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Dialettica ed ermeneutica

Introduzione

Siamo nel tempo della massima povertà ma anche nel tempo dello svelarsi di
qualcosa di nuovo: appaiono insospettate identità poiché la parola di
Anassimandro e quella di Nietzsche nominano il medesimo; il Gestell, l’essenza
della modernità tecnica, indica quello stesso che esprime la sentenza di
Parmenide: (*). La co-appartenenza di essere ed uomo1.

Parmenide interviene nel discorso effettuale del destino attuale? La sua


filosofia è solo narrabile, che i progetti appartengono solo a chi ha ucciso i dei,
a chi organizza la sua tèchne? Forse l’interpretazione heideggeriana di
Nietzsche va oltre la tesi del compimento della metafisica platonica,
dell’estremo oblio dell’essere per e nell’ente; va oltre il pensiero dell’eterno
ritorno che si legittima nel mondo moderno della tecnica e della produzione.
Oltre a questo, c’è in Nietzsche il pensiero dell’essere, pensiero che lega il
compimento all’inizio – all’inizio dell’essenza, del Wesen e non soltanto
all’inizio della non-essenza, dell’ Un-Wesen, della metafisica. Pensare dopo
Nietzsche significa allora ripensare Parmenide: non significa renderlo “attuale”
ma pro-vocare, chiamar fuori, con la sua inattualità profonda la radice nascosta
del nostro esserci attuale. Ri-pensare Parmenide significa, quindi,immettersi
nella dimensione di quell’originario che non è indietro nel tempo, di questo o
quel tempo, perché per essere all’origine di ogni tempo è al di là di ogni tempo,
anche se nel tempo, solo ne tempo, si rivela (e si ritrae insieme). Parmenide
non interviene nel destino attuale poiché la dimensione profonda – verticale –
del tempo, della temporalità estatica, è perduta nella successione seriale nei
momenti dell’ora, del tempo orizzontale della tèchne e della Rationalisierung;
solo perché non è vista la distanza critica che separa il Gestell dell’Ereignis – il
Wesen dall’Abgrund – quindi perché il progetto heideggeriano di ricercare nella
tèchne, nel suo Wesen, la possibilità del suo supermento, resta incompreso.

Schema della Seinsgeschichte (che mostra talvolta il volto di cattiva Historie),


Hegel sembra non sottrarsi mai al suo rischio: quello per cui l’essenzialità del
pensatore essenziale da rapporto con l’essenza profonda e nascosta dell’essere
si muta in partecipazione completa, senza nessuna distanza critica, o
possibilità di distacco critico, al suo mondo storico, ovvero in appartenenza
assoluta ad esso, all’essenza disvelata dell’essere.

1
Identität und Differenz, Pfullingen 1957, pp. 18 ss.
2

I – HEIDEGGER, HEGEL E IL PROBLEMA DEL TEMPO

“Essere e Tempo” è il Leitfaden, il filo conduttore, del pensiero heideggeriano:


“Attraverso la questione essere e tempo ciò che vien preso di mira è
l’impensato di tutta la metafisica. È su questo impensato che la metafisica
riposa”2. Sein ha un intreccio di significati mai possibile a districarsi, ma
soprattutto Zeit ha in sé molteplici significazioni, molte di più dell’essere e con
le quali Heidegger si è sempre confrontato. L’esplicitazione dei significati di
tempo, è anche l’esplicitazione dell’intreccio dei significati di essere. Infatti la
questione di essere e tempo tocca qualcosa di essenziale che resta impensato
in tutta la metafisica e che tuttavia costituisce il fondo su cui tutta la metafisica
poggia. La riflessione sulla tradizione metafisica fa comprendere il senso
epocale del nostro esserci storico, secondo Heidegger: per questo si ritiene
essa come necessaria. Ma quale è l’Hegel di Heidegger? Hegel, porta a
compimento il cammino iniziato da Cartesio, e cioè il processo di traduzione
della verità in certezza, culminante nella affermazione del cogito - in Hegel:
dello spirito – come fundamentum inconcussum della verità e della realtà del
reale.

Fondamentale in Heidegger è la definizione aristotelica del tempo (*): Hegel


non fa altro che formulare radicalmente questa comprensione volgare del
tempo. Heidegger analizza la Filosofia della natura dell’Enciclopedia - §§ 254-
259 – e la Jenenser Logik Metaphysik und Naturphilosophie. Il rapporto di
filiazione non coinvolge solo il tempo, ma anche la Logica: il concetto
hegeliano di tempo sorge come negazione della puntualità spaziale e
ponentesi, quindi, come unità negativa dell’esteriorità, ovvero come
negazione della negazione che approda alla mera successione lineare
di punti-ora. “Lo spazio <<è>> tempo, cioè il tempo è la <<verità>> dello
spazio. Se lo spazio è pensato dialetticamente in ciò che esso è, l’essere dello
spazio si rivela secondo Hegel come tempo”3.Il tempo è negazione della
negazione (della puntualità). Inoltre, sia lo spirito e sia il tempo, possono unirsi
in base alla medesimezza della loro struttura formale (per una stessa assoluta
irrequietezza) pur restando comunque distinti: il tempo non è lo spirito, perché
esso è sì il concetto stesso nel suo esserci ma come vuota intuizione. Ne
consegue che lo spirito, non può cadere nel tempo. Questo è il senso di ciò che
Hegel scrive nella Fenomenologia: “Lo spirito appare necessariamente nel
tempo e vi appare fin che non comprende il suo puro concetto, cioè non
estingue il suo tempo”. Heidegger, nel suo commento, intende assolutamente
2
Was ist Denken? Tubinga 1973, p. 42; trad. it. Della Parte I di U. Ugazio e G. Vattimo, Milano
1978, p. 95
3
Essere e tempo pag 502
3

tener distinta la sua interpretazione della temporalità (Zeitlichkeit) dell’esserci


dal nesso istituito da Hegel tra tempo e spirito. Per Heidegger, Hegel non
spiega l’origine del tempo come successione di punti-ora, la caduta dello spirito
nel tempo e non mette a questione lo stesso concetto di spirito come
negazione della negazione (ovvero se sia possibile altrimenti che sul
fondamento della temporalità originaria). Ma il “tempo originale” di Hegel, è
solo la mera struttura formale della negazione della negazione? Dove bisogna
guardare per capire il tempo hegeliano?

In Heidegger la concezione volgare del tempo è la mera successione di ora in


quanto semplici-presenze (Vorhanden). Nella esperienza quotidiana invece,
abbiamo sempre un tempo per…, ogni ora un ora per….. La media quotidianità
è dominata dal Besorgen –il tempo stesso è ‘oggetto’ del prendersi-cura,
epperò conosce pause e fratture. Gli ora non sono punti indifferenziati, ma
sono all’interno della ragnatele che si ha con il mondo: il tempo come articolata
struttura di ora-per -nei quali si esplicano il ritenere, il presentificare e
l’attendere del nostro quotidiano operare – rappresenta il senso del mondo,
per cui lo chiamiamo appunto Weltzeit.

1) Il tempo dell’interpretazione volgare è una modificazione privativa del


tempo mondano, del tempo della esperienza quotidiana. Tale sottrazione
è la perdita del per, del carattere ontologico di rimando che è incluso
nell’ora, livellandoli

2) La Weltzeit è sia l’equivalente della Innerzeitgkeit (la successione degli


ora-per, l’insieme degli ora oggetto del nostro Besorgen), sia la
condizione a priori della stessa Innerzeitgkeit, dovuto al duplice
significato (ontico ed ontologico) del termine mondo.

La Weltzeit, il tempo-mondo, definisce l’unità degli schemi orizzontali della


Temporalität, la quale a sua volta si radica nella Zeitlichkeit. Infatti “il termine
Temporalität deve indicare che la Zeitlichkeit nell’analitica esistenziale delinea
l’orizzonte a partire da cui comprendiamo l’essere. Ciò che nell’analitica
esistenziale interroghiamo, l’esistenza, si mostra come Zeitlichkeit, la quale dal
canto suo fissa l’orizzonte per la comprensione dell’essere, che appartiene
essenzialmente all’esserci”4. La Zeitlichkeit è la condizione di possibilità della
costituzione ontologica dell’esserci, al quale appartiene la comprensione
dell’essere. La Temporalität è la condizione di possibilità della comprensione
dell’essere, in quanto unità degli schemi orizzontali delle estasi temporali. La
Zeitlichkeit (il tempo originario) ha il carattere dell’estaticità. Ciò verso cui
muove il tempo nel suo usire, è lo spazio aperto all’incontro dell’ente
intramondano ed intratemporale. All’estasi della Gegenwart appartiene lo
4
4

schema orizzontale della Praesenz. Esse sono in connessione in quanto c’è un


rapporto di derivazione della Praesenz dalla Gegenwart: quest’ultima si riversa
nell’altra e la traversa da parte a parte. In sostanza, la Gegenwart è la
dimensione verticale della Praesenz e lo stesso rapporto sta tra Zeitlichkeit e
Temporalität: Heidegger dice “definiamo Temporalität la Zeitlichkeit in quanto
finge da condizione di possibilità per la comprensione pre-ontologica ed
ontologica dell’essere”5. Nel rapporto Zeitlichkeit-Temporalität è definito il
senso temporale dell’In-der-Welt-sein, cioè della trascendenza dell’esserci. Il
mondo è il ciò in vista di cui l’esserci esiste (grazie alla sua regnatela di
significati e rimandi). Ma ciò in vista di cui l’esserci esiste è in vista di se
stesso. L’esserci quindi si significa nel mondo, si esplica nella significatività del
mondo. Il mondo è per l’esserci, l’esserci è il senso del mondo che è nella sua
esplicazione mondana, è significatività. Quindi esserci è mondo, ma nello
stesso tempo non lo è poiché ne è l’interno:il senso appunto della
significatività.

