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6) LA CODIFICAZIONE TRIBUTARIA
La regolamentazione giuridica dei singoli tributi è affidata a singolo leggi d’imposta e a
disposizioni tributarie in normative extratributarie e destinate a particolari spese. Da
tale impostazione è complesso verificare la norma applicabile alla fattispecie. Manca,
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quindi, nel nostro ordinamento una normativa di carattere generale che disciplina i
principi fondamentali del diritto tributario.
A tale scopo è stato importante l’apporto scientifico della dottrina, che ha utilizzato le
indicazioni della giurisprudenza che ha partecipato alla stabilizzazione di alcuni
principi interpretativi.
Il legislatore ha mostrato però scarsa attenzione all’esigenza della fissazione di
principi generali per il diritto tributario. Nel verso opposto si è mossa la legge delega
del 7 aprile 2003 n.80 per la riforma fiscale statale. Questa doveva realizzarsi
eliminando gran parte delle imposte, lasciandone solo cinque, ordinate in un unico
codice. Ma le vicende hanno permesso solo in parte la codificazione e anzi le più
recenti evoluzione hanno confermato il disinteresse del legislatore nella
regolamentazione in materia tributaria.
1) CAPACITA CONTRIBUTIVA
L a definizione del concetto di capacità contributiva è espressa dall’art.53, primo
comma cost. che dice: “TUTTI SONO TENUTI A CONCORRERE ALLE PUBBLICHE SPESE
IN RAGIONE DELLA LORO CAPACITA CONTRIBUTIVA”. Il principio di capacità
contributiva si pone come limite, al legislatore, nella costruzione della fattispecie
legislativa ed esprime la scelta costituzionale diretta a misurare la capacità economica
del singolo, quale presupposto per l’adempimento dello stesso alle spese pubbliche. In
tal modo di è voluto escludere ogni uso del tributo in senso discriminatorio o al fine di
realizzare finalità politiche; indirizzare il legislatore nella costruzione della fattispecie
tributaria, che deve essere rispettosa del fondamento economico del tributo. Esprime
l’IDONEITA ECONOMICA DEL SOGGETTO all’obbligazione impositiva; idoneità che si
deduce dal FATTO ESPRESSIVO DELLA POTENZIALITA ECONOMICA e che si esprime,
quindi, nella fase della concreta verifica delle dimensioni del fatto a rilevanza
tributaria.
Il primo comma dell’art.53 ha un antecedente nell’art.25 dello Statuto albertino che
disponeva che “i regnicoli contribuiscono indifferentemente nella proporzione dei loro
averi ai carichi dello stato”.
Il principio di capacità contributiva discende dal più ampio principio d’eguaglianza,
sancito dall’art.3 della cost., il quale, affermando che TUTTI devono contribuire alle
spese, estende il dovere tributario anche a soggetti non stabilmente legati allo stato,
ma che tuttavia sono titolari di espressioni di forza economica idonea a consentire il
concorso alle spese pubbliche (soggetti passivi dell’IRPEF non residenti, redditi di
soggetti passivi non residenti, ma che si considerano prodotti nel territorio dello
Stato). Si interpreta il principio in questione in TERMINI GARANTISTICI, a tutela
dell’iniziativa privata (art.41 cost.) e in TERMINI SOLIDARISTICI secondo il principio
espresso dall’art.2 della cost.
2) OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
La funzione della norma tributaria delle pubbliche spese è modellata sullo schema di
carattere obbligatorio del diritto civile. L’obbligazione tributaria presenta natura
legale, trovando la propria fonte nella legge e non presentando, in essa, la volontà del
soggetto coinvolto nell’applicazione della norma.
La natura pubblicistica fa si che l’obbligazione tributaria s’inserisca in sistemi di
amministrazione e controllo con tratti fortemente derogatori rispetto alla base
civilistica. La differenza più netta tra la base civilistica e la regolamentazione tributaria
la troviamo nella FASE ESECUTIVA, in cui il legislatore detta regole procedurali
compressive dei diritti del debitore, ritenendo prevalente l’interesse pubblico a quello
privato. Altra distinzione è riscontrabile nella REGOLAMENTAZIONE DEI SOGGETTI di
tale obbligazione, che a volte possono essere diversi da quelli che dovrebbero essere.
Si pensi, ad esempio, a casi in cui il gettito di un tributo sia attribuito ad un soggetto
diverso dal creditore avente diritto, oppure che il debitore di un tributo sia un soggetto
diverso da quello titolare di capacità contributiva prevista dalla legge.
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di ricognizione autoritativa del fatto e le regole procedurali dell’attuazione integrativa
e sostitutiva della norma tributaria, trovano espressione giuridica in norme primarie.
5) LA FATTISPECIE TRIBUTARIA
Nella struttura della fattispecie tributaria statica si distinguono alcuni elementi
essenziali idonei a descrivere la prestazione tributaria.
PRESUPPOSTO D’IMPOSTA: il legislatore trasforma in una norma giuridica l’oggetto
economico del tributo, determinandone le regole individuative e le modalità di
tassazione. Può individuare gli spazi temporali entro i quali l’espressione economica
ha rilevanza, delimitando temporalmente l’effetto obbligatorio nascente dal verificarsi
della situazione base contemplata.
