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Dottorato di ricerca in Progettazio ne Architettonica ed Urbana XXI ciclo, dottoranda Mariateresa Giammetti

LA FORMA DELL’ACQUA:
Emblemi spaziali ed emblemi dello stare
in uno spazio sacro
comune alle tre religioni abramitiche.
I NDI CE

Capitolo I: Archet ipi


─ I l significat o simbolico degli archet ipi
─ Archetipi comuni nelle t re declinazioni del sacro: st anza , percorso e recint o
─ Temi ricorrenti nella composizione dello spazio sacro: luogo, proporzione, geometria, caratt ere
─ Casi St udio: Notre Dame du Haut a Ronc hamp, Sinagoga Hurv a, Grande Moschea di
Cordov a

Capitolo II: Emblemi


─ La forma dell’acqua: emblemi spaziali ed e mblemi dello st are
─ Descrizione degli emblemi dello st are nelle tre aula
─ I l Mov iment o Lit urgico e la figura di Romano Guardini
─ Forma e lit urgia nello spazio di preghiera della chiesa cat tolica post conciliare
─ Sinagoga e lit urgia della parola
─ Moschea ed att i lit urgici

Capitolo III: Simboli


─ I simboli e la quest ione della riconoscibilit à del sacro
─ L’est etica della ricezione nella fruizione dello spazio archit ett onico
─ I l caratt ere del sacro: archetipi, emblemi e simboli

Capitolo IV: Aula


─ L’aula: il senso dello st are nelle t re declinazioni del sacro, chiesa, moschea e sinagoga
─ Annullame nt o del sist ema assiale longit udinale nella Chiesa post conciliare ed int roduzione del
concet t o di t rasv ersalit à
─ La t rasv ersalit à come t ema su cui fo ndare uno spazio comune
─ Casi St udio: Chiesa del Gesù Redent ore a Modena di M. Galant ino, Sinagoga Cy mbalist a a
Tel
Av iv di M. Bott a, Moschea di New Gourna di H. Fat hi
─ Da Not re Dame du Haut a Ro nchamp a St . Pierre a Firmi ny : una nuov a idea di spazio per
l’aula

Capitolo V: Progett o
─ Progett o per un aula di preghiera e cent ro di incont ro crist iano, musulmano ebraico
PREMESSA

La tesi si propone di dimost rare la possibilit à di descr ivere e pr ogett ar e uno spazio deput at o alla
preghiera delle t re religioni abramit iche, ponendo quale premessa l’unicit à dello spazio di
preghiera, rimandando all’alt ernanza t emporale le quest ioni di sov rapposizione dei calendari
lit urgici.
L’ipotesi alla base della dimostrazione è l’esist enza di ar chet ipi formali comuni ai t re spazi, che
t rascendendo le declinazioni simboliche di ciascuna fede, sono dot at i di un carat t ere ev ocat iv o
del sacro t ale da essere riconoscibile come proprio per t utt e e t re le religioni.
L’indiv iduazione degli archetipi comuni è co ndot t a att rav erso lo st udio di t re architett ure: la
cappella di Not re Dame du Haut a Ronc hamp di Le Corbusier, la sinagoga Hurv a a
Gerusalemme di Kahn e la GrandeMoschea di Cordoba. Q uest e opere sono st at e selezionat e in
quant o casi emblemat ici, attraverso cui i maest ri della modernit à si sono int errogati sul t ema
dell’archit ett ura sacra, rifondandone il ling uaggio t ramit e la riduzione delle forme ad eleme nt i
archet ipi che si rifanno ad una religiosit à "originaria", di t ipo v etero-t est ament ario. Si è cercat o di
applicare lo st esso crit erio di selezione anche all’archit ett ura religiosa islamica, ma qui, la scarsa
riflessione architett onica della "modernit à" sul t ema della moschea, ha co ndot t o a scegliere la
Grande Moschea di Cordoba, un esempio c he, pur appart enendo ad un periodo div erso della
storia dell’archit ett ura, conserv a un impiant o che fa riferiment o a quei carat teri originari,
archet ipi che la accomunano agli alt ri due esempi.
L’analisi dei casi st udio ha isolat o t re archet ipi comuni: la stanza, il percorso, il recinto, una
sequenza composit iv a che accomuna c hiesa, moschea e sinagoga e che si t rov a declinat a nel
Vecchio Test ament o nella descrizione della Tenda dell’Alleanza.
Lo st udio degli archet ipi comuni non ha esonerat o dall’approfondire i caratt eri emblemat ici di
ciascun edificio ed in part icolare delle tre declinazioni del concett o di aula. Dallo st udio degli
emblemi è emersa la definizione dei t re modi dello "st are dent ro" l’aula, come se gli aspett i
emblemat ici fossero da ricercare più nella forma dello spazio suggerit a dal disporsi
dell’assemblea, che dalla forma dell’aula st essa.
La riflessione sulle quest ioni della riconoscibilit à dello spazio sacro e sul suo carat tere, ha port at o
a considerazioni sulla v alenza e sul ruolo del simbolo per l’archit ett ura religiosa, dimost rando che
l’eliminazione dei simboli non implica l’eliminazione dei segni dello spazio sacro.
I caratt eri emblemat ici emersi dall’analisi dei t re edifici sono st at i sott opost i al processo di
riduzione dei segni ricav ato dallo st udio degli archet ipi, fino ad arriv are a declinazioni spaziali
affini che permet t essero di configurare uno spazio adeg uat o ad accogliere le t re confessioni.
Superando lo schema a sv iluppo longit udinale dell’aula catt olica si è riuscit i a t rov are nella
trasversalità dell’aula la chiav e secondo cui declinare lo spazio comune di preghiera.
L’analisi di alcune archit ett ure di Le Corbusier, in part icolare della cappella di Ro nchamp e della
chiesa di St . Pierre a Firminy , ha port at o successiv ament e al superament o dell’idea di aula su
piano t rasv ersale a fav ore di una nuova concezione di aula, espressione di un’idea di spazio che
si manifest a nelle sue quat t ro dimensioni.
Le conclusioni cui è perv enut a l’analisi sono st at e poi declinat e in un modello progetto calato
nel cont est o dell’aeroport o di Comiso, in Sicilia, att ualment e in v ia di riconversione da base
milit are in aeroport o civ ile.
Archetipi
L’indagine sugli archet ipi è t esa comprendere l’essenza originaria di chiesa, moschea e sinagoga,
per ricercare le radici comuni dello spazio sacro dell’archit ett ura medit erranea.
L’archet ipo, dal greco ar chét ypon, compost o da ar ché ‘principio’ e t ypos ‘modello’, è ciò che st a
all’origine del modello, e proprio quest o suo essere “originario”, gli conferisce un carat t ere
t rascendent e delle cose sensibili (plat onismo), una forza ev ocat iv a da cui deriv a il senso di
assolut ezza e di sacralit à della sua forma.
L’archet ipo esprime la ragion d’essere del cost ruire, t enendo assieme sacro ed originario. Spesso
int errogandosi sulle origini dell’archit ett ura, il dibattit o archit ett onico si è soffermato sugli archet ipi.
C’è st ato chi ha int eso legare l’idea di archet ipo all’ut ile e chi, come Gioffredo, affermò senza
esit are: «che la prima origine dell’archit ett ura debba prendersi negli alt ari, su cui gli ant ichi
sacrificav ano». “Dell’Archit ett ura”, del 1768
Senza addent rarsi nello specifico del dibatt it o t eorico sett ecent esco, rest a st oricament e v erificabile
che le forme arc het ipe riescono ad essere ev ocativ e del sacro, anche in assenza di simboli religiosi,
poiché simboliche in sé e di per sé st esse manifest azione della sacralit à. Si int ende cioè, un grado
zero della scritt ura religiosa, i cui cont enut i sono sufficient ement e univ ersali da essere riconoscibili a
t utti. L’oggett o della ricerca però, non è la riscritt ura in chiav e cont emporanea del pant heon. I l
v alore simbolico univ ersale degli archetipi sopperisce all’azzerament o dell’apparat o iconico
t radizionale, ment re la ricerca di archet ipi comuni st rutt ura il progett o di un modello, in cui sia
plausibile non la conv ivenza di t re cult i qualsiasi, ma delle t re religioni abramit iche, che hanno
storicament e, geograficament e e teologicamente una radice comune e quindi hanno archet ipi
archit ett onici comuni ed ecumenicament e riconoscibili.
I modelli archet ipi rappresent ano forme primit ive alla base delle espressioni mit ico-religiose
dell'uomo, che acquist ano un v alore sacro, perché part ecipano di una realt à che li t rascende.
Si pensi a St onehenge ( fot o o schizzi di L.C. descrizione), al fascino e all’at mosfera di solenne sacralit à
prodott a da quei mo nolit i solit ari, memoria di un mo ment o originario della disciplina, come nucleo
primit iv o di idee e schemi incancellabili, a cui l’archit ett ura sarà et ernament e debit rice. «U na piet ra
post a orizzont alment e su due piet re v ert icali, ecco il primo tipo di cost ruzione monument ale
dell’uomo», ( August e Choisy in Hist oire de l’Archit ecture di Hans van der Laan) una co mposizione di
element i disposti in insiemi significat ivi a prefigurare spazi formalment e spogli, ma in grado di
att ribuire significat o e profondit à alle cose semplici. E’ facile cogliere il v alore simbolico,
t rascendent e dei t rilit i di St onehenge, che assurgono al ruolo di “st rument i di ordine”, un fare
archit ett onico che non at tiene t ant o al creare cose dal nulla, quant o al riproporre i principi originari
della cost ruzione. Il v alore sacrale di St onehenge, così come di t utt i gli archet ipi, st a nel suo
prot endersi v erso il punt o in cui la creazione umana e quella div ina seguono la st essa “regola”.
(Michelangelo, cappella sist ina). St onehenge è luogo dell’irruzione del sacro, poiché il caratt ere
t rascendent e che gli deriv a dall’essere un modello archet ipo, ev oca una realt à che st a olt re la
fisica, m et à-fisica.
Archetipo non è solo il modello t rascendente che prende forma nei megalit i di St onehenge, ma
anche la manifest azione costruit a di una t radizione ancest rale, l’espressione dell’inconscio collett iv o
della filosofia junghiana1 ( psicologia junghiana), che affiora in simboli e forme cost ant i.
I lluminant e sott o questo punt o di v ist a, è uno degli aforismi di Adolf Loos, che no n a caso, spesso nei
suoi scritt i, si è occupat o del t ema delle “origini”:
« Se i n un bosco t rov iamo un t umulo, lungo sei piedi e largo t re, dispost o con la pala a forma di
piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dent ro di noi: qui è sepolt o qualcuno. Quest a è
archit ett ura». (A.Loos,Archit ett ura, in Nonost ant e t utt o)
I l raccont o di Loos è lont ano dall’aura mit ica di St onehenge, il suo incipit è mest o, quasi come il
ripetersi di un gest o quot idiano, eppure l’epilogo è solenne. La parola sacralit à, sebbene non sia mai
riport at a, viene cont inuament e ev ocat a att rav erso il legame sensibile t ra i caratteri primordiali e
fondat iv i del cost ruire ed il sentire umano.
I l raccont o di Loos descriv e una sequenza di t emi ricorrent i nella composizione dello spazio sacro
così sv iluppat a: il luogo; la misura; la proporzione; la geomet ria; la riconoscibilit à ed il caratt ere;
l’archit ett ura.
I l legame t ra luogo e spazio sacro div ent a a v olt e fondament ale: alcuni luoghi sono così densi di
senso mistico, da t rasmetterlo alle archit ett ure che accolgono, così da div ent are il t ramit e tra Dio,
uomo e Nat ura ( immagini cast el del mont e gerusalemme). I l mist ero che st a in fondo al concet t o di
Nat ura, il suo essere penet rabile, ma al t empo st esso estranea, v iene ben espresso da Loos nel
localizzare il suo t umulo in un bosco (simbologia del bosco). Alla descrizione del luogo segue il
ritrov ament o, Loos scriv e: “Se in un bosco t roviamo un t umulo…”. L’azione di t rov are presuppone
l’att o di avv icinarsi, di compiere un cammino, un percorso. La composizione di quest i t re element i: la
Nat ura sfondo-sost egno, il percorso, l’oggett o, è un archet ipo composit iv o dello spazio sacro, che
ritorna v irt ualment e in t utt a la st oria dell’archit ett ura, fino a quella moderna. Raccont at o il cont est o,
si passa a descriv ere l’oggett o, che v iene rappresent at o per misura e per geomet ria, quindi per
proporzione. Misura, proporzione e geomet ria rappresent ano gli st rument i att rav erso cui afferrare le
leggi del Creat o per riproporle nell’archit ett ura come st rument i della composizione. La cost ruzione
ripropone att rav erso la proporzione le leggi armoniche del Creat o e si offre come libro della Nat ura.
Tut t o quest o conferisce caratt ere alla composizione, un carat t ere t ale da rendere immediat ament e
riconoscibile all’uomo quella forma, nel caso di Loos quella forma come t umulo. Att rav erso una
composizione semplice, che si serv e di element i scarni, archet ipi, è possibile ott enere la massima
espressione del caratt ere, quindi la massima riconoscibilit à. Tut t o quest o è Archit ett ura, conclude
Loos.
«L’aforisma di Loos rest a att uale per chi ha v oglia di ascolt are le sue “par ole nel vuot o”. (…) La sfida
concett uale (di quest a ricerca) st a proprio nell’azzerament o dell’apparat o iconico t radizionale per
affidare alla mut a eloquenza dell’archit ett ura moderna l’emozione del sacro». ( Benedett o
Gravagnuolo in La cas a di Abramo)

Al binomio archet ipo – sacralit à si aggiunge un t erzo t ermine modernit à. Quando Grav agnuolo
parla di mut a eloquenza dell’archit ett ura moderna, si riferisce, t ra le altre cose, alla capacit à
ev ocat iv a della forma pura, e con essa della luce. I n part icolare nell’archit ett ura religiosa del
moderno, la forza composit iv a e simbolica della forma pura cresce a discapit o dell’apparat o
iconico, fino a decret arne se non l’azzerame nt o, una radicale riduzione. (duomo di colonia Sw harz)
Spesso, nella modernit à, il perseguiment o della forma pura ha coinciso con la ricerca degli
archet ipi. Nelle archit ett ure di Le Corbusier o di Kahn, il rit orno prepotent e delle forme archetipe,
azzera l’apparat o iconico e linguist ico dell’architett ura religiosa t radizionale, recuperando una
sacralit à originaria, di ispirazione v etero-t est ament aria. (not a Benedett i) L’adeguament o della forma
allo "spirit o dei t empi" ha comport at o la ricerca di una nuov a spazialit à, in cui l’archet ipo è
espressione archit ettonica della religiosit à dell’uomo moderno. I n quest o senso i maestri della
modernit à, con un’operazione t ipica delle av anguardie, hanno co mpiut o un salt o linguist ico,
accelerando e scav alcando il rit mo che av ev a scandit o la t rasformazione degli edifici per il cult o
fino a quel mo ment o st orico. I l rinnov ament o radicale che ha inv estit o chiese e sinagoghe, non ha
int eressat o la moschea: rare v olte i maest ri del Nov ecent o sono st at i chiamat i ad esprimersi sul tema
dell’archit ett ura religiosa islamica, piena ancor oggi di ret aggi formalist ici, deriv ant i da una cult ura
che nel t empo si è c hiusa sui t emi del co nfront o sopratt utt o in campo religioso, incapace di relazionarsi
con l’ev oluzione del linguaggio archit ett onico promossa dalle av anguardie. Tut t avia, nonost ant e le
ev oluzioni t ipologiche, la moschea conserv a il caratt ere archet ipo dei propri impiant i, fondat i sul t ema
del recint o e del muro (quibla), due eleme nt i, t ra l’at ro, archetipi in sé. (esempi di moschee)
Sia Kahn che Le Corbusier int erpret ano il rit orno alle "origini", siano esse di mat rice v et ero-t est ament aria o
ancora più lont ane nel t empo, ricorrrendo ad un archet ipo dello spazio sacro t radott o nella sequenza,
(lat ent e anche nel raccont o di Loos), per corso – r ecint o – st anza. E’ int eressant e not are come la ricerca
archit ett onica di quest i due maest ri sul t ema della chiesa per Le Corbusier e su quello della sinagoga per
Kahn, sia approdat a a soluzioni composit iv e affini, e che la loro declinazione archet ipa (per cor so –
r ecint o – st anza) si rit rov i anche nell’impiant o delle moschee, che hanno co nserv at o per fattori cult urali
differenti, il loro caratt ere archet ipo. Fatt o st a che la sequenza per cor so – r ecint o – st anza regge la
composizione di uno modello archet ipo part icolarment e emblemat ico per quest a ricerca, la Tenda
dell’Alleanza, descritt a a Mosè da Dio stesso, l’unico Dio riconosciut o da crist iani, musulmani ed ebrei.
«Mi faranno un sant uario e abit erò in mezzo a loro. I n base a t ut to il progetto della dimora che io t i
most rerò ed al progett o di t utt i i suoi oggett i, voi così faret e» Esodo, (25,8-9) (est ratt o dalla Bibbia)
Nel libro dell’Esodo è Dio st esso a fornire a Mosè il progett o eseguito poi da Besaleel della Te nda
dell’Alleanza. La Tenda è il l uogo dell’irruzione del sacro, ma anche lo spazio accoglient e in cui il popolo
si riunisce, archet ipo di quella che sarà poi l’aula. I l riferiment o alla Bibbia, ed in part icolare al Vecchio
Test ament o, libro sacro per le t re religioni, v uol dire av er t rov at o oltre che uno spazio archet ipo comune,
anche il suo fondament o t eologico: la Tenda dell’Alleanza è la t estimonianza st orica riv elat a,
dell’esist enza di un luogo sacro in cui le t re fedi possono riconoscersi.
La descrizione della t enda è accurat issima, nella sua raffigurazione rit rov iamo il recint o, il percorso, la
st anza, che singolarment e, così come in sequenza, riconosciamo all’origine della chiesa, della sinagoga,
e della moschea, in quant o element i archet ipi dello spazio sacro delle religioni medit erranee.
Anche Le Corbusier in "Verso una Archit ett ura" descriv e la cost ruzione del t empio dell’Alleanza e
conclude: «Guardat e nel libro dell’archeologo il grafico di quest a capanna, il grafico di quest o sant uario:
è la piant a di una casa, è la piant a di un t empio. E’ lo st esso spirit o che si rit rov a nella casa di Pompei. E’
lo st esso spirit o del t empio di Lux or. Non c’è l’uomo primit iv o; ci sono mezzi primit iv i. L’idea è cost ante, in

pot enza dall’inizio».


Archetipi

Percorso
Stanza
Recinto
Estensione
Orientamento

Dolmen di Bisceglie Moschea nel deserto


Archetipi
“M i faranno un santuario e abit erò in mezzo a loro. In base a tutto il progetto della dim ora che io ti mostrerò ed al progetto di tutti i suoi
oggetti, voi così farete”.
Esodo, (25,8-9 )
Fondamento biblico teologico comune.

