteva, prendeva parte ai concili episcopali celebrati nelle diverse
province`, ricercando in essi non il suo interesse ma quello di Gesù Cristo (Fil. 2, 21),
perché la fede della santa chiesa non riportasse danno e perché alcuni vescovi e chierici,
scomunicati a ragione o a torto, fossero assolti oppure rimossi.
21. 2. Nelle ordinazioni dei vescovi e dei chierici riteneva che si dovessero seguire il
consenso della maggior parte dei fedeli e la consuetudine della chiesa.

Semplicità di vita e libertà di spirito. Carità sopra tutto

22. 1. Le sue vesti, i calzari, la biancheria da letto erano di qualità media e conveniente,
né troppo di lusso né di tipo troppo scadente: infatti a tal proposito gli uomini son soliti o
far troppa esibizione oppure vestirsi troppo poveramente, ricercando in ambedue i casi il
proprio vanto, non l'utile di Gesù Cristo (Fil. 2, 21).
22. 2. Invece Agostino, come ho detto, teneva una via di mezzo, non eccedendo né da
una parte né dall'altra (Num. 20, 17). Usava di una mensa frugale e parca, che però fra la
verdura e i legumi aveva qualche volta anche la carne, per riguardo agli ospiti o a
qualcuno che non stava bene, e aveva sempre il vino: infatti Agostino conosceva e
ripeteva le parole dell'Apostolo: Ogni creatura di Dio è buona e niente bisogna rifiutare di
quel che si accetta con rendimento di grazie: infatti questo viene santificato dalla parola
di Dio e dalla preghiera (1 Tim. 4, 4 s.).
22. 3. E lo stesso beato Agostino dice nelle Confessioni: « Non temo l'immondezza del
cibo, ma l'immondezza della cupidigia. So che a Noè fu permesso di mangiare ogni
genere di carne che potesse servire da cibo (Gen. 9, 2 ss.), che Elia fu rifocillato con la
carne (1 Re, 17, 6), che Giovanni, la cui astinenza era oggetto di meraviglia, non fu
contaminato dagli animali che gli servivano da cibo, cioè le cavallette (Mt. 3, 4). So
invece che Esaù fu sedotto dal desiderio di lenticchie (Gen. 25, 29 ss.), che Davide si
rimproverò per il desiderio dell'acqua (2 Sam. 23, 15 ss.), e che il nostro re fu tentato non
con la carne ma col pane (Mt. 4, 3). E anche il popolo nel deserto meritò di essere
rimproverato non perché aveva desiderato carne ma perché per desiderio di carne aveva
mormorato contro il Signore (Num. 11, 1 ss.) » (Conf., X, 46).
22. 4. Quanto al bere vino, l'Apostolo scrive così a Timoteo: Non bere soltanto acqua, ma
fa' uso anche di un po' di vino per il tuo stomaco e le tue frequenti malattie (1 Tim. 5, 24).
22. 5. Usava d'argento soltanto i cucchiai, ma il vasellame per portare i cibi a tavola
erano o di terracotta o di legno o di marmo, e ciò non per povertà ma di proposito.
22. 6. Fu sempre molto ospitale. E durante il pranzo aveva più cara la lettura o la
discussione che non il mangiare e il bere. Contro quella pessima abitudine degli uomini
teneva qui questa iscrizione:

Chi ama calunniare gli assenti,


sappia di non esser degno di questa mensa.

Ammoniva così ogni invitato ad astenersi da chiacchiere superflue e dannose.


22. 7. Una volta che alcuni vescovi che gli erano molto amici si erano dimenticati della
scritta e parlavano in maniera contraria ad essa, Agostino indignato li riprese
aspramente, dicendo che o quei versi dovevano essere cancellati dalla mensa o che egli
si sarebbe alzato in mezzo al pranzo e se ne sarebbe andato in camera sua. Possiamo
testimoniare questo episodio io ed altri che prendevamo parte a quel pranzo.
Carità e disinteresse

23. l. Si ricordava sempre dei compagni di povertà e dava loro attingendo a quel che
serviva per sé e per coloro che abitavano insieme con lui, cioè dalle rendite dei beni della
chiesa e anche dalle offerte dei fedeli.
23. 2. Per evitare che questi beni - come di solito avviene - fossero fonte di odiosità nei
confronti dei chierici, egli soleva dire al popolo di Dio che avrebbe preferito vivere delle
loro offerte piuttosto che sobbarcarsi la cura e l'amministrazione di quei beni: perciò egli
era pronto a cederli ai fedeli, sì che tutti i servi e i ministri di Dio vivessero così come nel
Vecchio Testamento si legge che chi serviva all'altare, aveva parte del medesimo (Deut.
18, 1 ss.; 1 Cor. 9, 13). Ma i laici non vollero mai accettare quella proposta.

Amministrazione dei beni della Chiesa

24. 1. Delegava e affidava a turno ai chierici più abili l'amministrazione e tutti i beni della
casa annessa alla chiesa, senza tenere per sé né chiave né anello, e quelli che erano
stati preposti alla casa segnavano tutte le entrate e le uscite. Il rendiconto gli veniva letto
alla fine di ogni anno, perché egli sapesse quanto si era ricevuto e quanto si era
distribuito o rimanesse da distribuire. Ma in molti affari dava fiducia all'amministratore
piuttosto che verificare i conti precisi e documentati.
24. 2. Non volle mai comprare casa, campo o villa, ma se qualcuno spontaneamente
donava qualcosa di tale alla chiesa o lo affidava a titolo di deposito, non rifiutava ma
diceva di accettare.
24. 3. Sappiamo però che rifiutò alcune eredità, non perché sarebbero state inutili ai
poveri ma perché riteneva giusto ed equo che esse venissero in possesso dei figli o dei
parenti o dei genitori dei defunti, ai quali quelli morendo non le avevano voluto lasciare.
24. 4. Un tale fra i cittadini d'Ippona di alta condizione, che viveva a Cartagine, volle
donare una proprietà alla chiesa d'Ippona, e fatto il documento, mentre tratteneva per sé
l'usufrutto, lo mandò senz'altro ad Agostino di beata memoria. Egli accettò volentieri
l'offerta, rallegrandosi con quello perché provvedeva alla sua salvezza eterna.
24. 5. Ma dopo alcuni anni, mentre io mi trovavo Per caso presso di lui, ecco che il
donatore manda per mezzo di suo figlio una lettera con la quale pregava di restituire a
suo figlio il documento di donazione, mentre diceva di distribuire ai poveri 100 soldi.
24. 6. Quando il santo venne a conoscenza della lettera, si addolorò che l'uomo o aveva
simulato la donazione ovvero si era pentito della buona opera, e tutto quanto poté e Dio
suggerì al suo cuore, addolorato per questa resipiscenza, disse a rimprovero e
correzione di quello.
24. 7. Subito restituì il documento che quello aveva mandato spontaneamente e che non
era stato né desiderato né richiesto, rifiutò la somma di danaro e con la lettera di risposta
riprese e rimproverò come si doveva quell'uomo, ammonendolo a dare umilmente
soddisfazione a Dio per quella ch'era simulazione o iniquità, per non uscir di vita con un
peccato così grave.
24. 8. Spesso diceva anche ch'è più sicuro per la chiesa ricevere legati di defunti
piuttosto che eredità che potevano riuscire fonti di preoccupazioni e danni, e che i legati
dovevano essere piuttosto offerti che non richiesti.
24. 9. Egli non accettava alcun deposito, ma non lo proibiva ai chierici che volessero
accettarli.
24. 10. Non si applicava con zelo e passione ai beni che la chiesa aveva in proprietà o in
possesso, ma era maggiormente interessato e dedito alle realtà più importanti dello
spirito, anche se talvolta si distoglieva dalla meditazione delle cose eterne per dedicarsi a
quelle temporali.
24. 11. Ma dopo averle disposte ed ordinate, lasciatele da parte come cose noiose e
moleste, riportava l'animo alle realtà interiori e superiori, sia che meditasse nell'indagine
delle realtà divine sia che dettasse qualcosa che avesse già trovato in argomento sia che
correggesse ciò ch'era stato già dettato e trascritto. Per far questo, lavorava di giorno e
vegliava di notte.
24. 12. Egli era come quella piissima Maria, ch'è simbolo della chiesa celeste: di lei è
scritto che sedeva ai piedi del Signore intenta ad ascoltare la sua parola; e poiché la
sorella si lamentò di lei perché non l'aiutava mentre essa era occupata in gran da fare, si
sentì dire: Marta, Marta, Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta (Lc. 10,
39 s.).
24. 13. Non ebbe mai interesse a nuove costruzioni, evitando di applicare in questioni del
genere l'animo che voleva aver sempre libero da ogni molestia temporale. Non impediva
però coloro che volessero costruire, purché non in maniera troppo lussuosa.
24. 14. Talvolta, quando mancava danaro alla chiesa, comunicava al popolo dei fedeli
che egli non aveva di che distribuire ai poveri.
24. 15. Per aiutare prigionieri e gran quantità di poveri, fece spezzare e fondere alcuni
vasi sacri e distribuì il ricavato a chi ne aveva bisogno.
24. 16. Non avrei ricordato questo episodio, se non sapessi che esso contrasta l'opinione
di alcuni uomini che pensano secondo la carne. Del resto anche Ambrogio di venerabile
memoria ha detto e scritto che in tali strettezze senz'altro si deve fare così.
24. 17. Talvolta Agostino, parlando in chiesa, ricordava che i fedeli trascuravano la cassa
dei poveri e quella della sacrestia, dalla quale si provvede ciò ch'è necessario per l'altare:
a tal proposito una volta mi riferì che, mentre egli era presente, anche il beato Ambrogio
aveva trattato in chiesa lo stesso argomento.

Autorità paterna. La legge del perdono

25. l. I chierici stavano sempre con lui nella stessa casa e venivano nutriti e vestiti con
una sola mensa e con spese comuni.
25. 2. Perché nessuno, troppo proclive a giurare, incorresse anche nello spergiuro,
predicava su questo argomento in chiesa al popolo e ai suoi intimi aveva proibito di
giurare, anche a tavola. Se uno avesse mancato, perdeva una bevanda di quelle
stabilite: infatti era prefissato il numero dei bicchieri di vino per quelli che vivevano e
pranzavano con lui.
25. 3. Mancanze di disciplina e trasgressioni dei suoi dalla regola retta e onesta tollerava
e rimproverava quanto conveniva ed era necessario: a tal proposito insegnava
specialmente che nessuno doveva piegare il suo cuore a parole cattive per cercare
scuse ai suoi peccati (Sal. 140, 4).
25. 4. Ammoniva pure che se uno offriva il suo dono all'altare e lì si fosse ricordato che
un suo fratello aveva qualcosa contro di lui, avrebbe dovuto lasciare il dono all'altare e
andare a riconciliarsi col fratello e solo allora sarebbe dovuto tornare all'altare e offrire il
dono (Mt. 5, 23 s.).
25. 5. Se poi uno aveva qualcosa contro un suo fratello, lo doveva trarre da parte: se
quello gli avesse dato ascolto, avrebbe guadagnato quel suo fratello; in caso contrario,
avrebbe fatto ricorso ad una o due persone. Se poi quello non avesse tenuto in alcun
conto neppure costoro, si sarebbe fatto ricorso alla chiesa: se quello non avesse
obbedito neppure a questa, sarebbe stato per lui come un pagano e un pubblicano (Mt.
18, 15 s.).
25. 6. Aggiungeva anche che al fratello che peccava e chiedeva perdono bisognava
rimettere il peccato non sette volte ma settanta volte sette, come ciascuno chiede ogni
giorno al Signore di perdonarlo (Mt. 18, 21 s.; 6, 12).

Presìdi della castità

26. 1. Nessuna donna frequentò mai la sua casa né vi rimase per qualche tempo,
neppure la sua sorella germana, che vedova consacrata a Dio per molto tempo fino al
giorno della sua morte fu preposta alle serve del Signore, e neppure le figlie di suo
fratello ch'erano parimenti consacrate a Dio: eppure i concili episcopali avevano fatto
eccezione per queste persone.
26. 2. Affermava a tal proposito che certo non poteva sorgere alcun sospetto a causa
della sorella e delle nipoti che fossero vissute insieme con lui; però, poiché quelle non
avrebbero potuto vivere insieme con lui senza la compagnia di altre donne loro amiche e
sarebbero venute a visitarle anche altre donne di fuori, a causa di queste poteva nascere
motivo di scandalo per i più deboli (1 Cor. 8, 9; Rom. 14, 13). Infatti qualcuno di quelli che
stavano insieme col vescovo o con qualche chierico potevano cedere a tentazioni umane
a causa di tutte quelle donne che abitavano insieme o usavano recarsi lì, ovvero
inevitabilmente sarebbe stato diffamato dai malvagi sospetti degli uomini.
26. 3. Perciò affermava che mai donne debbono vivere nella stessa casa con i servi di
Dio, anche castissimi, per evitare - come ho detto - che tale esempio costituisse motivo di
scandalo o di offesa per i deboli. Egli poi, se veniva invitato da qualche donna a visitarla
e salutarla, non si recava mai da quella senza la compagnia di chierici, e mai parlò con
esse da solo a sole, neppure se si doveva trattare qualche questione riservata.

Carità e prudenza. Umiltà e confidenza in Dio

27. 1. Nel visitare seguiva la norma stabilita dall'Apostolo (Giac. 1, 27), di non visitare se
non gli orfani e le vedove che si trovavano in strettezze.
27. 2. Se poi veniva richiesto dai malati di pregare per loro il Signore in loro presenza e di
imporre loro le mani, si recava senza indugio.
27. 3. Non visitava monasteri femminili se non in caso di urgente necessità.
27. 4. Diceva che nella vita e nei costumi dell'uomo di Dio si dovevano seguire i consigli
che egli aveva appreso da Ambrogio di santa memoria: non cercare moglie per nessuno,
non raccomandare chi vuole fare la carriera militare, stando al proprio paese non
accettare inviti a pranzo.
27. 5. Spiegava così i motivi di ognuno di questi consigli: per evitare che i coniugi, venuti
a lite, maledicessero colui per la cui opera si erano uniti (perciò il sacerdote doveva
limitarsi ad intervenire richiesto dai due che erano già d'accordo, per confermare e
benedire il loro accordo); per evitare che, comportandosi male colui che era stato
raccomandato al servizio militare, la colpa ricadesse su chi l'aveva raccomandato; per
evitare infine che uno, frequentando troppo i banchetti nel suo paese, smarrisse la
misura della temperanza.
27. 6. Ci disse anche di aver udito una risposta quanto mai sapiente e pia di quell'uomo
di beata memoria che si trovava alla fine della vita, e molto la lodava e magnificava.
27. 7. Quell'uomo venerabile giaceva nella sua ultima malattia e alcuni fedeli di alta
condizione, che stavano intorno al suo letto e lo vedevano sul punto di passare dal
mondo al Signore, si lamentavano che la chiesa restasse priva dell'opera di un tale
vescovo sia nella predicazione sia nell'amministrazione dei sacramenti e lo pregavano fra
le lacrime che chiedesse al Signore un prolungamento della vita. Ma quello rispose loro:
« Non ho vissuto in maniera tale da dovermi vergognare di vivere fra voi: ma neppure
temo di morire, perché abbiamo un buon Signore ».
27. 8. In tale risposta il nostro Agostino ormai vecchio ammirava ed approvava la
ponderatezza e l'equilibrio delle parole. Infatti le parole di Ambrogio « ma neppure temo
di morire, perché abbiamo un buon Signore » dovevano essere intese nel senso che non
si doveva credere che egli, perché fiducioso nella sua purezza di costumi, prima aveva
detto: « Non ho vissuto in maniera tale da dovermi vergognare di vivere fra voi ». Aveva
detto così in riferimento a ciò che gli uomini possono conoscere di un uomo; ma in
riferimento all'esame della giustizia divina confidava soprattutto nel buon Signore, al
quale anche nella orazione quotidiana da lui insegnata diceva: Rimettici i nostri debiti (Mt.
6, 12).
27. 9. Riferiva anche di frequente una risposta su questo argomento, data da un suo
collega di episcopato a lui molto amico: mentre quello era sul punto di morire, Agostino
era andato a visitarlo; quello con la mano aveva fatto un gesto per indicare che stava per
uscire dal mondo ed Agostino gli aveva risposto che per la chiesa era necessario che egli
potesse ancora vivere: allora quello, perché non si credesse che era trattenuto dal
desiderio di questa vita, aveva replicato: « Se mai, bene. Ma se una volta, perché non
ora? ».
27. 10. E Agostino ammirava e lodava questa risposta, che era stata data da un uomo
certo timorato di Dio ma nato e cresciuto in campagna e che non aveva fatto molte
letture.
27. 11. Certo costui era in contrasto con i sentimenti di quel vescovo, di cui riferisce così
il santo martire Cipriano nella lettera che scrisse sulla pestilenza: « Poiché uno dei nostri
colleghi di episcopato, prostrato dalla malattia e turbato dall'avvicinarsi della morte,
chiedeva per sé un prolungamento della vita, mentre pregava così ed era quasi morto gli
si presentò un giovane venerabile per dignità e maestà, di alta statura e di aspetto
splendente. Era tale che vista umana a stento poteva osservarlo con gli occhi carnali
mentre stava vicino a colui che stava per uscire dal mondo; ma invece proprio costui lo
poteva scorgere. E quel giovane con voce che fremeva per l'indignazione dell'animo
disse: "Avete paura di soffrire, non ve ne volete andare: che cosa farò per voi?" » (Cipr.,
Mort., 19).

Ultime vicende e morte (cc. 28-31)

Revisione dei libri. Orrori dell'invasione vandalica e assedio d'Ippona

28. 1. Poco tempo prima della morte fece una revisione dei libri che aveva composto e
pubblicato, sia quelli che aveva scritto ancora da laico appena si era convertito, sia quelli
che aveva composto quando era prete e vescovo: tutto quello che in essi notò che era
stato scritto in difformità della regola di fede, quando egli non era ancora bene al corrente
delle norme della chiesa, tutto ciò fu da lui rivisto e corretto. Perciò egli scrisse anche due
libri, che si intitolano Revisione dei libri.
28. 2. Si lamentava anche che alcuni libri gli erano stati portati via da certi fratelli prima
che egli li avesse accuratamente corretti, anche se poi li aveva corretti in un secondo
tempo. Sorpreso dalla morte, lasciò incomplete alcune opere.
28. 3. Poiché voleva essere utile a tutti, a quelli che possono leggere molti libri e a quelli
che non possono, dal Vecchio e dal Nuovo Testamento estrasse passi contenenti
precetti e divieti e, premessa una prefazione, li raccolse in un volume: così chi volesse
leggerlo, vi avrebbe riconosciuto quanto fosse obbediente a Dio o disobbediente. Volle
intitolare questa opera Specchio.
28. 4. Poco tempo dopo, per volontà e disposizione divina avvenne che un grande
esercito, armato con armi svariate ed esercitato alla guerra, composto dai crudeli nemici
Vandali e Alani, cui s'erano uniti Goti e gente di altra stirpe, con le navi fece irruzione
dalle parti trasmarine della Spagna in Africa.
28. 5. Gli invasori attraverso tutta la Mauretania passarono anche nelle altre nostre
province e regioni, e imperversando con ogni atrocità e crudeltà saccheggiarono tutto ciò
che potettero fra spogliazioni, stragi, svariati tormenti, incendi e altri innumerevoli e
nefandi disastri. Non risparmiarono né sesso né età, neppure i sacerdoti e i ministri di
Dio, neppure gli ornamenti, le suppellettili e gli edifici delle chiese.
28. 6. Tali crudelissime violenze e devastazioni quell'uomo di Dio vedeva e pensava che
esse fossero avvenute ed avvenissero non come pensavano gli altri uomini: ma poiché le
considerava in modo più profondo e vi ravvisava soprattutto il pericolo e la morte delle
anime (infatti sta scritto: Chi aggiunge scienza aggiunge dolore, e un cuore intelligente è
un tarlo per le ossa [Eccli. 1, 18; Prov. 14, 30; 25, 20]), ancor più del solito le lacrime
furono il suo pane giorno e notte ed egli ormai nella estrema vecchiaia conduceva e
sopportava una vita amara e luttuosa più degli altri.
28. 7. Infatti l'uomo di Dio vedeva le città distrutte, e nelle campagne insieme con gli
edifici gli abitanti o uccisi dal ferro nemico o fuggiti e dispersi, le chiese prive di sacerdoti
e ministri, le vergini consacrate e i continenti dispersi da ogni parte: di costoro alcuni eran
venuti meno fra le torture; altri erano stati uccisi con la spada; altri ridotti in schiavitù,
persa ormai l'integrità e la fede dell'anima e del corpo, servivano i nemici con trattamento
duro e cattivo.
28. 8. Nelle chiese non si cantavano più inni e lodi a Dio; in molti luoghi le chiese erano
state bruciate; erano venuti meno nei luoghi a ciò consacrati i sacrifici solenni dovuti a
Dio; i sacramenti divini o non venivano richiesti oppure non potevano essere amministrati
a chi li richiedeva, perché non si trovava facilmente il ministro.
28. 9. Coloro che si erano rifugiati nelle selve montane e in grotte e caverne o in altro
riparo erano stati alcuni sopraffatti e catturati, altri erano privi di mezzi di sostentamento a
punto tale da morire di fame. 1 vescovi e i chierici che per grazia di Dio o non avevano
incontrato gl'invasori o erano riusciti a sfuggir loro, spogliati di ogni cosa mendicavano
nella miseria più nera, né era possibile aiutarli tutti in tutto ciò di cui abbisognavano.
28. 10. Di innumerevoli chiese a mala pena solo tre per grazia di Dio non sono state
distrutte, quelle di Cartagine, Cirta e Ippona, e restano in piedi le loro città, protette dal
presidio divino e umano (ma dopo la morte di Agostino anche Ippona, abbandonata dagli
abitanti, fu incendiata dai nemici).
28. 11. E Agostino, in mezzo a tali sciagure, si consolava con la sentenza di un sapiente
che dice: « Non sarà grande colui che ritiene gran cosa il fatto che cadono alberi e pietre
e muoiono i mortali ».
28. 12. Era molto saggio, e perciò piangeva ogni giorno a calde lacrime tutte queste
sciagure. Si aggiunse ai suoi dolori e ai suoi lamenti il fatto che i nemici vennero ad
assediare Ippona, che fino allora era rimasta indenne, poiché si era occupato della sua
difesa l'allora conte Bonifacio con un esercito di Goti alleati. I nemici l'assediarono
strettamente per quasi 14 mesi e le chiusero anche la via del mare.
28. 13. Qui mi ero rifugiato anch'io insieme con altri colleghi d'episcopato e fummo
insieme con lui per tutto il tempo dell'assedio. Molto spesso parlavamo fra noi e
consideravamo che davanti ai nostri occhi Dio poneva i suoi tremendi giudizi, e
dicevamo: Sei giusto, Signore, e retto è il tuo giudizio (Sal. 118, 137). Tutti insieme
addolorati, gemendo e piangendo, pregavamo il Padre della misericordia e Dio di ogni
consolazione (2 Cor. 1, 3) perché si degnasse confortarci in quella tribolazione.

Ultima malattia e ultime opere buone

29. 1. Un giorno, mentre pranzavamo con lui e parlavamo di questi argomenti, egli ci
disse: « Sappiate che in questi giorni della nostra disgrazia ho chiesto a Dio questo: o
che si degni di liberare la nostra città dall'assedio dei nemici; o, se la sua volontà è
diversa, che renda forti i suoi servi per poter sopportare questa volontà; ovvero che mi
accolga presso di sé, uscito dal mondo».
29. 2. Così diceva e ci istruiva, e quindi, insieme con lui, noi tutti e tutti quelli che stavano
in città pregavamo allo stesso modo il sommo Dio.
29. 3. Ed ecco, durante il terzo mese dell'assedio si mise a letto con la febbre e questa fu
l'ultima malattia che l'afflisse. Né il Signore negò al suo servo il frutto della sua preghiera:
infatti egli ottenne a suo tempo ciò che con preghiere miste a lacrime aveva chiesto per
sé e per la città.
29. 4. Venni anche a sapere che, quando era prete e vescovo, egli era stato richiesto di
pregare per alcuni energumeni che soffrivano, ed egli fra le lacrime aveva pregato Dio, e
i demoni si erano allontanati da quegli uomini.
29. 5. Parimenti, mentre era malato e stava a letto, venne da lui un tale con un suo
parente malato e lo pregò di imporre a quello la mano perché potesse guarire. Agostino
gli rispose che, se avesse avuto qualche potere per tali cose, in primo luogo ne avrebbe
fatto uso per sé. Ma quello replicò che in sonno aveva avuto un'apparizione e gli era
stato detto: « Va' dal vescovo Agostino perché imponga a costui la sua mano, e sarà
salvo ». Appreso ciò egli non indugiò a fare quel che si chiedeva, e il Signore subito fece
andar via guarito quel malato dal suo letto.

