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Capitolo Primo
Gli istituti
1. La nozione di tributo tra ideologia e diritto positivo.
Nel linguaggio ordinario, i termini tributo, imposta, tassa, contributo ed altri sono in
sostanza, semanticamente equivalenti; in sede giuridica tali termini, sono
specialistici. La definizione di tributo è affidata all’interprete. Per ripercorrere
sommariamente le tappe dell’evoluzione dottrinale, si può cominciare col ricordare
che, nelle prime elaborazioni dei giuristi, la nozione di tributo è influenzata dagli
studi di scienza delle finanze: tali studi distinguono le entrate pubbliche in relazione
al tipo di spese pubbliche che servono a finanziare. Essendovi spese pubbliche
indivisibili e divisibili, le entrate destinate a finanziare le spese indivisibili sono dette
imposte, mentre le entrate destinate a finanziare quelle divisibili sono dette tasse.
Oltre che l’impostazione degli studi di scienza delle finanze, sui giuristi italiani ha
operato l’influenza della dottrina tedesca del diritto pubblico che, caratterizzava il
tributo come espressione di sovranità. Da qui nasce il tributo come entrata coattiva
o autoritativa, ossia un’entrata la cui obbligatorietà è imposta con un atto
dell’autorità, senza che vi concorra la volontà dell’obbligato. La coattività, distingue,
dunque il tributo dalle entrate di diritto privato; essa è però carattere tipico ma non
esclusivo del tributo. Perciò il tributo viene definito in base ai seguenti ulteriori
caratteri distintivi: a) dal punto di vista degli effetti il tributo comporta il sorgere di
una obbligazione di pagamento a titolo definitivo; b) dal punto di vista della
fattispecie, il tributo si collega ad un fatto di natura economica. Ciò consente, tra
l’altro, di distinguere il tributo dalle sanzioni pecuniari, che pure si risolvono in
prestazioni pecuniarie imposte autoritativamente, ma derivano da fattispecie
assunte come illeciti; c) dal punto di vista funzionale, il tributo è definito come un
istituto la cui finalità è essenzialmente fiscale, ossia di procurare un’entrata ad un
ente pubblico.
Capitolo Secondo
Le Fonti
1. Le fonti
L’espressione fonte del diritto è quella con cui metaforicamente sono designati gli
atti e i fatti normativi, da cui sono prodotte norme astratte e generali. Le principali
norme sulle fonti sono contenute nella Costituzione, negli statuti regionali, nelle
disposizioni preliminari al codice civile, nella legge sull’attività di governo ecc. Le
diverse fonti del diritto costituiscono un ordinamento gerarchico; esse sono
disposte a gradi: le fonti di ciascun grado possono abrogare o modificare norme
dello stesso grado o norme di grado inferiore, e devono conformarsi alle norme di
grado superiore. Secondo la terminologia tradizionale, le leggi sono fonti primarie e
i regolamenti sono fonti secondarie.
quella che più interessa in questa sede, perché in tale categoria rientrano le
prestazioni tributarie.
B) Circa il significato in cui il termine legge è assunto nell’art. 23, vi è concordia nel
ritenere che legge non è soltanto quella statale ordinaria, ma ogni atto
normativo avente efficacia formale di legge: decreto legge e decreto legislativo.
Non vi è poi ragione di escludere la legge costituzionale. Si ritiene inoltre, che
anche la legge regionale o provinciale soddisfa il precetto dell’art. 23 (fermo
restando i limiti costituzionali della potestà legislativa regionale o provinciale, in
materia impositiva). Molto dibattuto è il problema del rapporto tra riserva di
legge e fonti comunitarie. Il problema riguarda, in particolare, i regolamenti
comunitari self executing. La tesi prevalente è quella secondo cui, con adesione
al trattato, l’Italia ha operato una limitazione della propria sovranità pienamente
legittimata dall’art. 1 Cost. : il che comporta deroga alle norme costituzionali sia
in materia di potestà legislativa, sia in materia di riserva di legge.
C) La riserva dell’art. 23 Cost. è relativa, non assoluta; vediamo perciò quale sia la
base legislativa, che deve essere contenuta nella legge: distinguiamo in altri
termini, quali elementi della disciplina di un tributo devono essere previsti dalla
legge e quali possono essere previsti con altri atti non legislativi. Il problema
riguarda non tutti i tipi di norme che si definiscono correttamente tributarie, ma
soltanto quelle impositive. Si ritiene concordemente, innanzitutto, che la legge
debba determinare il presupposto ed i soggetti passivi del tributo. La legge deve
fissare, inoltre la misura del tributo. In proposito, la Corte Cost. reputa rispettato
il precetto ex art. 23 se la legge indica la misura massima dell’aliquota, o fissa i
criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’ente impositore. Sovente la legge
attribuisce all’autorità amministrativa poteri normativi che influiscono sulla
determinazione della base imponibile : anche qui, il criterio che consente di
ritenere legittime o no tali previsioni, sta nel vedere se la discrezionalità
dell’autorità amministrativa è sufficientemente delimitata.
5. I testi unici.
La legge per la riforma tributaria ha attribuito al Governo il potere di emanare : a)
decreti legislativi per l’attuazione della riforma; b) decreti legislativi con disposizioni
integrative e correttive; c) decreti legislativi recanti testi unici. Circa il contenuto dei
testi unici, la legge delega dispone che essi contengano le norme emanate in
attuazione della riforma e le norme previgenti rimaste in vigore, con la possibilità di
apportare le modifiche necessarie per il coordinamento delle diverse disposizioni e
per eliminare ogni contrasto con i principi e criteri direttivi della delega. I testi unici
di attuazione della riforma tributaria, quindi, non sono testi soltanto compilativi (di
pura raccolta di disposizioni vigenti), ma testi innovativi, in quanto possono
contenere disposizioni integrative e correttive delle norme preesistenti.
6. I regolamenti.
Nella gerarchia delle fonti sono subordinati alle leggi; quindi non possono essere in
contrasto con norme di legge; se sono contrari alla legge, possono essere annullati
dal giudice amministrativo e disapplicati dagli altri giudici (ordinario e tributario). I
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7. Le fonti comunitarie.
Il trattato istitutivo della CEE è stato ratificato con legge ordinaria; è stato così
inserito, nel sistema delle fonti del nostro diritto, un meccanismo in base al quale
valgono nell’ordinamento italiano anche le norme comunitarie. Il sistema delle fonti
del diritto comunitario è costituito, innanzitutto, dal diritto c.d. primario, elaborato
direttamente dagli stati membri, e vi è poi il diritto derivato, costituito dalle norme
emesse dagli organi comunitari. Tra le fonti di produzione del diritto comunitario
derivato hanno particolare importanza i regolamenti e le direttive. Il regolamento a
norma dell’art. 189 del trattato, ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi
elementi, ed è direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri. La diretta
applicabilità comporta che gli Stati non possono e non debbono emanare norme
per introdurre un regolamento nell’ordinamento interno. In quanto produttivo di
effetti immediati, il regolamento è idoneo ad attribuire ai singoli dei diritti che i
giudici nazionali devono tutelare. Le direttive secondo l’art. 189 del trattato CEE,
vincolano gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre è
rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati l’adozione degli strumenti e dei mezzi
per raggiungerlo.
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Capitolo Terzo
2. I vincoli dell’interpretazione.
L’attività interpretativa non è del tutto libera né del tutto vincolata. I vincoli
d’interpretazione, posti dallo stesso ordinamento giuridica sono i seguenti:
a) vincoli derivanti dalla struttura gerarchica dell’ordinamento: i testi di legge
devono essere interpretati in modo da risultare conformi alla Cost.; in materia
tributaria le leggi devono essere interpretate in modo da risultare conformi all’art.
53 Cost.; i testi delle leggi delegate devono essere interpretati in modo da
risultare conformi alle leggi di delegazione; i testi delle norme nazionali devono
essere interpretati in modo da risultare conformi alle norme comunitarie; i testi
dei regolamenti devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle
norme di legge , ecc;
b) Vincoli derivanti da leggi interpretative e dalle definizioni legislative;
c) Vincoli derivanti dalle norme sull’interpretazione.
Tra le norme generali sull’interpretazione vanno ricordate le seguenti. Innanzitutto
va ricordato l’art. 12 disp. Prel. C. C. Primo comma (nell’applicare la legge non si
può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese del significato proprio
delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. In
secondo luogo vi è l’art. 12 cit. Secondo comma ( se una controversia non può
essere decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide
secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato). Terzo luogo, art.
13, che vieta l’analogia per le leggi penali e per quelle che fanno eccezione a
regole generali o ad altre leggi.
quelli che nell’uso giuridico hanno significato specialistico; può trattarsi di termini
che non ricorrono nell’uso ordinario, ma solo in quello giuridico o di termini in uso
sia nel linguaggio comune che in quello giuridico. Vediamo ora quali sono i
problemi semantici più ricorrenti:
A) La specializzazione del significato di un termine può essere implicita o esplicita.
L’uso di un termine da parte del legislatore è o può essere, di per sé un fatto
che specializza il termine. Quando si dice che un termine assume un
determinato significato agli effetti della tale disposizione o della tale legge, si
postula appunto che il legislatore abbia in qualche modo operato un mutamento
semantico del testo. La specializzazione è esplicita quando il legislatore fornisce
la definizione del significato di un termine o di un complesso di termini. In
presenza di definizioni legislative esplicite, diventa irrilevante ogni diverso
significato attribuito o attribuibile al termine legislativamente definito.
B) Non solo le parole della lingua ordinaria ma anche quelle tecnico giuridiche
possono essere ambigue, polisemiche, di significato incerto.
C) Quando un termine, oltre che d’uso comune, ha un significato tecnico, s’intende
che è usato nel suo significato tecnico. Il significato tecnico prevale dunque su
quello ordinario.
D) La dottrina ha discusso ampiamente il problema se l’uso, nelle leggi tributarie, di
termini tecnici o tecnicizzati di altri settori dell’ordinamento giuridico, costringa
l’interprete ad attribuire al termine lo stesso significato che il termine ha nel
settore giuridico di provenienza, o se invece l’interprete gli debba attribuire un
significato autonomo. Nella prassi interpretativa, si pensa generalmente che il
legislatore tributario usi il termine con il significato tecnico che ha nel settore di
origine (es: appalto, S.p.A., testamento). In altre parole, si presume esservi
costanza nell’uso tecnico del discorso legislativo.
quando la legge richiamata è stata modificata più volte, e sono quindi richiamate le
leggi modificatrici. Altre difficoltà interpretative delle leggi tributarie sono legate alla
preferenza per le formulazioni casistiche, piuttosto che alle formulazioni di regole
generali. Ciò comporta diversi inconvenienti. Quando il legislatore non considera
una classe di fenomeni (con una regola generale), ma pretende di indicare uno per
uno gli specifici fenomeni di una data classe, è inevitabile che la legge presenti
delle lacune. La formulazione casistica delle leggi, associata ad interpretazioni di
tipo formalistico genera trattamenti diseguali per casi uguali, lacune, ecc.. Infine,
essendo il diritto tributario un diritto senza codice, accade che l’istituzione di un
tributo implichi, non solo la formulazione di norme di diritto sostanziale (concernenti
i soggetti passivi, il presupposto, la base imponibile), ma anche di norme
strumentali o secondarie (sull’accertamento, sanzioni, riscossioni). Di qui il
problema di individuare ed interpretare volta per volta le norme strumentali o
secondarie che si correlano ad ogni particolare tributo. Invece, sarebbe auspicabile
una legge tributaria generale, contenente norme sull’accertamento, sulla
riscossione, sulle sanzioni, ecc..
6. Le lacune e l’analogia.
Sull’ammissibilità dell’analogia in diritto tributario, vi è largo consenso nel ritenere
che nulla vi è di peculiare per quel che attiene alle norme tributarie non sostanziali:
norme sui procedimenti, n. processuali, ecc.. Naturalmente vale anche per le
norme penali tributarie il divieto di analogia. L’analogia è ammessa per le norme
tributarie sostanziali: più precisamente, per le norme che delimitano gli oggetti
imponibili. IN materia di oggetti imponibili, vige il principio della completezza. E’
vietata l’analogia per le norme che indicano che cosa è tassabile: nulla esclude
l’analogia per le norme che indicano in che modo deve avvenire la tassazione.
Possono darsi, infatti, nel diritto tributario le lacune c.d. tecniche. Si prenda il caso
di una legge che stabilisca l’imponibilità di un dato fatto economico, ma si presenti
lacunosa, ad esempio, su come si determina l’imponibile , su come si fa la
dichiarazione, su come si versa ,ecc. In una simile ipotesi, l’interprete è autorizzato
a ricorrere all’analogia.
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8. Le leggi interpretative.
Anche il legislatore si fa interprete, quando, data una disposizione di dubbio
significato, interviene con una disposizione interpretativa. La disposizione
interpretativa presuppone una disposizione suscettibile di più interpretazioni; la
disposizione di interpretazione autentica, quindi, lasciando immutato il testo cui si
riferisce, elimina, tra le due o più norme potenzialmente contenute in quel testo, le
interpretazioni considerate errate, lasciandone sopravvivere una soltanto.