Disegno di Le Corbusier con la ricostruzione ideale della Tenda dell’Alleanza

La tenda dell’alleanza ricostruzione in base alla descrizione dell’Esodo, da Bernard Lamy, in De Tabernaculo Foederis de Sancta Civitate Jerusalem, et de Templo eius 1720
CASI STUDIO: NOTRE DAM E DU HAUT A RONCHAM P, SINAGOGA HURVA, GRANDE
MOSCHEA DI CORDOVA

La Si nagoga Hurv a progett at a da Kahn, la cappella di Not re-Dame-du Haut a Ronchamp di Le


Corbusier e la Grande Moschea di Cordov a int erpret ano in t re modi div ersi la sequenza recint o,
percorso, st anza. Essi dimostrano l’esist enza e la permane nza di un archet ipo comune alle t re
declinazioni del sacro, che t rov a il suo modello originario nella Te nda dell’Alleanza.
I l crit erio con cui procedere alla selezione dei casi st udio, prevedev a la scelt a di t re architett ure
religiose, una per ogni cult o, progett at e nel corso del XX secolo e specificat ament e nel periodo che
v a dalle Av anguardie dei primi del Nov ecent o a quello del superame nt o del Mov iment o Moderno.
Quest o periodo segna la crisi (not a significat o gr eco della par ola cr isi) del passat o è l’inizio del
pensiero cont emporaneo, cui corrisponde la riscritt ura del linguaggio arc hit ett onico. La port at a
della crisi è così fort e da inv est ire anche un ambit o di solit o rest io ai cambiame nt i, quello religioso. La
religione cambia nell’archit ett ura così come nelle ist it uzioni, bast i pensare al Concilio Ecumenico
Vaticano II , indett o nel 1959 e co nclusosi nel 1965, che rat ifica un processo di trasformazione che
av ev a av ut o inizio fin dagli inizi Nov ecent o.
La parola inizio rit orna ancora per specificare il criterio di scelt a dei casi st udio e dei relativ i archit etti:
Le Corbusier e Kahn, rispett iv ament e il mot ore del Mov iment o Moderno, ed il simbolo del suo
superament o; come affiancarli in un discorso, che cerca poi nelle loro opere epiloghi formali simili?
Torna ut ile alla rispost a un pensiero di Kahn: «Amo gli inizi. Gli inizi mi riempiono di merav iglia. I o credo
che sia l’inizio a garant ire il proseguiment o». Sia Le Corbusier che Kahn, hanno lav orat o sugli "inizi" e
lo hanno fat t o anche per lo spazio sacro, ovv ero quelle archit ett ure che si occupno del rapport o t ra
l’uomo e l’inizio per eccellenza, Dio. Con le loro opere, t ra cui la Sinagoga Hurv a e Ronchamp,
hanno apert o nuov i orizzont i sul t ema dell’archit ett ura sacra. La ricerca degli inizi li ha condot t i a
progett are spazi con un senso del sacro originario, quasi nat uralist ico, che si esprime att rav erso l’uso
di archet ipi composit iv i che si rifanno a modelli e simboli v et ero-t est ament ari, come la sequenza
recint o, percorso, st anza.
Se per la chiesa e la sinagoga il crit erio di scelt a così costruit o ha t rov at o riscontro nella st oria
dell’archit ett ura del Nov ecent o, un analogo fe nomeno di rinnov ament o cult urale-religioso ed
archit ett onico non si è riscont rat o per l’I slam: il crit erio di scelt a dei casi st udio non è applicabile
all’archit ett ura musulmana. C’è da dire però c he nonost ant e le ev oluzioni tipologiche, la moschea
conserv a nell’impost azione degli impiant i la me moria del modello archet ipo da c ui prov iene: la
casa di Maomett o, un recint o con un lat o copert o (inserire immagine casa Maomet t o). I l recint o,
con esso uno dei suoi lat i, il muro della quibla e l’orient ament o sono gli archet ipi fondant i lo spazio
della moschea. Da qui la scelt a della Grande Moschea di Cordoba, un’archit ett ura che nonost ant e
le espansioni dell’impiant o originario e l’int roduzione al suo int erno di una c hiesa, conserv a quei
caratt eri archet ipi cui si accennav a ed allo st esso t empo manifest a in pieno la spazialit àt ipica della
moschea.
Not re-Dame-duHaut a Roncham p
«E’ st at a cost ruit a nell’ult imo contraffort e dei Vosgi… U na di quelle colline che chiamano Haut -lieu,
sulla quale un t empo sorsero t empli pagani e poi cappelle crist iane, cappelle di pellegrinaggio… Le
mie ricerche plast iche mi av ev ano condott o alla percezione di un int erv ent o di nat ura acust ica nel
mondo delle forme… Si co minciò dunque con un’acust ica del paesaggio, prendendo a t est imoni i
quat t ro orizzont i. Per rispondere a quest i orizzonti, per accoglierli furono creat e delle forme.
Nell’int erno si immaginò una sinfonia d’o mbre di l uce di c hiaroscuro… Le esigenze del Cult o
int erv engono qui in pochissime cose. La nat ura delle forme era una rispost a alla psico-fisiologia della
sensazione». (Le Corbusier in Casabella n°207)
I l salt o linguist ico di Ronchamp rispett o alle precedent i opere di Le Corbusier emerge da una sua
int erpret azione nat uralist ica del sacro. I nfatt i sia nella genesi delle forme esterne, rispondenti ad
"un’acust ica del paesaggio", che per quelle int erne, una "rispost a alla psico-fisiologia della
sensazione", è facile coglierne l’avv io nella qualit à e nella ricchezza della connessione nat urale:
nella sua doppia realizzazione di paesaggio e di uomo. Si aggiunga a ciò l’esplicit o richiamo ad una
sint onia con la religiosit à pagana, implicit a nel richiamo ai t empli pagani sorgent i sulle colline. U n
sacro originario, come bellezza e presenza di un div ino che è nella nat ura e nel paesaggio. U no
spazio che cerca archet ipi primordiali: il dolmen, il buio, le luci colorat e.
La cappella è sicurame nt e un punt o di riferiment o territ oriale, il suo ergersi su una collina la rende
percepibile da lont ano, in un processo di cont inua osmosi con il paesaggio, anzi dov e l’archit ett ura
di Ronc hamp cost ruisce il paesaggio st esso. I l percorso di avv icinament o al luogo della t eofania
comincia da lont ano, ha un respiro t errit oriale ed un andament o sinuoso, quasi di av v ist amento
dell’archit ett ura t ra le colline. Giunt i alla collina al percorso si sostit uisce l’ascesa, il t ragitt o è immerso
t ra le siepi e del t empio si int rav ede solo la copert ura. L’ascesa culmina nel recint o, che è a sua
v olt a un recint o nat urale, disegnat o dal prat o e dagli alberi che circondano l’aula e che
part ecipano dell’aula st essa. A quest o punt o il percorso si innest a nel recint o, quello che pot rebbe
sembrare il port ale di ingresso all’aula è in realt à una port a solo per uscirne, come dimost ra la
maniglia posizionat a sul lat o int erno. I l percorso ascensionale di ispirazione cat artica, div ent a una
promenade at t orno all’aula, L.C. ci fa girarle int orno fino a condurci sul lat o oppost o al port ale di
uscit a, dov e finalment e si apre l’ingresso alla st anza. Li succede qualcosa di part icolare, suggestiv o
e mist ico allo st esso t empo: l’ingresso è post o trasv ersalment e alla st anza. La longit udinalit à
dell’impiant o basilicale è t ot alment e negat a a fav ore di una t rasv ersalit à, la cui percezione è
possibile proprio al lungo percorso, che girando at t orno alla st anza, supera il t radizionale punt o
d’ingresso post o sul fondo dell’aula, per accompag narci ad ent rare al cent ro del lat o cort o. Lì al
concett o di t ensione v erso un punt o, la div init à espressa dall’abside curv o, si sost it uisce l’idea di
limit e, indicat o la fascia bronzea incassat a nel pav iment o, dispost a parallelament e all’ingresso ed
ort ogonalment e all’alt are. Quella linea è un nuov o limit e, un nuov o recinto, che int ima all’uomo di
fermarsi rispett o all’inafferrabilit à del sacro. Allo st esso t empo quella linea spacca lo spazio e lo
dev ia v iolent ement e v erso l’alt are, recuperando la dimensione longit udinale della st anza. I l
percorso part e dalla Nat ura, si inerpica sulla collina ed inv ade recint o e st anza, fino all’alt are. I l suo
sviluppo è una lunga promenade che riscriv e il senso di t ensione v erso il div ino t ipico degli impiant i
basilicali, lav orando su un principio: la perdit a delle direzioni t radizionali, rit rov ando il senso del sacro
non nella t ensione v erso un i nfinit o divino, ma nel limit e.
Sinagoga Hur va
La cost ruzione dell’ant ica sinagoga Hurv a risale al XXVI II secolo. L’edificio costit uì il cent ro della vit a
cult urale e spirit uale in I sraele e nel quart iere ebraico di Gerusalemme per t ut t a la seconda met à
del XI X secolo e per la prima met à del XX.
La prima dist ruzione della sinagoga risale al 1721, quando gli arabi la br uciarono insieme ai 40 libri
della Torah che cont enev a. I l sit o rimase abbandonat o per 140 anni, e acquisì il nome “hurv a”
(rudere). U na nuov a sinagoga v i fu cost ruit a dai discepoli del Gaon di Vilna nel 1864.
La Hurv a div enne poi la sinagoga più grandiosa di I sraele ed ospitò import anti ev ent i ebraici fino agli
anni ‘30. Nel 1948, due giorni dopo la co nquist a del quart iere ebraico, i giordani la bombardarono
comment andone la dist ruzione in quest o modo: «Per la prima v olt a in mille anni non rimane un solo
ebreo nel quart iere ebraico. Nessun edificio è rimast o int att o e ciò rende impossibile il rit orno degli
ebrei».
Anche la sinagoga Hurv a, come molt i degli edifici religiosi di Gerusalemme, ha una st oria carica di
senso t ragico, memore di dist ruzioni e di una difficile conv iv enza. Nel 1968 si chiese a Kahn il
progett o di una nuov a sinagoga che rimpiazzasse la v ecchia, da sit uarsi accant o alle sue rov ine. La
nuov a sinagoga risult a in realt à compost a da due edifici, l’uno ent ro l’alt ro. L’int erno del sant uario, il
luogo del cult o, si compone di quat t ro v olte in cement o, è circondat o da quat t ro absidi a forma di
piramidi di piet ra dest inat e alla medit azione. Kahn av ev a proposto inolt re di collegare la sinagoga
con il muro del Piant o, att rav erso una sequenza di luog hi ed edifici pubblici, che sott olineano il
caratt ere di quest a citt à ant ica.
I l percorso collega idealment e i poli simbolici delle tre religioni, la spianat a delle moschee, con la
memoria st orica del tempio di Erode, rappresent at o in framment o dal muro del piant o. Passa poi
att rav erso il tessut o urbano, per arriv are prima al Sant o Sepolcro, poi alla nuov a grande sinagoga
Hurv a. Olt re che un percorso fisico, è un cammino ideale at t rav erso la religiosit à. La sinagoga si
compone di un recint o fatt o da alt i monoliti, dispost i con rit mo serrat o a custodire la st anza,
memoria dell’ant ica t enda ebraica
L. Kahn, sinagoga Hurva, Gerusalemme,
1968
Plastico della città vecchia di Gerusalemme.

Sezione attraverso la sinagoga ed una parte della città vecchia


Emblemi
Sinagoga Moschea
Chiesa
EMBLEMI
Chiesa, moschea e sinagoga most rano att rav erso le rispett iv e aule t re div erse declinazioni del sacro. La
ricerca di emblemi ed arc het ipi dei t re edifici religiosi e delle rispett iv e aule, offre la base ist rutt oria su cui
cost ruire una st rat egia composit iv a per il progett o di un’aula unica per i t re cult i, usando gli archet ipi per
scoprire la radice spaziale comune e gli emblemi per comprendere quali sono i carat t eri che rendono
riconoscibili quegli spazi in quant o t ali.
La scelt a di lav orare con gli archet ipi è un rit orno al grado zero della scritt ura religiosa, in cui, qualsiasi uomo
può riconoscersi (not a: il dolmen, il menhir sono archet ipi, esprimono sacralit à, ma una sacralit à univ ersale,
appart enent e a t utti gli uomini) indipende nt ement e dal suo credo, conclusione che risponde solo
parzialment e agli obiettiv i specifici di quest a ricerca, che inv ece si propone di indagare le radici comuni
dello spazio sacro delle t re religioni abramit iche. Da qui allora la necessit à di comprendere ciò che è
emblemat ico per ciascuna delle t re aule ed allo st esso t empo comune, per t rasferirlo allo spazio che
dov rebbe t enerle assieme. Emblemat ico è ciò che r appr esent a, ovv ero che “rende presente” qualcosa agli
occhi del corpo o della ment e, l’emblema è una figura simbolica che ev oca la cosa cui si riferisce, il
concett o di chiesa ad esempio si mat erializza attrav erso la forma emble mat ica della chiesa. I ndividuare la
figura emblemat ica per ciascuno dei t re edifici, v uol dire descriv ere lo spazio reput at o come più
rappresent at ivo di quella carat t erizzazione del sacro, come scegliere qual è la chiesa più chiesa, la
moschea più moschea, ecc.
Molt o probabilment e non esist e la rispost a a quest a domanda, sarebbe come rispondere alla do manda
qual è la v era forma del sacro, come t rov are la forma dell’acqua! Quest o modo dubit ativ o, quasi laico, di
int endere il problema fa part e del caratt ere ev ocat iv o ed indescriv ibile del sacro e della div init à; allo stesso
t empo però, la religione è il luogo delle rispost e cert e più che dei dubbi, della cano nizzazione degli spazi
fino a renderli icona di se st essi, e per quest o, olt re che segno da riconoscere, simbolo in cui riconoscersi.
Comprendere in cosa riconoscere l’emblemat icit à di ciascuna aula, è i ndispensabile per ipot izzarne la
plausibile coesist enza in una ricerca t esa a cogliere più i punt i di cont att o che le differenze, evidenziando
ciò che è e mblemat ico ed archet ipo allo st esso tempo.
Si è già scritt o di quant o sia complesso definire la v era forma del sacro. Per riconoscere allora gli emblemi o
l’emblema di ciascuna aula, si può pensare di spost are l’asse di osserv azione dalla forma dell’aula alla
spazialit à generat a dalla comunit à in preghiera, come se il senso dello spazio dell’aula si esprimesse
att rav erso il disporsi dei fedeli al suo int erno. La ricerca, quindi, non è quella della fig ur a em blem at ica di
ciascuna aula, ma dell’em blem a dello st are della comunit à nell’aula st essa. L’assemblea è ciò che è
capace di at t ribuire forma al v uot o, quasi che si pot esse pregare ov unque. il disporsi degli uomini carica di
senso religioso l’aula st essa, ed ev oca l’irruzione del sacro. Si pensi alla cappella di Rot henfeld proget t at a
da Sc hw arz (immagini Rot henfeld), l’archit ett o qui propone più schemi secondo cui l’assemblea può
disporsi, lasciando inv ariat a la configurazione dell’aula, che assume caratt erizzazioni div erse a seconda del
modo di disporv isi all’int erno. Come la forma dell’acqua l’assemblea di Schw arz è in cont inua ev oluzione, lo
spazio della sala dei cav alieri di Rot henfeld è dinamico e sacrale allo st esso t empo, ed afferma il primat o
dell’assemblea sull’aula.
I l primato dell’assemblea sull’aula è v alido anche per l’I slam: un musul mano può pregare ov unque, nel
desert o, in un recint o di piet ra o lungo uno dei marciapiedi delle nost re citt à, dov e la moschea è il t appet o
su cui og ni islamico si inchina per la preg hiera. (immagini preghiera islamica recint o desert o e per strada)
Per gli ebrei la sinagoga non è il t empio. L’ult imo t empio ebraico, il Tempio di Gerusalemme (in not a
descrizione del t empio di Gerusalemme), fu cost ruit o da Erode dopo la dist ruzione del Te mpio di Salomone
e dist rutt o dall'imperat ore Tit o. (immagine papa muro del piant o, in not a document o noi ricordiamo) Con la
dist ruzione del Te mpio, da cui ebbe inizio la diaspora degli ebrei, ebbero t ermine i sacrifici, che solament e
nel t empio si pot ev ano compiere ed ebbe t ermine il ruolo del sacerdozio, che lì esplicav a la sua att iv it à. La
dist ruzione del t empio segna una t appa cruciale nella cost it uzione del giudaismo, così come è oggi. I l
passaggio al cult o sinagogale, pubblico non più sacrificale, incentrat o sulla lett ura del Libro. L’aula è il luogo
in cui la comunit à sui riunisce int orno al Libro; il Libro è il luogo della memoria, no n l’aula, qui la comunit à si
dispone per ascolt arne la lett ura o per rileggere indiv idualment e. Lett ura, memoria ed ident it à tengono
insieme l’assemblea. L’unico luogo v erament e sacro riconosciut o dagli ebrei è il Muro del piant o, ciò che
rest a del muro occident ale di cont eniment o del t errapieno su cui sorgev a il Tempio di Gerusalemme. Da più
di 1900 anni gli Ebrei si radunano dav ant i al muro per pregare. Oggi il Muro è st at o trasformat o in una
grande sinagoga a cielo apert o, ricav ando una piazza dav ant i ai colossali blocchi di piet ra, dov e un t empo
v i era un quart iere arabo. E’ significat iv o not are come l’unico t empio ebraico sia un t empio all’apert o,
ovv ero senza aula. (in not a descrizione del muro del piant o)
I l Cristianesimo per i suoi sv iluppi post conciliari1, l’Islam per il suo port arsi dent ro il cont est o nomade in cui
nasce, la religione ebraica per gli sv iluppi filosofici e cult urali che la diaspora ha av ut o sugli ebrei,
confermano il primat o dell’assemblea sull’aula, lasciando leggere come emblemat ico di ciascuna
religione non la forma dell’aula st essa, ma il modo di st arci dentro. Quest o accomuna le t re religioni e
ne rende plausibile la conv iv enza nello st esso spazio alla luce di una nuov a lett ura dell’aula, che si
caratt erizza in funzione dell’assett o che assume l’assemblea. Lo spazio assume v alenze div erse a
seconda della direzione in c ui v iene percepit o ed occupat o, della st asi o del mov iment o con cui
l’assemblea lo fruisce. Si concretizza in una st rutt ura primaria che denuncia la presenza dell’aula ed in
una st rutt ura secondaria che la declina in spazialit à different i. Le due st rutt ure esprimono dimensioni
proprie dell’archit ett ura: la permanenza e la t rasformabilit à, dove la t rasformabilit à non è la flessibilit à
dello spazio, ma la compresenza di più liv elli di lett ura dello st esso spazio, nello st esso spazio.
Rudolf Schwarz Cappella nella sala dei cavalieri del castello di Rothenfels (1928)

I l quatt ro dicembre 1963 i v escov i del Concilio Vaticano II approv arono la Costit uzione Lit urgica,
con cui v enne sigillat a la fine del Medio Ev o nella lit urgia, e precisament e a causa sopratt utto
del fatt o che la comunit à ricuperav a il proprio rango di soggett o t it olare dell’azione lit urgica,
dopo che per quasi un millennio era cadut o in di ment icanza. I n archit ett ura i primi mov iment i
che si fecero port av oce di un processo di rinnov ament o dello spazio lit urgico risalgono agli anni
Vent i del XX secolo. Il cosiddett o Mov iment o Lit urgico spinge per «una nuov a v it a di fede ed una
nuov a coscienza di Chiesa come comunit à v iv a». (Arno Schilson)
«Essi v ollero conferire spessore architett onico durat uro all’accresciut a coscienza comunit aria,
all’int ensificat o apprezzament o dei sacrament i e al desiderio di part ecipazione ai mist eri, e
collegare il t utt o con i mezzi st ilist ici e t ecnici della moderna archit ett ura profana. I n t al modo
essi t ent arono di t rasferire le idee e gli accent i del Mov iment o Lit urgico al piano dell’archit ett ura
sacra per conferire anche espressione archit ett onica a ciò che si sv olgev a all’int erno
dell’edificio». (J. Heimbach)
L’edilizia sacra v enne int esa come lit urgia edificat a. Significativ a div ent a in quest o senso la
ricerca di nuov e soluzioni progett uali per favorire la part ecipazione attiv a di t utt i alle azioni
lit urgiche. La piant a di chiesa assiale longit udinale, come spazio dirett o v erso l’alt are, v iene
int egrat a da forme di assemblea dispost e a cerchio int orno all’alt are. La posizione centrale
dell’alt are dialoga con un modello di spazio unit ario priv o di colonne che per mett e v isuale libera
ed indist urbat a delle azioni lit urgiche.
I l cast ello medioev ale di Rot henfels si trov a nella regione di Magonza, di propriet à e sede
cent rale t ra le due guerre dell’associazione giov anile catt olica t edesca "Quickborn" fu
laborat orio del Mov imento Lit urgico t edesco. All’int erno del cast ello si t rov a la Sala dei Cav alieri
del Cast ello, in cui Rudolf Schw arz nel 1928 proget t ò una cappella, secondo una forma dello
spazio propria di un concet t o di lit urgia riaffermat o decenni più t ardi dal Concilio Vat icano II.
L’impiant o di Rot henfels fa proprie le esperienze e gli insegnament i del Bauhaus, circa
l’aut ent icit à dei mat eriali e la v eridicit à di funzione, scala e forma, nonché la riscopert a del
religioso nella percezione sensoriale, nel creat o. Sulla scia delle int uizioni t eologico-lit urgiche di
St udi sulle possibilit à di organizzazione dell’assemblea
R. Schwarz, schemi dal libro Vom Bau der Kirche
Romano Guardi ni, Schw arz fece piazza pulit a di t utt o ciò che ost acolav a quest a v isione, e non
solt ant o degli ornament i barocchi, fece demolire un cami no ed imbiancare soffitt o e paret i.
«Come unico arredo lo spazio ebbe ce nt o sgabelli, piccoli dadi neri di legno. Si prese sul serio
l’idea che una comunit à può produrre da sé, in quant o t ale, forme di spazio: è bello se lo spazio
sacro si fonda t ot alment e sulla comunit à e sul suo agire». (R. Schw arz )
A t al proposito Romano Guardini si è così espresso: «I l v uot o corrett ament e articolat o di spazio e
superficie non è una pura negazione dell’immagine, ma il suo polo oppost o. Esso si rapport a a
quest o come il silenzio alla parola. Non appena l’uomo si apre ad esso, v i percepisce una presenza
mist eriosa. Essa esprime del sacro ciò che v a olt re forma e concett o».