Negazione della negazione come tempo originario? L’oggettività hegeliana a 2


significati: lo star di fronte al concetto e quello di essere in sé e per sé. Il
meccanismo definisce la forma, il tipo di relazione della oggettività meccanica.
Ciò che è a tema, è l’essenzialità delle cose, il concetto della cosa. Il carattere
del meccanismo è che la relazione tra i collegati è loro estranea e che non
tocca per nulla la loro natura. Ciò equivale alla rappresentazione volgare del
tempo heideggeriana: obliato l’Um-zu, il per, che connette l’ora alla totalità dei
rimandi propria della Weltzeit, il singolo ora decade a semplice-presenza
accanto ad altri ora, secondo il criterio del prima e del dopo. Il tempo livellato è
una pura relazione meccanica quindi, che giustifica anche la non-reversibilità
della successione medesima. In Hegel, l’oggetto è indifferente sia alla relazione
con altri oggetti ma sia anche rispetto alla propria determinatezza per cui
questa è data proprio dalla relazione con gli altri oggetti. Per questa
indifferenza alla propria determinatezza l’altro oggetto può partecipagli una
sua caratteristica. Il processo non comporta né resistenza né conservazione. Il
processo meccanico ritorna quindi nella quiete, nella sua indeterminata
determinatezza. Questa analisi ben si applica alla descrizione del punto-ora
heideggeriano.: l’ora è in sé indifferente alla propria determinatezza potendo in
sé accogliere tutto ma tutta via nulla conservando. Ma l’indeterminata
determinatezza a cui l’oggetto approda alla fine del processo meccanico non
più quella immediata dell’inizio. L’oggetto (l’ora) è riflesso in sé. Il singolo
oggetto postula gli altri; il singolo ora gli altri ora: E tutti si raccolgono attorno
ad un centro: la sua determinatezza è diversa da un semplice ordinamento.
Come determinatezza che è in sé e per sé, è una forma immanente , un

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principio determinantesi per sé al quale gli oggetti ineriscono. L’ora diventa,


nel divenire che è proprio del manifestarsi di ciò che è da sempre, la stessa
relazione che tiene uniti i vari momenti, la loro forma immanente che tuttavia
ancora non è intrinseca ai suoi termini. La relazione è ferma e non ancora
contenuto: è lo spazio aperto al gioco dei termini in rapporto, non ancora il
gioco stesso, non ancora i termini che sono in gioco. Nel chimismo poi, prima la
relazione presuppone i termini e la loro diversità, nel corso del processo la
relazione si mostra tale da porre essa medesima i suoi oggetti. La forma della
relazione è divenuta essa stessa contenuto della relazione: la relazione da
ontica determinazione della connessione degli oggetti si traduce in ontologico a
priori di detta connessione (la weltzeit da semplice successione di ora-per
diventa l’a priori ontologico che rende possibile la successione si ora-per:
diventa quindi i termini in gioco) L’essere non altro dall’essente ma l’essente
stesso colto nel suo essere. La Weltzeit, che è l’apriori di ogni ora, è la
significatività dell’ora, la sua struttura di rimando. Nel rimando ontologico si
trova contratta l’intera struttura connettiva del tempo-mondo. L’oggetto
chimico è la prima negazione della negazione incontrabile, in quanto unità
negativa dei termini astratti e della astratta relazione. Ciò definisce la Weltzeit
ma non la Zeitlichkeit, il tempo originario. Ma l’Oggettività si conclude nella
teleologia ed essa è la verità del meccanismo. Ovvero la Weltzeit – ossia
l’insieme degli schemi orizzontali della Temporalität – si radica nella
Zeitlichkeit. La negazione della negazione che definisce il risultato della
relazione chimica (l’essere la relazione intrinseca ai suoi momenti) resta
ancora come un mero dato, un fatto della connessione strutturale degli oggetti,
degli ora. Il suo modo non è né spiegato né dedotto né derivato. L’analisi dello
scopo serve a mostrare il modo e la ragione della connessione strutturale dei
vari momenti. Lo scopo si presenta inizialmente come soggettivo, finito ed
estrinseco al processo meccanico. Per realizzarlo esso ha bisogno di un mezzo
che è medio tra scopo soggettivo e processo meccanico: qui finalismo e
meccanicismo si incontrano accidentalmente, la relazione meccanica non è
determinata dallo scopo, anzi, viceversa. Lo scopo adesso è solo ciò in vista di
cui può determinarsi un mutamento nella connessione strutturale dei momenti
ma non ciò per cui la connessione viene determinata. Non ne è la condizione di
possibilità. Ma se si guarda allo scopo realizzato, esso si mostra come l’a priori:
può esservi una connessione di momenti, in quanto questa è determinata sin
dall’inizio da ciò in vista di cui quella connessione è configurata, strutturata. Il
fine non è se non nella relazione oggettiva, l’anima pervade il corpo come ciò
che lo sostiene e lo guida. Lo scopo non è la relazione perché ne è il senso,
senso che si significa nella relazione e fuor d’essa nulla é. L’identità dei due
mantiene la differenza. Nell’identità che è insieme differenza di concetto ed
oggettività, di fine e relazione,m è la negazione della negazione che definisce
6

l’In-der-Welt-sein e cioè il nesso Zeitlichkeit-Temporalität. Soggetto oggetto,


concetto oggettività, i Hegel nn sono due semplici presenze in correlazione tra
loro. L’unità negativa dei due indica che il soggetto, lo scopo,il concetto, non è
se non nel trascendersi nell’oggettività. Il concetto il fine si esplica
nell’oggettività così come il Dasein si esplica, significandosi, nel mondo. Un
unico concetto spiega entrambe i rapporti – esserci-mondo e scopo-oggettività
-: il concetto di trascendenza. Trascendenza che non è intenzionalità, dacché
questa si esplica nell’orizzonte oggettivo dischiuso dalla trascendenza. La
trascendenza è rapporto all’essere, al mondo, all’oggettività – l’intenzionalità è
rapporto all’ente, all’intramondano, all’oggetto. Nel che è esplicito che il
rapporto concetto-oggettività è un rapporto che si dispiega in verticale. Come
l’essere del Dasein è il suo Da, così l’essere del concetto è la sua oggettività, la
regione luminosa della sua esteriorità visibile. Lo scopo realizzato però, non è il
risultato del processo dialettico dell’oggettività, anzi è l’unità negativa che
sorregge dall’inizio tutto il movimento. Ciò che si consegue alla fine è solo lo
svelamento si ciò che opera in latenza. Ciò che da ultimo si manifesta è
ontologicamente primo e viceversa: “l’andare innanzi è un tornare indietro nel
fondamento, all’originario, al vero, dal quale quello con cui si era cominciato
dipende, ed è infatti prodotto”6. Questo è un circolo dell’ermeneutica
ontologica, dall’ontico all’ontologico (dalla Jetztfolge del tempo livellato alla
Zeitlichkeit) ed allude al senso temporale del movimento di questo circolo. Ora
dall’ontologico all’ontico?

Heidegger riconosce che il sapere assoluto, o reale, è pensiero dell’essere7 ma


un essere che ha il tratto fondamentale della soggettività. Tesi sostenuta
spesso contro lo stesso Heidegger di Essere e Tempo per cui esso sarebbe il
punto più alto del soggettivismo moderno che poi esso stesso capovolge
attraverso la svolta8. Si ribalta il primato del progetto contro il primato della
Gewesenheit (esser-già-stato). Ma anche nel primo Heidegger, il primato della
Zukunft è solo apparente, poiché esso implica ed esige il primato della
Gewesenheit, che è lo Zukunft di ogni possibile Zukunft. “Autenticamente
adveniente è l’esserci autenticamente stato“ a cui però segue “l’esser-stato
deriva in certo modo dall’a-venire”. Ma quando parla della temporalità
dell’angoscia, si dice “*”. Non la ripetizione ma la Wiederholbarkeit caratterizza
l’esser-già-stato. L’esser-gettato non è mai ripetuto, esaustivamente ripetuto; è
il ripetibile, il possibile ripetibile, ciò che per essere di là di ogni ripetizione
muove, chiama l’esserci autenticamente esistente alla infinita ripetizione, così
disvelandone l’infinita finitezza. La Gewesenheit è il senso temporale del
Möglichsein che è sempre oltre ogni possibile poter-essere (Seinkönnen).
6

8
Schultz
7

L’origine resta sempre futuro. È vero che l’esser-stato scaturisce in un certo


qual modo dall’a-venire, ma ciò nel senso che “l’angoscia può emergere nella
sua autenticità soltanto in un esserci già deciso”. L’origine si disvela solo
nell’autentico progetto del futuro, ma è per essa che il futuro è possibile. È
definibile come soggettivismo questo?