Consigli al vescovo Onorato sulla condotta del clero di fronte agli invasori

30. 1. A tal proposito non debbo passare sotto silenzio che, mentre sovrastava la
minaccia dei nemici, Onorato, santo uomo nostro collega di episcopato nella chiesa di
Tiabe, per lettera chiese ad Agostino se, quando i Vandali si avvicinavano, i vescovi e i
chierici dovessero allontanarsi dalle loro chiese oppure no. E con la sua risposta
Agostino mise in evidenza ciò che si dovesse soprattutto temere da quei distruttori del
mondo romano.
30. 2. Ho voluto inserire questa lettera nel mio scritto: infatti è molto utile e necessaria
perché i sacerdoti e i ministri di Dio sappiano come comportarsi.
30. 3. «Al santo fratello e collega nell'episcopato Onorato, Agostino augura salute nel
Signore. Avendo mandato alla tua carità una copia della lettera che avevo scritto al
fratello Quodvultdeus, nostro collega nell'episcopato, credevo di aver soddisfatto alla
richiesta che mi avevi fatto col chiedermi consiglio su che cosa dobbiate fare in questi
pericoli che sono sopraggiunti ai nostri giorni.
30. 4. Infatti, anche se quella lettera che scrissi era breve, ritengo di non aver omesso
alcunché, che possa essere sufficiente scrivere da parte di chi risponde e leggere da
parte di chi chiede. Dissi infatti che non si doveva imporre divieto a coloro che, se
possono, desiderano trasferirsi in luoghi fortificati, ma che non si dovevano spezzare i
legami del nostro ministero, con i quali ci ha legati l'amore di Cristo, sì che non
dovevamo abbandonare le chiese, alle quali dobbiamo prestare servizio.
30. 5. Ecco come scrissi in quella lettera: " Poiché il nostro ministero è così necessario al
popolo di Dio che esso non deve rimanerne privo, nel caso che una parte anche piccola
di esso rimanga dove siamo noi, a noi non resta che dire al Signore: Sia Dio il nostro
protettore e la nostra difesa (Sal. 30, 3) ".
30. 6. Ma questo consiglio non ti soddisfa, se - come scrivi - tu temi di operare in
contrasto col comando del Signore che ci dice che bisogna fuggire di città in città;
ricordiamo infatti le sue parole: Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra
(Mt. 10, 23).
30. 7. Ma chi può credere che con questo consiglio il Signore abbia inteso che restasse
privo del necessario servizio, senza il quale non può vivere, il gregge che egli si è
acquistato col suo sangue?
30. 8. Non ha fatto così egli stesso quando ancor fanciullo, portato dai genitori, fuggì in
Egitto? Ma egli non aveva ancora radunato chiese che noi possiamo dire essere state da
lui abbandonate.
30. 9. Che forse l'apostolo Paolo non fu calato attraverso una finestra in una cesta, per
non essere preso dal nemico, e così riuscì a sfuggirgli? Ma rimase forse priva del
necessario servizio la chiesa che stava lì e non fu fatto quanto era necessario dai fratelli
che lì rimanevano? Infatti l'Apostolo agì così proprio perché lo volevano i fratelli, per
conservare alla chiesa se stesso, che il persecutore cercava specificamente.
30. 10. Perciò i servi di Cristo, ministri della sua parola e del suo sacramento, agiscano
come egli ha comandato o permesso. Fuggano senz'altro di città in città, quando
qualcuno di loro è cercato nominativamente dai persecutori, in maniera tale che la chiesa
non sia abbandonata dagli altri che non sono ricercati allo stesso modo, ma questi
somministrino nutrimento ai loro conservi, che essi sanno non poter vivere altrimenti.
30. 11. Ma quando il pericolo è comune per tutti, vescovi chierici e laici, coloro che hanno
bisogno degli altri non siano abbandonati da quelli di cui essi hanno bisogno. Perciò o si
trasferiscano tutti insieme in luoghi fortificati, ovvero coloro che debbono
necessariamente rimanere non siano abbandonati da coloro che debbono loro fornire
quanto è necessario alla vita religiosa: sopravvivano allo stesso modo o patiscano allo
stesso modo ciò che il Padre di famiglia avrà voluto ch'essi patiscano.
30. 12. Se poi alcuni soffrono di più e altri meno, ovvero tutti allo stesso modo, sempre si
potrà vedere chi sono coloro che soffrono per gli altri, quelli cioè che, pur potendosi
sottrarre con la fuga a questi mali, hanno preferito restare per non abbandonare gli altri
nelle necessità. In tal modo si dà soprattutto prova di quell'amore che l'apostolo Giovanni
raccomanda con queste parole: Come Cristo ha dato per noi la sua vita, così anche noi
dobbiamo dare la vita per i fratelli (1 Gv. 3, 16).
30. 13. Infatti coloro che fuggono ovvero non possono fuggire perché impediti da qualche
loro necessità, se sono presi e soffrono, soffrono per sé stessi, non per i loro fratelli.
Invece coloro che soffrono perché non hanno voluto abbandonare i fratelli che avevano
bisogno di loro per la salvezza in Cristo, questi senza dubbio danno la loro vita per i
fratelli.
30. 14. Quanto poi alle parole che abbiamo udito da un vescovo: "Se il Signore ci ha
comandato di fuggire in quelle persecuzioni in cui si può ottenere il frutto del martirio, non
dobbiamo tanto più fuggire i patimenti che non danno frutto, quando c'è un'incursione di
barbari ostili": consiglio vero e accettabile, ma solo da parte di chi non è vincolato da un
ufficio della chiesa.
30. 15. Infatti se uno, pur potendo fuggire, non fugge dinanzi alle stragi dei nemici per
non abbandonare il ministero di Cristo senza il quale gli uomini non possono né diventare
cristiani né vivere come tali, questo mette in pratica l'amore, più di colui che fugge
pensando a sé e non ai fratelli e che pur poi preso non nega Cristo e ottiene il martirio.
30. 16. Che cosa è poi quel che hai scritto nella tua prima lettera? Dici infatti: "Se poi
dobbiamo rimanere nelle chiese, non vedo in che cosa gioveremo a noi o al popolo nel
vedere gli uomini cadere davanti ai nostri occhi, le donne violentate, le chiese incendiate,
noi stessi venir meno sotto i tormenti, quando cercano da noi ciò che non abbiamo".
30. 17. Dio può prestare ascolto alle preghiere della sua famiglia e tener lontani i mali
che noi temiamo: ma a causa di questi mali, che sono incerti, non deve esser certo
l'abbandono del nostro ministero, senza il quale è certa la rovina del popolo nelle cose
non di questa vita ma di quell'altra, di cui ci dobbiamo prender cura in maniera
incomparabilmente più attenta e sollecita.
30. 18. Infatti se fosse cosa certa che questi mali che temiamo sopravvengono nei luoghi
nei quali ci troviamo, di qui fuggirebbero prima tutti coloro a causa dei quali noi dobbiamo
rimanere e così ci libererebbero dalla necessità di rimanere. Nessuno infatti sostiene che
i ministri di Dio debbono rimanere là dove non c'è nessuno cui prestare la propria opera.
30. 19. In tal senso alcuni vescovi sono fuggiti dalla Spagna, poiché il popolo in parte si
era disperso nella fuga, in parte era stato ucciso, in parte era morto durante l'assedio, in
parte era stato disperso in servitù. Ma molti di più sono stati i vescovi che, poiché
rimanevano nelle loro sedi coloro a causa dei quali essi pure dovevano rimanere, sono
restati anch'essi esposti agli stessi innumerevoli pericoli. E se alcuni hanno abbandonato
i loro fedeli, proprio questo noi diciamo che non si deve fare. infatti costoro non sono stati
ispirati dall'autorità divina ma sono stati o tratti in inganno da errore umano o sopraffatti
da umano timore.
30. 20. Come mai infatti essi ritengono che si debba ubbidire fedelmente al comando
divino, quando leggono che si deve fuggire da una città nell'altra, ma invece non hanno
in orrore il mercenario che vede venire il lupo e fugge, perché non si preoccupa delle
pecore (Gv. 10, 12) ? Perché mai queste due sentenze, che sono proprio del Signore,
quella che permette e comanda la fuga, e quella che la rimprovera e la condanna, essi
non cercano di interpretarle in modo che non risultino fra loro in contraddizione, come
effettivamente non lo sono?
30. 21. E in che modo questo può farsi se non facendo attenzione a ciò che ho già detto
sopra? Cioè che, se la persecuzione minaccia i luoghi nei quali siamo, i ministri di Dio
debbono fuggire, quando o lì non ci siano più fedeli, cui prestar servizio, ovvero il
necessario servizio può essere espletato da altri che non hanno lo stesso motivo per
fuggire.
30. 22. Così fuggì l'Apostolo, come sopra ho ricordato, calato in una cesta, perché
proprio lui era ricercato dal persecutore, mentre non si trovavano in tale necessità gli altri,
che perciò si guardarono bene dall'abbandonare il servizio della chiesa. Così fuggì il
santo Atanasio, vescovo di Alessandria, poiché l'imperatore Costanzo desiderava
catturare proprio lui e la comunità cattolica che rimaneva ad Alessandria non veniva
abbandonata dagli altri ministri.
30. 23. Ma quando il popolo resta e invece fuggono i ministri e finisce il servizio, che cosa
sarà quest'azione se non la riprovevole fuga dei mercenari, che non si danno cura delle
pecore? Infatti verrà il lupo, non un uomo ma il diavolo, che spesso ha persuaso ad
apostatare i fedeli cui mancava la quotidiana amministrazione del corpo del Signore.
Così, a causa non della tua scienza ma della tua ignoranza, fratello, perirà il debole per il
quale è morto Cristo.
30. 24. Per quanto poi riguarda coloro che in tale distretta non sono tratti in fallo
dall'errore ma sono vinti dalla paura, perché piuttosto essi, con l'aiuto del Signore
misericordioso, non combattono coraggiosamente contro il loro timore? Così eviteranno
che tocchino loro mali incomparabilmente più gravi, che perciò sono molto più da temere.
30. 25. Ciò avviene dove arde l'amore di Dio e la cupidigia del mondo non esala il suo
fumo. Dice infatti l'amore: Chi è debole ed io non son debole? Chi viene scandalizzato ed
io non brucio? (2 Cor. 11, 29). Ma l'amore viene da Dio: preghiamo che ci sia concesso
da colui da cui viene comandato. Perciò temiamo che le pecore di Cristo siano colpite
nell'animo dalla spada dello spirito del male più che siano uccise dal ferro nel corpo, che
- quando che sia e come che sia - dovrà morire.
30. 26. Temiamo che, corrotto il senso interiore, venga meno la purezza della fede, più
che le donne vengano violentate nella carne: infatti la pudicizia non viene violentata dalla
violenza, se si conserva nell'anima, perché neppure la carne è violentata se la volontà di
chi subisce non gode turpemente della sua carne, ma senza acconsentire sopporta ciò
che fa un altro.
30. 27. Temiamo che, a causa del nostro abbandono, si estinguano le pietre vive, più che
alla nostra presenza vengano incendiate le pietre e la legna degli edifici materiali.
Temiamo che, prive dell'alimento spirituale, siano uccise le membra del corpo di Cristo,
più che le membra del nostro corpo siano oppresse e tormentate dall'aggressione del
nemico.
30. 28. Non perché questi malanni non debbano essere evitati, quando è possibile: ma
perché debbono piuttosto essere sopportati, quando non possono essere evitati senza
empietà. A meno che uno non voglia sostenere che non è empio il ministro, che sottrae il
servizio necessario. alla pietà proprio allora quando è più necessario.
30. 29. O forse, quando si arriva a questo estremo pericolo e non c'è possibilità alcuna di
fuggire, non pensiamo quanta gente di ogni sesso e di ogni età si rifugia in chiesa: alcuni
che chiedono il battesimo, altri la riconciliazione, altri anche l'azione penitenziale, e tutti
conforto e celebrazione e distribuzione dei sacramenti?
30. 30. E se qui mancano i ministri, quanta rovina colpisce coloro che escono da questa
vita o non rigenerati o non assolti? Quanto sarà il dolore dei fedeli per i loro cari che non
potranno insieme con loro godere il riposo della vita eterna? Quanto infine il pianto di
tutti, e quante bestemmie da parte di alcuni, per l'assenza del servizio e dei ministri?
30. 31. Osserva quali effetti produca la paura dei mali temporali e quanto facilmente essa
sia causa di mali eterni. Se invece ci sono i ministri, si viene incontro alle necessità di tutti
secondo le capacità che Dio concede: alcuni sono battezzati, altri riconciliati, nessuno è
privato della comunione col corpo del Signore, tutti sono consolati edificati esortati a
pregare Dio, il quale può tener lontani tutti i mali che uno teme: tutti pronti ad ambedue le
sorti, sì che, se non può passare da loro questo calice, si compia la volontà di colui che
non può volere alcunché di male (Mt. 26, 42).
30. 32. Certamente ormai tu vedi ciò che scrivesti di non vedere, cioè quanto bene venga
al popolo cristiano, se nei mali che ci affliggono non gli manca la presenza dei ministri di
Dio; e vedi anche quanto nuoccia la loro assenza, quando essi cercano il loro vantaggio,
non quello di Gesù Cristo (Fil. 2, 21), e non hanno quell'amore del quale è stato detto:
Non cerca ciò ch'è suo (1 Cor. 13, 5), e non imitano colui che ha detto: Non cercando ciò
ch'è utile a me ma ciò ch'è utile a molti, perché siano salvi (1 Cor. 10, 33).
30. 33. Questo non si sarebbe sottratto alle insidie del principe persecutore, se non
avesse voluto conservarsi in vita per gli altri, ai quali egli era necessario. Per questo dice:
Sono stretto da due parti, desiderando andarmene ed essere con Cristo: sarebbe infatti
molto meglio; ma è necessario rimanere nella carne a causa di voi (Fil. 1, 23).
30. 34. A questo punto uno potrebbe osservare che, all'approssimarsi di tali sciagure, i
ministri di Dio debbono fuggire per conservarsi all'utilità della chiesa nell'attesa di tempi
più tranquilli. Giustamente alcuni fanno così, quando non mancano altri che possano
attendere al servizio ecclesiastico in vece loro, sì che il servizio non venga abbandonato
da tutti: abbiamo detto sopra che così agì Atanasio. Quanto infatti egli sia stato
necessario per la chiesa e quanto a questa abbia giovato il fatto che quello sia restato in
vita, lo sa bene la fede cattolica, che dalla parola e dall'abnegazione di quell'uomo fu
difesa contro gli eretici ariani.
30. 35. Ma quando il pericolo è di tutti, e c'è più da temere che, se uno fa così, ciò venga
attribuito non all'intenzione di provvedere alla chiesa ma alla paura di morire, e col cattivo
esempio della fuga uno nuoce di più di quanto potrebbe giovare col sopravvivere per il
servizio, allora assolutamente non ci si deve comportare così.
30. 36. Infatti, per evitare che fosse estinta, come sta scritto, la luce d'Israele, il santo
Davide non si espose ai pericoli della battaglia (2 Sam. 21, 17), ma agì così perché fu
pregato dai suoi, non di propria iniziativa. Altrimenti avrebbe spinto ad imitarlo nella viltà
molti, i quali avrebbero pensato che egli agiva così non in considerazione dell'utilità degli
altri, ma solo perché turbato per il suo pericolo.
30. 37. Qui ci si presenta un'altra questione, che non va tralasciata. Abbiamo visto che
non è da trascurare l'opportunità che alcuni ministri di Dio fuggano all'approssimarsi di
qualche devastazione, al fine che siano salvi quelli che possano prestare il servizio a
quanti dopo il flagello potranno trovare superstiti: ma allora come ci si deve comportare
nel caso che si preveda la morte di tutti, se qualcuno non fugge?
30. 38. Che cosa diremo se quel flagello imperversa soltanto col fine di perseguitare i
ministri della chiesa? Dovrà forse essere abbandonata dai ministri che fuggono quella
chiesa che pur sarebbe lasciata in abbandono da quelli miseramente periti? Ma se i laici
non sono ricercati a morte, essi in qualche modo possono nascondere i loro vescovi e i
loro chierici, secondo che li aiuterà colui in cui potere è ogni cosa, che può con la sua
mirabile potenza salvare anche quelli che non fuggono.
30. 39. Ma noi ricerchiamo che cosa dobbiamo fare, proprio perché non si creda che
attendendo miracoli divini in ogni cosa tentiamo il Signore. Certo questa tempesta, in cui
è comune il pericolo di laici e chierici, non è come quella che minaccia comune pericolo
ai marinai e ai commercianti che stanno su una nave. Non voglio pensare che questa
nostra nave sia considerata così dappoco che la debbano abbandonare tutti i marinai, e
perfino il nocchiero, se si possono salvare passando su una scialuppa o anche a nuoto.
30. 40. Per coloro infatti che temiamo periscano per il nostro abbandono, noi temiamo
non la morte temporale, che quando che sia sopravverrà, ma la morte eterna, che può
venire, se uno non sta attento, ma può anche non venire, se uno sta attento.
30. 41. Nel comune pericolo di questa vita perché dobbiamo credere che, dovunque ci
sarà un'incursione di nemici, lì moriranno tutti i chierici e non anche tutti i laici, sì che
finiscano di vivere insieme anche coloro cui i chierici son necessari? Ovvero, perché non
dobbiamo sperare che alla pari di alcuni laici resteranno in vita anche alcuni chierici, che
potranno amministrare a quelli il necessario servizio?
30. 42. Eppure, volesse il cielo che fra i ministri di Dio ci fosse gara per chi di loro
debbano rimanere e chi di loro debbano fuggire, perché la chiesa non resti deserta o per
la fuga di tutti o per la morte di tutti! Certo tale gara ci sarà fra loro se tutti ardono di
amore e tutti sono graditi all'Amore.
30. 43. Che se questa contesa non potrà esser risolta in altro modo, io credo che coloro
che debbono restare e coloro che possono fuggire vadano estratti a sorte. Infatti coloro i
quali diranno che essi preferiscono fuggire o sembreranno pavidi, perché non hanno
voluto sopportare la sciagura incombente, o presuntuosi, perché hanno giudicato sé
stessi più necessari, sì da dover esser salvati.
30. 44. D'altra parte, forse proprio i migliori sceglierebbero di dare la vita per i fratelli, e
così con la fuga si salverebbero quelli la cui vita è meno utile, perché minore è la loro
abilità nel consigliare e nel dirigere. Proprio questi ultimi, se sapessero ragionare
piamente, si dovrebbero opporre a coloro che sarebbe opportuno restassero in vita e che
invece preferiscono morire piuttosto che fuggire.
30. 45. Perciò, com'è scritto, il sorteggio mette fine alle contestazioni e decide fra i
potenti (Prov. 18, 18). È meglio infatti che in tali incertezze decida Dio piuttosto che gli
uomini, sia che voglia chiamare al frutto del martirio i migliori e risparmiare i deboli, sia
che voglia rendere costoro più forti per sopportare i mali e sottrarli a questa vita, perché
la loro vita non può essere utile alla chiesa quanto la vita di quelli. Certo si metterà in
opera un mezzo poco usato, se si farà questo sorteggio: ma se si farà così, chi oserà
biasimarlo? Chi non lo loderà adeguatamente, a meno che non sia inetto o invidioso?
30. 46. Se poi non si vuol fare una cosa di cui non c'è esempio, nessuno con la sua fuga
deve privare la chiesa del servizio necessario e dovuto soprattutto in così grandi pericoli.
Nessuno consideri tanto se stesso quasi che eccella per qualche grazia, e dica di esser
più degno della vita e perciò della fuga. Chi infatti la pensa così ama troppo se stesso; e
chi lo dice pure, risulta odioso a tutti.
30. 47. Alcuni poi ritengono che vescovi e chierici, non fuggendo in tali pericoli ma
rimanendo dove sono, inducano in inganno i fedeli: questi infatti non fuggono perché
vedono che restano i loro capi.
30. 48. Ma è facile evitare tale rimprovero e l'odiosità che ne potrebbe risultare, parlando
ai fedeli in questo modo: « Non vi tragga in inganno il fatto che noi non fuggiamo di qui.
Infatti rimaniamo qui non per noi ma proprio per voi, per non mancare di amministrarvi ciò
che sappiamo essere necessario alla vostra salvezza, ch'è in Cristo. Anzi, se vorrete
fuggire, liberate anche noi da questi vincoli che ci legano qui ».
30. 49. Ritengo che così si debba parlare, quando sembra veramente utile trasferirsi in
luoghi più sicuri. Può accadere che, udite queste parole, qualcuno dica: "Siamo nelle
mani di colui, la cui ira nessuno sfugge, dovunque vada, e la cui misericordia può trovare,
dovunque sia", e non vuole andare, sia perché impedito da certe necessità sia perché
non vuole affaticarsi a cercare un incerto rifugio non per metter fine ai pericoli ma solo
per cambiarli: certamente costoro non debbono esser lasciati privi del servizio della
religione cristiana. Se invece, all'udir quelle parole, preferiranno andar via, allora non
debbono restare neppure quelli che restavano a causa loro, perché ormai lì non ci son
più persone per le quali essi dovrebbero restare.
30. 50. Insomma: chiunque fugge in condizioni tali che la sua fuga non lasci la chiesa
priva del necessario servizio, questi fa ciò che il Signore ha comandato o permesso. Ma
chi fugge e così sottrae al gregge di Cristo gli alimenti che lo nutrono spiritualmente,
questi è il mercenario che vede venire il lupo e fugge, perché non gl'interessa delle
pecore (Gv. 10, 12).
30. 51. Ecco ciò che ho risposto, fratello carissimo, alle tue richieste, secondo quanto ho
ritenuto vero e ispirato da sicuro amore: ma se tu troverai di meglio, non faccio obiezione
al tuo pensiero. D'altra parte, non possiamo trovare meglio da fare in tali pericoli, se non
pregare il Signore Dio nostro, perché abbia pietà di noi. Proprio questo, per dono di Dio
alcuni uomini prudenti e santi hanno meritato di volere e di fare, cioè di non abbandonare
le chiese, e non vennero meno al loro proposito a causa della lingua dei calunniatori.

Ultimi giorni e morte. Eredià di sante opere ed esempi. Congedo. L'eredità di


Agostino. Riepilogo. Conclusione

31. 1. Quel sant'uomo, nella lunga vita che Dio gli aveva concesso per l'utilità e il bene
della santa chiesa (infatti visse 76 anni, e circa 40 anni da prete e vescovo), parlando
con noi familiarmente era solito dire che, ricevuto il battesimo, neppure i cristiani e i
sacerdoti più apprezzati debbono separarsi dal corpo senza degna e adatta penitenza.
31. 2. In tal modo egli si comportò nella sua ultima malattia: fece trascrivere i salmi
davidici che trattano della penitenza -sono molto pochi - e fece affiggere i fogli contro la
parete, così che stando a letto durante la sua infermità li poteva vedere e leggere, e
piangeva ininterrottamente a calde lacrime.
31. 3. Perché nessuno disturbasse il suo raccoglimento, circa dieci giorni prima di morire,
disse a noi, che lo assistevamo, di non far entrare nessuno, se non soltanto nelle ore in
cui i medici entravano a visitarlo o gli si portava da mangiare. La sua disposizione fu
osservata, ed egli in tutto quel tempo stette in preghiera.
31. 4. Fino alla sua ultima malattia predicò in chiesa la parola di Dio ininterrottamente,
con zelo e con forza, con lucidità e intelligenza.
31. 5. Conservando intatte tutte le membra del corpo, sani la vista e l'udito, mentre noi
eravamo presenti osservavamo e pregavamo, egli - come fu scritto - si addormentò coi
suoi padri, in prospera vecchiaia (1 Re, 2, 10). Per accompagnare la deposizione del suo
corpo, fu offerto a Dio il sacrificio in nostra presenza, e poi fu sepolto.
31. 6. Non fece testamento, perché povero di Dio non aveva motivo di farlo.
Raccomandava sempre di conservare diligentemente per i posteri la biblioteca della
chiesa con tutti i codici. Quel che la chiesa aveva di suppellettili e ornamenti, affidò al
prete che alle sue dipendenze curava l'amministrazione della casa annessa alla chiesa.
31. 7. Né durante la vita né al momento di morire trattò i suoi parenti, sia quelli dediti alla
vita monastica sia quelli di fuori, nel modo consueto nel mondo. Quando viveva, dava a
costoro, se era necessario, quel che usava dare agli altri, non perché avessero ricchezze
ma perché non fossero poveri e non lo fossero troppo.
31. 8. Lasciò alla chiesa clero abbondante e monasteri di uomini e donne praticanti la
continenza con i loro superiori; inoltre, biblioteche contenenti libri e prediche sia suoi sia
di altri santi, dai quali si può conoscere quanta sia stata, per dono di Dio, la sua
grandezza nella chiesa e nei quali i fedeli lo trovano sempre vivo. In tal senso un poeta
pagano, disponendo che i suoi gli facessero la tomba in luogo pubblico ed elevato, dettò
questa epigrafe:

Vuoi sapere, o viandante, che il poeta vive dopo la morte?


Ecco, io dico ciò che tu leggi: la tua voce è la mia.
31. 9. Dai suoi scritti risulta manifesto, per quanto è dato di vedere alla luce della verità,
che quel vescovo caro e gradito a Dio visse in modo retto e integro nella fede speranza e
carità della chiesa cattolica; e ciò possono apprendere quelli che traggono giovamento
dalla lettura di ciò ch'egli scrisse intorno alla divinità. Ma io credo che abbiano potuto
trarre più profitto dal suo contatto quelli che lo poterono vedere e ascoltare quando di
persona parlava in chiesa, e soprattutto quelli che ebbero pratica della sua vita
quotidiana fra la gente.
31. 10. Infatti fu non solo scriba dotto in ciò che riguarda il regno dei cieli, che tira fuori
dal suo tesoro cose nuove e vecchie (Mt. 13, 52), e commerciante che, trovata una perla
preziosa, vendette ciò che aveva e la comprò (Mt. 13, 15 s.): ma fu anche uno di quelli di
cui è stato scritto: Così parlate e così fate (Giac. 2, 12), e di cui dice il Salvatore: Chi avrà
fatto e insegnato così agli uomini, questo sarà detto grande nel regno dei cieli (Mt. 5, 19).
31. 11. Prego ardentemente la vostra carità, voi che leggete questo scritto, che insieme
con me rendiate grazie a Dio onnipotente e benediciate il Signore, che mi ha concesso
l'intelligenza (Sal. 15, 7) per volere e avere la capacità di trasmettere queste notizie alla
conoscenza di uomini vicini e lontani del nostro tempo e di quello a venire. E pregate
insieme con me e per me affinché, dopo esser vissuto, per dono di Dio, in dolce
familiarità con quell'uomo per quasi 40 anni senza alcun contrasto, possa emularlo e
imitarlo in questa vita, e in quella futura godere insieme con lui delle promesse di Dio
onnipotente.

Nella tavola sono riportati gli avvenimenti storici e personali succedutisi durante la vita di
Agostino e la data di inizio e termine delle sue Opere.

Anno Avvenimenti storici


Vita Opere
contemporanei
354 • La Pasqua cade il • 13 novembre
27 Marzo (domenica): nascita
• Liberio papa di Agostino a
Tagaste
• Costanzo II
imperatore
361 • La Pasqua cade l'8
Aprile
• Liberio papa

• Giuliano imperatore
(fino al 363)
364 • La Pasqua cade il 4
Aprile
• Liberio papa
• Scisma rogatista
• Valentiniano I imp.
d'Occ.

• Valente imp. d'Or.


366 • La Pasqua cade il
13 Aprile
• Muore Liberio papa
e gli succede
Damaso
• Valentiniano I imp.
d'Occ.

• Valente imp. d'Or.


367 • La Pasqua cade il 1
Aprile
• Damaso papa
• Graziano imp.
d'Occ.
• Valente imp. d'Or.

• Ausonio precettore
di Graziano a Treviri
368b • La Pasqua cade il
20 Aprile
• Damaso papa
• Valentiniano I imp.
d'Occ. sposa
Giustina

• Valente imp. d'Or.


369 • La Pasqua cade il
12 Aprile
• Damaso papa
• Valentiniano I imp.
d'Occ.

• Valente imp. d'Or.


370 • La Pasqua cade il • Agostino ritorna a
28 Marzo Tagaste da
• Damaso papa Madaura
• Valentiniano I imp.
d'Occ.

• Valente imp. d'Or.


371 • La Pasqua cade il • Si reca a Cartagine
17 Aprile per la prima volta
• Damaso papa
• Valentiniano I imp.
d'Occ.

• Valente imp. d'Or.


372b • La Pasqua cade l'8 • Morte di Patrizio
Aprile
• Damaso papa • Agostino prende con
• Valentiniano I imp. sé una concubina
d'Occ.
• Valente imp. d'Or.

• Rivolta di Firmo
373 • La Pasqua cade il • Lettura dell'Ortensio.
31 Marzo
• Damaso papa • (?) Nascita del figlio
• Valentiniano I imp. Adeodato
d'Occ.
• Valente imp. d'Or.

• 1° dicembre:
Consacrazione di
Ambrogio vescovo
di Milano
374 • La Pasqua cade il
13 Aprile
• Damaso papa
• Valentiniano I imp.
d'Occ.
• Valente imp. d'Or.

• Morte di Firmo
375 • La Pasqua cade il 5 • Ritorno da
Aprile Cartagine a Tagaste
• Damaso papa per insegnare
• 17 novembre: Morte
di Valentiniano I in
Occ.
• Valentiniano II imp;
d'Occ. (regg. la
madre Giustina)
• Valente imp. d'Or.
376 • La Pasqua cade il • Morte di un amico;
16 Aprile ritorno a Cartagine

• Damaso papa
377 • La Pasqua cade il
16 Aprile

• Damaso papa
378 • La Pasqua cade il 1
Aprile
• Damaso papa

• 19 agosto: Sconfitta
per opera dei
visigoti e morte di
Valente I ad
Adrianopoli
379 • La Pasqua cade il
21 Aprile
• Teodosio I imp.
d'Or.
• Damaso papa
• Graziano e
Valentiniano II imp.
d'Occ.

• Consolato di
Ausonio
380b • La Pasqua cade il • Scrive il De pulchro
12 Aprile et apto (perduto)
• Damaso papa
• Teodosio I imp.
d'Or.

• (?) Vindiciano
proconsole a
Cartagine
381 • La Pasqua cade il
28 Marzo
• Damaso papa
• Teodosio I imp.
d'Or.
382 • La Pasqua cade il
17 Aprile
• Damaso papa

• Teodosio I imp.
d'Or.
383 • La Pasqua cade il 9 • Fausto di Milevi
Aprile giunge a Cartagine
• Damaso papa per conoscere
• Teodosio I imp. Agostino
d'Or.
• Giugno: Rivolta di • S'imbarca per Roma
Massimo.
• Graziano ucciso a
Lione
• Valentiniano II imp.
d'Occ. si rifugia
presso Teodosio I
• Da ottobre al
gennaio seguente:
Ambrogio a Treviri

• Carestia a Roma
384b • La Pasqua cade il • Autunno: Agostino
24 Marzo nominato professore
• Muore papa di retorica a Milano
Damaso e gli
succede Siricio • 22 novembre
• Teodosio I imp. pronuncia l'elogio di
d'Or. Valentiniano II
• Valentiniano II imp.
d'Occ.
• Simmaco prefetto di
Roma
• Estate: A Milano
controversia relativa
all'altare della
Vittoria
• Data drammatica
dei Saturnalia di
Macrobio

• Fallimento di una
fondazione
monastica manichea
385 • La Pasqua cade il • 1 gennaio Ag.
13 Aprile pronuncia l'elogio di
• Siricio papa Bauto
• Teodosio I imp.
d'Or. • Tarda primavera:
• Valentiniano II imp. Arrivo di Monica a
d'Occ. Milano
• Massimo II si
proclama imp. in
Gallia

• Agosto: Girolamo
(347-?420)
s'imbarca a Ostia
per l'Oriente
386 • La Pasqua cade il 5 • Giugno (?): Legge i • Novembre: Contra
Aprile libri Platonicorum Academicos
• Siricio papa • Fine di giugno: • De beata vita
• Teodosio I imp. Riceve la visita di • Dicembre: De ordine
d'Or. Ponticiano.
• Valentiniano II imp. Conversione • Inverno: Soliloquia
d'Occ. • Settembre: Si reca a
• Concilio romano sul Cassiciaco
celibato dei preti • A novembre
• Febbraio: Affare promette a
delle Basiliche a Romaniano un libro
Milano sul De vera
• 17 giugno: Religione
Rinvenimento dei
corpi dei santi • È proprio nel 386-
Gervasio e Protasio 387 che Agostino si
• Estate o autunno: è convertito e ha
Ambrogio a Treviri. fatto professione di
fede cristiana
• Epurazione di
manichei a
Cartagine
387 • La Pasqua cade il • Inizio di marzo: • De immortalitate
25 Aprile. Ritorna a Milano
• Siricio papa • 24 aprile: Riceve il animae.
• Teodosio I imp. battesimo
d'Or. • Estate o autunno ad • Inizia il De musica.
• Valentiniano II imp. Ostia Tiberina
d'Occ. • Visione di Ostia

• Autunno: Massimo II • Morte di Monica


invade l'Italia e
viene sconfitto da
Teodosio I.
388b • La Pasqua cade il 9 • Si reca a Roma da • De quantitate
Aprile Ostia animae
• Siricio papa • Rimane a Roma fin • De libero arbitrio
• Teodosio I imp. verso la fine (libro 1)
d'Or. dell'anno • De moribus
ecclesiae catboticae
• Valentiniano II imp. • Torna in Africa alla et de moribus
d'Occ. fine di luglio o Manichaeorum
agosto. Prima a • 388-389: De Genesi
Cartagine, quindi a contra Manichaeos
Tagaste in • 388-396: De diversis
settembre nella quaestionibus
casa paterna
• De magistro
389 • La Pasqua cade il 1 • 389-391: De vera
Aprile religione
• Siricio papa
• Teodosio I imp.
d'Or.
• Valentiniano II imp.
d'Occ.
• Battesimo di Paolino
da Nola.

• Concilio romano e
milanese contro
l'eretico Gioviniano
390 • La Pasqua cade il • (?) Morte di
21 Aprile Adeodato e di
• Siricio papa Nebridio
• Teodosio I imp.
d'Or.

• Valentiniano II imp.
d'Occ.
391 • La Pasqua cade il • Agli inizi dell'anno • Prime prediche:
28 Marzo Ag. viene ordinato Serm. 216
• Siricio papa sacerdote • 391-392: De utilitate
• Teodosio I imp. credenti
d'Oriente • Primavera: giunge • 391-392: De duabus
• Valentiniano II imp. ad Ippona per animabus contra
d'Occidente fondare un Manichaeos
• 24 febbraio: Editto monastero
generale contro il • 391-395: De libero
paganesimo (Cod. arbitrio (libri 2-3)
Theod. XVI 10. 10)

• La distruzione del
Serapeo ad
Alessandria,
avvenimento
curiosamente
predetto dai pagani
392b • La Pasqua cade il • 28-29 agosto: • Acta contra
28 Marzo Disputa ad Ippona, Fortunatum
• Siricio papa presso le terme di Manickaeum
• Aurelio diventa Sossius, con il prete
vescovo di manicheo Fortunato • 392-420:
Cartagine • Scrive a Girolamo Enarrationes in
• Teodosio I imp. chiedendogli Psalmos (I commenti
d'Oriente traduzioni latine di ai primi 32 salmi
• 15 maggio: ucisione commentari greci erano stati terminati
di Valentiniano della Bibbia fin dal 392)
• Agosto: Eugenio • Dal 392 al 393
proclamato scrive al vescovo
imperatore donatista di Siniti,
Massimino per il
• (?) Muore caso del diacono
Parmeniano, Mutugenna
vescovo donatista
di Cartagine • Da questo
momento fino al
419 sarà in corso la
campagna contro i
donatisti
393 • La Pasqua cade il • Ottato eletto • Sermone De fide et
17 Aprile vescovo donatista di
• Siricio papa Timgad symbolo .
• Teodosio I imp.
• 8 ottobre: Concilio di • De Genesi ad
• 24 giugno: Concilio Ippona litteram imperfectus
donatista a liber
Cebarsussa, che
scomunica
Primiano;
Massimiano provoca
lo scisma
394 • La Pasqua cade il 2 • Alipio invia a • Psalmus contra
Aprile Paolino di Nola partem Donati
• Siricio papa cinque libri di • De sermone Domini
• Teodosio I imp. Agostino in monte
• Concilio donatista di • Lezioni sull'Epistola
Bagai, che ai Romani a
condannò Cartagine
Massimiliano • 394-395 Expositio
• Soppressione della octoginta quattuor
Laetitia ad Ippona proposi tionum
• Soppressione dello epistolae ad
scisma Romanos
massimianista • 394-395 Epistolae ad
• 26 giugno: Primo Romanos inchoata
Concilio di expositio
Cartagine • 394-395 Expo sitio
• 6 novembre: ad Galatas
Sconfitta di Eugenio
• 25 dicembre: • 394-395 De
Ordinazione mendacio
sacerdotale di
Paolino

• Morte di Ausonio
intorno al 394
395 • La Pasqua cade il • Tra il maggio del • De agone christiano
25 Marzo 395 (e l'agosto del
• Siricio papa 397) Agostino è • De doctrina
• 17 gennaio: Morte di consacrato vescovo christiana (terminato
Teodosio coadiutore di Valerio nel 426)
• Imperatori: Arcadio • 395-396 Organizza
(Oriente), Onorio il dibattito con
(Occidente) Proculiano, vescovo
• 395-404 Il poeta donatista d'Ippona e
con altri donatisti
Claudiano floruit
• dal 395 al 411 è
• 395-398 Rivolta di
principalmente
Gildone, conte
preoccupato dello
d'Africa
scisma donatista
396b • La Pasqua cade il • Ad Simplicianum de
13 Aprile diversis
• Onorio imp. in Occ. quaestionibus
• Siricio papa
• Arcadio imp. in Or. • Contra epistolam
• Morte di Valerio quam vocant
lundamenti
• Inizio dell'estate:
Romaniano torna in
Italia
397 • La Pasqua cade il 5 • Malattia di Agostino • 397-398: Contra
Aprile • Da maggio a Faustum
• Onorio imp. in Occ. settembre soggiorna Manichaeum
• Siricio papa a Cartagine e vi • 397-400:
• Arcadio imp. in Or. predica una Quaestiones
quarantina di volte evangeliorum
• 4 aprile: Morte di • 26 giugno: Secondo
Ambrogio. Gli Concilio di • 397-401:
succede Simpliciano Cartagine Confessiones
• 13-28 agosto:
Concilio di
Cartagine.

• Dibattiti con il
vescovo donatista
Fortunio a
Thubursicum della
Numidia
398 • La Pasqua cade il • Dicembre: Contra
18 Aprile. Felicem
• Onorio imp. in Occ. Manichaeum
• Muore papa Siricio e
gli succede
Anastasio
• Arcadio imp. in Or.
• IV consolato di
Onorio.
• Sconfitta e morte di
Gildone.

• Esecuzione di
Ottato, vescovo
donatista di
Thamugadi
399 • La Pasqua cade il • 27 aprile: Quarto • De natura boni
10 Aprile Concilio di contra Manichaeos
• Onorio imp. in Occ. Cartagine • Contra Secundinum
• Arcadio imp. in Or. Manickaeum
• 19 marzo: i comes • Adnotationes in Iob
Giovio e Gaudenzio, • 399-400: De
emissari imperiali catechizandis
chiudono i templi rudibus
pagani in Africa, in
seguito alla legge di • 399-dopo il 420: De
Onorio Trinitate
• Consolato di Manlio
Teodoro

• 27 novembre 399
-19 dicembre 402
papa Anastasio
400 • La Pasqua cade il 1 • In visita a Cirta • Sermone De fide
Aprile rerum quae non
• Onorio imp. in Occ. videntur
• Anastasio papa • De consensu
evangelistarum
• Arcadio imp. in Or. • Contra epistolam
Parmeniani
• 400-401: De
baptismo contra
Donatistas
• Ad
inquisitionesIanuarii
(= Epp. 54-55)

• De opere
monachorum
401 • La Pasqua cade il • 15 giugno: Quinto • De bono coniugali
14 Aprile Concilio di • De sancta virginitate
• Onorio imp. in Occ. Cartagine. • 401-405: Contra
• Arcadio imp. in Or. • Si reca ad Assuras litteras Petiliani
e a Musti per fare
indagini sul clero
• Elezione di papa che aveva un tempo • 401-414: De Genesi
Innocenzo I aderito allo scisma ad litteram
massimianista
• 13 settembre: Sesto
Concilio di
Cartagine
• Hippo Diarrhytus per
l'elezione del
vescovo (fine di
settembre)

• Crispino, vescovo
donatista di Calama,
ritenuto
responsabile di un
attacco contro
Possidio
402 • La Pasqua cade il 6 • 7 agosto: Si reca a
Aprile Milevi per il Concilio
• Onorio imp. in Occ. generale dell'Africa
• Innocenzo I papa
• Arcadio imp. in Or.
• Disfatta di Alarico,
re dei Goti, in Italia
da parte di Stilicone

• Morte di Simmaco
403 • La Pasqua cade il • 25 agosto: Ottavo
29 Marzo Concilio di
• Onorio imp. in Occ. Cartagine
• Innocenzo I papa • Predica ad intervalli
• Arcadio imp. in Or. a Cartagine fino all'8
novembre
• Il vescovo di Bagai
aggredito dai • Attentato donatista
donatisti è contro Possidio
gravemente ferito
404b • La Pasqua cade il • 26 giugno: Nono
17 Aprile Concilio di
• Onorio imp. in Occ. Cartagine
• Innocenzo I papa
• Arcadio imp. in Or. • 7-12 dicembre, cioè
• Il vescovo di Bagai mercoledì e lunedì:
si reca a Ravenna
per chiedere dibattito pubblico
rigorose misure con Felice manicheo
contro i donatisti

• Attentato donatista
contro Massimino
405 • La Pasqua cade il 2 • 23 agosto: Decimo • De unitate ecelesiae
Aprile Concilio di
• Onorio imp. in Occ. Cartagine • 405-406: Contra
• Innocenzo I papa Cresconium
• Arcadio imp. in Or. grammaticum

• 12 febbraio e 5
marzo le leggi di
Onorio contro il
donatismo: editto di
unione: (Cod.
Theod. XVI 5.8)
406 • La Pasqua cade il • 406-411: De
22 Aprile divinatione
• Onorio imp. in Occ. daemonum
• Innocenzo I papa
• Arcadio imp. in Or. • 406-407: Predica i
• Invasione vandalica Commenti ai salmi
della Gallia 119-133 e i primi
trattati sul Vangelo di
• Radagaiso invade Giovanni (1-16)
l'Italia
407 • La Pasqua cade il • Fine di giugno: • Dal 14 al 21 aprile
14 Aprile Undicesimo commenta la Prima
• Onorio imp. in Occ. Concilio, riunito a Lettera di S.
• Innocenzo I papa Thubursicum Giovanni
• Arcadio imp. in Or.