R. Schwarz, Corpus Domini, Aqusgrana 1930


Chiesa Figure emble matiche dello stare

Impiant o bas ilicale Schema pos t conciliare Schema pos t conciliare t rasvers ale

Moschea

Sinagoga
Simboli

Bruegel, Babele
Simboli

Il carattere di uno spazio sacro, sia esso una chiesa, una moschea o una sinagoga si esprime
attraverso emblemi, tra cui vanno annoverati anche i simboli religio si, e da cui deriva la
riconoscibilità di quello spazio in quanto tale. I sim boli religio si, sono segni di riconoscim ento che
evocano aspetti salie nti di quelle religioni, mettendo in relazione l’ astrazione del sacro con la
comunicazione umana. Allo stesso tempo è possibile affermare che uno spazio è riconoscibile
come sacro anche in assenza di sim boli religiosi. L’azzeramento dei simboli non implica
l’elim inazione dei segni del sacro. A tal proposit o ritorna calzante la riflessione di Loos, nel saggio
Architettura: « Se in un bosco troviamo un tumulo, lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala
a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolt o qualcuno.
Questa è architettura».
In questa descrizione, sebbene non compaiano sim boli religio si e la parola sacro non sia mai
riportata, vie ne continuamente evocata, attraverso il rim ando tra alcuni caratteri prim ordiali e
fondativ i (archetipi) dell’architettura ed il sentire umano. Gli archetipi dello spazio sacro sono tipi
originari con valore inaugurale , attraverso cui l’ idea si fonda, assumendo essi stessi il valore di
simboli. Mai, come nella sfera del sacro, gli archetipi, attraverso la propria densit à evocativ a,
confermano il fondamento metafisico del simbolo , rappresentativo del nesso semantico tra
"simbole ggiante" e "sim bole ggiato". I sim boli archetipi rifuggono, come la natura stessa del
simbolo vuole, dall’ analogia, dalla metafora, dalla sim ilit udine, dall’alle goria, in questo caso «la
funzione rappresentativ a del sim bolo non è il puro e semplice rimando a qualcosa di non
presente. Il simbolo , piuttosto, fa apparire come presente qualcosa che fondamentalm ente è
sempre presente». H.G. Gadamer
Dostoevskij, ne "I fratelli Karamazov" nel racconto del Grande Inquisit ore racconta la nuova
discesa di Cristo tra gli uomini e scrive: «La mia azione si svolge in Spagna, a Siviglia, al tempo più
pauroso dell’ inquisizione quando ogni gio rno nel paese ardevano i roghi per la glo ria di Dio e con
grandiosi autodafé si bruciavano gli eretici. Oh, certo, non è cosí che Egli scenderà, secondo la
Sua promessa, alla fine dei tempi, in tutta la gloria celeste, improvviso “come folgore che splende
dall’Oriente all’Occidente”. No, Egli volle almeno per un istante visitare i Suoi figli proprio là dove
avevano cominciato a crepit ar i roghi degli eretici. Nell’ immensa Sua misericordia, Egli passa
ancora una volt a fra gli uomini in quel medesim o aspetto umano col quale era passato per tre
anni in mezzo agli uomini quindici secoli addie tro. Egli scende verso le “vie roventi” della città
meridio nale, in cui appunto la vigilia solt anto, in un “grandioso autodafé”, alla presenza del re,
della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle più leggiadre dame di corte, davanti a tutto il
popolo di Siv iglia, il cardinale grande inquisitore aveva fatto bruciare in una volt a, ad majorem
Dei gloriam, quasi un centinaio di eretici. Egli è comparso in silenzio, inavvertit amente, ma ecco –
cosa strana – tutti Lo riconoscono. Spie gare perché Lo riconoscano, potrebbe esser questo uno
dei più bei passi del poema. Il popolo è attratto verso di Lui da una forza irresistibile, Lo circonda,
Gli cresce intorno, Lo segue. Egli passa in mezzo a lo ro silenzioso, con un dolce sorriso d’infinita
compassio ne. Il sole dell’ amore arde nel Suo cuore, i raggi della Luce, del Sapere e della Forza si
sprigionano dai Suoi occhi e, inondando gli uomini, ne fanno tremare i cuori in una rispondenza
d’amore. Egli tende loro le braccia, li benedice e dal contatto di Lui, e perfino dalle Sue vesti,
emana una forza salutare. Ecco che un vecchio, cieco dall’infanzia, grida dalla folla: “Signore,
risanami, e io Ti vedrò”, ed ecco che cade dai suoi occhi come una scaglia, e il cieco Lo vede. Il
popolo piange e bacia la terra dov e Egli passa. I bambini gettano fiori dinanzi a Lui, cantano e
Lo acclamano: “Osanna!”. “E’ Lui, è Lui”, ripetono tutti, “dev’essere Lui, non può esser che Lui”.
Il sacro compare “ in silenzio, inavvertitamente”, ma tutti lo riconoscono, il perché lo riconoscano,
sta nel fatto stesso Il senso del sacro è metafisico, metà tà physikà, dopo la natura, al di là , sopra,
oltre. L a stessa tentazione di Crista descritta nello stesso racconto avvie ne in un luogo privo di
simboli, ma che è esso stesso un simbolo il deserto.
Tutto questo rimanda alla oggettivit à del sacro, ad un grado zero della scrittura religiosa; da
dove nasce allo ra la necessit à dei sim boli religio si? Il simbolo ha una funzione sociale, nel sim bolo
religioso non si riconosce lo spazio sacro, ma si riconoscono “tra loro”, coloro che attribuiscono a
quello spazio un valore sacro. I simboli religio si attengono alla socialità, all’ "estetica della
ricezione". La parola sim bolo deriva dal greco sun-ballein, che significa ‘congiungere’, ‘tenere
insieme’, il sim bolo è ciò che tiene insieme un’idea e quella che è la sua percezione sensibile che
si esprim e attraverso il sim bolo stesso, ma è anche ciò che tiene insieme quanti in quel sim bolo si
riconoscono. Il contrario di sun-ballein è dia-balle in, che letteralmente significa "gettare nel
mezzo, mettere di traverso, da cui la parola diavolo , metaforicamente colui che "separa,
disunisce, divide, colui che cade". E’ chiaro che ci muoviamo su un terreno minato, in cui le
stesse parole si caricano di valenze sim boliche che risalgono a retaggi culturali antichi, insite
nella memoria colle ttiv a, il cui studio rimanda al le game tra semiolo gia e sociologia, in un ambit o
disciplinare di cui sicuramente tener conto, ma che non è specifico di questa ricerca. Se la
riconoscibilità del sacro non è una questio ne tra teologia, forma e lit urgia, ma è una questione
sociale, qual è la risposta che può dare in merito l’ architettura, in quanto forma sim bolica della
risposta a questa domanda. La risposta olt re che essere un proble ma architettonico è una
questio ne etica. Dostoevskij ne da un’interpretazione proseguendo nel racconto del grande
inquisitore. «Il popolo si agita, grida, singhiozza; ed ecco in questo stesso momento passare
accanto alla cattedrale, sulla piazza, il cardinale grande inquisit ore in persona. È un vecchio
quasi novantenne, alto e diritto, dal viso scarno, dagli occhi infossati, ma nei quali, come una
scintilla di fuoco, splende ancora una luce. Oh, egli non ha più la sontuosa veste cardinalizia di
cui faceva pompa ie ri davanti al popolo , mentre si bruciavano i nemici della fede di Roma: no,
egli non indossa in questo momento che il suo vecchio e rozzo saio monastico. Lo seguono a una
certa distanza i suoi tetri aiutanti, i servi e la “sacra” guardia. Si ferma dinanzi alla folla e osserva
da lontano. Ha visto tutto […]. Egli allunga un dito e ordina alle sue guardie di afferrarlo . E tanta è
la sua forza e a tal punto il popolo è docile, sottomesso e pavidamente ubbidiente, che la folla
subito si apre davanti alle guardie e queste, in mezzo al sile nzio di tomba che si è fatto di colpo,
mettono le mani su Lui e Lo conducono via. Per un istante tutta la folla, come un solo uomo, si
curva fino a terra davanti al vecchio inquisitore; questi benedice il popolo in silenzio e passa oltre.
Le guardie conducono il Prigio niero sotto le volt e di un angusto e cupo carcere nel vecchio
edificio del Santo Uffizio e ve Lo rinchiudono».
Nella consapevole zza del valo re sociale dei sim boli religiosi e della lo ro comple mentarietà
rispetto a ciò che simboleggia il sacro, la sfida concettuale della ricerca, sta proprio
nell’azzeramento dell’ apparato iconico tradizionale, ipotizzando uno spazio che affidi alla muta
eloquenza dell’ architettura moderna l’emozione del sacro. Ciò che la ricerca può verificare
attraverso il progetto è l’esito del confronto tra simboli religiosi ed un’architettura che, per il suo
essere fortemente evocativa, è essa stessa “icona”, nell’intento di descrivere uno spazio che
conservi il carattere del sacro per ognuno dei tre culti .
AULA
L’aula è l’archet ipo dello spazio pubblico, è il luogo colletiv o del grande riparo che risponde al bisogno
degli uomini di riunirsi in uno spazio ben delimit at o che sia espressione dei "rit i collett ivi", siano essi religiosi,
ist it uzionali, cult urali, ricreat iv i, ecc. L’aula mo nument alizza lo spazio collett iv o e come t utti i monument i v iv e
di un doppio significat o: quello simbolico, legat o ai rimandi c he quello spazio con la sua forma ge nera nella
memoria collett iv a e quello mat eriale conformat ivo, legat o alla qualit à dello "st are dentro" quello spazio.
I tre edifici religiosi, chiesa, moschea e sinagoga «assumo no il t ema dell’aula punt ualment e caratt erizzato
nelle div erse accezioni del sacro». (S. Bisogni, Zolla delle religioni) Al di là delle singole declinazioni, in t utti e
t re i casi la fisicit à dell’aula int erpret a il rapport o int erno-est erno, quale condizione dello st are o pregare
rispett o ad un infinit o sacro. L’aula, o meglio lo "st are dent ro" l’aula, si fa v eicolo per l’irruzione del sacro.
Quest a condizione t emat ica comune v iene poi declinat a nelle t re caratt erizzazioni spaziali, secondo
int erpret azioni t ipologiche di ciascun pensiero t eologico e delle prat iche lit urgiche. Se l’aula è il luogo
dell’evocazione e dell’irruzione del sacro, nella forma complessiv a, così come in ciascuna delle sue part i,
prev ale la qualit à simbolica della composizione, da qui nasce ad esempio l’impiego della forma cruciforme
nella chiesa cat t olica, che con l’uso della piant a a croce greca o lat ina fa dell’aula st essa una croce.
L’aula co nt iene i simboli e li declina at t rav erso la sua forma, t ant o da farsi essa st essa icona. La figura
dell’aula è la forma simbolica o meglio, una delle forme simboliche, più rilev ant i di ciascuna religione, le cui
t rasformazioni t ipologiche sono indice del div enire st orico del sent ire religioso e del pensiero filosofico, t ant o
da pot er dire prov ocatoriament e che ad ogni t ipologia di aula corrisponde la sua t eologia.
Declinazioni spaziali del t ema dell’aula nelle t re r eligioni
Chiesa
"I l simbolo, avev a dett o Pav ese, «è un ev ent o unico, assolut o; un concent rat o di pot enza vit ale… e come
t ale v ersa un’aura di miracolo in t ut t o ciò che lo presuppone e gli somiglia. Alt ra definizione non si può dare
del simbolo se non c he anch’esso è un ogget t o, una qualit à, un ev ent o che un v alore unico, assolut o
strappa alla causalit à nat uralist ica ed isola in mezzo alla realt à». (Feria di Agost o)
I l formare simbolico cost ruisce un piano alt r o rispett o alla fisicit à propria degli oggett i o del funzionalismo più
semplicistico. Illuminant e, sott o quest o punt o di v ist a, è il processo attraverso cui un’archit ett ura pagana,
come la basilica romana, deput at a ad ospit are il pubblico affare sia st at a t rasformat a dal cat tolicesimo in
aula di preghiera. «La grande aula del mercat o v iene ruot at a, v iene direzionat a longit udinalment e e
polarizzat a su uno dei lat i corti del rett angolo, spost ando l’ingresso sul lat o cort o. Lo spazio si present a così
nella sua profondit à, scandit o dai rit mi archit ett onici lat erali delle colonne, poste a div idere la nav at a
principale da quelle lat erali. I l luogo della celebrazione eucarist ica diviene così il fulcro dello spazio
(immagine basilica di t rev iri) Per segnalare quest o nuov o cent ro simbolico t utt e le st rutt ure conv ergono,
t endono, nei loro v alori formali e v isuali v erso di esso; ment re, a raccogliere e a chiudere il mov iment o
polarizzat o, il fondo dell’aula risuona spazialment e con una grande abside. Quest a, a causa della forma
semicilindrica, si evidenzia nett ament e per forma e significat o dallo spazio dell’aula. La grande semicupola
ev idenzia la realt à lit urgica e ne segna simbolicament e il ruolo sacrament ale. La sint esi che v iene a
cost it uirsi t ra "mov iment o" conv ergent e v erso l’alt are… e la risonant e immobilit à della curv a dell’abside,
concent ra sul fondo il senso di formalizzazione di t ut t o l’organismo: ricostruendo l’unit à t ra processo formale
e significato simbolico dell’archit ett ura. Connessione quest a coscient emente perseguit a se si ricorda che,
t ra le trasformazioni int rodott e dagli archit etti crist iani sulla basilica pagana, olt re alla rot azione dell’accesso
sul lat o minore, c’era st at a l’abolizione del giro di colonne dav ant i ai lat i corti dell’aula rett angolare. Onde
sciogliere la non gerarchizzazione e la no n finalizzazione spaziale propria della basilica pagana… L’area
presbit eriale absidat a non è un l uogo giust appost o, ma polarizza un percorso, un’esperienza; è, la basilica,
simbolo a liv ello generale della v it a crist iana, che t ende nel suo cammino umano v erso il Crist o uomo-Dio.
(…) I l passaggio all’umanesimo rinasciment ale document a insieme al per manere della ce nt ralit à della
t ematica simbolica, una carat terist ica inv ersione nel rapport o che esprime con il simbolo la connessione t ra
l’uomo e Dio… av anzando una sott olineat ura part icolare sulla dimensione umana. I nv ece che esprimere il
rapport o di connessione-dipendenza espresso dalla nav at a processionale paleocrist iana o dalla sequela al
Crist o Crocifisso, v eicolat a dai grandi impiant i con t ransetto a croce lat ina delle catt edrali medioev ali
(immagine piant a cat t edrale), l’aula rinasciment ale spost a il cent ro simbolico ad una dime nsione più
int ellett ualizzat a della div init à. La legge dell’ordine div ino che regge il mondo, può essere int erpret at a
dall’uomo at t rav erso le "div ine" leggi da lui elaborat e della mat emat ica e della proporzione; di qui un nuov o
sent ire definirà gli spazi, che sono finalizzat i all’esperienza del div ino. La razionalit à del Cosmo, opera di Dio,
sarà simboleggiat a dalle opere dell’uomo at t rav erso le forme simbolo della cupola, della cent ralit à, della
perfezione proporzionale. A liv ello di simbologia religiosa si ha la sostit uzione dei simboli cent rat i
sull’esperienza di Crist o Crocifisso, con quelli sul Dio Perfezione. simbolo del div ino div errà la t ipologia
cent rica, perché cerchio e sfera sono le geomet rie che maggiorment e incarnano la la semplicit à e la
perfezione: al modo della div init à, che regge (cent ro) e det ermina (circonferenza) il mondo. (immagine S.
Maria degli Angeli Brunelleschi e t empiett o di S. Piet ro in Mont orio Bramant e) Di qui il t ent at iv o di cambiare
la t ipologia a croce con nuov e st rutt ure spaziali centrali, a cerchio, poligonali, ad ott agono e così v ia.
(Antonio da Sangallo il Vecchio S. Biagio a Mont epulciano) La ricerca del div ino nella perfezione
mat emat ica, annuncia un passaggio decisiv o nell’uomo moderno nell’at t eggiarsi v erso l’esperienza
religiosa. L’uomo si allont ana da un sent ire che v ede nella dipendenza da Dio il cent ro della propria
esist enza, ed allo st esso t empo t ende a porre, come import ant i mezzi di mediazione t ra sé e Dio, strument i
umani (l’ordo mat emat ico), intesi come necessari per arriv are a Dio.
(…) Alla nascit a dell’ordine dei Gesuit i ed alla predicazione int rapresa da S. I gnazio di Loy ola, v a legat o il
deciso rinnov ament o t ipologico spaziale e la st abilizzazione della chiesa ad aula unica con cappelle, la
quale port a a mat urazione l’indiv iduazione di un t ipo archit ett onico div erso sia dall’int ellett ualismo
av anguardistico della tipologia centrica, che dalle soluzioni longit udinali a più nav at e, che con
l’int roduzione della nuov a past orale, che punt av a all’unit ariet à dell’assemblea lit urgica, risult av a poco
adatt a. U na t ipologia che ha nella grande risonanza formale co nferit a al presbit erio con l’alt are, post o in
un’area a c ui è finalizzat o t utt o lo spazio int erno, la sua connessione simbolica fondament ale: la quale è
l’avv icinament o più deciso del modello primo-crist iano , della basilica. Col suo spazio ad aula c hiuso in
fondo da un abside inquadrat o dall’arco t rionfale, sost it uit o a v olt e da un presbit erio quadrat o, sempre però
inquadrat o dall’arco t rionfale ed il t ett o cassett onato. I l rinnov ament o past orale, determina il largo sv iluppo
di quest o t ipo di chiesa, che sarà dett o "gesuitico" (piant e libro benedetti, palladio chiesa del redent ore a
Venezia)».
Nel t ardo XI X secolo, la cost ruzione della chiesa è dominat a da un ampio st oricismo.
Cont emporaneament e si sv iluppa in Europa ce nt rale il Mov iment o Lit urgico, promosso da mo naci ed
int ellett uali che indagano sulle origini del Crist ianesimo. U na sort a di manifest o di quest a corrent e è la
massima di Ro mano Guardini: «La chiesa si risv eglia dall’anima». L’opera del Mov iment o Lit urgico insieme al
port at o t eorico ed alle archit ett ure del Mov iment o Moderno, hanno port at o ad un rinnov ament o radicale
dell’aula cat t olica: esempi come Not re Dame di Ronc hamp segnano una riv oluzione formale di t utt o
quant o era st ato prodott o prima. I l fort e laicismo che ha cont rassegnato la societ à moderna prima e quella
cont emporanea poi, insieme alla riscritt ura del linguaggio e delle t ipologie archit ett oniche ha comport at o
la crisi delle forme e dei t ipi tradizionalment e appart enent i al repert orio religioso. Ciò che è sopravv issuto
sono i simboli, ma la loro declinazione archit ett onica è a t utt ’oggi alla ricerca di una rispost a tipologica, che
risponda alle forme simboliche della religiosit à cont emporanea. A t utt o quest o si è aggiunt o il fort e
rinnov ament o lit urgico int rodott o prima dai mov iment i religiosi della prima met à del XX secolo, poi
ufficializzat o dal Concilio Vat icano II . Negli anni ’30 del secolo scorso, nel t ent at iv o di t rov are la nuov a
espressione simbolica dell’aula, Schw arz distingue div erse forme aggregat iv e t ipiche della comunit à,
denominat e "immagi ni archet ipe" (inserisci schemi schw arz), abbinandole a modelli: "sacra interiorit à"
(l’anello), una forma chiusa che co nsent e l’aggregazione circolare dei fedeli int orno all’alt are; "sacra
part enza", una disposizione a t re quart i di cerchio o a T ; e anche "il v iaggio sacro" (il percorso) una
disposizione a colonne. Lo spazio lit urgico dell’assemblea non è separat o dall’alt are; il ruolo della comunit à
e la sua part ecipazione attiv a all’Eucarist ia div ent ano il nucleo principale della nuov a lit urgia, auspicando il
ritorno al sent ire religioso originario e part ecipato della comunit à in preghiera. La necessit à di fissare la
