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Coordinate polari

Il sistema delle coordinate cartesiane è uno dei possibili sistemi per individuare la posizione di un
punto del piano, relativamente ad un punto fisso O, mediante una coppia ordinata di numeri. Un altro
sistema è quello delle coordinate polari. Un riferimento polare è individuato da:

1.un punto O detto polo o origine;


2.una semiretta orientata x per O, detta asse polare;
3.un'unità di misura per i segmenti.

Ad ogni coppia (ordinata) di numeri ( ρ ,θ ) corrisponde uno ed un solo punto P del piano. Il ,
viceversa non è vero.

Alla coppia ( ρ ,θ ) corrisponde il punto P:

a. la cui distanza da O, misurata con la prefissata unità di misura, è ρ : ρ = OP ;


b. che giace sulla semiretta di origine O, che forma con l'asse polare un angolo θ, orientato
nel verso antiorario e misurato in radianti. (vedi figura 1 e 2).

Viceversa un punto P può venire descritto come (ρ ,θ + 2kπ ) dove k è un intero positivo qualsiasi,
incluso lo zero.
In particolare le coordinate polari del polo possono essere date come (0,θ ) con θ arbitrario. Il
numero ρ strettamente positivo è detto raggio vettore di P, mentre l'angolo θ , che è
determinato a meno di multipli di 2π, è detto anomalia di P.
Il punto P (− ρ ,θ ) appartiene alla semiretta opposta alla semiretta di anomalia θ ovvero (− ρ ,θ ) e
(ρ ,θ + π ) sono le coordinate dello stesso punto. Pertanto un punto P può essere descritto come
(ρ ,θ ± 2kπ ) o (− ρ ,θ ± (2k + 1)π ) vedi esempio successivo.
Osservazioni

1. Tutti i punti del piano si ottengono prendendo il valore principale dell'anomalia, cioè facendo
variare ϑ da zero incluso a 2π escluso. Però la limitazione 0 ≤ ϑ ≤ 2π conduce a discontinuità
per i punti dell'asse polare: se un punto P si muove su un arco di curva che attraversi l'asse
polare in un punto M, la sua anomalia tenderebbe a zero ovvero a 2π a seconda che P si
avvicini ad M da una parte o dall'altra. Per questo si preferisce definire l'anomalia a meno di
multipli di 2π .
2. Il luogo dei punti che hanno un dato raggio vettore: ρ = a , è la circonferenza di centro O e
raggio a .
3. Il luogo dei punti che hanno una data anomalia (ϑ = ϑ0 ) è la semiretta per O che forma
l'angolo ϑ0 con l'asse polare, mentre la semiretta opposta è il luogo dei punti la cui
anomalia è ϑ0 + π .

Esempio
 π
Il punto P 1,  ha le seguenti rappresentazioni:
 4

 π  7 
P 1,  P 1,− π 
 4  4 

 5   3 
P  − 1, π  P  − 1,− π 
 4   4 

 5   3 
1, π  1,− π 
 4   4 

Queste rappresentazioni e tutte le altre si possono riassumere nelle due formule

 π   5 
1, ± 2kπ   − 1, ± 2kπ  k = 0, 1, 2…
 4   4 

Cambiamento di variabile
Un riferimento cartesiano ortogonale ed un riferimento polare si dicono associati se:

1. l’origine dell’un coincide con il polo dell’altro;


2. il semiasse positivo dell’asse x coincide con il semiasse polare;
3. l’unità di misura per i segmenti è la stessa per i due riferimenti.

Nelle condizioni precedenti ogni punto P del piano, distinto da O, ha due coordinate polari (ρ ,0) e
due coordinate cartesiane ( x, y ) . Le formule di passaggio dalle coordinate polari a quelle cartesiane
sono date da

x = ρ cos θ e y = ρ sin θ

Le formule inverse,che esprimono le coordinate polari in funzione delle coordinate cartesiane, sono
date da

ρ = x2 + y2

x y y
cos θ = sin θ = tan θ =
x2 + y2 x2 + y2 x

queste ultime individuano univocamente l’anomalia θ.

Esempi di curve in coordinate polari

La curva, la cui equazione in coordinate polari è ρ = f (ϑ ) o F (ρ ,ϑ ) = 0 , consiste di tutti i punti


distinti (ρ ,ϑ ) che soddisfano l’equazione. Sussistono i seguenti criteri di simmetria. Ecco alcuni
esempi di curve in coordinate polari,i cui grafici sono mostrati in figura.

1. Le curve le cui equazioni in coordinate polari sono:

ρ = a(1 + cos ϑ ) , ρ = a(1 − cos ϑ )


ρ = a(1 + sin ϑ ) , ρ = a(1 − sin ϑ )

Dove 0 ≤ ϑ ≤ 2π vengono dette cardioidi, in quanto il loro grafico ha la forma di cuore.


Le funzioni f (ϑ ) = a(1 ± cos ϑ ) e g (ϑ ) = a(1 ± sin ϑ ) sono rispettivamente simmetriche
rispetto all'asse x e all'asse y. Infatti risulta f (− ϑ ) = f (ϑ ) e g (π − ϑ ) = g (ϑ )

2. Le equazioni

ρ 2 = a 2 cos 2ϑ , ρ 2 = −a 2 cos 2ϑ
ρ 2 = a 2 sin 2ϑ , ρ 2 = −a 2 sin 2ϑ

rappresentano curve a forma di eliche centrate nell'origine chiamate lemniscate.


Si osserva che le funzioni f (ϑ ) = ± a 2 cos 2ϑ sono simmetriche rispetto all'asse x e all'asse y.
Infatti f (π − ϑ ) = f (ϑ ) .
Le funzioni G (ρ , ϑ ) = ρ 2 ± a 2 sin 2ϑ sono simmetriche rispetto all'origine;
infatti è G (− ρ ,ϑ ) = G (ρ ,ϑ ) .

3. Le equazioni

ρ = aϑ a ≥ 0 , ρ = aϑ a ≤ 0

rappresentano spirali, note come spirali di Archimede, che si avvolgono intorno all'origine,
rispettivamente nel verso antiorario (ϑ ≥ 0 ) e nel verso orario (ϑ ≤ 0 )

Osservazioni

i. L’equazione f = f (ϑ ) in coordinate polari ha nel piano xy lo stesso grafico della coppia di


equazioni parametri

x = f (ϑ ) cos ϑ , y = f (ϑ )sin ϑ .

Esempio la spirale ρ = ϑ ha equazioni parametriche

x = ϑ cos ϑ , y = ϑ sin ϑ .

ii. Per tracciare il grafico di una curva f = f (ϑ ) data in coordinate polari è opportuno calcolare
il valore di ρ per alcuni valori ϑ ;
trovare i punti in cui ρ e f ′(ϑ ) sono uguali a zero;
studiare il segno di f ′(ϑ ) ;
individuare le eventuali simmetrie.

Equazioni polari di vari tipi di rette e circonferenze

1. La retta parallela all’asse y (ovvero perpendicolare all’asse x) e passante per il punto di


coordinate (a,0) ha equazione
x=a

per esprimere questa equazione in coordinate polari sostituiamo x = ρ cos θ ;


ciò da

a
ρ cos θ = a ovvero ρ =
cos θ

2. La retta parallela all’asse x (ovvero perpendicolare all’asse y) e passante per il punto di


coordinate (0, b ) ha equazione

y=b

per esprimere questa equazione in coordinate polari sostituiamo y = ρ sin θ ;


ciò da

b
ρ sin θ = b ovvero ρ =
sin θ

3. Per esprimere l’equazione di una retta passante per l’origine:

y = mx

in coordinate polari sostituiamo x = ρ cos θ e y = ρ sin θ ;


ciò da

ρ sin θ = mρ cos θ ovvero tan θ = m


da cui

θ0

arctan m m≥0
θ= ovvero θ = θ 0 θ0
arctan m + π m<0

Dove θ 0 è l’angolo che la retta per l’origine forma con l’asse polare.

4. Sostituendo x = ρ cos θ e y = ρ sin θ nell’equazione y = mx + n otteniamo l’equazione


generale di una retta in coordinate polari:

n
ρ sin θ = ρ m cosθ + n ovvero ρ =
sin θ − m cos θ
5. Sostituendo x = ρ cos θ e y = ρ sin θ nelle equazioni delle seguenti circonferenze:

i ) x 2 + y 2 = 2ax a>0
ii ) x 2 + y 2 = −2ax “
iii ) x 2 + y 2 = 2ay “
iv ) x 2 + y 2 = −2ay “

si ottengono le corrispondenti equazioni in coordinate polari:

i) ρ = 2a cos θ a>0
ii ) ρ = −2a cos θ “
iii ) ρ = 2a sin θ “
iv ) ρ = −2a sin θ “

Ovviamente l’equazione in coordinate polari della circonferenza x 2 + y 2 = a 2 è

ρ =a a>0

Osservazione

L’equazione ρ = f (θ ) in coordinate polari ha nel piano xy lo stesso grafico della curva di


equazioni parametriche

x = f (θ ) cos θ y = f (θ )sin θ

Per esempio la spirale ρ = 0 ha equazioni parametriche

x = θ cos θ y = θ sin θ
Numeri complessi

Si dice numero complesso z un’espressione della forma

z= x+ j y

(detta forma algebrica del numero complesso z) dove x e y sono numeri reali chiamati
rispettivamente parte reale e parte immaginaria del numero complesso e si indicano con:

x = Re{z} , y = Im {z}

j è il simbolo dell’unità immaginaria che soddisfa la condizione

( j )2 = 1

Il numero complesso

z =x- jy
è il coniugato di

z =x + jy

Due numeri complessi

z1 = x1 + j y1 e z 2 = x 2 + j y 2

sono uguali se e solo se x1 = x2 e y1 = y2 ovvero se e solo se

Re{z1} = Re{z2} e Im{z1} = Im{z2}

Pertanto un numero complesso z è uguale al suo complesso coniugato z se e solo se z è


un numero reale.

1
Un numero complesso z = x + j y è rappresentato nel piano XOY da un punto P di
coordinate (x,y) o da un vettore la cui origine si trova nel punto O(0,0), il cui estremo nel
punto P(x,y).
La lunghezza ρ del vettore (P-0) è chiamata modulo del numero complesso e si indica

con z :

ρ = z = x2 + y2

Da cui
Re{z} = x ≤ z ; Im{z} = y ≤ z .

L’angolo θ che il vettore (P-0) forma con la direzione positiva dell’asse X è chiamato
argomento del numero complesso e si indica con θ = Arg z ; l’argomento di un numero
complesso è determinato in modo non univoco, cioè a meno di multipli interi di 2π :

Arg z = arg z + 2k π k = 0,±1,±2,...

dove arg z è il valore principale di Arg z definito dalle condizioni:

− π < arg z ≤ π

tali che:

y
arctan se x > 0
x
y
π + arctan se x < 0, y ≥ 0
x
y
arg z = − π + arctan se x < 0, y < 0
x
π
se x = 0, y > 0
2
π
− se x = 0, y < 0
2

2
valgono le sguenti condizioni

y y y x x
tan(Arg z) = , sin(Arg z) = = , cos(Arg z) = =
x z x 2 + y2 z x 2 + y2

Due numeri complessi z1 e z2 sono uguali se e solo se hanno lo stesso modulo e se i


loro argomenti sono uguali oppure differiscono per multipli interi di 2π :

z1 = z 2 , Arg z1 = Arg z 2 + 2kπ k = 0, ± 1, ± 2,...

Siano dati due numeri complessi z1 = x1 + j y1 e z 2 = x 2 + j y 2

La somma dei due numeri complessi dati è il numero complesso

z1 + z 2 = (x1 + x 2 ) + j (y1 + y 2 );

La differenza dei due numeri complessi dati è il numero complesso

z1 − z 2 = (x1 - x 2 ) + j (y1 − y 2 );

il prodotto dei due numeri complessi dati è il numero complesso

z1 z 2 = (x1x 2 - y1 y 2 ) + j (x1 y 2 + x 2 y1 );

da cui

2
z z = x2 + y2 = z = z
2

3
Si dice quoziente della divisione del numero complesso z1 per un numero complesso
z2 ≠ 0 un numero complesso z tale che l’equazione z1 = z1z sia soddisfatta; vale la
formula

z1 z1 z 2 z z2
= = 1 2
z2 z2 z 2 z2

In particolare è

1 z z
= = 2
z zz z

La parte reale Re{z} e quella immaginaria Im{z} del numero complesso z si esprimono
mediante i numeri complessi coniugati nel modo seguente:

z+z z−z z−z


Re{z} = , Im{z} = j =
2 2 2j

Non è difficile dimostrare che

 z1  z1
z1 + z 2 = z1 + z 2 , z1 z 2 = z1 z 2 ,   =
 z 2  z2

Dimostriamo che z1 z 2 = z1 z 2

Infatti è

2
= ( z1 z 2 )( z1 z 2 ) = ( z1 z 2 )( z1 z 2 ) = ( z1 z1 )( z 2 z 2 ) = z1
2 2
z1 z 2 z2

Poiché i moduli sono non negativi, il risultato segue prendendo le radici quadrate di ambo i
membri.