BASE IMPONIBILE: è la grandezza che misura la capacità contributiva manifestata dal
presupposto . Si presenta in un rapporto di dipendenza logica rispetto alla
regolamentazione del presupposto, essendo asservita alla funzione di valutazione di
quest’ultimo. Di regola è espressa in DENARO. Tuttavia non mancano casi in cui si
riferisca a cose MISURATE secondo proprie caratteristiche, in CARATTERISTICHE DI
MISURA e PESO, costituita da COSE NELLA LORO UNITA. In questo senso la legge
determina la COMPOSIZIONE e la MISURAZIONE. Per quanto riguarda la composizione
definisce quali sono gli elementi che compongono la base imponibile; parlando di
misurazione, determina la qualità merceologica degli oggetti oppure la numerazione, il
peso e l’ampiezza. La differenza con la disciplina del presupposto sta nella NATURA
della controversia, che nel presupposto è di DIRITTO, mentre nella base imponibile è di
FATTO(economico).
SOGGETTO: il soggetto è il CENTRO DI IMPUTAZIONE DEGLI EFFETTI DEL
PRESUPPOSTO. È colui al quale viene riferito il tributo e colui il quale HA POSTO IN
ESSERE IL FATTO MANIFESTATIVO DI CAPACITA CONTRIBUTIVA. Il principio della
capacità contributiva richiede che tra fattispecie oggettiva e fattispecie soggettiva
sussista un rapporto valutabile in termini di capacità contributiva. Di conseguenza la
legge non può scegliere un soggetto cui imputare il tributo che sia totalmente
svincolato dalla capacità contributiva manifestata dal presupposto del tributo.
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TASSO D’IMPOSTA: è costituito dal coefficiente da applicare alla base imponibile per
ricavare da essa l’ammontare dell’imposta. Può essere FISSO, cioè quando è
invariabile rispetto alla base imponibile; VARIABILE, quando invece si parla di
ALIQUOTA. L’aliquota può essere PROPORZIONALE, quando non varia col modificarsi
della base imponibile, PROGRESSIVA, quando aumenta con l’aumentare della base
imponibile, REGRESSIVA, quando diminuisce all’aumentare della base imponibile. L’art
53 sec.comma della Costituzione afferma che: “il sistema tributario è improntato a
criteri di progressività” e quindi esprime una preferenza per l’impostazione
progressiva dell’aliquota, ritenendola maggiormente rispondente ai principi espressi
nell’art.3 della costituzione, che afferma l’eguaglianza sostanziale dei cittadini di
fronte alla legge, i quali sono chiamati al concorso alle spese della comunità in misura
tanto maggiore, quanto più elevate sono le risorse economiche di cui dispongono.
1) LA RISERVA DI LEGGE
L’art.23 cost. afferma che: “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere
imposta se non in base alla legge”. Il tema più interessante è l’individuazione dei
LIMITI DALLA RISERVA DI LEGGE. Non tutta la regolamentazione del tributo ricade
nella previsione dell’art 23, ma si riferisce in particolare alla regolamentazione degli
ELEMENTI FONDAMENTALI della fattispecie tributaria: presupposto, base imponibile e
soggetti.
Per quanto riguarda, invece, l’ALIQUOTA, la disciplina e la giurisprudenza ritengono
questo elemento sganciato dalla previsione dell’art.23, rimandando quindi a norme
secondarie. La previsione dell’art.23 riprende vigore, però, imponendo alla legge i
limiti entro i quali possa muoversi la formazione secondaria o il potere amministrativo
di riscossione dell’aliquota. Tra i limiti troviamo quelli MASSIMI, in considerazione
dell’esigenza di tutela del privato nei confronti della pubblica autorità, e quelli MINIMI,
per evitare ingiustificate disparità di trattamento tra contribuenti.
Sganciati totalmente dall’art 23 sono la disciplina di attuazione della norma tributaria,
la disciplina dell’adempimento del tributo e delle sanzioni tributarie.
2) LA LEGGE ORDINARIA
La legge ordinaria rappresenta lo strumento più idoneo di realizzazione del principio
costituzionale dell’art.23 cost.
Al fine di garantire la chiarezza e la trasparenza delle norme tributarie, l’art.2 della
legge 27 luglio 2000 n.212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del
contribuente) ha previsto che le leggi e gli atti aventi forza di legge che contengono
disposizioni tributarie:
1. Devono menzionare l’oggetto delle disposizioni ivi contenute, e in mancanza di
questo non possono contenere disposizioni di carattere tributario;
2. I richiami ad altre disposizioni in materia tributaria devono essere indicate
sinteticamente (terzo comma);
3. In presenza di modificazione della legge tributarie devono essere introdotte
riportando il testo conseguentemente modificato.
Ai sensi dell’art 1, secondo comma, della stessa legge, è riservata alla legge ordinaria
l’introduzione di NORME INTERPRETATIVE per garantire la chiarezza e la trasparenza
della normativa tributaria ai fini dell’impostazione di un rapporto corretto con il
contribuente.