Gewesenheit dirà poi, lo stesso che Ereignis, l’Es dell’Es gibt Zeit. È la
Gewesenheit che dà tempo, il tempo del nostro mondano ritenere,
presentificare, attendere; che dà, offre la quarta dimensione del tempo che è la
“presenza ontologica” entro cui succedono passato, presente e foturo, che è lo
spazio di gioco del “non più”, dell”adesso”, del “non ancora”. I destinatari di
questo Geschick, di questo dono, di questo destinare siamo noi uomini che in
questo destinarsi l’Ereignis si dis-propria per appropriarsi dell’uomo, ossia per
portare l’uomo nel suo proprio. Quale sia il modo, quale la ragione di questa
dis-propriazione di sé appropriantesi dell’uomo Sein und Zeit non dice9. Vien
però detto nel circolo Gewesenheit-Zukunft, Zukunft-Gewesenheit sono
determinati il modo e il perché del rapporto all’essere – meglio: del nulla –
all’esserci e dell’esserci al nulla. Quel modo e quel perché che consistono nella
negazione che l’esserci per essere compie e ha da compiere, e che solo per il
nulla- ossia, perché al fondo della sua essenza è il nulla, “ci è nulla”, come
l’assoluto altro – può compiere. Radicato nel nulla, l’esserci è sempre in gioco
nel suo essere. Sein und Zeit è la risposta più avanzata alla Seinsfrage scevra
dal subjectum moderno. È il tempo che permette di spiegare i vari significati di
essere nel loro intreccio. Essere, essere in quanto Ereignis, l’Es dell’Es gibt, è
tempo, tempo come Gewesenheit; essere, essere in quanto mondo, in quanto
das Seiende im Gazen, das Seiende als solches, è tempo, tempo come
presenza ontologica, come unità degli schemi orizzontali della Temporalität,
come quarta dimensione, come Weltseit; essere, essere come Zuhandensein e
Vorhandensein, è tempo, il tempo dell’Innerzeitiges, dell’intratemporale. Ed è
per l’essere, per l’essere in quanto Gewesenheit, che è data la possibilità di
aprirsi dell’attimale presenza ontologica, per entro la quale si danno gli enti
presenti e gli assenti, nelle loro diverse modalità. Possibilità che si dischiude in
concreto per il rinvenire del progetto sull’esser-gettato, per la ripetizione
operata dello Zukunft del possibile ripetibile dell’esser-stato. Possibilità che nel
fatto si copre, allorquando il futuro oblia la sua origine. È così, con l’Heidegger
di Sein und Zeit, è concluso il cammino dall’ontologico all’ontico. Nella
Vorselung del ’27 non c’è nulla di più per quello che riguarda la
9
Il secondo Heidegger lascia aperta proprio questa domanda, è la sua domanda fondamentale,
che ha risposta fin da Sein und Zeit. C’è quindi da capovolgere il senso, la direzione del lavoro
heideggeriano ed anticipare la Kehre. Non c’è distinzione tra ontologia ed analitica esistenziale,
ma la prima trova verità solo nella seconda e la seconda ha verità solo in quanto filtrata e
dilatata dalla prima (Caracciolo). Nel circolo Daseinsanalyse-Seinsgeschichte la prima è
“fondamento” della seconda, e la seconda costituisce la via d’accesso alla prima.
8

Daseinsanalyse. La vorselung, essendo intenzionalmente volta a definire


l’orizzonte trascendentale della comprensione dell’essere, la Temporalität
appunto, non prende in esame l’alterità del nulla che è alla radice del Dasein, e
cioè la Gewesenheit nel suo profondo aspetto e significato10.

Tornando ad Hegel, dobbiamo anche con lui ritornare dall’ontologico all’ontico.


L’identità-differenza di soggetto ed oggettività, scopo e relazione, è definita,
nella chiusa della Sezione dell’Oggettività, “idea”. Quale è il luogo d’origine
dell’idea, ossia del concetto realizzantesi nell’oggettività esteriore? “la
sostanza è già l’essenza reale, ossia l’essenza in quanto è unita all’essere ed è
entrata nella realtà. Perciò il concetto ha la sua sostanza per sua
presupposizione immediata; quella è in sé ciò che il concetto è come
manifestato. Il movimento dialettico della sostanza attraverso la causalità e
l’azione reciproca è quindi l’immediata genesi del concetto, per la quale viene
esplicato nel suo divenire”11. Il concetto realizzato o “idea”, in quanto scopo, è
in forma eminente movimento, progetto, ek-stasi: in termini temporali,
Zukunft. Ovviamente non ciò che è ancora da venire – l’idea sì scopo, ma non
soggettivo, bensì compiuto -, ma ciò per cui ogni a-venire è possibile. Se vien
meno il carattere estatico dell’idea, il concetto cade a morta oggettività e
meccanicismo. Ma come è definita l’essenza che è la genesi del concetto e
dell’idea? “La lingua tedesca ha conservato l’essenza (wesen) nel tempo
passato, gewesen, del verbo essere, in quanto l’essenza è l’essere che è
passato, ma passato zeitlos, senza tempo”12. Gadamer ha scorto nel wesen
hegeliano l’Anwesen heideggeriano. Ma più che all’Anwesen ci rimanda alla
Gewesenheit. Infatti, se l’essenza è la genesi del concetto, e il concetto in
quanto scopo realizzato ha come tratto fondamentale l’estaticità dello Zukunft
– allora non è improprio scorgere nel circolo essenza-concetto, o essenza-idea,
il medesimo che il circolo della Zeitlichkeit, il rapporto cioè Zukunft-

10
Per questo c’è una essenziale compiutezza in Sein und Zeit, anche contro lo stesso
Heidegger. Chiedersi nell’ultimo paragrafo se l’ontologia si lasci fondare ontologicamente,
oppure esiga un fondamento ontico, e in tal caso quel ente dovrebbe assumersi la funzione del
fondare –significa perdere di vista proprio il rapporto fondamentale nulla-esserci-esserci-nulla,
per il quale ogni fondazione si dà. Il problema metafisico del fondamento è superato proprio dal
riconoscimento della radicale nullità dell’esserci, della nullità che é alle radici dell’esserci, il cui
essere, la Sorge, è definito: das nichtige Grundsein einer Nichtigkeit. La domanda poi “perché
l’essere viene innanzitutto concepito a partire dalla semplice presenza e non dall’utilizzabile
che tuttavia c’è più vicino?” ha avuto risposta nel §13, nella trattazione del Verfallen? Nella
Vorlesung del ’27, dovendo spiegare il coprimento dei momenti strutturali specifici della
Weltzeit, epperò la riduzione dell’essente e dell’essere medesimo a semplice-presenza e dell’io
stesso a cosa, sostanza, soggetto proprio al Verfallen rinvia. Infine, alla domanda conclusiva “il
tempo stesso si rivela come l’orizzonte dell’essere?” si dovrebbe soltanto leggere i capp. IV e VI
della II Sez. Nello stesso tempo bisogna individuare che nel tempo, nel tempo della
Gewesenheit, una dimensione ancora più profonda del tempo che funge da orizzonte
trascendentale della comprensione dell’essere.
11

12
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Gewesenheit, Gewesenheit-Zukunft. Ma manca il passaggio dal concetto


all’essenza? “Ma il … divenire (del concetto) ha, come dappertutto il divenire, il
significato di essere la riflessione di quello che passa nel suo fondamento, e
che quello che da principio sembra un altro in cui il primo è oltrepassato,
determina la verità di questo”13. Sorge l’idea dall’essenza, ma nel sorgere
dell’idea tramonta – e pare un tramonto definitivo – l’essenza. L’essenza è
origine dell’idea sol perché è in sé l’idea – nel punto in cui l’Ansichsein si
traduce in Gesetztsein, in esser-posto, in esser-manifesto, l’essenza, l’in sé,
non è più, è svanita. E tuttavia l’idea assoluta è definita da Hegel die Rückkehr
zum Leben: alla vita, ma non alla vita nella sua immediatezza. Seppur
l’immediatezza vitale è tolta nell’idea – ma questo togliere è un togliere
definitivo? Davvero svanisce l’essenza nel concetto? Il concetto è il fondamento
dell’essenza in quanto verità dell’essenza – in quanto è ciò che rende ed in cui
si rende manifesta l’essenza. Come tale il concetto ha bisogno dell’essenza per
essere. Dell’essenza come l’altro, come il non-manifesto. Ove questa vien
meno il concetto stesso nel suo carattere estatico vien meno. Così come è
apparente il primato della Zukunft (perché in quel primato si cela il Vorrang
della Gewesenheit) non è definitivo il tramonto dell’essenza nel concetto,
nell’idea. L’idea assoluta non è il possesso pieno e completo della struttura
ontologica del reale;l’assolutezza dell’idea assoluta non è l’esplicitezza totale
ed ultima del fondo del reale, bensì la consapevolezza, questa sì assoluta,
dell’infinito movimento che s’attua nel circolo essenza-concetto, concetto-
essenza. Movimento che è in sé negazione, perché nel concetto l’essenza è
negata. Nella prospettiva del Wesen, significa che l’essenza nel darsi, nel dare
origine al concetto, ossia nel manifestarsi, si ritrae. La verità dell’essenza è la
negazione dell’essenza. In Hegel l’identità non è mai esclusiva della differenza;
solo perciò è unità negativa, ovvero negazione della negazione. Come in
Heidegger la Gewesenheit così in Hegel il Wesen resta sempre di là, oltre.
“L’andare innanzi è un tornare indietro nel fondamento, all’originario, al
vero…”14. Anche per Hegel può dirsi: Herkunft bleibt stets Zukunft. Ciò non
stride con la cattiva infinità criticata da Hegel? Ma quella criticata è il
movimento che non giunge mai a possedersi, a tenere in sé il proprio fine; non
certo la critica all’infinità del movimento che si possiede in sé, secondo
l’immagine del circolo.

