Professional Documents
Culture Documents
Dialettica ed ermeneutica
Introduzione
Siamo nel tempo della massima povertà ma anche nel tempo dello svelarsi di
qualcosa di nuovo: appaiono insospettate identità poiché la parola di
Anassimandro e quella di Nietzsche nominano il medesimo; il Gestell, l’essenza
della modernità tecnica, indica quello stesso che esprime la sentenza di
Parmenide: (*). La co-appartenenza di essere ed uomo1.
1
Identität und Differenz, Pfullingen 1957, pp. 18 ss.
2
5
5
8
Schultz
7
Gewesenheit dirà poi, lo stesso che Ereignis, l’Es dell’Es gibt Zeit. È la
Gewesenheit che dà tempo, il tempo del nostro mondano ritenere,
presentificare, attendere; che dà, offre la quarta dimensione del tempo che è la
“presenza ontologica” entro cui succedono passato, presente e foturo, che è lo
spazio di gioco del “non più”, dell”adesso”, del “non ancora”. I destinatari di
questo Geschick, di questo dono, di questo destinare siamo noi uomini che in
questo destinarsi l’Ereignis si dis-propria per appropriarsi dell’uomo, ossia per
portare l’uomo nel suo proprio. Quale sia il modo, quale la ragione di questa
dis-propriazione di sé appropriantesi dell’uomo Sein und Zeit non dice9. Vien
però detto nel circolo Gewesenheit-Zukunft, Zukunft-Gewesenheit sono
determinati il modo e il perché del rapporto all’essere – meglio: del nulla –
all’esserci e dell’esserci al nulla. Quel modo e quel perché che consistono nella
negazione che l’esserci per essere compie e ha da compiere, e che solo per il
nulla- ossia, perché al fondo della sua essenza è il nulla, “ci è nulla”, come
l’assoluto altro – può compiere. Radicato nel nulla, l’esserci è sempre in gioco
nel suo essere. Sein und Zeit è la risposta più avanzata alla Seinsfrage scevra
dal subjectum moderno. È il tempo che permette di spiegare i vari significati di
essere nel loro intreccio. Essere, essere in quanto Ereignis, l’Es dell’Es gibt, è
tempo, tempo come Gewesenheit; essere, essere in quanto mondo, in quanto
das Seiende im Gazen, das Seiende als solches, è tempo, tempo come
presenza ontologica, come unità degli schemi orizzontali della Temporalität,
come quarta dimensione, come Weltseit; essere, essere come Zuhandensein e
Vorhandensein, è tempo, il tempo dell’Innerzeitiges, dell’intratemporale. Ed è
per l’essere, per l’essere in quanto Gewesenheit, che è data la possibilità di
aprirsi dell’attimale presenza ontologica, per entro la quale si danno gli enti
presenti e gli assenti, nelle loro diverse modalità. Possibilità che si dischiude in
concreto per il rinvenire del progetto sull’esser-gettato, per la ripetizione
operata dello Zukunft del possibile ripetibile dell’esser-stato. Possibilità che nel
fatto si copre, allorquando il futuro oblia la sua origine. È così, con l’Heidegger
di Sein und Zeit, è concluso il cammino dall’ontologico all’ontico. Nella
Vorselung del ’27 non c’è nulla di più per quello che riguarda la
9
Il secondo Heidegger lascia aperta proprio questa domanda, è la sua domanda fondamentale,
che ha risposta fin da Sein und Zeit. C’è quindi da capovolgere il senso, la direzione del lavoro
heideggeriano ed anticipare la Kehre. Non c’è distinzione tra ontologia ed analitica esistenziale,
ma la prima trova verità solo nella seconda e la seconda ha verità solo in quanto filtrata e
dilatata dalla prima (Caracciolo). Nel circolo Daseinsanalyse-Seinsgeschichte la prima è
“fondamento” della seconda, e la seconda costituisce la via d’accesso alla prima.