Altri principi costituzionali minori sono: il divieto di referendum abrogativo in materia
tributaria (art.75 cost) e il divieto di introduzione di nuovi tributi nella legge di bilancio
(art.81, terzo comma, cost.). La legge regionale, equiparata alla legge dello stato deve
rifarsi al principio disposto dall’art.23.
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3) I DECRETI LEGISLATIVI
Ai sensi dell’art.76 cost. la funzione legislativa può essere delegata al governo
mediante una legge che fissi i principi e criteri direttivi da attuarsi da parte
dell’esecutivo con specifico atto normativo equiparato alla legge ordinaria. Mediante
tale atto è possibile, per il parlamento, fissare i punti fondamentali della normativa
tributaria, lasciando al decreto legislativo la costruzione della fattispecie su cui si basa
il provvedimento di attuazione della delega.
Lo strumento del decreto legislativo è la più diffusa fonte in campo tributario, tanto
che la riforma tributaria degli anni 70, ancora in vigore, è stata realizzata mediante la
legge delega 9 ottobre 1971 n.825 ed attuata con una serie di decreti legislativi.
Tuttavia tale strumento può incorrere in rischi di INCOSTITUZIONALITA in caso di
eccessiva delega (art.76).
4) I DECRETI LEGGE
I decreti legge, ai sensi dell’art.77 cost., sono atti aventi forza di legge, adottati dal
governo in caso di urgenza o necessità. Devono essere presentati alle camere il giorno
stesso dell’emanazione e convertiti in legge entro 60 gg. Se tale termine non viene
rispettato, il decreto decade con effetti ex tunc.
In relazione alla disciplina del decreto legge, l’art.15 della l.23 agosto 1988 n.400,
pone alcune prescrizioni:
a. I decreti legge devono indicare nel preambolo le circostanze straordinarie di
necessità e urgenza e della deliberazione del Consiglio dei ministri;
b. Il governo non può rinnovare le disposizione che non siano state convertite;
c. Devono contenere misure di immediata realizzazione e il loro oggetto deve
essere specifico, omogeneo e rispondente al titolo;
d. Il ministro della giustizia cura che sia data immediata pubblicità al rifiuto totale
o parziale di conversione.
Per evitare l’uso distorto del decreto legge in materia tributaria, l’art.4 dello statuto
del contribuente ha previsto che non si può disporre con decreto legge l’istituzione di
nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi a soggetti diversi. Nondimeno il
decreto legge si presta molto alla materia tributaria, proprio per le caratteristiche di
necessità ed urgenza, specie in materia di aliquote.
5) I REGOLAMENTI
Molto spesso, nel diritto tributario, ricorrono esigenze di disciplinare in via generale ed
astratta la portata o l’attuazione della norma tributaria, mediante la previsione di
regole dirette ad esplicitare meglio il comando legislativo.
Il regolamento è emanato mediante decreto ministeriale o decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del consiglio dei ministri e sentito il parere del
consiglio di stato.
La l.400 del 1988 prevede una serie di tipologie di regolamento:
1. REGOLAMENTI ESECUTIVI: introducono prescrizioni di dettaglio necessarie a
rendere concretamente operativo il comando della legge;
2. REGOLAMENTI ATTUATIVI O INTEGRATIVI: prevedono norme di completamento
di regole contenute in norme primarie che necessitano di previsioni di dettaglio;
3. REGOLAMENTI DELEGATI: disciplinano direttamente una materia sulla base di
una delega contenuta nella forma primaria.
Dai regolamenti vanno distinti gli ATTI AMMINISTRATIVI GENERALI, che regolano, con
riferimento a fattispecie particolari, l’attuazione della norma tributaria o il modo di
porsi dell’amministrazione, chiamata a dare attuazione alla norma tributaria. Esempi
sono il Decreto ministeriale che determina i COEFFICENTI DI AMMORTAMENTO DEI
BENI MATERIALI ovvero il Decreto ministeriale che predetermina il reddito derivante
dalla disponibilità di beni e servizi considerati rilevanti (REDDITOMETRO).
6) LE FONTI LOCALI
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Dal punto di vista teorico, il finanziamento della spesa locale può ispirarsi ad un
modello statalista, che accentra all’amministrazione centrale tutti i poteri impositivi
oppure ad un modello federale, che attribuisce all’ente locale il potere di introdurre i
tributi. Nel primo caso il tributo è introdotto con legge dello Stato e l’ente locale si
presenta come un centro di spesa e non di finanziamento. Nel secondo caso è l’ente
locale ad introdurre il tributo che trova applicazione nel territorio di appartenenza.
Il nostro sistema tributario, sin dalle sue origini, non ha optato per nessuno dei due
modelli, scegliendo un modello misto, che ha visto prevalere il riconoscimento di un
certo grado di autonomia impositiva, fino al successivo accentramento di tutti i poteri
impositivi. A seguito dell’attribuzione di nuovi oneri degli enti locali e della necessità di
garantirne l’equilibrio finanziario, negli anni trenta, l’autonomia finanziaria locale
venne ampliata con l’attribuzione di specifici tributi a Comuni e Province.