Medesimezza tra Oggettività e Weltzeit: il tempo del mondo, la presenza


ontologica sorge dall’incontro attimale di Gewesenheit e Zukunft. Se poi, il
rapporto essenza-concetto è un circolo, l’oggettività nasce appunto
dall’incontro tra il passato senza tempo dell’essenza ed il futuro esteticamente
13
Non è la prova del soggettivismo hegeliano?
14
10

aperto del concetto. Anche in Hegel c’è il ritorno all’ontico dall’ontologico. Sia
in Hegel sia in Heidegger è presente la concezione circolare del tempo
originario ma Hegel ha di mira l’equilibrio nell’incontro tra Wesen e Gewesen e
telos o Zukunft e volge la sua attenzione in modo preminente sulla presenza,
sulla parousia dell’Assoluto; mentre Heidegger si rivolge all’origine, alla
Gewesenheit, alla nullità del nulla. È diverso anche il loro rivolgersi al passato:
Hegel vuole dominare col pensiero ciò che si è manifestato nell’orizzonte della
presenza; Heidegger con l’intento di penetrare col pensiero oltre la superficie
della presenza, per portare alla vista la radice nascosta e obliata. (*)

LA CRISI DEL SOGGETTO NELLA EXISTENZPHILOSOPHIE DEL PRIMO HEIDEGGER

Kehre frattura o svolta necessaria? La linea di svolgimento é interpretata come


movimento che dalla Daseinsanalyse conduce alla Seinsgeschichte, alla
meditazione, cioè, sulla destinalità storica dell’essere. Per Vattimo, tale
movimento altro non è che l’inclusione nelle diverse ‘epoche’ della storia del
mondo del progetto gettato dell’esserci, progetto nella sua essenza storico. La
Seinsgeschichte non è una relativistica successione di epoche, né la storicità
dell’esserci si lascia risolvere in questo storicismo relativistico. Anzi, proprio la
radicale storicità dell’esserci spiegata della Daseinsanalyse consente come di
criticare il relativismo storicistico così di spiegare l’epoca quale evento del
destino. Il riconoscimento della gettatezza dell’esserci conduce a vedere che
l’epoca in cui e con cui esso è gettato è solo un evento del destino dell’essere.
Se è dalla gettatezza che possiamo intendere il carattere destinale e storico
dell’epoca allora anche la caratterizzazione essenzialistica dell’esistenza deve
avere un significato che non si risolve interamente nell’eventualità dell’essere
poiché proprio questa eventualità essa esplica e fa comprendere. L’analitica
esistenziale allora non è solo all’inizio della Seinsfrage, ma anche la termine.
Seppur inquinata da residui soggettivistici moderni, si inserisce nella crisi del
soggetto contemporanea. Il soggetto moderno da Cartesio in poi coincide con
l’autocoscienza, conoscenza certa di sé contrapposta alla conoscenza dell’altro
da sé, del ‘mondo’ esterno. Soggetto dice anche conseguentemente
fondamento assoluto del reale, ritornando con ciò all’antico, hpokeimenon.
Soggetto dice singolarità, singolo, esistenza determinata e cioè finita, limitata
nel tempo e nello spazio. Il soggetto non è più concepito per come fondamento
11

ma fondato, non più come assoluta certezza ma come dubbio radicale, come
individuale e nel tempo seppur punto di incontro di essere e nulla, finito ed
infinito, eternità e tempo. Una finitezza che non è più origine ma luogo di
manifestazione del valore, rivendicando una centralità della persona. In Sein
und Zeit tutto ciò è negato come dato originario ed ultimo ed esplicato nella
loro origine ontologica e collocati nella dimensione loro propria.

La critica all’autocertezza cartesiana in quanto datità primaria della


conoscenza. Questa auto evidenza primaria dell’io non si riduce alla critica
fenomenologica che il se-stesso (Selbst) è per lo più assorbito nel Si-stesso
(Man-selbst), ma finché non si giunge ad una determinazione ontologica di
questo io, l’autoevidenza stessa è una forma del perdersi del se-stesso, perdita
in cui incorre l’esserci nel suo rapportarsi al mondo. Un modo disperdersi dell’io
è proprio l’astrazione che dell’io si fa nell’ontologia cartesiana. Questa non
lascia che l’essere dell’ente si disveli da sé, ma impone all’ente impone un idea
dell’essere che non legittima, un idea tratta dall’ente medesimo, anzi dall’ente
intramondano considerato unico ente. Questa idea di essere è quella
presupposta dalla costante semplice-presenza, implicita nel concetto di
sostanzialità e per questo non permette di scorgere l’essere dell’esserci
considerato anch’esso semplice-presenza. L’io ontologicamente non è un
primo, ma derivato dal fenomeno dell’essere-nel-mondo, come del resto
l’opposizione con l’oggetto (il soggetto che da sé deve guadagnarsi il mondo).
Infatti, prima di ogni presupposizione sull’esserci c’è l’a-priori della costituzione
ontologica nel modo d’essere della cura. Ente e mondo non sono diversi ma
sono il medesimo e a partire da ciò può cogliersi la loro differenza.
Medesimezza che coinvolge anche il rapporto esserci-ente. L’esserci trascende,
oltrepassa sé in virtù del mondo e oltrepassa, trascende il mondo in virtù di sé.
C’è rapporto di significazione: il mondo è la significatività dell’esserci. Il mondo
come apertura e significatività, è l’es-plicazione dell’esserci in quanto senso. La
trascendenza determina l’essere dell’esserci in quanto in quanto è l’aprirsi
dell’esserci. Esserci è mondo, nn è possibile nessuna conoscenza di sé che sia
altra rispetto alla conoscenza del mondo. L’esserci è il ciò in vista di cui si
costituisce la significatività ed essendo senso del mondo esso è sempre aperto,
esplicato nella significatività, nei rapporti mondani del Besorgen. Rapporto
circolare, dall’esserci del mondo al mondo dell’esserci, che è esaurito in una
significatività ma che va via via diversamente significandosi. Il mondo
ontologicamente inteso poi, è l’essente stesso in totalità: l’esserci è il senso
stesso che nella totalità dei rimandi si dis-piega. Per questo l’ente è l’esser-
aperto, il significato. Per questo la significatività (il mondo) è esistenziale e
categoriale in quanto significarsi dell’esser-significato. L’esser-se-stesso è
costituito quindi dalla trascendenza in quanto oltrepassandosi l’esserci giunge
sempre a sé in quanto sé stesso, quell’essente che sempre é. Quando si perde
12

la differenza tra ente ed esserci, essi divengono il medesimo e si instaura una


semplice uguaglianza. Così Io=io, e io che pone non-io secondo il principio della
fondazione. Tale riduzione dell’esserci all’ente apre la possibilità della perdita
nel Si: la soggettività è il riconoscersi nell’autonegazione dell’anonimo. La
prima ecidenza è l’io come la prima conoscenza che l’esserci ha di sé è il Si
(intesa anche come dimensione storica).

Nel Nietzsche Cartesio è considerato svolta e compimento rispetto alla


tradizione: non più che cosa è l’essente ma quale metodo conduce
all’incondizionata certezza, e compimento in tale certezza della ortotes
platonica: è nel vedere dell’uomo che c’è il luogo della manifestazione della
verità e non più nell’essere dell’ente. Il cogito non ha il carattere immediato
dell’autoevidenza in quanto mediato da una lunga catena di inferenze della
tradizione. Ma in Sein und zeit ciò è mostrato attraverso una analisi
ermeneutica-genealogica, nel Nietzsche il metodo è storico. Come è storica la
dimensione ontologica-esistenziale della quotidianità media, che pure non è
una dimensione dell’esistenza presente in una sola epoca, appartiene alla
dimensione ontologica anche ciò che storicamente è analizzato e posto in luce.
In qualsiasi storica determinatezza dell’esserci c’è sempre una dimensione
essenziale. Carattere genealogico della Geschichte distinta dalla Historie. La
verità come adeguazione ed esattezza, non è sorta con Platone, bensì con
Platone si è imposta come l’aspetto dominante della verità, sino a far cadere
nell’oblio la verità-disvelamento. Inoltre nel Nietzsche, il cogito in quanto
rappresentazione riassume in sé i caratteri dell’essere: la rappresentità,
l’esser-rappresentato. Il cogito è in senso eminente soggetto i quanto il
rappresentato ed il rappresentare in esso accoglie e ritorna. Là dove il mondo è
l’esser-rappresentato, il rappresentante è il senso del rappresentare e
del’esser-rappresentato. La verità dell’esserci traluce pur nel cogito. In Cartesio
in primo piano c’è la verità del significato (dell’ente) e la verità come significato
(come ente essa medesima) ma nello stesso tempo estremizza la verità del
significato sino alla riduzione dello stesso senso (esserci) a significato (ente).
Ma tale eliminazione è solo oblio, che può celare ma non sopprimere e
superabile ermeneuticamente (porre in primo piano ciò che traluce nell’oblio).
La filosofia successiva è destinata all’apparire di ciò che resta celato in
Cartesio. Ma se la Seinsgeschichte implica la Daseinsanalyse, coma la storia la
genealogia, allora viceversa. In Essere e tempo la Seinsfrage è portata sul
terreno della quotidianità media, il mondo quotidiano del Besorgen. Si va dalla
superficie, dalla penuria d’essere al livello più profondo. Nel Nietzsche, la
nostra epoca è quella maggiormente in penuria d’essere (compimento del
nichilismo), anche in E&T l’analitica esistenziale è storicamente condizionata.
La quotidianità media è l’inautentica storicità dell’esserci (anche se il più vicino
orizzonte dell’analitica esistenziale). Anche la distruzione della storia
13

dell’ontologia ha un senso storico. Heidegger già prima di E&T aveva compiuto


l’itinerario della Seinsgeschichte, compiuto il superamento della metafisica.
Quindi Daseinsanalyse e Seinsgeschichte si richiamano l’un l’altra, perché la
prima, in quanto ricerca genealogica, rende possibile la Geschichte e lo Schritt
zurück, la storia dell’oblio dell’essere e il “passo indietro” verso l’origine
‘storica’ di questo oblio; e la seconda, in quanto analisi ‘storica’ apre alla
comprensione della storicità del luogo ontologico entro cui viene portata
innanzitutto la domanda sull’essere propria della Daseinsanalyse, e quindi alla
comprensione della storicità della Daseinsanalyse nel suo complesso.