rappresent azione simbolica di quest o rinnov ament o da inizio ad un processo di ricerca t ipologica e formale
del nuov o caratt ere dell’aula. All’inizio degli anni ’60, il Concilio Vat icano II, int roduce un grande
cambiament o: part endo dal presuppost o che è la comunit à a radunarsi int orno alla me nsa del Signore,
accost andosi all’alt are, fulcro della cerimonia, si att ua una polit ica di cambiament i ai requisit i della chiesa
da casa di Dio a casa della Co munit à. Prende forma l’idea di allest ire l’alt are come punt o cent rale dello
spazio, intorno al quale i fedeli possono raccogliersi. (immagine piant a t onda) I l v alore simbolico della
Comunit à e del suo disporsi durant e la lit urgia ha port at o ad approfondire il concett o di piant a apert a e di
uno spazio per la comunit à dispost o trasv ersalment e intorno ad una pedana cent rale a forma di T
(immagine piant a a t ). La propost a di modificare l’immagine spaziale in relazione alla celebrazione lit urgica
rarament e è st at a applicat a, nonost ante quest a possibilit à offrisse opport unit à di adat t ament o alle v arie
forme aggregat iv e della comunit à. Dall’assemblea dei fedeli sono risult at e sempre nuov e forme di lit urgia.
Circa le different i sit uazioni comunicat iv e sono pensabili div erse configurazioni spaziali. Riflettendo sulle
nuov e v ie dell’archit ett ura di cult o cont emporanea si pone una nuov a quest ione: che cos’è oggi l’U nico?
Tre sono le parole chiav e: spazio, luce e lit urgia. Nella ricerca di spazi a misura, la lit urgia catt olica è st at a
v iv acemente discussa negli anni passat i come soluzione comunit aria. Alla base ci sarebbe l’idea conciliare
per cui la cerimonia dell’Eucarist ia e della Parola sono due mome nt i di pari import anza e spesso, si t rov ano
su un unico asse, magari cent rale. (immagine piant a ellittica) I l cent ro v uot o definisce uno spazio d’at t esa
libero per consent ire nuov e esperienze. La comunit à si distribuisce lungo i due lat i del nuov o cent ro. La
mensa della parola e la mensa del pane cost it uiscono il fulcro dello spazio lit urgico di nuov a concezione.
«… l’Eucarest ia – dirà Von Balt hasar – è solament e il nucleo più int erno dell’int era ist it uzione che noi
chiamiamo Chiesa, alla quale appart iene alt rett ant o essenzialment e molt o di quant o, considerat o
isolat ament e, pot rebbe sembrare puro inv olucro, alienazione, pietrificazione. Valorizzat o inv ece, dalla
int enzione di Gesù esso è possibilit à e mediazione della sua presenza immediat a». L’edificio sacro sarà fatt o
«in modo che most ri quest a presenza… un i nv olucro, un cont enit ore che lo cont enga, senza pot er mai
essere confuso con Lui st esso, qualcosa che Lo renda present e per i credent i e gli amant i senza che si possa
impadronire di Lui i n modo magico». La riflessione di Von Balt hasar, t eologo, sacerdot e e cardinale sv izzero
della Compag nia di Gesù, po ne l’accent o sull’idea di chiesa come casa della Co munit à, in cui l’aula è il
cont enit ore, non il v eicolo, di un ev ent o t rascendent e che st abilisce una co nnessione t ra l’assemblea e Dio.
Moschea
Generalment e si pensa alla moschea co me ad un edificio religioso, non è st at o sempre così. La moschea
delle origini è un luogo pubblico, in cui ci si riuniv a in t ut t e le occasioni import ant i della v it a comune. La
compresenza di funzioni pubbliche e religiose si riv ela dunque come carat t ere fondament ale delle prime
grandi moschee cat t edrali (masjid al–jami) e dov e si sv olgev a anche la preg hiera.
La prima moschea f u cost ruit a nel 662 a Medina, ed era la casa di Maomet t o: una casa a cort e, costruit a
sul modello “cort ile arabo”, influenzat e dall’archit ett ura egiziana, strutt urat a come un grande cort ile
rett angolare circondat o da port icati, font ana cent rale e piccola salett a di preghiera orient at a v erso La
Mecca. (immagine casa di maomet t o moschea di medi na). La cort e dell’abit azione del profet a, non
facev a solo da cornice alla preghiera, mera anche luogo di ricev imento di ambasciat e e spazio per
banchet t i e fest e.
La prima grande moschea cost ruit a dagli Omay y adi (uno dei clan più pot ent i all'epoca del profet a
Maomett o) costruit a intorno ad una basilica crist iana, fu la Grande Moschea di Damasco (705-715)
(immagine moschea di damasco), uno dei migliori e più famosi esempi di moschea delle origini. La prima
moschea qui cost ruit a, av ev a trov at o post o all’int erno del t em enos dell’ant ico t empio di Giov e
Damasceno, spart endo lo spazio con la comunit à crist iana, che av ev a edificat o, al post o della primit iv a
cella del sant uario, la chiesa di S. Giov anni Bat t ist a. Sopratt utt o nel periodo omayy ade, la moschea
cost it uiv a il foro, il luogo dell’assemblea dov e v eniv ano presi i provv ediment i riguardant i la societ à islamica. I
califfi ad esempio, nel primo giorno del loro regno, si recav ano dirett ament e alla moschea per incont rare i
nuov i suddit i; ment re la preghiera rit uale pot ev a essere sv olt a non i mport a dov e, l’assemblea della
comunit à ha luogo obbligat oriament e nella grande moschea. I mpost ato in quest i t ermini il problema, c’è
chi come Sauv aget sost iene che non è nella lit urgia religiosa che occorre cercare la chiav e dell’ordine
archit ett onico della mosche , ma pi ut tost o nelle ist it uzioni gov ernat iv e o, per meglio dire, dalla part e del
cerimoniale aulico. I l m inbar sarà così il t rono o catt edra del capo politico della comunit à; il m ir hab,
inesplicabile dal punt o di v ist a lit urgico dal moment o che non v i si sv olge alcuna azione specifica e dat o
che è l’int ero muro di fondo della sala ad i ndicare la direzione, quibla, della preghiera, no n sarà che il
ricordo dell’abside t erminale delle sale di udienza omay adi, dov e sedev a il principe; la m aqsur a, cioè la
part e della moschea riserv at a al sov rano, sit uat a al fondo della nav at a assiale, immediat ament e av ant i al
muro della quibla, delimit at a da un grat icciat o o da una balaust ra, a v olt e copert a a cupola, sarà
l’equiv alent e delle sale di udienza, dov e il grigliat o ligneo che, secondo l’et imologia del t ermine m aqsur a,
cost it uisce una separazione, corrisponde alla t enda t esa dav ant i all’abside della sala di udienza per
separare il sov rano dal rest o del pubblico. La nav e cent rale della moschea, in asse al mir hab, generalment e
più alt a rispett o alle sale ipost ile laterali e più larga rispett o alle alt re nav at e, sarà t enut a libera dal pubblico
nelle grandi occasioni , esatt ament e come la nav e assiale delle sale di udienza, ment re la popolazione
affollerà le sale ipostile lat erali. Nonost ant e la maggiore alt ezza della nav e cent rale rest a il forte caratt ere
orizzont ale dell’aula, che esprime un’adesione religiosa che fa scendere il cielo in t erra, e che rende
immane nt e la t rascendenza. Quest o caratt ere fort ement e secolare dell’aula, legat o ad un rit uale in cui
politica e religione si fondono, t rov a riscontro nelle conclusioni radicali che Sauv aget pone alle proprie
analisi: il disposit iv o della moschea e quello della sala di udienza no n sono c he due realizzazioni div erse di
una sola t ipologia.
Nel t ent at iv o di dare rispost a al problema delle origini archit ett oniche della moschea no n si può t ralasciare il
fatt o che essa è la più giov ane t ra le t re tipologie di aula. Si not erà come i cost rutt ori di quei v ast i saloni
ipost ili abbiano preso mat eriali da complessi archit ett onici precedent i, principalment e romani e bizant ini,
ut ilizzandoli alla st regua di cav e o di fabbriche di capit elli e colonne. Quest o fatt o potrebbe essere
int erpret at o come una negazione della t radizione ant ica, del t empio romano o della basilica bizant ina.
Tut t avia quando gli arabi arriv arono in Africa (v erso la fine del VII secolo) i complessi monume nt ali, per la
maggior part e, non solo non erano pi ù in funzione, ma erano decisament e abbandonat i, cadut i in rovina,
insomma erano v est igia t enut e in scarsissima considerazione. I n quest o può anche av er giocat o un cert o
senso di emulazione: sent endosi obbligati a essere all’alt ezza della cosa acquisit a o anche cercando di
superarla inv ent ando uno spazio di div ersa ampiezza, destinat o a v alorizzare ciò che era st at o ut ilizzat o
t empo prima in modo div erso. Da qui l’acquisizione dei modelli preesist ent i e la loro t rasformazione: la
moschea degli Omay y adi a Damasco, con le sue t re alt e nav at e parallele, riprende perfett amente la
piant a della basilica cristiana, att uando nuov ament e quella rot azione dell’asse che il catt olicesimo av ev a
att uat o sulla basilica romana. (ischema passaggio dall’impiant o romano a quello catt olico a quello
islamico) Ovv iament e le forme eredit at e sono sott opost e alle regole della nuov a religione perché,
v isualizzando l’orient ament o v erso la Mecca att rav erso il mihr ab, la nicchia riv olt a v erso la kaaba, il cubo
rivest it o di st offa nera, ombelico del mondo, post o al cent ro del recint o sacro, che st a di front e al dev ot o in
preghiera in qualsiasi angolo del mondo si t rov i, e attorno al quale gira il pellegrino quando v a
personalment e a v isit are il luogo sacro.
Dono dell’I slam e quest a capacit à di inglobare, realizzando il dett at o coranico riguardo al promuov ere
l’islam come nazione “di mezzo” (“Così abbiamo fat t o di v oi una comunit à mediana”16)
Quest a “medianit à” della diversit à ha conferit o all’Islam il priv ilegio di essere in cont att o con il mondo lat ino,
greco, cinese, sanscrit o, persiano, siriaco, aramaico, ebraico, crist iano. L’islam ha saldat o quest e t radizioni
separate, le ha unificat e e insieme nei suoi periodi di massimo splendore le ha rinv igorit e (1). Tut t o ciò ha
fatt o dell’I slam una religione eclett ica e medianica, la sua capacit à di inglobare è v isibile ad esempio,
nell’assunzione e t rasformazione dei principi del neoplat onismo, rappresent at o da Plot ino, quando parla
t eologicament e dell’aphat os (l’ineffabile), o del pensiero di Filone di Alessandria, che già all’inizio del I
secolo aprirà a t utte le discendenze monot eist e la strada dell’articolazione t ra filosofia ellenica e scritt ure
rivelat e. Filone, l’ebreo di lingua greca, medit erà sulla figura dell’inv isibile associando i concett i greci alla
Bibbia. Leggerà la frase di I ahv è a Mosè: “Tu non puoi v edere la mia Faccia”, inv ocando l’aper inout os
(inconcepibile), l’aper igr apt os (impossibile da circoscriv ere), l’aschem at ist os (impossibile da raffigurare),
l’at heat os (impossibile da cont emplare). Entrando in rapport o con la nube oscura, Mosè “comprenderà
che Dio, nel suo at t o d’esistere, è incomprensibile a ogni creat ura, e v edrà precisament e la Sua inv isibilit à”.
Ora, si dà il caso, che esist a un v ersett o coranico che è l’equiv alent e esatt o di quello biblico, “Lan t arânî”
(“Tu no n Mi v edrai”). I l concett o di Dio come inconcepibile, impossibile da circoscriv ere e da raffigurare,
ritorna piename nt e nell’Islam, cost ringendo il linguaggio archit ettonico dell’aula di preghiera alla sfida co n
l’indicibile e l’inv isibile. L’aula è simbolicament e concepit a per accogliere “il t ot alment e Altro qui present e”,
int erpret ando una dott rina t eologica che per molt i v ersi si avv icina al pensiero pat rist ico. Giov anni
Crisost omo (344-407), in una riflessione che assimila la v isione alla conoscenza dice: “Perché le v irt ù
incorporee non hanno pupille né occ hi né palpebre, e ciò che per noi è v isione, per esse è conoscenza.
Così, quando sent i dire che ‘nessuno ha mai v ist o Dio’, dev i immaginare che nessuno ha mai co nosciut o Dio
nella sua essenza con perfett a esatt ezza”.
Gregorio di Nissa (seconda met à del I V secolo), inv ece, pur non ignorando la conv ersione della v isione in
conoscenza, persist e nel rimanere all’int erno della ricerca dell’illimit at o che impegna lo sguardo. Poiché ciò
che è ricercat o per essere vist o non ha cont orni, la sua ricerca è l’assillo di ogni ist ant e, div ent a infinit a, e si
t rov a così assimilat a alla ricerca estet ica (quella del Bello) e alla ricerca amorosa (quella del desiderio mai
soddisfatt o): “Non c’è limit azione che pot rebbe int errompere il progresso dell’ascesa a Dio, poiché da un
lat o il Bello non ha confini, e dall’alt ro il progredire del desiderio v erso di Lui non pot rebbe essere fermat o da
alcuna saziet à”.
Gli impiant i delle mosche ipostile raffigurano con la ripet izione quasi ossessiv a del sistema colonnat o, la
rappresent azione dell’ineffabile, in uno spazio sospeso ed ast ratt o, che esclude, nella cont emplazione, t utto
ciò che no n è Dio e raggiunge la perfezione solo quando si spoglia di ogni analogia co n il creat o.
L’it erazione del modulo, i suoi rapport i mat ematico – geometrici, sono il simbolo dell’esperienza met afisica di
Dio. (immagine moschea ipost ila).
Vari sono le t ipologie che la moschea assume nella st oria dell’I slam, legat i alle div erse aree cult urali ed
et niche islamizzat e. Nonost ant e quest e forme archit ett oniche siano nat e in periodi div ersi, non esist e alcuna
filiazione dirett a o ev oluzione del t ipo, si v erifica inv ece una loro compresenzain aree geografiche div erse o
una loro commist ione a formare t ipi archit ett onici ibridi. La moschea araba ipost ila si sv iluppa in Siria, nord
Africa, Spagna ed I ndia si diffonde con il modello a “ T”, che riprende lo schema “cort ile arabo”, con la
v ariant e di av ere la sala di preghiera più grande div isa su più nav at e arcat e e colonnat e con ingresso
monument ale t rasv ersale rispett o alla sala (prat icament e una basilica romana con abside del 4° secolo). I n
area persiana e cent ro asiat ica si sv iluppa la moschea a quat t ro iw an, ambient e delimit at o su t re lat i,
apert o sul quart o lat o su di una cort e int erna. L’ iw an meridionale, in direzione della Mecca, assume
import anza part icolare e precede generalment e una sala a c upola, dov e è sist emat o il mihrab. Questo t ipo
di aula deriv a dalle piant e dei palazzi babilonesi. Quest a imit azione orient ale apport erà all’orat orio islamico
la conquist a dell’alt ezza suggerendo la simbologia del v olo, dello slancio v erso l’alt o, associando
l’esperienza religiosa all’ascesi, al v iaggio dello spirit o nelle sfere celest i. I n quest o modo la t rascendenza è
v isualizzat a proprio dalla capacit à di padroneggiare l’elev azione. Siamo all’oppost o rispetto alle moschee
occident ali prima cit ate, che ev idenziano att rav erso l’orizzont alit à un’adesione religiosa che fa scendere il
cielo in t erra, e che rende immanent e la t rascendenza. (immagine moschea 4 iw e fot o alzato)
Nella Turchia ott omana del XV secolo, su dirett o influsso della chiesa bizant ina di S. Sofia, compare la
moschea a sala unica copert a da cupola, che cerca di coniug are l’idea del colonnat o libero con la sala
cent rale. Sarà così creat o il t erzo grande modello di riferiment o archit ettonico della moschea, olt re l’iw an e
le sale ipost ile. U na delle st rutt ure più complesse, cost ruit a da uno dei maggiori cost ruttori di moschee, Sinan,
cont emporaneo di Palladio ed archit ett o di Solimano il Magnifico, è la moschea di Selimiy e ad Edirne, il cui
impiant o si fonda su un quadrat o v irt uale, su cui si innest a un ot t agono fatt o di colonne ed archi c he recano
il baldacchino come cupola; la l uce ent ra nella c upola e nei muri est erni, creando un v iv ace spazio int erno.
Sinan, lav orando sull’impiant o di Sant a Sofia, ne assimilò l’ispirazione e, per così dire, ne esaurì le possibilit à
v irt uali att rav erso una serie di v ariazioni; (immagine di sant a sofia e di arch di sinan moschea di solimano) ad
esempio nella moschea Shahzad (1548) a I st anbul, si allont anò dal modello di Sant a Sofia, aggiungendo
alt re due semicupole lat erali, ott enendo così una piant a cent rale polilobat a inscritt a in un quadrat o. Poiché
l’alt ezza della cupola (37,5 m) è quasi ug uale al lat o del quadrat o (38 m), il volume int erno suggerisce
l’illusione di un cubo, la forma a cui Plat one att ribuiv a “et erna bellezza”. Il quadrilobo inscritt o nel suo
quadrat o risponde al quadrat o del cort ile, applicando così la disposizione pit agorica dei “quadrat i che
girano in un cerchio”. Si t ratt a della problemat ica geometrica sott esa all’articolazione fra il cubo e la
semisfera, in riferiment o al plat onismo e allo spirit o geomet rico dei greci. Così come nell’Occident e
rinasciment ale, l’aula esprime simbolicament e il suo rimando a dio at traverso l’uso di figure geomet riche
che esprimono assolut ezza, il cerchio, il quadrat o, la sfera. (Bursa, “Moschea Verde”) I l problema del
rapport o fra il cubo e la sfera deriv a dai pensat ori greci; fu poi approfondit o dai loro successori arabi che
disponev ano di t ratt at i di geomet ria prat ica, come quello di Abu al-W afa’ al-Buzjani, X secolo: il Libro delle
cost ruzioni geomet riche necessarie all’art igiano. La collaborazione del sapere geomet rico con l’archit ett ura
si rit rov a quale rispost a allo st esso problema post osi per le chiese bizantine, copt e, visigot e fin dal V secolo.
La Parola, il Verbo, il Logos (di reminiscenza plat onica) ha nell’I slam lo st esso v alore di manifest azione del Dio
che ha nel Crist ianesimo la persona e la v it a del Crist o: l’element o più import ant e dell’insegnament o
islamico riguarda il preciso apprendiment o della Parola di Di, il Sacro Corano. Per il musul mano il Profet a è il
solo port at ore di quest o messaggio. I l Corano è effett iv ament e la fedele riproduzione dell’originaria scritt ura
del Cielo, il Corano così scritt o è ident ico nell’essere e nella realt à alla parola di Dio. I n quest o modo l’I slam
offriv a un’alt ernat iv a all’ant ico problema delle immagini: se Dio no n ha riv elat o se st esso o la sua immagine
al Profet a, Egli ha nondi meno riv elato la fedele immagine della sua Parola. La rappresent azione della
Parola, il Corano, ha offert o un sostit ut o della figura umana c he rappresent a la div init à. I n questo senso è
possibile int erpret are il v alore simbolico della decorazione nella rappresent azione simbolico spaziale della
moschea, in cui le iscrizioni assumono una div ersa int erpret azione simbolica persino della forma o dello st ile
della parola scritt a. (2) Come scindere la rappresent azione della Parola dalla st rutt ura archit ettonica, dalla
qualit à dello spazio che essa cont ribuisce a rendere comprensibile. La moschea rappresent a il razionale,
ordinat o univ erso, una singola, accent rat a unit à di pace e di ar monia, con piccole differenziazioni t ra
int erno ed est erno, solo mist erioso disegni int recciano il loro splendido pat tern nella div ina st rutt ura, ogni
part e sott olineat a e resa int elligibile all’uomo t ramit e la sua Parola.