Tale sistema, però, ampliava di molto i poteri discrezionali degli enti locali, provocando
effetti discorsivi. Gli enti in grado di disporre di un gettito significativo erano più
avvantaggiati degli enti che, per diversi motivi, non disponevano di un gettito
sufficiente al finanziamento della spesa pubblica. Da qui la riforma tributaria degli anni
70, che ha eliminato il sistema della fiscalità locale, per fondare il finanziamento della
spesa locale sul principio della FINANZA DERIVATA: tale sistema riservava allo stato la
gestione del sistema tributario e realizzava il finanziamento degli enti locali mediante
l’attribuzione di fondi prelevati centralmente, di cui gli enti potevano disporre anche
ricorrendo ad anticipazioni in denaro da parte delle banche. L’effetto di questa
manovra, tuttavia, non è stato quello di contenere la spesa locale, ma, al contrario
quello di aumentarla, in quanto non più vincolata al necessario equilibrio di bilancio
con le entrate tributarie direttamente gestite dall’ente locale. Da tale sistema
discendeva anche l’aumento dell’indebitamento degli enti locali nei confronti del
sistema bancario.
All’autonomia degli enti territoriali viene dedicato ampio spazio nell’art 5 della cost.
che recita: “ La Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie
locali”. Nell’art 128, poi abrogato, di riconosceva alle Province e ai Comuni la
possibilità di avere un proprio piano di sviluppo e di investimento. Dall’autonomia
politico-amministrativa derivava anche l’autonomia finanziaria, considerata necessaria
per l’adempimento della prima.
Per quanto riguarda gli ENTI TERRITORIALI MINORI (Province, Comuni e Città
metropolitane), l’autonomia si esprime mediante l’esercizio della potestà
regolamentare di tali enti, diretta ad adeguare alle specificità locali un prelievo
stabilito con la legge statale. Il regolamento comunale, ad esempio, non potrà
disciplinare gli strumenti fondamentali del tributo (soggetto, presupposto, base
imponibile, aliquota), ma potrà regolamentare aspetti di carattere applicativo o di
adattamento della disciplina legale alle esigenze della finanza locale. In particolare per
i Comuni, i D.lgs. 30 dicembre 1992 n.504 dell’imposta comunale degli immobili (ICI)
ha rappresentato un primo passo verso il federalismo fiscale, in quanto ha reso l’ente
titolare dell’intero gettito e determinante del livello dell’imposta, mediante la
fissazione delle aliquote.
Per quanto riguarda le REGIONI, questa è una materia che è stata recentemente
influenzata dalla modifica del TITOLO V DELLA COSTITUZIONE con legge costituzionale
n.3 del 18 ottobre 2001 8 (vedi dispense federalismo fiscale). Con l’introduzione
dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) istituita con D.lgs. 15 dicembre
1997 n.446 si è attribuito alla competenza regionale un significativo gettito e l’attività
di attuazione del tributo. Dopo la modifica del Titolo V della Costituzione all’art.117 è
previsto che lo Stato ha legislazione esclusiva per quanto concerne il sistema
tributario e contabile dello Stato (secondo comma). Alle regioni è riconosciuta potestà
legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario, nei limiti dei principi fondamentali determinati da leggi dello stato
(terzo comma). Alle regioni è attribuita una potestà legislativa RESIDUALE in ogni
materia che non sia espressamente riservata allo stato (quarto comma). L’art.119
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riconosce ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni autonomia
finanziaria di entrata e di spesa.
A proposito della fissazione dei principi fondamentali mediante legge statale, lo
Statuto dei diritti del contribuente prevede che le Regioni a statuto ordinario regolano
le materie disciplinate dallo Statuto stesso in attuazione delle disposizioni in esso
contenute e che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e
Bolzano, entro un anno dalla data di entrate in vigore dello Statuto, devono adeguare i
rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella medesima legge.
Il potere di introdurre tributi regionali non è illimitato. Un primo limite è rappresentato
dai principi costituzionali previsti in materia tributaria. Per il legislatore è impossibile
colpire con i tributi manifestazioni di capacità contributiva già colpite da tributi erariali.
Un secondo limite si riferisce all’ambito territoriale in cui ha validità il tributo, al di
fuori del quale è invalido.
7) LE FONTI COMUNITARIE
Le fonti comunitarie sono le norme che traggono origine dagli impegni assunti dal
nostro paese nell’ambito politico, giuridico ed economico a livello europeo, tra cui
fondamentale importanza ha avuto il Trattato di Roma, istitutivo della CEE.
Nella ricerca del fondamento costituzionale della fonte comunitaria. Secondo una
parte della dottrina il fondamento è da cercarsi nell’art.10 cost. secondo cui:
“L’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute”. Secondo una parte rilevante della dottrina, il fondamento si trova
nell’art.11 cost. secondo cui: “L’italia consente, in condizione di parità con gli altri
stati, le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a
tale scopo”.
Si distingue tra le FONTI PRIMARIE e le FONTI DERIVATE. Le fonti primarie tributarie
sono le disposizioni contenute nel Trattato e negli atti che lo modificano e lo integrano.