4
Dimostriamo ora la disuguaglianza triangolare:

z1 + z 2 ≤ z1 + z 2

Abbiamo

z1 + z 2 = ( z1 + z 2 )( z1 + z 2 ) = ( z1 + z 2 )( z1 + z 2 ) = z1 z1 + z 2 z 2 + ( z1 z 2 + z1 z 2 ) =
2

+ z2 + ( z1 z 2 + z1 z 2 ) = z1 + z2 + 2 Re{z1 z 2 } ≤ z1 + z2 + 2 z1 z 2 =
2 2 2 2 2 2
z1

+ z2 + 2 z1 z 2 = ( z1 + z 2 )
2 2 2
z1

Il risultato precedente può essere esteso, per induzione, per dimostrare che

z1 + ... + z n ≤ z1 + ... + z n

Se nella disuguaglianza si sostituisce z1 con z1 - z2 si ottiene

z1 ≤ z1 − z 2 + z 2

da cui z1 − z 2 ≥ z1 − z 2

Ogni numero complesso z = x + j y (z ≠ 0) ammette la rappresentazione trigonometrica

z = ρ1 (cos θ + jsin θ ) dove ρ 2 = z , θ = Arg z

Supponiamo che i due numeri complessi z1 e z2 siano dati in forma trigonometrica:

z1 = ρ (cos θ1 + jsin θ1 ) , z 2 = ρ (cos θ 2 + jsin θ 2 )

Allora

i)z1z 2 = ρ1 ρ 2 [cos( θ1 + θ 2 ) + j sin(θ1 + θ 2 )]

5
Cioè moltiplicando due numeri complessi i loro moduli si moltiplicano e gli argomenti si
sommano:

z1 z 2 = z1 z 2 , Arg( z1 z 2 ) = Arg z1 + Arg z 2 ;

z1 ρ1
ii) = [cos( θ1 − θ 2 ) + j sin(θ1 − θ 2 )]
z2 ρ2

da cui

z1 z z 
= 1 , Arg 1  = Arg z1 - Arg z 2
z2 z2  z2 

L’elevazione di un numero complesso

z = ρ (cos θ + jsin θ )

Alla potenza n-esima è data dalla formula

z n = ρ n [cos (nθ ) + jsin (nθ )]

Cioè

zn = z , Arg z n = nArg z + 2kπ k = 0, ± 1, ± 2,...


n

Segue dalla formula di Moivre

(cos θ + jsin θ ) n = cos (nθ ) + jsin (nθ )

da cui

(cos θ + jsin θ ) − n = (cos θ - jsin θ ) n = cos (nθ ) - jsin (nθ )

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Se definiamo e jθ come segue

e jθ = cos θ + jsin θ

da quanto precede si deduce che ogni numero complesso z ≠ 0 può essere scritto in forma
esponenziale

z = ρe jθ dove ρ = z e θ = Arg z

7
Radici n-esime

Sia z un numero complesso diverso da 0 :

z = ρe jθ dove ρ = z e θ = Arg z

Allora le n soluzioni dell’equazione

wn = z

Sono per definizione le radici n-esime del numero complesso z.

Se scriviamo w in forma esponenziale :

w = re jα dove r = w e α = Arg w

l’equazione precedente diventa

r n e jnα = ρ e jθ

da cui

θ + 2kπ
r=n ρ e α= k = 0, ± 1, ± 2,...
n

Dove si è tenuto presente che due numeri complessi sono uguali se e solo se i loro moduli
sono uguali (r n = ρ ) e i loro argomenti differiscono per multipli interi di 2π
(nα − θ = 2kπ k = 0, ± 1, ± 2,...).

8
Quindi tutte le radici n-esime di z = ρe jθ sono date da

 θ + 2 kπ 
j 
wk = n ρe  n 
k = 0, ± 1, ± 2,...

Poiché l’equazione precedente, per k = m + n da lo stesso risultato di k = m, basta


prendere n valori consecutivi di k per ottenere le n differenti radici n-esime; per
comodità si sceglie k = 0, 1,…, n-1 .
n
I punti corrispondenti ai valori di z , costituiscono i vertici di un poligono regolare di n
lati inscritto in una circonferenza di raggio r = n ρ con centro nell’origine delle coordinate.
La radice n-esima di un numero reale a possiede anche n valori distinti, di cui ne
esistono due, uno o nessun valore reale a seconda della parità/disparità del numero n e
del segno di a.

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funzioni di una variabile complessa
Limiti e continuità

Indicata con z = x + jy una variabile complessa, abbiamo visto che i suoi valori si
rappresentano con i punti P(x,y) in un piano dove sia stato fissato un sistema di assi
cartesiani ortogonali x,y (piano complesso). Sia dato su tale piano un aperto Ω (limitato o
meno) ed esiste una legge, che faccia corrispondere ad ogni punto z di Ω un numero
complesso w . Diremo allora che w è una funzione dalla variabile complessa z definita su
Ω e scriveremo
w = f (z ) z ∈Ω
Resta inteso che, almeno per ora, ad ogni z ∈ Ω corrisponde uno ed un solo valore w,
cioè che la funzione sia ad un sol valore o, come anche si dice, monodroma.
Successivamente parleremo anche di funzioni a più valori o polidrome.
È evidente che una funzione w = f ( z ) equivale ad una funzione complessa delle due
variabili reali x e y ; perciò in luogo di w = f ( z ) scriveremo anche w = f ( x, y ) .

Posto poi w = u + jv con u e v reali, la funzione w = f ( z )


può identificarsi con la seguente coppia ordinata di funzioni reali delle due variabili x e y :

u=u(x,y) ; v=v(x,y)
dove u(x,y) = Re f(z) e v(x,y) = Im f(z).
Il concetto di limite per una funzione w = f ( z ) discende immediatamente dal considerare
w come una funzione delle due variabili reali x e y. Pertanto se z0 è un punto di
accumulazione di Ω diremo che:

lim f ( z ) = L = A + jB
z → z0

quando, comunque si prefissi ε > 0, esiste in corrispondenza ad esso un numero


δ = δ (ε ) > 0 tale che, per tutti i punti z di Ω per i quali sia verificata la relazione
0 < z − z 0 < δ , risulti

f ( z) − L < ε .

Per quanto riguarda il concetto di continuità, f ( z ) è continua nel punto z0 di Ω quindi si ha:
lim f ( z ) = f ( z 0 );
z → z0

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dire che f (z ) è continua in Ω significa che lo è in ogni punto di Ω.

In altre parole, una funzione f (z ) definita in un aperto Ω è continua se per ogni z 0 ∈ Ω e

per ogni numero ε > 0 si può trovare un numero δ = δ (ε , z 0 ) > 0 tale che per tutti i punti z

di Ω che verificano la relazione z − z 0 < δ , vale la disuguaglianza

f ( z) − f ( z0 ) < ε .

Non è difficile verificare che una funzione di una variabile complessa

f ( z ) = u ( x, y ) + j v ( x, y ) z ∈Ω

è continua in z0 = x0 + jy0 ∈ Ω , se e solo se le funzioni u(x,y) e v(x,y) siano continue nel


punto (x0,y0).
Infine dati i limiti
lim f ( z ) = A ; lim g ( z ) = B
z → z0 z → z0

risulta
lim [ f ( z ) ± g ( z )] = A ± B
z → z0

lim f ( z ) g ( z ) = AB
z → z0

f ( z) A
lim = B≠0
z → z0 g ( z) B

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Il piano complesso dotato di punto all'infinito (sfera complessa)

Sia f(z) una funzione definita in un dato aperto connesso Ω . Se Ω è illimitato


si presenta in modo naturale la questione di studiare il comportamento di f(z)
quando il punto z, variando in Ω si allontana indefinitamente . Per un tale
studio consideriamo la sfera che ha centro nell'origine O e raggio 1 e diciamo N
il punto in cui essa interseca il semiasse positivo u. Se P è un punto qualsiasi
del piano ( x,y ), la retta per N e P incontra ulteriormente la sfera in uno ed un
solo punto P' diverso da N.
Viceversa , preso un punto P' della sfera diverso da N , la retta NP' incontra il
piano ( x,y ) in uno ed un solo punto P. Nasce così una corrispondenza biunivoca
fra i punti P del piano ( x,y ) ed i punti P' della sfera , con un'unica eccezione : il
punto N della sfera non ha una corrispondente sul piano ( x,y ).
Ne deriva , pensando P come immagine di un numero complesso z , che la totalità
dei numeri complessi può anche essere rappresentata dai punti della sfera
predetta privata del punto N.
Allo scopo di eliminare quest'eccezione, possiamo osservare che ai punti P' della
sfera vicinissimi a N corrispondono punti P del piano molto lontani dall'origine ,
cioè numeri complessi z di modulo grandissimo ; da quest'osservazione risulta
ovviamente l'opportunità di far corrispondere al punto N della sfera il valore ∞
della variabile complessa z.
Perciò d'ora in poi penseremo aggiunto al piano complesso un unico punto all'infinito
da pensarsi come immagine di z = ∞ ; per questa sfera si usa il termine sfera
complessa.
In tale rappresentazione il numero z = ∞ ha come immagine il punto N ed ogni calotta
sferica ( aperta ) contenente N è per definizione un intorno circolare di z = ∞
Passando al piano complesso , a tale calotta corrisponde ranerto_costituito dai punti
esterni da un cerchio, pertanto nel piano complesso un intorno circolare di z = ∞ è
l'aperto costituito dai punti esterni ad un qualsiasi cerchio.
Questi intorni circolari di z = ∞ , considerati nel piano complessi senza punto
all'infinito, sono campi non semplicemente connessi;considerati invece nel piano
complesso con punto all'infinito risultano essere semplicemente connessi( come gli
intorni circolari di qualsiasi altro punto ). Ci si convince subito di ciò pensando alle

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corrispondenti immagini sulla sfera complessa.

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1 Funzione Esponenziale
La funzione esponenziale complessa è definita dall’equazione
w = e z = e x + jy = e x e jy = e x (cos y + j sin y)
da cui tenuto presente che:

cos y + j sin y = cos( y + 2kπ ) + j sin( y + 2kπ ) k = 0,±1,±2,...

segue che:

e z = e z + 2 kπ j

così che la funzione esponenziale e z è periodica ed ha periodo 2πj; in altre parole ogni
valore che la funzione e z può assumere è assunto nella striscia infinita -π < y ≤ π o in
qualsiasi altra striscia ottenibile da questa per traslazione parallela.

Da quanto precede segue che le soluzioni delle equazioni:

ez =1 e z = −1

sono rispettivamente: z = 2kπ j e z = (2k + 1)π j k = 0, ± 1, ± 2,....

2 Funzioni trigonometriche

Le definizioni di seno e coseno sono estese al piano complesso nel modo seguente:

e jz − e − jz e jz + e − jz
sin z = cos z =
2j 2
Essendo
1 jx− y
sin z = (e − e − jx+ y ) = cosh y sin x + j sinh y cos x
2j

segue che:

sin z = cos 2 x sinh 2 y + sin 2 x cosh 2 y = sinh 2 y + sin 2 x

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Dalla relazione precedente si evince che la funzione sin z non è limitata a meno che z non
sia reale. Analogamente si deduce che cos z non è limitata. Non è difficile dimostrare le
identità fondamentali:

cos 2 z + sin 2 z = 1 (1)

cos( z1 ± z 2 ) = cos z1 cos z 2 m sin z1 sin z 2


(2)

sin( z1 ± z 2 ) = sin z1 cos z 2 ± cos z1 sin z 2


(3)
Tutte le identità elementari della trigonometria valgono anche per le funzioni
trigonometriche di una variabile complessa e si deducono algebricamente dalle relazioni
(1), (2) e (3) precedenti.
Per esempio ponendo z1 = z 2 = z nella (2) e (3) si ottengono rispettivamente le identità:

cos 2 z = cos 2 z − sin 2 z sin 2 z = 2 sin z cos z

Si osservi che:

sin z = 0 ⇔ e 2 jz = 1 ⇔ 2 jz = 2kπj ⇔ z = kπ

π
cos z = 0 ⇔ e 2 jz = −1 ⇔ 2 jz = (2k + 1)πj ⇔ z = (2k + 1)
2

dove k = 0, ±1, ±2,….

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3 Funzioni iperboliche

Le funzioni iperboliche di una variabile complessa sono definite allo stesso modo come
per le variabili reali:
e z + e−z e z − e−z
cosh z = sinh z =
2 2

Si verifica facilmente che:

cosh z = cos jz , cosh jz = cos z

sinh z = − sin jz , sinh jz = j sin z

e che valgono le seguenti identità

cosh 2 z − sinh 2 z = 1

cosh( z1 ± z 2 ) = cosh z1 cosh z 2 ± sinh z1 sinh z 2

sinh( z1 ± z 2 ) = sinh z1 cosh z 2 ± cosh z1 sinh z 2

In particolare è:

cosh 2 z = cosh 2 z + sinh 2 z cosh 2 z = 2 sinh z cosh z


Da cui:

cosh 2 z − 1 cosh 2 z + 1
sinh 2 z = cosh 2 z =
2 2

Si osservi che:
π π
cosh z = 0 ⇔ cos jz = 0 ⇔ jz = (2k + 1) ⇔ z = − (2k + 1) j
2 2
sinh z = 0 ⇔ sin jz = 0 ⇔ jz = kπ ⇔ z = − kπ j

Da cui, tenendo presente che k=0, ±1, ±2,…., si evince che:


π
cosh z = 0 ⇔ z = (2k + 1) j ; sinh z = 0 ⇔ z = kπ j
2
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4 Funzione logaritmo
Se z è un numero complesso diverso da zero, il logaritmo complesso di z è il numero
complesso w che soddisfa la relazione:
w = Ln z ⇔ z = e w

Sia w = u+jv e scriviamo z in forma trigonometrica: z = re jϑ dove ϑ=arg z ∈(-π; π] e


r =| z |
Allora:

z = e w = e u + jv ⇔ re jϑ = e u e jv ⇔ r = e u e v = ϑ + 2kπ k = 0,±1,±2,...

Da r = e u se e solo se u = ln r = ln z segue che:

z = e w ⇔ w = ln | z | + j (ϑ + 2kπ ) k = 0,±1,±2,...

Pertanto la funzione

w = Ln z = ln | z | + j (ϑ + 2kπ ) ϑ = arg z ∈ (−π , π ]

è una funzione ad infiniti valori. In altre parole:


supponiamo di partire da un punto z≠0 per il quale | z |=r e ϑ=arg z ∈(-π; π] , allora
Ln z = ln | z | + j arg z = ln z

Dopo aver compiuto nel verso positivo (antiorario) un giro completo intorno all’origine,
ritornando in z risulta | z |=r e ϑ=arg z +2π per cui
Ln z = ln | z | + j (arg z + 2π ).