Sinagoga
L’Ebraismo, la più ant ica delle t re religioni monot eist e, fissa la sacra scritt ura nella Torah; si dice che la
presenza di dieci uomi ni consent a l’allest iment o di una sinagoga, l uogo della let t ura del libro,
dell’insegnament o e dell’assemblea comunit aria. Per gli ebrei la sinagoga no n è il t empio. L’ult imo t empio
ebraico, il Tempio di Gerusalemme, fu cost ruito da Erode dopo la dist ruzione del Tempio di Salomo ne e
dist rutt o dall'imperat ore Tit o. Con la dist ruzione del Tempio, da cui ebbe inizio la diaspora degli ebrei, ebbero
t ermine i sacrifici, che solament e nel t empio si potev ano compiere ed ebbe t ermine il ruolo del sacerdozio,
che lì esplicav a la sua at tiv it à. La dist ruzione del t empio segna una t appa cruciale nella cost it uzione del
giudaismo, così come è oggi. I l passaggio al culto sinagogale, pubblico non più sacrificale, incent rat o sulla
lett ura del Libro.
La comparsa delle sinagoghe qui ndi, segna una profonda rist rutt urazione int erna della religione ebraica,
non più i ncent rat a sul cult o sacrificale, ma sullo st udio, l'insegnament o e la medit azione della Legge, come
element o di conserv azione e di t rasmissione dell’ident it à, t ant o che era proibit o agli ebrei v iv ere in una citt à
dov e non c'erano sinagoghe. Esse inolt re v eniv ano usat e dai viaggiat ori come alberghi, dov e si pot ev a
t rov are sempre un post o per dormire su una panca o in un angolo; in effett i, nella sinagoga, si svolgono
att iv it à sia laiche che religiose, per quest o essa risult a essere sempre il centro di t utt e le comunit à ebraiche,
ed è spesso un punt o di orgoglio per le comunit à.
I l Tempio di Salomone a Gerusalemme (immagine t empio di Salo mone), dat ato decimo secolo a.C., è la
v ersione piet rificat a dell’ant ica t enda-sant uario, la prima casa di Dio, che c ust odiv a l’Arca dell’Alleanza.
Quest o doppio caratt ere st rutt ura pesant e con i caratt eri della permanenza, e leggerezza e t emporaneit à
della t enda, sv olgono un ruolo simbolico import ant e nella sinagoga. I due ogget ti simbolici pregnant i della
sinagoga sono: lo scrigno della T or ah, orient at o verso Gerusalemme, e l’Alm enor , il podio per la lett ura della
T or ah. Nella t radizione st orica lo scrigno della T or ah è dispost o sulla parete principale e l’Alm enor è
collocat o al cent ro dello spazio (immagine sinagoga W right); nel v est ibolo si t rov a comune ment e una
v asca d’acqua, per le abluzioni rit uali. L’orient ament o a lev ant e facolt at iv o per le chiese cattoliche è
obbligat orio verso Gerusalemme per le sinagoghe. La cent ralit à dell’arca sant a , con la cerimonia di
apert ura e chiusura è cerimonia che dev e coinv olgere t utt i i fedeli e dev e esser v ist a da t utt i i punt i della
sinagoga, di qui i fort i criteri di cent ralit à su cui è imperniat o quest o spazio. Generalment e dopo la diaspora
l’archit ett ura della sinagoga ha seguit o gli st ili architett onici locali.
«La sinagoga non è più casa di Dio, ma casa della comunit à, luogo nel quale i fedeli si rit rov ano per la
lit urgia comune, la quale non v iene at t uat a come lit urgia sacrificale sacerdot ale, ma come lit urgia laicale
compost a di lett ura, ist ruzione e preghiera. La sinagoga no n è un sant uario cent rale, ma il luogo di riunione
della comunit à locale. Dio si rende present e non in v irt ù del luogo, ma della co munit à dei credent i» ( H.B.
Mey er) Da quest o punt o di v ist a il modello lit urgico degli ebrei è molt o v icino a quello crist iano, per il quale
la comunit à è l’edificio viv ent e , la comunit à è il v ero e proprio t empio. Vist o in quest i t ermini il modello
originario della chiesa è piut t ost o la sinagoga che no n il t empio.
«Nella tradizione mist ica della Cabala Dio è c hiamat o il Nulla, il v uoto assolut o e da quest o v uot o emerge il
pieno del mo ndo. I l primo luogo sacro è il mondo. Durant e l’erranza del popolo ebreo nel desert o Dio
prescriv e a Besaleel, l’archit ett o capace di comporre la parole di Dio la cost ruzione del Taber nacolo, uno
spazio sacro riproduzione dell’univ erso, il Tabernacolo è la realt à st essa, la realt à ed il luogo in cui Dio
abit erà in mezzo agli uo mini; lo spazio sacro è quindi luogo dell’incont ro con Dio. I l Sant uario di
Gerusalemme è l’ev oluzione del Tabernacolo del desert o, luogo in cui v iene cust odit a l’Arca dell’Alleanza.
Oggi l’ebraismo non ha un luogo sacro. Quest o è st at o sost it uit o dalla sinagoga, che non è il luogo del
sacro, ma il luogo dello st udio, lo st udio della parola di Dio. La parola sinagoga i n ebraico v uol dire casa
della ricerca, ricerca del senso, del senso di ogni cosa».
(B. Crucci Vit erbi, Lo spazio del sacro nel pensiero religioso e nell’archit ett ura cont emporanea)

(1) È per ques t o eclett ismo che “il più gran de maes t ro del s ufismo”, ibn ‘Arabi ( Murcia, 1165-Damas co, 1240), è s t at o
as s ociat o alle più divers e t endenze. La s ua opera è c os ì polimorfa e apert a da farlo definire un “cris tiano incons cio” dal
ges uit a s pagnolo M iguel As ín Palacios , o un neoplat onico dall’egiziano A. E. Affifi, o ancora fu collegat o ad alcune
t radizioni gnost iche, t ant o da as s ociarlo a cert e int erpret azioni s ciit e e iraniane. I nfine il giappones e Tos hihikoI zut su lo
leggerà con s orpren dent e e feconda as s onanza t aoist a. Quest a pluralit à di int erpret azioni ha con dott o alcuni st udios i a
ricordare l’obbedienza del M aest ro all’ort odos sia s unnit a, al di là della s ua au dacia int ellett uale e degli s cart i
impres sionant i che s us cit a la t ensione fra legge ed es perienza che appare in ogni prat ica mist ica, ma che con ibn ‘ Arabi
raggiunge il s uo acme.

(2) Att ravers o le parole dell’is crizione che corre lungo le paret i dei qu att ro iw an della madras a di Sult an Has an "… Faccia
ent rare i cre dent i e le credent i in Giardini alle cui ombre s corrono fiumi dove es s i rimarranno in et erno, e canc elli le loro
colpe: ques t o è, pres s o Dio Succes s o Supremo… " ( XLVIII , 5)

L’aula com e luogo dello st ar e dent ro


L’analisi finora condot t a ha descritto t re t ipologie ben delineat e, che v ogliono distinguersi l’una dalle alt re,
poiché è proprio l’esasperazione dei caratt eri specifici di ciascuna che ne e nfat izza il v alore simbolico. Lett a
in quest i t ermini l’aula è una sort a di roccafort e, in cui ciascuna fede sint etizza ed ostent a i propri simboli. U n
t aglio int erpret at ivo di quest o genere poco si sposa con gli obiett iv i di quest a ricerca, che ricerca ciò che
unisce, non ciò che div ide. Si è v oluto allora di int errogare il t ema dell’aula cercando di rint racciarne il
senso archet ipo, come st rument o att rav erso cui è possibile perimet rale un luogo dot ato di senso rispett o ad
un infinit o sacro, che per il suo essere dot ato di un "dent ro", è deput ato ad accogliere la comunit à, essa
stessa strument o della t eofania.
I l rapport o t ra Pensiero, Archit ett ura e Teofania, olt re che legat o alla specificit à dott rinale di ciascuna
religione, accompagna lo sv iluppo ant ropologico delle civ ilt à ed assume nell’area del Medit erraneo t ratt i
comuni.
I l t ema alla base dello spazio dell'aula è la delimit azione del sacro in uno spazio mobile e relat iv o; l'aula
t raduce il passaggio concett uale da un sacro nat urale ad un sacro cost ruit o, per cui la cont emplazione del
mist ero divino, che prima av v eniv a att rav erso un mont e, un albero, un l uogo speciale, si trasferisce dal
luogo numinoso ad uno spazio cost ruit o.
I l luogo della t eofania, prima che uno spazio fu un luogo, una part e della t erra resa sacra dalla presenza
div ina: ad esempio alcune mont agne che per la forma della loro sagoma ev ocav ano o rimandav ano alla
presenza di qualcosa di soprannat urale. U n esempio tra i t ant i è il mont e Soratt e, sacro al dio Soranus per i
Falisci, ad Apollo, Feronia e Giunone i n epoca romana e a numerosi sant i dopo il crist ianesimo. Con la sua
imponent e massa isolat a domina la v alle del Tev ere ed assume forme div erse a seconda del punt o di
osserv azione.
I l processo di art ificializzazione dello spazio del sacro si avvia con manifest azioni a met à t ra il dominio
dell'archit ett ura e quello della Nat ura. Significat iv a a t al proposito, è la descrizione del sogno di Giacobbe
durant e il v iaggio da Bersabea v erso Carran, cont enut a nel libro della Genesi:
“Allora Giacobbe si sv egliò dal sonno, ebbe t imore e disse: «Veramente c’è il Signore in quest o luogo e io
non lo sapev o! Quant o è t erribile quest o luogo! Quest a è proprio la casa di Dio, quest a è la port a del cielo.
[…] Alla mat t ina prest o Giacobbe si alzò, prese la piet ra che si era post a come guanciale, la eresse come
una st ele e versò olio sulla sua sommit à. E chiamò quel luogo Bet el. […] Giacobbe fece quest o v ot o: «Se Dio
sarà con me e mi prot eggerà in quest o v iaggio che st o facendo, […] il Signore sarà il mio Dio. Quest a piet ra,
che io ho erett a come st ele, sarà un casa di Dio; di quant o mi darai io t i offrirò la decima».( not a Genesi 28,
10-22)
La st ele erett a da Giacobbe è l’immagi ne dei m enhir , espressione del gest o fondat iv o, archet ipo che lega
dio all'uomo: la proiezione v erso il cielo. I l sollev arsi dalla t erra ed att rav erso un'azione dev ot a e ribelle, come
può essere conficcare una piet ra enorme nel t erreno in posizione erett a, cost ruire la port a del cielo. Il
menhir ( Kubr ik nel film “2001 Odissea nello spazio”), espressione dell'origine sacra dell'archit ett ura ed al
t empo st esso affermazione del primat o dell'uomo sulla nat ura e per quest o del suo rapport o di essere
privilegiat o con Dio. I m enhir, dal bret one m en-hir ("piet ra lunga"), cosi come gli alt ari all’apert o innalzat i
prima della cost ruzione dei t empli, v eniv ano eretti in una posizione ideale, da c ui si pot ev a abbracciare
l’int ero paesaggio sacro, come un’ant enna capace di cat alizzare le forze del sacro nat urale dispost e t utt o
int orno. (esem pio)
Tra il f uori, infinit o sacro, cat alizzat o da alcuni eleme nt i, nat urali o artificiali ed il "dent ro sacro" cont enut o in
un creat o art ificiale cost ruit o dall’uomo, int ercorrono alcuni passaggi che legano la forma dello spazio ad
alcune relazioni primarie t ra lo spazio nat urale-archit ett onico e l’uomo (st are fuori, st are sott o, st are dent ro),
che per il loro essere primarie e per il loro relazionarsi con element i archet ipi, si caricano di una v alenza
sacra.
Dello st esso v alore archet ipo è il dolm en, non più mo nolit ico, ma polilitico e solit ament e assemblat o a
port ale. La parola dolm en, anch’essa di deriv azione bret one, dol t avola, m en piet ra, anche se india
un’archit ett ura che, con la sua forma di port a-capanna int roduce st oricament e un concet t o import ant e: "lo
st are sott o", una forma dell’abit are ant esignana dello spazio int erno; come una st anza priv a di un lat o, che
lascia ent rare la nat ura att rav erso la sua port a.
Già appart enent e in pieno al dominio dell'archit ett ura è il t emenos, (recint o), da t em no (t agliare), ovv ero
ciò che t aglia lo spazio, appropriandosi di una part e di esso, da cui deriv erà ancora la parola t empio. I l
t empio però, prima di essere un edificio è st at o un luogo. La st essa parola t eofania, in lat ino indicav a
originariament e una della part i in cui v eniv a diviso idealment e il cielo degli auguri durant e la cerimonia di
consacrazione di un luogo. Alla quadripart izione del cielo il t em plum celest e, corrispondev a la
quadripart izione sulla t erra dello spazio il t em plum t errest re, ovv ero una part e della t erra resa sacra dalla
presenza div ina. Cont rariamente ai luoghi numinosi che manifest av ano in sé qualcosa che t rascendev a la
loro fisicit à, con il t em plum il mediat ore t ra la div init à e l'uomo no n è più la Nat ura, ma è l'uo mo st esso, che
nella figura dell'augure, si appropria di uno spazio nat urale, di una part e della t erra resa sacra dalla
presenza div ina.
Tornando al t ema del recint o, l’idea di limit e int rodott a dall’azione del recingere ident ifica un dent ro ed un
fuori, dov e il dentro è il luogo dell’irruzione del sacro. I l recint o consacra lo spazio int erno come luogo della
t eofania, è immagine del Cosmo, per quest o assume un profondo caratt ere simbolico che si esplica in un
reticolat o geometrico. Sott o questo punt o di v ist a esso è un precursore dell’aula, quello che li accomuna è il
concett o di limite, different e è inv ece il rapport o interno est erno. L’aula si chiude alla nat ura, il recint o nel
suo essere una finest ra sul cielo la ingloba. L’aula co me la st anza, prot egge ciò che cont iene, all’azione del
recingere si aggiunge quella del coprire. La Nat ura irrompe nel recint o, seppur filt rat a dal nov o orizzont e
disegnat o dal suo perimet ro, è negat a inv ece dalla st anza, che sancisce un dent ro aut onomo, quasi
un’ant i-Nat ura o una Nat ura art ificiale, il cui int erno si present a come il luogo specifico del sacro, rispett o ad
un infinit o sacro indifferenziat o come quello nat urale. Gli strument i att rav erso cui si esplica il t ema del recint o
sono il perimet ro, l’est ensione e l’orient ament o: quest ’ultimo presuppone un rapport o con lo scenario
nat urale filtrat o dalla ragione.
CENTRO CIVICO E RELIGIOSO DEL GESU’
REDENTORE A MODENA
mauro galantino
CENTRO CIVICO E RELIGIOSO DEL GESU’ REDENTORE A MODENA
mauro galantino