Il Trattato di Roma contiene norme in materia di fiscalità come: il DIVIETO DI
DISCRIMINAZIONE FISCALE (art.90, ex art.95), cioè il divieto degli Stati membri di
attuare tariffe maggiori di quelle applicate a prodotti nazionali similari; il DIVIETO DI
BENEFICIARE I PRODOTTI ESPORTATI di un ristorno di imposizione interne superiori a
quelle da esse applicate direttamente o indirettamente (art.91-ex art.96); obbligo di
istituire per gli stati membri una IMPOSTA SULLA CIFRA D’AFFARI. (art.92-ex art.97 e
98); adozione del Consiglio, delle disposizioni che riguardano l’ARMONIZZAZIONE
DELLE LEGISLAZIONI relative all’imposta sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo e
ad altre imposte indirette (art.93, ex art.99). L’art 93 è limitato all’armonizzazione dei
soli TRIBUTI INDIRETTI e tale limite trova giustificazione nel fatto della sua recente
formulazione, cioè in occasione del passaggio dal mercato comune (zona di libero
scambio), al mercato interno (unione economica e monetaria). L’art.94 rappresenta la
base giuridica dei principali provvedimenti riguardanti l’armonizzazione fiscale delle
imposte dirette e che consente, quindi di superare il limite imposto dall’art.93.
Tutte le deliberazioni in materia fiscale necessitano dell’UNANIMITA degli Stati membri
e questo frena il processo di armonizzazione delle singole legislazioni fiscali. La nuova
COSTITUZIONE EUROPEA non ha rappresentato alcuna novità in materia di
armonizzazione, mantenendo il requisito dell’unanimità.
Le FONTI DERIVATE si distinguono in DIRETTIVE e REGOLAMENTI. Le direttive sono
state più frequentemente prese in considerazione rispetto ai regolamenti. Esse
vincolano lo stato membro quanto al risultato da raggiungere entro un termine
perentorio, lasciando agli stati membri la scelta della forma e dei mezzi di attuazione
(D.P.R. 633/72 istitutivo della disciplina dell’IVA in attuazione della direttiva 67/227).
Esistono poi le DIRETTIVE SELF EXECUTING contrastanti con leggi interne. Questa
direttiva pone un termine per la sua attuazione, è incondizionata, detta obblighi chiari
e precisi. La diretta applicazione della direttiva potrà essere fatta valere solo nei
confronti dello stato (EFFETTO DIRETTO VERTICALE), perché si impedisce, allo stato
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inadempiente, l’opposizione ai singoli di tale direttiva. In questo senso di parla di
EFFETTO VERTICALE UNILATERALE, in quanto il singolo può far valere un proprio diritto
nei confronti dello stato inadempiente, mentre non è possibile, viceversa, per lo stato.
Per gli stessi motivi è stata escluso l’EFFETTO DIRETTO ORIZZONTALE, cioè il singolo
non può far vale le norme contro i privati.
La Corte Costituzionale ha ritenuto che in caso di contrasto prevale la direttiva self
executing su quella nazionale. ESEMPIO: al contribuente a cui sia richiesto di pagar un
tributo che è previsto dalla norma nazionale, ma non più dalla direttiva comunitaria
potrà impegnare la norma di fronte al giudice nazionale, che no dovrà chiedere
l’intervento della Corte costituzionale, ma deve direttamente disapplicare la norma
nazionale.
I REGOLAMENTI hanno portata precettiva generale; sono obbligatori in tutti i loro
elementi; sono direttamente applicabili in tutti gli stati membri; prevalgono
direttamente sulla legislazione ordinaria anteriore e posteriore.
La differenza fra i regolamenti e le direttive self executing è che le prime sono
applicate direttamente ed automaticamente con effetto erga omnes anche se in
contrasto con la norma interna; le seconde sono attuate necessariamente dopo
l’intervento di un giudice nazionale, il cui pronunciamento deve avvenire sul caso
concreto.
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IL MOMENTO FINALE DI EFFICACIA DELLA NORMA: a volte è la stessa legge che indica
il termine finale degli effetti che conseguono dalla legge. Esiste poi l’ABROGAZIONE
ESPRESSA o TACITA da parte di un altro atto normativo di pari rango o superiore. La
norma può inoltre perdere efficacia per DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITA.
LA SUCCESSIONE DI LEGGI TRIBUTARIE NEL TEMPO: qualora due atti normativi di pari
rango siano configgenti tra loro, prevale la norma emanata per ultima; se la norma
successiva ha un campo di applicazione più ampio (legge generale) rispetto a quella
precedente, e se questa ha invece un campo più specifico (legge speciale), prevale la
legge speciale; se le due norme sono di rango diverso, prevale la norma di rango
superiore.
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• Lo stato di residenza del contribuente elimina la reiterazione del prelievo
mediante il metodo dell’esenzione o del metodo d’imposta
• Lo Stato nel quale è allocata la fonte del reddito prodotto riduce
corrispondentemente la propria imposizione sui redditi ivi prodotti.
1)INTERPRETAZIONE IN GENERALE
Interpretare significa attribuire un significato ad un enunciato. L’interpretazione della
LEGGE IN GENERALE attribuisce un significato agli enunciati normativi in modo da
estrarre da essi le regole di condotta stabilite dal legislatore.