Dopo k giri intorno all’origine si ha:

Ln z = ln | z | + j (arg z + 2kπ ).

17
Poiché gli infiniti valori di ln z si ottengono compiendo giri successivi intorno all’origine si
dice che z = 0 è un punto di diramazione e che ognuna delle infinite funzioni (ad un solo
valore)

w = ln | z | + j (ϑ + 2kπ ) ϑ = arg z k = 0,±1,±2,...

è un ramo di w = Ln .z

Il ramo corrispondente a Ln z = ln z cioè

Ln z = ln z = ln | z | + jϑ ϑ = arg z ∈ (−π , π ]

è detto ramo principale.

Esempio.

π π
Ln j = ln | j | + j ( + 2kπ ) = j ( + 2kπ ) k = 0,±1,±2,...
2 2
π π
ln j = ln | j | + j =j
2 2
ln(−1) = ln 1 + j (π + 2kπ ) = j (π + 2kπ )
ln(−1) = jπ

Sono valide le relazioni:

z1
Ln ( z1 z 2 ) = Ln z1 + Ln z 2 e Ln ( ) = Ln z1 − Ln z 2
z2

5 Funzione Potenza

Se z e w sono due numeri complessi qualsiasi con w≠0, chiamiamo valore principale delle
potenze w z , il numero univocamente determinato dall’equazione:

w z = e z ln w

18
dove ln w è il valore principale di Ln w . Scegliendo altri valori di Ln w si ottengono altri
valori della potenza, che sono tutti contenuti nella formula

w z = e z (ln w+ 2 kπj ) = e z Ln w

In particolare j j denota infiniti numeri reali:

π π
j( j + 2 kπj ) −( + 2 kπ )
j (ln j + 2 kπj )
j =e
j
=e 2
=e 2

π
-
la cui parte principale è e 2

6 Funzione w = k z

Per semplicità limitiamo le nostre considerazioni alla funzione


w= z
Scrivendo z in forma trigonometrica: z = r e jϑ r= z ϑ = arg z si ottiene
j ϑ2
w = re 0 ≤ ϑ < 2π

Se a partire dal punto z si compie un giro completo in senso antiorario attorno all’origine
alla fine del giro si ottiene

(ϑ + 2 π )
(ϑ2 +π ) j ϑ2
w1 = r e = re = − re ≠w
j 2
j

Se si compie un giro completo in senso antiorario attorno all’origine una seconda volta,
alla fine del secondo giro otteniamo i valore iniziale
(ϑ + 4 π )
(ϑ2 + 2π ) j ϑ2
w2 = r e = re = − re = w.
j 2
j

Pertanto il punto z = 0 è un punto di diramazione della funzione w = z e poiché dopo due


giri completi si ritrova il primo valore ( dopo di che il ciclo si ripete ), ne consegue che
w = z è una funzione a due valori e i rami corrispondenti sono

19
j ϑ2
w = re 0 ≤ ϑ < 2π
che corrisponde al ramo principale e

ϑ
j ( ϑ2 + π ) j
w = re 0 ≤ ϑ < 2π oppure w=− r e 2
2π ≤ ϑ < 4π .

Se w = f (z ) è una funzione a più valori (ovvero rappresenta più funzioni ) e si vuole


considerare una singola funzione ad un sol valore, generalmente si considera il ramo
principale corrispondente all’intervallo principale 0 ≤ ϑ < 2π ( − π ≤ ϑ < π ). Se l’intervallo
principale è [0 ;2π) il risultato voluto si raggiunge erigendo una barriera ( detta retta di
diramazione )rappresentata dal semiasse positivo delle x . Se per ϑ si sceglie un
intervallo diverso, la retta di diramazione sarà qualche altra semiretta del piano con origine
il punto di diramazione.
Per alcune applicazioni ( come vedremo più avanti ) si considera la linea in figura.

20
Derivazione Complessa
Sia w = f (z ) una funzione ad un sol valore della variabile complessa z , definita in un
dominio D (aperto connesso) del piano complesso. Per definire il concetto di derivata di
una tale funzione utilizzeremo la stessa definizione che si dà per le funzioni reali di una
variabile reale, definite in intervalli.
Sia z un punto fissato in D e ∆z = ∆x + j∆y un incremento di z tale che z + ∆z stia
ancora in D . Consideriamo il rapporto incrementale:

f ( z + ∆z ) − f ( z ) u (x + ∆x, y + ∆y ) − u ( x, y ) + j (v (x + ∆x, y + ∆y ) − v ( x, y ))
=
∆z ∆ x + j ∆y

ed il suo limite per ∆z → 0 oppure per (∆x, ∆y ) → (0,0) .


Se tale limite esiste (indipendentemente dal modo in cui ∆z → 0 ), diremo che f è
derivabile nel punto z ed assumeremo il valore di tale limite, che sarà indicato con f ' ( z ) ,
come la derivata di f nel punto z . È ovvio che

f ( z 0 + ∆z ) − f ( z 0 ) f ( z) − f ( z0 )
f ' ( z 0 ) = lim = lim .
∆z →0 ∆z z → z 0 z − z0

Osserviamo subito che ogni funzione derivabile in un punto z è ivi continua. Infatti da
f ( z + ∆z ) − f ( z )
f ( z + ∆z ) − f ( z ) = ∆z
∆z
segue che

lim f ( z + ∆z ) − f ( z ) = f ' ( z ) ⋅ 0 = 0
∆z → 0

Supponiamo che f sia derivabile in D (cioè in tutti i punti di D ); allora ad ogni z ∈ D resta
associato il valore della derivata f ' ( z ) e questa è ovviamente una nuova funzione (ad un
sol valore) definita in D .
Per la derivata sono usate anche le notazioni:
df
Df (z ) , , f ' ( z)
dz

21
Le derivate di ordine superiore si definiscono ovviamente nello stesso modo, per esempio
è
f ' ( z + ∆z ) − f ' ( z )
f ' ' ( z ) = lim .
∆z → 0 ∆z

Sottolineiamo il fatto che l’esistenza del limite

f ( z + ∆z ) − f ( z )
lim
∆z → 0 ∆z

non dipende dal modo con cui ∆z → 0 , pertanto se risulta:

f ( z + ∆z ) − f ( z ) f ( z + ∆z ) − f ( z )
lim ≠ lim
∆x = 0
∆y → 0
∆z ∆ x →
∆y = 0
0 ∆z

allora si deve concludere che f non è derivabile in z .

Esempi.

Sia f ( z ) = z n dove n è un intero positivo; allora:

f ' ( z ) = nz n −1 ∀ z∈C .
Infatti risulta

f ( z ) − f (a ) z n − a n
= = z n −1 + az n − 2 + a 2 z n −3 + ...... + a n − 2 z + a n −1
z−a z−a
da cui, passando al limite per z → a , si ottiene

f ' (a ) = na n−1 ∀a ∈ C/ .

Sia f ( z ) = z = x 2 + y 2 e z 0 = x0 + jy 0 . Essendo

f ( z) − f ( z0 ) x 2 + y 2 − x02 + y 02
= [( x − x0 ) − j ( y − y 0 )]
z − z0 ( x − x0 ) 2 + ( y − y 0 ) 2
segue che

22
f ( z) − f ( z 0 ) y0
lim =−j z0 ≠ 0
x = x0
y → y0
z − z0 x 02 + y 02

f ( z) − f ( z0 ) x0
lim = z0 ≠ 0
y = y0
x → x0
z − z0 x 02 + y 02

Poiché i limiti precedenti sono diversi, per quanto osservato in precedenza, si evince che
la funzione f ( z ) = z non è derivabile in C/ − {0}.

Infine, osservato che nel caso in cui è z 0 = 0 , risulta

f ( z) x
lim = lim
y =0 z x →0 x
x →0

possiamo concludere che la funzione f ( z ) = z non è derivabile in C/ .

Analogamente si dimostra che la funzione f ( z ) = z non è derivabile in C/ .


Procedendo come nel caso delle funzioni reali si dimostra che nei punti in cui f e g sono
entrambi derivabili risulta:
a) ( f + g )' = f '+ g ' ;

b) ( fg )' = f ' g + fg ' ;


f  f ' g − fg '
c)   =
g g2

ovviamente la c) vale solo nei punti in cui è g (z)≠0.

Se f è derivabile in a e g è derivabile in f(a), allora h(z)=g[f(z)] è derivabile in a e risulta:


dg dw
h' ( a ) = (a) dove w = f(z).
dw dz
Inoltre si dimostra che:

d d d z
sin z = cos z ; cos z = − senz ; e = ez
dz dz dz
e così via.

23
UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE

FACOLTA’ di INGEGNERIA

DIPARTIMENTO di SCIENZE MATEMATICHE

ANALISI II – CALCOLO DIFFERENZIALE


Università Politecnica delle Marche – Facoltà Ingegneria – Dipartimento Scienze Matematiche

DERIVATE PARZIALI

1. DEFINIZIONE

Le derivate parziali prime di una funzione f ( x, y ) rispetto alle variabili x e y sono le funzioni
D1 f ( x, y ) e D2 f ( x, y) date da

f ( x + h, y ) − f ( x, y )
D1 f ( x, y ) = lim
h →0 h

f ( x , y + k ) − f ( x, y )
D2 f ( x, y) = lim
k →0 k

a condizione che tali limiti esistano.

Si osservi che D1 f ( x, y ) è proprio la derivata prima di f ( x, y ) considerata come funzione solo di x,


interpretando y come un parametro costante.
In modo analogo la funzione D2 f ( x, y) è la derivata prima di f ( x, y ) considerata come funzione
solo di y, cioè con x tenuto fisso.

Gli indici “1” e “2” usati per la notazione delle derivate parziali specificano la “prima” variabile e la
“seconda” variabile di f.

La derivata parziale D1 f (a, b) misura la rapidità di variazione di f ( x, y ) rispetto a x nel punto (a,b),
mentre y è mantenuto fisso uguale a b. In termini grafici la superficie z = f ( x, y ) interseca il piano
verticale y = b lungo una curva. Se prendiamo come assi coordinati del piano y = b la retta
orizzontale e la retta verticale passanti per il punto (0, b, 0), allora l’equazione della curva è z =
f ( x, b) e la sua pendenza in x = a è D1 f (a, b) . (vedi figura 1)
Analogamente D2 f (a, b) rappresenta la rapidità di variazione di f rispetto a y in y = b nel punto
(a,b) mentre x è mantenuto costante uguale ad a. La superficie z = f ( x, y ) interseca il piano
verticale x = a lungo una curva z = f ( a, y ) la cui pendenza in y = b è D2 f (a, b) . (vedi figura 1)

Figura 1

1
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Notazioni delle derivate parziali prime

Per indicare le derivate parziali prime di z = f ( x, y ) si possono usare varie notazioni:

∂z ∂
= f ( x, y ) = fx (x, y) = D1 f ( x, y )
∂x ∂x

∂z ∂
= f ( x, y ) = fy (x, y) = D2 f ( x, y)
∂y ∂y

Il simbolo “ ∂z ∂x ” si legge “derivata parziale di z rispetto a x. ”

I valori delle derivate parziali in un punto particolare (a, b) sono indicati in modo simile:

∂z ⎛∂ ⎞
=⎜ f ( x, y ) ⎟ = fx (a, b) = D1 f (a, b)
∂x ( a ,b ) ⎝ ∂x ⎠ ( a ,b )

∂z ⎛∂ ⎞
= ⎜⎜ f ( x, y ) ⎟⎟ = fy (a, b) = D2 f (a, b)
∂y ( a ,b ) ⎝ ∂y ⎠ ( a ,b )

Tutte le regole standard di derivazione delle somme, prodotti, reciproci e quozienti di funzioni di
una variabile continuano a valere per le derivate parziali.

Esempio 1.1
Se:
z = x 3 y 2 + ln( x 2 + y 2 ) + x 2 sin y

Allora :
∂z 2x
= 3x 2 y 2 + 2 + 2 x sin y
∂x x + y2

∂z 2y
= 2x3 y + 2 + x 2 cos y
∂y x + y2

2
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Esempio 1.2
Determinare ∂z/∂x e ∂z/∂y dove z = x 4 sin( xy 3 ) .

Svolgimento:

∂z ∂ 4 ∂ ∂
= [ x sin( xy 3 )] = x 4 [sin( xy 3 )] + sin( xy 3 ) ( x 4 ) = x 4 y 3 cos( xy 3 ) + 4 x 3 sin( xy 3 );
∂x ∂x ∂x ∂x
∂z ∂ 4 ∂ ∂
= [ x sin( xy 3 )] = x 4 [sin( xy 3 )] + sin( xy 3 ) ( x 4 ) =
∂y ∂y ∂y ∂y
x 4 3 xy 2 cos( xy 3 ) + sin( xy 3 ) ⋅ 0 = 3x 5 y 2 cos( xy 3 ).

Esempio 1.3
Supponiamo che un punto Q si muova lungo l’intersezione della sfera x 2 + y 2 + z 2 = 9 con il
piano x = 2. A che velocità sta variando z rispetto a y quando il punto si trova nella posizione
P(2,1,2)?

Figura 2

Svolgimento:

Dato che la coordinata z del punto P(2,1,2) è positiva, questo punto giace sulla semisfera superiore:
z = 1− x 2 − y2 ,
e dunque per ogni valore fissato di x, la rapidità di variazione di z rispetto a y sulla semisfera
superiore è:
∂z ∂ y
= [(9 − x 2 − y 2 )1 / 2 ] = − .
∂y ∂y 9 − x 2 − y2
In particolare, se x = 2 (vedi figura 2), allora dall’equazione appena trovata segue che la rapidità di
variazione di z rispetto a y nel punto P è:
∂z
= −1 / 2.
∂y ( 2,1)

Il successivo esempio mostra che l’esistenza delle derivate parziali non implica la continuità.