I l progett o nasce per un co ncorso ad inv it i bandit o nel 2000 dalla Conferenza episcopale it aliana per il
complesso parrocchiale di Gesù Redent ore a Modena, conclusosi l’anno successiv o con la scelt a del
progett o present at o dal gruppo guidat o da Mauro Galant ino […] L’edificio si t rov a alla periferia sud
della citt a, in un ambient e urbano poco carat t erizzat o e a ridosso di abit azioni di media alt ezza, lungo
un asse v iario a quat t ro corsie non lont ano dalla linea ferrov iaria Modena Reggio Emilia. I l sit o oblungo
è occupat o da due corpi di fabbrica – da una part e i servizi parrocchiali, dall’alt ra la chiesa, la
cappella feriale, le abit azioni del clero, la casa di accoglienza per disabili ed anziani – co nnessi da una
galleria che chiude il grande spazio apert o int ermedio. […] I l v olume della chiesa, a ridosso della
grande cort e cent rale, si present a all’est erno con v olumi pressoché ciechi. […] La soluzione più
complessa è quella che i nt eressa gli spazi per la celebrazione. L’aula della chiesa è organizzat a da un
duplice sist ema di assi che int ersecano un i mpiant o quasi quadrat o. Il primo parallelo alla facciat a su
strada, comincia con il port ale maggiore, passa affianco della v asca ott agonale per il batt ist ero e si
conclude con la cappella feriale, dov e si t rov a il t abernacolo eucarist ico. La v asca genera una
grande font ana c he, at t rav ersat a la v et rat a angolare, forma una piscina a cielo apert o, schermat a
dal muro che ne i mpedisce la v isione dalla st rada. Sort a di percorso acqueo che si affianca e
comment a quello c he at t rav ersa l’edificio. Sul secondo asse, perpendicolare all’alt ro, si dispongono
ambone, alt are, ed ort o degli uliv i, anch’esso v isibile dall’int erno att rav erso una grande v et rat a, ma
chiuso da un muro v erso l’est erno. Quest a sist emazione è frutt o di un l ungo lav oro sul progett o di
concorso , che prev edev a la collocazione, più lineare e t radizionale, dell’alt are ad Est di front e agli
ingressi, e una disposizione dell’assemblea orient at a di conseguenza. La radicalit à della soluzione
propost a per il presbit erio e la perplessit à sulla relazione tra alt are e sagrest ia hanno det erminat o il
ripensament o dello spazio dell’aula: t enuti fermi i due eleme nt i lat erali , ort o e font ana, pensat i - come
in part e a Cesano Boscone - per affiancare l’asse dell’alt are, e inserit o il port ale maggiore, si è deciso
per la rot azione dell’assemblea. I n quest o modo « t utt i gli elementi hanno preso la giust a posizione »,
come scrive Galant ino: l’alt are si t rov a dav ant i alla t rasparenza dell’ort us conclusus degli uliv i, che
ricorda lo spazio dell’abside, ment re la font ana e l’ort o div ent ano fuochi spaziali messi in t ensione dalla
font e batt esimale e dall’alt are: « I l progett o di caratterizzazione degli element i nat urali mediant e due
element i della lit urgia si realizza pienament e ». E l’archit ett ura lo sott olinea con la presenza sui due lat i
opposti di massicci ed ev ocat ivi pilast ri cruciformi - a fianco delle v et rat e che smat erializzano gli angoli
per most rare t erra ed acqua – e co n l’int roduzione di una different e cromia, un rosso ott enut o a
cocciopest o a confront o con il biancore dell’edificio, che dalla paret e diet ro l’alt are si est ende alla
cont rofacciat a , fino al front e batt esimale, per poi prolungarsi all’est erno, nel muro che, chiudendo la
font ana, affianca la cappella dell’eucarestia. Cost it uendo, come si legge nella relazione lit urgica sulla
chiesa di Marco Pongiluppi, « un legame t angibile t ra luogo della cust odia e luogo del sacrificio», e
collegando t utt i i punt i salient i della lit urgia. I l caratt ere bifocale dello spazio è poi sancit o dalla
posizione dell’ambone, non più al lat o dell’ambone ma di front e, a formare il polo oppost o dell’ellisse
cent rale disegnat a dai banchi dell’assemblea. Soluzione che rimanda a quella allest it a qualche anno
fa nella cappella papale Rede mpt oris mat er (immagine)nel palazzo apost olico in Vat icano*, che
compare in opere di Rudolf Sc hw arz (immagine)e trov a lont ani precedent i in allest imenti rint racciabili
secondo gli st udiosi di lit urgia, in basiliche paleocrist iane della Siria sett ent rionale. […] L’inv aso spaziale
della chiesa è arricchit o e comment at o da una serie di episodi significat iv i. La gradinat a sulla cont ro
facciat a – sort a di mat roneo – che conferisce alla zona di ingresso il caratt ere di allungat o
endonart ece, corrispondent e a quello est erno. […] Dalla part e oppost a si trov ano la paret e curv a e
forat a che ospit a la sagrest ia ed una zona riserv at a ai bambini, e sull’angolo, la scala che da accesso
agli ambient i delle residenze. Al cent ro lo spazio è dominat o dalla presenza del blocco dell’alt are, su
presbit erio leggerment e sopraelev at o, e dell’ambone doppio – basso per la proclamazione, alt o per il
Vangelo – il cui programma rimanda ad una t radizione il cui inizio è forse indiv iduabile nell’ambone di
Sant a Sofia di Cost ant inopoli. […]
«U n’archit ett ura pov era di simboli che sconsiglia di mat erializzare il div ino» . Non è un caso che il
simbolo più fort e sia forse l’ellisse ai lati della quale si dispone l’assemblea , il simbolo è il v uot o, uno
spazio v uot o di att esa, policent rico, concepit o come espressione della ricerca di un senso plurale che
si sostit uisce all’unit à di senso. La mat erializzazione dell’edificio t ramit e la luce, allora, t rasmett e un’dea
di chiesa non come monume nt o ma co me casa della comunit à, idea che rimanda a riflessioni
t eologiche, past orali e lett erarie diffuse nel dopoguerra dapprima in Germania ed in Francia, poi in
M ass imo Bulgarelli, « I l comples s o parrocchiale It alia, dov e conoscono una fort una crescent e, e qualche t ent at iv o di t rasposizione in archit ett ura dagli
del Ges ù Redent ore a M odena», in Cas abella
770, ott obre 2008Officina, Elect aM ilano. anni Sessant a e Set t ant a.
I l progett o di Galant ino per il Gesù Redent ore sint etizza l’applicazione dei precetti del Concilio Vat icano II
in merit o al nuov o rapport o t ra spazio e lit urgia. Applica oggi, ciò che la Chiesa ha rat ificato nel 1965, a
t est imonianza di co me l’archit ett ura religiosa sia t ra le più lent e nelle sue t rasformazioni. La problemat icit à
della chiesa assiale longit udinale è st at a riconosciut a già dallo st esso Schw arz: «Qui manca lo sguardo
da occhio a occhio, qui nessuno g uarda l’alt ro, t utt i guardano av ant i». La modifica della direzione della
preghiera per quant o riguarda il sacerdot e president e , dopo il Concilio collocat o front alment e alla
comunit à, non era riuscit a a superare quell’idea di spazio che v edev a una chiesa suddiv isa in “sett ore
scenico” ed in “plat ea”. Se sono le azioni lit urgiche a cost it uire v erament e il cent ro dello spazio, la
preghiera della comunit à non si riv olge al presidente. Per quest o motiv o da qualche t empo si dibat te su
una configurazione dello spazio ecclesiale a due f uochi, in un cert o senso un modello ad ellisse, dov e in
un fuoco è collocat o l’ambone e nell’alt ro l’alt are. La celebrazione della lit urgia v iene compresa come
un agire in mezzo alla comunit à, in uno spazio di azione che no n si sv iluppa come un cerchio, il cui ce nt ro
att iri t utt a l’att enzione su un sol punt o - precisament e l’alt are -, è piutt ost o un’ellisse, che possiede due
fuochi ed un baricent ro. ( Spazio sacro ed immagini di chiesa) La bipolarit à comport a la perdit a della
st aticit à della fruizione a fav ore del mov iment o e del coinv olgiment o dell’assemblea.
Quest a ellissi v ede generalment e dispost i alt are, ambone e t abernacolo lungo l’asse maggiore. Nella
chiesa di Galant ino non solo il t abernacolo è posizionato fuori dall’aula, nella cappella feriale, inolt re
l’asse della celebrazione della lit urgia è quello minore. Ne risult a uno spazio rett angolare schiacciat o,
caratt erizzat o da una cert a t rasv ersalit à, nett ament e cont rappost a allo sv iluppo longit udinale della
chiesa catt olica t radizionale, e molt o più v icina alla disposizione spaziale di una cert a t ipologia di
moschee. Lo spazio è schiacciat o t ra due element i nat urali, la t erra, con il giardino degli uliv i, e l’acqua,
con la font ana del font e bat t esimale. La bipolarit à ed il front eggiarsi non è pi ù solo quella degli eleme nt i
della lit urgia, ma div ent a il front eggiarsi dell’albero e dell’acqua, rit orno simbolico ad una sacralit à delle
origini.
Galant ino riprende le ricerche dei maest ri del M.M. circa il ritorno ad una religiosit à legat a alla Nat ura ed
ai simboli della creazione, e le cala in un processo di rinnov ament o del legame forma lit urgia ormai
codificat o. Vuot o e mov iment o in un’archit ett ura pov era di simboli, quasi che l’element o simbolico di
maggior peso sia proprio quel v uot o compreso e compresso t ra le due ali dell’assemblea, «concepito

come espressione della ricerca di un senso plurale che si sost it uisce all’unit à di senso».
*La Cappella Redemptoris mater è l'invito ad aprire un dialogo
tra arte, cultura e fede, temi che spesso hanno trovano eco nel
pensiero del Papa Giovanni Paolo II. Nelle intenzioni dell’ex
Pontefice, la Cappella doveva avere un significato tale da
rendere visibile l’incontro tra l’orien te e l’occidente.
Il Papa formulava questo augurio: "Essa diventerà così un segno
dell'unione di tu tte le Chiese da voi rappresentate con la Sede di
Pietro. Rivestirà inoltre un particolare valore ecumenico e
costituirà una significativa presenza della tradizione orientale in
Vaticano".
Dopo alcuni anni quell'augur io, con la partecipazione attiva del
Collegio Cardinalizio, ha preso consistenza nella Cappella
"Redemptoris Mater", che ristruttura ta e decorata, è offerta alla
contemplazione di tutti con lo splendore vivace dei suoi mosaici
che, sotto lo sguardo del Pantocratore, dominante al centro del
soffitto della Cappella, traducono quella antica espressione che
la liturgia orientale fa sua anche per la bellezza dei luoghi di
culto: "Qui il cielo è sceso sulla terra".
La precedente Cappella, che portava il nome di "Matilde", aveva
visto mutare il proprio titolo in " Redemptoris Mater" nell'Anno
Mariano 1987-88, caratterizzato fra l'altro da una intensa presenza
dell'Oriente a Roma attraverso varie e significative cele brazioni
litu rgiche nei diversi riti delle Chiese orientali cattoliche. Queste
celebrazioni, per volontà del Papa, sono rimaste nella viva
memoria di tutti anche mediante uno sple ndido volume a cura
dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice
(Liturgie dell'Or iente cristiano a Roma nell'Anno Mariano 1987-
1988, Libreria Editrice Vaticana 1990). Tali celebrazioni hanno pure
contribuito a rendere effettivo il desiderio del Papa di
promuovere una visione della Chiesa che respira nella sua
teologia, nella sua liturgia e nella sua spiritualità con i due
polmoni dell'Oriente e dell'Occidente. Questa dualità trova una
risposta formale nella disposizione dell’assemblea sui due lati
lunghi, a formare uno spazio in cui gli astanti gli un i di fronte agli
altri guardano verso il centro dove si trovano in sequenza l’altare,
l’ambone ed il seggio.
San Cristoforo in Westerlan, Dieter Baumewer Sankt Franziskus, Bonn, Leo Zogmayer , 1998
SINAGOGA E CENTRO DELL’EREDITà EBRAICA
CYMBALISTA AL CAMPUS UNIVERSITARIO DI
TEL AVIV
mario botta
Nel 1998, Mario Bott a realizza una sinagoga e relat iv o centro dell’eredit à ebraica nel campus
univ ersit ario di Tel Av iv . L’univ ersit à di Tel Av iv è la più grande di I sraele, ed il suo campus riflett e
una v ast a gamma di st ili archit ett onici, dal funzionalismo minimalist a del Bauhaus, fino ad
espressioni più recent i legat e al post moderno, ed alt ri edifici di not evole pregio archit ett onico
come il W olfson Cent er for Mechanical and Trasport ation progett at o da Kahn nel 1968.
Bott a ricev e quest o incarico nel1995, in un clima cult urale profondament e influenzat o dalla mort e
del primo mi nist ro Yit zhak Rabin (nel nov embre 1995) ed int enzionat o a ridurre la spaccat ura t ra
comunit à ebree ort odosse ed il mondo ebraico secolarizzat o.
L’edificio present av a un doppio programma: dest inare una part e agli ebrei ort odossi, l’altra agli
ebrei liberali. Due spazi, uno accant o all’altro: uno ort odosso per la preghiera, l’altro apert o al
confront o. L’edificio è, infatt i, dest inato a dare spazio alla discussione e alla risoluzione dei conflitt i
esist ent i t ra gli ort odossi seguaci della pura dot trina e chi cerca di aprirsi al mondo
cont emporaneo.
Bott a ha affront at o quest o difficile incarico progett ando due corpi di fabbrica ident ici, due
quadrat i dal t racciat o rigoroso che si t rasformano in t ronchi di cono, due t orri gemelle che olt re il
loro uso prat ico simbolizzano le due part i del rot olo di Torah, così come i camini dei cremat oria
dei campi di st erminio nazist i. I due edifici a piant a quadrat a sono collegati da un ingresso
comune, un passaggio apert o che offre una possibilit à di dialogo, e sono disposti in maniera
rigidament e simmet rica all’int erno di un ret t angolo, ment re le superfici rimanent i sono riserv at e ad
alt re att iv it à fondament ali come il piccolo museo e il cent ro st udi.
All’interno i due spazi v engono declinat i different ement e. Lo spazio della sinagoga ort odossa,
nella sua fissit à, mat erializzat a att rav erso l’uso di sedut e fisse, ed aulicizzat o dalla cornice di
alabast ro pakist ano che t ermina in un’abside semicircolare. I l luogo del confront o, uno spazio
deput at o al confront o t ra laici ed ort odossi, caratt erizzat o da spazi flessibili, generat i da arredi
mobili e dalla presenza di un podio prov v ist o di un guscio ricurv o e collegat o est ernament e al
corpo di fabbrica per mezzo di una v et rat a. L’abside e il podio rappresent ano le due t erminazioni
dell’asse del complesso.
I l riv est iment o esterno dell’edificio è in dolomia rossa ment re t utt e le paret i int erne sono in piet ra
dorat a di Toscana: si t ratt a di due mat eriali che att rav erso il loro dialogo architett onico e
geomet rico sott olineano il caratt ere archet ipo dell’edificio.
“La cult ura cont emporanea offre un’archit ett ura di consumo e di frast uono, ma credo sia
import ant e pensare che esist a anche un’archit ett ura del silenzio, dov e è possibile ev ocare alt re
condizioni, alt ri sentiment i, alt ri amori... L’archit ett ura cont emporanea è fort ement e legat a ai fatt i
t ecnici, agli element i funzionali: quest a è una grande limit azione. L’archit ett ura come linguaggio,
come presenza fisica, riesce a comunicare olt re il contingent e; l’archit ett ura è una "permane nza"
che dialoga con il t rascorrere delle st agioni, con il ciclo solare, con la nozione del t empo:
l’archit ett ura richiede t empi lunghi".
“U no spazio per pregare e uno spazio per discut ere: una sinagoga ed una sala co nferenze, un
luogo di incont ro fra religiosi e laici. Sono quest e in sint esi le richiest e che Paulet te e Norbert o
Cy mbalist a mi hanno affidat o con l’incarico di cost ruire una nuov a strutt ura all’int erno del Campus
della Tel Av iv U niv ersity. Con le aut orit à univ ersit arie nel gennaio 1996 si è poi indiv iduat o il luogo
ritenut o idoneo per quest a nuov a cost ruzione: un angolo della grande piazza v erde cent rale
caratt erizzat a delle att rezzat ure collett iv e del Campus in modo che la nuov a st rutt ura pot esse
facilment e offrirsi come “servizio” per gli st udent i. All’archit ett o capit a rare v olt e nel panorama
delle att uali commesse, di disporre di un mandat o così preciso e chiaro nei suoi obiett iv i: cost ruire
due spazi dist inti nelle funzioni, ma unit i come segno per esprimere la comune domanda di
spirit ualit à. Nell’affront are la riflessione che ha port at o al progett o, mi ha aiut at o la det erminazione
della commit t enza e la generosit à che l’ha cont raddist int a. Sono conv int o che un proget t o
scat urito da una simile domanda no n può essere che semplice e fort e. I due principali spazi richiesti
assumono nel progett o una doppia immagine arc hit ett onica che emerge dallo zoccolo dei serv izi
al piano t erra. I due v olumi a base quadrat a si innalzano modellando un conoide c he si configura
come cerchio a liv ello di copert ura: i v olumi sono t ratt at i con gli st essi mat eriali (piet ra “dorat a”
all’int erno e pietra di Verona all’esterno) e present ano un ident ico t ratt ament o int erno della luce
zenit ale. Sono v olumi archit ett onici che generano spazi geomet rici identici ma dest inati a funzioni
div erse; come due t est e di un unico corpo offrono un’i mmagi ne bipolare che risuona mist eriosa sui
significat i e sulle possibili funzioni. Ma i v eri t emi tratt ati sono (olt re alle ev ident i funzioni legat e alla
sinagoga e alla sala conferenze) proprio quelli dell’archit ett ura t out -court nell’offert a della qualit à
degli spazi di cui in quest o caso l’archit ett ura riv endica il primat o. L’eccezionalit à del rapport o
dimensionale fra i due v olumi principali rispett o a quelli di serv izio e il relat iv o impatt o plast ico
est erno risult a fort e malgrado le dimensioni esigue: l’aspett o tot emico dell’insieme diviene
enigmat ico e int erroga i fruit ori sulla capacit à espressiv a dell’archit ett ura che olt re a specchio del
proprio t empo t est imonia una me moria millenaria.”
Mar io Bot t a
La stessa aula declinata in due usi diversi attraverso la posizione
delle sedute
Sinagoga El Ghriba, Tunisia Sinagoga Cymbalista, Tel Aviv
«La sinagoga non è più casa di Dio, ma casa della comunit à, luogo
nel quale i fedeli si rit rov ano per la lit urgia comune, la quale non v iene
att uat a come lit urgia sacrificale sacerdot ale, ma come lit urgia laicale
compost a di lett ura, ist ruzione e preghiera. La sinagoga no n è un
sant uario cent rale, ma il luogo di riunione della comunit à locale. Dio si
rende present e non in v irt ù del luogo, ma della comunit à dei credent i»

( H.B. Mey er)