Si distingue tra interpretazione DOTTRINALE , che è quella che proviene dagli studiosi
del diritto e interpretazione GIURISPRUDENZIALE, che è libera, quindi non vincolante
per i soggetti che non sono parti in causa. Esistono i PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
che invece possono valere per tutti solo se orientati in senso concorde o se
provenienti da organi superiori (FUNZIONE NOMOFILATTICA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE). L’interpretazione AUTENTICA è quella che il legislatore emana per
chiarire il significato di norme preesistenti ed hanno EFFICACIA ERGA OMNES e
RETROATTIVA.
5)ELUSIONE TRIBUTARIA
L’elusione avviene quando gli interessati, allo scopo di conseguire un vantaggio
fiscale, pongono in essere un atto o una serie di atti che altrimenti non avrebbero
compiuto. L’elusione si distingue dall’ evasione fiscale, in quanto si usano per essa
strumenti giudicati leciti e non viola alcuna norma tributaria.
Vi sono comunque DISPOSIZIONI ANTIELUSIVE:
1. ART.37 BIS, DPR 600/1973. Sono inopponibli all’A.F. atti, fatti, negozi privi di
validi ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi e divieti previsti
dall’ordinamento tributario.
2. ART.37, TERZO COMMA, DPR 600/1973. Si parla di INTERPOSIZIONE FITTIZIA DI
PERSONA. Sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri
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soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, che egli è
l’effettivo possessore per interposta persona.
6)DIRITTO DI INTERPELLO
Il diritto di interpello è disciplinato dall’art.11 della l.212/2000 ed è uno strumento di
tutela per il contribuente, che può avvalersi di questo diritto in condizioni di obiettiva
incertezza, stimolando una presa di posizione interpretativa dell’A.F. sul caso
concreto. La risposta, che deve avvenire entro 120 gg., può essere tacita o espressa e
vincola il comportamento dell’amministrazione stessa. Gli atti emanati in difformità
della risposta all’istanza di interpello sono nulli. In mancanza di risposta entro 120 gg.
Si intenderà che l’A.F. concordi con il contribuente.
INTERPELLO PREVENTIVO: disciplinato dall’art.21 l. 413/1991. Si richiede all’A.F. una
interpretazione in ordine alla correttezza fiscale di determinate operazioni che il
contribuente intende porre in essere. Ha carattere limitato alla fattispecie di
interposizione fittizia di persona, alle operazioni potenzialmente elusive, alla
qualificazione di costi sostenuti dall’impresa quali spese di pubblicità o
rappresentanza.
INTERPELLO CFC (CONTROLLES FOREIGN COMPANIES). Si richiede all’A.F. di ottenere
la disapplicazione delle disposizioni del comma 1, in caso di controllo di un
collegamento di un soggetto estero, residente o localizzato in uno stato a regime
fiscale privilegiato, dimostrando che svolge principalmente un’attività industriale o
commerciale nello stato o nel territorio in ha sede.
INTERPELLO CORRETTIVO: il contribuente può richiedere la disapplicazione delle
disposizioni anitelusive, dimostrando che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi
non potranno verificarsi.
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I soggetti di regola sono 2: il CREDITORE DEL TRIBUTO e colui che è tenuto
all’ADEMPIMENTO DEL TRIBUTO, cioè il TITOLARE della manifestazione di ricchezza
che giustifica l’imposizione.
Il creditore del tributo ha diversi poteri attuativi, quali l’individuazione delle dimensioni
del fatti tributario e la materiali realizzazione del credito anche in via coattiva. Il
titolare dell’adempimento è soggetto ai poteri attuativi e agli obblighi legali e di
responsabilità patrimoniale.
2)AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
L’amministrazione finanziari ha un livello centrale e un livello periferico. A livello
centrale troviamo il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLA FINANZA, che ha
competenza in materia di politica economica, finanziaria, di bilancio e fisco.
Predispone atti normativi e di programmazione e coordinamento. Svolge attività di
indirizzo, vigilanza, controllo e coordinamento delle varie agenzie fiscali. Determina
annualmente gli sviluppi della politica fiscale e gli obiettivi.
A livello periferico troviamo 4 agenzie fiscali: l’Agenzia delle entrate, l’Agenzia delle
dogane, l’Agenzia del territorio e l’Agenzia del demanio. Tra i CARATTERI COMUNI
abbiamo la PERSONALITA GIURIDICA DI DIRITTO PUBBLICO; il loro operato è controllato
dal ministero; godono di autonomia gestionale e amministrativa; hanno un proprio
statuto, con il quale regolamentano le competenze degli ordini direttivi e individuano i
principi e le modalità di finanziamento dell’organo; la struttura interna è composta dal
DIRETTORE, da un COMITATO DIRETTIVO e dal COLLEGIO DEI REVISORI DI CONTI; il
rapporto con il ministero è sancito da convenzioni, attraverso cui si stabiliscono i
servizi da erogare, gli obiettivi e le risorse da cui attingere.
AGENZIA DELLE ENTRATE: persegue il massimo livello di adempimento degli obblighi
fiscali attraverso l’assistenza ai contribuenti e i controlli. Ha funzioni in tema di
amministrazione, accertamento, riscossione e gestione del contenzioso delle imposte
dirette. Si articola in DIREZIONE CENTRALE, DIREZIONE REGIONALE e UFFICI
PERIFERICI.
AGENZIA DELLE DOGANE: si articola in compartimenti doganali e svolge attività
inerenti ai diritti doganali, alla fiscalità connessa agli scambi internazionali e alle
accise sulla produzione e i consumi.