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Esempio 1.4

La funzione

⎧ xy
⎪ 2 (x, y ) ≠ (0,0)
⎪x + y
2

f ( x, y ) = ⎨

⎪0 (x, y ) = (0,0)

è discontinua in (0,0) , ma ha derivate parziali in (0,0) ; queste derivate sono f x (0,0 ) = 0 e


f y (0,0 ) = 0 . La discontinuità è nota; i valori delle derivate parziali nel punto (0,0) si ottengono
utilizzando la definizione ed osservando che

f ( x,0) − f (0,0) f (0, y ) − f (0,0)


= 0, =0
x y

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2. DERIVATE PARZIALI DI ORDINE SUPERIORE AL PRIMO

Dal momento che le derivate parziali ∂f ∂ x e ∂f ∂ y sono funzioni delle variabili x e y, ognuna di
esse può avere derivate parziali. Ciò dà origine a quattro possibili derivate parziali seconde di f ,
che sono così definite:

• derivate parziali seconde pure, rispetto a x o a y,

∂ 2 z ∂ ∂z
= = f xx ( x, y ) = D11 f ( x, y );
∂x 2 ∂x ∂x
∂ 2 z ∂ ∂z
= = f yy ( x, y ) = D22 f ( x, y );
∂y 2 ∂y ∂y

• derivate parziali seconde miste, rispetto a x e y,

∂2z ∂ ∂z
= = f yx ( x, y ) = D21 f ( x, y );
∂x∂y ∂x ∂y

∂2z ∂ ∂z
= = f xy ( x, y ) = D12 f ( x, y );
∂x∂y ∂y ∂x

Si osservi che f yx = D21 f indica che si deve derivare prima rispetto ad y oppure rispetto alla
seconda variabile e dopo rispetto a x oppure rispetto alla prima variabile. f xy = D12 f indica l’ordine
di derivazione opposto.

Analogamente, se w = f ( x, y , z ) , allora:

∂3w ∂ ∂ ∂w
= = f yyx ( x, y, z ) = D 221 f ( x, y, z )
∂x∂y 2
∂x ∂y ∂y

Esempio 2.1
Tenuto conto dell’esempio 1.1 si ha:

∂2z 4 xy
= f xy = 6 x 2 y − 2 + 2 x cos y;
∂y∂x (x + y 2 )2
∂2z 4 xy
= f yx = 6 x 2 y − 2 + 2 x cos y;
∂x∂y (x + y 2 )2

Nell’esempio precedente si constata che le due derivate parziali miste rispetto alle stesse variabili,
ma in ordine diverso, sono uguali. Questo risultato non è fortuito, ma si verifica tutte le volte che le
derivate parziali implicate sono continue. Il teorema seguente enuncia in modo preciso questa
importante proprietà, più precisamente fornisce una condizione sufficiente per l’uguaglianza delle
derivate parziali miste.

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TEOREMA 2.1

Sia f un campo scalare tale che le derivate parziali


D1 f , D2 f , D12 f , D21 f
esistono in un aperto Ω del piano xy. Se (a, b) è un punto di Ω in cui D12 f e D21 f sono continue
allora
D12 f (a, b ) = D21 f (a, b ) .

L’esempio che segue mostra che se una funzione f (x, y ) a valori reali ha le due derivate parziali
miste
∂ ∂f ∂ ∂f
D12 f = e D21 f =
∂x ∂y ∂y ∂x
queste non sono necessariamente uguali.

Esempio 2.2
Per la funzione
x2 − y2
f ( x, y ) = xy (x, y ) ≠ (0,0) e f (0,0) = 0
x2 + y2
risulta D21 f (0,0) = 1 e D12 f (0,0) = −1 . Infatti è
D2 f (h,0) − D2 f (0,0)
D21 f (0,0) = lim
h →0 h
essendo
D2 f (h,0) = h e D2 f (0,0) = 0

segue che D21 f (0,0) = 1 ; analogamente si ha D12 f (0,0) = −1 .


Nell’esempio ora considerato, per il teorema precedente, entrambe le derivate parziali miste D12 f e
D21 f non sono continue nell’origine.

Si osservi che:

x2 − y2 4 xy 2
D1 f ( x, y ) = y + xy ( x, y ) ≠ (0,0)
x2 + y2 (x 2 + y 2 )2

D1 f (0,0) = 0 ( x, y ) = (0,0)

Scambiando x con y in –D1 f(x,y) si ottiene:

y2 − x2 4 yx 2
D 2 f ( x, y ) = − ( x + xy )
x2 + y2 (x2 + y 2 )2

x2 − y2 4 yx 2
D 2 f ( x, y ) = x − xy ) ( x, y ) ≠ (0,0)
x2 + y2 (x 2 + y 2 )2

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D2 f (0,0) = 0 ( x, y ) = (0,0)

D1 f (0, k ) − D1 f (0,0) k
D12 f (0,0)= lim = lim − = −1
h →0 k k
h →0

D2 f (h,0) − D2 f (0,0) h
D21 f (0,0)= lim = lim =1
h →0 k h
h→0

Per derivazioni successive, possiamo ottenere derivate parziali terze oppure derivate parziali di
ordine superiore. Alcune possibilità sono:

∂3 f ∂ ⎛ ∂2 f ⎞ ∂3 f ∂ ⎛ ∂2 f ⎞
= ⎜ ⎟⎟, = ⎜ ⎟;
∂x 3 ∂x ⎜⎝ ∂x 2 ⎠ ∂y 2 ∂x ∂y ⎜⎝ ∂y∂x ⎟⎠
∂3 f ∂ ⎛ ∂2 f ⎞ ∂4 f ∂ ⎛ ∂3 f ⎞
= ⎜ ⎟⎟, = ⎜ ⎟⎟.
∂y∂x 2 ∂y ⎜⎝ ∂x 2 ⎠ ∂y 2 ∂x 2 ∂y ⎜⎝ ∂y∂x 2 ⎠

Derivate parziali di ordine superiore al primo possono essere denotate in modo più compatto tramite
la notazione con pedice. Ad esempio:

∂2 f ∂ ⎛ ∂f ⎞ ∂
= ⎜ ⎟ = ( f x ) = ( f x )y .
∂y∂x ∂y ⎝ ∂x ⎠ ∂y

Solitamente le parentesi si omettono e si scrive semplicemente:

∂2 f
= f xy .
∂y∂x

Notare che nella notazione “∂” la sequenza delle differenziazioni è ottenuta leggendo da destra
verso sinistra, mentre nella notazione con pedice essa è da sinistra verso destra. Ulteriori esempi
sono:

∂2 f ∂3 f ∂4 f
f xx = , f yyx = , f xxyy = .
∂x 2 ∂x∂y 2 ∂y 2 ∂x 2

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3. DERIVATE PARZIALI DI FUNZIONI DI PIƯ DI DUE VARIABILI

Per una funzione f (x, y, z ) di tre variabili, ci sono tre derivate parziali:

f x ( x, y, z ), f y ( x, y, z ), f z (x, y, z ).

La derivata parziale f x si calcola considerando y e z costanti e differenziando rispetto ad x. Per f y


le variabili x e z sono considerate costanti, mentre per f z le variabili x e y sono considerate costanti.
Se è usata una variabile dipendente w:
w = f ( x, y , z )
allora le tre derivate parziali di f possono essere denotate da:
∂w ∂w ∂w
, e .
∂x ∂y ∂z

In generale, se f (ν1 , ν 2 ,....., ν n ) è una funzione di n variabili, ci sono n derivate parziali di f,


ognuna delle quali si ottiene considerando costanti n-1 di queste variabili e differenziando la
funzione f rispetto alla variabile rimanente. Se w = f (ν 1 , ν 2 ,....., ν n ) , allora queste derivate parziali
sono denotate da:

∂w ∂w ∂w
, ,........, , dove ∂w ∂ ν i si ottiene considerando fisse tutte le variabili eccetto ν i e
∂ν1 ∂ν 2 ∂ν n
differenziando rispetto a ν i .

Esempio 3.1
∂ ⎡
x1 + x 2 + ...... + x n ⎤, con i= 1,2,…,n.
2 2 2
Determinare
∂xi ⎢
⎣ ⎥⎦

Svolgimento:

Per ogni i= 1,2,….,n si ottiene:

∂ ⎡

∂xi ⎣
x1 + x 2 + ...... + x n ⎤ =
2 2 2

1


⎦ 2 x 2 + x 2 + ...... + x 2 ∂xi
2 2
[
2
x1 + x 2 + ...... + x n = ]
1 2 n

1 xi
=
2 2 2
[2 xi ] = 2 2 2
.
2 x1 + x 2 + ...... + x n x1 + x 2 + ...... + x n

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4. DEFINIZIONE

In ogni punto ( x, y ) dove le derivate parziali prime della funzione f ( x, y ) esistono, il vettore
gradiente ∇f ( x, y ) è definito mediante la relazione

∇f ( x, y ) = grad f ( x, y ) = f1 ( x, y ) i + f 2 ( x, y ) j

Ricordiamo che i e j indicano i vettori unitari della base standard che collegano l’origine
rispettivamente con i punti (1,0) e (0,1). Il simbolo ∇ chiamato del o nabla, è un operatore
differenziale vettoriale:

∂ ∂
∇ =i +j
∂x ∂y

Possiamo applicare questo operatore a una funzione f ( x, y ) scrivendo l’operatore alla sinistra della
funzione. Il risultato è il gradiente della funzione

⎛ ∂ ∂ ⎞
∇f ( x, y ) = ⎜⎜ i + j ⎟⎟ f ( x, y ) = f1 ( x, y ) i + f 2 ( x, y ) j
⎝ ∂x ∂y ⎠

4.1 PROPRIETA’ DEL GRADIENTE

Siano f e g campi scalari differenziabili in un aperto connesso D, allora:

1) ∇(d1 f1 + d 2 f 2 ) = α 1∇f1 + α 2 ∇f 2

2) ∇( fg ) = f ∇ g + g ∇ f

3) ∇( f ) n = n( f ) n −1 ∇ f

f g∇ f −f ∇ g
4) ∇( ) = g≠0
g g2

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1. DIFFERENZIABILITA’ DI FUNZIONI DI DUE VARIABILI

Ricordiamo che una funzione f di una variabile è detta differenziabile i x 0 se esiste la sua derivata
in x 0 o, in altre parole, se il limite

f ( x0 + Δx ) − f ( x0 )
f ' ( x0 ) = lim (1)
Δx
esiste. Una funzione f che è differenziabile in un punto x 0 gode di due importanti proprietà:

i) f ( x ) è continua in x 0 ;
ii) la curva y = f ( x ) ha una retta tangente non verticale in x 0 .

Il nostro obiettivo primario in questo paragrafo è di estendere la nozione di differenziabilità a


funzioni di due variabili in modo che quando f (x, y ) sia differenziabile in (x0 , y 0 ) risulti:

i) f (x, y ) continua in (x0 , y 0 ) ;


ii) la superficie z = f ( x, y ) abbia un piano tangente non verticale in (x0 , y 0 ) (vedi figura 1; la
definizione di piano tangente sarà data in seguito).

Sarebbe ragionevole supporre che una funzione f di due variabili dovrebbe poter essere
differenziabile in (x0 , y 0 ) se è ivi continua e se le due derivate parziali f x ( x0 , y 0 ) e f y (x 0 , y 0 )
esistono. Sfortunatamente, queste condizioni non sono sufficienti per la differenziabilità, in quanto
ci sono funzioni che in un dato punto sono continue e che hanno derivate parziali ma non sono
differenziabili.
Per pervenire ad una definizione appropriata di differenziabilità per funzioni di due variabili, sarà di
aiuto riesaminare il concetto di differenziabilità per funzioni di una variabile. Assumendo, per il
momento, che f sia una funzione di una variabile differenziabile in x = x0 , la (1) può essere riscritta
come:

Δf
f ' (x 0 ) = lim
Δx → 0 Δ x

(2)

o, ugualmente, come:

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⎡ Δf ⎤
lim ⎢ − f ' ( x 0 )⎥ = 0
Δx → 0 Δx
⎣ ⎦
(3)

dove

Δf = f ( x0 + Δx ) − f ( x0 )

Se adesso definiamo ε come

Δf
ε= − f ' (x0 )
Δx
(4)
allora da questa formula segue che

Δf = f ' ( x0 )Δx + εΔx


(5)
dove ε è funzione di Δx . Utilizzando la (4), il limite nella (3) può essere riscritto come:

lim ε = 0
Δx → 0

(6)
Le formule (5) e (6) conducono alla seguente definizione alternativa di differenziabilità per funzioni
di una variabile.

DEFINIZIONE 1.1

Una funzione f di una variabile è detta differenziabile in x 0 se esiste un numero f ' (x0 ) tale che Δy
ovvero Δf possa essere scritto nella forma

Δ f = f ' ( x 0 )Δx + εΔx


(7)
dove ε è una funzione di Δx tale che ε → 0 per Δx → 0 .

Questa definizione di differenziabilità fornisce le basi per estendere la nozione di differenziabilità a


funzioni di due o più variabili. Una interpretazione geometrica di quanto detto nella (7) è fornita
dalla figura seguente:

Figura 3

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Il termine Δf rappresenta la variazione in altezza di un punto che si muove lungo il grafico di f


quando l’ascissa x varia da x 0 a x0 + Δx ; il termine f ' ( x0 )Δx rappresenta la variazione in altezza
di un punto che si muove lungo la retta tangente nel punto (x0 , f (x0 )) quando l’ascissa x varia da
x 0 a x0 + Δx ; infine, il termine ε Δx rappresenta la differenza tra Δ f ed f ' ( x0 )Δx . È evidente
dalla figura che ε Δx → 0 . Tuttavia, la (7) asserisce anche che ε → 0 per Δx → 0 come si evince
dalla (6). Se f è una funzione di x e y allora il simbolo Δ f, chiamato incremento di f, denota il
cambio di valore di f (x, y ) che risulta quando ( x, y ) varia da una posizione iniziale (x0 , y 0 ) ad una
nuova posizione (x0 + Δx, y 0 + Δx ) ; di conseguenza:

Δ f = f ( x 0 + Δx, y 0 + Δy ) − f ( x 0 , y 0 )
(8)
(vedi figura 3). Se si usa una variabile dipendente z = f ( x, y ) , allora potremo scrivere Δ z piuttosto
che Δ f.