8
10
Per questo c’è una essenziale compiutezza in Sein und Zeit, anche contro lo stesso
Heidegger. Chiedersi nell’ultimo paragrafo se l’ontologia si lasci fondare ontologicamente,
oppure esiga un fondamento ontico, e in tal caso quel ente dovrebbe assumersi la funzione del
fondare –significa perdere di vista proprio il rapporto fondamentale nulla-esserci-esserci-nulla,
per il quale ogni fondazione si dà. Il problema metafisico del fondamento è superato proprio dal
riconoscimento della radicale nullità dell’esserci, della nullità che é alle radici dell’esserci, il cui
essere, la Sorge, è definito: das nichtige Grundsein einer Nichtigkeit. La domanda poi “perché
l’essere viene innanzitutto concepito a partire dalla semplice presenza e non dall’utilizzabile
che tuttavia c’è più vicino?” ha avuto risposta nel §13, nella trattazione del Verfallen? Nella
Vorlesung del ’27, dovendo spiegare il coprimento dei momenti strutturali specifici della
Weltzeit, epperò la riduzione dell’essente e dell’essere medesimo a semplice-presenza e dell’io
stesso a cosa, sostanza, soggetto proprio al Verfallen rinvia. Infine, alla domanda conclusiva “il
tempo stesso si rivela come l’orizzonte dell’essere?” si dovrebbe soltanto leggere i capp. IV e VI
della II Sez. Nello stesso tempo bisogna individuare che nel tempo, nel tempo della
Gewesenheit, una dimensione ancora più profonda del tempo che funge da orizzonte
trascendentale della comprensione dell’essere.
11
12
9
aperto del concetto. Anche in Hegel c’è il ritorno all’ontico dall’ontologico. Sia
in Hegel sia in Heidegger è presente la concezione circolare del tempo
originario ma Hegel ha di mira l’equilibrio nell’incontro tra Wesen e Gewesen e
telos o Zukunft e volge la sua attenzione in modo preminente sulla presenza,
sulla parousia dell’Assoluto; mentre Heidegger si rivolge all’origine, alla
Gewesenheit, alla nullità del nulla. È diverso anche il loro rivolgersi al passato:
Hegel vuole dominare col pensiero ciò che si è manifestato nell’orizzonte della
presenza; Heidegger con l’intento di penetrare col pensiero oltre la superficie
della presenza, per portare alla vista la radice nascosta e obliata. (*)
ma fondato, non più come assoluta certezza ma come dubbio radicale, come
individuale e nel tempo seppur punto di incontro di essere e nulla, finito ed
infinito, eternità e tempo. Una finitezza che non è più origine ma luogo di
manifestazione del valore, rivendicando una centralità della persona. In Sein
und Zeit tutto ciò è negato come dato originario ed ultimo ed esplicato nella
loro origine ontologica e collocati nella dimensione loro propria.
nella sua negatività, ma anche nella sua nullità; cogliersi nella sua negatività a
partire dalla sua nullità; ovvero nell’unità del suo essere progetto o
fondamento gettato. L’esserci non può mai rendersi padrone del proprio
fondamento, ma, esistendo, ha solo da assumerlo. La nullità di ciò di cui
l’esserci è fondamento sta in ciò, che il “mondo fondato”, l’orizzonte di
significatività al cui interno vale, ossia vige e funge il principio metafisico della
fondazione, che questo mondo non è staccato dalla nullità donde proviene, anzi
quella nullità contiene, mantiene in sé. Come?
15
E&T p. 180
16
Alla radice del senso v’è il non-senso, la storia non nasce da valori. La epoche
prima dello storico rapporto determinatesi tra di esse, sono tali solo se riescono
ad instaurare primariamente il rapporto con la propria origine, con il nulla, con
il vuoto del puro possibile che ad ogni possibilità storica apre. La gettatezza
non è fuori dall’effettività ma non si identifica con essa: l’esistenza storica,
l’esserci di un epoca, non si determina che nel rapporto al nulla, ma questo
rapporto non può non passare attraverso l’epoca storica in cui faktisch ci si
trova e, quindi, attraverso le altre che l’hanno preceduta. Il rapporto tra le
epoche però non è originario, ma derivato perché quello originale ed originante
è con il nulla. La chiamata viene dal nulla, dal Ci stato-gettato, dalla gettatezza
quale si rivela nello spaesamento, che dal punto di vista ontologico-esistenziale
è il fenomeno originario. La Daseinsanalyse offre la spiegazione genealogica di
ciò che la Seinsgeschichte si limita ad esporre e cioè che: “*”16
16
Der Satz vom Grund (Principio di Ragione), cit., p. 154
17
sono singoli, sono persone. Ma in che modo le persone sono nel Si? Sono
spersonalizzati, pallide immagini di individui: l’esser-sempre-mio non può
identificarsi con la personalità poiché l’inautentico allora sarebbe
ontologicamente inferiore, cosa impossibile. Che cosa è quindi l’essere-sempre-
mio? È definito sia l’essere dell’esserci sempre mio e l’esserci sempre mio: è
così esplicato il doppio rapporto dell’essere all’esserci e dell’esserci all’essere.