L’interpretazione autentica si basa sulla finzione che, delle possibili interpretazioni
di cui un testo è suscettibile, tutte meno una siano errate. Le disposizioni
interpretative sono retroattive; perciò è importante distinguere tra disposizioni
interpretative (retroattive) e disposizioni innovative (non retroattive). Accade però
nella pratica, che nuove disposizioni, che sostituiscono disposizioni previgenti, ma
con formulazione più chiara o più completa, vengano considerate retroattive.
9. Le circolari interpretative.
L’amministrazione svolge quotidianamente opera di interpretazione; l’opera di
interpretazione l’Amm. la esplicita nelle circolari e negli altri atti, con cui gli uffici
centrali dell’Amm. impartiscono ordini e direttive agli uffici periferici. Di solito,
all’emanazione di una nuova legge, il Ministero fa seguire una circolare, con la
quale illustra agli uffici periferici il significato della legge. La pronuncia del Ministero
viene inoltre sollecitata da quesiti posti dagli uffici periferici o dai cittadini, in
relazione a casi specifici; la risposta a tali quesiti (espressa in atti che prendono il
nome di risoluzioni o note) costituiscono occasione per altri esercizi di
interpretazione della legge. Ora, è pacifico che tutti questi atti sono interni; ciò
significa che vincolano, in base al rapporto gerarchico, l’ufficio periferico a
conformarsi a quanto stabilito dall’ufficio sopraordinato; ciò significa, inoltre, che
non hanno effetti vincolanti all’esterno dell’Amm.. L’interpretazione ministeriale,
quindi non è vincolante; mentre, quanto alla sua attendibilità, vi sono fattori che la
rendono attendibile, e fattori che la rendono inattendibile. La rende inattendibile
l’essere un’interpretazione di parte, cioè dalla parte interessata a che la questione
dubbia sia risolta pro fisco.
Capitolo terzo
A) Cerchiamo innanzi tutto di definire l’elusione. Data una norma fiscale che, ad un
certo fatto, fa seguire l’obbligo di pagare un certo tributo, si dice che la norma è
elusa quando il contribuente non realizza esattamente la fattispecie imponibile,
ma un fattispecie equivalente sotto il profilo del risultato economico considerato
dalla norma elusa. La nozione di elusione rimanda, quindi ,ad una duplice
possibile interpretazione della disposizione fiscale: una interpretazione letterale
o restrittiva, o formalistica, in base alle quale il comportamento elusivo non è
tassabile, ed una interpretazione non letterale, non rigida, non formalistica, in
base alla quale il fatto elusivo è tassabile. I tratti che identificano il
comportamento elusivo sono i seguenti: 1) il ricorso all’uso di uno strumento
giuridico anormale, ossia diverso da quello che normalmente si usa per
raggiungere un dato risultato ; 2) con questo strumento, viene raggiunto lo
stesso risultato che sarebbe raggiungibile con lo strumento giuridico normale,
considerato dalle legge fiscale; 3) la scelta viene operata perché i vantaggi
fiscali sperati fanno preferire l’operazione elusiva nonostante eventuali
svantaggi giuridici dell’uso dello strumento; 4) lo strumento giuridico anormale
viene prescelto con il fine di eludere l’imposta. La definizione che precede
riguarda l’elusione di norme impositive; ma può esservi elusione anche rispetto
alle norme di agevolazione, quando viene posto in essere un comportamento
che, apparentemente, è da assumere nella fattispecie della norma agevolatrice,
ma che, in realtà, non è da considerare agevolato, perché non realizza il tipo di
fenomeno economico considerato dal legislatore fiscale. La fattispecie elusiva è
quindi contraddistinta da tre elementi: assenza di valide ragioni economiche;
scopo esclusivo di ottenere un vantaggio fiscale; animo fraudolento.
B) L’elusione va distinta dal risparmio di imposta. Con l’elusione viene posto in
essere un risultato pratico identico a quello considerato dalla norma elusa; nel
c.d. risparmio lecito d’imposta, viene posto in essere un risultato pratico diverso.
Una forma di risparmio lecito d’imposta è quella che, nel linguaggio giornalistico
viene detta erosione. Una persona che in sede di dichiarazione dei redditi
deduce molti oneri, fruisce di redditi esenti o agevolati, ecc., paga, alla fine
un’imposta minore di chi, a parità di reddito, non fruisce delle stesse deduzioni,
agevolazioni, ecc.. Nel linguaggio degli studiosi di scienza delle finanze, si parla
di rimozione dell’imposta per riferirsi al comportamento di chi, essendo tassato
un certo comportamento economico, opera scelte economiche diverse da quelle
tassate. L’erosione e la rimozione dell’imposta sono casi di risparmio lecito
d’imposta.
C) L’elusione si distingue dall’evasione; nell’evasione, viene posto in essere il fatto
o negozio o risultato considerato dal legislatore, ma la fattispecie viene
occultata, mascherata, ecc.; es: documenti falsi, falsa dichiarazione dei redditi.
Sia nell’evasione che nell’elusione, l’operatore mira a non pagare l’imposta; ma
nell’elusione l’operazione è posta in essere con strumenti leciti e non occulti
cosa che non avviene per l’evasione. Chi elude confida su una determina
interpretazione della legge; chi evade confida di non essere scoperto.
D) L’elusione viene distinta dalla frode alla legge. La fattispecie contratto in frode
alla legge è regolato dall’art. 1344 c.c., ove si dispone che è nullo per illiceità
della causa il contratto che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una
norma imperativa. L’art. 1344 non si applica al contratto stipulato per eludere
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l’applicazione di una norma fiscale, perché le norme fiscali non sono norme
imperative, nel significato in cui tale espressione è adoperata in tale articolo .
Ciò comporta che il contratto (rivolto ad eludere una norma fiscale) non è nullo
tra le parti , ma ciò non dovrebbe impedire al fisco di pretendere l’imposta
dovuta sull’affare effettivamente compiuto.
13. L’interpello.
Per ovviare allo stato di incertezza in cui possono trovarsi gli operatori economici i
quali, proponendosi di porre in essere un’operazione, hanno motivo di ritenere che
il fisco la consideri elusiva, è stato istituito uno speciale procedimento, con il quale i
contribuenti possono interpellare l’amministrazione finanziaria e conoscerne
preventivamente il giudizio in ordine ad una determinata operazione. I contribuenti
possono interpellare l’amm. finanziaria in ordine all’applicazione delle seguenti
norme: operazioni di fusione, concentrazione, trasformazione, scorporo e riduzione
di capitali; in caso di interposizione di persona i redditi sono imputati al titolare
effettivo e non a quello apparente; sulla qualificazione di determinare spese come
spese di rappresentanza ovvero di pubblicità e propaganda. La procedura di
interpello è così articolata: il contribuente, quando sta per porre in essere un
comportamento che potrebbe dar luogo all’applicazione di una delle citate norme
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Capitolo quarto
I principi
ragione di ciò che riceve dallo Stato, ma in ragione della sua capacità contributiva,
in quanto membro di una collettività; e deve farlo, non in ragione proporzionale, ma
in ragione progressiva rispetto alle sue potenzialità economiche. Se lo Stato
preleva i tributi in relazione ad un dovere di solidarietà, ciò implica che la funzione
del prelievo tributario non sia meramente fiscale (e cioè di procurare entrate allo
Stato) ma sia anche extrafiscale. La Cost. ripudia il concetto liberale della finanza
neutrale, e delinea un concetto funzionale della finanza pubblica; il tributo deve
essere utilizzato, non solo per procurare entrate, ma anche per gli altri fini, che la
Cost. assegna alla Rep.. Lo Stato non deve limitarsi a garantire il libero
svolgimento della vita economica e sociale, ma ne deve essere parte attiva, al fine
di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona
umana (art. 3). La politica tributaria è uno degli strumenti fondamentali dell’azione
pubblica rivolta al perseguimento di quel fine.
Capitolo quinto
Le fattispecie
1. Sistematica dell’imposta.
La dottrina tributaristica tradizionale ordinava le varie norme che disciplinano
l’imposta adottando il concetto di rapporto d’imposta, inteso come rapporto
complesso; in questo rapporto confluiscono, da un lato, le norme sostanziali
dell’imposta ( quelle che stabiliscono chi, in presenza di quali presupposti, in quale
misura, deve pagare l’imposta) e, dall’altro le norme formali sul procedimento
d’accertamento, sulla riscossione, sul processo, sul rimborso: tutte queste norme e
le vicende da esse disciplinate sono viste come svolgimento o attuazione del
rapporto complesso d’imposta nascente dal presupposto. La sistematica del
rapporto complesso d’imposta è stata abbandonata dalla dottrina tributaristica più
recente, che preferisce ordinare la materia intorno ai concetti di potestà di
imposizione e di procedimento: le norme tributarie sono viste tutte come norme
procedimentali, regolanti l’esercizio della potestà d’imposizione. In conclusione,
mentre la teoria del rapporto d’imposta usa un concetto di diritto sostanziale
inglobandovi le norme procedimentali, la teoria della potestà d’imposizione ingloba
le norme sostanziali in quelle procedimentali. La prima pone l'enfasi sulla statica, la
seconda sulla dinamica ed entrambe sono unilaterali. Occorre invece distinguere
tra statica e dinamica: l’aspetto statico è dato dalle norme sostanziali che
stabiliscono le fattispecie e gli effetti d’imposta; l’aspetto dinamico del fenomeno è
quello che considera gli atti e i procedimenti attraverso i quali avviene l’attuazione
dell’imposta.
2. Il presupposto.
Ogni figura giuridica si compone di due elementi: la fattispecie e l’effetto. La
fattispecie che dà vita all’imposta è variamente denominata: fatto imponibile, fatto
generatore, presupposto. Preferire l’uno o l’altro termine è questione puramente
lessicale: qui si preferisce il termine presupposto perché d’uso più comune. In
relazione all’effetto principale, il presupposto è quell’evento che determina,
direttamente o indirettamente, il sorgere dell’obbligazione tributaria. Qui il
presupposto deve essere esaminato dal punto di vista strutturale. Caratteri oggettivi
del presupposto:
A) il presupposto d’imposta va tenuto distinto dall’oggetto; l’uno è nozione giuridica,
l’altro nozione economica;
B) la distinzione tra presupposto e oggetto dell’imposta rende ragione delle
divergenze di classificazione che si riscontrano a proposito di taluni tributi che
vengono considerati indiretti da chi tiene conto del profilo giuridico formale, ed
imposte dirette da chi ne considera l’oggetto economico;
C) le classificazioni più correnti dell’imposta hanno come riferimento il presupposto.
La tassonomia più in uso è quella che distingue le imposte in dirette ed indirette;
le prime sono quelle che colpiscono il reddito o il patrimonio, le seconde tutte le
altre (imposte sui consumi, affari). Le imposte sul reddito poi, sono ulteriormente
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3. Esenzioni ed esclusioni.
Nella disciplina di un tributo, con gli enunciati legislativi che definiscono la
fattispecie tipica ( il presupposto), possono coesistere delle disposizioni che ne
ampliano o ne restringono l’area di applicabilità. Tra queste disposizioni, va
innanzitutto considerato il caso delle esenzioni che sono costituite da enunciati
normativi che sottraggono all’applicazione del tributo ipotesi che dovrebbero
esservi soggette in base alla definizione generale del presupposto. Secondo la
dottrina tradizionale, le norme esentative presentano le seguenti caratteristiche: a)
sono norme distinte rispetto a quelle che definiscono il presupposto, ed hanno un
autonomo effetto giuridico (effetto impeditivo); b) sono norme eccezionali, come tali
non suscettibili di integrazione analogica; c) sono norme che conferiscono al
soggetto esentato un diritto soggettivo (il diritto d'esenzione). L’impostazione della
dottrina tradizionale è criticata nella letteratura più recente. Si ritiene, che
l’esenzione non sia il portato di una norma distinta ed autonoma, ma che
l’enunciato legislativo che indica il caso esentato concorra, con la disposizione che
definisce il presupposto, a definire l’area di applicabilità del tributo. Cade , quindi,
anche la possibilità di ravvisare nell’esenzione la fattispecie d’un effetto impeditivo,
ovvero la fattispecie di un particolare diritto soggettivo. Anche la eccezionalità delle
norme esentative è contestata dalla moderna dottrina. Dal punto di vista delle
conseguenze si ha esenzione quando è escluso il sorgere del debito d’imposta; ma
ciò non necessariamente implica esclusione di obblighi strumentali di varia natura
(di presentare la dichiarazione). Rispetto alle imposte periodiche, le esenzioni
possono essere temporanee oppure permanenti. Altra distinzione è tra esenzioni
oggettive e soggettive. Diverso può essere il modo di operare delle esenzioni: vi
sono infatti esenzioni operanti ex lege, ed esenzioni operanti solo a seguito di
istanza di parte, o di apposito provvedimento esonerativo. Le esenzioni si
differenziano dalle esclusioni perché le prime costituiscono una deroga rispetto alla
disciplina generale del tributo, mentre le esclusioni risultano da enunciati con cui il
legislatore chiarisce i limiti di applicabilità del tributo, senza derogare a quanto
risulta dagli enunciati generali.