Figura 4

Con riferimento alla definizione 1.1, possiamo adesso definire la differenziabilità per funzioni in
due variabili.

DEFINIZIONE 1.2

Una funzione f in due variabili è detta differenziabile in (x0 , y 0 ) se f x ( x0 , y 0 ) ed f y (x 0 , y 0 )


esistono e Δ f può essere scritto nella forma:

Δf = f x ( x 0 , y 0 )Δx + f y ( x 0 , y 0 )Δy + ε 1 Δx + ε 2 Δy (9)

dove ε1 ed ε 2 sono funzioni di Δx e Δy tali che ε 1 → 0 e ε 2 → 0 per (Δx, Δy ) → (0,0) .

Una funzione è detta differenziabile su una regione R del piano xy se è differenziabile in ogni
punto di R. Una funzione che è differenziabile sull’intero piano xy è detta ovunque differenziabile
o semplicemente differenziabile. Non è difficile verificare che la definizione precedente è
equivalente alla seguente:

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DEFINIZIONE 1.3

Si dice che la funzione f ( x, y ) è differenziabile nel punto (a, b) se

f ( a + h, b + k ) − f ( a , b ) − h ⋅ f x ( a , b ) − k ⋅ f y ( a , b )
lim =0 (9’)
( h , k )→( 0 , 0 )
h2 + k 2

Non è difficile dimostrare che la (9) implica la (9’) dove a = x0 , b = y 0 , h = Δx e k = Δy 0


Se nella (9’) poniamo

f ( a + h, b + k ) − f ( a , b ) − h ⋅ f x ( a , b ) − k ⋅ f y ( a , b )
= w(h, k )
h2 + k 2

dalla definizione precedente si evince:


Se una funzione f ( x, y ) è differenziabile nel punto (a, b) interno al suo dominio allora

f (a + h, b + k ) − f (a, b) = h ⋅ f x (a, b) + k ⋅ f y (a, b) + w(h, k ) h 2 + k 2 (9’’)

dove w(h, k ) h 2 + k 2 = o ⋅ (h 2
+ k2 ) per ( h, k ) → (0,0) ;

Per dimostrare che la (9’) implica la (9), si osservi che

⎛ h ⎞ ⎛ k ⎞
w(h, k ) h 2 + k 2 = ⎜⎜ w(h, k ) ⎟ h + ⎜ w(h, k ) ⎟ k = ε 1h + ε 2 k
⎟ ⎜ ⎟
⎝ h + k2
2
⎠ ⎝ h + k2
2

dove
h k
ε 1 = w(h, k ) e ε 2 = w(h, k )
h2 + k 2 h2 + k 2

sono due funzioni di h e k che tendono a zero per ( h , k ) → ( 0,0) .

OSSERVAZIONE.
Prima di procedere oltre, è bene notare che per funzioni di una variabile i termini “è differenziabile”
e “ha una derivata” sono sinonimi. Tuttavia, per funzioni in due variabili, la differenziabilità
richiede più della semplice esistenza delle derivate parziali e della continuità. Per esempio la
funzione f ( x, y ) = xy nel punto (0,0) è continua, ha derivate parziali f x (0,0 ) = f y (0,0 ) = 0 ,
tuttavia non è differenziabile in (0,0). Infatti è

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f (h, k ) − f (0,0) − f x (0,0) h − f y (0,0) k hk


=
h2 + k 2 h + k2
2

e il
hk
lim
( h ,k )→( 0, 0 ) h2 + k 2

non esiste.

2. RELAZIONI TRA DIFFERENZIABILITA’ E CONTINUITA’

In precedenza, ci eravamo posti due obiettivi per la nostra definizione di differenziabilità.


Volevamo che una funzione differenziabile in (x0 , y 0 ) fosse anche continua in (x0 , y 0 ) , e volevamo
che il suo grafico avesse un piano tangente non verticale in (x0 , y 0 ) . Il prossimo teorema mostra
che l’ipotesi di continuità è soddisfatta; l’esistenza di un piano tangente non verticale sarà
dimostrata più avanti.

TEOREMA 2.1

Se f è differenziabile in (x0 , y 0 ) , allora f è continua in (x0 , y 0 ) .

Dimostrazione.
Dobbiamo dimostrare che

lim f ( x, y ) = f ( x 0 , y 0 )
( x , y ) →( x0 , y0 )

il quale, ponendo x = x0 + Δx ed y = y 0 + Δy , equivale a:

lim f ( x0 + Δx, y 0 + Δy ) = f ( x0 , y 0 )
( Δx , Δy ) →( 0 , 0 )

ovvero a

lim f ( x0 + Δx, y 0 + Δy ) − f ( x0 , y 0 ) = lim Δf = 0


( Δx , Δy ) →( 0 , 0 ) ( Δx , Δy ) →( 0 , 0 )

Essendo f per ipotesi differenziabile in (x0 , y 0 ) , dalla (9) segue che:

lim Δf = lim f x ( x0 , y 0 )Δx + f y ( x0 , y 0 )Δy + ε1 Δx + ε 2 Δy


( Δx , Δy ) →( 0 , 0 ) ( Δx , Δy ) →( 0 , 0 )

da cui l’asserto.

Il prossimo teorema, la cui dimostrazione è omessa, fornisce delle semplici condizioni sotto cui una
funzione in due variabili è differenziabile in un punto.

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TEOREMA 2.2

Se f ha derivate parziali prime in ogni punto di una regione circolare centrata in (x0 , y 0 ) , e se
queste derivate parziali sono continue in (x0 , y 0 ) , allora f è differenziabile in (x0 , y 0 ) .

3. DERIVAZIONE DI FUNZIONI COMPOSTE

Se y è una funzione differenziabile di una variabile x ed x è una funzione differenziabile di una


variabile t, allora la regole di derivazione di funzioni composte afferma che:

dy dy dx
= .
dt dx dt

Adesso estenderemo questa regola di derivazione a funzioni di due variabili.


Supponiamo che z sia una funzione di due variabili x ed y, diciamo

z = f ( x, y )
(10)
e supponiamo che x ed y siano rispettivamente funzioni di una sola variabile t:

x = x(t ) , y = y (t ) .

Sostituendo queste funzioni nella (10), otteniamo la relazione

z = f ( x(t ), y (t ))

che esprime z come una funzione della sola variabile t. Sussiste il seguente

TEOREMA 3.1 (derivazione di funzioni composte).

Se x = x(t ) e y = y (t ) sono derivabili in t, e se z = f ( x, y ) è differenziabile nel punto (x(t ), y(t )) ,


allora z = f ( x(t ), y (t )) è derivabile in t, e

dz ∂z dx ∂z dy
= + .
dt ∂x dt ∂y dt
(11)

Nel caso particolare in cui z = F ( x, y ) ed y è una funzione derivabile della variabile x, la formula
(11) conduce al risultato:

dz ∂F dx ∂F dy ∂F ∂F dy
= + = +
dx ∂x dx ∂y dx ∂x ∂y dx

Si osservi che altre notazioni possibili sono

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dz dx dy
= fx + fy ;
dt dt dt
df ∂f dx ∂f dy
= + ;
dt ∂x dt ∂y dt

df
= f x x' (t ) + f y y ' (t ).
dt

ma è possibile costruire anche altre svariate scritture.

Nel teorema 3.1 le variabili x e y sono ognuna funzione di singola variabile t. Adesso consideriamo
il caso in cui x e y sono funzioni di due variabili. Poniamo

z = f ( x, y )
(12)
e supponiamo che x ed y siano funzioni di u e v, diciamo

x = x(u,v ), y = y(u, v ).

Sostituendo queste funzioni di u e v nella (12), otteniamo la relazione

z = f (x(u, v ), y(u, v ))

che esprime z come una funzione delle due variabili u e v. In questo caso sussiste il

TEOREMA 3.2 (regola di derivazione a catena).

Se x = x(u, v ) e y = y(u, v ) hanno derivate parziali prime nel punto (u, v ) , e se z = f ( x, y ) e


differenziabile nel punto (x(u, v ), y (u, v )) , allora z = f (x(u, v ), y(u, v )) ha derivate parziali prime in
(u, v ) date da:
∂z ∂z ∂x ∂z ∂y ∂z ∂z ∂x ∂z ∂y
= + e = + .
∂u ∂x ∂u ∂y ∂u ∂v ∂x ∂v ∂y ∂v

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4. DIFFERENZIALI TOTALI

4.1 PIANI TANGENTI

Ricordiamo che C è una curva parametrica liscia nello spazio tridimensionale allora la retta tangente
a C nel punto P0 è la retta che attraversa P0 lungo il vettore unitario tangente a C in P0 (figura 4).
Il concetto di piano tangente è basato su questa definizione. Il seguente teorema stabilisce le
condizioni che assicurano l’esistenza di un piano tangente e fornisce il metodo per trovare le sue
equazioni.

Figura 5

TEOREMA 4.1.1

Sia P0 ( x0 , y 0 , z 0 ) un punto sulla superficie z = f ( x, y ) . Se f (x, y ) è differenziabile in (x0 , y 0 ) ,


allora la superficie ha un piano tangente in P0 di equazione

f x ( x 0 , y 0 )( x − x 0 ) + f y ( x 0 , y 0 )( y − y 0 ) − ( z − z 0 ) = 0 (13)

Dimostrazione.
Per provare l’esistenza del piano tangente in P0 , dobbiamo dimostrare che tutte la curve lisce sulla
superficie z = f ( x, y ) che passano per P0 hanno rette tangenti giacenti sullo stesso piano.
Lo faremo mostrando che curve hanno un vettore tangente unitario in P0 normale al vettore

n = f x ( x 0 , y 0 ), f y ( x0 , y 0 ),−1 (14)

Queste rette saranno sicuramente tutte tangenti in P0 alle suddette curve e giacenti sul piano che
passa per P0 e ad n normale. Inoltre, dalla (14) segue che l’equazione normale al punto di questo
piano è la (13). Premesso ciò, completiamo la dimostrazione. Sia C una curva liscia giacente sulla
superficie z = f ( x, y ) passante per P0 ( x0 , y 0 , z 0 ) . Si assuma, inoltre, che C abbia equazioni
parametriche

x = x (s ) ; y = y(s ) ; z = z (s ) ;

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dove s è il parametro lunghezza d’arco e P0 ( x0 , y 0 , z 0 ) è il punto su C che corrisponde al valore


s = s0 . Quindi, x0 = x(s 0 ) , y 0 = y (s 0 ) , e z 0 = z (s 0 ) . Siccome C giace sulla superficie z = f ( x, y ) ,
ogni punto (x(s ), y(s ), z (s )) deve soddisfare questa equazione per ogni s, quindi
z = f ( x(s ), y (s ))

per ogni s.
Se deriviamo entrambi i membri di questa equazione e applichiamo il teorema derivazione funzioni
composte con s al posto di t, otteniamo

dz ∂f dx ∂f dy
= + ;
ds ∂x ds ∂y ds

oppure

∂f dx ∂f dy dz
+ − =0
∂x ds ∂y ds ds

La parte sinistra di questa equazione può essere riscritta come un prodotto scalare:

∂f ∂f dx dy dz
, ,−1 ⋅ , , =0
∂x ∂y ds ds ds

oppure

f x ( x, y ), f y ( x, y ),−1 ⋅ x' (s ), y ' (s ), z ' (s ) = 0

In particolare, se s = s0 abbiamo

f x (x 0 , y 0 ), f y (x 0 , y 0 ),−1 ⋅ x' (s 0 ), y ' (s 0 ), z ' (s 0 ) = 0 (15)

Ma il secondo vettore nel prodotto è il vettore unitario tangente a C nel punto P0 ( x0 , y 0 , z 0 ) , quindi
dalla (15) il vettore unitario tangente a C in P0 è perpendicolare al vettore

n = f x ( x 0 , y 0 ), f y ( x0 , y 0 ),−1

che completa la dimostrazione.


Se f (x, y ) è differenziabile in (x 0 , y 0 ) , allora il vettore

n = f x ( x 0 , y 0 ), f y ( x0 , y 0 ),−1 (16)

è detto vettore normale alla superficie z = f ( x, y ) in P0 ( x0 , y 0 , z 0 ) , e la retta passante per P0


parallela a n è detta retta normale alla superficie in P0 (figura 5). Le equazioni parametriche della
retta normale sono:

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x = x0 + f x ( x0 , y 0 );

y = y 0 + f y ( x0 , y 0 );

z = z 0 − t;

Figura 6

Esempio 4.1.1
Trovare l’equazione del piano tangente e della retta normale alla superficie z = x 2 y nel punto
(2,1,4) .
Soluzione.

Dato che f ( x, y ) = x 2 y , segue che

f x ( x, y ) = 2 xy e f y ( x, y ) = x 2 .

Quindi per x = 2 e y = 1 ,

f x (2,1) = 4 e f y (2,1) = 4

quindi, il vettore normale alla superficie in (2,1,4) è

n = f x (2,1) i + f y (2,1) j – k = 4i + 4j – k

Perciò, il piano tangente ha equazione

4( x − 2) + 4( y − 1) − (z − 4) = 0 o 4x + 4 y − z = 8

e la retta normale ha equazioni

x = 2 + 4t , y = 1 + 4t , z = 4−t.

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ATTENZIONE.
Nel paragrafo precedente abbiamo posto due condizioni per la definizione di differenziabilità di una
funzione f (x, y ) di due variabili nel punto ( x0 , y 0 ) − f deve essere continua in (x 0 , y 0 ) e la
superficie z = f ( x, y ) non deve avere tangenti verticali in (x 0 , y 0 ) . Il teorema 2.1 afferma che la
differenziabilità implica la continuità e ora il teorema 4.1.1 mostra che la differenziabilità implica
l’esistenza di un piano tangente non verticale. Il piano tangente dato dalla (13) è non verticale
perché la terza componente del vettore normale n nella (14) è diversa da 0.