• Usurpazione di
Costantino III
408b • La Pasqua cade il • 16 giugno: • Epistola 93 a
29 Marzo Dodicesimo Concilio Vincenzo, vescovo
• Onorio imp. in Occ. di Cartagine donatista di
• Innocenzo I papa • Sommossa a Cartenna/li>
• Maggio: Teodosio II Calama a causa del • 408-409:
imperatore d'Oriente tentativo di Possidio Quaestiones
• Agosto: Sconfitta di di disperdere una expositae contra
Stilicone processione pagana paganos (= Ep. 102)

• Ottobre: Alarico • 13 ottobre: • 408-412: De utilitate


penetra in Italia Tredicesimo jeiunii /li>
Concilio di
Cartagine. (Non è
certo che Agostino
vi abbia partecipato)
409 • La Pasqua cade il • 15 giugno: • Ep. 101 a Memore
18 Aprile. Quattordicesimo
• Onorio imp. in Occ. Concilio di
• Innocenzo I papa Cartagine (incerta la
• Teodosio II imp. in presenza di
Or. Agostino)
• Alarico assedia
Roma/li> • Macrobio, vescovo
donatista, ritorna a
• I donatisti godono di Ippona
tolleranza
410 • La Pasqua cade il • 14 giugno: • Epistola118 ad
10 Aprile Quindicesimo Dioscurum
• Onorio imp. in Occ. Concilio di
• Innocenzo I papa Cartagine • De unico baptismo
• Teodosio II imp. in • Agostino presente contra Petilianum (=
Or. ad intervalli a Ep. 120)
• 24 agosto: Alarico Cartagine dal 19
saccheggia Roma maggio all'11
• Profughi romani si settembre, data in
rifugiano in Africa cui si reca ad Utica
e quindi, il 22
• 25 agosto: settembre, a Hippo
Abolizione della Diarrhytus
tolleranza verso i • Pelagio di
donatisti passaggio a Ippona
• 14 ottobre: Editto di
convocazione di una
Collatio a Cartagine
• Arrivo di Marcellino

• Si ritira in una villa


nei dintorni di
Ippona per
trascorrervi l'inverno
a causa della sua
salute
411 • La Pasqua cade il • Agostino predica a • 411-412: Breviculus
26 Marzo Cartagine contro i collationis contra
• Onorio imp. in Occ. donatisti con Donatistas
• Innocenzo I papa regolarità da
gennaio a marzo, e • 411-412: De
• Teodosio II imp. in a Cirta e a peccatorum meritis
Or. Cartagine da aprile et remissione
a giugno
• 18 maggio: I
donatisti giungono a
Cartagine per la
Collatio.
• Ha un ruolo primario
nella preparazione
della Conferenza.
• 1° giugno: Sessione
di apertura della
Conferenza
cattolico-donatista
(Collatio),
presieduta dal
comes Marcellino
• 1, 3, 8 giugno:
Collatio a Cartagine
con i donatisti
• 9 giugno: Sentenza
di Marcellino contro i
donatisti
• Affare di Piniano ad
Ippona

• Lettera di Marcellino
della fine dell'anno,
in cui lo informa
della diffusione delle
dottrine pelagiane a
Cartagine e della
condanna di
Celestio in un
processo al quale
Agostino non
partecipò
412b • La Pasqua cade il • 30 gennaio: Editto • Post collationem
14 Aprile contro i donatisti contra Donatistas
• Onorio imp. in Occ. • Lettera sinodale • De spiritu et littera
• Innocenzo I papa indirizzata ai
donatisti dai membri • De gratia novi
• Teodosio II imp. in del concilio di Zerta testamenti (= Ep.
Or. • 14 giugno: Sinodo a 140)
Cirti

• Regolare
predicazione a
Cartagine tra
settembre e
dicembre
413 • La Pasqua cade il 6 • Metà gennaio: • De videndo Deo ad
Aprile. Cartagine Paulinum (= Ep. 147)
• Onorio imp. in Occ. • De fide et operibus
• Innocenzo I papa • Si reca a Cartagine • De civitate Dei, I-III
• Rivolta di Eracliano alla fine di giugno e (scritti prima della
• Demetria viene nuovamente ad morte di Marcellino)
consacrata monaca agosto e a • 413-415: De civitate
da Aurelio settembre nel Dei, IV-V
• Pelagio, Lettera a tentativo di salvare
Demetria Marcellino • 413-415: De natura
• Sconfitta di et gratia
Eracliano

• 13 settembre: viene
giustiziato
Marcellino
414 • La Pasqua cade il • Riunione dei vescovi • De bono viduitatis ad
22 Marzo ad Ippona Iulianam
• Teodosio II imp. in • Appare il De Trinitate
Or.
• Onorio imp. in Occ. • 414-416/417: I
• Innocenzo I papa Tractatus in Iohannis
evangelium 17-54 (I
• Orosio si reca a Trattati 20-22 sono
Gerusalemme e vi stati inseriti più tardi)
rimane due anni
415 • La Pasqua cade l'11 • Ad Orosium contra
Aprile Priscillianistas et
• Onorio imp. in Occ. Origenistas
• Innocenzo I papa • De origine animae et
• Il 28 luglio Orosio è de sententia Iacobi
convocato da ad Hieronymum (=
Giovanni vescovo di Epp. 166-67)
Gerusalemme per • completa i sermoni
informare il clero su con la dettatura dei
Pelagio salmi che restavano
da commentare
• 20 dicembre: Sinodo • 415-416: Tractatus in
a Diospoli (Lydda), Epistolam Iohannis
in cui viene ad Parthos (iniziato,
esaminato e assolto forse, nel 407-408)
Pelagio • 415-416: De
perfectione justitiae
hominis

• 415-417: De civitate
Dei VI-X
416b • La Pasqua cade il 2 • 416-417: Interpellato • Ep. 177 a papa
Aprile dal tribuno Bonifacio Innocenzo I
• Onorio imp. in Occ.
• Innocenzo I papa • Partecipa al concilio
• Orosio viene a riunitosi a Milevi
Cartagine, al (settembre-ottobre),
concilio convocato in cui Pelagio e
per prendere in Celestio vengono
esame le dottrine di condannati
Pelagio (settembre).
Porta seco le
reliquie di santo
Stefano

• Stanziamento dei
visigoti in Spagna
417 • La Pasqua cade il • Scambio di lettere • De gestis Pelagii
22 Aprile fra l'Africa e Roma a • De correctione
• Onorio imp. in Occ. proposito dei Donatistarum (= EP.
• 27 gennaio: pelagiani 185)
Innocenzo I • Riceve le Historiae • De praesentia Dei ad
condanna Pelagio e di Orosio Dardanum (= EP.
Celestio • Predica a Cartagine 187)
• 18 marzo: Elezione a metà settembre • De patientia
di Zosimo
• Prima di settembre • Alla fine dell'anno • 417-418: De civitate
Zosimo scrive ai nuovo concilio Dei XI-XIII
vescovi africani:
Magnum pondus... antipelagiano a
Cartagine
• A metà settembre
Zosimo esamina
Pelagio. Scrive ai
vescovi africani
annunciando che il
sinodo romano
aveva assolto
Pelagio e Celestio
418 • La Pasqua cade il 7 • 1° maggio- • Gesta cum Emerito
Aprile Sedicesimo Concilio Donatistarum
• Onorio imp. in Occ. di Cartagine, che episcopo
• 23 marzo: Terza riassume la dottrina • 418-419: Contra
lettera di Zosimo: cattolica in nove sermonem
Celestio e Pelagio canoni. Si trattiene a Arianorum
vengono Cartagine almeno • 418-420: De civitate
scomunicati fino alla metà del Dei XIV-XVI
• 30 aprile: mese> • Ep. 194 a Sisto
Espulsione di • Riceve una lettera di
Pelagio e di Celestio Piniano da • 418-430 Polemica
da Roma Gerusalemme, nella con Giuliano di
• Nel corso dell'estate quale gli comunica Eclano
esce l'enciclica di aver appena visto
(Tractoria) che Pelagio
Zosimo indirizza a • Gli manda il De
tutti i vescovi di tutta gratia Christi et de
la cristianità, che peccato originali
condanna • Nell'estate, su
solennemente il mandato di papa
pelagianesimo Zosimo, si reca a
• Dicembre: Morte di Cesarea in
Zosimo Mauritania, in
compagnia di Alipio
• 29 dicembre: e Possidio
Elezione di papa
Bonifacio • Il 18 e il 20
settembre incontra
Emerito vescovo
donatista
419 • La Pasqua cade il • Appare il primo • A partire da
30 marzo lavoro di Giuliano di settembre comincia a
• Onorio imp. in Occ. Eclano dettare i trattati 55-
• Bonifacio I papa • 25 maggio: 124 in Giovanni
Diciassettesimo • Locutiones in
• (?) muorePetiliano, Concilio di Heptateuchum
vescovo donatista di Cartagine • Quaestiones in
Cirta Heptateuchum
• In settembre va a • 419-421: De nuptiis
Cesarea di et concupiscentia
Mauritania per far • 419-421: De anima
sopprimere il et eius or igine
barbaro costume
della "Caterva" • 419-421: De
coniugiis adulterinis
420b • La Pasqua cade il • Incontro con il • Contra mendacium
18 Aprile tribuno Bonifacio a • 420-421: Contra
• Onorio imp. in Occ. Tubunae (Tobna) adversarium legis et
• Bonifacio I papa prophetarum
• 420-421: Contra
• Gaudenzio vescovo duas epistolas
di Thamugadi Pelagianorum
minaccia di bruciarsi
vivo insieme ai suoi • 420-425: De civitate
fedeli e di dar fucco Dei XVII
alla sua basilica
all'arrivo
dell'emissario
imperiale Dulcizio
421 • La Pasqua cade il 3 • 13 giugno: • 421-422: Contra
Aprile Diciottesimo Gaudentium
• Onorio imp. in Occ. Concilio di Donatistarum
Cartagine episcopum
• Indagine sui • Contra Iulianum
manichei di • 421-423: Enchiridion
Cartagine, verso la ad Laurentium
metà dell'anno
• 421-424: De cura pro
mortuis gerenda
422 • La Pasqua cade il • Detta per esteso il
26 Marzo salmo 118 in 32
• 4 settembre: Morte sermones destinati
di Bonifacio. alla lettura pubblica
nelle assembleee
• Elezione di papa
Celestino (-27 luglio • 422-425: De octo
432) Dulcitii quaestionibus
423 • La Pasqua cade il • Questione di
15 Aprile Antonio di Fussala
• Celestino I papa.

• Teodosio II imp.
d'Or. e Occ.
424b • La Pasqua cade il 6
Aprile
• Celestino I papa

• Eraclio edifica una


memoria in onore di
santo Stefano ad
Ippona
425 • La Pasqua cade il • Dicembre-gennaio: • De civitate Dei XVIII
19 Aprile Scandalo a Ippona:
• Valentiniano III sermoni 355-56 • 425-427: De civitate
diventa imperatore Dei XIX-XXII
d'occidente [regg.
Gallia Placidia]
• Teodosio II imp.
d'Or.
• Celestino I papa

• I vescovi della Gallia


affrontano
un'inchiesta volta a
scoprire i
simpatizzanti del
pelagianesimo
426 • La Pasqua cade l'11 • Visita a Milevi per • 426-427: De gratia et
Aprile sistemare la libero arbitrio
• Valentiniano III questione della • 426-427: De
imperatore d'Occ. successione del correptione et gratia
• Teodosio II imp. vescovo
d'Or. • 426-427:
• Celestino I papa • Il 26 settembre Retractationes
presenta al popolo il
• Morte di Severo di suo successore, il
Milevi prete Eraclio
427 • La Pasqua cade il 3 • 427-428: Collatio
Aprile cum Maximino
• Valentiniano III Arianorum episcopo
imperatore
• Celestino I papa

• Rivolta di Bonifacio
428b • La Pasqua cade il • Riceve lettere da • Contra Maximinum
22 Aprile Prospero e Ilario Arianorum
• Valentiniano III episcopum
imperatore • De baeresibus ad
Quodvu ltdeum
• Celestino I papa • 428-429: De
praedestinatione
sanctorum

• 428-429: De dono
perseverantiae
429 • La Pasqua cade il 7 • 429-430- Tractatus
Aprile adversus Judaeos
• Estate: Vandali
provenienti dalla • 429-430: Contra
Spagna si secundam Juliani
avvicinano responsionem opus
costeggiando la imperfectum
Mauritania

• Dario giunge in
Africa per
riconciliare Bonifacio
con l'imperatrice
430 • La Pasqua cade il 30 Marzo • 28 agosto (sabato): morte e
• Celestino I papa sepoltura di Agostino

• La Numidia è messa a sacco dai


vandali

QUESTIONI PRELIMINARI

Premessa alla premessa: come studiare Agostino

Grazia e libertà, tema fondamentale ed essenziale, ma anche tema difficile. Difficile in sé,
perché varca le soglie del mistero e v'entra dentro, difficile in Agostino perché dovette
farsi strada con le proprie forze, da pioniere; difficile nella storia della teologia, perché
soggetto a tante soluzioni contrastanti. Qui più che altrove occorre trovare il giusto
metodo per studiare gli scritti del vescovo d'Ippona, leggendolo con i suoi stessi occhi ed
esponendolo così com'è, senza aggiungere né togliere nulla. L'ho detto altrove 1. Qui
vorrei aggiungere che questo è un principio critico insostituibile, ma che non è il solo.
Occorre ricordarne un altro non meno necessario: leggere tutto Agostino e cercare di
concordarlo con se stesso. Principio di buon senso, si dirà. Certo, è un principio di buon
senso, ma spesso dimenticato. Si deve perciò ricordarlo. E' quello stesso che il nostro
dottore applicò allo studio della Scrittura, e lo difese, e ad esso richiamò continuamente i
suoi avversari, dei quali il difetto dominante, a suo giudizio, era proprio quello di non
tener presente tutta la Scrittura o di non fare nessuno sforzo per concordarla con se
stessa. Il primo rimprovero lo fece ai manichei 2, il secondo ai pelagiani, in particolare a
Celestio 3. Non è troppo chiedere che questo principio sia applicato anche a lui. Non già
per stabilire un paragone tra contenuti e contenuti - nessuno ha messo più fortemente in
rilievo l'essenziale differenza tra l'autorità della Scrittura e quella di un qualsiasi altro
autore 4 -, ma per ravvicinare un metodo interpretativo, il quale, trattandosi d'uno scritto,
non può non andare soggetto agli stessi criteri generali.
Non v'è dubbio che leggendo tutto Agostino si possano trovare, e si trovino, affermazioni
contrastanti. Ma in questo caso, non infrequente, invece di ricorrere al comodo principio
che egli si contraddica - e qualcuno aggiunge: di continuo -, occorre chiedersi se questi
apparenti contrasti non appartengano all'insegnamento della Scrittura che il vescovo
d'Ippona interpreta e vuol concordare. Se risulterà, come spesso risulta, che nella
Scrittura ci siano affermazioni diverse e apparentemente contrastanti, come, per fare
qualche esempio, libertà e grazia, fede e opere, giustizia e peccato, merito e dono, il
problema si sposta; si sposta, dico, da Agostino alla stessa Scrittura. Allora le domande
da porsi sono altre e un po' diverse: non già se il vescovo d'Ippona è caduto in
contraddizioni, ma se ha interpretato bene la Scrittura, se l'ha tenuta presente in tutte le
sue parti, se è riuscito a concordarla con se stessa. Dalla risposta a queste domande
dipenderà il giudizio sull'omogeneità e la concordia interna del suo insegnamento.
Se invece risulterà che le affermazioni contrastanti sono sue proprie, prima di ricorrere al
principio suddetto bisogna chiedersi - è l'onestà scientifica che lo suggerisce - se egli non
offra un termine medio per concordare quelle affermazioni o, qualora esplicitamente non
l'offrisse egli stesso, se non lo si possa ragionevolmente supporre. Di ambedue questi
casi ho portato altrove esempi validi e, ritengo, convincenti 5.
Seguendo questo metodo, che non esula dalle leggi della critica e meno ancora da quelle
del buon senso che ne è il fondamento, gli spazi di eventuali contraddizioni si restringono
e forse spariscono affatto. Agostino apparirà non tanto un pensatore geniale ma
frammentario, che lancia secondo l'occasione ora un'affermazione ora un'altra, anche se
contraria, bensì piuttosto il filosofo e il teologo delle grandi sintesi che sa stringere
insieme nell'unità gli aspetti più diversi dei problemi. Sulla linea di queste grandi sintesi
occorre studiare il maestro d'Ippona, come, del resto, ogni grande maestro. Così mi
studierò di fare, esponendo, non difendendo Agostino. Esponendo: questo è necessario
prima di tutto. Non si può né difendere né criticare un autore senza averlo presente in
tutte le sue parti. E' utile non dimenticare quest'ovvio principio di ermeneutica a cui
cercherò di attenermi.

II

Premessa storico- dottrinale


Raccogliendo questo volume le ultime opere agostiniane sulla libertà e la grazia, la
premessa non può non riguardare l'occasione e la storia della loro composizione. Questa
ha una sola origine: la celebre lettera 194. Infatti, da questa lettera nacque il De gratia et
libero arbitrio, dal De gratia et libero arbitrio il De correptione et gratia, dal De correptione
et gratia il De praedestinatione sanctorum e il De dono perseverantiae, che erano,
nell'intenzione dell'autore, due libri di una sola opera. Ecco come si svolse l'intreccio delle
cause.

1. La lettera 194

Fu scritta al presbitero romano Sisto - divenuto poi Sommo Pontefice col nome di Sisto III
-, in un momento cruciale della controversia pelagiana: verso il 418. Sisto aveva avuto
fama, arrivata anche ad Agostino, di essere favorevole ai pelagiani. Non fa meraviglia: tra
gli aristocratici romani non dovevano essere pochi con un tale atteggiamento. Le
esitazioni di Papa Zosimo 1 potrebbero esserne una conseguenza. Ma quando questi
condannò il pelagianesimo con la celebre lettera Tractoria, anche Sisto ne divenne
avversario e lo combatté con tanta forza che Agostino dovette richiamarlo alla prudenza
e alla mitezza 2.
Del cambiato atteggiamento Sisto ne informò il vescovo d'Ippona, il quale gli rispose con
una breve lettera, rallegrandosi della sua fede e promettendogli una lettera più lunga. E'
la lettera 194, che Agostino chiama anche trattato: librum vel epistulam meam (Ep.
214,2) e che comincia: " Nella lettera che ti ho fatto recapitare 3... t'avevo promesso di
inviartene una più lunga... "; e afferma: " C'intratteniamo un po' più a lungo con te per
raccomandarti d'insistere nell'istruire coloro che, da quanto ci risulta, hai troppo insistito
ad atterrire " 4.
Basta questo inizio per rivelare l'animo di Agostino: egli vuole chiarire, approfondire,
illuminare, non imporre un insegnamento; capire le Scritture e aiutare gli altri a capirle. Si
vedrà meglio dalla conclusione della lettera.
Questa comincia con un luminoso presupposto, che è il seguente: predicando la grazia
non si toglie, ma si rafforza il libero arbitrio. Ciò che aveva spiegato alcuni anni prima nel
De spiritu et littera 5. Qui si limita a scrivere: " Quanto al fatto ch'essi credono - si riferisce
evidentemente ai pelagiani -, che si toglie loro il libero arbitrio qualora ammettano che
non si può avere nemmeno la stessa buona volontà senza l'aiuto di Dio, non capiscono
che in tal modo non rafforzano il libero arbitrio ma lo gonfiano facendolo vagare nel vuoto
invece di fondarlo in Dio come su di una solida roccia " 6.
Posto questo chiaro fondamento l'autore affronta la " difficilissima questione " della
grazia 7. Si noti, di passaggio, quest' espressione. Agostino sa che la questione è molto
difficile e che pochi possono comprenderla 8; perciò non vuol dire nulla di suo, ma
ascoltare con umiltà e attenzione le parole dell'Apostolo, che riferisce ampiamente.
L'interpretazione che dà dell'insegnamento di S. Paolo è quella stessa che aveva dato
nelle molte opere precedenti e nelle non poche che seguiranno. Eccola in breve.
- I termini del mistero sono questi: a chi si perde viene inflitta la pena dovuta, a chi si
salva viene elargita la grazia non dovuta, " per cui il primo non può lamentarsi di non
meritare la pena e il secondo non può vantarsi di meritare la grazia " (2,4).
- L'elezione divina non viene fatta " per la prerogativa del merito, né per l'ineluttabilità del
fato, né per un cieco capriccio della fortuna, ma solo a causa dell'abissale ricchezza della
sapienza e scienza di Dio " (2,5).
- E ciò perché " Dio abbia la gloria (Rom 11,36) di rendere giusti i peccatori col dar loro
gratuitamente la sua grazia " (3,6).
- La fede che opera per mezzo dell'amore (Gal 5,6) è un dono di Dio (3, 9 - 15).
- La preghiera è un dono di Dio: " Perché non si pensi che precedono almeno i meriti
della preghiera, in compenso dei quali sarebbe concessa una grazia non gratuita...,
anche la stessa preghiera si trova tra i doni della grazia " (4,16).
- La vita eterna suppone, è vero, i meriti, ma questi suppongono la grazia, dono gratuito;
perciò " quando Dio premia i nostri meriti non fa altro che premiare i suoi doni " (5,19).
- La gratuità dell'elezione divina appare dalla sorte dei bambini, dei quali solo alcuni
muoiono col battesimo (7, 31 - 32).
- Di fronte al mistero della divina elezione due sole certezze illuminano il cristiano che
vive di fede: 1) che in Dio non c'è iniquità; 2) che i disegni divini sono imperscrutabili
(6,23).
Mentre Agostino, interpretando S. Paolo, era tutto rivolto ad esaltare la misericordia del
Signore nella salvezza dei giusti, i pelagiani, guardando l'altra faccia del mistero, che è la
condizione e la sorte dei peccatori che si perdono, proponevano le loro difficoltà e si
avventuravano a risolvere l'argomento tratto dai bambini che muoiono senza battesimo.
Le difficoltà erano soprattutto due: 1) " è ingiusto che in un processo per una medesima
colpa, uno venga assolto e l'altro punito " (2,5); 2) " coloro che non vogliono vivere bene
e secondo la fede si scuseranno dicendo: 'Che cosa abbiamo fatto noi che viviamo
male... dal momento che nessuno può opporsi alla volontà di Dio che ci fece ostinare col
rifiutarci la sua grazia?' " (6, 22 - 23). La soluzione invece della sorte diversa dei bambini
viene chiesta non ai meriti che non ci sono, ma ai meriti o demeriti che ci sarebbero stati
se fossero vissuti più a lungo, cioè ai futuribili: Dio punisce " le cattive azioni, non quelle
compiute, ma quelle che si sarebbe potuto compiere " (9,42).
A questa soluzione e a quelle difficoltà Agostino, che non è abituato a lasciarne cadere
alcuna, risponde. Dimostrare l'assurdità di questa soluzione, che ricorreva ai futuribili,
non era difficile, tanto essa appare strana e incredibile (9,42 - 10,43); più difficile
rispondere alle difficoltà, perché toccano da vicino il mistero.
Alla prima risponde che se è vero che la sorte di tutti gli uomini è la stessa, da questa
identità risaltano però la giustizia di Dio, che retribuisce ad alcuni secondo i loro demeriti,
e la misericordia di Dio che salva altri anche senza alcun merito, affinché " sia messo in
risalto che cosa meriti il peccato in base alla giustizia... "e" che cosa elargisca la grazia "
(2,5). Infatti " tutte le vie del Signore sono bontà e verità (Ps 24,10)... La bontà e la verità
di Dio sono in pieno accordo tra loro... in modo che la bontà non rechi pregiudizio alla
verità con cui è punito chi lo merita, né la verità alla misericordia con cui è salvato chi non
lo merita " (3,6).
Alla seconda ricordando che Dio iniquitatem... damnare novit, non facere. Perciò " come
dalla volontà di Dio proviene la natura umana degna, senza nessun dubbio, di lode; così
dalla volontà dell'uomo proviene la colpa degna, senza che nessuno ricusi d'ammetterlo,
di condanna " (6,30). Quelli che vivono male de suo male vivunt (6, 22); e chi non
obbedisce a Dio, " perché mai non obbedisce, nisi sua pessima voluntate? " (6,24). Sono
perciò inescusabili (6, 25 - 28). L'indurimento di cui parla S.Paolo (Rom 9,18) altro non è
che la permissione divina, che lascia ostinare il peccatore non impertiendo malitiam sed
non impertiendo misericordiam (3,14).
Concludendo chiede al destinatario della lunga lettera che, se venisse a conoscenza di
altri argomenti escogitati su questo punto contro la fede cattolica, glieli comunichi, perché
possa, se sarà necessario, approfondire le Scritture e contribuire da parte sua a
difendere la purezza o, com'egli dice, la " verginità " della fede. " Dal turbamento che ci
procurano gli eretici - scrive con profonda ragione teologica e pastorale - viene svegliato
come dal sonno della pigrizia il nostro zelo affinché indaghiamo più attentamente le
Scritture con le quali poter replicare ad essi perché non rechino danno all'ovile di Cristo "
(10,47) 9.

2. Le sorti della lettera

La lettera ebbe una sorte che Agostino non poteva aspettarsi. S'aspettava nuove
difficoltà che gli venissero dal fronte pelagiano, e aveva pregato Sisto che, se ci fossero
state, gliele avesse comunicate, ma non se le aspettava dal fronte interno, e per di più
monastico. Avvenne proprio questo. Quella lettera suscitò una serie di reazioni a catena,
il cui ultimo anello può considerarsi la dura presa di posizione dei monaci di Marsiglia, i
quali si spinsero tanto avanti, non si sa se per ignoranza o in mala fede, fino ad
interpretare Agostino, a dispetto delle sue risposte, in chiave predestinaziana;
interpretazione che durerà per molti secoli e dura ancora. Ecco in ogni modo come
andarono le cose.
Appena pubblicata, la lettera si diffuse rapidamente nel bacino mediterraneo. Un monaco
di Adrumeto, città della Bizacena (oggi Sussa, in Tunisia), di nome Floro, recatosi per
motivi di carità ad Uzali, sua città natale, ve la trovò; la lesse, gli piacque, la trascrisse
sotto dettatura del monaco Felice, suo compagno, e la fece portare al monastero " come
un pane di benedizione ", mentre egli si trattenne qualche tempo a Cartagine. Nel
monastero la lettera fu letta all'insaputa dell'abate e creò un subbuglio. Alcuni fratelli di
poca o nessuna cultura (imperiti) ne furono turbati profondamente. Floro, tornato da
Cartagine, cercò di spiegare e chiarire, ma inutilmente. Si ricorse ad Evodio, vescovo di
Uzali, discepolo ed amico di Agostino 10; questi rispose 11, ma la pace nel monastero non
tornò. Si fece appello al " santo prete Sabino ", il quale " lesse il trattato e lo spiegò nel
modo più chiaro; ma neppure ciò apportò la guarigione alla ferita del loro animo ". Vollero
andare ad Ippona anche contro il parere dell'abate. Vi andarono di fatto Cresconio e
Felice, raggiunti poco dopo da un altro Felice 12.
Che cos'era accaduto? Quel che c'era da aspettarsi. Dimenticando il presupposto sulla
grazia e la libertà da cui il discorso agostiniano partiva (2,3) e l'avvertimento che si
trattava di una " questione difficilissima " (2,5) in cui è necessaria molta umiltà e la
disposizione a non voler sapere più di quanto si possa sapere, non prendendo in
nessuna considerazione, inoltre, la risposta di Agostino alle difficoltà dei pelagiani (vedi
sopra), quei monaci, sprovvisti di teologia e di cultura, ne conclusero, semplicisticamente,
che chi predicava la grazia negava il libero arbitrio e, quel che è peggio, che nel giorno
del giudizio Dio non renderebbe a ciascuno secondo le sue opere 13. Essi, poi, per proprio
conto, difendevano il libero arbitrio in modo da negare la grazia, affermando che la grazia
ci viene data secondo i nostri meriti 14, che era, come si sa, una delle tesi fondamentali
del pelagianesimo, già condannata, oltre tutto, dal sinodo di Diospoli e dallo stesso
Pelagio 15.

3. La risposta di Agostino

Agostino accolse benevolmente i due monaci e poi il terzo che li raggiunse, s'informò
sulla causa del dissenso e, data la loro premura di tornare in monastero per passare ivi la
Pasqua, diede loro una lettera per l'abate, nella quale riassumeva i termini della
questione, " difficilissima e che solo pochi possono capire " 16, ricordava che la sua lettera
era stata scritta contro gli eretici pelagiani - ormai egli non temeva più di chiamarli così -, i
quali sostenevano che la grazia ci viene data secondo i nostri meriti, ed era tutta
impegnata a dimostrare che senza la grazia non potremmo " compiere in alcun modo
opere buone, né pregare con sentimenti di pietà, né credere con retta fede " 17. Detto
questo riconduceva il problema della libertà e della grazia a un motivo cristologico: Cristo
è salvatore e giudice insieme. Scrive infatti: " Innanzi tutto il Signore Gesù Cristo... è
venuto non per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato da lui. Ma in seguito,
come scrive l'apostolo Paolo, Dio giudicherà il mondo, e lo giudicherà quando verrà a
giudicare i vivi ed i morti, come confessa tutta la Chiesa nel simbolo. Se, dunque, non c'è
la grazia di Dio, in qual modo Dio salverà il mondo? E se non c'è il libero arbitrio, in qual
modo giudicherà il mondo? "; e conclude: " Interpretate secondo questa fede il trattato o
lettera mia " 18. Scritta la lettera, i due monaci cambiarono opinione lasciandosi
convincere di passare la Pasqua ad Ippona per poter tornare in monastero " meglio
provvisti di argomenti contro i nuovi eretici pelagiani " 19. Agostino ne approfittò per
scrivere un libro sul tema discusso della grazia e della libertà, il De gratia et libero
arbitrio.
Passata la Pasqua, scrisse un'altra lettera all'abate per spiegare il ritardato ritorno dei
monaci e spiegargli l'impegno che aveva messo per " rinsaldarli nella sana dottrina
cattolica, la quale non nega il libero arbitrio al fine di scegliere sia la vita buona sia quella
cattiva, ma, d'altra parte, non gli accorda nemmeno tanta capacità che possa fare
alcunché senza la grazia di Dio, sia che si tratti di volgersi dal male al bene o di
perseverare o di progredire nel bene " 20; e raccomandò, ancora una volta, di non
deviare, in una questione tanto difficile, né a destra né a sinistra 21. Diede loro, poi, le due
lettere, il trattato su La grazia e il libero arbitrio, tutti i documenti ecclesiastici sulla
condanna del pelagianesimo - come aveva desiderato fare fin da principio 22 -, che erano
molti 23, e li mandò ad Adrumeto con la preghiera all'abate di mandargli " il fratello
Floro " 24.
Dell'analisi della risposta agostiniana nell'opera La grazia e il libero arbitrio, che è
fondamentale per la dottrina della grazia, particolarmente a motivo della puntigliosa
dimostrazione biblica dell'inseparabile binomio: grazia e libertà, come pure dell'altro:
grazia operante e grazia cooperante, e dell'altro ancora: vita eterna, mercede e dono, si
dirà a suo luogo. Qui continuiamo con la storia, che è ancora lunga.

4. La replica dei monaci di Adrumeto

Non molto tempo dopo Floro arrivò ad Ippona latore d'una lettera dell'abate Valentino.
Questi raccontava l'origine del turbamento e gli effetti di pacificazione che erano seguiti
all'intervento di Agostino: i cinque o sei che avevano seminato disordine s'erano placati.
" Come talora - scrive -, dalla tristezza nasce la gioia, così noi pure adesso non siamo più
afflitti a causa di quegli ignoranti, smaniosi di sapere più di quanto sono capaci, e
abbiamo meritato d'essere illuminati dai graditissimi insegnamenti della Santità tua " 25.
Ma l'abate doveva essere male informato. Qualcuno in quel monastero non era restato
soddisfatto: partendo dall'insistenza con cui Agostino parlava della necessità della
preghiera 26, aveva concluso che non era necessaria la correzione, ma solo la preghiera.
" Mi è stato annunziato che qualcuno in quel monastero - ibi quemdam - ha detto che non
bisogna correggere nessuno se non osserva i comandamenti di Dio, ma pregare per lui
perché li osservi " 27.

L'informatore non potrà essere stato che Floro. Agostino lo aveva trovato, riguardo alle
idee sulla libertà e la grazia, " come lo desideravo " 28. Ma c'è da chiedersi: quel ibi
quemdam indica solo uno o si trattava d'un gruppo, sia pur piccolo, come nel primo caso?
Nella risposta, riproponendo la stessa difficoltà, viene usato il più generico dicunt, o
inquiunt. " Non si illudano quelli che dicono: 'Come mai ci viene predicato ed ordinato di
allontanarci dal male e di fare il bene, se non siamo noi a fare ciò, ma il volerlo e
l'operarlo è in noi opera di Dio?' " 29. Ed ancora: " Dunque, dicono, quelli che ci dirigono si
limitino a prescriverci ciò che dobbiamo fare e preghino per noi affinché lo facciamo; ma
non ci riprendano e non c'incolpino se non lo faremo " 30. E poco dopo: " In qual maniera,
si dice, è per colpa mia che non ho, se quello che non ho non l'ho ricevuto da Colui che è
l'unico a darlo...? Infatti così dicono coloro che nelle loro malvagie opere non vogliono
essere rimproverati dai sostenitori di questa grazia: 'Prescrivimi cosa io debba fare, e se
lo farò, rendi per me grazie a Dio che mi ha concesso di farlo; se non lo farò, non bisogna
rimproverare me, ma bisogna pregare Dio perché dia ciò che non ha dato' " 31.
Fosse uno o fossero più coloro che presentavano queste difficoltà, Agostino, fedele al
suo proposito di spiegare l'inserimento della grazia nell'azione libera dell'uomo e nella
storia della salvezza, allo scopo di difendere la fede cattolica su di un punto tanto
delicato, rispose, scrivendo una delle opere più importanti e più difficili, di quante ne ha
scritte - e non sono poche -, sull'argomento della grazia: il De correptione et gratia.
Un'opera che probabilmente fu accolta bene ad Adrumeto, ma suscitò reazioni violente a
Marsiglia. Vediamone rapidamente il contenuto. Un'analisi più ampia a suo luogo come
premessa all'opera stessa.

5. La controreplica di Agostino

Il De correptione et gratia prende l'avvio dall'asserita inutilità della correzione, per


difenderne la necessità e ribadire alcune tesi fondamentali intorno alla grazia, spaziando
nella storia della salvezza interpretata in chiave di libertà. Della libertà dell'uomo si tratta
in tutta l'opera.
Afferma prima di tutto che le tre cose necessarie per la salvezza sono: i precetti divini, la
correzione fraterna e la preghiera per ottenere la grazia. Questo infatti hanno insegnato
gli Apostoli e questo hanno messo in pratica. " Tutte queste cose devono essere fatte,
perché gli Apostoli, dottori della Chiesa, le facevano tutte: prescrivevano quello che
andava fatto, riprendevano se non veniva fatto, e pregavano perché si facesse " 32.
Comincia poi, ancora una volta, a difendere appassionatamente la verità della grazia:
" Lasciate, o fratelli miei, che io lotti almeno un poco non contro di voi, che avete un cuore
retto nei confronti di Dio, ma contro coloro che nutrono sentimenti terreni, o addirittura
contro gli stessi pensieri umani, in favore della verità della grazia celeste e divina " 33.
Messo al sicuro che il malvagio è tale per propria colpa - tuum quippe vitium est quod
malus es - 34, dimostra che la perseveranza nel bene è un grande dono di Dio - magnum
Dei munus 35 -; distingue tra la grazia di Adamo e quella di tutti gli uomini, Adamo
compreso, dopo il peccato - auxilium sine quo non e auxilium quo 36 -; spiega che altra è
la libertas minor che consiste in Adamo nel posse non peccare e altra è la libertas maior
che consisterà nel non posse peccare 37, e insiste nel dire che Adamo deseruit et
desertus est 38, e così coloro che si perdono deserunt et deseruntur 39.
In quanto al perché di questa permissione divina verso alcuni e della elezione secondo il
proposito di altri confessa la sua ignoranza - me ignorare respondeo 40 - e non ha altra
ragione da dare se non quella della fede: " Su tutto questo problema noi confessiamo
nella maniera più salutare quello che crediamo nella maniera più retta ", e cioè: " Dio,
Signore di tutte le cose, le creò tutte buone assai, seppe in precedenza che dai beni
sarebbero sorti dei mali, ma conobbe che era più conveniente all'assoluta onnipotenza
della sua bontà trarre il bene anche dai mali piuttosto che non permettere l'esistenza dei
mali; dunque dette alla vita degli angeli e degli uomini un ordinamento tale da dimostrare
in essa in primo luogo quale potere avesse il loro libero arbitrio, in secondo luogo quale
potere avesse il beneficio della sua grazia e il giudizio della sua giustizia " 41.
C'è dunque nell' opera agostiniana - profonda e insieme, a causa dell'argomento, difficile
-, una chiara presa di coscienza di quanto la rivelazione c'insegna sulla storia della
salvezza circa la sorte ineguale delle creature razionali, angeli e uomini; un'insistenza
quasi monotona sui due fattori che compongono questa storia, la grazia divina e la libertà
umana, che comportano la legge, l'utilità della disciplina ecclesiastica, la necessità della
preghiera; un'esaltazione della libertà dell'uomo, opera della grazia; un richiamo
pressante al senso del mistero. Un'opera che richiedeva un'attenta riflessione e
imponeva un atteggiamento spirituale di umile e serena fiducia in Dio. Destinata a
placare le contestazioni, non fece che rinfocolarle. Non già ad Adrumeto, di cui non
conosciamo le reazioni, ma possiamo supporre che fossero positive, bensì nei monasteri
fondati da Giovanni Cassiano nel Sud della Francia, a Marsiglia.