4. Fattispecie sostitutive.
Il legislatore può sottrarre una certa categoria di ipotesi al genere di quelle che
costituiscono il presupposto dell’imposta non solo esentandola, ma anche
disponendo che, in via di deroga, quella categoria sia sottoposta ad altra imposta.
Si ha, in tal caso, una fattispecie sostitutiva e correttamente si dice che si ha un
regime fiscale sostitutivo. La ragion d’essere d’un simile regime derogatorio può
risiedere sia in scopi di agevolazione, sia in motivi di tecnica impositiva. Ecco alcuni
casi notevoli di tributi sostitutivi: a) le imposte sulle assicurazioni e sui contratti di
rendita vitalizia sostituiscono le imposte di registro e di bollo; b) le tasse sui contratti
di borsa sostituiscono le imposte di registro e di bollo.
Pongono in essere dei regimi sostitutivi le norme che sottopongono determinati
redditi a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Rispetto al regime normale, in tali
ipotesi si hanno le seguenti differenze: soggetto passivo del tributo non è il
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5. Fattispecie equiparate.
Con le esenzioni e con le fattispecie sostitutive il legislatore pone delle deroghe alla
fattispecie tipica sottraendo certe ipotesi alla sua sfera di applicazione: ma deroghe
possono esservi anche in direzione inversa, ossia mediante la previsione di altre
ipotesi diverse da quelle tipiche cui pure si applica l’imposta. Il legislatore può
prevedere che siano sottoposti ad un certo tributo anche casi diversi dal
presupposto tipico, semplicemente perché vuole che certi fatti economici siano
sottoposti a quella imposta. Si ha quindi una equiparazione di queste fattispecie a
quella tipica. In altri casi, l’ampliamento della sfera di applicazione del tributo
risponde a fini antielusivi. Per distinguere terminologicamente le due ipotesi, si può
parlare, nel primo caso, di fattispecie equiparate o assimilate, e, nel secondo, di
fattispecie surrogatorie o supplementari.
8. Fattispecie alternative.
Si hanno fattispecie alternative quando un certo fatto od evento, normalmente
soggetto ad una certa imposta, cessa di esserlo (o lo è in misura ridotta), se è
soggetto anche ad un’altra imposta. Può darsi, cioè, che la sovrapposizione di
fattispecie non determini l’applicazione di più imposte, ma l’applicazione d’una sola
imposta e la non applicazione dell’altro tributo.
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9. Fattispecie condizionali.
L’efficacia della fattispecie tributaria può essere sottoposta a condizione,
sospensiva o risolutiva. Nel primo caso (cond. sospensiva) l’avveramento della
condizione determina il sorgere del debito d’imposta; nel secondo la condizione
estingue il debito. Se l’evento cui è subordinata l’efficacia non è incertus an, ma
certus an ed incertus quando, sarà tecnicamente più appropriato dire che l’efficacia
è soggetta ad un termine ( con valore sospensivo o risolutivo).
Capitolo sesto
Gli effetti
2. La base imponibile.
La misura del debito d’imposta risulta dall’applicazione del tasso d’imposta fissato
dalla legge, ad una grandezza, denominata base imponibile. Non bisogna
confondere presupposto e base imponibile, anche quando lo stesso evento viene
assunto dalla legge sia come presupposto, sia come base imponibile.
Concettualmente, presupposto è ciò che provoca l’applicabilità di un tributo; base
imponibile ciò che ne determina la misura; il primo determina l’an debeatur, la
seconda il quantum, Può darsi peraltro identificazione o sovrapposizione di
concetti; il reddito, ad esempio, è al tempo stesso presupposto e base imponibile.
La base imponibile è costituita prevalentemente da una grandezza monetaria:
l’ammontare del reddito, il valore di un bene, un corrispettivo contrattuale. Ma può
essere anche costituita da cose misurate secondo le loro caratteristiche di misura e
peso, o considerate nella loro unità.
4. Il tasso.
Il tasso può essere fisso o variabile. Si ha il primo quando l’imposta è
predeterminata in una somma fissa. Il sistema prevalente è però quello del tasso
variabile, costituito, quando la base imponibile è una grandezza monetaria, da una
aliquota. L’aliquota può essere fissa o progressiva. Nel caso di imposta
proporzionale, l’aliquota non muta con il variare della base imponibile. Nel caso di
imposta progressiva, possono aversi diverse soluzioni matematiche che
determinano il variare dell’aliquota in relazione al variare della base imponibile.
Nell’IRPEF, la progressività è per scaglioni: ad ogni scaglione di reddito
corrisponde un’aliquota via via crescente. Possono aversi imposte regressive,
quando l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile; o graduali
quando la base imponibile è divisa in più gradi , a ciascuno dei quali corrisponde
un’imposta fissa in misura diversa.
6. Obbligazioni d’acconto.
Il verificarsi del presupposto rende definitivamente dovuto il tributo. L’obbligazione
tributaria che si ricollega al presupposto può essere preceduta da altre obbligazioni,
che possono essere definite provvisorie. Si tratta di obbligazioni che sorgono prima
del perfezionarsi del presupposto; esse realizzano, dunque, un’anticipazione della
riscossione rispetto al presupposto e sono soprattutto presenti nella disciplina delle
imposte periodiche (imposte sui redditi e IVA).
A) si consideri, nel campo delle imposte dirette, il sistema dei versamenti
d’acconto. Nel corso del periodo d’imposta, ciascun soggetto passivo deve
versare un acconto dell’imposta che risulterà dovuta per quel periodo: l’acconto
deve essere versato in due rate; la prima con la presentazione della
dichiarazione relativa all’anno precedente, la seconda entro il 30 novembre.
B) Pure nell’ambito delle imposte sui redditi, si consideri il sistema delle ritenute
d’acconto. Nell’IRPEF le somme costituenti reddito di capitale, i compensi dei
lavoratori dipendenti, i compensi percepiti dai lavoratori autonomi, sono soggetti
a ritenuta. Si ha qui il fenomeno della sostituzione: colui che eroga la somma
deve effettuare una ritenuta e versarne l’importo allo Stato. Chi subisce la
ritenuta acquista nei confronti dell’erario il diritto di decurtarne gli importi delle
ritenute stabilite.
C) Nell’Iva ogni soggetto passivo deve, mensilmente o trimestralmente, liquidare e
versare la differenza tra l’ammontare dell’imposta dovuta sulle operazioni attive
e l’ammontare dell’imposta detraibile relativa agli acquisti. Se dal calcolo risulta
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7. Obbligazioni dipendenti.
All’obbligazione d’imposta possono accompagnarsi obbligazioni accessorie, legate
alla prima da un nesso di pregiudizialità-dipendenza. Ecco le principali obbligazioni
accessorie: a) obbligazioni relative all’indennità di mora, se decorre inutilmente il
termine utile per il pagamento delle imposte iscritte a ruolo, il contribuente è
obbligato a corrispondere un’indennità di mora nella misura del 2% del debito, se il
pagamento è eseguito entro i 3 gg. successivi alla scadenza, e del 6% se il
pagamento è effettuato oltre detto termine; b) obbligazioni relative agli interessi: per
le imposte sui redditi la legge stabilisce che , decorso un semestre dalla data di
presentazione della dichiarazione, sono dovuti interessi sulle imposte o maggiori
imposte dovute in base a rettifica od accertamento d’ufficio, per ogni semestre
successivo fino alla consegna dei ruoli all’esattore; nella stessa misura sono dovuti
gli interessi nel caso di prolungata rateazione.
8. Effetti connessi.
In connessione con l’obbligazione tributaria, possono sorgere degli altri rapporti
intercorrenti tra il soggetto passivo del debito d’imposta ed un terzo diverso
dall’ente pubblico creditore. E’ il caso del rapporto di rivalsa del credito, cioè,
attribuito al soggetto passivo del tributo, nei confronti di un altro soggetto. Le
ragioni del rapporto di rivalsa possono essere molto varie nei diversi tributi.
A) vi sono innanzitutto tributi posti a carico di un soggetto che il legislatore intende
far gravare economicamente su di un altro. Ciò avviene, per lo più, nelle imposte
sui consumi, nelle quali il soggetto passivo è un imprenditore, cui la legge
consente di trasferire su altri (i consumatori) il peso economico del tributo. Non
bisogna però confondere il fenomeno puramente economico della traslazione
d’imposta che si ha quando il contribuente di un’imposta trasferisce su altri
l’onere del tributo inglobandone l’ammontare nel prezzo di trasferimento ad altri
di un bene o di un servizio, con il fenomeno giuridico della rivalsa che si verifica
quando il contribuente c.d. di diritto ha un credito nei confronti del contribuente
di fatto, credito che si aggiunge al corrispettivo contrattuale.
B) Ma vi sono anche dei casi in cui il soggetto passivo dell’imposta è un soggetto
diverso da colui che realizza il presupposto; tali soggetti sono denominati
sostituto d’imposta e responsabile d’imposta. Essi hanno diritto di rivalsa nei
confronti di colui che ha posto in essere il presupposto; le leggi tributarie
prevedono espressamente tale diritto di rivalsa. In generale, ha diritto di rivalsa,
verso colui che realizza il presupposto dell’imposta, ogni terzo che sia tenuto a
corrispondere il tributo. Fonte del diritto di rivalsa può essere non solo la legge
ma anche una clausola contrattuale. La rivalsa del sostituto d’imposta che si
esercita mediante ritenuta è infatti normalmente obbligatoria, e sono previste
sanzioni per la mancata effettuazione della rivalsa. Ma vi sono, anche, dei casi
in cui il legislatore vieta la rivalsa; nell’INVIM ad esempio che grava sul
venditore è vietato pattuire che il compratore si accolli l’onere dell’imposta.
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9. Le garanzie: i privilegi.
Il credito d’imposta può essere ed è per lo più assistito da garanzie di vario tipo, un
esame sommario delle quali deve dare particolare rilievo ai privilegi, che assicurano
al fisco di essere soddisfatto a preferenza di altri creditori in caso di espropriazione.
Sono previsti privilegi generali e speciali, sui mobili e sugli immobili. Una
indicazione sommaria delle norme che prevedono privilegi può raggruppare tali
norme in 4 classi: a) privilegio generale sui mobili del debitore: tale garanzia è
prevista per l’IRPEF, l’IRPEG e l’ILOR; identico privilegio è accordato per i crediti
IVA; b) privilegio speciale sui mobili: i crediti dello Stato per i tributi indiretti hanno
privilegio sui mobili ai quali i tributi si riferiscono. Uguale privilegio hanno i crediti di
rivalsa IVA; c) privilegio generale immobiliare: i crediti per l’IRPEF, IRPEG e ILOR,
limitatamente alla quota imputabile ai redditi immobiliari o fondiari non determinabili
esattamente, hanno privilegi sugli immobili del debitore situati nel comune in cui il
tributo si riscuote; d) privilegio speciale immobiliare: tale privilegio assiste crediti per
tributi indiretti (compresa l’INVIM), in relazione agli immobili cui il tributo si riferisce.
Capitolo settimo
I soggetti
1. Il creditore.
L’imposta si concreta in un rapporto obbligatorio, esaminare i profili soggettivi
significa studiare la figura del creditore e quella del debitore. Creditore d’imposta è,
nella maggior parte dei casi, lo Stato che agisce per tramite dell’amministrazione
delle finanze ed, in particolare, di una molteplicità di uffici preposti alla gestione
delle diverse imposte. Creditore d’imposta è lo Stato anche per talune imposte
denominate locali o comunali, in quanto gestite da organi statali ed in quanto il
rapporto d’imposta s’instaura tra Stato e soggetto passivo. Creditori d’imposta
possono essere anche enti diversi dallo Stato ( regioni, provincie, comuni) o
addirittura dei privati, investiti di pubbliche funzioni (appaltatori delle imposte).
2. L’amministrazione finanziaria.
Dobbiamo ora occuparci della struttura dell’amministrazione finanziaria.
A) al vertice vi è il Ministro delle finanze, le sue direttive sono attuate dal consiglio
di amministrazione, che ha anche compiti di coordinamento complessivo
dell’attività del Ministero e di gestione del personale. Il Ministro delle finanze è
coadiuvato dal Segretario generale, il cui compito specifico è quello di
coordinare le attività degli uffici. Altri uffici centrali sono il Servizio centrale degli
ispettori tributari (Secit) e il servizio centrale della riscossione.
B) Il Secit ha fondamentalmente tre compiti: 1) controllare l’attività di accertamento
degli uffici e le verifiche eseguite dalla Guardia di finanza; 2) provvedere, in via
straordinaria, a verifiche e controlli nei confronti di contribuenti sospettati di
evasioni di grandi proporzioni; 3) formulare proposte al Ministro per la
predisposizione e l'attuazione dei programmi di accertamento.
C) Il Ministero è strutturato in tre dipartimenti: uno si occupa delle entrate, uno delle
dogane ed uno del territorio; ai tre dipartimenti si affianca la direzione generale
del personale. I dipartimenti hanno funzioni di indirizzo, programmazione e
coordinamento degli uffici periferici.