Obiezioni: essendo l’esserci il senso della significatività esso rimane comunque


subjectum e tale pensiero rimane nell’ambito del pensiero fondante; l’esserci
come senso del mondo lo catapulta nell’ambito trascendentale, alla condizione
di possibilità dell’oggettività degli oggetti in contrasto con l’asserita finitezza e
singolarità dell’esserci. Alla prima: dalla medesimezza (non eguaglianza)
esserci-mondo discende che la sfera dell’essere e la sfera dell’esserci
coincidono. Analitica esistenziale = Seinsfrage. Se c’è differenza è in
quest’ultima. È insostenibile che il primo Heidegger abbia posto il problema
dell’essere a partire dall’ente (seppur ente privilegiato, a cui appartiene la
comprensione dell’essere e quindi la domanda, sull’essere) ed il secondo
direttamente intorno all’essere: c’è medesimezza tra Sein e Da-Sein. Ciò non
esclude, anzi mette in rilievo l’aspetto ontico dell’esserci poiché il metodo
genealogico va dall’ontico all’ontologico, dal reale al possibile per legittimare
l’ontico, il reale. Non è sostenibile che l’Heidegger del ’27-’29 impostando la
Seinsfrage a partire dalla Daseinsanalyse è ancora nelle strettoie del
soggettivismo, poiché bisogna prestare orecchio alla Kehre di E&T quando
l’analitica da preliminare e preparatoria alla domanda intorno all’essere
diventa la domanda stessa. Nella Daseinsanalyse viene in tema non solo
l’essere che è mondo, significatività, orizzonte di comprensione dell’ente –
l’essere cioè che coincide di tutto punto con l’esserci, in quanto è l’aprentesi
apertura, o il significarsi del senso – bensì anche l’essere che è l’assoluto altro
dell’esserci, il differente nella sua differenza: il nulla. Tanto le strutture
esistenziali messe in luce della Daseinsanalyse sono “ontologiche”, sono
strutture dell’essere, che in esse si disvela pur l’essere che con l’esserci non
solo non coincide, ma mai non può coincidere, e la cui non coincidenza è al
fondo come del senso così della significatività, come dell’esserci così
dell’essere che è mondo. L’esserci in quanto senso della significatività è
fondamento come è fondamento l’essere di cui si parla in Der Satz vom Grund:
“Sein und Grund: das Selbe”, Ma dopo ciò segue “Sein: der Ab-Grund” ed in
E&T all’affermazione che l’esserci è fondamento (Grund), segue
immediatamente l’altra che “essendo fondamento (l’esserci) è , come tale, una
nullità di se stesso”, precisando “nullità non significa affatto non-essere-
14

semplice-presenza, o non-sussistere, indica per contro un non che costituisce


questo essere dell’esserci, il suo esser-gettato”. Comprendere come l’esserci
sia, nel suo stesso esser fondamento, nulla, significa comprendere come
Heidegger abbia compiuto nella Daseinsanalyse sul piano genealogico,
l’effettivo superamento della metafisica, ovvero come abbia superato il
pensiero fondante non semplicemente negandolo, ma spiegandolo nella sua
consistenza ontologica, con l’individuare il suo specifico livello operativo, e così
delimitandolo, sottraendolo all’assolutizzazione che è tipica della metafisica.

Il Dasein è quindi fondamento ed assenza di fondamento, ed il suo essere


(Sorge) è attraversato dalla nullità: “La cura – l’essere dell’esserci – in quanto
progetto gettato significa: il (nullo) fondamento di una nullità”. L’essere
progetto gettato, è di fondamentale importanza.

Una interpretazione errata è concepire la Nichtigkeit dell’esserci in quanto


l’esserci non è, ma ek-siste, ossia in quanto non è semplice-presenza o non è
ente, è ni-ente. Essendo, in quanto ek-sistenza, niente, l’esserci ha bisogno di
fondarsi, di prender-base nell’ente; di riscattare la nullità della sua origine
nell’essere dell’ente che esso stesso fonda. Riscatto mai totale per questo
rimane nullo: abgrundig. Ma è nullo anche, ciò che l’esserci fonda e la nullità
dell’esserci in quanto fondamento è intesa solo a partire dall’essere (come
mancanza, per esempio) mentre la novità di Heidegger è concepire l’essere a
partire dal nulla.

Una seconda interpretazione errata è vedere che l’esserci, in quanto ek-


sistenza decide e non può non scegliere. La decisione, decidendo, è sempre
negativa di qualcosa (a favore di altro): l’essere, la possibilità realizzata, è la
negatività del suo altro. In questo senso l’esserci è (nullo) fondamento di una
nullità. Ma tale interpretazione della decisione coglie solo la superficie della
nullità di ciò che è fondato dall’esserci – coglie, appunto, la negatività sua (il
suo negar l’altro), non la sua nullità, quella nullità che stringe l’esserci come
poter-essere all’esserci come gettato.

L’esserci è fondamento in quanto poter-essere e progetto, è fondamento in


quanto apre e significa. Significa il mondo, non l’ente. Fonda l’ente perché
significa i rapporti ed i rimandi che costituiscono dell’essere dell’ente. L’Esserci
come fondamento è la struttura finalizzata del mondo, dotata di senso
definisce la mondità del mondo. Dasein poi = Wesen, l’esserci del mondo
moderno è il disvelamento provocante: la negatività della decisione dell’esserci
riguarda il senso stesso della nostra epoca. L’esserci moderno decide
escludendo ogni altra forma di verità dell’esserci mito-poetico. Il maggior
pericolo, quindi, che è insito nella negatività dell’esserci è l’oblio della propria
finitezza e storicità. Per superare tale pericolo, l’esserci deve cogliersi non solo
15

nella sua negatività, ma anche nella sua nullità; cogliersi nella sua negatività a
partire dalla sua nullità; ovvero nell’unità del suo essere progetto o
fondamento gettato. L’esserci non può mai rendersi padrone del proprio
fondamento, ma, esistendo, ha solo da assumerlo. La nullità di ciò di cui
l’esserci è fondamento sta in ciò, che il “mondo fondato”, l’orizzonte di
significatività al cui interno vale, ossia vige e funge il principio metafisico della
fondazione, che questo mondo non è staccato dalla nullità donde proviene, anzi
quella nullità contiene, mantiene in sé. Come?

L’esserci in quanto progetto, o poter-essere, o fondante-significante, non può


che ripiegarsi sulla propria gettatezza, sulla abissalità o nullità del suo esser
fondamento. L’esserci è gettato in possibilità (l’esserci è gettato fondamento in
quanto si progetta sulle possibilità in cui è gettato). L’esser-nullo della
gettatezza è l’esser-possibile. Nullità é possibilità. Il progetto, il poter-essere è
nullo in quanto l’esserci come fondante-significante non può che assumere la
nullità-possibilità del proprio esser-fondamento. Ma che significa assumere la
nullità-possibilità del proprio esser-fondamento? L’esserci in quanto progetto è
decisione, negatività; se, insieme, è ri-flessione e proprio in quanto progetto,
sulla sua gettatezza, questo indica che esso esercita la negatività
primariamente, fondamentalmente ed essenzialmente non sulle possibilità che
gli sono dinnanzi, scegliendole alcune e respingendole altre, bensì sulla nullità-
possibilità della gettatezza, sull’esser-possibile, che quelle stesse possibilità
che sono aperte dinnanzi all’essere rende possibili. Per essere il Dasein deve
negare proprio la propria origine: omnis determinatio est negatio. L’esserci
deciso e determinato nega il possibile per il reale, il nulla per l’essere. Ma il
nulla negato, non per questo è soppresso. Che l’esserci no possa mai divenir
padrone del proprio fondamento, significa anche questo, che il nulla negato
accompagna e sopravanza l’essere stesso (e l’esserci) che risulta dalla sua
negatività. La nullità resta al fondo dell’essere progettato e dell’esserci deciso.
Per l’esserci inautentico effettività e gettatezza coincidono: il livellamento del
senso sul significato. Ma per le forme autentiche dell’esistere tale
medesimezza (di Geworfenheit e Faktizität) essa è per la loro differenza, in
virtù in vista della loro differenza. L’autentico ek-sistere, infatti, trascende le
possibilità che sono già dischiuse e decise nel mondo dato, in vista di altre
possibilità, in vista di ciò che è da decidere dentro quel medesimo mondo. (*)15.
L’origine non solo accompagna ma sopravanza anche l’esserci, e con l’esserci il
mondo deciso. La gettatezza dell’esserci consiste nell’esser-possibile: esso è il
fondamento, la base, il fondo di ogni progetto, di ogni poter essere, di ogni
“mondo”. Il fondamento ed insieme l’abisso, l’Ab-Grund, il fondo senza fondo.

15
E&T p. 180
16

La Daseinsanalyse esaurisce lo spazio della Seinsfrage: anche l’esser-possibile,


il nulla, il radicalmente altro dall’esserci è posto in tema nell’analitica
esistenziale perché è proprio per esso che il fondamento si rivela infondato e la
fondazione trova la sua delimitazione. Il pensiero ermeneutico non saltala
metafisica, ma si appropria della sua essenza, e cioè retrocede verso il fondo.
Essere ed esserci sono limitati non solo quindi in quanto condizionati
storicamente, ma limitati e finiti perché nella loro più intima essenza sono
costituiti dalla nullità, perché tutto ciò che già sono, e tutto ciò che potranno
mai essere effettivamente contiene in sé – e cioè: custodisce e cela insieme –
l’infinito altro di cui non possono e mai non potranno insignorirsi. Il
trascendentalismo è solo un primo passo dell’ermeneutica della
Daseinsanalyse: una cosa infatti è l’essere come orizzonte trascendentale di
comprensione dell’ente, dall’essere che ne è all’origine; significa non
distinguere il poter-essere (Seinkönnen) dall’esser-possibile (Möglichsein),
l’Entwurf (il progetto) dalla Geworfenheit (la gettatezza), la negatività dalla
nullità, e di rimando, non comprendere più la nullità della negatività. Col
radicare l’essere nel nulla Heidegger supera la logica della fondazione – la
supera non negandola ma delimitando l’ambito della sua applicazione –
mettendo in crisi il subjectum: ciò in vista di cui si struttura un epoca mette le
sue radici nel nulla, nell’assenza di senso, nel vuoto della possibilità pura.
L’angoscia svela l’insignificatività del mondo e lo getta nella spaesatezza;
l’angoscia toglie senso al mondo rendendolo così opprimente in quanto tale,
nella totalità dei suoi rimandi, mostrando questi quindi non-significanti in
quanto poggianti sul nulla. Il mondo è l’esser-significato: l’ente, il significato, è
la nostra interpretazione di esso.