6. La reazione dei monaci provenzali

Alcuni religiosi di queste comunità - non si sa quanti, ma si ha l'impressione che non


fossero pochi - avevano trovato di che ridire nelle opere di Agostino contro Giuliano, ma
leggendo quest'ultima opera scoppiarono in un'aperta e radicale opposizione. Di questa
tam obrupta dissensio due laici delle Gallie - Prospero ed Ilario - informarono il vescovo
d'Ippona 42. Un'esposizione particolareggiata di questa informazione sarà data
nell'introduzione alle due opere agostiniane che provocò. Qui basti qualche breve
accenno.
Per ragioni di chiarezza è bene distinguere le critiche distruttive e l'esposizione positiva:
quelle facili, questa... meno.
La critica di fondo era che la dottrina agostiniana sulla vocazione degli eletti secondo il
disegno divino, cioè della predestinazione, costituiva una novità nei riguardi dei Padri ed
urtava contro il senso ecclesiastico: " Molti reputano contrarie al pensiero dei Padri e al
sentimento della Chiesa tutte le idee che, negli scritti della Santità tua contro l'eresia di
Pelagio, hai esposte riguardo alla vocazione degli eletti fondata sul decreto di Dio " 43.
In particolare avevano cinque obiezioni da fare. Quella dottrina: 1) rende inutile lo sforzo
sia dei peccatori a rialzarsi sia dei giusti a progredire; 2) sopprime la virtù; 3) induce a
una specie di fatalismo; 4) porta a concludere che Dio ha creato nature di specie diverse
(manicheismo?) 44; 5) fa che sia inutile e dannosa la predicazione della grazia divina. " E'
una novità inutile e non gioverebbe alla predicazione dire che l'elezione di alcuni avviene
in virtù d'un decreto di Dio... " 45, non farebbe che dare agli uomini " motivo di
disperazione " 46. " Che bisogno c'era, concludevano, di trattare problemi così oscuri e
turbare in tal modo tante coscienze incapaci di capirli? " 47. Se si eccettua quest'ultima
difficoltà sulla predicazione, che sembra essere propria di quei pii monaci, le altre erano
le stesse che presentavano i pelagiani, dai quali essi pur si sentivano lontano su due
punti essenziali di cui dirò subito.
Passando pertanto alla parte positiva ecco come concepivano la salvezza per mezzo
della grazia. I due punti fermi nei quali si allontanavano dai pelagiani erano: 1) " ogni
uomo ha peccato per il fatto che ha peccato Adamo ", cioè l'affermazione del peccato
originale; 2) " nessuno si salva in virtù delle proprie opere, ma in virtù della grazia di Dio
mediante la rigenerazione battesimale ", cioè la professione di fede nella necessità della
grazia 48.
Per il resto sostenevano:
1) A tutti gli uomini senza eccezione è offerta la propiziazione, cioè il perdono e la
misericordia di Dio.
2) La grazia segue pertanto la determinazione della volontà e la predestinazione la
prescienza dei meriti, che sono i meriti della fede e della perseveranza finale: " Dio
conosce nella sua prescienza prima della creazione del mondo quelli che crederanno e
quelli che persevereranno nella fede " 49.
3) Con questi due princìpi contrastavano però due grosse difficoltà che postulavano una
soluzione coerente: la sorte diversa dei bambini morti con o senza battesimo e la
predicazione che è avvenuta dopo tanti secoli e non è ancora arrivata a tutti i popoli.
La prima difficoltà la risolvevano ricorrendo ai futuribili, cioè a quanto i bambini avrebbero
fatto se fossero giunti alla maggiore età. " Quei bambini si perdono o si salvano secondo
la previsione che la scienza di Dio ha avuto di quello che diverrebbero nella maggiore
età... ". Lo stesso in sostanza dicevano per la predicazione del Vangelo: " ...non hanno
avuto la grazia di ascoltare la predicazione del Vangelo solo perché non lo avrebbero
accettato " 50.
Questa è la soluzione positiva del mistero della salvezza che quei monaci proponevano
secondo quanto ne riferisce Prospero, il quale non tace che alcuni di essi andavano tanto
avanti da allontanarsi poco o affatto dalle posizioni pelagiane quando, per esempio,
parlano esclusivamente della grazia della creazione o della forza salvatrice della legge
naturale, affermando tesi che Agostino aveva ampiamente confutate contro i pelagiani,
dimostrando che esse " svuotano la legge di Cristo ".
Anche Ilario non riferiva solo le difficoltà che quei monaci facevano contro la dottrina del
vescovo d'Ippona, ma anche la loro propria soluzione.
1) Questa si basava tutta sul merito della fede e della perseveranza finale, la cui
prescienza era la ragione della predestinazione. A sostegno della loro posizione si
appellavano ai Padri, Agostino compreso. Di Agostino si appellavano in particolare alla
lettera 102, questione seconda: sul tempo della religione cristiana (nn. 8 - 15), e agli
scritti giovanili nei quali ascriveva alla fede dell'uomo la scelta di Dio.
2) Distinguevano poi tra inizio della fede ed in cremento della medesima ascrivendo
questo a Dio, quello all'uomo.
3) Adducevano, poi, un esempio suggestivo, quello dell'ammalato che chiede l'aiuto della
medicina: come non si nega l'efficacia della medicina quando si afferma che l'ammalato
deve cercare il medico, così " non è una negazione della grazia l'affermare che essa è
preceduta dalla volontà, la quale non fa altro che cercare il medico, ma non può far nulla
da sola " 51.
In conclusione, quei monaci, giustamente preoccupati di affermare la volontà di Dio di
condurre tutti gli uomini alla salvezza, si affaticavano per trovare nella volontà dell'uomo il
merito e il demerito su cui fondare la scelta divina. La grazia è necessaria per salvarsi,
ma l'uomo può far qualcosa per meritarla: incominciare a credere e perseverare nella
fede e nelle buone opere. Ma anche questa soluzione che sembra essere tanto semplice
ha le sue buone difficoltà. Per scioglierle non si trova di meglio che ricorrere allo strano
appiglio dei futuribili.

7. Ultimo intervento di Agostino

Queste in sostanza le difficoltà dei monaci di Marsiglia e questa la loro proposta.


Interessante la reazione del vescovo d'Ippona dopo la lettura delle due missive. Il punto
di partenza di tutto lo scandalo era, come si è detto, la dottrina agostiniana della
predestinazione. Eppure non su questo punto si fissò l'attenzione di Agostino, bensì su
quanto essi proponevano come soluzione del problema, cioè sulla fede o inizio della fede
che ascrivevano all'uomo, e sulla perseveranza finale che sarebbe dipesa parimenti
dall'uomo. Fa inoltre impressione il rimprovero che la dottrina della grazia, come lui la
esponeva, era dannosa e non si poteva, senza pericolo per la pietà, predicare al popolo -
accusa grave, questa, per Agostino, tutto proteso com'era verso la pastorale -, e
quell'insistente riferirsi ai suoi scritti giovanili o in ogni modo a quelli anteriori alla
controversia pelagiana. La risposta è contenuta in un'opera in due libri, che poi, non si sa
perché, sono stati distinti in due opere: la Predestinazione dei santi e il Dono della
perseveranza.
Di queste opere si dirà a suo luogo. Qui basterà osservare che la prima, la
Predestinazione dei santi, propone e dimostra questa tesi di fondo: la fede è un dono di
Dio, anche il suo inizio. " In primo luogo dobbiamo dimostrare che la fede è un dono di
Dio ". Lo ha fatto, dice, tante altre volte, teme di non riuscire a farlo in modo più efficace,
ma per rendere un servizio ai fratelli lo fa ancora, non senza aver notato però che questa
volta l'oggetto della dimostrazione è più preciso: non si tratta solo della fede, ma
dell'inizio stesso della fede. " Secondo i dissenzienti le testimonianze divine che abbiamo
utilizzato su questo argomento servono a farci conoscere che la fede in sé e per sé
dipende da noi stessi, ma il suo accrescimento lo riceviamo da Dio, come se la fede non
ci fosse donata proprio da lui, ma Egli ce l'accrescesse semplicemente per questo merito:
che l'inizio è partito da noi " 52. Perciò l'attenzione di Agostino si fissa sull'initium fidei, che
è l'inizio della buona volontà di credere. Dice apertamente che con questa opinione, per
quanto più sottile, " non ci si distacca da quella che Pelagio fu costretto a condannare nel
sinodo episcopale di Palestina, e cioè che la grazia di Dio ci viene data secondo i nostri
meriti " 53.
La seconda opera propone e dimostra quest'altra tesi riguardante il termine della vita
cristiana: la perseveranza finale è un grande dono di Dio. Comincia infatti così: " E' giunto
il momento di trattare con maggior cura della perseveranza, dato che già nel libro
precedente, discutendo dell'inizio della fede, abbiamo introdotto il discorso su questo
argomento. Dunque noi sosteniamo che la perseveranza con la quale si persevera in
Cristo fino alla fine è un dono di Dio, e intendo parlare della fine che pone termine a
questa vita, che è la sola nella quale esiste il pericolo di cadere " 54. Sostiene la tesi, fra
l'altro, con la preghiera del Padre nostro, nella quale i fedeli, come spiega anche
Cipriano, chiedono la perseveranza nel bene 55 e, in genere, con le preghiere della
Chiesa la quale, come prega quotidianamente perché gli increduli credano, così prega
affinché i fedeli perseverino 56.
Per il resto dimostra l'assurdità del ricorso ai futuribili per capire la sorte dei bambini che
muoiono con o senza battesimo 57, spiega le parole della lettera 102 con il metodo di non
dire più di quello che sia necessario 58, chiarisce quelle del De libero arbitrio cui pure quei
monaci si attaccavano 59.
S'intrattiene poi a lungo a dimostrare che la predestinazione si può e si deve, quando sia
necessario, predicare, come ha fatto l'Apostolo, purché si faccia nel modo giusto;
altrimenti non bisognerebbe predicare neppure la prescienza divina perché qualcuno ne
deduce la negazione della libertà nell'uomo 60; enuncia il principio della fiducia in Dio:
tutiores vivimus si totum Deo damus 61; sostiene che la dottrina della predestinazione non
esclude ma esige la preghiera, alimenta la speranza, induce all'azione: " dal vostro
stesso tenore di vita, se è buono e retto, imparate che voi fate parte della predestinazione
della grazia divina " 62; termina esortando alla preghiera: " non siano pronti a discutere e
pigri a pregare " 63, e presentando Cristo come " il più luminoso esempio della
predestinazione " 64.
Nonostante la profondità e la chiarezza dell'esposizione, la modestia con cui riconosce di
aver sbagliato quando ha sbagliato e si dichiara sempre disposto ad essere corretto;
nonostante il severo ammonimento che se può sbagliare lui, Agostino, possono sbagliare
anche gli altri, i quali pertanto debbono pensare più e più volte se non abbiano sbagliato
di fatto; nonostante, dico, queste prerogative i due libri del vescovo d'Ippona non ebbero
l'effetto desiderato presso i destinatari, anzi offrirono il destro ad una campagna
denigratoria a cui Agostino purtroppo non poteva più rispondere. Prima di vedere questa
reazione, rileggiamo le ultime parole del Dono della perseveranza, che sono le ultime
rivolte ai monaci provenzali. " Coloro che leggono queste pagine, se le comprendono,
rendano grazie a Dio; quelli che non le comprendono, preghino affinché ad istruirli
nell'intimo dell'animo loro sia Colui dal cui volto promana la scienza e l'intelletto. Coloro
poi che pensano che io sbagli, meditino più e più volte con diligenza ciò che è stato detto,
perché forse potrebbero essere loro a sbagliare. Io, da parte mia, quando grazie a coloro
che leggono i miei lavori non solo m'istruisco ulteriormente, ma anche mi correggo,
riconosco che Dio mi è benigno; e mi aspetto questo favore soprattutto dai Dottori della
Chiesa, se quello che io scrivo giunge nelle loro mani e se essi si degnano di prenderne
visione " 65.
Questa conclusione, stupenda e sincera, doveva contribuire a rasserenare gli animi e
indurli alla riflessione. Invece no: la reazione fu dura e malevola. Vediamola.

8. Interpretazione di quei monaci

I libri di Agostino non sedarono dunque la tempesta. Lo sappiamo da Prospero che


rispose alle accuse di quei monaci. A quanto sembra non ci fu in essi lo sforzo per capire
l'impostazione che il vescovo d'Ippona dava al difficile problema della predestinazione,
non la valutazione dei temi trattati - fede e perseveranza - e degli argomenti biblici
addotti, non la considerazione del valore pastorale che era stato messo in luce, ma solo
la volontà di partire alla controffensiva formulando una serie di accuse che,
oggettivamente parlando, falsavano l'insegnamento agostiniano e lo rendevano odioso.
Parlo di falsificazione e non soltanto di deformazione o di caricatura, perché non di
queste ma di quella si tratta. Si tratta infatti di far dire ad un autore il contrario di quello
che ha detto.
Siano di esempio i Capitula Gallorum ai quali risponde Prospero. Sono 15 proposizioni
che l'ambiente monastico provenzale mise in giro come autentica dottrina agostiniana.
Ecco le più significative:
- gli uomini, spinti a peccare dalla predestinazione divina come da una fatale necessità,
sono costretti ad andare verso la morte (c. 1);
- la grazia del battesimo non rimette il peccato originale a coloro che non sono stati
predestinati (c. 2);
- coloro che non sono stati predestinati alla vita, anche se siano rigenerati in Cristo col
battesimo e vivano con pietà e giustizia, non ne traggono nessun giovamento, ma
vengono mantenuti (in questa vita) finché cadano e periscano (c. 3);
- Cristo non è morto per la redenzione di tutti gli uomini (c. 9);
- gli uomini sono spinti a peccare dalla potenza di Dio;
- la prescienza e la predestinazione in Dio sono la stessa cosa (c. 15) 66.
Queste proposizioni non sono state tratte dalle opere di Agostino, ma sono contrarie a
quanto egli aveva esplicitamente e ripetutamente scritto. Si vedrà nelle pagine seguenti.
A Prospero pertanto non riuscirà difficile difendere la memoria del suo maestro. Egli nota
lo scopo infamante di queste proposizioni contro di lui e assicura che nel rispondere non
si allontanerà in nulla dalla sua dottrina 67. Risponde infatti alle singole proposizioni con
precisione e competenza non solo sulla linea del pensiero agostiniano, ma ripetendone
anche, pur senza citarle ( e questo fu un male), le stesse parole.
Un altro esempio, più triste perché più cattivo, del modo di procedere di quei monaci è
rappresentato dai capitula delle obiezioni vincenziane (per quanto sappiamo di lui e per il
rispetto che abbiamo per lui pensiamo che non si tratti di Vincenzo di Lérins), che
ripetono in sostanza quelle altre e le radicalizzano. Questa volta le proposizioni non sono
15 ma 16. Eccone qualcuna:
- Dio è autore dei nostri peccati, perché opera negli uomini la volontà cattiva e ne plasma
la sostanza in modo che con il moto naturale non possa se non peccare (c. 5);
- gli adultèri, gl'incesti, gli omicidi avvengono perché Dio ha predestinato che avvenissero
(cc. 10 - 11);
- i fedeli predestinati alla morte eterna quando dicono a Dio nella preghiera: sia fatta la
tua volontà, non chiedono altro che la loro perdizione (c. 16).
Prospero non può fare a meno di parlare di prodigiosa mendacità 68. Tali erano infatti. Ma
domandiamoci: come si è potuto giungere a tanto? Ignoranza? Cattiveria? L'una e l'altra
insieme? Giudichi chi può e chi vuole. Noi ci limitiamo ai fatti.
Si può capire che quei monaci volessero accreditare la loro dottrina della salvezza o,
come oggi si ama dire, la loro antropologia, molto diversa da quella del maestro d'Ippona,
ma è comprensibile il metodo di ricorrere alla volgare calunnia? Prospero parla addirittura
di " bestemmie ". E' vero altresì che partivano dal presupposto che Agostino avesse
identificato prescienza e predestinazione, applicando, poi, questa, allo stesso modo,
tanto al bene che al male. Ne tiravano perciò le conclusioni, anche se assurde, anzi
appunto perché assurde; ma l'assurdità delle conclusioni non avrebbe dovuto avvertirli
che il presupposto poteva essere falso? Infatti era falso.
Il vescovo d'Ippona non solo aveva affermato il contrario di quanto gli veniva attribuito
nelle conclusioni, ma aveva respinto il presupposto da cui esse partivano. Aveva distinto
apertamente tra prescienza e predestinazione, attribuendo la prima anche al male, la
seconda solo al bene; aveva distinto con un'insistenza, che non poteva essere maggiore,
tra salvezza e perdizione, ricordando che una suppone l'elezione misericordiosa di Dio,
l'altra la permissione divina, misteriosa ma sempre giusta; aveva detto in tutte lettere che
Dio non è l'autore dei nostri peccati, perché Dio permette, non fa il male, aveva insistito
sul fatto che non si può sacrificare la libertà alla grazia, ma neppure la grazia alla libertà,
perché Cristo è insieme salvatore e giudice; aveva lasciato supporre, per chi avesse
voluto capirlo, che nel mistero della predestinazione (come in ogni mistero cristiano) non
si può partire da una delle verità che lo compongono, quasi fosse la sola, e dedurre da
essa, secondo la logica umana, che cosa pensare dell'altra. Se quelli che si salvano, si
salvano per dono di Dio (e questa era la tesi fortemente difesa da Agostino), non si può
concluderne: dunque quelli che si perdono si perdono per volere di Dio, che era la tesi
che i monaci provenzali gli attribuivano, e che i predestinazionisti di tutti i tempi hanno
fatto propria. Così pure, dal fatto che quelli che si perdono, si perdono per propria colpa,
non si può concluderne che quelli che si salvano si salvano per proprio merito, sia pure
per il merito della fede iniziale, che era appunto la tesi che quei monaci difendevano. Una
maggiore attenzione alla difficoltà del problema - la difficillima quaestio di cui tanto
spesso parlava Agostino - o, per essere più espliciti, un maggiore senso del mistero
avrebbe risparmiato a quei monaci di commettere un'ingiustizia e alla teologia di avere
tempi difficili: un secolo di discussioni prima che un chiarimento venisse apportato nel
secondo Concilio di Orange ad opera soprattutto di Cesareo di Arles.
Prima di vedere, rapidamente, queste discussioni, vale la pena di notare che
l'interpretazione calunniosa e schernitrice, che i monaci provenzali diedero della dottrina
agostiniana sulla predestinazione, ebbe un'influenza deleteria: fece scuola. Con essa
cominciava il " predestinazionismo ", una dottrina che interpreta la predestinazione in
termini di bene e di male - predestinazione alla gloria e predestinazione al peccato e alla
perdizione -, interpretazione che, rinata quasi di secolo in secolo nella storia della
teologia occidentale, dura ancora. Dura, dico, attribuita al vescovo d'Ippona o confortata
dall'autorità di lui, secondo il giudizio, contrario o favorevole, che su di essa pronuncia chi
scrive.
La gravità di questa interpretazione, inaugurata dai provenzali attribuendola ad Agostino,
sta nel fatto di credere e di far credere che tra essa e quella che quei monaci
proponevano, fondata cioè sulla prescienza divina della fede e della perseveranza finale,
non ci sia via di mezzo. Eppure questa via c'è: il vescovo d'Ippona l'ha indicata nei suoi
scritti e la Chiesa cattolica, pur evitando d'entrare in sottili questioni, l'ha proposta ai suoi
fedeli. Il dilemma: o predestinazionisti o semipelagiani, non esiste o, se esiste, è un falso
dilemma. Le pagine di questa introduzione dedicate all'argomento vorrebbero essere una
conferma di questa affermazione. Tra la prima tesi e la seconda c'è il veritatis medium
della teologia agostiniana che indica la via da seguire, l'unica vera, anche se difficile:
quella del senso del mistero che tiene ferme le due verità, anche se non riesce a
comprenderne il nesso.
Altro inconveniente dell'impostazione del problema dato dai provenzali è quello di aver
fissato la discussione sulla predestinazione, anziché, come aveva fatto Agostino, sulla
grazia stessa. La questione che interessava e interessa prima di tutto è questa, non
quella. Interessa sapere, cioè, in che cosa e fino a qual punto la grazia è necessaria alla
salvezza e se essa sia o non sia un dono di Dio.

9. Interpretazione predestinaziana

Ne sono prova le lunghe discussioni che seguirono la morte di Agostino. Il tema preferito
fu la predestinazione, l'interpretazione di moda il predestinazionismo. Su questa linea i
provenzali lanciavano accuse contro il maestro d'Ippona. Il Papa Celestino e Prospero lo
difesero, ma senza riuscire a riportare la calma. Non passarono molti decenni che il
presbitero Lucido fece sua l'interpretazione predestinaziana e trasformò il biasimo in lode.
Non fu difficile a Fausto di Riez convincerlo d'errore e indurlo a ritrattarsi 69. Ma il fatto era
significativo. Esso non poteva non indurre gli avversari del defunto maestro ad insistere
nella loro dottrina e a confermarsi nelle loro accuse.
Forse non sarà inutile ricordare più in particolare alcune di queste accuse e confrontarle
a distanza ravvicinata con l'insegnamento del vescovo d'Ippona riportando le sue stesse
parole. E' vero che le pagine seguenti, esponendo quest'insegnamento fanno giustizia di
quelle accuse; ma penso che qualche lettore, più o meno frettoloso, voglia aver subito un
prospetto e rendersi conto senza occupare troppo del suo tempo, della situazione
creatasi dopo che il vecchio maestro aveva cessato per sempre di scrivere. Ecco dunque
uno specimen.
1) Prescienza e predestinazione, che era l'ultimo dei capitula Gallorum e fondamento di
tutti i precedenti. Dicevano: per il vescovo d'Ippona " è la stessa cosa prescienza e
predestinazione " (n. 15).
Aveva scritto Agostino: " la prescienza di Dio... preconosce i peccatori, non fa che siano
peccatori " 70. E nell'opera diretta a quei monaci: " La predestinazione non può esistere
senza la prescienza, invece la prescienza può esistere senza la predestinazione. Per la
predestinazione Dio seppe in precedenza le cose che Egli avrebbe fatto; e perciò è detto:
Fece le cose che saranno. Ma Egli ha potere di sapere in precedenza anche quelle cose
che non compie egli stesso, come ogni sorta di peccato " 71.
2) Dio e il peccato. Dicevano: per il vescovo d'Ippona " Dio con la sua potenza induce
l'uomo al peccato ".
Aveva scritto Agostino: " ...iniquitatem, quam rectissime veritas improbat, damnare novit
ipse, non facere " 72. Dio può condannare l'iniquità, non commetterla. E nelle Confessioni
il principio generale tante volte ripetuto altrove: Dio è " ordinatore e creatore di tutte le
cose che esistono nella natura, ma dei peccati ordinatore soltanto " 73. E altrove ancora il
principio della permissione del peccato: " Ha giudicato meglio trarre il bene dal male che
non permettere che non ci fosse il male: melius iudicavit de malis bene facere, quam
mala nulla esse permittere " 74.
3) La morte di Cristo. Dicevano: " Il Salvatore non è stato crocifisso per la salute di tutto il
mondo " (n. 9).
Agostino aveva ripetuto tante volte con S. Paolo: Se uno è morto per tutti, dunque tutti
sono morti (2 Cor 5,14), deducendo l'universalità del peccato originale dall'universalità
della redenzione. E altrove: " Per mezzo del Mediatore è stata riconciliata a Dio la massa
di tutto il genere umano alienata (da Lui) per mezzo di Adamo " 75. E altrove ancora:
" Giudicherà tutto il mondo perché per tutto il mondo ha dato il prezzo (del suo
sangue) " 76.
4) Abbandono di Dio. Dicevano (pensando sempre d'interpretare il pensiero del vescovo
d'Ippona): " Dio non dà ad alcuni la perseveranza perché nella sua prescienza e
predestinazione non li ha segregati dalla massa di perdizione " (n. 7).
Aveva scritto Agostino: Deus non deserit nisi deseratur 77, e non lo aveva scritto una volta
sola, ma tante e tante volte come una costante del suo pensiero. Proprio in quelle opere
nelle quali è tutto proteso a spiegare la gratuità della grazia, in quella, più precisamente,
che aveva suscitato le ire di quei monaci, scrive di Adamo: deseruit et desertus est, e di
tutti gli uomini: deserunt et deseruntur 78. Fece bene Prospero a ricordare questo
luminoso principio agostiniano, ma ebbe il torto di non citare la fonte inducendo così
alcuni, anche tra i moderni, a pensare che fosse suo e non del maestro.
Come specimen d'interpretazione falsificante e di fraintendimento radicale credo che
possa bastare. Per uscire dal vicolo cieco occorreva spostare la discussione dalla
predestinazione alla grazia, leggere più attentamente Agostino e capire un po' meglio
l'utrumque - libertà e grazia - su cui tanto egli insiste. Fu questo appunto il compito
provvidenziale del secondo Concilio di Orange ad opera soprattutto di S. Cesareo.

10. Cesareo d'Arles e il secondo Concilio d'Orange

Non narrerò qui la storia di questo Concilio. Non è questo il luogo e, del resto, non ce n'è
bisogno. Basta illustrare alcune idee maestre. Di fronte al persistente atteggiamento dei
provenzali, alcuni vescovi compresi - conosceva bene la situazione per essere vissuto a
Lérins -, il vescovo di Arles, Cesareo, chiese ed ottenne da Roma alcune proposizioni o
capitula sulla grazia, le fece discutere ed approvare dal Concilio e ne chiese la conferma
al Papa, che la diede poco dopo 79.
Il primo accorgimento fu quello di mettere da parte il tema, e il problema, della
predestinazione; il secondo quello d'insistere sulla dottrina della grazia esposta dal
vescovo d'Ippona nelle due opere tanto incriminate: La predestinazione dei santi e il
Dono della perseveranza, particolarmente sulla necessità della grazia per l'inizio della
fede, che era il punto più delicato e decisivo della controversia.
Per cominciare da questo secondo punto bisogna dire che, dopo i due canoni sul peccato
originale ripresi sostanzialmente, poi, dal Concilio Tridentino 80, ne seguono altri sei, che
riassumono la dottrina agostiniana della grazia preveniente. Inoltre viene riportata una
lunga serie di " sentenze " (9 - 25), tratte dalle opere del vescovo d'Ippona ad opera di
Prospero, che confermano ed ampliano la dottrina esposta nei canoni propriamente detti.
Sull'invocazione di Dio che non precede la grazia, ma è essa stessa frutto della grazia (c.
3) e l'altro sulla purificazione dei peccati per la quale Dio non aspetta la nostra volontà,
ma con l'azione dello Spirito Santo ci dona di volere essere liberati (c. 4), ne segue un
altro che è come la Predestinazione dei santi di cui riprende la tesi e le argomentazioni
bibliche.
Dice infatti: " Se qualcuno afferma che come l'aumento così l'inizio della fede ipsumque
credulitatis affectum con il quale crediamo in Dio e raggiungiamo la rigenerazione del
sacro battesimo, non è un dono della grazia, cioè l'ispirazione dello Spirito Santo che
guida la nostra volontà dall'infedeltà alla fede, dall'empietà alla pietà, ma che
naturalmente è insito in noi, si dimostra contrario agli insegnamenti apostolici... " (c. 5).
Seguono i testi biblici, alcuni di quelli che il vescovo d'Ippona aveva abbondantemente
spiegato.
Segue un canone dove ricorre il testo paolino tanto caro al dottore della grazia: quid
habes quod non accepisti? [1 Cor 4,7] (c. 6) e poi uno di indole generale: " Se qualcuno
afferma che l'uomo può pensare, come si conviene, alcunché di bene che appartenga
alla vita eterna o eleggerlo o consentire alla salvezza, cioè alla predicazione del Vangelo,
con il vigore della natura senza l'illuminazione e l'ispirazione dello Spirito Santo che dà a
tutti la soavità nel consentire e credere alla verità, è ingannato da sentimento eretico... "
(c. 7).
A questo punto è inutile dire che con i canoni del secondo Concilio di Orange e la
conseguente approvazione del Papa, la dottrina agostiniana sulla grazia che previene la
volontà umana nell'opera della salvezza, compreso l'inizio della fede, veniva riconosciuta
conforme alla Sacra Scrittura e all'insegnamento della Chiesa, mentre ne risultava
difforme quanto avevano sostenuto i monaci provenzali e sostenevano ancora alcuni
vescovi. Dice Bonifacio II rispondendo a Cesareo e confermando gli Atti del Concilio:
" Alcuni vescovi delle Gallie, pur accettando che i doni (della salvezza) ci provengano
dalla grazia di Dio, sostengono però che la fede, soltanto la fede, con la quale crediamo
in Cristo, provenga dalla natura, non dalla grazia " 81. Come si vede, si tratta della grazia
per l'inizio della fede e per operare il bene - è Dio che comincia l'opera della salvezza ed
è Dio che la porta a compimento -, non del mistero della predestinazione. Sulla
predestinazione Cesareo, tirando la conclusione dalle deliberazioni del Concilio, si limita
a dire: " Che alcuni siano predestinati al male per divino potere, non solo non lo
crediamo, ma anche se ci sono alcuni che vogliono credere a tanto male, con somma
detestazione lanciamo loro l'anatema " 82. Molto bene, e per due ragioni: perché ha tolto il
problema dalla posizione dominante che gli avevano dato i monaci provenzali, posizione
che avrà molte volte, purtroppo, in seguito e perché ha ricordato la grande verità che
dobbiamo fermamente credere, verità che Agostino aveva richiamato tante volte: Dio non
induce nessuno al male; in Dio non c'è iniquità; Dio perché giusto non può condannare
nessuno senza propria colpa; la giustizia divina non può essere crudele.
Più tardi, quando il monaco Gottschalk cedette alla tentazione di riproporre la duplice
predestinazione, alla perdizione e alla salvezza, il Concilio di Quierzy (Carisiacum),
partendo dal principio che coloro che si perdono Dio perituros praescivit, sed non ut
perirent praedestinavit, proclama: Quod quidam salvantur, salvantis est donum; quod
autem quidam pereunt, pereuntium est meritum 83. Non si poteva dir meglio: questa è la
sintesi dell'insegnamento agostiniano intorno al mistero della predestinazione,
insegnamento che i teologi cattolici non hanno mai dimenticato. Questo fu ed è
l'agostinismo autentico.

11. L'agostinismo " rigido "

Non esiste dunque un agostinismo rigido e un altro, quello accettabile, mitigato, ma solo
un agostinismo autentico. Da qualche tempo parlare di " agostinismo rigido " è diventato
un luogo comune, ma è un errore; un grosso errore. Quello che altri chiama " agostinismo
rigido " non è che pseudoagostinismo, e bisognerebbe chiamarlo col suo nome.
Purtroppo l'espressione " agostinismo rigido " è passata nelle ultime edizioni di un
manuale di larga consultazione, l'Enchiridion Symbolorum.
Sulle dispute intorno alla predestinazione nel Concilio Valentino, a proposito della
" doppia predestinazione ", che alcuni difendevano al seguito di Gottschalk, si aggiunge
che essa veniva difesa in sensu rigidi Augustinismi 84. No. La doppia predestinazione non
sta negli scritti di Agostino, ma nelle calunnie dei provenzali. Si tratta chiaramente di
pseudoagostinismo, di cui non è responsabile il vescovo d'Ippona, ma sono responsabili i
suoi interessati interpreti. Molto più tardi, introducendo le proposizioni condannate di
Baio, si dice che egli aderiva al rigido agostinismo: rigido Augustinismo addictus 85. No,
Baio aderiva a un falso agostinismo di suo conio, a un agostinismo " fuorviato ", come ha
scritto un eminente studioso 86.
Sarebbe troppo chiedere che nelle prossime edizioni di quel prezioso manuale l'accenno
al rigido agostinismo venga fatto cadere? E altrettanto facciano quegli autori i quali
cedono spesso alla tentazione di fare la distinzione, infondata e deviante, tra agostinismo
rigido e agostinismo moderato, quando è fuori dubbio che non esiste se non un solo
agostinismo, quello autentico? La storia della teologia cattolica, se non propriamente la
teologia stessa, ne avrebbe molto da guadagnare. Le ragioni di questa richiesta vengono
esposte nelle pagine seguenti.
La conclusione da tirarne subito è questa: gli alti elogi che i Pontefici Romani hanno fatto
del vescovo d'Ippona, a cominciare da Celestinno I che lo annovera inter magistros
optimos 87, a Ormisda, il quale scrive che " nel libero arbitrio e la grazia ciò che segue e
custodisce la Chiesa Romana, cioè la Chiesa cattolica, benché si può trovare nei vari libri
del beato Agostino soprattutto in quelli diretti a Ilario e Prospero... " 88, a Bonifacio II 89 e a
tanti altri fino ai nostri giorni, da Leone XIII a Giovanni Paolo II, vanno presi come sono,
senza riserva indebita, perché si riferiscono all'agostinismo autentico. Se qualcuno ha
avuto l'audacia di mettere l'autorità di Agostino sopra quella della Chiesa cattolica,
proprio in questo ha mostrato di non essere agostiniano. Com'è capitato ai giansenisti.
Se altri, poi, hanno preso solo un aspetto dell'agostinismo e lo hanno assolutizzato o,
peggio ancora, l'hanno interpretato in modo predestinaziano, come hanno fatto molti, la
colpa non è dell'autore studiato, ma di chi lo ha studiato. Perciò le parole di commento
all'elogio di Celestino I, nel quale si dice che " la storia insegna abbondantemente che
l'autorità di Agostino qui e altrove raccomandata [dai sommi Pontefici] non dev'essere
seguita se non con discrezione " 90, non hanno per fondamento se non un'errata
precomprensione. In verità la storia insegna tante cose, ma soprattutto una: quanto sia
facile tradire il pensiero d'un autore famoso quando non lo si legga tutto o si cerchi
presso di lui non il suo ma il proprio pensiero.
In quanto alla " discrezione " che viene suggerita 91 per interpretare la proposizione o
canone 22 del secondo Concilio di Orange - le parole sono prese dal Commento a S.
Giovanni 92 - c'è da osservare che il richiamo alle proposizioni condannate di Baio e dei
giansenisti non ha ragione di essere, perché si tratta di cose diverse, e che, se le parole
agostiniane sono state " la croce dei teologi ", questo è dipeso dal fatto che, nel forte
della polemica - dentro la quale si muove ancora il suggerimento dell'annotatore, come
appare dal richiamo alle proposizioni condannate che non c'entrano -, le hanno
interpretate in senso morale e non, come devono essere intese, in senso metafisico.
Secondo questo senso è verissimo che tutto ciò che l'uomo ha di buono e di vero gli
viene, per partecipazione, dalla fonte della bontà e della verità. Di suo non ha che
l'essere creato dal nulla, e di conseguenza tutte le negatività proprie dell'essere dal nulla:
la limitazione, la mutabilità, la defettibilità. Ma di questo parlerò altrove 93. Qui voglio
notare soltanto che si sono dette troppe cose inesatte, si è perduto troppo tempo, si è
troppo confuso il panorama teologico per non aver studiato a fondo il pensiero di S.
Agostino.
Nutro speranza che le pagine che seguono possano contribuire a togliere
dall'agostinismo ingiustificati sospetti e restituirlo, a beneficio della storia e della teologia,
alla sua autenticità. Sostenuto da questa speranza intendo esporre la dottrina
agostiniana della libertà e della grazia.

…………….

PARTE PRIMA

AGOSTINO FILOSOFO E TEOLOGO DELLA LIBERTA'

Non dispiaccia questo titolo. E' così. Lo vedremo subito. Agostino difese la libertà contro i
manichei, contro i fatalisti, nonostante la prescienza divina (contro Cicerone che la
negava per salvare la libertà). La difese con le armi della ragione e con quelle della fede,
la libertà di scelta e la libertà cristiana (o dal male); sostenne che la libertà non consiste
nel posse peccare e lesse la storia umana in chiave di libertà, dall'inizio della creazione al
termine escatologico della beatitudine. Ma cominciò male. Cominciò coll'aderire ai
manichei, i quali, negando la responsabilità personale dell'uomo nel peccato, negavano
la libertà 1. Vediamo anzitutto questo punto di partenza.

CAPITOLO PRIMO

DIFESA DELLA LIBERTÀ CONTRO I MANICHEI


Si sa che la soluzione manichea del problema del male era fondata sulla teoria metafisica
dei due princìpi coeterni e contrari. Il dualismo metafisico diventava necessariamente
dualismo antropologico.