L’essere è per un verso ciò a cui l’esserci si rapporta, per l’altro ciò per cui è
possibile il rapportarsi stesso dell’esserci all’essere. Ora, l’essere è sempre mio
sia come ciò che determina il rapporto, sia come ciò che è termine del
rapporto. Sempre mio, come ciò che mi costituisce: sempre l’essere è origine e
termine del mio esistere. E quando è termine, quando è l’essere progettato,
l’essere del mio poter-essere, non si distingue per nulla dall’esserci stesso
L’esserci come poter-essere è l’esserci medesimo, per cui posso dire
dell’esserci che è sempre mio. L’essere-sempre-mio predicato dell’essere (non
entra in contraddizione) rinvia all’essere che determina e spiega il rapporto
dell’esserci all’essere; predicata dell’esserci rinvia all’essere che è termine del
rapporto (prima comparsa della distinzione Geworfenheit Entwurf). Il sempre-
mio è il senso del progetto mondano non perché sia “io” a costituirlo ma
perché sono io costituito da esso e proprio come individuo. Particolarmente
questo, quando il Se è disperso nel Si perché il mio è tale perché sono suo,
perché esso è me. La soggettività vuota moderna è solo la condizione della
oggettività degli oggetti , il senso del mondo della tecnica. È il modo d’esserci
degli uomini della tecnica che parla sempre in prima persona mentre si
appartiene ad un magma indifferenziato di una soggettività che si ripete in
molteplici esemplari tutti uguali. Ma così solo in superfice. L’esser-sempre-mio
è a fondamento sia dell’esserci inautentico ed autentico. L’esserci è autentico
nella decisione anticipatrice. Nell’anticipazione l’esserci, in quanto poter-
essere, si ri-flette nel suo esser-possibile, e cioè si pone innanzi alla nullità che
lo costituisce. Qui si ritrova l’esser-sempre-mio dell’essere (dell’esser-possibile,
del nulla) e l’esser-sempre-mio dell’esserci (del poter-essere, del progetto),
ritroviamo insomma il rapporto in circolo che è proprio della struttura
dell’esserci, il rapporto di identità-differenza (che poi è il rapporto stesso della
temporalità), per cui l’esserci è quando nega il nulla, quando nega la pura
identità per la differenza, ma questa differenza l’esserci non stacca
dall’identità, anzi ad essa sempre la riconduce, perché è per l’identità che la
differenza è differenza. L’esistenza autentica si riconosce proprio in questa
contrarietà all’identico; è autentico l’esserci dif-ferente (non quello che si
appropria il Wesen dell’epoca in cui fattivamente si trova), è autentico l’esserci
che si pone come senso di nuovi rapporti, di nuove relazioni, come senso che si
esplica in un nuovo mondo. La singolarità dell’autentico, la novità della
differenza dà prova di sé soltanto se riesce ad es-plicarsi in una comunitaria
19
Sul versante ontico, l’analisi della Neuzeit appare come una fenomenologia del
negativo. La critica che egli svolge è una critica a tutto campo: riduzione del
pensiero a calcolo producente violenza, la profondità dello spirito scaduto a
mero raziocinio, perdita della religiosità, l’arte diventa oggetto dell’esperienza
vissuta dell’uomo perdendo così la sua valenza ontologica-veritativa, un
rapporto con la storia non più originario a causa dello storicismo e della
storiografia, ossia dalla “costante distruzione dell’avvenire e del rapporto
storico con l’avvento del destino”. Ma questa critica non è una semplice critica
20
(lo stesso Heidegger riconosce che “nessuna epoca si lascia cancellare da una
sentenza di condanna. Questa mette solo fuori strada chi la pronuncia”) ma il
riconoscimento di una alterità che già opera, seppur in latenza, un futuro che
seppur misconosciuto, funge già nel presente. Nelle forme calcolanti emerge
così l’incalcolabile., il gigantesco, ciò per cui il calcolabile è tale. Ciò porta ad
un superamento dell’umanesimo. La critica all’epoca dell’immagine del mondo
è la critica all’uomo dell’umanesimo, un epoca che che rende impossibile il
palesarsi del rapporto tra essere ed uomo, perché ritiene di aver in sé la ragion
sufficiente di tutto ciò che accade. Nell’attimo storico epocale dell’affermarsi
della realzione soggetto-oggetto, il soggetto diventa mero oggetto. L’uomo che
dispone e provoca le energie naturali si ritrova lui stesso provocato e disposto.