Da quest o punt o di v ist a il modello lit urgico degli ebrei è molt o v icino a
quello crist iano, per il quale la comunit à è l’edificio v iv ent e , la
comunit à è il v ero e proprio t empio. Vist o in quest i t ermini il modello
originario della chiesa è piut t ost o la sinagoga che no n il t empio.
«Nella tradizione mist ica della Cabala Dio è c hiamat o il Nulla, il v uoto
assolut o e da quest o v uoto emerge il pieno del mondo. I l primo luogo
sacro è il mondo. Durant e l’erranza del popolo ebreo nel desert o Dio
prescriv e a Besaleel, l’archit ett o capace di comporre la parole di Dio
la costruzione del Tabernacolo, uno spazio sacro riproduzione
dell’univ erso, il Tabernacolo è la realt à st essa, la realt à ed il luogo in
cui Dio abit erà in mezzo agli uomini ; lo spazio sacro è quindi luogo
dell’incont ro con Dio. I l Sant uario di Gerusalemme è l’ev oluzione del
Tabernacolo del desert o, luogo in cui v iene cust odit a l’Arca
dell’Alleanza. Oggi l’ebraismo non ha un l uogo sacro. Quest o è st at o
sost it uit o dalla sinagoga, che non è il luogo del sacro, ma il luogo dello
st udio, lo st udio della parola di Dio. La parola sinagoga in ebraico v uol
dire casa della ricerca, ricerca del senso, del senso di ogni cosa».
(B. Crucci Vit erbi, Lo spazio del sacro nel pensiero religioso e
nell’archit ett ura cont emporanea)
MOSCHEA DI NEW GOURNA
hassan fathy
La moschea è essenzialment e un l uogo chi uso che serv e a prot eggere i fedeli durant e la
preghiera. Vincolante è l’orient ament o v erso La Mecca, indicat o dalla direzione della quibla
(muro orient at o v erso La Mecca, cont rassegnat o dalla presenza del m ir hab). A New Gourna,
come in molt e alt re moschee quest o orient amento difficilmente coincide con la direzione
delle v ie e spesso la transizione tra il muro perimet rale, la port a d’ingresso e l’int erno orient at o
v erso La Mecca pone un int eressante problema, piacev olment e risolt o da un int reccio di
corridoi e nicchie. La preghiera indiv iduale è riv olt a alla quibla, ment re durant e le assemblee,
gli ast ant i si dispongono in cerchi concent rici int orno all’im am .«La differenza più not ev ole fra
una moschea e una c hiesa crist iana st a nel fatt o che la moschea non ha un punt o cent rale
come l’alt are, dov e architett ura e rit uale conv ergono fino ad incont rarsi (…), la moschea è al
serv izio dei fedeli, racchiusi da un recint o, che li isola dal mondo est erno, i loro pensieri
v engono riflessi dalle paret i spoglie e la loro att enzione si concentra su Dio. Ecco perché non
v i sono né dipint i, né st at ue, t utt ’al più qualche t est o scritt o e neppure cerimonie. I musul mani
non rit engono necessari intermediari per ent rare in cont att o con Dio e neppure dei simboli
per int erpret arlo». (Hssan Fat hy)
« L’I slam enfat izza la presenza onnipot ent e di Dio, cui è riserv at o il pot ere di creare. La
deliberat a assenza nella cult ura islamica, di immagini creat e dall’uomo, v a dunque int esa
come un segno di rispett o a Dio. L’applicazione di quest e idee all’archit ett ura ha suppost o
l’abbandono dell’unit à e della singolarit à che carat terizzav a l’archit ett ura t radizionale
dell’Occidente e la comparsa, come cont ropart it a, di un’archit ett ura generica e no n
part icolarizzat a. I n essa, la nuov a idea di preghiera che la religione islamica port av a con se
pot ev a trov are l’at mosfera che le era necessaria: la presenza diffusa di Dio si mat erializzav a
nella v ast it à senza fine dello spazio art ificiale della moschea. […]I n altre parole, sia l’assialit à
che la seque nzialit à, che la grandiosa cent ralit à delle prime chiese e basiliche crist iane,
spariv ano a fav ore di uno spazio neut ro e no n carat t erizzat o. I l centro focale dello spazio
crist iano, l’alt are, era complet ament e annullat o. I l nuov o cent ro era la quibla, un “muro di
preghiera” cont inuo con una piccola nicchia, il mihrab, ispirat o probabilment e alle absidi
crist iane, ma priv o del loro significat o lit urgico. I l mihrab comport av a, t utt av ia, la necessit à
della simmet ria, che appare di nuov o come inev it abile principio formale capace di imporre
un cert o ordine, anche nelle condizioni di ast razione e di indifferenza proprie dell’archit ett ura
delle moschee».
(R. Moneo, La solit udine degli edifici)
Bilal Habbad, moschea di Al Nourein, Giordania

Mangera yvars, Londra


ANNULLAMENTO DEL SISTEMA ASSIALE LONGITUDINALE DELLA CHIESA NELL’ ARCHITETTURA
POST CONCILIARE

I n passat o come nella moder nit à ci sono st at i modelli di archit ett ura sacra che poco si sono
relazionati con la lit urgia, immagini legat e più all’immaginario collett iv o, che ad un’idea t eologica o
ad un pe nsat o legame forma-lit urgia. Molt i st udi ed alt rett ant e archit ett ure dimost rano che la chiesa
ad impost azione assiale è ormai espressione di una lit urgia superat a dalla Cost it uzione Lit urgica
approv at a dal Concilio Vat icano II. La problemat icit à dell’impiant o mono-assiale v enne riconosciut a
già nella prima met à del XX secolo, come dimost rano gli st udi di archit ett i come Schw arz, o di lit urgisti
come Guardini, che indiv iduarono nel modello celebrat iv o dell’anello chiuso o apert o, che Sc hw arz
cercò di realizzare già a Rot henfels, lo st rument o per superare la chiesa mono-assiale longit udinale.
L’idea di una cost ruzione dello spazio att orno alla lit urgia ed alla comunit à informa le linee guida
dell’edificio religioso post conciliare; il rinnov ament o è t ale da mett ere in discussione la st essa
presenza dei banc hi dello spazio di preghiera. I n sost anza si comincia ad at t uare oggi quella riforma
che av ev a av ut o avvio negli anni ’20 con le av anguardie del Moviment o Lit urgico, rat ificat a poi dal
Concilio Vat icano II . Al di la delle ripercussioni che quest i ragionament i pot ranno av ere sulla chiesa in
se, ciò che qui int eressa è il mut ament o nell’int erpret azione dello spazio dell’aula che perde il
caratt ere di percorso a sviluppo longit udinale la cui met a è un l’alt are , sviluppandosi int orno al v uot o,
che collega t rasversalment e due punt i, l’alt are e l’ambone. L’int roduzione del concet t o di
t rasver salit à procura un v ert iginoso avv icinament o tra l’impiant o spaziale della chiesa e quello della
moschea. Quest e due idee di spazio, con quella di sinagoga non come l uogo sacro, ma come
spazio della lett ura e del confront o, sono le tre ipot esi su cui cost ruire un’ idea t ipologica per la
st anza-aula, che istit uisce l’ev ento st orico della comunione dello spazio di preghiera delle t re fedi
monot eist e, rinv iando alla div isione del t empo il suo ut ilizzo per i rit i collett iv i.
La t rasv ersalit à, l’import anza del v uot o come element o ev ocat iv o del sacro, ed allo st esso t empo
l’ev ocazione del sacro att rav erso la configurazione dell’assemblea, sono t utt i element i in messi in luce
da una co noscenza più approfondit a degli spazi religiosi, rappresent ando met e v erso cui si orient a il
nuov o rapport o forma lit urgia. Quest e t rasformazioni tendono alla radice unica dello spazio di
preghiera delle t re religioni abramit iche, offrendo spunt o per una riflessione sulla possibilit à di pensare
ad uno spazio unico di preg hiera, che t utt av ia conserv i i caratteri di riconoscilbilit à di ciascuno
spazio.
DECLINAZIONE DEL TEMA DELL’AULA ATTRAVERSO L’DEA DI TRASVERSALITA’ mos chea

Direzione della M ecca


Il t ema della t ras vers alit à viene declinat o
att ravers o un impiant o ad an dament o chies a
rett angolare c on il lat o maggiore quale
direzione prevalent e

Direzione vers o Es t

Per evit are la prevalenza di una direzione


dello s pazio dell’aula ris pett o all’alt ra,
s opratt utt o in funzione del modo di
acce dervi, s i è s celt a di ent rare nello
s pazio lungo la diagonale Direzione generica

s inagoga

Direzione vers o Gerus alemme

La dis pos izione dell’ass e di percorrenza


lungo l diagon ale offre una vist a di
s corcio dello s pazio dell’aula Direzione delle s edut e a formare
gruppi di lett ura che medit ano
s ulla Torah
TRASVERSALITA’ COME TEM A SU CUI FONDARE UNO SPAZIO COMUNE

L’aula si fonda su due direzioni quella t rasv ersale e quella diagonale. La necessit à della t rasversalit à
è st at a già dimost rat a nelle riflessioni sulla possibilit à di indiv iduare uno spazio di preghiera comune
e sulle radici e t rasformazioni del concet to di aula. La seconda direzione, quella diagonale, nasce
da una riflessione sul modo di accede e di percepire lo spazio sacro. Nell’assett o t radizionale di
ognuna delle t re aule, l’asse d’ingresso coincide con la direzione prev alent e dell’aula, e si carica
di fort i significat i simbolici. Solo nella modernit à la coincidenza asse d’ingresso-asse simbolico è
st at a messa in discussione, si pensi ad esempio alle riflessioni di Le Corbusier in Ronc hamp sul modo
di accedere all’aula. Posizionare l’accesso all’aula in un angolo, v uol dire annullare la gerarchia di
t utte le direzioni, anche di quella t rasv ersale, a fav ore di una direzione alt ra la cui qualit à st a nel
percepire lo spazio di scorcio, rimandando la capacit à di orient arsi non ad un asse st atico dat o,
ma al dinamismo del percorso che ha inizio proprio dallo spigolo su cui si innest a la diagonale.
Guardando agli schemi della pagina precedent e, è possibile osserv are come anche la direzione
t rasv ersale non gerarchizza lo spazio, poiché affidando alla disposizione dell’assemblea la
conformazione dello spazio, se ne deduce che le direzioni prev alent i sono t utt e e nessuna, perché
il v ero simbolo del sacro non è la linea at trav erso cui si discret izza la direzione, ma il v uoto int orno a
cui si organizza lo spazio, quel v uot o met afisico che simboleggia l’indescriv ibilit à di Dio. La forza del
v uot o è t ale da v incere anche la prepot enza del muro di fo ndo c he racchiude gli unici t re simboli
superst it i; la fessura nel muro che i ndica il m ir hab, l’alt are ed il t abernacolo che come due piet re si
st accano dalla t essit ura dell’unico muro. Le st esse direzioni di preghiera non coincidono con
l’orient ament o dell’aula, ma se ne serv ono per meglio sv iluppare il proprio assett o, ne deriv a una
molt iplicazione degli spazi. L’aula così conformat a è il luogo dello st are dell’assemblea, la cui
forma nasce da dent ro v erso fuori, non è una forma st at ica, ma un impiant o in div enire: dinamico
nel suo modo di essere fruit o, grazie al t racciat o regolat ore della diagonale, e agli spazi che si
generano al disporsi dell’assemblea; dinamico perchè al silenzio ev ocat iv o del v uot o della grande
aula, corrisponde il corpo v iv o dell’assemblea che at trav erso il suo disporsi ev oca la t eofania del
sacro.
Chies a di St . Pierre a Firminy ( 1963) , pros pett iva a volo di uccello, piant a dell’aula al
primo livello e s ezioni
DA NOTRE DAM E DU HAUT A RONCHAMP A ST. PIERRE A FIRMINY: UNA NUOVA IDEA DI SPAZIO
PER L’AULA
Einst ein, dopo un incont ro con Le Corbusier a Princet on, gli scriv e la sera st essa, a proposit o del
Modulor: “Si t ratt a di un sistema bidimensionale che rende difficile il male e facile il bene”: con il
Modulor viene ufficialment e codificat o il principio unificat ore univ ersale che regola la v it a ideale
dell’uomo ideale, dall’archit ett ura alla meccanica, “dalla forchett a alla citt à”.
Numero, mat emat ica e geomet ria sono alcuni t ra i dispositiv i att rav erso cui Le Corbusier ha cercat o di
int erpret are lo spazio dell’uomo moderno, calandolo nella quart a dimensione, il t empo. La scient ificit à
di quest i st rument i si fondev a in lui con la poesia del suo essere pitt ore, scult ore, art ist a. Lo spazio che
ne v iene fuori è misura-geomet ria ed espressione-poesia allo st esso t empo. Nel suo t ent ativ o di
riscriv ere lo spazio dell’uomo moderno, riflett e cost ant ement e sulla funzione, nell’accezione più alt a
che si può at tribuire a quest o t ermine (spiegare l’accezione). Cala la funzione nel numero (il modulor),
la declina in spazialit à riscritt e att rav erso le nuov e t ecniche cost rutt iv e, espresse con un linguaggio
compositiv o che nasce un ragionament o serrat o sulle origini dell’archit ett ura e dagli st udi delle
av anguardie art istiche di inizio secolo e cont inua at t rav erso una ricerca del t utt o originale. Lo st esso
met odo di ricerca viene applicat o in ogni occasione di proget to, dal design all’urbanist ica, in t utt e le
scale e t ipologie int ermedie dell’edificio. Che cosa succede quando si t rov a a confront o con l’edificio
sacro. Mai come in quest o caso è difficile per lui lav orare sulla funzione. Gli edifici per il cult o progett at i
da Le Corbusier sono ant eriori alla chiusura del Co ncilio Vaticano II , e quindi alla riforma i n chiav e
moderna della lit urgia. Nonost ant e ciò, egli comincia a lav orare sull’impiant o dell’edificio sacro, il suo
ripensare al senso dello spazio è già t orment at amene v isibile in Ronchamp, dov e t ent a di rompere la
scatola ripensando all’aula, al suo modo di accederv i, al suo rapport o con l’est erno ed al senso del
sacro da essa espresso. I l lav oro di ricerca sull’edificio sacro trov a il suo approdo in Firminy , lav oro in cui
Le Corbusier riesce a descriv ere la nuov a t ipologia dell’aula: lo spazio pubblico di preghiera dell’uo mo
moderno. Lo fa ripensando radicalme nt e la spazialit à dell’aula, ovv ero il pensiero filosofico-spaziale
che si esprime at trav erso leggi mat emat iche e geomet riche e sott ende alla conformazione di quello
spazio.
Anche quando comincia a lav orare a Ronc hamp, smo nt a il discorso archit ett onico t radizionale, e
cerca di ricomporre una nuov a sint assi dell’archit ett ura religiosa, una nuov a sint assi di cui bisogna
inv ent are le regole: sul suo t av olo c’è l’aula, le direzioni, gli assi, la geomet ria i t est i sacri, la lit urgia
t radizionale,l’uomo moderno. Qui la preoccupazione t eorica dev e sposarsi con l’ispirazione lirica. Non
può int accare la lit urgia, ne quindi gli element i att rav erso cui essa v iene messa in at t o, l’alt are,
l’ambone, il t abernacolo, la loro disposizione, la loro relazione con le alt re part i dell’aula. Comincia
allora a scardinare il sist ema lav orando sullo spazio che gli st a intorno e su quelle component i dell’aula
che sono più facilment e sv incolabili dalle rigidezze lit urgiche. Ripensa allora uno dei co ncett i base
dell’aula cat t olica, il percorso processionale dall’accesso all’alt ere simbolo dell’esperienza di Crist o.
Non si libera t utt av ia della t radizione, t anto che quello cui approda è ancora l’aula, la st anza per cert i
aspetti lit urgicament e tradizionale. I n Firminy quella st anza non è pi ù la st essa aula, quel t ent at iv o di
scardinare att rav erso le forme plast iche, libere di Ronchamp, di legare le forme al sent ire dell’anima,
t ra numero, spirit o e ragione, t rov ano rispost a in uno spazio in c ui alla x , y , e z dello spazio cartesiano, si
è aggiunt a la quart a dimensione il t empo, con t ut t a la sua carica mist ica e misterica, il sent ire
ancest rale del sacro, l’unico che può rispondere o corrispondere all’uomo moderno. L.C. av ev a già
cercato nella mat emat ica e nella geomet ria la chiav e di lett ura della Creazione, ma nell’aula di
Ronchamp t utt o quest o è ancora legat o al disporsi sul piano dello spazio dell’assemblea; in Firminy Le
Corbusier si sollev a dal piano disponendo le sedut e su due liv elli, in quest o modo conquist a lo spazio
non solo come proiezione in alt ezza dell’aula, ma port ando l’uomo st esso in alt o. Il percorso del
credent e non è pi ù una linea c he da fuori at t rav erso una ret t a e la sua direzione conduce ad un
punt o (l’alt are) sia pure esso concett ualment e infinit ament e lont ano. I l percorso da piano div ent a
mat erialment e ascensionale, seguendo non più una linea, ma una spirale, che cont rariament e alla
linea riesce ad ev ocare non a raccont are, è il legame t ra Dio e Nat ura, la presenza di Dio nel creat o,
la regola della Creazione. Le Corbusier av ev a già cercat o nella mat emat ica e nella geomet ria la
chiav e di lett ura della Creazione, nella spirale rit rov a il suo concett o di continuit à spaziale, di spazio
percorribile in più dimensioni e direzioni, lo spazio-t empo secondo delle t eorie einst einiane, della
poet ica cubist a, cui egli st esso av ev a aderito. Nell’opera di scomposizione della forma del Cubismo
analit ico e sint et ico di Picasso e di Braque, risiede la sua st essa ricerca di un ordine i nt rinseco alla
realt à, frutt o di un lucido at to int ellett uale con il quale l’art ist a ricompone ciò che è st at o analizzat o
secondo un ut opico modello di purezza formale, non nat uralistico, ma razionale. C’è più di un ricordo
di Cezanne, padre spirit uale del Cubismo e di t utt a l’art e moderna, che ha demolit o con la sua opera
il principio fondament ale della prospett iv a, l’unicit à del punt o di v ist a, proponendo per la prima v olt a
l’esempio di una realt à non copiat a, ma cost ruit a intellett ualment e nei suoi aspett i essenziali, secondo
una logica t rascendent e. Le Corbusier abbando na le t re dimensioni e l’unicit à del punt o di v ist a
dell’aula t radizionale, che t rov a il suo fuoco nell’alt are, a fav ore della quart a dimensione, e scegliendo
la spirale come t racciat o regolat ore, piuttost o che la linea int roduce nello spazio il t empo, e fa dello
spazio dell’aula qualcosa di mist ico di avv olgent e di ev ocat iv ament e indescriv ibile, ma allo st esso
t empo mat emat icament e cont rollabile. I l t rilit e (dolmen) dell’esperienza di Ronc hamp, si è t rasformat o
in un m enhir a Firminy , di cui Le Corbusier riesce a progett are l’int erno. L’interno del suo m enhir è
l’espressione della sacralit à cont emporanea, un sent ire complesso e t ribale allo stesso t empo, di una
ragione così t irat a all’est remo da div ent are mist ica. Non ci sono più le spigolosit à dei piani euclidei,
t utto è fluido, t utt o è mat eria plastica, che si esprime att rav erso linee di forza. L’aula non ha più una
direzione è t ant e direzioni e t ant i spazi nello st esso spazio; lo st esso asse che segna a t erra la linea che
unisce l’ingresso all’alt are, ricordo lont ano di Ronchamp, quasi come l’uso di una st essa parola in due
significat i div ersi, non ha più peso, perde la sua direzione nella molt eplice direzionalit à spalancat a agli
occhi del fedele già all’at t o di ent rare nell’aula. Firminy è una pluralit à di spazi, ma allo st esso t empo
un unico spazio. U na pluralit à di direzioni e punt i di v ist a ancorati ad un percorso a spirale che li lega
assieme. E’ uno spazio cav ernoso, ancest rale, ma allo st esso t empo fut urist ico, sint et izzabile
nell’immagine di 2001Odissea nello Spazio, in c ui St anley Kubrick accost a all’uomo scimmia il mo nolit e
mist erioso. Non ci sono più assi, il caratt ere dello spazio non è affidat o più alle direzioni prev alenti, ma
è la cont inuit à di uno spazio av v olgent e ad ev ocare il senso del mistico e del sacro. La stessa presenza
di una sort a di presbit erio su cui sono poggiat i la sede, l’alt are, l’ambone ed il t abernacolo perde peso
simbolico rispetto alla densit à di senso dello spazio, i simboli t radizionali non riescono ad essere
prot agonisti dello spazio, che nella sua int erezza div ent a esso stesso simbolo.
La t esi ha dimost rat o che le t re tipologie di aula possono essere lett e secondo caratt eri affini e che si
possono t enere insieme grazie al t ema della t rasv ersalit à, ma Le Corbusier ha messo in discussione lo
stesso concett o di aula, proponendone una nuov a int erpret azione. Firminy non è più un aula, ma è lo
spazio cav o all’int erno di un m enhir , la cui lezione archit ett onica non solo supera il concet t o
t radizionale di direzionalit à dell’aula, ma suggerisce la possibilit à di concepire uno spazio c he è pl urale
e singolare allo stesso t empo, ovv ero compost o da t anti ambit i, che part ecipano anzi sono una unit à
spaziale, proprio perchè t enut i assieme dal t racciat o regolat ore della spirale e non della linea. Al di là
delle ripercussioni che una simile riflessione può av ere sulle sorti dell’aula catt olica, Firminy offre per
quest a ricerca la possibilit à di concepire uno spazio archit ett onico compost o da più ambit i, che allo
stesso t empo rifuggono dal rischio della “cappellarit à”, conserv ando l’unit à spaziale. La forza
ev ocat iv a dello spazio, inolt re, riesce a sov rast are il port at o simbolico degli elementi iconici di ciascuna
religione, riuscendo a t enerli assieme. La st rada int rapresa da Le Corbusier a Firmi ny , è un percorso
int errotto, i cui esit i non sono st at i approfondit i. Le ist anze a fav ore di un rit orno alle origini della
religiosit à lo av ev ano port at o alla configurazione di uno spazio che, part endo da un ragioname nt o
sugli assi e sulle direzioni, sul rapport o t ra assialit à e/o direzionalit à, insit o nel concett o stesso di aula, lo
av ev a condott o ad allont anarsi la linearit à a fav ore di un andament o a spirale, abbandonando il
piano per conquist are lo spazio, una spazio che nella spirale rit rov av a la sua dime nsione ancest rale,
andando alle origini del concet t o st esso di archetipo. U n’opera di fort e slancio art ist ico, un modello
raro e v alev ole proprio per la sua unicit à o un’indicazione t ipologica? Sicurame nt e una st rada
int errott a, che da rispost a alle domande post e da uno spazio che non ha precedent i nella st oria

dell’archit ett ura, un’aula di preghiera per le t re religioni abramit iche.