D) L’organizzazione periferica del Ministero delle finanze è articolata in direzioni
regionali. Dalla direzione regionale delle entrate dipendono: 1) i centri di
servizio, la cui funzione è quella di effettuare il controllo formale delle
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dichiarazioni dei redditi e di quelle dell’imposta sul valore aggiunto; essi curano
la riscossione delle imposte ( dovute in base alle dichiarazioni) e i rimborsi
(spettanti in base alle dichiarazioni); 2) gli uffici delle entrate, cui spettano il
controllo sostanziale delle dichiarazioni, emanazione di avvisi di accertamento, e
riscossione dei tributi dovuti in base agli accertamenti.
E) La riscossione delle imposte dirette, e la riscossione coattiva della maggior parte
delle imposte indirette, è demandata al Servizio della riscossione che ha un
ufficio centrale e uffici periferici.
F) La cura degli affari doganali è affidata, nell’ambito del Ministero delle finanze, al
dipartimento delle dogane e delle imposte indirette; tale dipartimento è articolato
in uffici centrali e periferici.
3. Il contribuente.
Il contribuente viene usato in due accezioni: una assai lata, per cui esso designa
ogni soggetto, che sia o possa diventare termine passivo di riferimento di
obbligazioni verso il fisco; in un significato più ristretto indica quello che, nella
varietà dei soggetti passivi è da denominare obbligato principale. Nel primo
significato il termine ricorre nel decreto istitutivo dell’anagrafe tributaria; l’iscrizione
all’anagrafe implica attribuzione di un n° di codice fiscale; contribuente è dunque
ogni soggetto iscritto o iscrivibile all’anagrafe ovvero ogni soggetto la cui esistenza
è fiscalmente rilevante.
4. L’obbligato principale.
Normalmente, soggetto di un’imposta è colui che ne realizza il presupposto. La
normale identità tra autore del presupposto e soggetto passivo dell’imposta
risponde ad un requisito di costituzionalità del tributo; sarebbe violato l’art. 53 Cost.
se il gravame fiscale ricadesse su un soggetto che, non avendo realizzato il
presupposto, non ha posto in essere il fatto espressivo di capacità contributiva che
il legislatore ha avuto di mira. Vi sono infatti dei casi in cui il tributo è posto a carico
di soggetti diversi da colui che ne realizza il presupposto di fatto ( in aggiunta o in
sostituzione di colui che realizza il presupposto), ma in tali casi occorre che il
soggetto obbligato sia posto in condizione di riversare l’onere economico del tributo
stesso su colui che realizza il fatto espressivo di capacità contributiva. Chi realizza
il presupposto di fatto di un tributo può essere definito obbligato principale, per
distinguerlo dagli altri obbligati. Ma è d'uso definirlo contribuente.
5. La solidarietà: a) le fattispecie.
Le diverse situazioni passive che scaturiscono dalle fattispecie tributarie, possono
far capo a più soggetti in solido.
A) in proposito, va innanzitutto affrontato il tema della fonte della solidarietà. Parte
della dottrina ritiene applicabile, in materia tributaria, l’art. 1294 c.c., a norma
del quale i debitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta
diversamente. Non solo non esiste una legge tributaria che escluda la
solidarietà, ma molte ve ne sono che espressamente la sanciscono. Perciò tutte
le volte che più persone si trovano rispetto ad un medesimo presupposto, nella
situazione di soggetti passivi del tributo, essi sarebbero solidamente obbligati
verso il fisco. La legge tributaria si preoccupa sempre, nel disciplinare le varie
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7. Il responsabile d’imposta.
Viene denominato responsabile d’imposta una particolare figura di debitore del
tributo, al quale le legge addossa l’obbligazione tributaria in solido con l’obbligato
principale; ciò che distingue il responsabile d’imposta, dall’ordinaria figura di
coobbligato in solido, è la circostanza che la fattispecie della sua responsabilità non
è la sua partecipazione al presupposto dell’imposta, ma la realizzazione di una
fattispecie ulteriore e diversa. L’obbligazione del responsabile, in tanto esiste, in
quanto esiste quella principale; si dice, perciò, che il responsabile è un coobbligato
dipendente in contrapposizione all’istituto della solidarietà ordinaria o paritaria.
Ecco due esempi di questa particolare figura: a) i nuovi possessori di immobili,
divenuti proprietari o titolari di altri diritti reali, sono responsabili d’imposta;
rispondono cioè in solido con i precedenti possessori dell’ILOR; b) le aziende di
credito che rilascino fideiussione ai soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto
che conseguono rimborsi d’imposta, rispondono insieme con il garantito,
dell’obbligo di restituire al fisco le somme indebitamente rimborsate.
A) in un primo gruppo di casi la posizione del terzo è un riflesso della disciplina dei
privilegi speciali. Quando il credito d’imposta è garantito da privilegio speciale
sui beni ai quali il tributo si riferisce, il privilegio importa il diritto di seguito; il
bene continua ad essere gravato dal privilegio anche se viene trasferito a terzi; i
terzi assumono così la veste di responsabile (limitatamente a quel bene che può
essere espropriato per soddisfare il credito d’imposta). Secondo la
giurisprudenza l’azione del fisco nei confronti del terzo può essere esercitata
solo dopo che è stata infruttuosamente esperita l’azione esecutiva nei confronti
dell’obbligato principale; la responsabilità del terzo quindi viene detta
sussidiaria.
B) in un altro gruppo di ipotesi, la responsabilità del terzo è un riflesso di norme in
materia di pignoramento; una prima ipotesi si ha in caso di cessione d’azienda;
avviata l’esecuzione nei confronti di chi sia stato titolare di azienda, e l’abbia
ceduta, l’esattore può sottoporre a pignoramento i beni mobili e le merci
dell’azienda ceduta. Un’altra concerne i beni mobili rinvenuti nella casa di
abitazione del contribuente; contro il pignoramento di tali beni non possono
proporre opposizione di terzo il coniuge, i parenti e gli affini entro il terzo grado
del contribuente e dei coobbligati. Infine, i frutti degli immobili del debitore,
soggetti a privilegio, possono essere espropriati, nelle forme dell’espropriazione
presso il debitore, anche se l’immobile è affittato (quindi anche se i frutti
appartengono all’affittuario). In questo secondo gruppo di ipotesi, l’esecuzione si
svolge sulla base dell’atto di imposizione e dell’iscrizione a ruolo del debitore
d’imposta, il terzo, quindi, subisce l’esecuzione forzata per l’attuazione d’un
debito altrui senza essere soggetto passivo del processo esecutivo.
11. Il successore.
La successine ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le situazioni
giuridiche (trasmissibili) che facevano capo al defunto, implica anche il subentro
degli eredi nelle situazioni giuridiche di natura tributaria.
A) per le imposte sui redditi gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni
tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante
causa. L’importanza della norma non sta nel fatto che sancisce la successione
nelle obbligazioni, ma in quanto sancisce la solidarietà degli eredi. Gli eredi
sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari
personalmente in proporzione della loro quota ereditaria. Gli eredi subentrano
nella stessa posizione del dante causa anche per quel che riguarda gli obblighi
formali e le situazioni procedimentali. Per le imposte sui redditi, la legge dispone
che tutti i termini pendenti alla data della morte del dante causa o scadenti entro
4 mesi da essa sono prorogati di 6 mesi a favore degli eredi. Gli eredi devono
comunicare all’ufficio delle imposte dell’ultimo domicilio fiscale del de cuius le
proprie generalità e il proprio domicilio fiscale.
B) In materia di Iva è previsto che gli obblighi fiscali derivanti da operazioni
effettuate dal contribuente deceduto possono essere adempiuti dagli eredi entro
tre mesi dalla morte
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C) Per quel che riguarda le altre imposte, non vi sono disposizioni specifiche, per
cui si applicano i principi civilistici
D) Discusso è il problema se gli eredi subentrino al de cuius anche per quel che
riguarda le sanzioni pecuniarie. La giurisprudenza è orientata in senso
affermativo.
E) Se vi è processo pendente, questo non si interrompe, ma i termini pendenti
sono prorogati di 6 mesi a decorrere dalla morte.
Parte terza
Dinamica dell’imposta
Capitolo ottavo
Profili generali
1. I modelli.
Abbiamo, sin qui, dato un immagine statica dell’imposta; ne abbiamo cioè descritto
le fattispecie e gli effetti. Dobbiamo ora vederne la dinamica; dobbiamo cioè
indagare in qual modo la norma astratta e generale, che racchiude fattispecie ed
effetti dell’imposta, trova attuazione ed individuazione. Possono darsi nelle leggi
d’imposta, più modelli di individuazione delle norme astratte e generali, ma tre sono
gli schemi paradigmatici.
A) il modello più semplice è quello dei tributi c.d. immediati o senza imposizione. Al
verificarsi della fattispecie, l’obbligato deve senz’altro versare una somma
all’ente pubblico: non sono previsti adempimenti che s’inseriscono nel
meccanismo genetico dell’obbligazione dell’imposta; l’obbligazione nasce
direttamente dalla legge, al verificarsi del presupposto di fatto . Tosto che si
verifichi la situazione base del tributo.. si determina subito l’obbligazione
tributaria, che di solito viene spontaneamente adempiuta senza bisogno d’una
qualsiasi manifestazione finanziaria. L’attività della finanza suole intervenire
successivamente, a scopo di revisione, per controllare se l’obbligazione sia
stata soddisfatta.
B) Ai tributi senza imposizione la dottrina affianca i tributi con imposizione;
imposizione che può essere eventuale o necessaria. Nel modello
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2. La potestà d’imposizione.
L’amministrazione finanziaria è dotata di potestà intesa a statuire sull’obbligazione
tributaria; questa potestà o potere si esprime in provvedimenti. Esaminiamo alcuni
caratteri di questo potere.
A) L’esercizio del potere impositivo non è libero ne discrezionale, ma vincolato. Ciò
è un riflesso del principio di legalità (art. 23): la legge pone norme materiali che
disciplinano compiutamente l’obbligazione d’imposta, per cui
l’individualizzazione amministrativa della norma generale ed astratta avviene in
presenza dei presupposti predeterminati dalla legge, senza esercizio di
discrezionalità. Una certa discrezionalità può riconoscersi all’amministrazione
nella selezione dei soggetti da sottoporre a controllo.
B) La particolare potestà cui ci riferiamo, è quella che ha per oggetto la sussistenza
dell’obbligazione tributaria e che viene di solito denominato potestà di
imposizione o potestà accertativa. Essa non è da confondere con il potere
governativo di emanare norme astratte e generali, ne con i poteri che
l’amministrazione esercita per riscuotere coattivamente i crediti d’imposta. E’
anch’essa un potestà normativa: attua la individualizzazione di norme generali
ed astratte mediante la produzione di norme individuali e concrete.
3. Il procedimento d’imposizione.
L’attuazione dell’imposta da parte dell’amministrazione avviene con una serie di
attività di varia natura coordinate all’emanazione di un atto conclusivo. Nel diritto
amministrativo generale il procedimento ha trovato riconoscimento e disciplina nella
l. 7/8/90 n° 241. Tale legge si applica anche ai procedimenti tributari con la sole
eccezione del capo dedicato alla partecipazione (del cittadino al provvedimento). Il
procedimento amministrativo in generale si articola in più fasi: le principali sono a)
la fase iniziale, b) la fase istruttoria, c) la fase conclusiva. Il procedimento
d’imposizione inizia sempre d’ufficio sia quando è mancata la dichiarazione, sia
quando questa è presentata, e quindi l’azione dell’ufficio è rivolta a controllare e
rettificare la dichiarazione. Inoltre, nel criterio tributario d’imposizione non abbiamo
una serie prestabilita di atti da porre in essere prima dell’emanazione dell’atto
finale. Ai procedimenti tributari non si applicano come si è detto le norme generali
in tema di partecipazione del cittadino al procedimento. Solo in alcuni casi la legge
obbliga l’ufficio ad interpellare il contribuente ad a consentirgli una qualche forma di
difesa; è quindi rimesso alla discrezionalità dell’ufficio dar vita ad un contraddittorio
nel corso del procedimento. Nella fase istruttoria , l’ufficio esperisce le indagini del
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caso per ricercare e verificare i fatti fiscalmente rilevanti con l’uso dei poteri
d’indagine che la legge gli conferisce. Infine, si ha la fase conclusiva, ossia
l’emanazione del provvedimento d’imposizione. Il procedimento può concludersi
però anche senza emanazione di provvedimenti: ciò avviene quando l'ufficio
constata che non vi sono i presupposti per la emanazione di provvedimenti.