5. DIFFERENZIALI

Ricordiamo che se y = f ( x ) è una funzione di una variabile, allora il differenziale

dy = f ' ( x0 )dx

rappresenta la variazione di y lungo la retta tangente in (x 0 , y 0 ) prodotta da una variazione dx della


variabile x e

Δy = f ( x0 + Δx ) − f ( x0 )

rappresenta la variazione in y lungo la curva y = f ( x ) prodotta da una variazione Δx della


variabile x. Analogamente, se z = f ( x, y ) è una funzione di due variabili, definiremo dz come la
variazione in z lungo il piano tangente in (x 0 , y 0 , z 0 ) alla superficie z = f ( x, y ) prodotta dalle
variazioni dx e dy rispettivamente delle variabili x e y. In questo caso

Δz = f ( x 0 + Δx, y 0 + Δy ) − f ( x0 , y 0 )

rappresenta la variazione in z lungo la superficie dovuta alle variazioni Δx e Δy rispettivamente


delle variabili x e y.
Per ricavare una formula per dz, sia P0 ( x0 , y 0 , z 0 ) un punto fissato sulla superficie z = f ( x, y ) . Se f
è differenziabile in (x 0 , y 0 ) allora la superficie ha un piano tangente in P0 dato dall’equazione

f x ( x 0 , y 0 )( x − x 0 ) + f y ( x 0 , y 0 )( y − y 0 ) − ( z − z 0 ) = 0

z = z 0 + f x ( x 0 , y 0 )dx + f y ( x 0 , y 0 )dy (17)

Dalla (17) segue che il piano tangente ha altezza z 0 quando x = x0 , y = y 0 ed ha altezza

z 0 + f x ( x 0 , y 0 )dx + f y ( x 0 , y 0 )dy (18)

quando x = x0 + dx , y = y 0 + dy . Quindi, la variazione dz nell’altezza del piano tangente, siccome


(x, y ) varia da (x0 , y 0 ) a (x0 + dx, y0 + dy ) , è ottenuta sottraendo z 0 all’espressione (18). Risulta

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dz = f x ( x 0 , y 0 )dx + f y ( x 0 , y 0 )dy

Questa quantità è chiamata differenziale totale di z in (x 0 , y 0 ) . Spesso x 0 e y 0 sono omessi, cioè

dz = f x ( x, y )dx + f y ( x, y )dy (19)

Di solito, in questa formula, dx e dy sono viste come variabili e x e y come costanti. La (19) può
essere anche scritta usando df al posto di dz. Se z = f ( x, y ) è differenziabile nel punto (x, y ) , allora
l’incremento Δz può essere scritto come

Δz = f x ( x, y )Δx + f y ( x, y )Δy + ε1 Δx + ε 2 Δy (20)

dove ε1 → 0 , ε 2 → 0 , per (Δx, Δy ) → (0,0) . Nel caso in cui Δx = dx e Δy = dy , dalla (19) e dalla
(20) segue che

Δz = dz + ε1 Δx + ε 2 Δy .

Geometricamente, questa approssimazione ci dice che la variazione di z lungo il la superficie e la


variazione di z lungo il piano tangente sono approssimativamente uguali per Δx = dx e Δy = dy
piccoli.

Esempio 5.1
Sia z = 4 x 3 y 2 . Trovare dz.

Soluzione.

Essendo f ( x, y ) = 4 x 3 y 2 , segue che

f x ( x, y ) = 12 x 2 y 2 e f y ( x, y ) = 8 x 3 y

quindi

dz = 12 x 2 y 2 dx + 8 x 3 ydy

Esempio 5.2
Sia f ( x, y ) = x 2 + y 2 .
Usa un differenziale totale per approssimare la variazione di f (x, y ) per (x, y ) che varia dal
punto (3,4) al punto (3.04,3.98) .

Soluzione.

Approssimeremo Δf (variazione di f) con

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x y
df = f x (x, y )dx + f y ( x, y )dy = dx + dy
x +y
2 2
x + y2
2

Siccome x = 3 , y = 4 , dx = 0.04 , dy = −0.02 otteniamo

3 4
Δf ≈ df = (0.04) + (− 0.02)
9 + 16 9 + 16
3
= (0.04) − 4 (0.02) = 0.008
5 5

Si osservi (usare una calcolatrice) che il vero valore di Δf con cinque cifre decimali dopo la
virgola è

Δz = (3.04)2 + (3.98)2 − 3 2 + 4 2 ≈ 0.00819

Esempio 5.3
Il raggio di cilindro circolare è misurato con un errore del 2% circa, e l’altezza è misurata con
un errore del 4% circa. Approssimare la massima percentuale di errore possibile nel volume
V calcolato da queste misurazioni.

Soluzione.

Siano r, h, V il raggio, l’altezza e il volume del cilindro e siano Δr , Δh , ΔV gli errori di queste
quantità. Dai dati forniti risulta che

Δr Δh
≤ 0.02 e ≤ 0.04
r h

ΔV
Vogliamo trovare il massimo valore possibile di . Siccome il volume del cilindro è
V
V = π ⋅ r 2 ⋅ h segue dalla (19) che

∂V ∂V
dV = dr + dh = 2 ⋅ π ⋅ r ⋅ h ⋅ dr + π ⋅ r 2 ⋅ dh
∂r ∂h

Se scegliamo dr = Δr e dh = Δh possiamo usare l’approssimazione

ΔV dV
ΔV ≈ dV e ≈
V V

ma

ΔV 2 ⋅ π ⋅ h ⋅ r ⋅ dr + π ⋅ r 2 ⋅ dh dr dh
= =2 +
V π⋅r ⋅h2
r h

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quindi dalla disuguaglianza triangolare

dV dr dh dr dh
= 2 + ≤2 + ≤ 2(0.02 ) + (0.04 ) = 0.08
V r h r h

perciò, la percentuale massima di errore in V è circa 8%.

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5. DERIVATE DIREZIONALI

Le derivate parziali prime f x ( a, b) e f y ( a, b) forniscono la rapidità di variazione di f ( x, y ) in (a, b)


misurata rispettivamente nella direzione positiva dell’asse x e in quella dell’asse y. Se vogliamo
conoscere quanto rapidamente varia f ( x, y ) in (a, b) quando il punto ( x, y ) si muove nel dominio di f
in qualche altra direzione, abbiamo bisogno del concetto, più generale, di derivata direzionale.
Possiamo sempre specificare la direzione considerata mediante un vettore non nullo di lunghezza
qualsiasi, tuttavia è più conveniente usare un vettore unitario.

DEFINIZIONE 5.1

Sia u = u1i + u 2 j un vettore unitario, ossia u1 + u 2 = 1 . La derivata direzionale di f ( x, y ) in


2 2

(a, b) nella direzione di u è la rapidità di variazione di f ( x, y ) rispetto alla distanza misurata nel
punto (a, b) lungo una retta di direzione u nel piano xy. Questa derivata direzionale è data da

f (a + hu1 , b + hu 2 ) − f (a, b)
Du f (a, b) = lim
h →o + h

Se poniamo g (t ) = f (a + tu1 , b + tu 2 ) allora la derivata direzionale è data anche da

Du f (a, b) = g ' (0)

se la derivata al secondo membro esiste.

Il vettore unitario u determina una retta L passante per (a, b) nel dominio di f. Il piano verticale
contenente L interseca il grafico di f lungo una curva C la cui tangente T in ( a, b, f ( a, b)) ha la
pendenza Du f (a, b) .

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Si osservi che le derivate direzionali in direzioni parallele agli assi coordinati sono date direttamente
dalle derivate parziali prime:

Di f (a, b) = f x (a, b) , Dj f ( a, b) = f y ( a, b)

D-i f (a, b) = − f x (a, b) e D-j f ( a, b) = − f y ( a, b) .

Il teorema seguente mostra come il gradiente di una funzione differenziabile permetta di calcolare
qualunque derivata direzionale.

TEOREMA 5.2 (derivata direzionale e gradiente)

Se f è differenziabile in (a, b) e u = u1i + u 2 j è un vettore unitario, allora la derivata direzionale di


f in (a, b) nella direzione di u è data da

Du f (a, b) = u ⋅ ∇f (a, b )

Dimostrazione.
Per la regola di derivazione delle funzioni composte si ha

Du f (a, b) = ⎛⎜ d f (a + tu1 , b + tu 2 ) ⎞⎟ = u1 f1 (a, b) + u 2 f 2 (a, b)


⎝ dt ⎠ t =0

Se f è una funzione differenziabile, la formula della derivata direzionale

Du f ( x, y ) = f x ( x, y )u1 + f y (x, y )u 2

può essere espressa come un prodotto scalare scrivendo

Du f (x, y ) = ( f x ( x, y ) i + f y ( x, y ) j) ⋅ (u1 i + u 2 j)

dove il primo vettore nel prodotto è il gradiente di f mentre il secondo è u. Pertanto la formula
precedente per la derivata direzionale può essere riscritta nella seguente forma compatta.

Du f ( x, y ) = ∇f ( x, y ) ⋅ u

In altre parole, se f è una funzione differenziabile il prodotto scalare tra il gradiente di f e un vettore
unitario u fornisce la derivata direzionale, nella direzione di u.
Già sappiamo che l’esistenza delle derivate parziali di una funzione in un punto non implica che
essa sia continua nel punto e ancora meno che sia differenziabile. La stessa cosa può dirsi riguardo
alle derivate direzionali. L’esempio che segue mostra che una funzione può avere derivata
direzionale in ogni direzione in un punto dato e ugualmente non essere continua in quel punto.

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Esempio 5.1
Trovare il gradiente di f (x, y ) = 3x 2 y nel punto (1,2) e usarlo per calcolare la derivata
direzionale di f nel medesimo punto nella direzione del vettore v = 3 i + 4 j .

Svolgimento.

Da

∇f ( x, y ) = f x ( x, y ) i + f y (x, y ) j = 6 xy i + 3x 2 j

si evince che di f in (1,2) è

∇f (1,2) = 12 i + 3 j

Poiché il vettore unitario nella direzione di v è

v 1 3 4
u= = (3 i + 4 j) = i + j
v 5 5 5

segue che

48
Du f (1,2 ) = ∇f (1,2 ) ⋅ u =
5

Esempio 5.2
Siano
⎧0 ( x, y ) = (0,0)

f ( x, y ) = ⎨ x 2 y e uˆ = u1i + u 2 j
⎪ x4 + y2 ( x, y ) ≠ (0,0)

Allora

2 2
f (hu1 , hu 2 ) − f (0,0) 1 h 3u1 u 2 u
= lim = 1 u2 ≠ 0
Du f (0,0) = lim
h →0 + h h →0 + h h h u
2 2
( 4
1 + u2
2
u2)
Se u 2 = 0 allora uˆ = i e

Di f (0,0) = ∂ f (0,0) = 0
∂x

Quindi la funzione data ha nel punto (0,0) derivata direzionale in ogni direzione ma (come già
visto) non è continua in (0,0). Si osservi che in questo caso è ∇f (0,0) = 0 e quindi risulta

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∇f (0,0) ⋅ u ≠ Du f(0,0).
6. PROPRIETA’ DEL GRADIENTE

La lunghezza e la direzione del vettore gradiente ∇f forniscono importanti informazioni


riguardanti la funzione f.

TEOREMA 6.1

Sia f una funzione di due variabili e differenziabile in (x0 , y 0 ) .


a) Se ∇f ( x0 , y 0 ) = 0 , allora tutte le derivate direzionali di f in (x0 , y 0 ) sono nulle;
b) Se ∇f ( x0 , y 0 ) ≠ 0 , allora tra tutte le possibili derivate direzionali di f in (x0 , y 0 ) , quella
nella direzione del ∇f (x0 , y 0 ) è quella con il valore più grande. Il valore di questa derivata
è ∇f ( x0 , y 0 ) ;
c) Se ∇f ( x0 , y 0 ) ≠ 0 , allora tra tutte le possibili derivate direzionali di f in (x0 , y 0 ) , quella
nella direzione opposta al ∇f (x0 , y 0 ) è quella con il valore più piccolo. Il valore di questa
derivata è − ∇f ( x0 , y 0 ) .

Dimostrazione.
a) se ∇f ( x0 , y 0 ) = 0 , allora per ogni scelta di u abbiamo

Du f (x0 , y 0 ) = ∇f ( x0 , y 0 ) ⋅ u = 0 ⋅ u = 0 ;

b) e c) si assuma ∇f ( x0 , y 0 ) ≠ 0 e sia θ l’angolo tra ∇f (x0 , y 0 ) e un vettore unitario


arbitrario u. Dalla definizione

Du f ( x 0 , y 0 ) = ∇f ( x0 , y 0 ) ⋅ u = ∇f ( x0 , y 0 ) u cos θ

da cui se u = 1

Du f ( x0 , y 0 ) = ∇f ( x0 , y 0 ) cos θ

Così, il massimo valore di Du f ( x0 , y0 ) è ∇f ( x0 , y 0 ) . Questo accade quando cos θ = 1 , o


quando u ha la stessa direzione di ∇f (x0 , y 0 ) (cioè θ=0). Il minimo valore di Du f ( x0 , y0 )
è ∇f ( x0 , y 0 ) che si ottiene quando cos θ = −1 , cioè quando u e ∇f (x0 , y 0 ) sono in
direzioni opposte (cioè θ=π).

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Esempio 6.1
Per la funzione f ( x, y ) = x 2 e y , trovare il minimo valore della derivata direzionale in (− 2,0) , e
fornire un vettore unitario nella direzione in cui si ha il massimo valore.

Soluzione.