L’ente non ha più essere ma solo il proprio posto che coincide con il suo esser-
posto. L’uomo anch’esso si ritrova come un “posto”, il chi del porre e del
disporre non è più l’uomo perché anch’esso quando provoca si ritrova
provocato. E tutto ciò solo in vista del provocare e del disporre. Non è né
fondamento ne fine del disporre. Nell’Unwelt della tecnica il provocare è in
vista del provocare: eterno ritorno di Nietzsche. L’ego cogito ancora mantiene
alcune caratteristiche del Dasein (l’essere in grazia di cui ed in vista di cui) ma
l’uomo-Bestand moderno nn più. Eppure proprio nell’estremo abbandono
dell’essere, l’essere si fa presente. Nel mondo calcolante non si può calcolare
la totalità dell’ente in quanto fuori di ogni calcolo: della ragione non si può
addurre ragione, la ragione è un fatto.
Nel donarsi, nell’inviarsi, nel destinarsi, l’essere nel contempo si ritrae: la verità
nel contempo è non-verità, il dis-velamento velamento, il Wesen Gegenwesen.
Come e perché la meditazione sull’essenza della tecnica ci libera? Se è nel
Gestell che va ricondotta l’origine della chiusura, come ci può liberare: è la
consapevole accettazione della irrimediabile necessità dell’oblio? Ma ciò non
spiegherebbe la stessa riflessione sul Gestell. Ma l’estremo pericolo è il credere
nell’effettivo superamento dell’oblio, dell’errare; sta nell’ipotizzare l’avvento
dell’epoca della disvelatezza completa, dello smascheramento definitivo. Esso
è il pericolo estremo che è il Nichtverstehen dell’aletheia. Quando si parla
dell’oltrepassamento della metafisica, si dice “la metafisica oltrepassata non
scompare. Essa ritorna, mutata, e mantiene il suo dominio come permanente
differenza dell’essere rispetto all’ente”. Anche l’oblio dell’essere è doppio: una
cosa é l’oblio, altra è l’oblio dell’oblio; una cosa è l’occultamento altro è
l’occultamento dell’occultamento. Ma cosa principalmente, originariamente, si
occulta nell’occultamento? Nell’ambiguità del gestell è adombrato il mistero di
ogni disvelamento. Oppure nella ascosità, nella Verborgenheit (che come
autentica non-verità è più antica di ogni manifestatività) è il mistero, das
Geheimnis. Ciò che più originariamente si occulta nell’occultamento è la
Verborgenheit. Nella disvelatezza si vela l’originaria ascosità, l’origine di ogni
origine. Il senso vero e proprio della Seinsvergessenheit è questo velamento
dell’ascoso che è per il disvelamento stesso. Il Wesen della verità è Gegen-
wesen, proprio perché la verità in quanto verità è contro la verità originaria. La
verità come tale è negazione, è contrarietà. La verità, cioè l’essere, die
Lichtung des Seins – ovvero ancora l’esserci, il Dasein, epperò il mondo, die
Welt. Das Sein nichtet – als das Sein. L’essere per esser-ci ha da negare il non
della non-essenza originaria, l’Un dell’Un-wesen. Ma nel Gegen del
Gegenwesen, nel contro della contro-essenza, è implicito un andare incontro.
Ciò che ha da essere negato è anche ciò a partire da cui soltanto l’essere, la
verità diviene possibile. Il pericolo è che nellla contrareità della negazione
proprio ciò che si incontra vada dimenticato. Solo allora sorge l’oblio, l’oblio
che è errore. Se l’erramento – il velare del disvelato, che è poi il distacco
22
La decisione, al fondo, è sempre votata allo scacco. Per quanto ci si interni nel
nostro esser-possibile, nella più propria possibilità,il nostro poter-essere, la
nostra decisione, resta sempre al di qua del possibile e quindi imperfetta ed
incompiuta nella sua adeguatezza. L’essere, l’essere dell’essente è sempre
meno del suo esser-possibile: questo ci dice la differenza. Questo è anche
l’insegnamento di Hegel: la bella armonia della compatta sostanza etica si
spezza nell’operare: nell’operare i dei del giorno si separano da quelli della
notte, legge umana e divina si scontrano. All’origine di ogni possibile metafisica
c’è il desiderio di dimenticare la differenza, lo scacco, la finitezza. Di obliare la
scissone originaria, nella quale e per la quale soltanto l’Uno, il Sostanziale é.