5. La teoria dichiarativa.
Il complesso di problemi teorici ora indicati sono risolti in dottrina secondo due
orientamenti dei quali quello tradizionale è di tipo dichiarativo. Secondo tale
orientamento le leggi tributarie fanno scaturire direttamente dal presupposto gli
effetti obbligatori in cui si risolve il tributo. Di conseguenza, tutti gli atti posti in
essere dal contribuente o dall’amministrazione finanziaria, non fanno parte del
meccanismo costitutivo del rapporto d’imposta, ma sono rivolti a dargli esecuzione
o ad accettarlo. Dal fatto che la legge tributaria descrive compiutamente il fatto cui
si collega l’imposta, alcuni deducono che il potere impositivo dell’amministrazione
ha natura di potere di mero accertamento, altri che non esiste alcun potere
amministrativo in senso proprio (mero atto). Per la formulazione più nota della
teoria dichiarativa, l’avviso di accertamento ( l’atto in cui si esprime il potere
d’imposizione) è una manifestazione del potere d’impero. Esso non produrrebbe
una situazione giuridica nuova, ma si limiterebbe a dichiarare ed accertare una
situazione giuridica preesistente ( il rapporto d’imposta sorto ex lege). Inoltre per
questi orientamenti dottrinali, il contribuente è titolare di un diritto soggettivo; di
conseguenza il contribuente cui è notificato un atto di accertamento che non
rispecchia esattamente la situazione di fatto o che non è conforme alla legge,
agisce in giudizio a tutela del diritto soggettivo leso dall’atto amministrativo.
a) le norme tributarie sono norme materiali che danno vita direttamente al
verificarsi del presupposto d’imposta di un rapporto complesso
b) il contribuente, nello stadio che precede l’imposizione è titolare d’un diritto
soggettivo
c) l’atto di imposizione è, per alcuni, un provvedimento amministrativo ( autoritativo
ed imperativo); per altri, invece, è un mero atto
d) effetto dell’atto di imposizione è quello di accertare il rapporto già sorto ex lege;
si ha dunque un effetto formale di accertamento, non una modificazione
sostanziale
e) il processo ha il compito di reintegrare il diritto soggettivo leso dall’attività
amministrativa, e di accertare il rapporto d’imposta sorto ex lege, disapplicando
l’atto impositivo.
6. La teoria costitutiva.
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Capitolo nono
1. Considerazioni preliminari.
Dei tre modelli di attuazione delle leggi d’imposta, indicati in via astratta, quello
accolto dal nostro ordinamento per la più parte dei tributi è il modello della
imposizione eventuale. Le ragioni della scelta legislativa sono evidenti: la massa
enorme di adempimenti richiesti da tali imposta non possono che essere affidate,
innanzitutto agli stessi contribuenti, i quali devono adempiere una serie assai vasta
di obblighi c.d. formali o strumentali.
Alla regole della contabilità ordinaria non sono soggetti tutti gli imprenditori perché,
per le imprese minori, è previsto un regime semplificato di contabilità. Va messo in
rilievo, da un lato, che la nozione di impresa minore ai fini tributari non coincide con
la nozione civilistica di piccolo imprenditore e, dall’altro, che lo statuto fiscale
dell’impresa minore ha rilievo, non soltanto ai fini degli obblighi contabili, ma anche
ad altri fini. La nozione fiscale di impresa minore è legata alle dimensioni del
fatturato; sono imprese minori le imprese individuali e società di persone il cui
fatturato non supera una determinata soglia (360 ml. per periodo d’imposta). La
contabilità fiscale semplificata è composta, essenzialmente, dai registri IVA, cioè da
registri dove sono annotati acquisti e vendite. Le imprese minori non sono obbligate
a tenere, le scritture contabili di cui consta la contabilità ordinaria (giornale,
inventari, scritture ausiliarie) e la dichiarazione dei redditi sarà elaborata sulla base
dei dati desunti dai registri IVA. Data la sua rudimentalità la contabilità semplificata
è poco attendibile quindi il controllo del fisco nei confronti delle imprese minori, è
fondato, non sulla contabilità, ma su standards medi di redditività di coefficienti
presuntivi.
Capitolo nono
riteneva applicabile ad essa l’art. 2732 del c.c. secondo cui la confessione non può
essere revocata se non si prova che è stata determinata da un errore di fatto o da
violenza. Oggi tale impostazione deve considerarsi superata, si ammette infatti la
rettificabilità dei dati dichiarati.
dichiarazione, se non sono state versate le somme dovute in base alla stessa
dichiarazione, l’amministrazione può procedere ad iscrizione a ruolo; in sede di
ricorso contro il ruolo, possono essere fatti valere gli errori commessi in sede di
dichiarazione. Errori rettificabili sono soltanto quelli che attengono alle
dichiarazioni di scienza; le opzioni non sono rettificabili.
Capitolo decimo
L’istruttoria
5. Indagini bancarie.
A) Gli uffici delle imposte e la G.d.f. hanno il potere di richiedere alla aziende ed
istituti di credito copia dei conti intrattenuti con il contribuente, con la
specificazione di tutti i rapporti inerenti e connessi a tali conti. Dal punto di vista
procedurale, vi è da notare che gli uffici delle imposte e la G.d.f., prima di
svolgere indagini bancarie, debbono essere autorizzati, rispettivamente
dall’ispettore compartimentale delle imposte dirette e dal comandante di zona; e
che l’azienda di credito deve dare immediatamente notizia al contribuente delle
richieste ricevute. Acquisiti i dati bancari, l’ufficio può chiedere dati e notizie al
contribuente, invitandolo a comparire di persona o inviandogli questionari. Il
motivo di questa ulteriore fase istruttoria è in ciò che, se i dati rilevati dai conti
non trovano riscontro nella contabilità, operano delle presunzioni legali relative
di evasione. Più esattamente, se vi sono incassi non registrati, si presume che
ad essi corrispondano ricavi non registrati; quando vi sono prelevamenti non
registrati, si presume che ai prelevamenti corrispondano costi non registrati, e
che a tali costi corrispondano ricavi ugualmente non registrati; il contribuente
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6. Inviti e richieste.
Meno penetranti e perciò non subordinati a particolari presupposti, sono altri poteri
di cui il fisco dispone, sia nei confronti del soggetto controllato, sia nei confronti di
terzi. Esaminiamo, tali poteri, distinguendo tra quelli che riguardano il contribuente
e quelli che riguardano i terzi.
A) L’ufficio può innanzitutto, invitare i contribuenti a comparire di persona per
fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti. In
secondo luogo l’ufficio può invitare il contribuente ad esibire o trasmettere atti e
documenti. In terzo luogo, l’ufficio può inviare ai contribuenti questionari relativi
a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro
confronti.
B) Per quanto riguarda i terzi, bisogna ulteriormente distinguere i terzi che hanno
veste pubblica, dai terzi che sono soggetti di diritto privato. L’ufficio può
richiedere agli organi e alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non
economici, alle società di assicurazioni, agli enti che effettuano pagamenti e
riscossioni per conto terzi o che svolgono attività di intermediazione e gestione
finanziaria, la comunicazione di dati e notizie relativi a determinati soggetti o
categorie di soggetti. Inoltre, l’ufficio può richiedere ai notai, ai procuratori del
registro, ai conservatori dei registri immobiliari e ad ogni altro pubblico ufficio
copia di atti depositati presso di essi. Per quanto riguarda gli altri terzi, il fisco
può chiedere ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili dati e
documenti relativi ad attività svolte nei confronti di clienti, fornitori e prestatori di
lavoro autonomo.
Capitolo undicesimo
L’avviso di accertamento
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1. Natura giuridica.
Il procedimento amministrativo di applicazione delle imposte sfocia in un atto che le
leggi denominano avviso di accertamento. Tale atto è ben più che un avviso e non
è affatto sicuro che il suo effetto sia di mero accertamento. L’avviso di
accertamento viene denominato, da molti autori, come atto d’imposizione:
espressione questa, che vuol mettere in rilievo che, con questo provvedimento,
l’ufficio impone qualcosa.
2. Le statuizioni.
Esaminiamo il contenuto dispositivo dell’atto d’imposizione.
A) In materia di imposte sui redditi, la legge prescrive che l’avviso di accertamento
deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle
aliquote applicate e delle imposte liquidate.... Ciò che sembra essenziale è
soltanto la determinazione dell’imponibile; vi sono infatti ipotesi in cui l’atto non
va oltre tale determinazione. Una prima ipotesi è data dall’accertamento dei
redditi delle società di persone; con esso viene determinata l’imposta dovuta
dalla società ILOR ma , agli effetti dell’imposta dovuta dal socio, rileva soltanto
la determinazione dell’imponibile della società, da imputare poi, pro quota, a
ciascun socio, agli effetti dell’imposta dovuta al socio. Un’altra ipotesi si ha
quando l’imponibile è di segno negativo oppure costituito dal c.d. pareggio
fiscale; l’avviso che accerta delle perdite o accerta il pareggio non comporta,
evidentemente, statuizioni circa l’imposta; si può dire, anche, che comporta la
statuizione che non è dovuta alcuna imposta per quel periodo.
B) Nella disciplina dell’Iva, il contenuto dell’avviso di accertamento non è
specificato dal legislatore, che si limita a stabilire che “l’ufficio imposta sul valore
aggiunto procede alla rettifica della dichiarazione annuale presentata dal
contribuente quando ritiene che ne risulti un’imposta inferiore a quella dovuta
ovvero una eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante”.
C) Le imposte indirette si differenziano da quelle dirette in quanto la loro
applicazione avviene attraverso una sequenza di atti in parte diversa. All’avviso
di accertamento delle imposte sui redditi corrisponde nelle imposte indirette,
l’avviso di accertamento di valore così denominabile in quanto di regola, in tali
imposte, occorre stabilire il valore venale del bene su cui incide l'imposta.
L’essenziale caratteristica che differenzia tale avviso da quello delle imposte
dirette non è però tanto il fatto che esso implichi la valutazione del valore venale
di un bene, quanto al fatto che il suo contenuto riguarda soltanto tale valore,
senza estendersi alla determinazione dell’imposta. La determinazione
dell’imposta è infatti affidata ad un altro atto, avente una sua specifica
individualità e funzione: l’avviso di liquidazione. La determinazione
dell’imponibile può assumere articolazioni differenziate nelle tre imposte cui ci si
riferisce: registro, successione ed INVIM. Agli effetti dell’imposta di registro
l’avviso di accertamento stabilisce il valore venale degli immobili o delle aziende.
Agli effetti dell'imposta sulle successioni, l'avviso contiene la determinazione del
valore dei beni caduti in successione, ma esso può riguardare anche le passività
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3. La motivazione.
A) Che gli atti di disposizione debbano essere sempre motivati è un principio alla
cui affermazione generale si è pervenuti solo di recente. Sono due i dati
normativi nei quali trova sicuro fondamento il principio generale dell’obbligo di
motivazione dei provvedimenti dell’amministrazione finanziaria. Il primo è nella
legge che regola in generale ogni provvedimento amministrativo; ci si riferisce
all’art. 3 della l. 7/8/ 90 n° 241, ove è stabilito, con formula di portata generale,
che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato. Il secondo dato
normativo è nell’art. 21 del d.p.r. n° 636, il quale stabilisce che la commissione
tributaria non può disporre la rinnovazione dell’atto impugnato quando sia fatto
valere il vizio di motivazione: il che implica, da un lato, l’obbligo
dell’amministrazione di motivare i provvedimenti impugnabili e dall'altro il
carattere invalidante del vizio di motivazione.
B) Motivazione, negli atti discrezionali, è l’esternazione dei motivi di opportunità, di
convenienza amministrativa, ecc, che stanno a fondamento dell’atto. Per gli atti
d’imposizione, sembra valida la formula giurisprudenziale: motivazione è
l’indicazione dell’iter logico giuridico seguito dall’organo nella formazione
dell’atto. Il lettore del provvedimento deve essere posto in grado di ripercorrere
l’itinerario logico seguito dall’autorità nella formazione del provvedimento.
Questa idoneità del provvedimento a rendere noto l’itinerario logico che
sorregge il dispositivo sussiste o non sussiste: il provvedimento, cioè, è motivato
o non lo è.
C) Un provvedimento con motivazione insufficiente, omessa, contraddittoria, ecc;
un provvedimento, cioè viziato nella motivazione è invalido; esso è destinato ad
essere annullato dall’autorità giurisdizionale; il giudice, a fronte di un atto
invalido, può soltanto annullarlo; non può mai sostituirlo.
4. Invalidità.
I civilisti distinguono tra negozio nullo e negozio annullabile. Negozio nullo è quello
che nullum producit effectum; annullabile è il negozio precariamente efficace. Nel
diritto amministrativo, il provvedimento viziato si dice illegittimo; provvedimento
nullo è espressione impropria per designare il provvedimento precariamente
efficace, suscettibile di eliminazione ( ossia annullabile). Nel diritto tributario,
valgono gli schemi del diritto amministrativo, con questa sola particolarità: non
essendovi, almeno di regola, atti discrezionali, e non essendo configurabile un
merito dell’atto, non si danno vizi di merito, ne vizi di eccesso di potere; ogni
possibile vizio dell’atto d’imposizione è un vizio di violazione di legge. Si può
distinguere, per gli atti d’imposizione, tra vizi di contenuto e vizi di forma. I primi
riguardano la parte dispositiva dell’atto, e sono costituiti da violazioni delle norme
tributarie sostanziali; vizi formali sono tutti gli altri ( di motivazione, incompetenza).
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5. Inesistenza.