Siccome

∇f ( x0 , y 0 ) = f x ( x, y ) i + f y ( x, y ) j = 2 xe y i + x 2 e y j

Il gradiente di f in (− 2,0) è

∇f (− 2,0) = −4 i + 4 j

Dal teorema 6.1, il valore massimo della derivata direzionale è

∇f (− 2,0) = (− 4)2 + 4 2 = 32 = 4 2

Un vettore unitario in questa direzione è

∇f (− 2,0 ) 1
= (− 4 i + 4 j) = − 1 i + 1 j
∇f (− 2,0 ) 4 2 2 2

7. UNA INTERPRETAZIONE DI DuT(x, y)

Supponiamo che un osservatore si stia muovendo sul piano xy e che in ogni punto ( x, y ) del piano il
valore della temperatura sia dato da T ( x, y ) . Inoltre supponiamo che nell’istante in cui l’osservatore
passa per (x0 , y 0 ) si stia muovendo nella direzione del vettore w con velocità v di modulo k.
Se poniamo
w
û = e v = kuˆ
w
allora

⎡ unità di T ⎤
i) Dû T ( x0 , y 0 ) = ∇T ( x0 , y 0 ) ⋅ û ⎢ ⎥
⎣ unità di distanza ⎦

fornisce la rapidità di variazione della temperatura percepita dall’osservatore, misurata in unità di T


per unità di distanza sul piano xy;

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ii)
⎡ unità di distanza ⎤ ⎡ unità di T ⎤ ⎡ unità di T ⎤
DvT ( x0 , y 0 ) = ∇T ( x0 , y 0 ) ⋅ v = k∇T ( x0 , y 0 ) ⋅ û ⎢ ⎥⎢ ⎥=⎢ ⎥
⎣ unità di tempo ⎦ ⎣ unità di distanza ⎦ ⎣ unità di tempo ⎦

fornisce la rapidità di variazione della temperatura percepita dall’osservatore, misurata in unità di T


per unità di tempo.

Osservazione

Se f è di classe C(2) allora la derivata direzionale seconda è data da:

Dû (Dû f ) = Dû (∇f ⋅ û ) = Dû (u 1 f x + u 2 f y ) = u 1 (u 1 f xx + u 2 f yx ) + u 2 (u 1 f xy + u 2 f yy )


Da cui

Dû (Dû f ) = f xx u 1 + 2u 1 u 2 f xy + u 2 f yy .
2 2

Sia z = f (x, y,) un campo scalare differenziabile in un aperto Ω del piano xy. Indichiamo con C la
curva di livello f (x, y,) = c. Sia Po ≡ ( xo , y o ) un punto di C e supponiamo che C sia descritta
parametricamente dall’equazione vettoriale di classe C(1) :

r = r (t ) = x(t ) i + y (t ) j t∈ [a, b]

e che r (t 0 ) = P0 dove a< to < b. Procedendo come nel caso delle funzioni di tre variabili (vedi
parag. 8) si evince che:
in ogni punto di una curva di livello C il vettore ∇f è normale a C; in particolare in t = to , risulta

∇f [r (t 0 )]⋅ r ' (t 0 ) = 0 .

la curva di livello che passa per P0 ha in P0 vettore tangente perpendicolare al vettore ∇f (P0 ) . Sia
C una curva liscia di equazioni r = r (t ) . Se T̂(t ) denota il vettore unitario tangente a C in r (t ) allora
il prodotto scalare ∇f [r (t )] ⋅ Tˆ è per definizione la derivata direzionale di f nella direzione di C e
∂f
spesso si indica con . Il valore di
∂s
∂f
= ∇f ⋅ T̂
∂s

dipende dalla rappresentazione parametrica scelta per C. Infatti il verso di percorrenza e quindi il
verso di T̂ dipende dalla scelta della rappresentazione parametrica. Se C è una curva di livello
allora la derivata di f lungo C è nulla ed è massima lungo la direzione normale a C.

TEOREMA 6.2 (del valormedio)

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Se z = f ( x, y ) una funzione di classe C (1) (Ω ) dove Ω è un aperto, allora

f (a + h, b + k ) = f (a, b ) + h∂ 1 f (a + θh, b + θk ) + k∂ 2 f (a + θh, b + θk )


dove (a, b ) e (a + h, b + k ) . Sono gli estremi di un segmento contenuto in Ω.

Dimostrazione.
Incominciamo ad osservare che le equazioni parametriche

x = a + th y = b + th t ∈ [0,1]

descrivono il segmento di estremi (a, b ) e (a + h, b + k ).


Pertanto se scegliamo h e k tali che h 2 + k 2 < r 2 allora il segmento suddetto sta nel disco con centro
in (a,b), di raggio r e contenuto in Ω.
Sia g (t ) = f (a + th, b + tk ) t ∈ [0,1] . Essendo f differenziabile in Ω, il teorema di derivazione delle
funzioni composte ci dice che g è derivabile e che

g ' (t ) = h ∂ 1 f (a + th, b + tk ) + k ∂ 2 f (a + th, b + tk ) t ∈ [0,1]

Da cui, per il teorema del valor medio per le funzioni di una variabile, si ottiene

g (1) − g (0) = g ' (θ ) per qualche θ ∈ (0,1)

ovvero

g (1) = g (0) + g ' (θ ) .

Essendo

g (1) = f (a + h, b + k ) g (0) = f (a, b )

segue che

f (a + h, b + k ) = f (a, b ) + h ∂ 1 f (a + θ h, b + θ k ) + k ∂ 2 f (a + θ h, b + θ k )

Ovvero l’asserto.

COROLLARIO

Nelle ipotesi del teorema precedente:


se ∇f ( x, y ) = 0 in tutti di un segmento δ contenuto in Ω, allora f è costante su δ. Infatti, se (a, b ) è
un estremo del segmento δ e (a + h, b + k ) è un generico punto di δ, dal teorema precedente (tenuto
presente che le derivate parziali sono uguali a zero su δ) segue che f (a + h, b + k ) = f (a, b ) .

TEOREMA 6.3

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Sia f una funzione differenziabile in un aperto connesso Ω. Se in Ω risulta ∇f = 0 allora f è


costante in Ω. Inoltre se due campi scalari f e g, differenziabili in Ω, hanno lo stesso gradiente
allora f e g differiscono per una costante arbitraria.
Quindi nelle ipotesi suddette

∇f = ∇g se solo se f-g=k

dove k è una costante arbitraria.

Da quanto precede:
se ∇f = 0 in un disco D di centro (a, b ) e raggio r allora f è costante in D.
Infatti, se scegliamo h e k tali che h 2 + k 2 < r 2 allora il punto (a + h, b + k ) denota un punto (x, y )
del disco D e poiché le derivate parziali sono uguali a zero in D e quindi sul segmento di estremi
(a, b) e (x, y ) si evince che:
f (x, y ) = f (a, b ) ∀( x, y ) ∈ D

9.1 FORMULE DI TAYLOR DELL’ORDINE 2

Se f (x, y ) è di classe C ( 2 ) in un intorno di un punto (a, b ) allora esiste un numero θ con 0 < θ < 1
tale che, per h e k sufficientemente piccoli in valore assoluto, risulta

f (a + h, b + k ) = f (a, b ) + h f x (a, b ) + k f y (a, b ) +


[
+ 1 2 h f xx (a + θ h, b + θ k ) + 2 ⋅ h ⋅ k ⋅ f xy (a + θ h, b + θ k ) + k 2 ⋅ f yy (a + θ h, b + θ k )
2
]
infatti posto g (t ) = f (a + th, b + tk ) t ∈ [0,1] per la formula di Taylor di ordine n=2

g ' ' (θ )
g (t ) = g (0 ) + g ' (θ ) t + dove 0 < θ < 1.
2!

Da cui tenuto presente che:

g ' (t ) = h f x (a + th, b + tk ) + k f y (a + th, b + tk )


g ' ' (t ) = h 2 f xx (a + th, b + tk ) + h k f yx (a + th, b + tk ) + k 2 f yy (a + th, b + tk ) + h k f xy (a + th, b + tk ) =
= h 2 f xx (a + th, b + tk ) + 2 h k f xy (a + th, b + tk ) + k 2 f yy (a + th, b + tk )

si evince l’asserto.

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8. DIFFERENZIABILITA’ DERIVATE DIREZIONALI E GRADIENTE PER FUNZIONI


DI 3 VARIABILI

In questo paragrafo estenderemo i concetti espressi nei precedenti paragrafi a funzioni di tre
variabili. La principale differenza tra funzioni di 2 e 3 variabili è geometrica: il grafico di
z = f ( x, y ) rappresenta una superficie nello spazio tridimensionale, mentre w = f (x, y, z ) non ha
una analoga interpretazione.

8.1 DIFFERENZIABILITA’

La definizione e i teoremi base riguardanti la differenziabilità per funzioni di 3 variabili sono


generalizzazioni dei corrispondenti teoremi per funzioni di 2 variabili.

DEFINIZIONE 8.1.1

Una funzione f di 3 variabili è differenziabile nel punto (x0 , y 0 , z 0 ) se le derivate parziali


f x ( x0 , y 0 , z 0 ) , f y (x 0 , y 0 , z 0 ) e f z (x0 , y 0 , z 0 ) esistono e

Δf = f ( x0 + Δx, y 0 + Δy, z 0 + Δz ) − f (x0 , y 0 , z 0 )

può essere riscritta nella forma

Δf = f x ( x 0 , y 0 , z 0 )Δx + f y ( x 0 , y 0 , z 0 )Δy + f z ( x 0 , y 0 , z 0 )Δz + ε1 Δx + ε 2 Δy + ε 3 Δz

dove ε1 ,ε 2 ed ε 3 sono funzioni di Δx, Δy e Δz tale che ε1 → 0 , ε 2 → 0 e ε 3 → 0 per


(Δx, Δy, Δz ) → (0,0,0) .
TEOREMA 8.1.1

Se f ammette derivate parziali prime in ogni punto di una certa regione sferica centrata in
(x0 , y 0 , z 0 ) , e se la derivate parziali sono continue in (x0 , y 0 , z 0 ) , allora f è differenziabile in
(x0 , y 0 , z 0 ) .
TEOREMA 8.1.2 (regola derivazione funzioni composte)

Se x = x(t ), y = y(t ), z = z (t ) , sono differenziabili in t e w = f ( x, y, z ) è differenziabile nel punto


(x(t ), y(t ), z(t )) è differenziabile in t, e
dw ∂w dx ∂w dy ∂w dz
= + +
dt ∂x dt ∂y dt ∂z dt

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Quindi, come per le funzioni di una e due variabili, una funzione di tre variabili è continua in un
punto se è differenziabile in quel punto.

Esempio 8.1.1
Supporre che

w = x3 y 2 z , x = t2 , y = t3, z = t4

Usare il teorema di derivazione funzioni composte per trovare dw dt .

Soluzione.

Dal teorema della “derivazione delle funzioni composte”,

dw ∂w dx ∂w dy ∂w dz
= + + =
dt ∂x dt ∂y dt ∂z dt

= (3x 2 y 2 z )2t + (2 x 3 yz )3t 2 + (x 3 y 2 )4t 3 =

= (3t 14 )(2t ) + (2t 13 )(3t 2 ) + (t 12 )(4t 3 ) = 16t 15

NOTA BENE.
La differenza più significativa tra funzioni di 2 e di 3 variabili è geometrica. Per una funzione di 2
variabili l’equazione z = f ( x, y ) può essere rappresentata come una superficie in uno spazio
tridimensionale. Sebbene, per funzioni di tre variabili, rappresentate con un grafico w = f ( x, y, z ) è
impossibile, perché sono richieste 4 dimensioni (una per ogni variabile), questo non è un problema,
significa semplicemente che dobbiamo fare affidamento più sulla formula analitica che sulla
geometrica.

9. DERIVATE DIREZIONALI

Per definire una derivata direzionale in un punto (x0 , y 0 , z 0 ) per una funzione f di tre variabili,
useremo un vettore unitario u = u1 , u 2 ,u 3 per designare le direzioni, e sia l la retta passante per
(x0 , y 0 , z 0 ) e parallela ad u. Questa retta può essere parametrizzata come

x = x0 + su1 , y = y 0 + su 2 , z = z 0 + su 3 ,

dove s è il parametro di lunghezza d’arco riferito al punto P0 = ( x0 , y 0 , z 0 ) e direzione positiva nella


direzione di u. All’incrementare di s, il punto P0 = ( x, y, z ) si muove nella direzione di u lungo l,
ed il valore di w = f ( x, y, z ) varia con s. Come per funzioni di 2 variabili, definiamo
Du f ( x 0 , y 0 , z 0 ) il tasso istantaneo di variazione di w rispetto a s in (x0 , y 0 , z 0 ) . Procedendo come
nel paragrafo precedente si arriva alla seguente definizione.

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DEFINIZIONE 9.1

Se f è differenziabile in (x0 , y 0 , z 0 ) e se u = u1 , u 2 ,u 3 è un vettore unitario, allora la derivata di f


in (x0 , y 0 , z 0 ) nella direzione di u è definita da

Du f ( x 0 , y 0 , z 0 ) = f x ( x 0 , y 0 , z 0 )u1 + f y ( x 0 , y 0 , z 0 )u 2 + f z (x 0 , y 0 , z 0 )u 3
(1)
La definizione di gradiente di una funzione di tre variabili è

∇f ( x, y, z ) = f x ( x 0 , y 0 , z 0 )u1 + f y ( x 0 , y 0 , z 0 )u 2 + f z ( x 0 , y 0 , z 0 )u 3
(2)
che è identica alla definizione precedente eccetto per il terzo addendo. Segue dalla (1) e dalla (2)
che

Du f ( x, y, z ) = ∇f ( x, y, z ) ⋅ u

analoga alla definizione già vista. Considerando ciò si dimostra la seguente estensione del teorema
6.1.