Schemi compos itivi delle ches e di Firminy e Ronchamp


Chies a di St . Pierre a Firminy, vist a dall’est erno
Chies a di St . Pierre a Firminy, vist a dall’est erno: access o alla zona bas ament ale, rampa di acces s o all’aula
LA CHIESA DI ST. PIERRE A FIRMINY
Alla mort e di Le Corbusier, il 27 agost o 1965, non esist ev ano disegni esecutiv i della chiesa di Saint -Pierre
a Firminy , rimast a priv a anche di co mmit t ent e, dopo la rinuncia definit iv a del comit at o parrocchiale l’8
febbraio del 1965. L’ult ima serie di disegni conosciut a, dat at a 23 dicembre 1963, si riduce a una
planimet ria generale in scala 1:500 e t re t av ole con piant e, sezioni e prospetti in scala 1:100. Eppure,
quarant ’anni dopo, la chiesa, inaugurat a il 29 nov embre, esist e, sopratt utt o grazie alla perseveranza di
José Oubrerie.
Dal giugno 1960 all’agost o 1965, t ra i collaborat ori dell’at elier Le Corbusier in rue de Sèv res, il
progettist a incaricat o era proprio Oubrerie. Nel 1968, è a lui c he il nuov o commit t ent e, l’«Associat ion Le
Corbusier pour l’église de Firminy Vert », affida la responsabilit à della costruzione della chiesa sulla base
dei docume nt i lasciat i da Le Corbusier. Oubrerie firma i disegni esecut iv i e cost ruisce il 75% della
strutt ura port ant e della chiesa. I nfine quando nell’ot t obre 2002 l’associazione, rimast a senza fondi,
lascia la chiesa così come era alla comunit à del Comune di Saint -Et ienne Mét ropole, l’incarico v iene
confermat o a Oubrerie, che div iderà con l’At elier de l’Ent re, Yv es Perret e Aline Duv erger, archit ett i
operat ivi.
Se la part ecipazione di Oubrerie alla genesi di quest o st udio in seno all’at elier di rue de Sèv res è
incont est abile, la pat ernit à di Le Corbusier lo è a maggior ragione. I principi fondat ori di Saint -Pierre de
Firminy sono profondament e radicat i nel pensiero lecorbusieriano. S’inserisce nella cont inuit à degli
st udi avviat i con la chiesa di Tremblay del 1929: sopraelev at a su un basament o quadrat o massiccio,
serv it a da una rampa est erna monument ale e v est it a da un g uscio di calcest ruzzo che consent e
un’illumi nazione zenit ale del sant uario.
Fino alla sua mort e, Le Corbusier riv endica quest o progett o most rando la ferma v olont à di realizzarlo:
per quest o era necessario cost ruirlo dopo la sua mort e? Senza rispondere a quest o int errogat iv o
deont ologico, oggett o di un dibat tit o irrisolv ibile, qual è il grado di aut ent icit à della costruzione firmat a
Oubrerie e At elier de l’Ent re?
I l progett o si sviluppa in sei fasi che t estimoniano gli sforzi compiut i da Le Corbusier per non sforare il
rist rett o budget. A più riprese, le proporzioni del basament o e del g uscio sono ridott e rispett o al
progett o iniziale. Le Corbusier diminuisce anc he l’impat t o della rampa e rinuncia a cert i dispositiv i
spaziali originari. La genesi di quest a chiesa è assai ben conosciut a att rav erso una pubblicazione del
Differenze proporzionali t ra il proget t o e l’opera realizzat a
1984 (Ant hony Eardley, Le Corbusier‘s Firminy Church, I aus/Rizzoli, New York), ma è sopratt utt o
grazie alla present azione nell’ult imo v olume dell’Œuv re Complèt e dell’archit etto di origine
svizzera che la silhouett e e la piant a della chiesa di Firmi ny sono st at e diffuse nel mondo i nt ero.
La v ersione pubblicat a nel 1965 corrisponde al quart o progett o conosciut o, dat at o 12 dicembre
1962. L’ult imo gruppo di disegni, dat at o 1963, non most ra nessuna ev oluzione ult eriore; quant o
all’ult imo progett o del 1964, solo sott o forma di plastico, consist e essenzialment e in un’ult eriore
riduzione dell’alt ezza del guscio. Quest e ult ime due fasi, conosciut e, approv at e e sost enute da
Le Corbusier, cost it uiscono i document i di riferiment o per la cost ruzione post uma. Le Corbusier
av ev a lasciat o un progett o preliminare sommario, t utt e le decisioni relat ive all’esecuzione erano
ancora da prendere. Quello che v iene rilanciat o da Eugène Claudius-Pet it , sindaco di Firminy , e
dai v ecchi collaborat ori dell’at elier nel 1966, più che un proget t o concluso e pront o a essere
realizzat o è ancora la t raduzione appe na abbozzat a del concett o cont enut o negli st udi per
Tremblay . I l 21 maggio 1968, la chiesa di Firminy rit rov a un commit t ent e con la cost it uzione
dell’«Associat ion Le Corbusier pour l’église de Firminy Vert » che ha ricev ut o un accordo di
principio dall’arciv escov ado.
Durant e la lunga st oria della sua realizzazione il progett o originario di Le Corbusier ha subit o delle
modifiche, che se no n int accano la configurazione ge nerale dell’opera, ne modificano
sost anzialment e le proporzioni, sopratt utto in sezione. La sezione realizzat a, rispett o a quella
progett at a, si present a più bassa; olt re a quest o, anche in piant a il quadrat o di base ha subit o
leggere v ariazioni. La modifica dimensionale della sezione, sebbene no n abbia leso al carat tere
dello spazio int erno, ha modificat o l’input temat ico che reggev a l’opera. Dai disegni di Le
Corbusier, in part icolar modo dalla prospett iv a a v olo di uccello che disegna per inquadrare
l’aula in una v ist a d’insieme, è possibile leggere come la forma est erna di quest a sort a di cono
deformat o si prot ragga verso l’alt o con uno snellezza formale c he ricorda le fat t ezze di un
menhir . Nell’opera realizzat a quest o slancio archet ipo si perde, a fav ore di uno schiacciarsi e di
un complicarsi della figura, che la rende più simile ad un’ast ronav e, poggiat asi liev ement e sulla
Est ratti dal rilievo della chies a di Firminy
t erra, che ad una st ele v ot iv a.
1

1) Vis t a dello s pazio dell’alt are con la forat ura della paret e
ret rost ant e s econdo la geomet ria della cos t ellazione di Orione;
2)vist a dell’ordine s uperiore di s edut e; 3) proie zione s ul gus cio
dell’aula dei raggi di luce che vengono filt rat i dalle lent i che 3
chiudono le forat ure della paret e dell’alt are; 4)vist a
dall’ingres s o.
4

2
PROGETTO DI CENTRO CULTURALE ED AULA DI PREGHIERA PER LE TRE RELIGIONI ABRAMITICHE

L’aeroport o di Comiso si trov a in prov incia di Ragusa, a 15Km dalla cit t à capoluogo; chiamat o in fase
progett uale Marenost r um, è att ualment e in v ia di riconv ersione da base milit are in aeroport o civ ile. La
sua st oria ha inizio negli anni v ent i, quando nasce il progett o di realizzare uno scalo milit are nell’area più a
Sud del paese, in posizione st rat egica ai fini del cont rollo del bacino del Medit erraneo. La base milit are
giungerà a cust odire all’int erno dei propri shelt er, ancora oggi esist ent i, fino a 112 missili Cruise a t est at a
nucleare. Att ualment e l’aeroport o è oggett o di uno st udio di fat t ibilit à, il cui obiettiv o è cost ruire una
nuov a t est a di pont e v erso il Medit erraneo, che sfrutt andone le pot enzialit à logist iche, v alorizzi le risorse
economiche e c ult urali dell’area. I nsieme alla riconv ersione in aeroport o civile, è prev ist a la realizzazione
di un inc ubat ore di impresa e di un polo di ricerca per i paesi dell’area del baci no del Medit erraneo. Tra
le aree int eressat e dagli int erv ent i, forse per la sua fort e caratt erizzazione formale e funzionale, non è
inclusa quella degli shelt er. Le camere di lancio in ipogeo, denunciano la loro presenza in superficie
att rav erso una serie di mast abe, ment re una maglia di percorsi, anch’essi ipogei, forma una ret e che le
collega, generando una sort a di citt à sott erranea.
Sulla scia del t ema dell’aeroport o che da base milit are v iene riconv ert it o in polo per lo sv iluppo e la
ricerca nel cent ro del Medit erraneo, si è rit enut o opport uno cogliere le pot enzialit à che un simile
programma pot ev a offrire, scegliendo come area di progett o per lo spazio preghiera delle religioni
monot eist e proprio quella degli shelt er. U n luogo fort ement e caratt erizzato, che ha v oglia di “senso”,
scelt o per accogliere uno spazio, che non av endo st oria, cerca anch’esso una carat terizzazione dot at a
di “senso”.
Spesso la ricerca di un modello, richiede uno spazio ast ratt o, una “zolla” at opica, su cui adagiare una
forma pot enziale, il cui livello di compiut ezza formale è t ale da garant irne la riproducibilit à. Ripensando
però all’idea st essa di modello, c’è da dire che i n alcuni casi quest o st esso concett o t ende ad esprimere
una corr ispondenza di sensi piut t ost o che di segni.
Gli archit ett i moderni, confront andosi con il t ema dell’archit ett ura sacra, hanno azzerat o il i modelli
formali t radizionali: la cappella di Not re-Dame du Haut a Ronc hamp, la cappella di Saint -Pierre a Firminy ,
la sinagoga Hurv a o gli alt ri edifici per il cult o di Kahn, la cappella di Rot henfelds di Schw arz, sono
archit ett ure-modello che perv engono ad esit i formali del t utt o different i, eppure t utt e, esprimono la st essa
“im ago” di sacralit à, una sacralit à di tipo nat uralist ico-originario, che si manifest a att rav erso t ecniche
compositiv e del t utt o affini. Il procediment o logico che lega “im ago”, t ecniche compositiv e e
ricomposizione dell’idea progett uale, costruisce un sistema che si propone di v erificare cont inuament e,
con i div ersi progett i, i principi assunt i, ed allo st esso t empo li t raduce in nuov a archit ett ura, e pur
calandosi in un co nt est i specifici, come può essere l’area progett o di Comiso, non v iene meno a quest a
accezione all’idea di modello. Ciò che rende il proget t o modello è il rigore del procediment o logico che
sott ende la genesi figurat iv a, più che l’esit o formale in se, t anto che pot remmo definirlo modello di
met odo più che modello di forma.
Quando per l’Esposizione di Parigi del 1925, Le Corbusier progett a il padiglione dell’Esprit Nouv eau, pensa
ad un modello la cui forza st a nella propria compiut ezza formale, come la rappresent azione astratt a di
un fenome no, la cui ge neralizzabilit à è t ale da renderlo it erabile all’infinit o, come accadrà nella sua
t rasposizione all’int erno dell’U nit à di Abit azione. Tra i padiglioni present at i alla st essa Esposizione c’è
quello dell’U nione Sov iet ica, progett at o da Mel’nikov ; di quest ’opera, rileggendo la sequenza delle
v ariant i di progetto, è int eressant e not are il procediment o logico che sottende la successione delle scelt e
progett uali, il bisogno di cont rollo e l’imparzialit à di giudizio, che guida la nascit a e la crisi di ogni
soluzione. Diffidando delle formule, nella consapev olezza che t utt o è relativ o, dal linguaggio
archit ett onico ut ilizzat o, all’esit o formale cui si è perv enuti, qui ciò che può essere ricondott o ad
astrazione e quindi generalizzabile, non è la forma, specifica dell’opera, ma il met odo di progett o.
“… quindi da una part e la massima aut onomia del sist ema, la chiarezza delle proporzioni, dall’altra la
singolarit à aut obiografica dell’esperienza. E nat uralment e il rapport o è particolarment e complesso
nell’archit ett ura. A considerazioni di quest o t ipo si può riport are il giudizio di Haut ecoeur, quando afferma
che B. comprende che esist e un grado superiore della met afora, una possibilit à di prov ocare delle
emozioni e di creare ciò che Baudlaire chiamerà delle corrispondances”. (A. Rossi, «I nt roduzione a
Boullè», Piccola Bibliot eca Einaudi, Torino 2005)
I l procedimento logico su cui si fonda il met odo compositiv o che cercheremo di applicare in quest a
ricerca, è descritt o da Aldo Rossi nella sua “I nt roduzione” al saggio di Boullèe “Archit ett ura. Saggio
sull’Art e”.
I l nucleo t ematico: “… per mett ere ordine si cerca un'idea. Si cerca un concet t o o, più concret ament e
una t eoria, un'ipotesi. Oppure, in senso più poet ico, si cerca un'immagine, un‘i mago, un t ema”. (O.M.
U ngers).
La dime nsione del t ema, dell’idea, cost it uisce il primo dat o emozionale ed anche l’ult imo in quant o di per se
stesso priv o di ogni possibilit à di sv iluppo. Il nucleo t emat ico della ricerca st a nella suggest ione composit iv a
che degli element i archet ipi dell’archit ett ura riescono ad esercit are sullo spazio sacro, rendendolo
riconoscibile att rav erso il richiamo ad una di mensione quasi ancest rale del cost ruire, che si carica di per se
di una fort e v alenza simbolica.
La costruzione di un’immagine complessiva: il nucleo t emat ico si associa ad una soluzione figurat iv a, ad
una forma apparent ement e lont ana e che non è i n se archit ett ura. Dall’idea di archet ipo si passa
att rav erso lo scav o in profondit à degli inizi e l’analisi dei caratt eri emblemat ici delle archit ett ure per il culto
alla costruzione di un’immagine c he si esprime at traverso alcune espressioni formali archet ipe: il percorso, la
st anza, il recint o.
L’analisi tecnica: a part ire dai t emi indiv iduati si avviano considerazioni e v erifiche t ipologiche, funzionali,
dist ributiv e: il rapport o t ra forma e lit urgia, la relazione con il cont est o e con la sua sezione (essendo l’area
di progett o post a in ipogeo), il rapport o con infrastrutt ura, l’aeroport o in quest o caso, e per est ensione più
genericament e con la cit t à ed il luogo di preghiera, che co me cont rappunt o dev e v iv ere come una
“pausa” urbana rispett o al rumore della cit t à .
La ricostruzione dell’opera att rav erso la st esura finale del progett o.
Immagini di proget t o per il nuovo aeroport o di Comis o
Immagini dalla pist a di att erraggi delle bas i di lancio missilistiche
Ae roport o di Comis o: vist e aeree
Zonizzazione previst a nello st udio di fattibilit à
Vist e aeree
Immagine di progett o con localizzazione dell’int ervent o nell’area delle bas i di lancio missilistiche

I l progett o prev ede la localizzazione di un grande mo nolit e di pietra, che sovrast i l’area delle
basi missilist iche, la cui superficie div ent a una sort a di parco su cui sia possibile salire e
camminare. La scala dell’int erv ento fa si che il mo nolit e, come un grande dolme n i c ui piedritt i
corrispondono proprio agli shelt er, sia percepibile dall’ingresso dell’aeroport o e che la st essa
pist a di at terraggio, che si frappone t ra la zona più specificat ament e dedicat a alle funzioni
aeroport uali e quest a sort a di zolla del sacro, div ent a essa st essa il limite, la linea olt re cui si
manifest a la spirit ualit à, il v arco da att rav ersare per av ere accesso al r ecint o sacro. Il monolit e, come un
grande riparo si sollev a dalle colline degli shelt er, generando un v uot o t ra il mondo t erreno ed il monolit e
sospeso, fort emente ev ocativ o del senso di sospensione del sacro. I l grande monolit e è a v olt e cav o,
ospit ando alcune funzioni a corredo dello spazio dell’aula. Se mpre nello spazio “t ra” si snoda il per corso
che conduce all’aula, c he come una st ele lega gli shelter al monolit e, att rav ersandoli ent rambi. L’aula è
sospesa, incast rat a com’è t ra due spalle repert o di ciò che rest a di uno degli schelt er. La sua forma è
t ronco conica: la scelt a di una forma deriv at a dal cerchio nasce dalla v olont à di av ere uno spazio
cont inuo. L’accesso può avv enire da v ari punt i, sfrutt ando proprio la condizione di sospensione del
v olume. Al suo int erno, come a Firminy , l’organizzazione dello spazio su più liv elli, att orno ad un percorso a
spirale genera più spazi nello spazio, ambit i, ognuno dei quali rispondent i ad una delle t re religioni, che si
sov rappongono t ra loro, o che possono dilat andosi e comprimendosi rompere il guscio del cono. L’uso
della sequenza archet ipa st anza, percorso, recint o, v iene declinat a att rav erso la lezione di Firmiy , dando
v it a ad uno spazio pot enzialment e e problemat icamente apert o ad una pluralit à di int erpret azioni.
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