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Il punto. La politica e il terremoto in Giappone.

La storia dell'uomo è anche il suo eterno tentativo di dominio sulla natura, di piegarla ai propri fini,
di conquista e scoperta dei suoi segreti e di tutte le opportunità materiali che essa può offrire, il suo
oscillare tra la consapevolezza della necessità, perché fonte di reale benessere, di vivere in armonia
con essa ed il desiderio, sempre più predominante nella nostra epoca contemporanea, di sfruttarne
tutte le possibilità senza alcun riguardo per i limiti fisici di utilizzo delle risorse disponibili, per la
qualità della vita che ne deriva per gran parte degli esseri umani, per l'eredità distruttiva che
lasceremo alle generazioni future.
Ma la natura periodicamente ci ricorda il suo primato, la sua indomabilità e la sua superiorità e i
terremoti sono probabilmente gli eventi in cui massima si esprime la sua forza, di fronte alla quale
l'uomo appare in tutta la sua debolezza e fragilità.
Eppure il terremoto in Giappone deve farci riflettere anche sulla politica, intesa come capacità
dell'uomo di organizzare la propria vita sociale, e su come una buona amministrazione possa
consentire di fronteggiare, minimizzando il numero delle vittime e i danni materiali, la potenza
distruttiva degli eventi naturali.
Di fronte ad uno dei terremoti più violenti per magnitudo che la storia abbia conosciuto, il numero
delle vittime giapponesi, per la preveggenza con cui questo popolo si è da sempre organizzato per
fronteggiarli, non è in alcun modo paragonabile a quello di episodi analoghi o addirittura di minore
potenza: a fronte del bilancio provvisorio che parla di alcune migliaia di vittime, dobbiamo pensare,
solo per parlare dei tempi recenti, alle centinaia di migliaia di morti ad Haiti nel 2010 ed in
Indonesia nel 2004.
Ed al terremoto dell'Aquila dove gran parte delle vittime fu determinata dal dolo nella costruzione e
manutenzione di alcuni edifici.
Cosa sarebbe successo in Italia di fronte ad una calamità come quella giapponese, peraltro già
verificatisi nel nostro Paese in termini equivalenti nei secoli passati? Fronteggiare questo rischio
non dovrebbe essere, in un paese sismico come il nostro, la priorità alla quale assegnare, da parte
della politica, la massima attenzione: per mettere in sicurezza edifici pubblici e privati e preservare
dalla possibile distruzione i nostri monumenti?
Il terremoto giapponese impone inoltre una seria riflessione anche per quanto riguarda la scelta
nucleare. Da ora in poi, fino al momento in cui potranno emergere dati incontrovertibili che certo di
fronte ad un incidente nucleare non è possibile per lungo tempo occultare, si metterà in modo tutta
la macchina della disinformazione, il tentativo di sminuire la gravità dell'incidente, anche attraverso
distinguo tecnici, incomprensibili ai più, sul livello tecnologico della centrale giapponese e sul tipo
di incidente verificatosi.
Ma se vogliamo ispirarci al principio di prudenza, al quale dovrebbero attenersi tutte le scelte
politiche, e tenendo conto della natura geologica e del rischio terremoti dell'Italia, non c'è alcuna
ragione, per il nostro Paese, di non abbandonare una volta per tutte l'opzione nucleare. Una scelta
irrazionale e costosa, che non tiene conto della scarsità dell'uranio, del problema delle scorie e dei
danni alla salute per gli abitanti che vivono in prossimità delle centrali, e che presuppone, come
scrive il nostro Giandiego Marigo, il desiderio di perpetuare il controllo sul rubinetto dell'energia, di
non consentirne una gestione democratica, partecipata, diffusa attraverso piccoli impianti autogestiti
che possano sfruttare l'energia solare ed eolica. Opzione quest'ultima che avrebbe, inoltre, benefici
effetti in termini di occupazione e di ricchezza nazionale.

13 marzo 2011 – Maurizio Zaffarano

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