AGENZIA DEL TERRITORIO: esercita compiti relativi ai servizi catastali e alle
Conservatorie dei registri immobiliari.
AGENZIA DEL DEMANIO: ha compiti di amministrazione e manutenzione dei beni
immobiliari dello stato.
3) GUARDIA DI FINANZA
Le sue competenze riguardano la collaborazione con gli uffici finanziari in veste di
organo di polizia; reprime le relative violazioni e può essere organo di polizia
giudiziaria, la cui attività può essere di ausilio agli uffici finanziari per gli accertamenti
fiscali. Si divide all’interno in 3 livelli: CENTRALE, REGIONALE e PROVINCIALE, salvo il
fatto che tra il livello centrale e regionale di pone un livello intermedio, il COMANDO
INTERREGIONALE.
4)SOGGETTI PASSIVI
Ai soggetti passivi è riferita la manifestazione di capacità contributiva che il legislatore
intende assoggettare al prelievo e che, pertanto, è titolare dell’obbligazione d’imposta
. La legge prevede anche altre figure soggettive coinvolte nella fase dell’attuazione
della norma e d’adempimento dell’obbligazione imposta.
SOSTITUTO D’IMPOSTA: è un soggetto diverso da quello che è tenuto all’obbligazione
tributaria, ma è colui al quale è riferibile il fatto indice di capacità contributiva che si
vuole colpire con il prelievo. L’art.64, primo comma DPR 600/1973 stabilisce che il
sostituto deve esercitare al RIVALSA nei confronti del sostituito, che è il titolare del
fatto espressivo di capacità contributiva.
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Il sostituto d’imposta, essendo collegato al sostituito da un rapporto di carattere
negoziale, è una figura volta alla semplificazione dei rapporti col fisco che incide sia
nella fase dell’accertamento che nella fase della riscossione. Secondo una parte della
dottrina il legislatore addossa, in via eccezionale, la prestazione anziché al sostituito
ad un altro soggetto, il SOSTITUTO. Questa tesi sembrerebbe in contrasto con l’art.53
della cost., dato che si potrebbe imporre in capo ad un soggetto sprovvisto di capacità
contributiva la prestazione. La figura del sostituto, allora, si colloca nella fase
dell’adempimento e dell’attuazione della norma tributaria. Lo strumento della
RIVALSA, che è obbligatorio per il sostituto può realizzarsi:
• Mediante l’ISTITUTO DELLA RITENUTA ALLA FONTE, nei casi in cui il sostituto
risulti debitore della somma del reddito imponibile per il sostituito.
• Mediante gli ORDINARI STRUMENTI APPRESTATI DAL CODICE CIVILE, nel caso in
cui non esista un rapporto debito-credito o il debito si sia estinto.
L’istituto della ritenuta alla fonte è regolamentato negli artt.23-30 del DPR 600/1973 e
distingue due fattispecie di ritenuta: la RITENUTA D’ACCONTO e la RITENUTA
D’IMPOSTA.
Nella ritenuta d’acconto la somma prelevata alla fonte costituisce un acconto
dell’imposta sul reddito presumibilmente dovuta al sostituito, che dovrà provvedere
agli adempimenti fiscali connessi alla produzione del reddito e potrà detrarre
dall’imposta la ritenuta alla fonte subita. Tale schema non trova applicazione nel caso
in cui la ritenuta non sia stata eseguita; nell’ipotesi in cui il sostituto abbia effettuato
la ritenuta, ma non provveda al versamento della stessa, allora il contribuente potrà
comunque detrarre tale ritenuta e il fisco dovrà procedere al recupero della ritenuta
non versata nei confronti del sostituto.
Nella ritenuta d’imposta la somma prelevata alla fonte costituisce l’adempimento
integrale del tributo dovuto, per cui al contribuente non sono attribuiti obblighi di
collaborazione all’attività di attuazione della norma tributaria. Si tratta di deroghe al
sistema ordinario di tassazione del reddito, derivanti da esigenze di semplificazione
del prelievo e di concretezza dello stesso, in situazioni di difficile individualità del
contribuente. In ogni caso, a tutela del prelievo, la legge attribuisce una
corresponsabilità del contribuente in caso di mancata effettuazione della ritenuta e di
un mancato versamento.
RESPONSABILE D’IMPOSTA: il responsabile s’imposta è chiamato a rispondere del
tributo non in luogo d’altri, ma assieme ad altri. L’art.64, terzo comma, DPR 600/1973
si limita ad affermare un diritto di rivalsa del soggetto che, estraneo al fatto
imponibile, sia stato dalla legge chiamato all’adempimento del tributo insieme ad altri
soggetti. Il tema si sposta sulle regole di scelta dei soggetti cui la legge può imporre
un dovere di concorso all’adempimento. Una simile scelta deve ritenersi estranea dalla
portata del principio della capacità contributiva dell’art.53 cost., data l’estraneità del
responsabile d’imposta alla fase genetica dell’obbligazione tributaria ed alla stessa
fattispecie soggettiva; si fonda, comunque su una valutazione rispondente a regole di
razionalità, basate sull’idoneità del soggetto chiamato all’adempimento del tributo
estraneo.