1. Antropologia manichea

Due i princìpi metafisici, due le anime nell'uomo, una buona e una cattiva, in perpetuo
conflitto fra loro. La vittoria dell'una o dell'altra è la vittoria del principio del bene o del
principio del male operanti nell'uomo. In questa visione antropologica non poteva esserci
posto, e non c'era di fatto, per la responsabilità personale, cioè per la libertà.
Ecco come Agostino riassume questa dottrina recensendo il De duabus animabus:
ammettono due anime, " delle quali dicono che una è parte di Dio, l'altra è parte della
gente delle tenebre, non creata da Dio e a Dio coeterna. Le due anime, una buona e
l'altra cattiva, così asseriscono, appartengono insieme allo stesso uomo: quella cattiva è
propria della carne la quale proviene dalla gente delle tenebre; quella buona invece dalla
parte avventizia di Dio che ha ingaggiato la lotta contro la gente delle tenebre. Così le
due anime si sono mescolate insieme. Di conseguenza tutto il bene che l'uomo compie
l'attribuiscono all'anima buona, tutto il male all'anima cattiva " 2.
Nel De haeresibus dopo qualche anno conferma: " L'origine dei peccati non
l'attribuiscono al libero arbitrio della volontà ma alla sostanza della gente avversa... La
concupiscenza carnale per cui la carne ha desideri contrari allo spirito ( Gal 5,17) non
ammettono che sia un'infermità derivante in noi dalla natura viziata nel primo uomo, ma
che sia una sostanza contraria che aderisce a noi in modo che quando ne siamo liberati
e purificati, venga separata da noi e viva nella sua natura anch'essa immortale.
Asseriscono, poi, che queste due anime o due menti, una buona e l'altra cattiva, vengono
in conflitto tra loro nell'unico uomo... " 3.
Nel De duabus animabus contra manichaeos concludendo esprime la convinzione che
l'opposizione tra l'anima buona e l'anima cattiva rappresenti il nucleo centrale del
manicheismo, quello da cui dipende il suo essere, o il buon essere. " Smettano ormai di
sostenere e d'insegnare quei due generi di anime, l'uno da cui non procede nulla di male,
l'altro da cui non procede nulla di bene ". Il determinismo psicologico non poteva essere
espresso più efficacemente: da una solo il bene, dall'altra solo il male. E continua: " Se lo
faranno, cesseranno certamente di essere manichei, poiché tutta quella sètta si basa su
questa bicipite o piuttosto precipite distinzione di anime " 4.
Si può aggiungere un testo significativo tratto da un discorso al popolo, dove parlando
degli eletti manichei dice: " Ma chi sono questi eletti? Sono gente che, se le vai a dire che
ha peccato, subito la senti pronunziare, a sua discolpa, parole empie, peggiori e più
sacrileghe di quelle che usano gli altri. Dicono: Non ho peccato io, ha peccato il popolo
delle tenebre. Ma chi è questo popolo delle tenebre? Un popolo che fece guerra a Dio. E
allora? Quando tu pecchi, pecca questo popolo? Certamente, rispondono, e ciò in quanto
io sono mescolato con esso " 5.
Non c'è bisogno di esporre più a lungo la dottrina manichea. Basta quanto si è detto per
capire l'atteggiamento, che qui interessa, di Agostino, il quale prima accettò e poi,
faticosamente, si liberò da un determinismo tanto insidioso; insidioso perché comodo
anche se, insieme, distruttivo; comodo per il fatto che liberava l'uomo dalla responsabilità
del peccato; distruttivo, per il fatto che, privandolo della parte più profonda e più nobile di
sé, la libertà - " lo maggior don che Dio fesse creando " (Dante) -, lo riduceva ad un
automa, ad un campo di battaglie non sue, ma che si combattevano in lui.

2. Agostino accetta l'antropologia manichea

Può sembrare strano, ma è così: Agostino accettò questa dottrina. Ecco le sue parole:
" Ero tuttora del parere che non siamo noi a peccare, ma un'altra, chissà poi quale natura
pecca in noi. Lusingava la mia superbia l'essere estraneo alla colpa, il non dovermi
confessare autore dei miei peccati affinché tu guarissi la mia anima rea di peccato contro
di te. Preferivo scusarla accusando un'entità ignota, posta in me stesso senza essere me
stesso " 6.
" Ero tuttora del parere... ". Questa dottrina l'aveva accettata sin dall'inizio. L'angosciosa
domanda: unde malum? su cui i manichei intessevano il loro insegnamento e la loro
propaganda, che l'aveva tormentato molto nella sua adolescenza e che lo gettò, stanco di
cercare, nelle loro braccia 7, riguardava non solo il male che l'uomo soffre, ma anche - e
forse principalmente - il male che l'uomo fa. Per liberarlo dalla consapevolezza di questo
male, la risposta manichea era seducente. Se anche non credeva che fosse vera,
Agostino volle che lo fosse. " Finii per approvare qualsiasi cosa dicessero, non perché
capissi che era vero, ma perché desideravo che lo fosse " 8. Accettarla fu facile, difficile il
liberarsene.

3. Si libera dall'antropologia manichea

Faticosamente, ma se ne libera. Come? Attraverso una constatazione interiore,


l'esperienza personale. Egli avverte, prima timidamente e poi con fermezza, che quando
vuole o non vuole è lui a volere, non un altro. " Una cosa mi sollevava verso la tua luce:
la consapevolezza di possedere una volontà non meno di una vita. In ogni atto di
consenso o rifiuto ero certissimo di essere io, non un altro, a consentire o rifiutare; e qui
era la causa del mio peccato, lo vedevo sempre meglio " 9.
Siamo agli inizi d'una salutare constatazione. Presto diventerà certezza. Quando, poco
dopo, lotterà con se stesso per prendere una difficile decisione (quella di abbandonare
ogni speranza terrena, anche la speranza di formarsi una famiglia), e sente in sé un
terribile conflitto tra la volontà nuova che vuol sovrastare la volontà vecchia ma non
riesce perché non lo vuole completamente, scrive: " Io, mentre stavo deliberando per
entrare finalmente al servizio del Signore Dio mio, come da tempo avevo progettato di
fare, ero io a volere, io a non volere, ero io e io. Né pienamente volevo, né pienamente
non volevo. Da questo fatto nasceva la lotta con me stesso, la scissione di me stesso,
scissione che, se avveniva contro la mia volontà, non dimostrava però l'esistenza di
un'anima estranea, bensì il castigo della mia " 10. La lotta tra la carne e lo spirito ( Gal
5,17) non ha una causa ontologica come volevano i manichei - presenza di due anime o
due nature nell'uomo -, ma una causa teologica (peccato originale) e una psicologica
(tendenza al male e volontà di bene). Agostino lo ridirà mille volte durante la controversia
pelagiana 11.
Dopo questa dura esperienza personale si comprende perché egli, parlando al suo
popolo, insista tanto sulla responsabilità personale nei confronti del peccato. Chi pecca
non deve cercare scuse, ma deve dire soltanto: " Dio mi ha creato con il libero arbitrio: se
ho peccato, io ho peccato... io, io, non il fato, non la fortuna, non il diavolo... " 12. E altrove
quasi con le stesse parole: " Il peccatore che si converte a Dio e vuol lodarlo dice: Ho
peccato io, non la sorte, non il fato, non il popolo delle tenebre " 13.

4. Combatte l'antropologia manichea

L'azione che Agostino intraprese per chiarire ai manichei, suoi antichi correligionari, le
nuove convinzioni che aveva acquisito cominciò molto presto e non durò poco. Cominciò
qui a Roma, continuò a Tagaste, terminò ad Ippona verso il 400. Per l'argomento che qui
ci riguarda le opere principali sono: il De libero arbitrio e il De duabus animabus contra
manichaeos.
1) Il libero arbitrio. Nella prima, cominciata qui a Roma e terminata 14 a Ippona, la tesi di
fondo è questa: il male deriva dal libero arbitrio. Si tratta del male che l'uomo fa, non di
quello che subisce 15. Anche questo deriva dal libero arbitrio, ma da quello del primo
uomo. Il discorso diverrebbe più lungo. Agostino lo farà contro i pelagiani 16. Qui ha in
vista il male che l'uomo fa peccando, una questione che lo turbava già prima che
incontrasse i manichei 17. Questo dipende dal libero arbitrio, non da una natura contraria,
presente nell'uomo. Ragione: altrimenti Dio non potrebbe giudicarlo giustamente. " Le
azioni malvagie sono punite dalla giustizia di Dio. Ma non sarebbero punite giustamente
se non fossero compiute con un atto di libera volontà " 18, cioè liberamente. Si noti questa
ragione: essa tornerà fino al termine della sua vita in tutta la controversia sulla grazia 19.
Posta questa ragione, l'opera è tutta intenta a definire la natura della libertà e la natura
del peccato, che restano tali nonostante la prescienza di Dio e le passioni dell'uomo.
La libertà è nella volontà come un " cardine " che le permette di volgersi da una parte o
dall'altra. Infatti " se il movimento con cui la volontà si volge qua e là non fosse volontario
e posto in nostro potere, non si dovrebbe approvare l'uomo quando torce verso l'alto il
perno, per così dire, del volere e non si dovrebbe rimproverare, quando lo torce verso il
basso " 20.
Nel testo citato c'è un'equazione che va messa in rilievo: se l'atto non fosse volontario e
se non fosse in nostra positus potestate. Questo vuol dire che l'atto volontario o libero e
atto in nostro potere dicono la stessa cosa. Ora un atto è in nostro potere quando lo
poniamo se lo vogliamo, non lo poniamo se non lo vogliamo. Non è in nostro potere nisi
quod cum volumus facimus 21. Concetto questo che Agostino ripete in un'importante
opera della controversia pelagiana, il De spiritu et littera: " Si dice che ciascuno ha in
potere ciò che fa se vuole e non fa se non vuole " 22.
La libertà dunque suppone il dominio dei propri atti, suppone la scelta, la decisione,
l'autodeterminazione. Anzi volontà e libertà coincidono. Infatti " nulla è tanto in nostro
potere quanto la stessa volontà " 23. " Perciò la nostra volontà non sarebbe volontà se
non fosse in nostro potere. Effettivamente perché è in nostro potere, è per noi libera " 24.
Conforme alla nozione della libertà è la nozione del peccato. Non è peccato fare ciò che
non si può evitare. Ecco il ragionamento agostiniano: " Non si può ragionevolmente
imputare un peccato, se non a chi pecca. Quindi ragionevolmente si imputa soltanto a chi
vuole " 25. " Qualunque sia la causa della volontà, se non è possibile resisterle, si cede ad
essa senza peccato; se è possibile, non le si ceda e non si peccherà. Ma forse può
ingannare un incauto? Dunque si guardi per non essere ingannato. Ma ha tanto potere
d'ingannare che proprio non è possibile guardarsene? Se è così, non si danno peccati.
Non si pecca in condizioni che è assolutamente impossibile evitare " 26.
Di questi testi si serviranno i pelagiani contro lo stesso Agostino, ma questi risponde e
spiega. Qui si tratta del peccato personale, non di quello originale che è insieme peccato
e pena del peccato, né, difendendo la libertà, si nega la necessità della grazia 27.
2) Le due anime contro i manichei. L'opera fu scritta, ad Ippona, da Agostino appena
sacerdote. Prende in esame, direttamente, la tesi manichea delle due anime. Vi
ritroviamo la stessa ragione per la difesa della libertà: il giudizio divino che
condannerebbe ingiustamente chi non ha peccato. " Tutti ammettono che le anime cattive
vengono condannate giustamente, mentre verrebbero condannate ingiustamente quelle
che non hanno peccato " 28. Vi troviamo altresì la stessa nozione della libertà e del
peccato.
Ecco la prima: " La volontà è un movimento dell'animo, esente da ogni costrizione, per
non perdere o per acquistare qualcosa " 29. Esente da ogni costrizione: è il punto
essenziale. Non si può insieme volere e non volere; perciò dove c'è la costrizione non c'è
il volere ma il non volere, che è il suo opposto. Volere per costrizione o volere invitus è un
non senso, un volere senza volere. Mentre " chiunque agisce volontariamente, agisce
senza costrizione, e chiunque è esente da costrizione o agisce volontariamente o non
agisce affatto " 30.
Ecco la seconda: " Il peccato è la volontà di ritenere e di conseguire ciò che la giustizia
vieta e da cui ci si può liberamente astenere. Benché se non c'è la libertà, non c'è la
volontà " 31. Per confermare questa sua definizione si appella al consenso del genere
umano. Continua infatti: " Non è questo forse che cantano i pastori sui monti, i poeti nei
teatri, gli indotti nei circoli, i dotti nelle biblioteche, i vescovi nei luoghi sacri, il genere
umano nell'orbe terrestre? " 32.
Si noti di nuovo l'identificazione tra libertà e volontarietà. Nella definizione riportata
Agostino ha voluto inserire il primo termine invece del secondo per offrire un'idea più
facile perché meno sottile: malui grossius quam scrupolosius definire 33. Ma questa
identificazione pone qualche problema di cui parlerò in seguito 34. Per ora basti ricordare
che la nozione della libertà, legata essenzialmente a quella di responsabilità e perciò di
giustizia, Agostino la difenderà non solo contro i manichei, ma anche nel bel mezzo della
controversia pelagiana. Questa volta con argomenti non più filosofici ma teologici. Lo
vedremo. Intanto è utile e importante vedere come l'abbia difesa contro il fatalismo, tanto
diffuso negli ambienti culturali del tempo, e non solo allora.

CAPITOLO SECONDO

DIFESA DELLA LIBERTA' CONTRO IL FATALISMO

Il fatalismo è un'altra forma di negazione della libertà, diversa da quella dei manichei ma
non meno grave; anzi, occorre dire, più grave, perché, se quella toglieva la responsabilità
al singolo per attribuirla al principio cattivo, questa la toglieva all'universo per
sottomettere la totalità dei fatti a una causa inflessibile che tutto determina: l'uomo, il
cosmo, gli dèi. Una dottrina ampia e complessa che occupava lo spazio che
nell'insegnamento cristiano è occupato dalla Provvidenza.
I trattati De fato sono numerosi nella letteratura greco - romana e non c'è bisogno di
ricordarli qui 1. Tra essi quello di Cicerone, più vicino ad Agostino. Questi non poteva non
intervenire, e intervenne; non solo per una ragione teorica - egli aveva fatto della
Provvidenza, in cui sempre credette 2, il punto focale del suo pensiero -, ma anche per
una ragione personale: in gioventù era stato vittima d'una forma di fatalismo, quello
astrologico, cui aderì e da cui si liberò. Vediamo dunque per primo questo aspetto.

1. Fatalismo astrologico

Un particolare non molto conosciuto dell'animo del giovane Agostino è la sua fiducia nelle
previsioni degli astrologhi o, com'egli dice, dei " matematici ". Questi, studiando gli influssi
stellari sul mondo e sull'uomo, predicevano il futuro e negavano di fatto la libertà umana,
in particolare la responsabilità nel peccato. " Dicevano: Dal cielo ti viene la causa
inevitabile del peccato, e: E' opera di Venere, oppure di Saturno, oppure di Marte;
evidentemente per rendere l'uomo senza colpa " 3. La loro dottrina, così spiega Agostino
al popolo, altro non è che una difesa del peccato. " Sarai adultero, perché tale hai
Venere, sarai omicida perché tale hai Marte. Marte dunque è omicida, non tu; Venere è
adultera, non tu " 4.
Nella Città di Dio parla lungamente di questa concezione deterministica, che trasferisce
alle stelle le sorti e le responsabilità degli uomini, ne ricorda le diverse espressioni, ne
confuta le affermazioni. Quando gli uomini sentono parlare di fato " lo intendono secondo
l'accezione comune come l'influsso della posizione degli astri quale si determina al
momento della nascita o del concepimento " 5. Osserva poi che, " secondo l'opinione di
uomini non mediocremente dotti, le stelle sono segni più che cause degli avvenimenti,
quasi un linguaggio che annuncia il futuro, non lo realizza. I 'matematici' però - continua -,
non intendono questo, e non dicono: Questa posizione di Marte indica un omicidio, ma:
Commette un omicidio " 6. L'opinione qui ricordata era stata di Plotino, il quale,
distinguendo tra annunzio e realizzazione, voleva mettere in salvo la libertà umana 7.
Ma da giovane Agostino non conosceva queste sottigliezze filosofiche: la sua adesione
alle previsioni degli astrologhi fu piena e tenace. Pur decisamente avverso alle pratiche
degli aruspici, i quali con sacrifici di animali proclamavano di assicurare il futuro 8, non
desisteva dal consultare gli astrologhi che predicevano il futuro senza praticare sacrifici o
pregare spiriti 9.
Da questa fiducia non lo ritrassero né le amabili esortazioni del dotto e nobilissimo
Vindiciano che, quale proconsole, a Cartagine gli aveva messa sul capo la corona vinta
nelle gare poetiche, né le amichevoli derisioni di Nebridio. Più di tutto valeva per lui
l'autorità di quegli autori, né del resto, aggiunge, " avevo trovato ancora una prova certa,
quale cercavo, che mi mostrasse senza ambiguità come le predizioni degli astrologhi
consultati predicessero il vero per fortuna o sorte, non per l'arte di osservare le stelle " 10.
Questa ragione la troverà a Milano dopo una conversazione con l'amico Firmino, educato
nelle arti liberali e buon parlatore, ma anche solerte nel consultare gli astrologhi e
ricercatore avido di responsi. Era andato a trovare Agostino perché gli traesse l'oroscopo
su certi suoi interessi. Agostino fece qualche previsione e poi disse che ormai era
pressoché convinto della ridicola vanità di quelle pratiche. Firmino allora gli raccontò
quanto era accaduto a suo padre e ad alcuni suoi amici grandi cultori, anch'essi, di
astrologia; cioè degli oroscopi che avevano tratto su due bambini, nati nello stesso
istante, uno da una padrona l'altro da una schiava; oroscopi uguali, data la simultaneità
della nascita, ma che riuscirono fallaci perché la sorte dei due fu molto diversa.
Questa narrazione, data l'autorità del narrante, fece cadere ogni esitazione in Agostino e
lo indusse a tirare questa conclusione: " I responsi veritieri ricavati dall'osservazione delle
costellazioni non derivano dall'arte, ma dalla sorte; i falsi non da ignoranza dell'arte, ma
da inganno della sorte " 11.
Si confermò nell'avversione a quelle ridicole vanità, cercò di dissuaderne l'amico che ne
era ancora impigliato e si diede a studiare tutta la faccenda per essere in grado di
rispondere alle obiezioni dei cultori di astrologia che non si davano facilmente per vinti.
Studiò in particolare il caso dei gemelli 12, un caso classico per tutti gli oppositori di quella
falsa scienza 13. Per il pensatore cristiano c'era l'esempio biblico di Esaù e Giacobbe, due
gemelli che ebbero sorte tanto diversa. Agostino vi ricorre ogni volta che deve confutare
quest'errore tanto superstizioso e pur tanto diffuso.
Oltre che nelle Confessioni, delle quali si è detto, lo confuta nelle Diverse 83 questioni 14,
nella Dottrina cristiana 15, nella Genesi alla lettera 16 e, più a lungo, nella Città di Dio 17 e
nella Epistola 246. Dovunque lo bolla come " un grande errore e una grande pazzia " 18,
adduce in contrario l'esempio dei gemelli e ne ricorda le disastrose conseguenze per la
vita etica dell'uomo. Perciò " quanto concerne i fati e tutte le sottigliezze quasi da
documenazioni sperimentali dell'astrologia che chiamano apotelesmata 19, respingiamolo
totalmente come alieno dall'integrità della nostra fede " 20. Ed enumera, nella Genesi alla
lettera, quattro ragioni: 1) toglie la ragione stessa della nostra preghiera; 2) sopprime la
giusta punizione della colpa; 3) afferma che gli uomini soli siano sottomessi agli astri; 4)
tira, data l'impossibilità di precisare il momento della nascita, conclusioni senza
fondamento 21.
Nella Città di Dio la confutazione diventa più lunga perché la tesi da dimostrare è più
impegnativa. Si trattava della causa della grandezza dell'Impero romano. Agostino
afferma che questa grandezza non fu " né fortuita né fatale, secondo la terminologia di
coloro che consideravano fortuiti gli eventi che non hanno alcuna causa e non
provengono da un ordinamento razionale, fatali quegli eventi che per deterministica
necessità di un ordinamento si verificano indipendentemente dal volere di Dio e degli
uomini. Al contrario gli imperi umani sono determinati direttamente dalla divina
Provvidenza " 22. Occorreva perciò respingere tanto l'assoluta contingenza o il caso,
quanto l'assoluta necessità o il fato. In quanto al fato, prima di tutto quello di origine
stellare. Agostino ne descrive la natura, ricorda alcuni autori che ne hanno parlato - il
famoso medico Ippocrate, Posidonio di Apamea, Nigidio il Figulo, Cicerone - ne mostra le
vanità e le disastrose conseguenze, ne adduce gli argomenti in contrario - tra questi
quello dei gemelli 23 - e ne conclude: " Dopo queste considerazioni si può fondatamente
pensare che i molti responsi stranamente veri degli astrologhi sono dovuti all'occulta
suggestione di spiriti del male... e non all'arte di leggere e scrutare l'oroscopo, che non
esiste " 24.
Questa conclusione, se si prescinde dall'accenno alla suggestione degli spiriti del male -
forse ha preferito questa spiegazione perché l'altra, quella della causa fortuita, gli
presentava altri problemi -, contiene l'ultimo giudizio di Agostino sull'astrologia come arte
divinatoria: non esiste. Vi era peró un altro fatalismo che occorreva prendere in
considerazione: non più quello degli astrologhi, ma quello dei filosofi.

2. Fatalismo filosofico

E' quello non più legato alla posizione degli astri, ma " alla serie e alla connessione di
tutte le cause per cui accade tutto ciò che accade " 25. Non più dunque la dipendenza
dagli astri, ma il nesso ordinato di tutti i fenomeni che assoggetta alla necessità e
determina tutte le cose. Un fatalismo molto presente nella filosofia antica - e non solo in
quella -, che raggiunse la forma coerente e rigida - così si ritiene - nello stoicismo con la
dottrina dell'ananke e con l'amor fati di cui la prima rappresenta la connessione
necessitante delle cause, il secondo l'atteggiamento dell'uomo sapiente.
Agostino, che conosce gli stoici ed è molto contrario a diverse loro dottrine (alla nozione
delle passioni 26, all'uguaglianza dei peccati 27, alla nozione della beatitudine 28 ), su
questo argomento dà un'interpretazione benevola. Egli ritiene che essi attribuiscano
l'ordine e il nesso delle cause al volere e al potere di Dio; perciò non trova necessario
polemizzare su una controversia di parole 29. Poco prima aveva scritto: " se qualcuno
chiama fato il volere e il potere di Dio, sententiam teneat, linguam corrigat " 30. Non vuole
usare la parola fato, ma vuole discutere sul contenuto. A lui basta che l'ordine delle cause
venga attribuito a Dio " del quale si ritiene con fede veracissima ed ottima che conosca
tutte le cose prima che avvengano, che nulla lasci fuori dell'ordine e che da lui dipendono
tutti i poteri, ma non il volere di tutti " 31. Con quest'ultimo inciso Agostino ribadisce una
importante distinzione tra potere, che viene da Dio, e volere che, se ha per oggetto il
male, non viene da Dio, ma solo dall'uomo. Tornerò subito sull'argomento, perché vi
tornerà lo stesso Agostino.
Per dimostrare che gli stoici ascrivono al sommo Dio la connessione delle cause, cita le
parole di Seneca, quelle celebri: ducunt volentem fata, nolentem trahunt, che nel
contesto vengono riferite al " sommo padre e dominatore dell'alto cielo " 32. Cita altresì le
parole di Omero, ricordate e tradotte da Cicerone: " lo spirito degli uomini è come la luce
con cui Giove padre illumina la terra feconda " 33. Citando queste parole i filosofi
dichiararono apertamente " la loro dottrina sul destino, perché consideravano Giove
come il sommo Dio da cui, secondo loro, dipende la connessione dei destini " 34. Difatti
" gli stoici si affaticarono per esimere dalla necessità delle cause alcune realtà. Fra quelle
che considerarono libere dalla necessità hanno posto anche le nostre volontà perché non
sarebbero libere se fossero soggette alla necessità " 35.
Agostino distingue, poi, le cause fortuite, quelle naturali, quelle volontarie; le prime sono,
sì, cause ma nascoste (da qui il nome di caso o fortuna), le seconde sono necessitanti
ma non sono sottratte alla volontà di Dio " perché egli è autore e principio di ogni
natura ", le ultime - le cause volontarie - " sono o di Dio o degli angeli o degli uomini... ".
" Quando parlo della volontà degli angeli, intendo tanto di quelli buoni che chiamiamo
semplicemente angeli di Dio, come di quelli cattivi che chiamiamo angeli del diavolo o
anche demoni. Altrettanto si dica degli uomini tanto dei buoni come dei cattivi " 36.
Sempre sollecito di salvare il sommo potere di Dio e la libertà dell'uomo (e degli angeli)
Agostino conclude: " Nella volontà di Dio è il sommo potere, il quale aiuta le volontà
buone degli spiriti creati, giudica le cattive, le ordina tutte - bonas voluntates adiuvat,
malas iudicat, omnes ordinat - e ad alcune concede i poteri ad altre no ". Ripete qui, e
spiega, il principio ricordato sopra che esime dalla causalità di Dio le volontà cattive. " Dio
come è creatore di tutte le nature, così è datore di tutti gli influssi causali, ma non di tutti i
voleri. Il volere cattivo infatti non è da lui perché è contro la natura che è da lui " 37.
Avremo occasione di ricordare e di illustrare questo fondamentale principio agostiniano
che illumina tutta la non facile dottrina della predestinazione e della grazia 38. Intanto
vediamo la difesa della libertà contro un'altra forma di fatalismo o determinismo, quello
teologico.

3. Fatalismo (o determinismo) teologico

Intendo per fatalismo o determinismo teologico quello che deriverebbe secondo alcuni,
che poi non sono pochi, dalla prescienza divina, nella quale tutto è presente, anche il
futuro delle nostre libere azioni. Come dunque libere se determinate? La difficoltà è
ovvia; sa proporla e la propone chiunque, anche l'uomo della strada. Agostino non poteva
ignorarla. La propone infatti e la risolve nel Libero arbitrio e nella Città di Dio, ivi in sede
teorica, qui in sede storica; ivi dialogando con Evodio che rappresenta, per così dire,
l'uomo della strada, qui confutando Cicerone, il quale, per salvare la libertà dell'uomo,
non aveva trovato di meglio che negare la prescienza divina.
1) Ecco, nel Libero arbitrio, la difficoltà di Evodio: " Non veggo ancora in che modo non si
escludano questi due termini: la prescienza divina dei nostri peccati e il nostro libero
arbitrio nel peccare. Dobbiamo infatti innegabilmente ammettere che Dio è giusto e
previdente. Ma vorrei sapere con quale giustizia punisca peccati che si commettono per
necessità, o come non per necessità si verifichino eventi di cui ha prescienza che
avvengano, o come non si debba imputare al Creatore tutto ciò che nella sua creatura
avviene per necessità " 39.
La difficoltà di fondo è chiara: libertà e prescienza divina appaiono inconciliabili. Dunque
la seconda toglie la prima. Ma se non c'è la libertà, come può esserci la giustizia quando
Dio giudica il peccatore? Di nuovo una conclusione che esprime una preoccupazione
dominante di Agostino e una tesi di fondo della sua antropologia: se l'uomo non è libero,
non può essere giudicato giustamente. Il discorso tornerà a proposito della condanna dei
reprobi. Ma per ora ascoltiamo la risposta alla difficoltà di Evodio.
Agostino osserva prima di tutto che prescienza non vuol dire costrizione. Infatti se per
ipotesi uno sapesse con certezza ciò che farà un altro nel futuro, questi non sarebbe
determinato a farlo dalla prescienza dell'altro. " Come dunque non sono opposti questi
due termini, che tu per tua prescienza sai ciò che un altro compirà con la propria volontà,
così Dio, sebbene non costringe nessuno a peccare, prevede però coloro che per propria
volontà peccheranno " 40.
Ma perché non si pensasse che il ragionamento partiva da un'ipotesi impossibile, porta
per esempio la memoria. Dice: " Come tu con la tua memoria non determini che si siano
avverati gli avvenimenti passati, così Dio con la sua prescienza non determina che si
debbano avverare gli eventi futuri. E come tu ricordi alcune azioni che hai compiute, così
Dio ha prescienza di tutte le cose, di cui è autore, ma non è autore di tutte le cose, di cui
ha prescienza " 41.
La conclusione non poteva essere che questa: " Perché dunque Dio non dovrebbe punire
con la giustizia le azioni che non ha condizionato con la prescienza? Pertanto quorum
non est malus auctor, iustus est ultor: è giusto punitore di tutte le azioni di cui non è
ingiusto autore " 42.
Ma prima di passare alla Città di Dio, dove non si tratta più di una difficoltà accademica
ma di una difficoltà storica, vale la pena di mettere in rilievo un'espressione su cui
bisognerà tornare perché ci ritorna il nostro dottore: Dio ha la prescienza di tutte le cose
di cui è autore, ma non è autore di tutte le cose di cui ha la prescienza. Si tratta, come si
vede, della distinzione tra predestinazione e prescienza, per cui la seconda può essere, e
di fatto è, quando v'è di mezzo il peccato, senza la prima: distinzione fondamentale per
capire la dottrina agostiniana della grazia e che molti critici dimenticano o, peggio ancora,
accusano il vescovo d'Ippona di averla ignorata dando occasione ad interpretazioni errate
della sua dottrina 43. Ma per ora andiamo avanti e vediamolo difendere insieme libertà e
prescienza contro Cicerone.
2) Cicerone è un deciso avversario del fatalismo e combatte contro gli stoici, ma ritiene
che nessun argomento è valido contro di loro se non si elimina la divinazione, e con ciò la
conoscenza del futuro e la prescienza di Dio. Agostino, che conosce bene le opere di
Cicerone, attinge al De fato, al De divinatione e al De natura deorum 44. Ne conclude che
egli " combatte apertamente la prescienza del futuro. E, come sembra, tutto il suo
impegno consiste nel non ammettere il fato per non negare la libera volontà. Pensa infatti
che data la premessa della conoscenza del futuro si ha la conclusione assolutamente
innegabile dell'esistenza del fato " 45.
Al filosofo di Arpino premeva difendere la libertà, senza la quale, osserva giustamente:
" omnis humana vita subvertitur, tutta la vita umana viene sconvolta, è inutile fare le leggi,
è inutile usare punizioni e lodi, rimproveri e consigli e contro ogni giustizia sono stabiliti
premi per i buoni e pene per i cattivi " 46.
Agostino è d'accordo nella difesa della libertà, ma non nella negazione della prescienza
divina: il dilemma posto da Cicerone non è un dilemma. Negare a Dio la prescienza del
futuro è lo stesso che negare l'esistenza di Dio: un Dio senza prescienza non è Dio 47. Ma
l'esistenza di Dio non si può ragionevolmente negare, né a Dio si può negare la
prescienza del futuro, come pure non si può negare, senza misconoscere un fatto di
esperienza ed accettare disastrose conseguenze, la libertà dell'uomo. Cicerone ha voluto
rendere gli uomini liberi, bene; ma li ha resi sacrileghi, e qui sta il male: dum vult facere
liberos, fecit sacrilegos 48. Resta dunque il dovere di non scegliere, trasformando il falso
dilemma ciceroniano in un vero binomio cristiano: libertà e prescienza. " Una coscienza
religiosa sceglie l'uno e l'altro, ammette l'uno e l'altro, mediante la pietà fedele afferma
l'uno e l'altro. E come? " 49. Agostino risponde dimostrando che le ragioni di Cicerone
sono false e che, perciò, libertà e prescienza non sono inconciliabili. " Noi - dice egli -
sosteniamo che Dio conosce tutte le cose prima che avvengano e che noi facciamo con
la nostra volontà tutte le azioni che abbiamo coscienza e conoscenza di fare soltanto
perché lo vogliamo... Non neghiamo però la serie delle cause in cui la volontà di Dio ha il
massimo potere... " 50, ma affermiamo, riassumo le parole agostiniane, che nella serie
delle cause ci sono anche quelle della libera decisione dell'uomo. L'ho ricordato sopra.
Ecco le parole conclusive del nostro dottore: " Se davanti a Dio è certo l'ordine di tutte le
cause, non ne segue che nulla è in potere dell'arbitrio della nostra volontà. Anche le
nostre volontà rientrano nell'ordine delle cause che sono certe davanti a Dio e sono
contenute nella sua prescienza, perché anche le nostre volontà sono causa di azioni
umane. Così egli che ha avuto prescienza delle cause di tutti gli avvenimenti non ha
potuto certamente non conoscere in quelle cause anche la nostra volontà di cui sapeva
per prescienza che sarebbe stata causa delle nostre azioni " 51.
Ritroviamo l'Agostino del De libero arbitrio, con l'aggiunta che qui si trattava di
combattere con un " uomo eccellente e dotto che molto e con competenza si
preoccupava per la vita umana " 52. Anche il vescovo d'Ippona ne era preoccupato, ma
non lo era meno di affermare la prescienza di Dio. " Noi cristiani - scrive - accettiamo
l'uno e l'altro, affermiamo per fede e ragione l'uno e l'altro, la prescienza per credere
bene, l'arbitrio per vivere bene ".
Il dilemma dunque è trasformato in binomio. " Non sia mai che noi, per salvare il libero
volere, neghiamo la prescienza di Dio con il cui aiuto siamo o saremo liberi ". Non sono
inutili le leggi, i premi e i castighi, non inutili le preghiere per ottenere ciò che Dio ha
previsto di concedere; anzi influiscono molto, perché Dio ha previsto che avrebbero
influito.
In quanto poi al peccato, che è sempre l'argomento più difficile perché richiama la
giustizia di Dio che lo giudica e lo punisce, ecco l'affermazione e la spiegazione di
Agostino: " L'uomo non pecca perché Dio ha conosciuto per prescienza che avrebbe
peccato. Anzi è innegabile che pecca, quando pecca, perché Dio, la cui prescienza non
può fallire, non ha conosciuto per prescienza che il fato o la fortuna o qualcos'altro di
simile, ma che proprio l'uomo avrebbe peccato. Se l'uomo non vuole, certamente non
pecca, ma se non vorrà peccare, anche questo Dio ha conosciuto per prescienza " 53.
In questo modo il vescovo d'Ippona combatte contro il fatalismo in difesa della libertà e
contro la miscredenza in difesa della prescienza divina. Vale la pena di osservare che
l'opposizione tra l'una e l'altra non fu solo Cicerone a vederla; la vide nei tempi moderni
anche Lutero. E, contrariamente a quanto aveva fatto Agostino, anche Lutero scelse. Ma,
da uomo religioso qual era, non scelse la libertà contro la prescienza, ma la prescienza
contro la libertà 54, tornando a una forma di fatalismo o determinismo teologico che il
vescovo d'Ippona aveva tanto combattuto.

4. Strana sorte di Agostino

La sorte strana è questa: un uomo come lui, che aveva difeso con tanta convinzione e
tenacia la libertà umana contro ogni forma di fatalismo, e non solo nella controversia
manichea, ma anche nel bel mezzo di quella pelagiana 55, è accusato di fatalismo. Ad
accusarlo furono i pelagiani e i semipelagiani, e sono i moderni critici. Perché? Per la sua
dottrina della grazia, in particolare per la difesa della gratuità di essa. L'affermazione che
la salvezza è un dono di Dio è parsa a molti un ritorno al fatalismo. Così i pelagiani
sostennero che Agostino difendeva il fato sotto il nome di grazia: sub nomine gratiae ita
fatum asserunt... 56. Enunziarono poi l'affato: si compie per fato ciò che non si compie per
merito. " E' vostra, non nostra, la sentenza - scrive Agostino - fato fieri quod merito non
fit " 57. La stessa accusa, e in sostanza per la stessa ragione, presso i semipelagiani 58. La
stessa presso i moderni critici 59. Altri poi, i predestinaziani, hanno preso per buone
queste accuse e le hanno trasformate in lodi.
Ma non è questo il momento d'intrattenerci sul tema indicato. Basta averlo accennato, per
offrire al lettore l'opportunità di avere subito un'idea di ciò che è capitato al dottore della
grazia. E' utile invece continuare a seguirlo nella difesa della libertà. Fin qui ha difeso una
verità, che è insieme di fede e di ragione, con le armi della ragione. Vediamo ora come la
difenda con quelle della fede, cioè della Scrittura, trasformandosi da filosofo in teologo
della libertà.