L’atto invalido è un atto esistente; il provvedimento amministrativo illegittimo è
efficace, finché non invalidato. E’ inesistente l’atto emanato dall’autorità finanziaria,
non provvista del potere impositivo; si può esemplificare indicando un atto che
applica un’imposta abrogata o dichiarata incostituzionale. E’ inesistente un atto
d’imposizione, che manca dei requisiti minimi, senza i quali l’atto non può dirsi
venuto ad esistenza: atto non notificato, atto privo di dispositivo.
6. La notificazione.
L’atto di imposizione è recettizio: in tanto esiste, ed esplica effetti giuridici, in quanto
sia notificato al destinatario; l’imposizione viene ad esistenza, cioè, solo qualora sia
compiuto un cero rito, denominato notificazione, che ha per scopo di portare l’atto a
conoscenza del destinatario. La notificazione degli avvisi di accertamento in
materia di imposte sui redditi è eseguita secondo le norme stabilite dal codice di
procedura civile: a) la notificazione è eseguita dai messi comunali;
b) il messo deve far sottoscrivere l’atto al consegnatario
c) la notificazione deve essere fatta nel domicilio eletto fiscale del destinatario
d) la notificazione deve essere fatta nel domicilio eletto dal contribuente nel
comune di domicilio fiscale
e) nel caso di irreperibilità del destinatario, il messo deposita copia dell’atto presso
la casa del comune, ne affigge l’avviso presso l’albo del comune e ne da notizia al
destinatario con raccomandata
Tale disciplina vale anche per la notificazione degli atti d’imposizione in materia di
IVA.
7. Il termine.
L’atto d’imposizione deve essere notificato entro un certo termine, previsto dalla
legge a pena di decadenza; se l’amministrazione non esercita il potere d’imporre
entro quel termine, essa ne decade. Per le imposte sui redditi, l’amministrazione
deve notificare l’avviso entro il 31/12/ del quinto anno successivo a quello in cui è
stata presentata la dichiarazione; nei casi di omessa presentazione della
dichiarazione, o di presentazione di dichiarazione nulla, il termine è quello del 31/12
del sesto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere
presentata. Per l’IVA il termine è il 31/12 del quarto, o del quinto anno successivo a
quello in cui è stata rispettivamente presentata, o avrebbe dovuto essere
presentata la dichiarazione; per l’imposta di registro vi è un termine di 5 anni per gli
atti non registrati e di 3 anni per quelli registrati; analogamente, per l’imposta sulle
successioni vi è un termine di 5 anni per le successioni non denunciate e di tre per
quelle denunciate.
8. Effetti soggettivi.
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9. La definitività.
L’atto di imposizione si dice definitivo quando sono decorsi i termini
d’impugnazione, e non è impugnato, ovvero quando l’impugnazione viene respinta.
La definitività non è un quid che si aggiunge agli effetti dell’atto; è solo il riflesso
della vicenda estintiva, ovvero dell’esaurimento, del potere d’impugnare.
Capitolo undicesimo
L’avviso di accertamento
6) L’ufficio ha l’onere di dimostrare la sussistenza dei fatti indice sui quali basa
l’accertamento sintetico; il contribuente, per contro, può dimostrare che il
maggiore reddito, determinabile o determinato sinteticamente, è costituito in
tutto o in parte da redditi non tassabili (redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta
alla fonte a titolo d’imposta); ovvero può opporre di aver utilizzato disponibilità
economiche di natura non reddituale.
facoltà: a) l’ufficio può avvalersi dei dati e delle notizie comunque raccolti o
venuti a sua conoscenza; b) l’ufficio può prescindere in tutto o in parte dalle
risultanze del bilancio e delle scritture contabili; c) l’ufficio può avvalersi anche di
presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Nell’iter che
l’ufficio deve seguire occorre distinguere l’accertamento dei presupposti che
legittimano l’adozione del metodo induttivo dalla determinazione (induttiva) del
reddito. L’ufficio può ritenere inattendibile la contabilità solo in base a prove
circostanziate circa le irregolarità contabili; a questi fini, quindi, l’ufficio non può
servirsi di dati astratti ( la redditività media del settore), ma deve basarsi su
prove concrete, riguardanti il singolo contribuente. Una volta appurata, in modo
concreto, l’inattendibilità della contabilità, si apre una seconda fase, rivolta a
costruire il reddito; in questa seconda fase, l’ufficio può prescindere dalla
contabilità e servirsi di dati ed elementi comunque raccolti e di presunzioni non
assistite dai requisiti di gravità, precisione e concordanza. E’ solo in questa
seconda fase che l’ufficio può servirsi di studi di settore, medie statistiche, non
desunti in modo diretto dalla situazione del singolo contribuente.
15. L’accertamento mediante coefficienti presuntivi dei redditi delle imprese minori.
Nei confronti dei soggetti con contabilità semplificata, l’accertamento può essere
fatto, oltre che in base alle norme ordinarie, con l’uso di coefficienti presuntivi, sia ai
fini dell’imposta sul reddito sia ai fini dell’Iva. Poiché vi è analogia tra questi
coefficienti e quelli del redditometro, è opportuno notare che i coefficienti contenuti
nel redditometro concernono il reddito complessivo delle persone fisiche; i
coefficienti di cui passiamo ora ad occuparci riguardano invece i componenti
positivi di reddito e il volume di affari dell’attività d’impresa e dell’attività di lavoro
autonomo dei contribuenti c.d. minori.
A) Rileviamo che i coefficienti sono determinati annualmente con decreto del Pres.
del Cons. Dei ministri, su proposta del Min. Delle finanze e sentito il consiglio dei
ministri, entro il 30/9 dell’anno cui si riferiscono.
B) In base a quali elementi vengono determinati i coefficienti? L’amministrazione si
avvale di 3 ordini di dati: - dati desunti dalle dichiarazioni dei redditi, dagli
accertamenti degli uffici, e altri dati ed elementi in possesso
dell’amministrazione; - di informazioni richieste agli enti locali, alle
organizzazioni economiche di categoria; - del c.d. contributo diretto lavorativo.
C) A che scopo servono i coefficienti? Quale ne è il contenuto e l’oggetto? I
coefficienti hanno per oggetto, non la determinazione presuntiva del reddito, ma
la determinazione presuntiva dei ricavi e dei compensi, e del volume d’affari ( ai
fini dell’IVA). Il redditometro si basa su elementi che, indicando una certa spesa,
fanno presumere un certo reddito; gli indici del redditometro sono quindi
costituiti da spese di erogazione del reddito; nel caso dei coefficienti presuntivi,
invece, gli indici sono costituiti da spese di produzione del reddito. Determinati,
in base ai coefficienti, i ricavi (delle imprese) i compensi (dei lavoratori
autonomi), da essi si deducono soltanto le spese e gli altri componenti negativi
dichiarati dal contribuente o presi a base dei coefficienti. Da tale sottrazione
risulta, alla fine, il reddito imponibile.
D) Sulla base del reddito determinato mediante i coefficienti, e di altri elementi
eventualmente in possesso dell’ufficio specificatamente relativi al singolo
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21. Il concordato.
Nel procedimento di accertamento possono intervenire anche degli accordi tra
ufficio e contribuente. Con termine consolidato dall’uso si parla correntemente di
concordato. La disciplina di questo atto è caratterizzata dai seguenti tratti:
l’accertamento con adesione è un atto di rettifica della dichiarazione dei redditi delle
persone fisiche che esercitano, anche in forma associata, attività di impresa o di
lavoro autonomo ( il concordato, quindi, riguarda le persone fisiche e non le
società; l’IRPEF e non l’IRPEG); L’istituto riguarda, in pratica, la sola categoria dei
c.d. contribuenti minori. Il concordato può essere stipulato quando non sono stati
commessi reati (quando non vi sono fatti che costituiscono frode e quando i ricavi
omessi non superano i 50 ml.). L’accertamento concordato è definitivo; perciò, non
è impugnabile dal contribuente e non può essere modificato o integrato dall’ufficio;
esso comporta una riduzione delle sanzioni amministrative ( ridotte ad un terzo del
minimo: da rapportare al fatto che se il contribuente non impugna l’accertamento
beneficia di una riduzione pari alla metà del minimo). L’efficacia del concordato è
subordinata al pagamento di quanto risulta dovuto in base ad esso.
L’avviso di accertamento
Sezione terza – Misure antielusive –
1. Nozione di elusione.
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3. L’interpretazione antielusiva.
Un altro strumento antielusivo può essere dato dall’interpretazione antielusiva,
che può essere adottata quando il contribuente che elude si avvale di strumenti
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8. L’interpello dell’amministrazione.
Per ovviare allo stato di incertezza in cui possono trovarsi gli operatori
economici, i contribuenti possono interpellare l’amm. Finanziaria e conoscerne
preventivamente il giudizio. I casi sono predeterminati: operazione che potrebbe
essere considerata elusiva, ed inquadrata in uno dei casi di elusione
espressamente stabiliti; operazione alla quale potrebbe essere applicata la
norma in tema di interposizione di persona. La procedura di interpello è così
articolata:
- il contribuente, quando sta per porre in essere uno dei comportamenti
sopra indicati può richiedere preventivo parere alla competente
direzione generale del Ministero delle finanze
- in caso di mancata risposta della Dir. generale, o di risposta alla quale
non si intende uniformarsi, è dato al contribuente il diritto di richiedere il
parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme
antielusive.
- La mancata risposta del Comitato entro 60 gg. dalla richiesta del
contribuente, e dopo ulteriori 60 gg. da una formale diffida ad
adempiere, equivale a silenzio assenso.
Capitolo dodicesimo
La riscossione
a) Le imposte sui redditi non sono mai riscosse dagli uffici accertatori, ma da altri
organi o soggetti;
b) Nella riscossione delle imposte dirette troviamo tipizzate tre forme di riscossione
(ritenuta diretta, versamento diretto e riscossione mediante ruolo)
c) La riscossione ad iniziativa dell’amministrazione finanziaria avviene sempre
mediante ruolo
Con riguardo alle imposte indirette:
a) tali imposte sono riscosse dagli uffici accertatori
b) la riscossione avviene sempre mediante versamento all’ufficio accertatore
c) la riscossione coattiva è affidata anche qui, nella maggior parte dei casi, al
“Servizio della riscossione”.
7. La ritenuta diretta.
Il decreto sulla riscossione delle imposte sui redditi esordisce con l’affermazione
che tali imposte sono riscosse mediante:
a) ritenuta diretta;
b) versamenti diretti al concessionario della riscossione;
c) iscrizione a ruoli.
Ritenuta diretta è una forma di riscossione che si ha quando le amministrazioni
statali corrispondono compensi od altre somme, con il diritto di decurtarle d’un certo
importo ; la ritenuta viene detta diretta perché effettuata direttamente dell’ente
impositore. L’amministrazione statale, pertanto nel corrispondere somme soggette
a ritenuta: a) è debitrice verso il contribuente d’una certa somma; b) può, anzi, deve
operare una ritenuta; c) deve, infine, trasferire le ritenute alla tesoreria, secondo le
norme della contabilità di Stato. La ritenuta diretta può essere a titolo d’acconto o a
titolo d’imposta.
8. Il versamento diretto.
E’ denominato versamento diretto il versamento di somme effettuato dal
contribuente, in base ad autonoma liquidazione della somma da versare (c.d
autoliquidazione o autotassazione); viene detto diretto per distinguerlo da quello
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effettuato in base al ruolo. Nel campo delle imposte sui redditi, si ha versamento
diretto nelle seguenti ipotesi:
a) versamenti delle ritenute operate dai sostituti d’imposta;
b) versamenti a titolo d’acconto dell’IRPEF, dell’IRPEG e dell’ILOR; tali versamenti
costituiscono un acconto dell’imposta che risulterà dovuta per l’anno in cui sono
versati gli acconti, e sono commisurati all’imposta dichiarata per l’anno
precedente;
c) versamenti a saldo dell’IRPEF, dell’IRPEG e dell’ILOR: tali versamenti debbono
essere effettuati entro il termine entro il quale deve essere presentata la
dichiarazione annuale. Le somme predette debbono essere versate al
concessionario della riscossione territorialmente competente da individuare in
base al luogo di domicilio fiscale del contribuente. Il versamento si effettua o
presso gli sportelli del concessionario o mediante delega bancaria. La banca,
ricevuta dal contribuente la somma da versare all’erario, rilascia al contribuente
una quietanza che libera il contribuente nei confronti del fisco. Secondo la
giurisprudenza, l’accettazione della delega da parte dell’azienda di credito
comporta la novazione dell’obbligazione preesistente: all’obbligazione tributaria
(del contribuente) subentra quella della banca; l’obbligazione della banca verso
il fisco ha natura privatistica.
9. I ruoli.
A) I casi nei quali la riscossione delle imposte sui redditi avviene mediante ruolo
possono essere indicati, innanzitutto, in via residuale, cioè come l’insieme dei
casi nei quali non è prevista la riscossione mediante ritenuta diretta o
versamento diretto. Ricevuta la dichiarazione, non corredata dalla quietanza del
versamento diretto delle imposte dovute in base all dichiarazione stessa,
l’amministrazione finanziaria iscrive a ruolo le somme non versate. Vi sono tre
ipotesi di iscrizioni a ruolo in base all dichiarazione: 1) presentazione della
dichiarazione senza previo versamento diretto ( o con insufficiente versamento)
delle somme liquidate ( nella stessa dichiarazione); 2) maggiori somme liquidate
in base all dichiarazione per effetto del controllo formale e documentale della
dichiarazione; 3) dichiarazione dei redditi soggetti a tassazione separata ( per
tali somme non è previsto il versamento diretto).