Contro questo oblio si rivolge Heidegger, contro la fragile sicurezza dell’uomo
di essere fondamento inconcusso della realtà del reale. Pensare l’essere senza
l’essente è l’invito a pensare di nuovo, sempre di nuovo, la differenza. Come
dire l’ulteriorità dal nulla, e con essa la finitezza dell’uomo. Ciò riporta indietro
a S&T al Sein zum Tode, al nostro essere in debito ed in colpa: intorno
all’impossibilità di essere, di essere compiutamente e definitivamente, ciò che
pur da sempre noi stessi siamo, all’impossibilità di renderci padroni del nostro
esser-possibile. Pensare l’essere senza l’essente è quindi un invito come a
19
23
pensare la differenza in quanto differenza così a fare esperienza del tempo, del
tempo originario e della sua finitezza, che poi è una sola e medesima cosa:
Herkunft bleibt stets Zukunft.
1 – Metafisica e Follia
Ripercorrere la via che conduce al luogo originario come della metafisica come
della follia. Metafisica come un modo del rapportarsi dell’esserci all’essente ed
insieme il Wesen della civiltà occidentale. Metà tà physikà, oltre gli enti fisici.
Verso dove? L’oltrepassamento degli enti sia per l’Ente, sia per la physis dice
sempre il rapportamento “esclusivo” dell’esserci all’essente, a ciò che “è”. Pur
quando pensa l’altro dall’essere, ciò che “non-è”, il pensiero metafisico pensa
questo altro, questo non, sempre a partire dall’essere. L’essere è il primo, il
non è il derivato. Essere e non-essere, e non: nulla ed essere. Gli enti nascono
e periscono, vengono dal non-essere e vanno nel non-essere – non è questa
l’esperienza fondamentale del pensiero metafisico, e cioè del tempo? Qui nasce
l’esigenza metafisica dell’eterno, di superare l’esperienza del non essere
vissuta come sofferta. Il non è sempre privazione e mancanza, è derivato e mai
l’originario pur quando lo si pensa come origine e termine dell’ente. Il no è
meno del si, la negazione dell’affermazione , l’assenza della presenza; e se
invece il no originario, il nulla, fosse più ricco del sì dell’essere, di tutto ciò che
è? Ma che è l’essere per il pensiero metafisico?
Uomo: Zòon lògon èchon: animal rationale. Il logos è stato inteso come ratio:
che cos’è quest’ultima? L’uomo è razionale perché cerca la ragione di ciò che è
poiché tutti gli enti hanno una ragione della propria esistenza: nihil est sine
ratione. Identità di essere e ragione. L’ente ci si rivela nella sua consistenza
d’essere solo quando di esso diamo ragione. Il pensiero metafisico riconosce
via via l’essere perché riconosce in tutto ciò la ragion d’essere dell’ente, ciò per
cui soltanto l’ente è ente. La ragion d’essere è il perché dell’ente: il
fondamento. La ratio è Grund e Sein, il fondamento e l’essere dell’ente. Nella
metafisica essere dice fondamento, tale pensiero come tale è fondante: in
senso eminente essa è la scienza. Il pensiero metafisico (fondante) è tale non
solo quando ricerca il fondamento dell’ente fuori dall’ente medesimo ma anche
quando ritrova il fondamento nell’ente stesso, e cioè nella connessione
interfenomenica. Se scompare la ricerca del fondamento trionfa la pluralità
indeterminabile dei principi, trionfa il pensiero metafisico.
24
La follia dell’uomo folle è nel sapere della morte di Dio, eppure cerca Dio. Ma
non sono lo stesso Dio: è morto il Dio-Valore. La disperazione del folle è dettata
sembra dal fatto che chi ha ucciso Dio non ne è ancora consapevole. . Il tempo
20
R. D. LAING, The Divided Self, trad. It., Torino 1969
25
del folle invece, è quello della consapevolezza. Il Dio del folle è il Dio che il
pensiero metafisico ha dimenticato.
Il folle che cerca Dio, non condanna la metafisica come deicidio, ma in quanto
oblio di questo deicidio. E l’oblio nega la possibilità stessa che Dio venga
nuovamente cercato e nuovamente ucciso: chiude la metafisica in se stessa.