CAPITOLO TERZO

LA LIBERTA' DI SCELTA

Nel forte della controversia pelagiana, lungi dal negare la libertà per difendere la grazia,
come spesso e, bisogna pur dirlo, con tanta superficialità si afferma ripetendo pari pari le
accuse dei pelagiani, Agostino diventa il teologo della libertà, non solo della libertà dal
male o libertà cristiana, di cui è convinto assertore e inesauribile cantore, ma anche della
libertà di scelta, quella che aveva difeso contro i manichei e contro il fatalismo: la grazia
che dona la prima, non toglie la seconda. Parliamo dunque di questa. Non faccia
meraviglia il cambiamento di argomentazione: erano cambiati gli interlocutori. Questi
ammettevano la Scrittura e ne accettavano l'autorità. Era dunque metodologicamente
esatto e polemicamente efficace combattere non più con le armi della ragione, ma con
quelle della Scrittura. Del resto, parlando a cristiani, Agostino voleva far capire che,
difendendo la libertà e la grazia, non diceva nulla di suo, ma attingeva esclusivamente
alla fonte della Rivelazione.

1. L'utrumque o il grande binomio.

Fin dall'inizio della controversia pelagiana imposta il problema sui termini fissi di libertà e
grazia. Questa impostazione non fu più cambiata, anzi fu continuamente ribadita e
chiarita. L'insegna dunque della sua dottrina è l'utrumque che tante volte ripete.
Studiamola alla luce di quest'insegna e non sbaglieremo ad interpretarla. Come nella
questione della libertà e della prescienza non scelse, ma affermò l'una e l'altra,
dimostrando poi che non sono inconciliabili, così qui afferma l'una e l'altra - libertà e
grazia - e indica poi, sia pure con grande modestia data la profondità dell'argomento, la
via per vederne, in qualche modo, la conciliabilità. Di questa si parlerà a suo luogo nelle
pagine seguenti 1. Qui interessa prima di tutto esaminare le due tesi di fondo. Parliamo
innanzitutto della libertà. Forse ci stupiremo dell'insistenza di Agostino. Ma egli
prevedeva o sentiva le difficoltà degli avversari. Del resto, anche senza di essi non
avrebbe taciuto; non poteva infatti tacere di una verità fondamentale e insostituibile
dell'antropologia umana e dell'economia della salvezza.
L'utrumque si trova già nella celebre preghiera delle Confessioni: Da quod iubes, et iube
quod vis 2 che tanto dispiacque a Pelagio 3. V'è in essa l'espressione breve ed
efficacissima della necessità della grazia e della disponibilità dell'uomo a compiere i divini
comandamenti.
Nelle prime opere antipelagiane ribadisce questo concetto e ne indica il fondamento
biblico. Vale la pena di riportare un lungo passo del Castigo e perdono dei peccati, che
tra le prime è la prima. Vi s'insiste insieme sui comandi che Dio dà all'uomo e sulla
preghiera dell'uomo che implora la grazia per osservarli: col comando Dio interpella la
volontà dell'uomo, con la preghiera l'uomo ricorre alla misericordia di Dio. " Quando Dio ci
comanda: Convertitevi a me e io mi convertirò a voi, e noi gli diciamo: Convertici, o Dio,
nostro Salvatore, convertici Dio degli eserciti, che altro diciamo se non: 'Dona quello che
comandi'? Quando comanda: Cercate di capire, o insensati del popolo, e noi gli diciamo:
Dammi l'intelligenza perché io capisca la tua legge, che altro gli diciamo, se non: 'Dona
quello che comandi'? Quando comanda: Non andare dietro alle tue concupiscenze, e noi
gli diciamo: Sappiamo che nessuno può essere continente se Dio non glielo concede,
che altro diciamo se non: 'Dona quello che comandi'? Quando comanda: Praticate la
giustizia, e noi gli diciamo: Ammaestrami nella tua giustizia, che altro gli diciamo se non:
'Dona quello che comandi'? " 4.
Quasi a conclusione di questo ricamo biblico sul da quod iubes, e iube quod vis, un
commento molto opportuno alle parole del Salmo: Dio è nostro aiuto ( Ps 61,9): " Non
può essere aiutato se non chi si prova a fare qualcosa anche da sé. Dio infatti non opera
in noi la nostra salvezza come se fossimo delle pietre insensibili o dei viventi alla cui
natura egli non abbia dato la ragione e la volontà " 5. L'esempio, efficacissimo, illumina e
conferma l'insegnamento: Dio ha dato all'uomo la libera volontà e, nel condurlo alla
salvezza, tiene conto di questo suo dono.
La preghiera delle Confessioni - ad Agostino gli stava proprio a cuore per la sua brevità
ed efficacia - torna nella seconda opera della controversia pelagiana, lo Spirito e la
lettera, dove si discorre a lungo della legge delle opere che comanda (lettera) e della
legge della fede che implora la grazia di fare quello che viene comandato (spirito). " Dove
la legge delle opere impera minacciando, la legge della fede impera credendo... Perciò
con la legge delle opere Dio dice: 'Fa' quello che comando', con la legge della fede si
dice a Dio: Da' quello che comandi. Infatti la legge comanda perché la fede ammonisca
l'uomo su ciò che deve fare, di modo che colui che riceve il comando, se non può ancora
fare, sappia a chi chiedere... " 6.
Ma perché nessuno pensi che questo binomio - libertà e grazia - sia stato enunciato solo
nelle prime opere antipelagiane e fatto cadere poi, ecco tre opere che coprono l'ultimo
periodo della vita di Agostino, dal 400 alla morte. Si tratta della Risposta alle lettere di
Petiliano, delle Ritrattazioni (426-427) e dell' Opera incompiuta contro Giuliano (429-430).
Dice nella prima, dopo aver ricordato la difficoltà di conciliare la libera scelta dell'uomo e
l'azione divina con cui il Padre trae gli uomini al Figlio: " Eppure utrumque verum est " 7.
L' utrumque torna nelle Ritrattazioni, dove corregge un suo errore giovanile circa l'inizio
della fede. Vi ribadisce ciò che aveva difeso apertamente in tante opere. Sia il credere
che l'operar bene sono nostri e di Dio, di Dio per la grazia, nostri per il libero arbitrio:
utrumque ergo nostrum est propter arbitrium voluntatis et utrumque tamen datum est
propter spiritum fidei et caritatis 8.
Quest' utrumque rivelatore ritorna nell'opera che la morte non gli permise di portare a
termine. Scrive: " Utrumque verum est e che Dio prepari i vasi per la gloria (cf. Rom 9,23)
e che questi vasi preparino se stessi. Infatti perché l'uomo operi, Dio opera, per la
ragione che l'uomo ama perché Dio lo ha amato per primo (1 Gv 4,19) " 9. Nell'altra opera
scritta poco prima dell'Opera incompiuta, che è, poi, quella più profonda e più difficile di
quante ne ha scritte sulla grazia, se non ricorre materialmente l'utrumque, ricorre il senso.
Scrive: " I figli di Dio vengono mossi dallo Spirito di Dio ( Rom 8,14), perché agiscano,
non perché da parte loro non facciano nulla " 10.
2. La libertà nella Scrittura

Il grande binomio, libertà e grazia, tante volte ripetuto da Agostino prima della
controversia pelagiana e dopo, nasceva da una profonda convinzione filosofico-teologica.
Perché la convinzione teologica trovasse lo spazio per esprimersi ci voleva un'occasione.
Questa gliela offrirono i monaci di Adrumeto; questi, letta la famosa lettera 194, ne
conclusero che tra libertà e grazia non c'è possibilità di conciliazione, occorreva
scegliere. Essi, manco a dirlo, sceglievano la libertà 11. Agostino lo seppe e rispose,
dando, con maggiore ampiezza di quanto non avesse fatto fino allora, le ragioni bibliche
del binomio che gli stava a cuore o, per usare ancora una volta la sua espressione
preferita, dell' utrumque, e inviò il libro a quei monaci.
La visione teologica agostiniana appare già dal titolo: De gratia et libero arbitrio. Non
poteva essere più significativo, precisamente come quello di molti anni prima: De natura
et gratia, che dimostrava, contro Pelagio, che aveva scritto il De natura, quale dovesse
essere l'atteggiamento del cristiano: non scegliere, ma abbracciare in una visione unitaria
l'una e l'altra verità, perché l'una e l'altra ci è stata rivelata da Dio.
Per ciò che riguarda la libertà, ecco la tesi e gli argomenti di Agostino.
1. La tesi. Il Signore " ci ha rivelato per mezzo delle sue sante Scritture che c'è nell'uomo
il libero arbitrio della volontà. In qual maniera poi lo abbia rivelato, ve lo ricordo non con le
mie parole umane, ma con quelle divine " 12. La tesi è chiara: non meno chiaro il metodo.
Parlando a cristiani, Agostino non si attarda ad usare argomenti di ragione ma si appella
immediatamente alla fede: chi crede non potrà negarli. Farà lo stesso poco dopo per
l'altra verità di fondo, la grazia. " Fin qui, carissimi, abbiamo provato con le testimonianze
citate sopra dalle sante Scritture che per vivere bene ed agire rettamente c'è nell'uomo il
libero arbitrio della volontà; ma adesso vediamo anche quali siano le testimonianze divine
sulla grazia di Dio, senza la quale nulla di buono possiamo compiere " 13.
2. Gli argomenti. Vediamo gli argomenti della prima tesi. Si possono ridurre a tre: 1) le
affermazioni esplicite sulla libertà dell'uomo; 2) i precetti della legge che la suppongono e
l'includono; 3) il giudizio divino che non s'intenderebbe senza che ci fosse in noi la
responsabilità nel compiere il bene e il male.
1) Per le affermazioni esplicite viene citato il celebre passo dell' Ecclesiastico (Siracide)
15, 11-18, dove nel bel mezzo si dice: " Il Signore creò l'uomo all'inizio e lo lasciò in mano
del proprio consiglio. Se vorrai, osserverai ciò che ti viene prescritto e la completa fedeltà
a ciò che a lui piace ". Questo testo biblico è commentato con le seguenti parole: " Ecco
che vediamo espresso nella maniera più lampante il libero arbitrio della volontà
umana " 14.
2) L'argomento tratto dai precetti divini è preceduto da questa premessa che, attraverso
interrogativi retorici, ne indica la conclusione. " E che significa il fatto che Dio ordina in
tanti passi di osservare e compiere tutti i suoi precetti? Come lo può ordinare, se non c'è
il libero arbitrio e quel beato di cui il Salmo dice che la sua volontà fu nella legge del
Signore, non chiarisce forse abbastanza che l'uomo perdura di propria volontà nella
legge di Dio? " 15. Dopo questa premessa il nostro dottore cita una lunga serie di testi -
oltre venti - in cui Dio si rivolge all'uomo interpellando la sua volontà con la formula
imperativa: non volere... non vogliate, o condizionale: chi vuole... se vuoi... 16.
Al termine questo commento: " Quando si dice: non voler fare questo e non fare quello, e
quando negli ammonimenti divini a fare o non fare qualcosa si richiede l'opera della
volontà, il libero arbitrio risulta sufficientemente dimostrato. Nessuno dunque, quando
pecca, accusi Dio nel suo cuore, ma ciascuno incolpi se stesso; e quando compie un atto
secondo Dio, non ne escluda la propria volontà " 17.
Spiega poi per quale scopo vengono dati i comandamenti divini, affinché, cioè, nessuno
porti la scusa dell'ignoranza e questa, in ogni caso, non abbia altra ragione se non la
volontà di non apprendere per non agire bene (Rom 12,21); cita ancora un testo
dell'Apostolo: Non ti lasciar vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Rom 12,21), e
conclude: " Appunto se a uno è detto: Non voler essere vinto, si fa richiamo senza dubbio
all'arbitrio della sua volontà. Infatti volere e non volere appartengono alla volontà
dell'individuo " 18.
3) La terza ragione, dedotta dal giudizio di Dio, nell'opera che sto commentando viene
accennata qua e là, mentre la si trova esposta apertamente in una lettera che la precede
e la riguarda. Agostino, come fa per molti altri problemi, riduce la questione della libertà e
della grazia ad un motivo cristologico: Cristo è salvatore e giudice. Scrive ai monaci di
Adrumeto: " Innanzitutto il Signore Gesù, come sta scritto nel Vangelo dell'apostolo
Giovanni, è venuto non per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato da lui. Ma
in seguito, come scrive l'apostolo Paolo: Dio giudicherà il mondo e lo giudicherà quando
verrà a giudicare i vivi ed i morti, come confessa tutta la Chiesa nel Simbolo. Se, dunque,
non c'è la grazia di Dio, in qual modo Dio salverà il mondo? E se non c'è il libero arbitrio,
in qual modo giudicherà il mondo? " 19. Non c'è bisogno di ricordare che questo pensiero
del giudizio di Dio dominava l'animo di Agostino: Dio è giusto e non può condannare
nessuno se non ha commesso liberamente il male.

3. La risposta ai pelagiani

Sul tema della libertà - la libertà di scelta - Agostino ebbe una forte polemica con i
pelagiani. Questi ponevano al centro del loro sistema la difesa della libertà 20. Come
emblema della loro dottrina si possono prendere queste parole che furono contestate a
Pelagio dal sinodo di Diospoli in Palestina: Tutti sono governati dalla propria volontà.
Pelagio rispose: " Questo l'ho detto per il libero arbitrio, al quale Dio presta il suo aiuto
nello scegliere il bene. Quando invece l'uomo pecca, sua è la colpa, dotato com'è di
libero arbitrio ". I vescovi approvarono la risposta. Agostino commenta: " Chi infatti
condannerebbe o negherebbe il libero arbitrio, se insieme ad esso si sostiene l'aiuto di
Dio? " 21. Ma il modo col quale i pelagiani ammettevano l'aiuto di Dio era parziale e
insufficiente. Il dottore della grazia precisa: non basta parlare di aiuto divino o di grazia
solo a proposito della creazione, della rivelazione e della remissione dei peccati; occorre
parlarne anche in un quarto modo, a proposito cioè dei peccati da evitare. Infatti senza
l'aiuto di Dio non si possono evitare i peccati 22.
Questa dottrina i pelagiani non vogliono accettarla e passano al contrattacco accusando
Agostino di negare la libertà. Questi risponde energicamente: " Ma chi di noi dice che col
peccato del primo uomo è perito il libero arbitrio del genere umano? La libertà certo è
perita per mezzo del peccato, ma quella che ci fu in paradiso, cioè quella di avere la
giustizia e l'immortalità. Perciò la natura umana ha bisogno della grazia secondo le parole
del Signore: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi (Gv 8,36) " 23. Anche
dopo il peccato e nonostante il peccato il libero arbitrio dell'uomo resta. Né la grazia si
oppone ad esso, ma lo libera perché possa operare la giustizia e raggiungere la
salvezza. Anche nel forte della polemica a favore della grazia non dimentica mai l'altro
polo del problema: la libertà.
Possiamo concludere questo importante argomento sul grande binomio che egli tenne
sempre strettamente unito come un'esigenza fondamentale della ragione e della fede,
con le parole della lettera ad Ilario siracusano, dove scrive, a proposito della libertà e
della grazia: " L'arbitrio della volontà non viene tolto per il fatto che viene aiutato, ma
viene aiutato proprio perché non viene tolto: Neque enim voluntatis arbitrium ideo tollitur,
quia iuvatur; sed ideo iuvatur, quia non tollitur " 24. Queste parole riassumono e fissano in
modo epigrafico una dottrina costantemente ritenuta e chiaramente proposta. Da esse si
può giudicare se abbia ragione lo Jaspers, che pur ha scritto belle cose su Agostino,
quando dice che " la sua dottrina della libera volontà finisce quasi per spegnersi
interamente nella dottrina della grazia " 25.

4. Ma allora perché?

A questo punto non ci si può non fermare un momento per fare una riflessione. Se la
dottrina agostiniana è questa - e i testi riportati dicono chiaramente che è questa - come
si è potuto ripetere con tanta frequenza, e con parole anche più forti dello Jaspers, che
Agostino difendendo la grazia ha finito per negare la libertà?
La domanda è legittima, ma la risposta non è facile. Non lo è, perché le ragioni sono
molte, e riguardano sia la storia dell'agostinismo sia il testo agostiniano. L'agostinismo ha
una storia, come tutti sanno, molto singolare, dovendo registrare interpretazioni da destra
e da sinistra: le accuse dei pelagiani e le lodi dei predestinaziani, ripetute, le une e le
altre, dai moderni.
Ma per restare al testo agostiniano e confermare sia pure sommariamente
un'affermazione fatta all'inizio di questo argomento e ripetuta qui sotto forma appunto di
questione, si può dire che le ragioni di questo fenomeno singolare e grave si possono
ridurre a tre:
1) l'insistenza su la libertà cristiana, di cui il nostro dottore parlò a lungo e sempre con
l'entusiasmo d'un innamorato;
2) la natura della libertà di scelta le cui radici sono nascoste nel profondo del nostro
essere;
3) la difficoltà di comprendere la grazia, la quale toccando le soglie del mistero richiede,
per essere compresa, non solo l'acume teologico e l'assiduo studio della Scrittura, ma
anche l'umiltà della mente e l'assiduità della preghiera.
L'argomento tornerà nelle pagine seguenti. Qui si può dire brevemente così:
1) l'insistenza di Agostino sulla libertà dal male o libertà cristiana, che indubbiamente nel
quadro dei suoi pensieri sta al primo piano, ha potuto far dimenticare ad alcuni e portarli
a non vedere, che nel sottofondo fosse presente, sempre supposta e di quando in
quando esposta, la libertà di scelta, tanto più che questa nelle discussioni posteriori,
quelle scolastiche e moderne, è diventata prevalente e ha portato chi scrive o legge a
identificare libertà e libertà di scelta;
2) la libertà di scelta richiede il concorso dell'intelletto e della volontà, va soggetta
all'influsso delle passioni ed è destinata alla beata necessitas del non posse peccare:
tutte questioni che sono ben lungi dall'essere a tutti chiare;
3) la grazia opera negli ingranaggi della libertà umana, interiormente, profondamente.
Nella convinzione di Agostino, Dio ha in potere la nostra volontà più di quanto non
l'abbiamo in potere noi stessi e, avendola creata, opera in essa dal di dentro, con tanta
soavità da volgerla al bene quando vuole e come vuole, senza violarne peraltro la natura.
Dico: al bene, perché al male purtroppo la volontà si volge da se stessa. Ora
quest'azione di Dio tocca le soglie del mistero. E' più facile la soluzione di chi, come
Giuliano, considera la volontà " emancipata " da Dio; più facile, ma difforme,
metafisicamente e religiosamente, dalla verità 26.
Le pagine che seguono cercheranno di chiarire il significato e il valore di queste ragioni.
Comincerò dalla prima.

CAPITOLO QUARTO

LA LIBERTA' DAL MALE, O LA LIBERTA' CRISTIANA

Diciamo subito che se Agostino, attingendo alla luce della ragione e della fede, difende
con fermezza la libertà di scelta come un postulato essenziale della persona umana,
parla più a lungo, con insistenza e passione, di un'altra libertà, quella che ci viene da
Cristo, la libertà dal male. Ne parla più a lungo per ragioni pastorali, per ragioni
polemiche, per ragioni esperienziali. Infatti: 1) occorreva insistervi presso il popolo
cristiano perché imparasse ad amare, a cercare, a invocare questa preziosa libertà che
prelude a quella suprema e definitiva dei tempi escatologici, assicura il pacifico sviluppo
della persona umana e anima la preghiera con l'ultima petizione del Padre nostro: ma
liberaci dal male; 2) contro i pelagiani poi, che negavano la necessità della grazia per
evitare il peccato, occorreva insistere sulla schiavitù che proviene dal peccato e dalla
concupiscenza disordinata e sul male della morte: da questi mali può liberarci solo la
grazia di Cristo; 3) il ricordo della dura servitus 1 che aveva sofferto in gioventù quando,
scoperta la verità attraverso la fede cattolica, voleva dedicarsi totalmente alla ricerca
della sapienza: questa circostanza rendeva più efficace, se ce ne fosse stato bisogno, il
suo insegnamento colorendolo con la luce della sua esperienza.
Parliamo dunque di quest'aspetto essenziale dell'opera redentrice di Cristo della quale
Agostino sentì il dovere di esporre e chiarire e difendere la necessità, la centralità,
l'insostituibilità.

1. Questione semantica

Prima di tutto si pone una questione semantica: l'uso dei termini liberum arbitrium e
libertas. Si è visto sopra che Agostino, rispondendo ad una accusa dei pelagiani,
distingue tra l'uno e l'altro termine, attribuendo il primo al potere che la volontà ha nei
propri atti, il secondo al possesso della giustizia e dell'immortalità. Vale la pena di ripetere
le sue parole. " Chi di noi dice che col peccato del primo uomo il libero arbitrio è perito dal
genere umano? La libertà, certo, è perita col peccato, ma quella che l'uomo ebbe in
paradiso, quella di avere la piena giustizia congiunta all'immortalità " 2. La distinzione
semantica sarebbe stata preziosa se Agostino vi fosse restato fedele. Ma purtroppo
questo non è avvenuto.
Vi resta fedele, per esempio, quando, esponendo la visione universale della storia
umana, parla di libertas minor e di libertas maior 3, o parla della libertà necessaria per
vincere gli errori, i terrori, gli amori di questo mondo 4, o afferma che " la prima libertà è
quella di esser privi di peccati gravi (crimina) " 5, o enuncia il principio generale che dopo
il peccato la vera libertà ci viene dalla grazia 6, o sostiene che la libertà perfetta è quella
che importa la desideranda necessitas di volere il bene e di non poter non volerlo 7, o
ricorda che l'immutabile libertà dell'uomo è quella di voler essere beati 8.
Invece non vi resta fedele altre volte quando usa il termine liberum arbitrium mentre ci si
aspetterebbe libertas. Primum liberum arbitrium posse non peccare, novissimum non
posse peccare 9. In questo caso non si può risolvere la questione sul piano semantico:
occorre ricorrere a quello contenutistico, che non presenta del resto grosse difficoltà,
almeno per chi legge tutti i testi di Agostino e vuole, come si è detto cominciando,
concordarli tra loro.

2. L'insegnamento biblico

In questo come negli altri argomenti teologici Agostino prende l'avvio dalla Scrittura e ad
essa si richiama di continuo per controllare le affermazioni e i giudizi. Sulla libertà i testi
principali che cita e commenta sono tre: 1) Gv 8,32: cognoscetis veritatem, et veritas
liberabit vos 10; 2) Gv 8,36: Si vos Filius liberaverit, vere liberi eritis 11; 3) Mt 6,13: l'ultima
petizione del Padre nostro: sed libera nos a malo 12.
Sul primo testo vale la pena di citare, in parte almeno, un commento agostiniano: " Il
premio [per chi rimane fedele alla parola di Cristo] qual è? Conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi. O premio! Conoscerete la verità. Forse dirà qualcuno: e che mi giova
conoscere la verità? E' la verità a farvi liberi. Se non vi attrae la verità, vi attragga la
libertà... Essere liberato vuol dire propriamente essere reso libero; come salvato, fatto
salvo; sanato, reso sano... Nella lingua greca questo significato è più evidente e non può
essere inteso in un altro modo. Perché sappiate che non può essere inteso in un altro
modo, [sentite] che cosa rispondono i giudei alle parole del Signore: Noi non abbiamo
mai servito a nessuno, come tu dici: la verità vi farà liberi? Cioè, come puoi dire a noi: la
verità vi farà liberi, se noi non abbiamo mai servito a nessuno? " 13. La verità che libera
non vuol dire soltanto, dunque, osserva Agostino, la verità che ci scampa da un pericolo,
ma che da servi che eravamo ci fa liberi.
Sul secondo testo giova ricordare una polemica con Giuliano. Questi replica al testo
agostiniano riportato sopra 14 e interpreta il liberabit vos come liberazione dai peccati
commessi personalmente, che costituiscono l'unica servitù dell'uomo. Agostino
controreplica intendendo il qui facit peccatum (non qui fecit come leggeva Giuliano)
servus est peccati in un senso più universale includendo in esso anche la servitù dalle
passioni disordinate e quindi intende in senso più universale la liberazione che ci viene
da Cristo 15.
Sul terzo testo val la pena di osservare che il nostro dottore nell'ampio quadro della vita
spirituale che traccia mettendo in relazione beatitudini, doni dello Spirito Santo e
petizione del Padre nostro 16, ravvicina il libera nos a malo alla sapienza, che è il più alto
dei doni di Dio, e alla beatitudine della pace, che è la più alta delle beatitudini 17. La
liberazione dal male coincide con la giustificazione ed ha lo stesso raggio d'azione: dalla
Chiesa peregrinante alla Chiesa escatologica 18, quando " la creazione... [sarà] liberata
dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio " (Rom
8,21).

3. Le sei grandi libertà cristiane

L'ampio discorso che Agostino fa sulla libertà cristiana si può ridurre a sei temi
fondamentali: la libertà dall'errore, dal peccato, dal disordine delle passioni, dalla legge,
dalla morte, dal tempo. Queste sei libertà vengono elargite agli uomini - soggetti appunto
all'errore, al peccato, alle passioni, alla legge, alla morte e al tempo - dai doni divini della
fede, della giustificazione, della grazia adiuvante, dell'amore, della risurrezione,
dell'eternità.
Sei libertà che il vescovo d'Ippona, capace ed amante delle grandi sintesi, riduce ad una
sola, a quella dell'amore: lex libertatis, lex caritatis 19. Ora il cuore di tutta la Scrittura è
per Agostino l'amore 20. Perciò la libertà cristiana altro non è che la libertà dell'amore:
libertas caritatis 21: quando l'amore sarà pieno e perfetto, sarà piena e perfetta anche la
libertà.
Il panorama qui riassunto è immenso. Esso induce a meditare lungamente sulla
redenzione di Cristo e sui frutti che ne derivano all'umanità. Agostino vi meditò molto e ne
ridisse i risultati nei suoi scritti; vi meditò e ne scrisse per molte ragioni: teologiche,
polemiche e mistiche, ed anche filosofiche. Egli, anche come filosofo, non sa capire la
storia dell'umanità senza l'influsso negativo del peccato e l'influsso positivo della
redenzione di Cristo 22. Giova seguirlo su questo campo, sia pur brevemente.
1) La libertà dall'errore. La libertà di errare è da lui considerata come la peggiore morte
dell'anima: Quae peior mors animae - esclama - quam libertas erroris? 23. Questa
interrogazione retorica esprime con efficacia la triste esperienza dell'errore che egli
stesso aveva fatto fuori della fede cattolica. Questa esperienza ne fece l'assertore
convinto e indefesso dell'utilità della fede. Ma prima di tutto gli suggerì l'affermazione di
fondo: la nostra libertà è questa: essere soggetti alla verità. Alla luminosa affermazione
fanno seguito le prove, quella biblica con la citazione di Io 8, 31 - 32 e quella filosofica
con la nozione della beatitudine che non può essere vera se non è sicura. " La stessa
Verità, che è anche Uomo in dialogo con gli uomini, ha detto a coloro che lo credono: Se
rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la
verità vi libererà. L'anima infatti non gode di un bene con libertà, se non ne gode con
sicurezza. Ora non si è sicuri di quei beni che si possono perdere indipendentemente
dalla volontà " 24.
Per quel principio e per queste ragioni la difesa dell'utilità della fede diventava
obbligatoria e naturale. Il vescovo d'Ippona la intraprese subito dopo la conversione 25 e,
appena all'inizio del suo sacerdozio, scrisse un'opera dal titolo significativo e
programmatico: L'utilità del credere. La fede è utile per tutti, anche per il filosofo. Essa è
la fortezza inespugnabile che assicura e difende chiunque dalla molteplicità degli errori 26,
è il nido dove mettiamo le penne per poter volare con sicurezza verso gli orizzonti del
vero 27, è la medicina che sana l'occhio dello spirito perché possa fissarsi nelle verità più
alte 28, è l'accorciatoia che permette di conoscere presto, senza grande sforzo e senza
errori, quelle verità essenziali che sono indispensabili affinché l'uomo possa condurre una
vita sapiente 29.
2) La libertà dal peccato. E', insieme alla liberazione dall'errore, la grande libertà che
proviene da Cristo. Prima libertas - esclama Agostino parlando al popolo - est carere
criminibus 30. Inutile ricordare che qui crimina sta per " peccati gravi ", cioè quei peccati
che escludono dal regno di Dio, dei quali parla l'Apostolo in Gal 5,19 - 21 31. L'insistenza
su questa libertà è pari alla profonda convinzione che gli veniva dall'esperienza personale
e dalle parole del Vangelo ricordate sopra: Omnis qui facit peccatum, servus est peccati
(Gv 8,34). " Oh, miserabile schiavitù! - esclama Agostino - Accade che uomini schiavi di
duri padroni chiedano di essere venduti, non per non avere più padrone, ma almeno per
cambiarlo. Che farà chi è schiavo del peccato?...La cattiva coscienza non può fuggire da
se stessa...Ricorriamo tutti a Cristo, invochiamo contro il peccato l'intervento di Dio
liberatore, chiediamo di essere venduti, ma per essere ricomprati con il suo sangue " 32.
Non c'è bisogno di dire che per Agostino il peccato è vera alienazione dell'uomo e che
l'uomo non si ritrova se non trovando Dio.
La liberazione dal peccato avviene per opera di Colui che non ha conosciuto il peccato:
" Solo il Signore ci può liberare da questa schiavitù: egli che non la subì, ce ne libera;
perché egli è l'unico che è venuto in questa carne senza peccato " 33; avviene nella
giustificazione nella quale la remissione dei peccati è " piena e totale ", " piena e
perfetta " 34 e l'uomo da servo del peccato diventa servo della giustizia: liber peccati,
servus iustitiae 35. Ma mentre la remissione dei peccati è totale ed immediata, il
rinnovamento interiore è vero e reale in quanto viene restaurata l'immagine di Dio
nell'anima e operata la " deificazione " attraverso l'inabitazione dello Spirito Santo; è vero
e reale, ma non perfetto: la nostra giustizia qui in terra è sempre imperfetta, la pretesa
pelagiana dell'impeccantia non è conforme all'insegnamento della Scrittura 36. Perciò
abbiamo bisogno di un'altra libertà.
3) Libertà dalle passioni disordinate. Questo bisogno deriva dal fatto che la nostra
giustificazione, se è immediata in quanto alla remissione dei peccati, è progressiva in
quanto al rinnovamento interiore 37. Resta infatti la lotta tra la carne e lo spirito, resta la
infirmitas (la iniquitas è stata rimessa nel battesimo), che dev'essere curata per tutta la
vita, restano le passioni disordinate che devono essere ricondotte all'ordine, affinché
l'uomo possa vivere nella giustizia. Si sa, e Agostino lo afferma perentoriamente, solo il
giusto è libero: solus iustus est liber 38. Perciò la libertà cresce col crescere della giustizia
che qui vuol dire rettitudine morale, santità, ordine.
Dice parlando al suo popolo, dopo aver ricordato i crimini o peccati gravi quali l'omicidio,
l'adulterio, la fornicazione, il furto, ecc.: " Quando uno comincia a non avere questi crimini
(e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà; ma questo non
è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta. Perché, domanderà qualcuno, non è la
libertà perfetta? Perché sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge
della mia ragione ". E subito dopo: " Libertà parziale, parziale schiavitù: non ancora
completa, non ancora pura, non ancora piena è la libertà, perché ancora non siamo
nell'eternità. In parte conserviamo la debolezza, e in parte abbiamo raggiunto la libertà ".
E poi ancora: " Siamo liberi, in quanto ci dilettiamo nella legge di Dio: è la libertà che ci
procura questo diletto; dilectio enim delectat " 39.
Questa libertà s'identifica con la sanità dell'anima: ipsa sanitas est vera libertas,
s'identifica, cioè, con l'equilibrio interiore che permette all'uomo di dominare le sue
passioni e di farle rientrare nell'ordine. Perciò " la libera volontà sarà tanto più libera
quanto più sarà sana e tanto più sana quanto più sarà sottomessa alla misericordia e alla
grazia divina " 40.
Inutile dire che questa progressiva libertà è opera dell'uomo, ma è prima di tutto e
soprattutto, opera della grazia adiuvante della cui necessità ha tanto scritto Agostino
nella controversia pelagiana 41. Quella controversia egli la sostenne, e senza risparmio di
tempo e di energie, non solo per conservare integro l'insegnamento della fede, ma anche
per difendere la libertà dell'uomo, quella vera.
4) La libertà dalla legge. E' un tema caro a S. Paolo. Agostino, grande studioso delle
lettere paoline, non poteva ignorarlo. Lo tratta infatti e con grande compiacenza. Scrive a
proposito della giustificazione: " Giustificati gratuitamente per la sua grazia (Rom 3,24).
Dunque non giustificati per la legge, non giustificati per la propria volontà, ma giustificati
gratuitamente per la sua grazia. Non che ciò avvenga senza la nostra volontà, ma la
nostra volontà si dimostra inferma davanti alla legge, perché la grazia guarisca la volontà,
e la volontà guarita osservi la legge, non più soggetta alla legge, né bisognosa della
legge " 42. Non bisognosa della legge: è l'eco delle parole della lettera prima a Timoteo: la
legge non è fatta per il giusto, parole che Agostino commenta spesso 43. Spiega: " Non è
lo stesso essere nella legge o sotto la legge; colui che è nella legge, opera in conformità
ad essa; chi è sotto la legge, è costretto a muoversi secondo essa. Il primo è libero, il
secondo è servo. Di conseguenza una cosa è la legge scritta e imposta al suddito,
un'altra la legge accolta nell'anima da colui che non ha bisogno del precetto scritto " 44.
In un'opera tra le prime, scritta da presbitero, chiarisce che questa libertà - la libertà dalla
legge - è propria di chi non vive più la propria vita, ma la vita di Cristo, ed è, come
l'apostolo Paolo, in alto nella perfezione. Scrive infatti: " La legge non è posta per il
giusto, cioè non gli è imposta quasi fosse sopra di lui. In realtà il giusto è nella legge
piuttosto che sotto la legge, perché non vive di se stesso per il cui freno è imposta la
legge. Per dir così, egli vive in qualche modo con la stessa legge quando vive
giustamente con l'amore della giustizia e gode non del bene proprio e transitorio, ma del
bene comune e stabile ". Porta l'esempio di S. Paolo che diceva di sé: Non sono più io
che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20), cui pertanto non si poteva imporre la legge, e
conclude: " Chi oserebbe imporre la legge a Cristo che vive in Paolo? " 45.
In un'opera della maturità più brevemente: " La legge è buona... ma non è fatta per il
giusto, perché questi non ha bisogno della lettera che l'atterrisca dato che si diletta della
stessa giustizia " 46. Questa preziosa libertà, propria dei cristiani perfetti che hanno
trasformato il dovere in bisogno e son divenuti legge a se stessi, è la preparazione di
un'altra libertà che non è meno preziosa, che anzi, sotto l'aspetto teologico, lo è molto
più.
5) La libertà dalla morte. Questo argomento ha tanta ampiezza e profondità che un breve
accenno non può che impoverirlo. Si tratta della grande verità, vanto dei cristiani, della
risurrezione. Agostino ne ha parlato molto, come catechista che spiega il Simbolo della
fede al suo popolo 47, come pastore che commenta i grandi misteri cristiani 48, come
teologo che precisa e illustra l'oggetto proprio del domma 49, come filosofo e apologeta
che risponde alle difficoltà e difende l'insegnamento cristiano 50.
Qui basti l'enunziazione generale nei confronti della libertà: " La libertà piena e perfetta,
dono del Signore che ha detto: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi (Gv
8,36), ci sarà quando non ci saranno più nemici, quando sarà distrutta l'ultima nemica
che è la morte (1 Cor 15,26) " 51. La libertà piena dunque è la vittoria sulla morte.
Questo non vuol dire che lo spirito la raggiunge quando si sarà liberato dal corpo, come
volevano i platonici, particolarmente Porfirio col suo sbandierato omne corpus fugiendum
- contro questa opinione Agostino combatte con somma energia 52 -, ma vuol dire che
sarà pienamente libero solo quando, nella risurrezione, si sarà rivestito non più del corpo
corruttibile, quello che ne appesantisce il volo, bensì del corpo incorruttibile, il quale,
anche se corpo, essendo spirituale e perciò docile ai suoi voleri, ne asseconda e ne
perfeziona ogni movimento 53.
A questa sublime libertà ne va congiunta un'altra, l'ultima, la più alta.
6) La libertà dal tempo. Congiunta alla libertà dalla morte, ne è il compimento. Cristo,
Verbo del Padre, è entrato nel tempo per rendere eterni coloro che vivevano nel tempo.
" O Verbo - esclama Agostino dopo aver confrontato tempo ed eternità - o Verbo che
esisti prima di ogni tempo, per mezzo del quale furono fatti i tempi, eppure nato nel
tempo perché sei tu la vita eterna che chiami gli uomini viventi nel tempo e li rendi
eterni " 54. Li rendi eterni. Proprio così. Quale libertà sia questa, lo intende, sia pure nel
barlume della ragione e della fede, chiunque sente il logorio del tempo, che risucchia ed
annulla la vita, e ne geme. Che cos'è appunto la vita nel tempo? Una voce tra due grandi
silenzi, tra il silenzio del passato che non è più e il silenzio dell'avvenire che non è
ancora 55. Vivere nel tempo è un continuo morire. Solo l'eternità è vita. Qual è dunque la
via per vivere senza morire? Trascendere il tempo: ut ergo et tu sis trascende tempus.
Ma chi può trascenderlo senza il Cristo? 56 " Dobbiamo dunque amare Colui per mezzo
del quale fu creato il tempo, se vogliamo essere liberati dal tempo e immersi nell'eternità,
dove non ci sarà più alcun movimento temporale " 57. Chi vuol sapere quanto Agostino
abbia amato questa libertà, legga il molto che ha scritto sul tempo 58.
Dal poco che si è detto appare chiaro che il vescovo d'Ippona fu della libertà cristiana un
cantore innamorato e un teologo acuto. Se si vuole una conferma, la si può trovare nella
visione della storia.