Sono poi riscosse mediante ruolo le somme dovute in base agli accertamenti;
nel campo delle imposte dirette, la riscossione tramite ruolo è l’unica prevista
per gli importi dovuti in base agli accertamenti .
B) La legge distingue diverse specie di ruoli: - ruoli principali, nei quali sono iscritte
le imposte liquidate in base alla dichiarazione; - r. suppletivi, nei quali sono
iscritte le imposte dovute in base agli accertamenti; - r. speciali, nei quali sono
iscritte le somme dovute dai sostituti; - r. straordinari, nei quali sono iscritte in via
anticipata rispetto ai tempi ordinari, le somme per le quali vi sia fondato pericolo
per la riscossione. Le imposte iscritte nei ruoli speciali e straordinari sono
riscossi in unica soluzione, mentre sono riscosse in più rate quelle iscritte negli
altri ruoli.
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A) Circa il tempo del pagamento delle somme iscritte a ruolo, assume rilevanza la
distinzione tra le diverse specie di ruoli.
B) Le imposte iscritte nei ruoli principali e suppletivi possono essere riscosse in
dieci rate, se l’amministrazione lo consente. Il Ministro delle finanze può
consentire la rateazione in 5 rate per le imposte iscritte nei ruoli speciali e
straordinari nei confronti dei soggetti per i quali sussiste la necessità di
mantenere i livelli occupazionali e di assicurare il proseguimento delle attività
produttive, nonché nei confronti di soggetti che svolgono un servizio pubblico
essenziale e nei confronti di enti territoriali.
C) Il giorno effettivo di scadenza non è il giorno 10 del mese, ma il 18, perché alla
norma che fissa la scadenza al giorno 10 si sovrappone quella per cui il
pagamento deve essere effettuato presso la sede dell’esattoria entro 8 gg. dalla
scadenza. Decorso il termine utile per il pagamento, si rende dovuta una
indennità do mora pari al 2% della somma non pagata, se il pagamento avviene
nei 3 giorni successivi alla scadenza ( entro il 21); l’indennità sale al 6% se il
pagamento è successivo al giorno 21.
D) Il pagamento può essere parziale e deve avvenire in contanti o con cedole del
debito pubblico ovvero con altri titoli di credito bancari o postali a copertura
garantita. Una singolare forma di datio in solutum è l’assolvimento del tributo
mediante cessione allo Stato dei beni d’interesse storico od artistico, sottoposti
a speciale tutela.
Capitolo dodicesimo
Sezione terza – La riscossione delle imposte indirette –
Capitolo dodicesimo
Sezione quarta – Esecuzione forzata –
debito e l’invito a pagare entro 5 gg.. L’avviso non preceduto da iscrizione a ruolo è
atto impugnabile dinanzi alle commissioni. L’esecuzione immobiliare non può aver
luogo se non è stata previamente esperita quella immobiliare. L’esecuzione si
articola in tre momenti: pignoramento, vendita e assegnazione del ricavato. Il
pignoramento dei beni mobili avviene nelle forme del diritto processuale comune,
ad opera dell’ufficiale esattoriale, che deve redigere un verbale da consegnare e
notificare al debitore esecutato. Per addivenire all vendita, il concessionario deve
far affiggere un avviso per 5 gg. consecutivi nella casa comunale, nel quale deve
essere indicata la data del primo e quella del secondo incanto. Se i beni non sono
venduti al secondo incanto provvede a venderli il sindaco per trattativa privata. Il
pignoramento dei beni immobili si esegue mediante trascrizione di un avviso di
vendita. La vendita è presieduta dal pretore. Se dopo un primo ed un secondo
incanto il bene non è venduto, l’intendente può autorizzare un terzo incanto. Se il
terzo incanto ha esito negativo l’immobile è devoluto allo Stato. Epilogo della
procedura è la distribuzione del ricavato.
22. L’ingiunzione.
L’ingiunzione era lo strumento della riscossione di tutte le tasse e imposte indirette:
ora continua ad essere usata come atto di accertamento, mentre per la riscossione
occorre il ruolo. Con atto di ingiunzione, la pubblica amministrazione ordina il
pagamento dell’imposta; se il pagamento non avviene entro 30 gg., la pubblica
amministrazione ha il diritto di dar corso all’esecuzione forzata. Quanto alla natura
giuridica e agli effetti dell’ingiunzione, essa: se segue un atto d’imposizione ha
natura di atto esattivo; se non è stata preceduta da avviso di accertamento, cumula
le funzioni di atto impositivo e di atto esattivo.
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Capitolo tredicesimo
Il rimborso
Sezione prima – Le fattispecie –
Capitolo tredicesimo
Sezione seconda – Il procedimento –
6. Articolazione generale.
Esiste tutto un complesso di regole, intese a disciplinare il procedimento di
rimborso: ossia il complesso di attività che verificano ed attuano il credito di
rimborso. La disciplina generale, applicabile nei casi in cui non vi siano norme
specifiche è così riassumibile: - atto iniziale del procedimento di rimborso è una
istanza dell’interessato;
- l’istanza è proponibile in caso di versamento diretto o qualora manchino o non
siano stati notificati atti impugnabili;
- l’istanza è proponibile nei termini previsti dalle singole leggi d’imposta o, in
mancanza di disposizioni specifiche, entro 2 anni dal pagamento, ovvero se
posteriore, da quando sia sorto il diritto alla restituzione;
- all’istanza segue l’accoglimento (atto di rimborso), o il rigetto della stessa
( provvedimento di diniego), ovvero l’inerzia dell’ufficio;
- in caso di provvedimento di diniego l’interessato può proporre ricorso alla
commissione entro 60 gg.; se il ricorso è omesso non può essere riproposta
l’istanza;
- in caso di silenzio, l’interessato può ricorrere quando siano trascorsi almeno 90
gg. dalla presentazione dell’istanza e fino a quando il rimborso non è prescritto.
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8. Imposte indirette.
Esaminiamo ora, le norme che disciplinano l’istanza di rimborso di imposte
indirette. In tale settore, ha un certo carattere di generalità la regola per cui il
rimborso deve essere richiesto, a pena decadenza, entro 3 anni dal pagamento.
Tale termine vale per l’imposta di registro, per l’INVIM, per l’imposta sulle
successioni e donazioni, per le imposte ipotecarie e catastali, per l’imposta sugli
spettacoli, per le tasse sulle concessioni governative e per il bollo pagato in modo
virtuale. Per quel che concerne l'imposta sul valore aggiunto, occorre distinguere il
rimborso di somme indebitamente versate dal credito d’imposta derivante
dall’imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa.
La legge regola minutamente l’esercizio del credito d’imposta, stabilendo: a) che le
detrazioni vanno computate nel mese di competenza e che quelle non computate
tempestivamente non possono essere computate nei mesi successivi ma solo nella
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9. Il rimborso d’ufficio.
E’ importante distinguere i casi in cui il procedimento di rimborso inizia per impulso
dell’interessato, dai casi di rimborso d’ufficio. In caso di rimborso d’ufficio non
essendo previsto alcun termine, opera solo quello prescrizionale previsto dal codice
civile.
A) Un primo ordine di fattispecie, in cui il rimborso deve essere disposto d’ufficio,
riguarda i crediti risultanti dalla dichiarazione dei redditi ( per i quali il dichiarante
non abbia optato per il riporto a nuovo, nella dichiarazione d’imposta dell’anno
successivo).
B) Un secondo ordine di casi riguarda i rimborsi da effettuare a seguito di decisioni
delle commissioni; se l’imposta iscrivibile a ruolo in base ad una decisione è
inferiore a quella iscritta, l’ufficio deve disporre lo sgravio.
C) Infine, tutti i casi in cui la riscossione indebita dipende da errori materiali o
duplicazioni imputabili allo stesso ufficio (es. Iscrizione a ruolo di una somma
superiore a quella accertata), il rimborso deve essere disposto d’ufficio.
10. Il diniego.
Le norme che prevedono istanze di rimborso o che il fisco provveda al rimborso di
sua iniziativa, non sono norme che fondano il credito di rimborso, ma norme che
disciplinano l’attuazione: sono, cioè, norme di natura procedimentale, non norme
sostanziali. Bisogna dunque distinguere il rapporto sostanziale di rimborso dal
fenomeno procedimentale che serve ad attuarlo; le norme passate in rassegna non
sono una duplicazione o una esplicitazione del principio generale dell’indebito, ma
norme regolatrici delle attività preordinate a verificare ed attuare il diritto al
rimborso. Dall’istanza di rimborso non nasce il diritto al rimborso, ed il debito di
rimborso, ma una situazione giuridica procedimentale; l’istanza obbliga
l’amministrazione ad attivarsi, per verificare la fondatezza della domanda, ed a
pronunciarsi su di essa, accogliendola o rigettandola. Dall’istanza, cioè, sorge
l’obbligo di procedere e l’obbligo di pronuncia. Il provvedimento di diniego dispone il
rigetto dell’istanza, ed estingue il dovere di pronuncia.
11. Il silenzio.
Quando l’amministrazione rimane inerte e non provvede sull’istanza, l’interessato
può presentare ricorso alla commissione, purché siano decorsi 90 gg. dalla
precedente istanza, e fino a quando il diritto al rimborso non è prescritto. E’ invece
da ritenere che il silenzio non abbia valore di provvedimento e che, in particolare,
non equivalga ad un provvedimento di diniego. E’ dunque un silenzio privo di effetti
sul piano sostanziale ( esso non estingue il credito, come il diniego) ed ha valore
solo processuale, come presupposto del ricorso. Quando viene presentato ricorso
a seguito di silenzio, non viene proposta un’azione di impugnazione, ma un’azione
di accertamento; insieme con l’accertamento del credito, l’interessato può altresì
chiedere la condanna dell’amministrazione al rimborso.
Capitolo quattordicesimo
Le sanzioni
Capitolo quattordicesimo
Le sanzioni
4. Le fattispecie.
Iniziamo l’esame degli illeciti amministrativi cui è collegata una pena pecuniaria o
una soprattassa.
A) In materia di Iva, le violazioni degli obblighi formali (fatturazione, registrazione,
dichiarazione, contabilità, compilazione di elenchi, mancata risposta a
questionari) sono punite con pena pecuniaria; l’omesso o tardivo versamento è
punito con soprattassa.
B) In materia di imposte sui redditi, seguendo analogo criterio, il legislatore punisce
con pena pecuniaria le violazioni relative alla dichiarazione e ad altri obblighi; le
violazioni in materia di riscossione, invece, sono punite prevalentemente con
soprattassa.
C) In materia di imposte di successione e di registro il legislatore, seguendo lo
stesso criterio, punisce con pena pecuniaria le violazioni relative alla
dichiarazione e ad altri obblighi formali, e punisce con soprattassa l’omesso o
tardivo versamento.
5. La pena pecuniaria.
A) La pena pecuniaria consiste nell’obbligazione di pagare una somma di denaro.
B) La misura della pena pecuniaria varia tra un minimo ed un massimo;
nell’applicazione si ha riguardo alla gravità della violazione e alla personalità di
chi l’ha commessa; la personalità del trasgressore è desunta dai precedenti
penali e giudiziari e, in genere dalla sua condotta. Esistono peraltro dei casi nei
quali la pena pecuniaria è stabilita in misura fissa: es. È punita in misura fissa
l’omessa presentazione della copia della dichiarazione dei redditi destinata al
comune.
C) Gli organi del contenzioso tributario possono dichiarare non dovute le pene
pecuniarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di
incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali
si riferisce.
D) La giurisprudenza ha sempre fatto leve sul carattere civile della obbligazione, in
cui consiste l pena pecuniaria, per affermarne la trasmissibilità agli eredi; la
dottrina ha insistito sul carattere sanzionatorio dell’istituto per escludere la
trasmissibilità.
E) Se la violazione della norma finanziaria è commessa da più persone, queste
sono obbligate in solido.
F) E’ prevista un’attenuazione del principio del cumulo delle pene in caso di
continuazione.
6. La soprattassa.
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La soprattassa si distingue dalla pena pecuniaria per la misura; essa non varia da
un minimo ad un massimo, ma è stabilita dalla legge in una somma fissa,
corrispondente all’ammontare del tributo, ovvero ad una frazione o ad un multiplo di
esso. Anche in materia di soprattasse le commissioni hanno il potere di dichiararne
la non applicabilità per motivi di incertezza sulla portata della norma da applicare.
Accentuandone il carattere risarcitorio, la giurisprudenza tende a considerarla un
accessorio del tributo, e quindi ad estendere all soprattassa la disciplina prevista,
ad esempio, in materia di privilegi e di interessi moratori.