Alla radice del senso v’è il non-senso, la storia non nasce da valori. La epoche
prima dello storico rapporto determinatesi tra di esse, sono tali solo se riescono
ad instaurare primariamente il rapporto con la propria origine, con il nulla, con
il vuoto del puro possibile che ad ogni possibilità storica apre. La gettatezza
non è fuori dall’effettività ma non si identifica con essa: l’esistenza storica,
l’esserci di un epoca, non si determina che nel rapporto al nulla, ma questo
rapporto non può non passare attraverso l’epoca storica in cui faktisch ci si
trova e, quindi, attraverso le altre che l’hanno preceduta. Il rapporto tra le
epoche però non è originario, ma derivato perché quello originale ed originante
è con il nulla. La chiamata viene dal nulla, dal Ci stato-gettato, dalla gettatezza
quale si rivela nello spaesamento, che dal punto di vista ontologico-esistenziale
è il fenomeno originario. La Daseinsanalyse offre la spiegazione genealogica di
ciò che la Seinsgeschichte si limita ad esporre e cioè che: “*”16

16
Der Satz vom Grund (Principio di Ragione), cit., p. 154
17

Ma la logica della fondazione è superata? Abbiamo fondato la possibilità del


possibile nel nulla ma se essa viene determinata nel poter-essere dell’esserci,
non rimane un residuo di teleologismo umanistico? No, se si insiste sulla nullità
del possibile. “L’esserci è la possibilità di esser libero per il proprio (per
l’autentico) poter-essere”17: ciò definisce l’esser-possibile, la possibilità pura, il
nulla, ma questo così come è quando è già catturato nella sfera del poter-
essere, del progetto: così come è quando viene negato dal senso dell’esserci
storico. Prima di essere incluso nella sfera del senso – là dove il nulla, pur
restando altro dal senso, è tuttavia per il senso, in vista del senso - prima di
questa inclusione il nulla tanto poco è per il senso che può essere anche la sua
negazione. Il nulla è anche oltre il cerchio della luce meridiana del senso. Il
tranquillante sentirsi a casa propria è la fuga dalla nullità del nulla: esso infatti
pone fine ad ogni progetto, ad ogni senso, ad ogni mondo e lo si mette da
parte semplicemente come ciò che non é. È qui che la morte, l’essere-per-la-
morte gioca il suo ruolo. La morte in quanto possibilità dell’impossibilità
dell’esistenza in generale, è la più nullificante ed angosciante rivelazione del
nulla in sé (non quello che non ha rapporto con l’essere, perché inconcepibile,
ma del nulla come è nella sua indifferenza al rapporto). Come tale non è più
possibilità che impossibilità – è possibilità dell’impossibilità. È essere-per-la-
morte, la decisione anticipatrice che converte questa neutralità del nulla,
questa possibilità dell’impossibilità in possibilità possibilitante. L’esser-possibile
è il nulla già preso nella sfera dell’esserci: è il nulla ‘negato’, o meglio, il nulla
cui l’esserci, per essere, già oppone la sua negazione. La positività del nulla è
in ciò che la sua attrazione nullificante stimola ed impone all’esserci di
realizzare sempre più autenticamente se stesso. (*). L’ombra di teleologismo
sul nulla scompare poiché quell’ombra non è del nulla ma dell’esserci che
necessariamente la proietta sul nulla: è l’ombra appunto, che accompagna la
luce, la luce meridiana del senso.

Ma la caratterizzazione dell’esserci come significatività, come senso del


mondo, non stride con l’esser-sempre-mio di cui parla E&T? La riduzione
dell’esserci a senso, non singolare, non personale, a Wesen storico di un’epoca
non è un mischiare primo e secondo Heidegger? (*)18. Anche l’esserci
inautentico è sempre mio, anzi, proprio per l’essere-sempre-mio che il Dasein
può essere nel modo della inautenticità o dell’autentico. L’esserci inautentico è
quell’esserci che ha perso se-stesso, nel si-stesso e anche di esso è predicabile
l’esser-sempre-mio. Anche l’esistenza in autentica dell’esserci impersonale è
pur sempre un’esistenza di singolo, di persona: solo la persona può perdere la
propria personalità, solo il se-stesso può perdersi nel si-stesso. L’esser-sempre-
mio è predicabile dell’esistere inautentico perché anche nell’esistenza anonima
17
E&T
18
18

sono singoli, sono persone. Ma in che modo le persone sono nel Si? Sono
spersonalizzati, pallide immagini di individui: l’esser-sempre-mio non può
identificarsi con la personalità poiché l’inautentico allora sarebbe
ontologicamente inferiore, cosa impossibile. Che cosa è quindi l’essere-sempre-
mio? È definito sia l’essere dell’esserci sempre mio e l’esserci sempre mio: è
così esplicato il doppio rapporto dell’essere all’esserci e dell’esserci all’essere.
L’essere è per un verso ciò a cui l’esserci si rapporta, per l’altro ciò per cui è
possibile il rapportarsi stesso dell’esserci all’essere. Ora, l’essere è sempre mio
sia come ciò che determina il rapporto, sia come ciò che è termine del
rapporto. Sempre mio, come ciò che mi costituisce: sempre l’essere è origine e
termine del mio esistere. E quando è termine, quando è l’essere progettato,
l’essere del mio poter-essere, non si distingue per nulla dall’esserci stesso
L’esserci come poter-essere è l’esserci medesimo, per cui posso dire
dell’esserci che è sempre mio. L’essere-sempre-mio predicato dell’essere (non
entra in contraddizione) rinvia all’essere che determina e spiega il rapporto
dell’esserci all’essere; predicata dell’esserci rinvia all’essere che è termine del
rapporto (prima comparsa della distinzione Geworfenheit Entwurf). Il sempre-
mio è il senso del progetto mondano non perché sia “io” a costituirlo ma
perché sono io costituito da esso e proprio come individuo. Particolarmente
questo, quando il Se è disperso nel Si perché il mio è tale perché sono suo,
perché esso è me. La soggettività vuota moderna è solo la condizione della
oggettività degli oggetti , il senso del mondo della tecnica. È il modo d’esserci
degli uomini della tecnica che parla sempre in prima persona mentre si
appartiene ad un magma indifferenziato di una soggettività che si ripete in
molteplici esemplari tutti uguali. Ma così solo in superfice. L’esser-sempre-mio
è a fondamento sia dell’esserci inautentico ed autentico. L’esserci è autentico
nella decisione anticipatrice. Nell’anticipazione l’esserci, in quanto poter-
essere, si ri-flette nel suo esser-possibile, e cioè si pone innanzi alla nullità che
lo costituisce. Qui si ritrova l’esser-sempre-mio dell’essere (dell’esser-possibile,
del nulla) e l’esser-sempre-mio dell’esserci (del poter-essere, del progetto),
ritroviamo insomma il rapporto in circolo che è proprio della struttura
dell’esserci, il rapporto di identità-differenza (che poi è il rapporto stesso della
temporalità), per cui l’esserci è quando nega il nulla, quando nega la pura
identità per la differenza, ma questa differenza l’esserci non stacca
dall’identità, anzi ad essa sempre la riconduce, perché è per l’identità che la
differenza è differenza. L’esistenza autentica si riconosce proprio in questa
contrarietà all’identico; è autentico l’esserci dif-ferente (non quello che si
appropria il Wesen dell’epoca in cui fattivamente si trova), è autentico l’esserci
che si pone come senso di nuovi rapporti, di nuove relazioni, come senso che si
esplica in un nuovo mondo. La singolarità dell’autentico, la novità della
differenza dà prova di sé soltanto se riesce ad es-plicarsi in una comunitaria
19

rete di significati mondani, soltanto se riesce ad affermarsi come Wesen di


un’epoca. Un senso che non si significa rendendosi comune è un senso
insignificante.Un esserci singolo, è un esserci incapace di differenza, Perché
differenziarsi è parteciparsi: un singolo tale non è, non esiste. L’angoscia porta
sì l’esserci al suo solus ipse, ma così facendo lo riposrta davantio a se stesso e
nel mondo, in quanto essere-nel-mondo. L’origine della significatività è nella
nullità dell’insignificanza, e l’esserci aprendosi al mondo si apre al Mit-dasain.
Ma nell’affermarsi della differenza contro le identità del nulla e del Si già si
mostra la ragione del perdersi della differenza. L’esserci tende a disperdersi in
ciò in cui si effonde irradiandosi, costituendosi come con-esserci, come mondo
comune, come Wesen intersoggettivo del mondo. Tanto più il Dasein reiste
all’annichilante attrazione del nulla tanto è più forte la rete dei significati che
come senso ha saputo tessere, tanto maggiore è la tendenza all’oblio di ciò che
ha dovuto negare perché un mondo fosse. La forza dell’esserci (il suo esplicarsi
nel mondo) è il principio stesso della sua debolezza. La forza del senso (il suo
esplicarsi nel con-senso della significatività) è il principio del suo perdersi: più
si espande, e solo espandendosi è, più si livella arrivandosi a cogliere come
pure ente tra enti, un soggetto che deve dimostrare la realtà del mondo. La
deiezione è il destino dell’esserci – il destino di ogni epoca della storia stessa. Il
destino dell’essere dunque. “ogni epoca della storia del mondo è un epoca
dell’errare”

L’ANTIUMANESIMO POSITIVO DI HEIDEGGER

L’antiumanesimo ed il problema della tecnica definiscono in Heidegger un


medesimo e nello stesso tempo un doppio problema. Secondo un primo in
questione non è la tecnica, né la scienze né l’uomo dell’umanesimo bensì
l’essenza, il Wesen che sorregge la scienza la tecnica e l’uomo-subjectum
dell’umanesimo. Secondo l’altro in questione solo la tecnica e la scienza stessa
ed insieme l’uomo della Neuzeit. Si palesa qui la distinzione tra ontologico ed
ontico per una ragione di carattere storico (geschichtlich) che giustifica il
Denkweg dell’ermeneutica ontologica.