4. La storia vista in chiave di libertà

Essa si svolge, come ho già accennato, tra la libertas minor e la libertas maior ed ha per
oggetto il peccato, le passioni (disordinate), la morte, secondo che potevano non esserci,
non possono non esserci, non potranno esserci. Tre momenti essenziali senza i quali non
si comprende la storia.
All'inizio dei tempi l'uomo ebbe una grande libertà anche se non somma. Essa consisteva
essenzialmente in tre invidiabili poteri: 1) poter non peccare; 2) poter non avere passioni
ribelli alla ragione; 3) poter non morire.
Col peccato di Adamo, incommensurabilmente grande, seguì la perdita di quei poteri e di
quella libertà. L'uomo per giusto giudizio di Dio si ritrovò con tre mali: 1) il non poter agire
bene (in ordine alla salvezza); 2) il non poter non sentire il disordine delle passioni; 3) il
non poter non morire. Della libertà che aveva ricevuto non restava che l'ombra. Ma Cristo
è venuto per restituirla, anzi per portare l'uomo " oltre l'antico onor " sia pure, come si è
accennato, col metodo della progressività.
Perciò alla fine dei tempi l'uomo riavrà nel Cristo una libertà maggiore, quella somma,
cioè: 1) il non poter peccare; 2) il non poter sentire passioni disordinate; 3) il non poter
morire.
I testi agostiniani più sintetici sono due. " La prima libertà del volere era poter non
peccare; l'ultima sarà molto maggiore: non poter peccare. La prima immortalità era poter
non morire; l'ultima sarà molto maggiore: non poter morire. La prima potestà della
perseveranza era poter non abbandonare il bene; l'ultima felicità della perseveranza sarà
non poter abbandonare il bene " 59. " Come la prima immortalità, che l'uomo perdette
peccando, fu poter non morire, così il primo libero arbitrio fu di poter non peccare, l'ultimo
di non poter peccare. Sarà infatti inamissibile la volontà del bene e dell'equità, com'è
inamissibile quella della felicità... Dunque quella città [celeste] avrà una volontà libera,
una in tutti e inseparabile in ciascuno; liberata da ogni male e ricolma di ogni bene... " 60.
Non si può negare che la concezione agostiniana della libertà - libertà di scelta e libertà
dal male - sia davvero grandiosa e che, penetrando nei tessuti della persona umana e
della storia, esprima l'antropologia cristiana nel modo più alto e più bello, ed offra il valido
fondamento per ogni altra libertà, compresa quella sociale ed economica. Ma occorre
seguirlo ancora. Questa volta non nell'esposizione ma nella difesa della sua concezione.

CAPITOLO QUINTO

LA NATURA DELLA LIBERTA'

Da quanto si è detto or ora sulla libertas minor e sulla libertas maior risulta chiaro che la
perdita del posse peccare non è una perdita ma un guadagno: non toglie la libertà, ma la
perfeziona, e a tal punto che la rende piena e totale. Ma in che consiste dunque la libertà
secondo Agostino? La risposta non può essere che articolata. Certamente, non consiste
nel poter peccare e poter non peccare. Questa era l'opinione di Giuliano, cui Agostino
risponde per le rime. Ma la questione non è chiusa. Ci si chiede: consiste forse nel potere
della volontà di volere o non volere, come si è detto sopra parlando della libertà di scelta,
o consiste nel volere il bene con tanta forza e in modo tale da non poterlo non volere?
Anche qui come altrove il nostro dottore è per l'esclusione dei facili aut aut. Alla questione
così posta risponde ricusando, ancora una volta, di scegliere. Non ha scelto tra
prescienza e libertà, non ha scelto tra libertà e grazia, non sceglie neppure qui: proposta
un'importante ( e necessaria) distinzione, sostiene che l'uno e l'altro è vero: è libertà il
potere di volere e non volere, ma è anche libertà il volere il bene senza il potere di non
volerlo. Anzi questa è la forma più alta ed ultima della libertà perché pienamente
conforme alla natura stessa della volontà, la quale, creata per amare il bene, non può
non trovare la sua perfezione nel volerlo in modo pieno, totale, irreversibile.

1. La libertà non consiste nella possibilità di peccare o di non peccare

Era la nozione che ne dava ripetutamente Giuliano. Ecco le sue parole: " La libertà
dell'arbitrio, con la quale l'uomo è emancipato da Dio, consiste nella possibilità di
commettere il peccato o di astenersi dal peccare " 1. Giuliano v'insiste: " L'uomo non
poteva esser capace del proprio bene, se non fosse stato capace anche del male " 2. In
questa definizione Agostino trova due gravi difetti.
Il primo riguarda il particolare dell'uomo che con il libero arbitrio sarebbe emancipato da
Dio. Egli osserva: " Dici l'uomo emancipato da Dio, e non ti rendi conto che con
l'emancipazione si ottiene che l'emancipato non appartenga alla famiglia del padre " 3.
Osservazione breve ma significativa. Il libero arbitrio non rende l'uomo estraneo a Dio,
indipendente dalla sua azione o, peggio ancora, in concorrenza con essa. La concezione
agostiniana della libertà e quella di Giuliano erano davvero molto lontane. Questo fatto
rendeva incomprensibile il discorso sulla grazia. Lo vedremo nelle pagine seguenti.
Il secondo grave difetto toccava la definizione stessa della libertà: " T'inganna, gli dice
Agostino, la definizione che hai dato del libero arbitrio. Hai detto: 'Il libero arbitrio non è
altro che la possibilità di peccare e di non peccare...'. Con questa definizione tu togli il
libero arbitrio a Dio... Inoltre gli stessi santi nel regno di Lui perderebbero, poiché non
possono peccare, il libero arbitrio " 4. E altrove: " ...tu ritieni che appartenga alla natura
del libero arbitrio potere l'uno e l'altro, cioè peccare e non peccare, e pensi che per
questo l'uomo sia stato fatto ad immagine di Dio. Eppure Dio non può l'uno e l'altro. Infatti
nessuno, neppure se pazzo, dirà mai che Dio possa peccare, né tu osi dire che Dio non
ha il libero arbitrio..., in Dio, che non può peccare, il libero arbitrio è sommo " 5.
La forza dell'argomentazione agostiniana sta nei due esempi addotti: Dio e i beati. Ma
hanno valore questi esempi? In che senso Dio è libero? In che senso lo sono i beati?
Sulla libertà divina non ci sono né dubbi né difficoltà quando si tratti delle opere ad extra,
per esempio l'opera della creazione. Intorno alla creazione si sa che Agostino difese
tenacemente e acutamente la creazione nel tempo e la piena libertà di Dio nel creare:
Dio ha creato perché ha voluto, e poteva non volere senza per questo diventare mutabile.
Lo fece contro i neoplatonici che sostenevano e la creazione ab aeterno e la necessità
della creazione. Dio non crea, sentenzia in contrario Agostino, per indigentiae
necessitatem, ma per abundantiam beneficentiae 6; e crea liberamente, nel tempo, anzi
col tempo. Nella Città di Dio spiega, con profonda intuizione metafisica, come ciò non
appaia impossibile anche tenuta presente l'immutabilità divina 7.
Ma la difficoltà nasce dal secondo esempio. In che senso i beati sono liberi? Occorre
premettere che contro la beatitudine ciclica proposta dai neoplatonici Agostino difese con
forza due affermazioni di fondo: 1) la beatitudine non è vera se non è eterna; 2) i beati
non sono beati se non sanno che la beatitudine raggiunta è inamissibile; se invece la
beatitudine fosse amissibile ed essi lo ignorassero, la loro beatitudine sarebbe fondata
sull'ignoranza, che è un assurdo 8. Ma posti questi due princìpi dov'è la libertà dei beati?
Qui per spiegarsi bisognava fare alcune distinzioni.

2. Distinzioni necessarie e importanti

La prima corre tra la libertà di voler essere beati e la libertà di volere il bene per giungere
alla beatitudine: quella è congenita all'uomo ed è assolutamente inamissibile, questa no;
quella infatti non l'abbiamo perduta neppure col peccato - " la volontà di esser beati non
l'abbiamo perduta neppure dopo aver perduto la felicità " 9 -, questa abbiamo bisogno che
ci venga restituita dalla grazia di Cristo. " Se cerchiamo il libero arbitrio dell'uomo a lui
congenito e assolutamente inamissibile, è quello con il quale tutti vogliono essere beati,
anche coloro che non vogliono ciò che conduce alla beatitudine " 10. E poco dopo,
insistendo sullo stesso concetto, scrive: " La libertà immutabile della volontà, con la quale
l'uomo è stato creato ed è creato, è quella per cui tutti vogliamo essere beati e non
possiamo non volerlo; ma questa libertà non basta perché ognuno sia beato, perché non
è congenita all'uomo l'immutabile libertà della volontà con la quale voglia e possa agir
bene come gli è con genita quella di voler essere beato: questo lo vogliono tutti, anche
quelli che non vogliono agire rettamente " 11.
A questa prima distinzione ne segue una seconda che riguarda la libertà del merito e la
libertà del premio. E' molto importante. La enuncia il nostro dottore al termine della Città
di Dio. " Dio non può peccare per natura, ma la creatura partecipe di Dio, riceve da Lui il
non poter peccare. Nel dono divino doveva osservarsi come una graduazione: prima il
libero arbitrio con il quale l'uomo potesse non peccare, poi, per ultimo, il libero arbitrio con
il quale non potesse peccare; quello per acquistare il merito, questo per ricevere il
premio: illud ad comparandum meritum, hoc ad recipiendum praemium " 12. Va osservato
che per Agostino tra la libertà del merito e la libertà del premio c'è una profonda
differenza: quella richiede il potere di volere e di non volere ed è propria dell'uomo in via
verso la beatitudine, questa propria dell'uomo che ha raggiunto la beatitudine. " Si deve
ritenere piuttosto - risponde a Giuliano, sempre sul tema della natura della libertà - che
l'uomo sia stato creato all'inizio capace del bene e del male, affinché, amando il bene,
acquistasse il merito col quale fosse poi capace o del solo bene o del solo male " 13,
secondo i debiti fines delle due città.
Alla seconda distinzione se ne aggiunge quindi una terza. Agostino la propone sempre in
polemica con Giuliano sulla natura della libertà: riguarda la virtus minor e la virtus maior;
distinzione configurata semanticamente a quella di libertas minor e libertas maior che
abbiamo visto. Giova riportare le sue parole: " Quando ci sarà concesso di non
allontanarci dal Signore perché non potremo non vederlo, neppure allora vivremo senza
virtù... Ora non ci sarebbe in noi la virtù altrimenti che in questo modo: non avere la
volontà cattiva e avere il potere di averla; ma in merito di questa virtù minore doveva
esserci data, come premio, la virtù maggiore, quella di non avere la volontà cattiva e non
avere il potere di averla ".
Dopo queste parole Agostino esclama: O desideranda necessitas! 14. Esclamazione che
dice da sola quanta importanza egli annettesse a questa libertà definitiva, che è
necessità, perché la volontà vuole il bene senza poter volere il male; ma è una necessità
sommamente desiderabile, perché con questa l'uomo raggiunge la perfezione ultima, e
perciò la libertà piena. " Allora saremo più felicemente liberi - felicius liberi erimus -
quando non potremo servire al peccato, come lo stesso Dio; ma noi per sua grazia, Egli
invece per sua natura " 15. La nostra libertà dunque è tanto più perfetta quanto più è
vicina a quella di Dio: la libertà di volere il bene e il male è una condizione provvisoria,
una preparazione a quella con cui potremo volere solo il bene.

3. Alcune considerazioni

Non si può chiudere questo argomento senza fare alcune considerazioni, almeno tre.
1) La prima riguarda la virtù minore a cui è legato il merito. Questo e quella abbracciano
tutta la vita presente. Si sa che Agostino difese il merito del giustificato - lo si è detto
altrove 16 e si tornerà a dirlo 17 -; ma il merito suppone nella volontà il potere di volere e di
non volere, volere il bene e poter non volerlo. Tutto quello che ha detto contro i
manichei 18, lo conferma qui contro i pelagiani. Le prime opere devono essere capite,
quanto sia necessario, alla luce delle ultime. Ora nell'ultima, anzi nel libro ultimo
dell'ultima opera restata incompiuta, il vecchio maestro dice esplicitamente che la virtù
minore suppone nella volontà il non volere il male ma unito al potere di volerlo: non dire
di no al bene ma essere in grado di dirlo o, in forma positiva, dire di sì col potere di dire di
no.
Per usare una distinzione posteriore, si può dire che per acquistare il merito (o il
demerito) non basta la libertà dalla coazione; si richiede anche la libertà dalla necessità.
Se ne deve concludere che quando Giansenio sostiene che per meritare o demeritare
basta la prima libertà e non c'è bisogno della seconda 19, non interpreta rettamente il
pensiero agostiniano, anzi, occorre pur dirlo, lo tradisce.La Chiesa condannandone
questa affermazione - è la terza delle cinque proposizioni condannate 20 - è restata fedele
alla sua propria dottrina e a quella del vescovo d'Ippona.
Se è vero che nelle prime opere questi sembra identificare l'atto libero con quello
volontario, ciò dev'essere interpretato, alla luce delle ultime, nel senso che la volontà, non
potendo essere interiormente necessitata che dal bene assoluto e beatificante - la
desideranda necessitas -, resta sempre, fuori del possesso di quel bene, padrona dei
suoi atti, sempre in potere di volere o non volere. La grazia non toglie mai questo potere,
ma lo rispetta e lo fa servire con la " liberale soavità " dell'amore 21 al bene della salvezza,
cioè al raggiungimento della libertà maggiore, quella ultima e definitiva. La permanenza
qui in terra della libertà di scelta è la ragione dell'utrumque su cui tanto insiste Agostino, e
di cui si è parlato 22.
2) La seconda osservazione riguarda la nozione della beatitudine che non può essere
vera se non è consapevolmente eterna. Questo vuol dire che i beati possiedono il bene
beatificante, che è Dio, e lo amano in modo da non poterlo non amare. In caso contrario,
cioè se essi, per ipotesi, conservassero il potere di allontanarsi da Dio, si ricadrebbe nel
concetto platonico della beatitudine ciclica e, per la legge dei contrari, nella possibilità del
ritorno a Dio del diavolo, che era, secondo quanto riteneva Agostino, l'errore di Origene,
che la Chiesa, egli dice, ha giustamente riprovato 23. Perciò a Giuliano che insisteva nella
sua definizione della libertà - poter peccare e non peccare -, rimprovera che in questo
modo egli finisce per rinnovare l'errore di Origene: Origenis nobis instaurabis errorem 24.
Interessante! L' " aristotelico " Giuliano 25 sembra inclinare o aderire addirittura
all'opinione platonica della beatitudine ciclica, mentre il " platonico " Agostino, in nome
della ragione (e della fede), ne è decisamente contrario e la combatte. Concepisce infatti
l'ultima libertà, quella piena e definitiva, come impossibilità di volere il male. Le due
nozioni della libertà, e perciò le due antropologie, erano molto lontane. Questa diversità
non poteva non influire sulle discussioni intorno alla grazia. Quando Agostino parla di
grazia Giuliano intende fato 26: sono agli antipodi. Ma l'opposizione è prima di tutto
teologica, non filosofica: l'impossibilità di peccare per i beati è per Agostino una
conclusione filosofica, sì, ma è prima di tutto un dato teologico.
3) La terza osservazione infine riguarda le radici metafisiche della peccabilità e
dell'impeccabilità: quella deriva dalla creazione dal nulla, questa dal dono della grazia.
Non già che l'uomo pecchi perché creato dal nulla (questa era l'affermazione che
Giuliano attribuiva ad Agostino e che questi respingeva energicamente), ma può peccare
perchè creato dal nulla 27. Infatti perché creato dal nulla, è limitato, mutabile, defettibile, e
perciò può peccare. L'impeccabilità pertanto, cioè l'indefettibile determinazione della
volontà nel bene, non può essere che un dono della grazia la quale rende la creatura
mutabile, l'uomo, partecipe dell'immutabilità divina. Questo tema del passaggio, per dono
di grazia, dal mutabile all'immutabile è tanto frequente nel vescovo d'Ippona da
rappresentare una sintesi profonda del suo pensiero filosofico, teologico e spirituale 28.

4. Ingranaggi della libertà

Sono delicati. Riguardano l'intelletto e la volontà e prendono in considerazione tutto ciò


che influisce sull'uno e sull'altra. Sull'intelletto influisce, negativamente, l'ignoranza, il
dubbio, l'incertezza; sulla volontà la debolezza, il timore, le passioni disordinate. " Gli
uomini non vogliono fare ciò che è giusto per due ragioni: e perché rimane occulto se sia
giusto e perché non è dilettevole ". " Infatti - continua Agostino - fortemente noi vogliamo
qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza della sua bontà e quanto più
ardentemente ci diletta ". E conclude: " Ignoranza dunque e debolezza sono i vizi che
impediscono alla volontà di determinarsi a fare un'opera buona o ad astenersi da
un'opera cattiva: Ignorantia igitur et infirmitas vitia sunt, quae impediunt voluntatem " 29.
L'insistenza di Agostino è sul " vizio " della debolezza 30; è soprattutto questa che
impedisce all'uomo di volere il bene. " Infatti - scrive il nostro dottore - il libero arbitrio non
vale che a peccare 31, se rimane nascosta la via della verità. E quando comincia a non
rimanere più nascosto ciò che si deve fare e dove si deve tendere, anche allora, se tutto
ciò non arriva altresì a dilettare e a farsi amare, non si agisce, non si esegue, non si vive
bene: ...nisi etiam delectet et ametur, non agitur, non suscipitur, non bene vivitur " 32.
Questa insistenza è particolarmente significativa. Essa dice che Agostino, pur
richiedendo, com'era ovvio, la conoscenza della verità perché un atto sia libero, mette
l'accento sul dominio della volontà la quale opera per amore. Senza l'amore e la
dilettazione l'uomo non opera il bene. Nell'atto libero la volontà resta al centro: è la sua
decisione che costituisce l'atto buono o cattivo quando questo, si capisce, sia illuminato
dalla luce dell'intelletto. Il particolare è degno di nota, perché determina la dottrina della
grazia adiuvante, concepita da Agostino soprattutto come inspiratio dilectionis 33.
Infatti su questi ingranaggi della libertà umana scende la grazia; scende al solo scopo di
custodirla, rafforzarla, perfezionarla. Lasciato a se stesso il libero arbitrio viene meno e
diventa servo del peccato: la grazia non solo lo libera dal peccato, se lo ha commesso -
la grazia della giustificazione -, ma lo aiuta a non commetterne: grazia adiuvante, dicevo,
o, come diranno gli scolastici, grazia attuale. Scrive Agostino: " Che diventi noto quello
che era nascosto e soave quello che non dilettava è dono della grazia di Dio, la quale
aiuta le volontà degli uomini " 34.
Questa osservazione ci serve da ponte per passare, senza soluzione di continuità, dal
tema della libertà, della quale Agostino, come si è detto cominciando, è filosofo e teologo
insieme, al tema della grazia, della quale è, per antonomasia, il dottore.

……………….

3. Predestinazione e azione
La predestinazione dunque non esclude ma esige che si parli dell'osservanza diligente
dei precetti divini. Non solo perchà sono precetti e occorre osservarli per dimostrare a Dio
il nostro amore - Agostino seguendo S. Giovanni approfondisce e urge questo nesso -,
ma anche perché attraverso l'osservanza dei precetti possiamo riconoscere di essere o
no nel numero dei predestinati, e sciogliere così sul piano esistenziale il problema della
certezza della nostra salvezza, problema che tante volte emerge nella coscienza e la
tormenta.
E' dottrina esplicita del dottore della grazia. Scrive: " ...dalla vostra stessa corsa - si
riferisce alla 1 Cor 9,24 -, dalla vostra stessa corsa, se è buona e retta, imparate -
condiscite - che voi fate parte dei predestinati alla grazia divina " 45. La certezza morale
che nasce da una sincera condotta cristiana non può non essere fonte di serenità nei
riguardi della propria salvezza e sprone all'azione. Agostino ne è convinto e lo ripete.
Si sa, e lo ricorderò subito appresso, che a proposito della predicazione egli ravvicina,
per le difficoltà che possono suscitare, predestinazione e prescienza. Ora, parlando di
quest'ultima, scrive: " Bisogna dire così: Correte in modo da riportare il premio 46 e [in
modo] da comprendere dalla vostra stessa corsa che voi siete stati conosciuti fin da
principio come quelli che avrebbero corso legittimamente " 47, cioè come quelli che
avrebbero riportato il premio.
Ora, giova ripeterlo, questo non vuol dire far dimenticare una cupa dottrina
predestinaziana con una verità pratica innegabile, la necessità delle opere per la
salvezza, ma vuol dire dedurre da una teoria, che non è né cupa né predestinaziana, una
semplice espressione dell'infinita misericordia di Dio, una conclusione pratica che rientra
nei piani stessi della prescienza e della predestinazione divina come vi rientra, per
esplicita affermazione di Agostino, la preghiera.

4. Predestinazione e predicazione

Dopo quanto si è detto sugli aspetti pastorali della predestinazione, si potrebbe omettere
quello riguardante la predicazione di questa dottrina. Agostino v'insisté a lungo
dedicandovi buona parte del suo Dono della perseveranza perché era un argomento su
cui, come riferivano Prospero ed Ilario 48, si appuntavano le critiche dei marsigliesi, per i
quali predicare sulla predestinazione era inutile e nocivo. La risposta di Agostino, attenta
ed articolata, si può riassumere così:
1) la propone la Scrittura: perché dunque dovrebbe essere inutile o, peggio, dannoso
parlarne? " Per qual motivo dunque dovremmo pensare che per predicare, per insegnare,
per prescrivere, per riprendere, tutte cose cui la Scrittura divina ricorre continuamente,
sia inutile la dottrina della predestinazione, quando la Scrittura stessa vi insiste? " 49.
2) Se parlare di predestinazione può creare malintesi, lo stesso si deve dire della
prescienza: bisognerebbe tacere dunque anche di questa. Non è troppo? Sulla
prescienza divina e la libertà umana Agostino aveva parlato a lungo nella Città di Dio 50.
Qui si limita a portare l'esempio d'un monaco del suo monastero, il quale per fare il
comodo suo si appellava appunto alla prescienza di Dio. A chi infatti lo rimproverava
della sua condotta, rispondeva: " qualunque io sia ora, sarò quello che Dio ha previsto
che sarei stato ". Commenta Agostino: " E senz'altro diceva la verità, ma per questo non
progrediva nel bene; anzi arrivò a tal punto nel male che, abbandonata la comunità
monastica... ". " Dunque, conclude, forse per anime come questa bisogna negare o
tacere le verità che si affermano sulla prescienza di Dio, e proprio allora tacerle, quando
a tacerle s'incorre in altri errori? " 51.
3) Bisogna dunque parlare della predestinazione come di qualunque altra verità cristiana,
ma, s'intende, nel momento opportuno e nel modo opportuno, due circostanze importanti
che Agostino esige 52. Se ne può tacere solo quando non vi sia pericolo che vengano
negate altre verità di fede, come la gratuità della grazia. Si sa che la difesa della gratuità
della grazia è la ragione di fondo del discorso sulla predestinazione. L'ho detto
cominciando 53, ed è bene tornarci sopra. Spesso per Agostino si pone questo dilemma:
" Bisogna predicare la predestinazione nel modo evidente in cui la Scrittura ne parla, e
dire che nei predestinati i doni e la chiamata del Signore sono senza ripensamenti,
oppure confessare che la grazia di Dio è data secondo i nostri meriti, come intendono i
pelagiani " 54.
4) Parlarne dunque, ma tenendo presenti le capacità degli ascoltatori e mettendo in luce
che la predestinazione non esclude ma include sia la preghiera che le opere buone.
Agostino ammonisce: " dev'essere predicata non senza prudenza alla gente, altrimenti la
folla inesperta o di più lenta intelligenza può credere che la predestinazione sia messa
sotto accusa proprio nel momento in cui la predichiamo ". Ritorna l'esempio della
prescienza: " ...a questa maniera può sembrare oggetto di critica anche la prescienza di
Dio (che certo non possono negare), se la si presenta così alla gente: Sia che corriate,
sia che dormiate, sarete solo quello che di voi ha conosciuto nella sua prescienza Colui
che non si può ingannare ". Conclusione: " Sarebbe un comportamento da medico
indegno di fiducia o di scarsa esperienza applicare un medicamento anche utile ma in
maniera che non giova o nuoce " 55. A questo punto lo stesso dottore suggerisce di
ricordare l'altra verità inclusa nei piani divini della predestinazione: la preghiera e le opere
buone, di cui ho parlato.

5. Predestinazione e pietà cristiana

Tutta la dottrina agostiniana della grazia, predestinazione compresa, fonda ed anima uno
stile particolare di pietà che tutto fa pensare fosse piuttosto lontano da quello che
traspare dall'atteggiamento e dalle convinzioni dei monaci provenzali. E' uno stile che si
può riassumere in brevi affermazioni:
1) la coscienza profonda della propria fragilità, e quindi il ricorso fiducioso e l'abbandono
totale a Dio " ricco di misericordia " 56;
2) l'assiduità alla preghiera come mezzo insostituibile di salvezza: Agostino ne è il
teologo e il mistico;
3) la docilità umile e gioiosa all'azione della grazia che guida l'uomo con quella " soave
liberalità " 57, la quale avvince e mette in moto l'esercizio del libero arbitrio;
4) l'esercizio continuo dell'umiltà, che, inseparabile dalla carità - ubi humilitas, ibi caritas 58
-, entra con essa nella struttura essenziale, anzi nel punto focale della vita dello spirito.
Quest'ultimo argomento meriterebbe una considerazione particolare, non parenetica ma
teologica, che qui non è stata fatta e, perché troppo lunga, non è possibile fare. Basti dire
che il vescovo d'Ippona, vero dottore dell'umiltà, ha scrutato tutte le radici - metafisiche,
teologiche, cristologiche, psicologiche - di questa virtù e ha dimostrato che essa
raggiunge il suo apice proprio nella dottrina della grazia, e precisamente nel qui gloriatur
in Domino glorietur 59 di S. Paolo, tante volte ricordato, e nel totum dantes Deo 60 che in
una forma o nell'altra viene menzionato spesso nell'ultima opera, il Dono della
perseveranza.
Si può dire, terminando, che questo stile o questa forma di pietà cristiana, che Agostino
sentì profondamente ed espresse e difese con passione - egli ne parla sempre non solo
come teologo e pastore ma anche come mistico -, è passata, grazie soprattutto a lui,
nella liturgia, e, attraverso la liturgia, ha nutrito e nutre tante generazioni di fedeli cristiani.

6. Predestinazione e dottrina cattolica

Ma urge fare un altro confronto: predestinazione e dottrina cattolica. Agostino è


profondamente convinto che la predestinazione, quale egli la propone, è contenuta nella
Scrittura e appartiene alla dottrina cattolica: nessuno può ricusarla se non errando. Ecco
le sue esplicite parole: " Io questo so, che nessuno ha mai potuto discutere se non
errando contro questa predestinazione che noi sosteniamo in base alle sante
Scritture " 61. Indubbiamente son parole molto forti. Due domande s'impongono.
La prima è questa: perché tanta ferma certezza nel dottore della grazia? Non è difficile
rispondere: basta ricorrere alla definizione di predestinazione che egli ci offre, e cioè: " la
prescienza e la predestinazione dei benefici di Dio " 62, o, più semplicemente: " la
disposizione [da parte di Dio] delle sue opere future " 63. L'ho detto cominciando. Con ciò
tutto si riduce ai doni della salvezza: fede, giustificazione, perseveranza finale. Se questi
doni sono certi, è certo altresì che essi sono oggetto fin dall'eternità della prescienza
divina; esiste pertanto la predestinazione e con questa le disposizioni di Dio a dare tali
doni. Se Dio invece non ne ha la prescienza, vuol dire che non ha la prescienza affatto, e
perciò non è Dio 64. Ecco di nuovo le sue parole che fanno leva sui doni dell'inizio della
fede e della perseveranza finale che erano il motivo e l'oggetto dell'opera che stava
scrivendo. " Questi doni di Dio, scrive, se non esiste la predestinazione che noi
sosteniamo, non sono oggetto della prescienza divina, e invece lo sono; questa è allora
la predestinazione che difendiamo " 65. Per confermare questa sua convinzione si appella
a Cipriano e ad Ambrogio, ma non cita un loro eventuale discorso sulla predestinazione,
bensì il discorso sui doni di Dio. Del primo riporta la tante volte citata espressione: " In
nulla dobbiamo gloriarci, perché nulla è nostro "; del secondo: " Non sono in nostro
potere il nostro cuore e i nostri pensieri " 66; quasi a dire che tutta la questione della
predestinazione sta qui: nell'affermare o negare i doni di Dio, specialmente i due
contestati: l'inizio della fede e la perseveranza finale.
La seconda domanda è quest'altra: ha ragione Agostino di essere convinto che la
predestinazione sia contenuta nella Scrittura e appartenga alla dottrina cristiana? La
risposta può essere affermativa a condizione che si stia al pensiero agostiniano senza
caricarlo dei problemi che vi hanno aggiunto le discussioni posteriori. Occorre pertanto
tenere presenti alcune osservazioni di fondo. Le ho ricordate qua e là nelle pagine
precedenti, ma giova riassumerle per comodità del lettore che, avendo fretta, si contenta
di dare uno sguardo alle pagine riassuntive.
La prima osservazione riguarda la prescienza divina. Agostino ha difeso energicamente,
com'è noto, la prescienza di Dio 67, ha indicato con grande acume la via per giungere ad
averne una qualche idea 68, ma per darne una spiegazione si è fermato all'eternità divina
a cui tutti i momenti del tempo sono presenti 69. Tutto il resto appartiene alla Scolastica,
particolarmente alla Scolastica post-tridentina: scienza di visione o di semplice
intelligenza, scienza media, e soprattutto la ricerca del come o medium in quo le azioni
libere future siano presenti alla divina essenza (da qui il ricorso ai decreti
predeterminanti). Tutto questo, ripeto, appartiene alla Scolastica, non al vescovo
d'Ippona: volerlo trovare in lui, nei suoi princìpi se non nelle sue parole, non vuol dire altro
che ascrivergli i propri pensieri precludendosi la strada per capire quelli di lui.
La seconda osservazione riguarda il modo di considerare la predestinazione.
Parlandone, non distingue, come fanno gli Scolastici, tra predestinazione considerata nel
suo complesso - grazia e gloria - e la predestinazione considerata in un aspetto
particolare, cioè solo in quanto alla gloria. A lui basta riaffermare che la predestinazione,
con tutti i beni ch'essa comporta - fede, giustificazione, perseveranza, gloria -, è un dono
di Dio concesso agli eletti prima di ogni previsione di meriti. Ne segue che è Dio, non
l'uomo, che distingue tra eletti e non eletti: i beni della salvezza sono disposti prima di
ogni previsione di meriti.
La sottile distinzione, se pur ha ragione di essere, tra la predestinazione nel suo
complesso che è, come tutta la tradizione cattolica riconosce, assolutamente gratuita
(ante praevisa merita), e la predestinazione alla gloria presa in sé, su cui gli Scolastici
hanno discusso animatamente, se possa, almeno questa, considerarsi o no posteriore
alla previsione dei meriti (post praevisa merita), non è agostiniana. E' doveroso dunque
lasciare Agostino, se lo si vuole capire, fuori delle distinzioni e delle discussioni posteriori.
La terza osservazione riguarda l'apice stesso della dottrina della predestinazione, cioè la
visione cristologica che Agostino ne ha. Gli eletti sono stati predestinati con Cristo e in
Cristo, e perciò gratuitamente ed infallibilmente 70.
La quarta riguarda la sorte di quelli che non si salvano. Cristo è morto per tutti e per tutti
è diventato " la via universale di salvezza ". Perciò non v'è dubbio che chi si perde, si
perde per sua colpa: " che alcuni si salvino è dono di chi li salva, ma che alcuni periscano
è merito di chi perisce " 71. Dio, ha tante volte ripetuto Agostino, non deserit, nisi
deseratur 72. Il mistero della predestinazione non sta qui, ma molto più in alto. L'ho detto
ripetutamente 73.
Si potrebbe aggiungere un'ultima osservazione riguardante il modo con il quale la grazia,
salva la libertà, conduce l'uomo infallibilmente alla salvezza. Agostino insiste sul fatto, ma
è molto cauto sul modo; si arresta senza difficoltà di fronte al mistero e avanza come
ragione d'intelligibilità il motivo a lui tanto caro della liberalis suavitas amoris 74.
In una parola, della predestinazione Agostino ha indicato le linee maestre. Restando ad
esse si può dargli ragione quando afferma che nessuno può negarla senza errare. Di
fatto, i teologi posteriori, accettando quelle linee, hanno consentito con lui su questo
giudizio. Tutti infatti - tomisti, agostiniani, congruisti, molinisti - hanno sostenuto di restare
dentro le linee fissate da Agostino teologo e pastore. Queste linee appartengono
all'insegnamento cristiano e, senza errore, non si possono negare.
Non debbono però essere intese in un'ottica a se stante ma, ripeto, nel contesto
pastorale in cui Ag. le vedeva e le sentiva. Ecco, a conclusione di questa introduzione, la
conclusione di un suo discorso al popolo: " Venga il Signore nostro, il secondo
uomo...venga da un altro sentiero, venga attraverso la Vergine; venga vivo, trovi i morti;
muoia per aiutare chi muore, trasferisca alla vita i morti, redima dalla morte i morti,
conservi nella morte la vita, uccida la morte con la morte. Unica è questa grazia dei
bambini e degli adulti; essa sola libera i piccoli con i grandi. Perché quello e perché
quello; perché quello e non quello? Non me lo chiedere. Sono uomo: la profondità della
croce l'intuisco, non la penetro; ne ho timore, non la scruto. Sono imperscrutabili i suoi
giudizi, ininvenstigabili le sue vie (Rom 11,33). Sono uomo, sei uomo, era uomo colui che
diceva: O uomo, chi sei che disputi con Dio? (Rom 9,20). Parlava un uomo, parlava ad
un uomo. Ascolti l'uomo perché non perisca l'uomo, a causa del quale Dio si è fatto
uomo. In questa profondità della croce, in questa così grande oscurità delle cose
crediamo ciò che abbiamo cantato; non presumiamo delle nostre virtù, non attribuiamo
qualcosa alle forze del nostro misero ingegno in questa questione; diciamo il Salmo,
diciamo con il Salmo: Abbi pietà di me, o Dio, abbi pietà di me. Perché? Perché ho
capacità di meritarti? No. Perché? Perché ho l'arbitrio della volontà, per cui il mio merito
precede la tua grazia? No. Ma perché allora? Perché la mia anima confida in te (Ps
56,2). E' grande scienza, questa fiducia " 75.