5)LA SOLIDARIETA
La solidarietà è una forma di coinvolgimento al pagamento di un tributo da parte di
soggetti legati da un vincolo obbligatorio idoneo a consentire l’escussione di un solo
condebitore per l’intera prestazione. L’istituto della solidarietà trova disciplina
nell’art.1292 del cod. civ., che considera tale l’obbligazione che consente al creditore
di richiedere l’adempimento della prestazione ad uno solo dei condebitori;
l’adempimento del condebitore libera gli altri condebitori in solido.
A tal fine si distingue tra SOLIDARIETA PARITETICA, che lega i compartecipanti ai fatti
a rilevanza tributaria e quindi da un medesimo titolo (l’obbligazione che lega i coeredi
per l’imposta di successione), e la SOLIDARIETA DIPENDENTE, che deriva da un titolo
differente, in modo tale che al venir meno dell’obbligazione principale, viene meno
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quella dipendente (obbligazione che lega il notaio per l’imposta principale di registro
con le parti contraenti). Tale differenziazione delle figure di solidarietà vincola anche la
tutela del condebitore, che in quella paritetica concorre all’accertamento, mentre in
quella dipendente l’accertamento risulta meramente incidentale ai fini della verifica
della responsabilità dipendente da un titolo diverso da quello tributario.
Per quanto riguarda LA DISCIPLINA SOSTANZIALE DELL’OBBLIGAZIONE, la solidarietà è
un modo di essere del rapporto obbligatorio in presenza di più soggetti che
partecipano al presupposto d’imposta o sono coinvolti dalla legge all’adempimento del
debito d’imposta riferibile ad altri soggetti. Si tratta quindi di stabilire se la regola
disciplinata dall’art.1294 del cod. civ., che stabilisce che l’obbligazione è solidale se la
legge o il titolo non dispongano diversamente, si applichi o meno nell’ambito del
diritto tributario.
La soluzione del problema deve passare dalla presa in considerazione della portata del
principio della riserva di legge, contenuto nell’art.23 cost., che vuole che ogni
prestazione patrimoniale imposta sia prevista dalla legge. Sarebbe impensabile quindi
una regola che fosse idonea a consentire un escussione in via solidale di un soggetto,
al di fuori delle ipotesi espressamente considerate dalla legge.
Nella fase di attuazione della norma tributaria, bisogna tener presente le tematiche
connesse alla garanzia del diritto di difesa del contribuente. Il tema concerne le forme
di tutela che l’ordinamento deve accordare al condebitore solidale nella fase
antecedente all’escussione nei suoi confronti; si esclude, pertanto, una tutela per via
indiretta, mediante attribuzione di poteri rappresentativi ad un dei condebitori solidali.
Si pone, quindi, un problema di garanzia del diritto di difesa di ciascun condebitore
solidale. Prima del 1968 era valida la TEORIA DELLA SUPERSOLIDARIETA TRIBUTARIA,
in base alla quale a tutti i coobbligati era riconosciuta efficacia ad ogni atto rilevante ai
fini dell’attuazione del rapporto d’imposta, nonostante questo atto fosse stato
compiuto nei confronti di uno solo dei debitori in solido. La Corte costituzionale ha
dichiarato, nel 1968, l’incostituzionalità di tale teoria, che così come esposta,
contrasterebbe con il principio costituzionale che tutela il diritto di difesa del cittadino,
disposto dall’art.24 cost. Secondo alcuno autori e per la maggior parte della
giurisprudenza, il rapporto solidale deve essere affrontato in termini di diritto civile,
anche in materia tributaria; in particolare il creditore può agire separatamente nei
confronti dei singoli coobbligati e per non violare il diritto di difesa di ognuno, si fa
riferimento all’art. 1306 del cod. civ., che stabilisce che in caso di sentenza negativa
tra il creditore e il condebitore, questa non ha effetto nei confronti degli altri
condebitori, mentre in caso di sentenza positiva, gli altri condebitori possono opporla
al creditore, ma solo se è fondata su ragioni personali al condebitore (principio
dell’estendibilità in bonis). Secondo altri autori, la suddetta interpretazione è in
contrasto con il principio di capacità contributiva, poiché lascia aperta la possibilità
che l’entità del presupposto sia determinata in misura differente per ogni debitore e
che vi siano quindi giudizi contrastanti.
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CAPITOLO IX: L’ATTUAZIONE AMMINISTRATIVA
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All’art 2, secondo comma, del d.lgs. 462/1997, l’iscrizione a ruolo non è eseguita se il
pagamento del dovuto avviene entro 30 giorni dalla data di comunicazione, prevista
dall’art.36 bis . In tal caso l’ammontare delle sanzioni è ridotto ad un terzo. In merito
al pagamento entro 30 giorni dalla comunicazione, prevista dall’art.36 ter, le sanzioni
sono ridotte di due terzi.
LIQUIDAZIONE DELL’IVA DOVUTA IN BASE ALLE DICHIARAZIONI
L’art.54 bis DPR 633/1972 contiene una disposizione inerente al controllo
automatizzato delle dichiarazioni presentate e alla correttezza delle liquidazioni
effettuate dal contribuente.
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