Sul versante ontico, l’analisi della Neuzeit appare come una fenomenologia del
negativo. La critica che egli svolge è una critica a tutto campo: riduzione del
pensiero a calcolo producente violenza, la profondità dello spirito scaduto a
mero raziocinio, perdita della religiosità, l’arte diventa oggetto dell’esperienza
vissuta dell’uomo perdendo così la sua valenza ontologica-veritativa, un
rapporto con la storia non più originario a causa dello storicismo e della
storiografia, ossia dalla “costante distruzione dell’avvenire e del rapporto
storico con l’avvento del destino”. Ma questa critica non è una semplice critica
20

(lo stesso Heidegger riconosce che “nessuna epoca si lascia cancellare da una
sentenza di condanna. Questa mette solo fuori strada chi la pronuncia”) ma il
riconoscimento di una alterità che già opera, seppur in latenza, un futuro che
seppur misconosciuto, funge già nel presente. Nelle forme calcolanti emerge
così l’incalcolabile., il gigantesco, ciò per cui il calcolabile è tale. Ciò porta ad
un superamento dell’umanesimo. La critica all’epoca dell’immagine del mondo
è la critica all’uomo dell’umanesimo, un epoca che che rende impossibile il
palesarsi del rapporto tra essere ed uomo, perché ritiene di aver in sé la ragion
sufficiente di tutto ciò che accade. Nell’attimo storico epocale dell’affermarsi
della realzione soggetto-oggetto, il soggetto diventa mero oggetto. L’uomo che
dispone e provoca le energie naturali si ritrova lui stesso provocato e disposto.
L’ente non ha più essere ma solo il proprio posto che coincide con il suo esser-
posto. L’uomo anch’esso si ritrova come un “posto”, il chi del porre e del
disporre non è più l’uomo perché anch’esso quando provoca si ritrova
provocato. E tutto ciò solo in vista del provocare e del disporre. Non è né
fondamento ne fine del disporre. Nell’Unwelt della tecnica il provocare è in
vista del provocare: eterno ritorno di Nietzsche. L’ego cogito ancora mantiene
alcune caratteristiche del Dasein (l’essere in grazia di cui ed in vista di cui) ma
l’uomo-Bestand moderno nn più. Eppure proprio nell’estremo abbandono
dell’essere, l’essere si fa presente. Nel mondo calcolante non si può calcolare
la totalità dell’ente in quanto fuori di ogni calcolo: della ragione non si può
addurre ragione, la ragione è un fatto.

Il piano ontologico dell’analisi della Neuzeit è strettamente legato al


superamento della metafisica. Ma perché la meditazione sulla essenza della
tecnica porta al di là dell’umanesimo? Nel mondo della tecnica, l’uomo di fatto
non è al centro dell’universo, non è padrone del Gestell che riunifica ogni porre,
ogni produrre ed ogni provocare. Il Gestell è fundamentum, l’uomo è solo
chiamato e provocato a disporre. Il Gestell è il modo del disvelamento proprio
dell’età moderna – una forma storico-epocale di aletheia e come tale è un a-
priori storico: ciò a partire da cui l’uomo può pensare. È la possibilità
possibilitante dell’esser-uomo dell’uomo moderno. Il Ge-stell definisce l’esserci,
il Da-sein, dell’uomo moderno: Dasein e Welt dicono il medesimo. Infatti nella
Lettera sull’umanesimo entrambi sono definiti: die Lichtung des Seins. La
Lichtung è l’apertura-illuminazione dell’essere, è l’aletheia, disvelamento. Solo
perché è nella verità – nella verità che è propria del suo Dasein storico, epocale
– l’uomo ha la possibilità di pensare il vero, di dire il vero. Ma non è una
semplice affermazione della totale appartenenza dell’uomo all’essere,
escludente una sua autonomia, altrimenti sarebbe la ripetizione dello schema
soggetto-oggetto con l’uomo che gravita attorno al centro dell’essere? “ Se ci
apriamo veramente all’essenza della tecnica, ci troviamo insperatamente presi
in un appello liberatore” e “L’essenza della tecnica, in quanto è un modo
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destinale del disvelamento, è il pericolo”: esiste contrasto? Analizzando il


pericolo, esso è in ciò che il dominio della tecnica, del suo Wesen, può impedire
all’uomo l’accesso ad una più originaria esperienza della verità. Ove domina il
Ge-stell ogni disvelamento è riportato e ridotto alla pro-vocazione dis-ponente.
Non solo il disvelamento provocante dimentica la sua origine destinale, la
poiesis, ma, in questo oblio e per questo oblio, anche copre e disconosce la sua
propria essenza di disvelamento: la verità della tecnica e cioè la tecnica come
aletheia, è obliata. Tutto ciò avviene per il Gestell medesimo: all’origine
dell’oblio dell’essenza della tecnica è l’essenza della tecnica stessa.

Nel donarsi, nell’inviarsi, nel destinarsi, l’essere nel contempo si ritrae: la verità
nel contempo è non-verità, il dis-velamento velamento, il Wesen Gegenwesen.
Come e perché la meditazione sull’essenza della tecnica ci libera? Se è nel
Gestell che va ricondotta l’origine della chiusura, come ci può liberare: è la
consapevole accettazione della irrimediabile necessità dell’oblio? Ma ciò non
spiegherebbe la stessa riflessione sul Gestell. Ma l’estremo pericolo è il credere
nell’effettivo superamento dell’oblio, dell’errare; sta nell’ipotizzare l’avvento
dell’epoca della disvelatezza completa, dello smascheramento definitivo. Esso
è il pericolo estremo che è il Nichtverstehen dell’aletheia. Quando si parla
dell’oltrepassamento della metafisica, si dice “la metafisica oltrepassata non
scompare. Essa ritorna, mutata, e mantiene il suo dominio come permanente
differenza dell’essere rispetto all’ente”. Anche l’oblio dell’essere è doppio: una
cosa é l’oblio, altra è l’oblio dell’oblio; una cosa è l’occultamento altro è
l’occultamento dell’occultamento. Ma cosa principalmente, originariamente, si
occulta nell’occultamento? Nell’ambiguità del gestell è adombrato il mistero di
ogni disvelamento. Oppure nella ascosità, nella Verborgenheit (che come
autentica non-verità è più antica di ogni manifestatività) è il mistero, das
Geheimnis. Ciò che più originariamente si occulta nell’occultamento è la
Verborgenheit. Nella disvelatezza si vela l’originaria ascosità, l’origine di ogni
origine. Il senso vero e proprio della Seinsvergessenheit è questo velamento
dell’ascoso che è per il disvelamento stesso. Il Wesen della verità è Gegen-
wesen, proprio perché la verità in quanto verità è contro la verità originaria. La
verità come tale è negazione, è contrarietà. La verità, cioè l’essere, die
Lichtung des Seins – ovvero ancora l’esserci, il Dasein, epperò il mondo, die
Welt. Das Sein nichtet – als das Sein. L’essere per esser-ci ha da negare il non
della non-essenza originaria, l’Un dell’Un-wesen. Ma nel Gegen del
Gegenwesen, nel contro della contro-essenza, è implicito un andare incontro.
Ciò che ha da essere negato è anche ciò a partire da cui soltanto l’essere, la
verità diviene possibile. Il pericolo è che nellla contrareità della negazione
proprio ciò che si incontra vada dimenticato. Solo allora sorge l’oblio, l’oblio
che è errore. Se l’erramento – il velare del disvelato, che è poi il distacco
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dall’origine che è proprio della negazione – è necessario, l’errore, e cioè l’oblio


dell’origine, è evitabile. Qui, si fonda l’oltrepassamento della metafisica.

Nella negazione è il supremo pericolo, perché dal distacco si origina l’oblio.


Eppure solo riportando il nostro esserci storico nel luogo d’origine della
negazione, della de-cisione è possibile recuperare con il senso del nostro
mondo storico la consapevolezza del suo limite, del suo tepas. L’interrogazione
sulla tecnica porta alla risposta dell’appello, alla risposta all’invito di porci
all’altezza del nostro destino storico che non significa la pura e semplice
custodia della propria essenza destinale. Alla verità come salvaguardia
dell’essere corrisponde il pastore, tale in quanto è insieme luogotenente del
nulla: ciò è possibile solo nella decisione dell’esserci. Riportarsi alla decisione
originale, superando l’oblio che per il suo stesso fungere il Gestell provoca,
implica che con la comprensione della negazione la comprensione di ciò che
viene negato, e cioè della possibilità possibili tante l’essere stesso del negare.
Ma l’esser-possibile è oltre l’autentico poter-essere. Questa ulteriorità del nulla
rispetto l’essere è ciò che nella decisione iniziale si disvela. Comprendere
l’essenza del proprio mondo storico è già fare un passo oltre: “ciò che
attraverso l’esperienza della tecnica del mondo moderno giungiamo a
conoscere del Gestell, in quanto costellazione dell’essere dell’uomo, è un
preludio di ciò che denominiamo Ereignis”19. Andare oltre ma senza nessuna
illusione di conquista definitiva.