………………

Sant'Agostino, B. Nov. 13, 354, d. Novembre 13, 354, d. Aug. 28, 430, was one of the
foremost philosopher-theologians of early Christianity and, while serving (396-430) as
bishop of Hippo Regius, the leading figure in the church of North Africa. Ago 28, 430, è
stato uno dei primi teologi-filosofo di inizio di cristianesimo e, pur servendo (396-430),
vescovo di Ippona regius, la principale figura nella chiesa del Nord Africa. He had a
profound influence on the subsequent development of Western thought and culture and,
more than any other person, shaped the themes and defined the problems that have
characterized the Western tradition of Christian Theology. Aveva una profonda influenza
sul successivo sviluppo del pensiero occidentale e cultura e, più di qualsiasi altra
persona, a forma di temi e definiti i problemi che hanno caratterizzato la tradizione
occidentale della teologia cristiana. Among his many writings considered classics, the two
most celebrated are his semiautobiographical Confessions, which contains elements of
Mysticism, and City of God, a Christian vision of history. Tra i suoi molti scritti considerati
classici, i due più celebri sono i suoi semiautobiographical Confessioni, che contiene
elementi di misticismo, e della Città di Dio, una visione cristiana della storia.

Early Life and Conversion Precoce vita e di conversione

Augustine was born at Thagaste (modern Souk-Ahras, Algeria), a small town in the
Roman province of Numidia. Agostino è nato a Thagaste (moderno Souk-Ahras,
Algeria), una piccola cittadina nella provincia romana della Numidia. He received a
classical education that both schooled him in Latin literature and enabled him to
escape from his provincial upbringing. Egli ha ricevuto una istruzione classica
scolarizzati che sia lui in letteratura latina e gli ha consentito di sfuggire dalla sua
educazione provinciale. Trained at Carthage in rhetoric (public oratory), which was a
requisite for a legal or political career in the Roman empire, he became a teacher
of rhetoric in Carthage, in Rome, and finally in Milan, a seat of imperial government
at the time. Addestrato a Cartagine nel retorica (pubblico oratorio), che è stato un
requisito per un diritto o di carriera politica nel romano, divenne maestro di retorica a
Cartagine, a Roma e, infine, a Milano, un posto di governo imperiale al momento . At
Milan, in 386, Augustine underwent religious conversion. A Milano, nel 386, Agostino
subito conversione religiosa. He retired from his public position, received baptism
from Ambrose, the bishop of Milan, and soon returned to North Africa. Si ritirò dalla
sua posizione pubblica, ha ricevuto il battesimo da Ambrogio, vescovo di Milano, e presto
restituito al Nord Africa. In 391, he was ordained to the priesthood in Hippo Regius
(modern Bone, Algeria); five years later he became bishop. Nel 391, fu ordinato
sacerdote a Ippona regius (moderno ossee, Algeria); cinque anni più tardi divenne
vescovo.

The first part of Augustine's life (to 391) can be seen as a series of attempts to reconcile
his Christian faith with his classical culture. La prima parte della vita di Agostino (391) può
essere visto come una serie di tentativi di conciliare la sua fede cristiana con la sua
cultura classica. His mother, Saint Monica, had reared him as a Christian. Sua madre, S.
Monica, aveva allevati lui come a un cristiano. Although her religion did not hold an
important place in his early life, Christianity never totally lost its grip upon him. Anche se
la sua religione non è in possesso di un posto importante nella sua vita precoce, il
cristianesimo non del tutto perso la sua presa su di lui. As a student in Carthage, he
encountered the classical ideal of philosophy's search for truth and was fired with
enthusiasm for the philosophic life. Come uno studente in Cartagine, ha incontrato la
classica ideale di filosofia della ricerca della verità ed è stato licenziato con entusiasmo
per la vita filosofica. Unable to give up Christianity altogether, however, he adopted
Manichaeism, a Christian heresy claiming to provide a rational Christianity on the basis of
a purified text of Scripture. Non riesci a rinunciare al cristianesimo del tutto, però, egli ha
adottato manicheismo, una eresia cristiana la pretesa di fornire un cristianesimo
razionale sulla base di un testo purificato della Scrittura. Nine years later, his association
with the Manichees ended in disillusionment; and it was in a religiously detached state
that Augustine arrived in Milan. Nove anni più tardi, la sua associazione con il Manichees
si è concluso nel delusione, e si è in un religioso staccato affermare che Agostino arrivati
a Milano. There he discovered, through a chance reading of some books of
Neoplatonism, a form of philosophy that seemed compatible with Christian belief. Vi ha
scoperto, attraverso una possibilità di lettura di alcuni libri di neoplatonismo, una forma di
filosofia che sembrava compatibile con la fede cristiana. At the same time, he found that
he was at last able to give up the ambitions for public success that had previously
prevented him from embracing the philosophic life. Allo stesso tempo, ha trovato che gli è
stato finalmente in grado di rinunciare alle ambizioni per gli appalti pubblici di successo
che aveva precedentemente impedito da lui che abbraccia la filosofia di vita. The result
was the dramatic conversion that led Augustine to devote his life to the pursuit of truth,
which he now identified with Christianity. Il risultato è stato il drammatico conversione di
Agostino che ha portato a dedicare la sua vita alla ricerca della verità, che egli ora
identificato con il cristianesimo. With a small group of friends, he returned to North Africa
and, in Thagaste, established a religious community dedicated to the intellectual quest for
God. Con un piccolo gruppo di amici, è tornato in Nord Africa e, in Thagaste, ha istituito
una comunità religiosa dedicata alla ricerca intellettuale di Dio.

Later Life and Influence - Più tardi la vita e influenza

Augustine's ordination, unexpectedly forced upon him by popular acclamation


during a visit to Hippo in 391, brought about a fundamental change in his life and
thought. Augustine's ordinazione, inaspettatamente costretto su di lui da acclamazione
popolare nel corso di una visita a Ippona nel 391, ha apportato un cambiamento
fondamentale nella sua vita e di pensiero. It redirected his attention from the
philosophic Christianity he had discovered in Milan to the turbulent, popular
Christianity of North Africa's cities and towns. È reindirizzato la sua attenzione da
parte del cristianesimo filosofica che aveva scoperto a Milano per il turbolento, il
cristianesimo popolare del Nord Africa della città e città.

His subsequent career as priest and bishop was to be dominated by controversy and
debate. La sua successiva carriera come sacerdote e vescovo è stato quello di essere
dominato da polemiche e il dibattito. Especially important were his struggles with the
Donatists and with Pelagianism. Particolarmente importante sono state le sue lotte con la
Donatists e con pelagianesimo. The Donatists promoted a Christian separatist
movement, maintaining that only they were the true church and that, as a result, only their
Sacraments were valid. La Donatists promosso un movimento separatista cristiano,
sostenendo che solo loro sono stati la vera chiesa e che, di conseguenza, solo la loro
sacramenti sono validi. Augustine's counterattack emphasized unity, not division, as the
mark of true Christianity and insisted that the validity of the sacraments depended on
Christ himself, not on any human group or institution. Augustine's contrattacco
sottolineato l'unità, non divisione, come il marchio del vero cristianesimo e ha insistito sul
fatto che la validità dei sacramenti dipendeva da Cristo stesso, non a qualsiasi gruppo
umano o istituzione. Pelagianism, an early 5th-century Christian reform movement, held
that no person could be excused from meeting the full demand of God's law.
Pelagianesimo, una prima 5o secolo cristiano movimento di riforma, ha dichiarato che
nessuna persona possa essere esonerato da soddisfi pienamente la domanda della
legge di Dio. In doing so, it stressed the freedom of the human will and its ability to
control motives and regulate behavior. In tal senso, essa ha sottolineato la libertà della
volontà umana e la sua capacità di controllare e regolamentare motivi comportamento. In
contrast, Augustine argued that because of Original Sin no one can entirely govern his
own motivation and that only the help of God's Grace makes it possible for persons to will
and to do good. Al contrario, Agostino ha sostenuto che a causa del peccato originale
non si può governare interamente la sua motivazione e che solo l'aiuto della grazia di Dio
rende possibile per le persone di volontà e di fare del bene. In both of these
controversies, In entrambe le controversie,
Augustine opposed forces that set some Christians apart from others on grounds either of
religious exclusivism or of moral worth. Agostino forze opposte che fissano alcuni cristiani
a prescindere dagli altri per motivi religiosi o di esclusivismo o di un valore morale.

Augustine must be reckoned as one of the architects of the unified Christianity that
survived the barbarian invasions of the 5th century and emerged as the religion of
medieval Europe. Agostino deve essere contabilizzato come uno degli architetti del
cristianesimo unificato che è sopravvissuto invasioni barbariche del 5 ° secolo ed è
emersa come la religione di Europa medievale. He succeeded in bringing together the
philosophic Christianity of his youth and the popular Christianity of his congregation in
Hippo. Riuscì a riunire la cristianità filosofica della sua giovinezza e il cristianesimo
popolare della sua congregazione in Ippona. In doing so, he created a theology that has
remained basic to Western Christianity, both Roman Catholic and Protestant, ever since.
In tal modo, egli ha creato una teologia che è rimasta a base cristianesimo occidentale,
sia cattolica romana e protestanti, da allora. Feast day: Aug. 28. Giorno di festa: 28
agosto.

William S. Babcock William S. Babcock

Bibliography Bibliografia
Battenhouse, Roy, ed., A Companion to the Study of St. Augustine (1955); Brown, Peter, Augustine of
Hippo (1967; repr. 1987); Burnaby, John, Amor Dei: A Study of the Religion of St. Augustine (1938 repr.
1960); Chadwick, Henry, Augustine (1986); Marrou, HI, St. Augustine and His Influence Through the
Ages, trans. Battenhouse, Roy, ed., Un compagno per lo studio di S. Agostino (1955); Brown, Pietro,
Agostino d'Ippona (1967; ripr. 1987); Burnaby, Giovanni, Amor Dei: uno studio della Religione di S.
Agostino (1938 repr. 1960); Chadwick, Henry, Agostino (1986); Marrou, HI, S. Agostino e la sua
influenza attraverso i secoli, trans. by P. Hepburne-Scott (1957); O'Daly, Gerard, Augustine's Philosophy
of the Mind (1987); O'Meara, John, An Augustine Reader (1973); Pagels, Elaine, Adam, Eve, and the
Serpent (1988); Pelikan, Jaroslav, The Mystery of Continuity: Time and History, Memory and Eternity in
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P. Hepburne-Scott (1957); O'Daly, Gerard, Agostino Filosofia della mente (1987); O'Meara, John, An
Agostino Reader (1973); Pagels, Elaine, Adamo, Eva, e il serpente ( 1988); Pelikan, Jaroslav, Il mistero
di continuità: il tempo e la storia, di memoria e di eternità nel pensiero di S. Agostino (1986); Smith,
Warren Thomas, Agostino: La sua vita e di pensiero (1980).

Saint Augustine of Hippo (354-430) S. Agostino di Ippona (354-430)

Advanced Information - Informazioni avanzate

Perhaps antiquity's greatest theologian, Augustine was born in Tagaste, North Africa
(Algeria), to Patricius, a pagan, and Monica, a Christian. Forse l'antichità più grande
teologo, Agostino è nato a Tagaste, Nord Africa (Algeria), Patricius, una pagana, e
Monica, un cristiano. He studied grammar at Madaura and rhetoric in Carthage, and was
intellectually stimulated by reading Cicero's Hortensius. Ha studiato a Madaura
grammatica e retorica in Cartagine, ed è stato stimolato intellettualmente di lettura
Cicero's Hortensius. After a carnal life during his school days he joined the Manichaean
religion (373). Dopo una vita carnale, durante la sua giorni di scuola è entrato a far parte
della religione manichea (373). He taught grammar and rhetoric in North Africa (373-82)
and then in Rome (383), where he abandoned the Manicheans and became a skeptic. Ha
insegnato retorica, grammatica e nel Nord Africa (373-82) e poi a Roma (383), dove ha
abbandonato il Manicheans e divenne a Skeptic. He moved to Milan to teach (384),
where he was later influenced by the reading of Neoplatonic philosophy and by
Ambrose's sermons. Si trasferisce a Milano per insegnare (384), dove è stato in seguito
influenzato dalla lettura del Neoplatonic filosofia e di Ambrogio's sermoni. He was
converted through an exhortation, overheard in a garden, from Rom. Egli è stato
convertito con un'esortazione, overheard in un giardino, da Rom. 13:13-14, was baptized
by Ambrose (387), and was reunited with his mother, who died shortly thereafter. 13:13-
14, è stato battezzato da Ambrogio (387), ed è stata riunificata con la madre, che morì
poco dopo.

After years of retreat and study Augustine was ordained a priest in Hippo, North Africa
(391), where he established a monastery and where he later became bishop (395). Dopo
anni di ritiro e di studio Agostino è stato ordinato sacerdote a Ippona, l'Africa del Nord
(391), dove aveva fondato un monastero e dove in seguito divenne vescovo (395). The
rest of his life can be seen by the controversies he engaged in and the writings he
produced. Il resto della sua vita può essere visto da lui le controversie impegnati in scritti
e le ha prodotte. Augustine died August 28, 430, as the vandals laid siege to Rome.
Agostino è morto 28 agosto 430, come i vandali di cui assedio a Roma.

Major Writings Scritti principali

Augustine's works fall roughly into three periods. Agostino opere rientrano grosso
modo in tre periodi.

First Period(386-96) Primo periodo (386-96)

The first category in this period consists of philosophical dialogues: Against the
Academics (386), The Happy Life (386), On Order (386), On Immortality of the Soul
and On Grammar (387), On the Magnitude of the Soul (387-88), On Music (389-91),
On the Teacher (389), and On Free Will (FW, 388-95). La prima categoria in questo
periodo consiste di dialoghi filosofici: Contro i docenti (386), La vita felice (386), su
ordinazione (386), di immortalità dell 'anima e sulla grammatica (387), D'Entità del
Soul ( 387-88), sulla musica (389-91), Il Maestro (389), e sul libero arbitrio (FW, 388-
95). The second group is the anti-Manichaean works such as On the Morals of the
Catholic Church (MCC) and On the Morals of the Manicheans (388), On Two Souls
(TS, 391), and Disputation Against Fortunatus the Manichean (392). Il secondo
gruppo è l'anti-manichea opere come Il morale della Chiesa Cattolica (MCC) e sul
morale dei Manicheans (388), su due anime (TS, 391), e Disputation contro la
Fortunatus manicheo (392) . The last category is made up of theological and
exegetical works such as Against the Epistle of Manichaeus (397), Diverse
Questions (389-96), On the Utility of Believing (391), On Faith and Symbol (393),
and some Letters (L) and Sermons. L'ultima categoria è costituita da esegetica e
teologica opere come ad esempio contro la lettera di Manichaeus (397), diverse
interrogazioni (389-96), sul programma di utilità di credere (391), sulla fede e il
simbolo (393), e alcune lettere (L) e Sermoni.

Second Period (396-411) Secondo periodo (396-411)

This group of writings contains his later anti-Manichaean writings such as Against
the Epistle of Manichaeus (397), Against Faustus the Manichean (AFM, 398), and
On the Nature of the Good (399). Questo gruppo di scritti contiene più tardi il suo
anti-manichea scritti come ad esempio contro la lettera di Manichaeus (397),
contro il manicheo Fausto (AFM, 398), e sulla natura del Buon (399). Next were
some ecclesiastical writings, as On Baptism (400), Against the Epistle of Petilian
(401), and On the Unity of the Church (405). Accanto sono stati scritti alcuni
ecclesiastici, come Il Battesimo (400), contro la lettera di Petilian (401), e su l'unità
della Chiesa (405). Finally there were some theological and exegetical works such
as the famous Confessions (C,398-99), On the Trinity (T,400-416), On Genesis
According to the Literal Sense (400-415), On Christian Doctrine I,III (CD,387). Infine
ci sono stati alcuni esegetica e teologica opere come la famosa Confessioni (C ,
398-99), La Trinità (T ,400-416), Sulla Genesi Secondo il senso letterale (400-415),
Sulla dottrina cristiana I, III (CD, 387). Letters, Sermons, and Discourses on Psalms
were also written during this period. Lettere, Sermoni, e Discorsi sulla Salmi sono
stati scritti anche durante questo periodo.

Third Period (411-30) Terzo periodo (411-30)

The works in the final period of Augustine's writings were largely antiPelagian. Le
opere nel periodo finale di scritti di Agostino sono state in larga misura
antiPelagian. First against the Pelagians he wrote On the Merits and Remission of
Sins (MRS, 411-12), On the Spirit and the Letter (SL,412), On Nature and Grace
(415), On the Correction of the Donatists (417), On the Grace of Christ and On
Original Sin (418), On Marriage and Concupiscence (419-20), On the Soul and Its
Origin (SO,419), The Enchiridion (E,421), and Against Julian (two books, 421 and
429-30). Prima contro la Pelagiani ha scritto sul merito e remissione dei peccati
(MRS, 411-12), per lo spirito e la lettera (SL, 412), sulla natura e la grazia (415),
sulla correzione dei Donatists (417) , Sulla grazia di Cristo e sul peccato originale
(418), sul matrimonio e concupiscenza (419-20), Su anima e la sua origine (SO,
419), La Enchiridion (E, 421), e contro Julian (due libri , 421 e 429-30). The second
group of anti-Pelagian writings include On Grace and Free Will (GFW,426), On
Rebuke and Grace (426), On Predestination of the Saints (428-29), and On the Gift
of Perseverance (428-29). Il secondo gruppo di anti-Pelagie comprendono scritti Su
Grazia e libero arbitrio (GFW, 426), Il rimprovero e di grazia (426), Sulla
predestinazione di Santi (428-29), e sul dono della perseveranza (428-29) . The last
writings in this period are theological and exegetical, including perhaps his
greatest work, The City of God (CG,413-26). L'ultimo scritti in questo periodo sono
esegetica e teologica, tra cui forse il suo più grande lavoro, La Città di Dio (CG ,
413-26). On Christian Doctrine (CD, Book IV, 426) and the Retractations (426-27) fit
here, as well as numerous Letters, Sermons, and Discourses on Psalms. Sulla
Dottrina Cristiana (CD, libro IV, 426) e la Retractations (426-27) fit qui, oltre a
numerose lettere, Sermoni, e Discorsi sulla Salmi.

Translations of Augustine's works can be found in numerous sources, including Ancient


Christian Writers; Catholic University of America Patristic Studies; The Works of Aurelius
Augustinus; The Fathers of the Church; Library of Christian Classics; and A Select
Library of Nicene and Post-Nicene Fathers. Traduzioni di opere di Agostino possono
essere trovati in numerose fonti, tra cui antichi scrittori cristiani; Università Cattolica
d'America Studi patristica; le opere di Aurelius Augustinus; I Padri della Chiesa; Library of
Christian Classics, e una Selezionare Biblioteca di niceno e Post-niceno Padri.

Theology Teologia

Augustine is the father of orthodox theology. Agostino è il padre della teologia


ortodossa.

God Dio

Augustine argued for aseity (CG XI, 5), absolute immutability (CG XI, 10), simplicity
(CG VIII, 6), and yet a triunity of persons (L 169, 2, 5) in this one essence. Agostino
ha sostenuto per aseity (CG XI, 5), assoluta immutabilità (CG XI, 10), semplicità
(CG VIII, 6), e ancora una triunity di persone (L 169, 2, 5) in questa essenza. God is
also omnipresent (CG VII, 30), omnipotent (CG V, 10), immaterial (spiritual) (CG VIII,
6), eternal (TXIV, 25, 21). Dio è anche onnipresente (CG VII, 30), onnipotente (CG V,
10), immateriale (spirituale) (CG VIII, 6), eterna (TXIV, 25, 21). God is not in time but
is the creator of time (CXI,4). Dio non è nel tempo, ma è il creatore di tempo (XCIX,
4).

Creation Creazione

For Augustine creation is not eternal (C XI, 13, 15). Per la creazione di Agostino
non è eterna (C XI, 13, 15). It is ex nihilo (out of nothing) (C XII, 7, 7), and the "days"
of Genesis may be long periods of time (CG XI, 6-8). E 'ex nihilo (dal nulla) (C XII, 7,
7), e il "giorno" della Genesi possono essere lunghi periodi di tempo (CG XI, 6-8).
Each soul is not created at birth but is generated through one's parents (SO 33).
Ogni anima non è creata alla nascita, ma è generato attraverso la genitori (SO 33).
The Bible is divine (E 1,4), infallible (CG XI, 6), inerrant (L 28, 3), and it alone has
supreme authority (CG XI, 3) over all other writings (AFM XI, 5). La Bibbia è divino
(E 1,4), infallibile (CG XI, 6), inerrant (L 28, 3), e da solo ha l'autorità suprema (CG
XI, 3) su tutti gli altri scritti (AFM XI, 5). There are no contradictions in the Bible (CD
VII, 6, 8). Non vi sono contraddizioni nella Bibbia (CD VII, 6, 8). Any error can be
only in the copies, not in the original manuscripts (L 82, 3). Qualsiasi errore può
essere solo in copie, non nel manoscritti originali (L 82, 3). The eleven books of the
Apocrypha are also part of the canon (CD II, 8, 12) because they were part of the
LXX, which Augustine believed to be inspired, and because they contain many
wonderful stories of martyrs (CG XVIII, 42). Gli undici libri del Apocrypha sono
anche parte del canone (CD II, 8, 12) perché erano parte dei LXX, che Agostino
ritiene che sia ispirato, e, poiché contengono molti meravigliose storie di martiri
(CG XVIII, 42) . Augustine recognized that the Jews did not accept these
apocryphal books (CG XIV, 14). Agostino riconosciuto che gli ebrei non hanno
accettato questi libri apocrifi (CG XIV, 14). The canon was closed with the NT
apostles (CG XXXIX, 38). Il canone è stato chiuso con l'NT apostoli (CG XXXIX, 38).

Sin Peccato

Augustine believed sin originated with free will, which is a created good (TR XIV,
11). Agostino creduto peccato origine con libero arbitrio, che è una buona creato
(TR XIV, 11). Free will implies the ability to do evil (CG XII, 6). Libera volontà
implica la capacità di fare il male (CG XII, 6). It is a voluntary (TR XIV, 27),
noncompulsory (TS X, 12), self-determined act (FW III, 17, 49). Si tratta di un
volontario (TR XIV, 27), non obbligatorie (TS X, 12), auto-determinato atto (FW III,
17, 49). Augustine appears to have later contradicted this view when he concluded
that Donatists could be forced to believe against their will (Correction of the
Donatists III, 13). Agostino sembra aver contraddetto più tardi questo punto di
vista quando ha concluso che Donatists potrebbe essere costretto a credere
contro la loro volontà (Correzione dei Donatists III, 13). With the fall man lost the
ability to do good without God's grace (E 106), yet he retains the ability of free
choice to accept God's grace (L 215, 4; GFW 7). Con la caduta l'uomo ha perso la
capacità di fare del bene senza la grazia di Dio (E 106), egli conserva ancora la
capacità di libera scelta di accettare la grazia di Dio (L 215, 4; GFW 7). True
freedom, however, is not the ability to sin but the ability to do good (CG XIV, 11),
which only the redeemed have (E 30). La vera libertà, tuttavia, non è la capacità di
peccato, ma la capacità di fare del bene (CG XIV, 11), che solo i redenti hanno (E
30).

Man Uomo

Augustine believed man was directly created by God without sin (On the Nature of
God, 3), which the whole race derived from Adam (CG XII, 21). Agostino creduto
direttamente l'uomo è stato creato da Dio senza peccato (sulla natura di Dio, 3),
che l'intera corsa derivati da Adam (CG XII, 21). When Adam sinned, all man sinned
in him seminally (MRS 14). Quando Adamo peccato, tutti i peccato l'uomo in lui
seminally (MRS 14). Man is a duality of body and soul (MCC 4, 6), and the image of
God is in the soul (CD I, 22, 20). L'uomo è una dualità di anima e di corpo (MCC 4,
6), e l'immagine di Dio è l'anima (CD I, 22, 20). The fall did not erase this image (SL
48), although man's nature was corrupted by sin (Against the Epistle of
Manichaeus XXXIII, 36). La caduta non cancellare questa immagine (SL 48), anche
se l'uomo la natura è stata corrotta dal peccato (contro la lettera di Manichaeus
XXXIII, 36). Human life begins in the womb at the time of animation (E 85). La vita
umana comincia nel grembo materno, al momento di animazione (E 85).
Miscarriages before this time simply "perish" (E 86). Aborti spontanei prima di
questo tempo semplicemente "muoia» (E 86). Man's soul is higher and better than
his body (CG XII, 1), which is man's adversary (CX, 21, 43; TR 111, 103). L'uomo
l'anima è più alto e meglio che il suo corpo (CG XII, 1), che è l'uomo della
avversario (CX, 21, 43; TR 111, 103). There will be a physical resurrection of the
bodies of all men, just and unjust (E 84, 92), to eternal bliss or agony respectively.
Ci sarà un fisico risurrezione dei corpi di tutti gli uomini, giusto e ingiusto (E 84,
92), di felicità eterna o, rispettivamente, agonia.

Christ Cristo

Augustine believed that Christ was fully human (On Faith and the Creed [FC]IV, 8),
yet without sin (E 24). Agostino creduto che Cristo è stato pienamente umana
(sulla fede e il Credo [FC] IV, 8), ancora senza peccato (E 24). Christ assumed this
human nature in the virgin's womb (FC IV, 8), yet he was also God from all eternity,
of the same essence as the Father (TI, 6, 9). Cristo questo assunto la natura umana
nel grembo della Vergine (FC IV, 8), ma è stato anche Dio da tutta l'eternità, della
stessa sostanza del Padre (TI, 6, 9). Christ, however, was only one person (E 35).
Cristo, tuttavia, è stata una sola persona (E 35). Yet these two natures are so
distinct (L CXXXVII, 3, 11) that the divine nature did not become human at the
incarnation (TI, 7, 14). Ma questi due nature sono così distinte (L CXXIV, 3, 11) che
la natura divina non umano a diventare l'incarnazione (TI, 7, 14).

Salvation Salvezza

The source of salvation is God's eternal decree (CG XI, 21), which is unchangeable
(CG XXII, 2). La fonte di salvezza di Dio è eterna decreto (CG XI, 21), che è
immutabile (CG XXII, 2). Predestination is in accord with God's foreknowledge of
man's free choice (CG V, 9). Predestinazione è in accordo con Dio, l'uomo di
conoscenza della libera scelta (CG V, 9). Both those who are saved and those who
are lost are so predestined (SO IV, 16). Sia quelle che sono salvati e quelli che si
perdono sono così predestinati (SO IV, 16). Salvation is wrought only through
Christ's substitutionary death (E 33). La salvezza è battuto solo attraverso Cristo
substitutionary morte (E 33). It is received by faith (E 31). Lo riceve dalla fede (E
31). Infants, however, are regenerated by baptism apart from their faith (On
Forgiveness of Sins, and Baptism I,44). Lattanti, tuttavia, sono rigenerati dal
battesimo a parte la loro fede (Il perdono dei peccati, e il Battesimo I, 44).

Ethics Etica

For Augustine love is the supreme law (CG XV, 16). Per Agostino l'amore è la legge
suprema (CG XV, 16). All the virtues are defined in terms of love (MCC XII, 53).
Tutte le virtù sono definiti in termini di amore (MCC XII, 53). Lying is always wrong,
even to save a life (L 22, 23). Mentire è sempre sbagliato, anche per salvare una
vita (L 22, 23). In conflicting situations it is for God, not us, to determine which sins
are greater (E 78, 79). In situazioni di conflitto che è di Dio, non noi, per
determinare quali sono i peccati più (E 78, 79). God sometimes grants exceptions
to a moral command so that killing is permissible in a just war (CG XIX, 7) and even
in cases such as Samson's self-sacrificing suicide (CG I, 21). Dio a volte concede
deroghe a un comando morale in modo che uccidere è ammissibile in una guerra
giusta (CG XIX, 7) e persino in casi come Sansone di auto-sacrificio suicidio (CG I,
21).

NL Geisler NL Geisler
(Elwell Evangelical Dictionary) (Elwell Evangelica Dictionary)

Bibliography Bibliografia
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Study of Saint Augustine; G. Bonner, ST. AH Armstrong, S. Agostino e cristiana platonismo; AugS;
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Seminales in St. Augustine; HI Marrou, Saint Augustine and His Influence Through the Ages; ADR
Polman, The Word of God According to Saint Augustine; ER TeSelle, Augustine the Theologian,
Augustinian Institute, St. Augustine Lectures 1959; T. Miethe, Augustinian Bibliography 1970-1980; T.
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Bishop; NL Geisler, What Augustine Says; E. Przywara, An Augustine Synthesis. Agostino d'Ippona; VJ
Bourke, Agostino's Quest for Sapienza; P. Brown, Agostino d'Ippona, J. Burnaby, Amor Dei: uno studio
della Religione di S. Agostino; MP Garvey, Sant'Agostino: cristiano o Neo-Platonist; E . Gilson, La
filosofia cristiana di Sant'Agostino; MJ McKeough, il significato del Rationes Seminales in S. Agostino;
HI Marrou, Sant'Agostino e la sua influenza attraverso i secoli; ADR Polman, La Parola di Dio secondo
sant'Agostino; ER TeSelle , Il Teologo Agostino, agostiniani, Istituto S. Agostino Conferenze 1959; T.
Miethe, agostiniani Bibliografia 1970-1980; T. Van Bauel, Repertoire bibliographique de Saint Augustine
1950-1960, F. Van der Meer, il vescovo Agostino; NL Geisler , Che cosa dice Agostino, E. Przywara, An
Agostino di sintesi

Furtum certe punit lex tua, domine, et lex scripta in cordibus hominum, quam ne ipsa
quidem delet iniquitas: quis enim fur aequo animo furem patitur? nec copiosus adactum
inopia. et ego furtum facere volui, et feci, nulla conpulsus egestate, nisi penuria et fastidio
iustitiae et sagina iniquitatis. nam id furatus sum, quod mihi abundabat et multa melius;
nec ea re volebam frui, quam furto appetebam, sed ipso furto et peccato. arbor erat pirus
in vicinia nostrae vineae, pomis onusta, nec forma nec sapore inlecebrosis. ad hanc
excutiendam atque asportandam nequissimi adulescentuli perreximus nocte intempesta,
quousque ludum de pestilentiae more in areis produxeramus, et abstulimus inde onera
ingentia non ad nostras epulas, sed vel proicienda porcis, etiamsi aliquid inde
comedimus, dum tamen fieret a nobis quod eo liberet, quo non liceret. ecce cor meum,
deus, ecce cor meum, quod miseratus es in imo abyssi. dicat tibi nunc ecce cor meum,
quid ibi quaerebat, ut essem gratis malus et malitiae meae causa nulla esset nisi malitia.
foeda erat, et amavi eam; amavi perire, amavi defectum meum, non illud, ad quod
deficiebam, sed defectum meum ipsum amavi, turpis anima et dissiliens a firmamento tuo
in exterminium, non dedecore aliquid, sed dedecus appetens
. Per certo la tua legge punisce il furto, o Signore, e la legge scritta nei cuori degli uomini, che neppure la stessa
iniquità può cancellare: infatti quale ladro sopporta con animo giusto un furto? Neppure il ricco sopporta uno che
è stato spinto dalla povertà. E io ho voluto fare il furto e l'ho fatto senza essere spinto da alcuna indigenza se non
dalla mancanza e dal disprezzo del senso di giustizia e dalla grandezza della (mia) iniquità. Infatti io rubai proprio
ciò che avevo in abbondanza e di qualità molto migliore, e non volevo quindi godere di quella cosa, che
desideravo attraverso il furto, ma del frutto stesso e del peccato. C'era un albero di pere nelle vicinanze della
nostra vigna carico di frutti non allettanti né per aspetto, nè per sapore. Noi, giovani scelleratissimi, ci dirigemmo
per scuotere e depredare quest'(albero) nel cuore della notte; fino ad allora avevamo protratto i nostri giochi nei
cortili, secondo le nostre malsane abitudini, e portammo via da lì dei grandi carichi, non per i nostri banchetti, ma
per gettarli ai porci, anche se ne mangiammo qualcuna, perchè facessimo ciò? tanto piaceva quanto non era
lecito. Ecco il mio cuore, Dio, eco il mio cuore, di cui hai avuto pietà nel profondo abisso. Ecco, che il mio cuore ti
dica che cosa andavo a cercare lì cosicchè io ero cattivo nelle grazie e la causa delle mie cattiverie non era altro
se non la cattiveria. (Questa) era brutta, ma io l'amai; amai morire, amai il mio peccate, non amai ciò per cui
venivo meno, ma il mio stesso venir meno, turpe nell'anima e staccandomi dal tuo sostegno per cadere nella
perdizione, aspirando non a qualche cosa per vergogna, ma alla vergogna stessa.

Veni Karthaginem, et circumstrepebat me undique sartago flagitiosorum amorum. nondum amabam, et


amare amabam, et secretiore indigentia oderam me minus indigentem. quaerebam quid amarem,
amans amare, et oderam securitatem et viam sine muscipulis, quoniam fames mihi erat intus ab
interiore cibo, te ipso, deus meus, et ea fame non esuriebam, sed eram sine desiderio alimentorum
incorruptibilium, non quia planus eis eram, sed quo insanior, fastidiosior. et ideo non bene valebat anima
mea, et ulcerosa proiciebat se foras, miserabiliter scalpi avida contactu sensibilium.

Venni a Cartagine a mi strepitavano attorno da ogni parte un mucchio di amori rovinosi. Ancora non amavo e
amavo amare e odiavo la sicurezza e la via senza tranelli dato che io avevo un vuoto nell'intimo di cibo interiore,
di te stesso, o Dio mio, e per quella fame non avevo fame, ma ero senza desiderio di cibo incorruttibile non
perché ne fossi pieno, ma perché tanto più ero a digiuno, tanto più ero nauseato. E perciò la mia anima non stava
bene, e tutta piegata si protendeva all'esterno, miserabilmente avida di essere sfregata dal contatto con la realtà
sensibile.

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