7. Altre sanzioni.
Gli illeciti amministrativi sono puniti, oltre che con le sanzioni già esaminate, con
altre sanzioni, c.d. accessorie: - lo scioglimento degli organi amministrativi e la
revoca dell’autorizzazione all’esercizio del credito, per gli enti di credito che violino
le norme in tema di certificazioni di passività bancarie e in tema di deroghe al
segreto bancario; - la decadenza dal diritto di fruire di contributi o altre provvidenze
dello Stato; - la sospensione dall’esercizio della professione; - la sospensione
dall’esercizio di un’attività commerciale.
Capitolo quattordicesimo
Sezione terza – Le misure penali –
10. La riforma.
Consideriamo le norme penali riguardanti le imposte dirette e l’imposta sul valore
aggiunto.
A) La legge del 1929 conteneva il c.d. principio di fissità, non potevano essere
abrogate o modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per
dichiarazione espressa dal legislatore con specifico riferimento alle singole
disposizioni abrogate o modificate. La riforma del 1982 lo ha soppresso.
B) Altro importante principio della legge del 1929 abolito nel 1982 è la c.d.
pregiudiziale tributaria; il principio, cioè, previsto per le imposte dirette dalla
legge del 1929 ed esteso all’Iva dal decreto istitutivo di tale ultima imposta, per
cui l’azione penale non può aver corso se non quando è divenuto definitivo
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attivi non dichiarati superano la soglia minima. Due sono pertanto gli elementi
costitutivi del reato: l’omessa presentazione della dichiarazione e il fatto che gli
elementi non dichiarati superino un certa entità. Ora nel caso di omessa
dichiarazione abbiamo che: - se l’importo non dichiarato è superiore a 100 ml. si
applicano congiuntamente la pena dell’arresto e dell’ammenda; il reato quindi non è
oblazionabile (l’arresto va da tre mesi a due anni e l’ammenda da 10 a 20 ml.)
- se l’ammontare non dichiarato è superiore a 50, ma non a 100 ml., la pena è
disgiuntamente, l’arresto o l’ammenda (arresto fino a 2 anni a ammenda fino a 5
ml.); il reato quindi è oblazionabile.
Non si considera omessa:
- la dichiarazione presentata entro 90 gg. dalla scadenza del termine prescritto;
- la dichiarazione presentata ad un ufficio incompetente;
- la dichiarazione non sottoscritta;
- la dichiarazione non redatta su uno stampato conforme al modello ministeriale.
1. Cenno storico.
Con la legge del 1865 furono aboliti i tribunali del contenzioso amministrativo e la
tutela dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, anche in materia
tributaria, fu affidata al giudice ordinario. Non furono abolite, però, le commissioni
tributarie, che in seguito assunsero veste di organi contenziosi, articolati in tre
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gradi. Si aveva così un sistema di tutela molto complesso, che si componeva di tre
gradi di giudizio dinanzi alle commissioni, e di tre gradi dinanzi al giudice ordinario.
Il d.p.r. n° 636 del 72 è stato sostituito con la riforma dal d.lgs. n° 546 del 92. Con
tale riforma vi erano due gradi di giudizio dinanzi a commissioni di primo e secondo
grado; vi era poi un terzo grado di giudizio, che poteva svolgersi, alternativamente,
dinanzi alla commissione tributaria centrale o dinanzi alla corte d’appello. La
sentenza di terzo grado poteva essere impugnata per cassazione. La disciplina del
processo tributario contenuta nel d.p.r. 636 presentava difetti e lacune, sia per
quanto riguardava la composizione delle commissioni, sia per quanto riguardava il
processo.
4.3. L’intervento.
Il litisconsorzio può essere anche facoltativo. Esso può sorgere dal fatto che altri
soggetti intervengono in un processo già instaurato, o sono chiamati in giudizio. Il
d. lgs. 546 limita fortemente la possibilità di intervento a due categorie di soggetti:
a) a chi è destinatario dell’atto impugnato; b) a chi è parte del rapporto controverso.
Infatti, l’intervento c.d. principale non è configurabile nei processi d’impugnazione,
ma soltanto nei processi di rimborso, nei quali si può ammettere l’intervento di chi
assume essere titolare del diritto di rimborso, in luogo di chi ha già instaurato il
processo, contrapponendosi all’originario ricorrente. L’intervento nei processi
d’impugnazione è limitato a chi assume come titolo di legittimazione di essere
destinatario dell’atto impugnato. Se è già avvenuta la notifica dell’atto, il
destinatario che lo ha già impugnato non ha motivo di intervenire nel processo
instaurato dal co- destinatario; duplicherebbe il processo avviato come ricorrente;
inoltre non ha motivo di intervenire invece che proporre ricorso. Resta possibile
l’intervento del destinatario di un atto, che non ha ricevuto la notifica (il condebitore
in solido che interviene nel processo instaurato da altro coobbligato); egli può
intervenire per sostenere le ragioni del ricorrente, ove si ritenga che sia legittimato
da un interesse, non meramente di fatto, ma giuridicamente rilevante.
Per una parte della dottrina, l’impugnazione mira all’annullamento dell’atto. Per
un’altra parte della dottrina, invece, il giudizio avrebbe natura impugnatoria, perché
avrebbe come esito una sentenza di natura dichiarativa. La giurisprudenza segue
un orientamento sincretistico. Essa è infatti legata agli assunti secondo cui il
rapporto tributario nasce, per legge, al verificarsi del presupposto, sicché gli atti
dell’amministrazione finanziaria hanno effetti dichiarativi. Da tali premesse le
conseguenze sono:
- quando l’impugnazione verte su vizi formali dell’atto, e il giudice riconosce
fondato il ricorso, si ha l’annullamento dell’atto impugnato; il giudice riconosce
fondato il ricorso, si ha l'annullamento dell'atto impugnato; il giudizio ha quindi i
caratteri del giudizio di annullamento, ed in tale annullamento si esaurisce;
- quando non sono sollevate questioni di vizio formale, o queste sono superate, il
giudizio verte sull’an o sul quantum dell’imposta; in tali casi il giudizio assume i
caratteri di un giudizio di accertamento
- infine, hanno carattere impugnatorio anche le azioni di rimborso, sia quando
esercitate con ricorso avverso il provvedimento di rifiuto, sia quando esercitate a
seguito di silenzio dell’amministrazione.
Critica alla teoria dichiarativa.
6. La costituzione in giudizio.
Il ricorrente, dopo aver notificato il ricorso, deve costituirsi in giudizio; deve, cioè,
formare un fascicolo e depositarlo presso la segreteria della commissione. La
mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile il ricorso.
La norma cardine in tema di prove, è quella secondo cui il giudice, salvi i casi
previsti dalle legge, deve porre a fondamento della decisione le prove proposte
dalle parti. Non sono ammesse prove orali.
processo penale. Dal punto di vista oggettivo, è da precisare che il giudicato penale
è circoscritto da numerosi limiti oggettivi:
a) efficacia limitata ai fatti materiali, che siano stati accertati come fatti rilevanti per
il giudizio penale
b) deve trattarsi degli stessi fatti materiali, da cui dipende il riconoscimento del
diritto o dell’interesse su cui si controverte
c) infine deve trattarsi di fatti rispetto a cui la legge civile non ponga limitazioni di
prova.
se contestati dal ricorrente, equivale alla prova negativa; il che significa dire che
l’amministrazione ha l’obbligo di provare i fatti sui quali si fonda l’atto impugnato.
Un fatto assunto come presupposto per l’emanazione di un atto amministrativo, si
aveva per processualmente provato, fino a che il ricorrente non avesse fornito la
prova negativa. Questo assurdo privilegio del fisco ha cessato di operare. In
conclusione l’amministrazione finanziaria, deve provare i presupposti del
provvedimento che ha emesso. Quando il contribuente impugna un atto che nega
una esenzione, si ritiene che il contribuente sia onerato dalla prova dei presupposti
dell’esenzione. Quando il contribuente agisce invece per ottenere un rimborso,
deve dimostrare i presupposti del suo diritto.
15.1. I decreti.
I decreti, per lo più, regolano lo svolgimento del processo, e sono provvedimenti del
presidente. Sono dunque atti generalmente ordinatori. Il presidente della sezione
dichiara con decreto l’inammissibilità manifesta del ricorso, la sospensione del
processo, e l’estinzione del processo. Contro i provvedimenti del presidente è
ammesso reclamo al collegio, da notificare alle altre parti entro 30 gg. dalla
comunicazione del provvedimento.
2) per quanto riguarda i motivi, le impugnazioni rescindenti sono proposte solo per
motivi specificamente e tassativamente previsti dal legislatore; nelle
impugnazioni sostitutive, invece, i motivi non sono predeterminati;
3) per quanto riguarda la cognizione del giudizio di impugnazione,
nell’impugnazione rescindente il giudice limita la sua cognizione ai motivi
dell’impugnazione; nei giudizi sostitutivi, sono devoluti al nuovo giudice tutti i
materiali già acquisiti nel processo
4) infine la decisione rescindente, se giudica fondati i motivi di gravame, elimina la
precedente sentenza, aprendo così la strada ad una nuova decisione del merito
(giudizio rescissorio); se giudica non fondati i motivi, lascia in vita la pronuncia
impugnata; la decisione sostitutiva, invece, prende il posto in ogni caso, della
pronuncia impugnata.
grado, su cui viene richiesto un nuovo giudizio. Se non viene richiesta la riforma
integrale, si avrà una scissione della prima sentenza, perché vi sarà una parte che
sarà sostituita dalla pronuncia di appello, ed una parte, non impugnata, che passa
in giudicato. Si parla, in tal caso, di giudicato interno o parziale, derivante da
acquiescenza impropria. Data la struttura impugnatoria del processo tributario, il
divieto di nuove domande in appello riguarda soltanto il ricorrente, non
l’amministrazione resistente. Quale è il significato di tale divieto?
Ricordato che la domanda si compone del petitum e della causa petendi, tale
divieto, con riguardo al petitum, impedisce la richiesta di cosa diversa o più estesa
di quella richiesta in primo grado. Inoltre, non può essere mutato il motivo della
domanda, né possono essere introdotti nuovi motivi. A proposito del divieto di
nuove eccezioni: le eccezioni sono dunque, nel processo tributario, le deduzioni
che la parte resistente contrappone al ricorrente; ma va precisato che le nuove
eccezioni, vietate in appello, sono soltanto le eccezioni in senso sostanziale, non le
semplici difese, che si collegano a quanto già contenuto nell’atto impugnato.
21. La cassazione.
Le sentenze delle commissioni tributarie regionali sono impugnabili dinanzi alla
Corte di Cassazione che stabilisce: a) la proponibilità del ricorso per tutti i motivi
previsti nell’art. 360 c.p.c. b) l’applicabilità al ricorso e al procedimento delle norme
del codice di procedura civile. I motivi indicati nell’art. 360 c.p.c. sono:
1) per motivi attinenti alla giurisdizione;
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il
regolamento di competenza
3) per violazione e falsa applicazione di norme di diritto
4) per nullità della sentenza o del procedimento
5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio
E’ da notare che non possono essere riproposte al giudice di cassazione questioni
di fatto. Il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto a pena di inammissibilità,
da un avvocato iscritto in apposito albo (c.d. cassazionista), munito di procura
speciale. Quando si ricorre contro l’amministrazione finanziaria dello Stato, il
ricorso deve essere notificato a tale amministrazione, in persona del Ministro,
presso l’avvocatura generale dello Stato a Roma. Il giudizio di cassazione, se viene
accolto il ricorso, si conclude con una sentenza che annulla la sentenza impugnata;
all’annullamento della sentenza impugnata può seguire un giudizio di rinvio, dinanzi
alla commissione tributaria regionale.
23. La revocazione.
La revocazione è un mezzo di impugnazione che ha scarsissima applicazione
pratica.
L’art. 395 del c.p.c. ammette la revocazione per i seguenti motivi:
1) se le sentenze sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;
2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo
la sentenza
3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi, che la parte
non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto
dell’avversario
4) se la sentenza è l’effetto di errore di fatto risultante dagli atti della causa
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Anche nel processo tributario le parti possono trovare un accordo, per cui il
processo si chiude, non con sentenza, ma con conciliazione. La conciliazione
tributaria equivale ad una transazione, e, poiché la transazione non può avere ad
oggetto diritti non disponibili, nella conciliazione viene ravvisata una deroga alla c.d.
indisponibilità del rapporto d’imposta. La transazione disciplinata dal codice è
realizzata attraverso reciproche concessioni. La conciliazione invece, nel diritto
pubblico, si configura come un istituto autonomo, il cui scopo è quello di realizzare
la composizione consensuale giusta della lite. Quali controversie possono essere
conciliate? Il legislatore non ha esplicato alcun limite, non significa però
conciliabilità illimitata. In sostanza la conciliazione deve presentarsi con contenuto
accertativo, con effetti di diritto sostanziale e processuale. La conciliazione appare
legittima solo nelle liti che riguardano l’avviso di accertamento, e solo per questioni
di tipo quantitativo. Non sono conciliabili le questioni che riguardano le sanzioni, pur
se si tratta di questione riguardante solo il quantum. Tale ultimo limite si deduce
dalla norma che fa seguire alla conciliazione la riduzione delle sanzioni irrogate ad
un terzo del minimo edittale.