La decisione, al fondo, è sempre votata allo scacco. Per quanto ci si interni nel
nostro esser-possibile, nella più propria possibilità,il nostro poter-essere, la
nostra decisione, resta sempre al di qua del possibile e quindi imperfetta ed
incompiuta nella sua adeguatezza. L’essere, l’essere dell’essente è sempre
meno del suo esser-possibile: questo ci dice la differenza. Questo è anche
l’insegnamento di Hegel: la bella armonia della compatta sostanza etica si
spezza nell’operare: nell’operare i dei del giorno si separano da quelli della
notte, legge umana e divina si scontrano. All’origine di ogni possibile metafisica
c’è il desiderio di dimenticare la differenza, lo scacco, la finitezza. Di obliare la
scissone originaria, nella quale e per la quale soltanto l’Uno, il Sostanziale é.
Contro questo oblio si rivolge Heidegger, contro la fragile sicurezza dell’uomo
di essere fondamento inconcusso della realtà del reale. Pensare l’essere senza
l’essente è l’invito a pensare di nuovo, sempre di nuovo, la differenza. Come
dire l’ulteriorità dal nulla, e con essa la finitezza dell’uomo. Ciò riporta indietro
a S&T al Sein zum Tode, al nostro essere in debito ed in colpa: intorno
all’impossibilità di essere, di essere compiutamente e definitivamente, ciò che
pur da sempre noi stessi siamo, all’impossibilità di renderci padroni del nostro
esser-possibile. Pensare l’essere senza l’essente è quindi un invito come a
19
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pensare la differenza in quanto differenza così a fare esperienza del tempo, del
tempo originario e della sua finitezza, che poi è una sola e medesima cosa:
Herkunft bleibt stets Zukunft.

LA METAFISICA COME PENSIERO FONDANTE

1 – Metafisica e Follia

Ripercorrere la via che conduce al luogo originario come della metafisica come
della follia. Metafisica come un modo del rapportarsi dell’esserci all’essente ed
insieme il Wesen della civiltà occidentale. Metà tà physikà, oltre gli enti fisici.
Verso dove? L’oltrepassamento degli enti sia per l’Ente, sia per la physis dice
sempre il rapportamento “esclusivo” dell’esserci all’essente, a ciò che “è”. Pur
quando pensa l’altro dall’essere, ciò che “non-è”, il pensiero metafisico pensa
questo altro, questo non, sempre a partire dall’essere. L’essere è il primo, il
non è il derivato. Essere e non-essere, e non: nulla ed essere. Gli enti nascono
e periscono, vengono dal non-essere e vanno nel non-essere – non è questa
l’esperienza fondamentale del pensiero metafisico, e cioè del tempo? Qui nasce
l’esigenza metafisica dell’eterno, di superare l’esperienza del non essere
vissuta come sofferta. Il non è sempre privazione e mancanza, è derivato e mai
l’originario pur quando lo si pensa come origine e termine dell’ente. Il no è
meno del si, la negazione dell’affermazione , l’assenza della presenza; e se
invece il no originario, il nulla, fosse più ricco del sì dell’essere, di tutto ciò che
è? Ma che è l’essere per il pensiero metafisico?

Uomo: Zòon lògon èchon: animal rationale. Il logos è stato inteso come ratio:
che cos’è quest’ultima? L’uomo è razionale perché cerca la ragione di ciò che è
poiché tutti gli enti hanno una ragione della propria esistenza: nihil est sine
ratione. Identità di essere e ragione. L’ente ci si rivela nella sua consistenza
d’essere solo quando di esso diamo ragione. Il pensiero metafisico riconosce
via via l’essere perché riconosce in tutto ciò la ragion d’essere dell’ente, ciò per
cui soltanto l’ente è ente. La ragion d’essere è il perché dell’ente: il
fondamento. La ratio è Grund e Sein, il fondamento e l’essere dell’ente. Nella
metafisica essere dice fondamento, tale pensiero come tale è fondante: in
senso eminente essa è la scienza. Il pensiero metafisico (fondante) è tale non
solo quando ricerca il fondamento dell’ente fuori dall’ente medesimo ma anche
quando ritrova il fondamento nell’ente stesso, e cioè nella connessione
interfenomenica. Se scompare la ricerca del fondamento trionfa la pluralità
indeterminabile dei principi, trionfa il pensiero metafisico.
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In quanto fondante, il pensiero metafisico è calcolante. Calcolo qualcosa sul


fondamento di qualcos’altro. Nella follia il rapporto fondazione-calcolo è
alterato, se non interrotto. Il folle vuole essere in sé tutto e tutti, interrompe il
rapporto con l’esterno. Finché non si consegna all’elemento oggettivo, l’io è
libero di immaginare e sognare qualsiasi cosa. Ma tale libertà è esercitata nel
vuoto e produce solo fantasmi. Il mondo reale però, invade il mondo della
fantasia20. Il rapporto tra metafisica e follia è quindi un rapporto di opposizione:
la follia è il negativo del pensare metafisico. Come tale la follia è determinata e
prodotta dalla metafisica in quanto è proprio la relazione esclusiva all’essente –
il circolo esplicazione fondante-calcolo – che determina ‘realmente’ e non solo
‘nominalmente’ la follia, l’inadeguatezza cioè del rapportamento all’ente. Nel
mondo del successo e del dominio sull’ente, l’unica misura di valore è il
successo di tale dominio, ossia lo stesso rapporto esclusivo all’essente, che
determina l’insorgere della paura e l’incertezza della fondazione. V’è follia. Si
produce follia anche nella società più permissiva, quando questa sia retta
esclusivamente dalla legge del successo nel calcolo, nel dominio sull’ente: è la
follia dell’azione gratuità. La metafisica,proprio in quanto ha nella follia il
proprio opposto, deve emarginarla. Il folle disturba, pertanto va es-cluso. E
tuttavia nel suo intimo la metafisica non può limitarsi ad escludere la follia,
pena la perdita del principio di fondazione. La follia va spiegata iuxta propria
principia. Cercare ‘codici’, ‘significati’: il pensare metafisico come es-clude così
in-clude il non-pensiero del folle. La società metafisica re-clude il folle, lo rende
oggetto di studio e cure. Il fine è la reintegrazione del folle nel corpo sociale.

L’esperienza del folle per la metafisica è l’esperienza di una diversità, di una


alterità. Il folle è l’altro. Ma questa esperienza è una esperienza parziale,
poiché legata ancora troppo alla metafisica: ciò che si incontra in questa
esperienza è determinato dalla stessa metafisica. L’identità di Sein e Grund e
la differenza di Sein (Nichts) e Grund è fatta propria dal pensiero metafisico
contemporaneo che al principio di ogni principio ritrova l’assenza di principio,
alle origini della condizioni di possibilità dell’ente non v’è un perché ma un
fatto. Ogni modno è una logica, in cui anche il folle rientra.

Il pensiero metafisico normalizza, appiattisce. Tutto è prossimo, tutto è


presente. Oltepassare la metafisica è rivalutare la follia, restituire al folle la sua
estraneità, non più negativa ma positiva; non più derivata ma originaria:
originaria perché originale. (*) n125 La gaia scienza.

La follia dell’uomo folle è nel sapere della morte di Dio, eppure cerca Dio. Ma
non sono lo stesso Dio: è morto il Dio-Valore. La disperazione del folle è dettata
sembra dal fatto che chi ha ucciso Dio non ne è ancora consapevole. . Il tempo
20
R. D. LAING, The Divided Self, trad. It., Torino 1969
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del folle invece, è quello della consapevolezza. Il Dio del folle è il Dio che il
pensiero metafisico ha dimenticato.

La dimenticanza che caratterizza il pensiero metafisico è determinata


dell’essenza stesso di questo pensiero, e cioè dal rapporto esclusivo con
l’essere-essente. Nel gioco, nel gioco del mondo è perduta l’essenza e l’origine
del gioco, la possibilità, il Möglichsein del gioco che è il fondo senza fondo, l’Ab-
grund di ogni gioco che si gioca nel mondo. L’essenza, l’origine l’abisso del
gioco è il nulla. È l’assenza originaria da cui ogni presenza nasce e da cui ogni
presenza è at-tratta. È il passato, la Gewesenheit, che, come tale, è il futuro di
ogni futuro. Herkunft bleibt stets Zukunft. Perché la provenienza resta sempre
ad-veniente? Perché il nulla cui tende il pensiero che supera la metafisica è
salvezza e pericolo supremi: il pericolo di perdere l’essere per il nulla, nel farsi
annullare dal nulla. Cercare un terzo tra la cura immediata dell’essente e
l’abbandonarsi al nulla nientificante. Ciò che ci sottrae al dominio dell’essere e
dell’ente così alla mistica nullificazione è rappresentata dalla doppia negazione
dell’essere per il nulla e del nulla per l’essere. Il nulla, nell’atto stesso in cui ad
esso ci si approssima, va negato, se non si vuole essere da esso negati: va
posto come l’estremamente lontano, come il remoto. L’origine è l’estremo
pericolo come l’estrema salvezza, perciò resta sempre futuro. L’unico modo di
donarsi al nulla, di negare l’essere che già è, senza perciò stesso negarsi, è
negare il nulla, porre di nuovo l’essere, porre un nuovo essere; epperò porre
“per noi” ciò che già è “in sé”: l’origine come futuro.

Il folle che cerca Dio, non condanna la metafisica come deicidio, ma in quanto
oblio di questo deicidio. E l’oblio nega la possibilità stessa che Dio venga
nuovamente cercato e nuovamente ucciso: chiude la metafisica in se stessa.

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