TEOREMA 9.2

Sia f una funzione di tre variabili differenziabile in (x0 , y 0 , z 0 ) .

a) Se ∇f ( x0 , y 0 , z 0 ) = 0 , allora tutte le derivate direzionali di f in (x0 , y 0 , z 0 ) sono nulle;


b) Se ∇f ( x0 , y 0 , z 0 ) ≠ 0 , allora tra tutte le possibili derivate direzionali di f in (x0 , y 0 , z 0 ) ,
quella nella direzione del ∇f ( x0 , y 0 , z 0 ) è quella con il valore più grande. Il valore di
questa derivata è ∇f ( x0 , y 0 , z 0 ) ;
c) Se ∇f ( x0 , y 0 , z 0 ) ≠ 0 , allora tra tutte le possibili derivate direzionali di f in (x0 , y 0 , z 0 ) ,
quella nella direzione opposta al ∇f ( x0 , y 0 , z 0 ) è quella con il valore più piccolo. Il valore
di questa derivata è − ∇f ( x0 , y 0 , z 0 ) .

Esempio 9.1
Trovare la derivata direzionale di f ( x, y, z ) = x 2 y − yz 3 + z nel punto P(1,−2,0) nella direzione
del vettore v = 2 i + j − 2 k , e trovare il massimo tasso di incremento di f in P.

Soluzione.

Siccome

f x ( x, y, z ) = 2 xy , f y ( x, y, z ) = x 2 − z 3 , f z ( x, y , z ) = 1 − 3 z 2 y

segue che

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( ) (
∇f ( x, y, z ) = 2 xy i + x 2 − z 3 j + − 3 yz 2 + 1 k )
∇f (1,−2,0) = −4i + j + k

Un vettore unitario nella direzione di v è

v 1
u= = (2 i + j − 2 k ) = 2 i + 1 j − 2 k
v 9 3 3 3

da cui

Du f (1,−2,0 ) = ∇f (1,−2,0 ) ⋅ u = -3

il massimo tasso di incremento di f è

∇f (1,−2,0) = (− 4)2 + 12 + 12 =3 2.

Esempio 9.2
Sia f(x,y,z) = ln r dove r = xi + yj + zk . Allora r = x 2 + y 2 + z 2 e

ln (x 2 + y 2 + z 2 ) .
1
f(x,y,z) =
2
Essendo

∂f x ∂f ∂f
= 2 = 2
y
= 2
z
∂x x + y2 + z2 ∂y x + y 2 + z 2 ∂z x + y 2 + z 2

segue che

∇( ln r )= xi + y j+ z k = r
x +y +z
2 2 2
r

Il nostro nuovo obiettivo è quello di stabilire una relazione geometrica tra le superfici di livello e
il gradiente di una funzione f di tre variabili.
A questo proposito sia u = f (x, y, z) un campo scalare differenziabile in un aperto Ω dello spazio
tridimensionale. Indichiamo con S la superficie di livello f (x, y, z) = c. Sia Po ( xo , y o , z o ) un punto
di S e C una curva regolare che sta su S e che passa per Po. Supponiamo che C sia decritta
parametricamente dalla equazione vettoriale

r = r(t ) = x(t ) i + y (t ) j + z (t ) k t∈ [a, b]

e che r (t 0 ) = P0 dove a< to < b. Ovviamente è

f [r(t )] = f [x(t), y(t), z(t)] = c t∈ [a, b] .

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Se poniamo
g(t) = f [r(t )] t∈ [a, b]

la regola di derivazione delle funzioni composte ci fornisce

g ' (t ) = ∇f [r(t )] ⋅ r ' (t ) t∈ [a, b] .

Poichè g è costante su [a, b], abbiamo g ' (t ) = 0 su [a, b]. In particolare per t = to , risulta

∇f [r (t 0 )]⋅ r ' (t 0 ) = 0

In altre parole il vettore ∇f in P0 è perpendicolare al vettore r ' (t 0 ) . Quindi le curve che stanno sulla
superficie S e passano per P0 hanno in P0 vettore tangente perpendicolare al vettore ∇f (P0 ) . Questi
vettori tangenti determinano un piano e ∇f (P0 ) è normale a questo piano. Questo piano è detto
piano tangente in P0 alla superficie di livello S e consiste di tutti i punti P dello spazio soddisfacenti
l’equazione
(P − P0 )⋅ ∇f (P0 ) = 0
Ovvero

f x (P0 ) ( x − x0 ) + f y (P0 ) ( y − y 0 ) + f z (P0 ) ( z − z 0 ) = 0 .

Esempio 9.3
Trovare l’equazione del piano tangente all’ellissoide x 2 + 4 y 2 + z 2 = 18 nel punto (1,2,−1) .

Soluzione.

Ponendo F ( x, y, z ) = x 2 + 4 y 2 + z 2 , allora l’equazione data ha la forma F ( x, y, z ) = 18 , che può


essere vista come l’equazione di una superficie di livello per F.
Quindi, il vettore ∇F (1,2,−1) è normale all’ellissoide nel punto (1,2,−1) .
Per trovare questo vettore scriviamo

∂F ∂F ∂F
∇ F ( x, y , z ) = i+ j+ k = 2x i + 8 y j + 2z k
∂x ∂y ∂z

∇F (1,2,−1) = 2 i + 16 j − 2 k

Usando questa normale e il punto (1,2,−1) , otteniamo l’equazione del piano tangente

2( x − 1) + 16( y − 2) − 2( z + 1) = 0

x + 8 y − z = 18 .

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10. DIFFERENZIALE TOTALE

Se w = f ( x, y, z ) , allora definiamo l’incremento Δw come

Δw = f ( x + Δw, y + Δy, z + Δz ) − f ( x, y, z )

e definiamo differenziale totale dw come

dw = f x ( x, y , z )dx + f y ( x, y, z )dy + f z ( x, y , z )dz

dove Δx , Δy , Δz , dx, dy e dz rappresentano le variazioni dei valori di x, y e z.


L’incremento Δw rappresenta la variazione del valore di w = f ( x, y, z ) quando x, y e z variano
rispettivamente di una quantità Δx , Δy e Δz .
Tuttavia, per funzioni di tre variabili, il differenziale totale dw non ha un’interpretazione
geometrica naturale.
Se poniamo

dx = Δx , dy = Δy , dz = Δz

e se w = f ( x, y, z ) e differenziabile in (x, y, z ) , allora segue dalla definizione 8.1.1 che

Δw = dw + ε1 Δx + ε 2 Δy + ε 3 Δz
(3)

dove ε1 → 0 , ε 2 → 0 , ε 3 → 0 per (Δx, Δy, Δz ) → (0,0,0) . Quindi, quando Δx , Δy e Δz sono


piccoli, dalla (3) segue che

Δw ≅ dw

Esempio 10.1
La lunghezza, la larghezza e l’altezza di un parallelepipedo sono state misurate con un errore
del 5% circa. Trovare un limite superiore della percentuale massima di errore possibile che
risulta se queste quantità sono usate per calcolare la diagonale del parallelepipedo.

Soluzione.

Siano x, y, z e D rispettivamente la vera lunghezza, larghezza, altezza e diagonale del


parallelepipedo; e siano Δx , Δy , Δz e ΔD gli errori di queste quantità. Sappiamo che

Δx Δy Δz
≤ 0.05 , ≤ 0.05 , ≤ 0.05
x y z

Δd
Vogliamo stimare . Siccome la diagonale D è collegata alla lunghezza, larghezza e altezza da
d

D= x2 + y2 + z2

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segue che

∂D ∂D ∂D
dD = dx + dy + dz =
∂x ∂y ∂z

x y z
= dx + dy + dz
x2 + y2 + z2 x2 + y2 + z2 x2 + y2 + z2

Se scegliamo Δx = dx , Δy = dy , Δz = dz , allora possiamo approssimare ΔD D ≈ dD D . Ma,

dD x y z
= 2 dx + 2 dy + 2 dz
D x +y +z
2 2
x +y +z
2 2
x + y2 + z2

dD x2 dx y2 dy z2 dz
= 2 + +
D x +y +z x x +y +z y x +y +z z
2 2 2 2 2 2 2 2

Quindi,

dD x2 dx y2 dy z2 dz
= 2 + +
D x +y +z x x +y +z y x +y +z z
2 2 2 2 2 2 2 2

x2 dx y2 dy z2 dz
≤ 2 + 2 + 2
x +y +z x
2 2
x +y +z y
2 2
x +y +z z
2 2

x2 y2 z2
≤ (0 . 05 ) + (0 . 05 ) + (0.05) =
x2 + y2 + z2 x2 + y2 + z2 x2 + y2 + z2

= 0.05

Perciò la massima percentuale di errore di D è di circa il 5%.

38
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11. FUNZIONI IMPLICITE

TEOREMA 11.1 (di Dini in R3)

Sia A un aperto di R3 e sia F una funzione di classe C1(A). Se in P0 = ( x0 , y 0 , z 0 ) ∈ A risulta


F (P0 ) = 0 e ∇F (P0 ) ≠ 0
allora esiste un intorno di P0 nel quale l’insieme degli zeri di F è il grafico di una funzione.
In particolare se ∇F (P0 ) ≠ 0 ⇒ Fz (P0 ) ≠ 0 , allora esistono un intorno U di (x0 , y 0 ) ed un intorno V
di z 0 tali che
∀( x, y ) ∈ U ∃ ! z = f ( x, y ) ∈ V per cui risulta F ( x, y, f ( x, y )) = 0
Inoltre f ∈ C (U ) e
1

∂f F ∂f Fy
=− x, =−
∂x Fz ∂y Fz

Dimostrazione.
Per fissare le idee supponiamo Fz (P0 ) > 0 , pertanto, per il teorema della permanenza del segno
esiste un intorno R di P0 :

R = W×V ⊂ A dove W = [x0 − δ , x0 + δ ]× [ y 0 − δ , y 0 + δ ] e V = [z 0 − h, z 0 + h]

nel quale risulta Fz ( x, y, z ) > 0.


Allora per ogni (x, y ) fissato in W, l’applicazione

z → F ( x, y , z ) z ∈ V = [z 0 − h, z 0 + h]

è strettamente crescente in V, in particolare è strettamente crescente l’applicazione

z → F (x0 , y 0 , z ) = g (z ) z ∈ V = [z 0 − h, z 0 + h].

Essendo g ( z 0 ) = 0 , da quanto precede, segue che è


g (z 0 − h ) < 0 e g (z 0 + h ) > 0
ovvero
F ( x0 , y 0 , z 0 − h ) < 0 e F (x0 , y 0 , z 0 + h ) > 0 .

Tenuto presente che le funzioni F ( x, y, z 0 − h ) e F ( x, y, z 0 + h ) sono continue in W e diverse da


zero in (x0 , y 0 ) , da quanto precede e dal teorema della permanenza del segno segue che esiste un
intorno U di (x0 , y 0 ) : U = [x0 − k , x 0 + k ]× [ y 0 − k , y 0 + k ] ⊂ W nel quale risulta

F ( x, y , z 0 − h ) < 0 e F ( x, y , z 0 + h ) > 0 .

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Ne consegue che in corrispondenza di (x, y ) fissato in U ⊂ W , la funzione ϕ (u ) = F (x, y, u ) è


continua e strettamente crescente in V = [z 0 − h, z 0 + h] , inoltre agli estremi dell’intervallo V
assume valor idi segno opposto:

ϕ ( z 0 − h ) = F ( x, y , z 0 − h ) < 0 e ϕ ( z 0 + h ) = F ( x, y , z 0 + h ) > 0
pertanto per il teorema di Bolzano

∃! z = f (x, y ) ∈ V tale che ϕ (z ) = F (x, y, z ) = F (x, y, f (x, y )) = 0 .

In altre parole l’insieme degli zeri della restrizione di F all’intorno U × V è il grafico di una funzione
z = f ( x, y ) .
Per dimostrare che la funzione f (x, y ) , precedentemente definita, è continua in U, si osservi che
(x, y ) ∈ U e (x1 , y1 ) ∈ U ⇒ F (x, y, f (x, y )) = F (x1 , y1 , f (x1 , y1 )) = 0.
Tenuto presente che per il teorema del valor medio esiste P* = (ζ ,η , f (ζ ,η )) interno al segmento di
estremi P = ( x, y, f ( x, y )) e P1 = ( x1 , y1 , f ( x1 , y1 )) tale che

( )
F (P ) − F (P1 ) = 〈∇ F P* , P − P1 〉

si deduce che

( ) ( ) ( )
Fx P* ( x − x1 ) + Fy P* ( y − y1 ) + Fz P* ( f ( x, y ) − f ( x1 , y1 )) = 0 .

Da cui essendo (giustificare!)

Max Fx Max Fy
f ( x, y ) − f (x1 , y1 ) ≤ x − x1 + y − y1
Min Fz Min Fz

si deduce che f (x, y ) è continua in (x1 , y1 ) e quindi in U.


1 1 ( )
Infine, preso P = (x, y , f ( x, y )) , da 〈∇ F P* , P − P 〉 =0 si ottiene
1

f ( x, y1 ) − f ( x1 , y1 ) F (P* )
x − x1
=− x
F z (P* )
da cui osservato che
x → x1 ⇒ P → P1 ⇒ P* → P1
e che le funzioni Fx e Fz sono continue,si evince che

f ( x, y1 ) − f ( x1 , y1 ) F (P )
lim =− x 1
x → x1 x − x1 Fz (P1 )

ovvero
∂f
(x1 , y1 ) = − Fx (P1 ) .
∂x Fz

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Analogamente si dimostra che

∂f F
(x1 , y1 ) = − y (P1 ) .
∂y Fz
Si osservi che le derivate parziali di f, ammessa l’esistenza, si deducono applicando il teorema di
derivazione composta all’equazione F ( x, y, f ( x, y )) = 0 , ovvero dalle relazioni

∂f ∂f
Fx + Fz =0 e Fy + Fz =0.
∂x ∂y

Inoltre si osservi che


a) se ∇F (P0 ) ≠ 0 ⇒ Fy (P0 ) ≠ 0 , allora esistono un intorno U di (x0 , z 0 ) ed un intorno V di y 0
tali che

∀( x, z ) ∈ U ∃ ! y = f ( x, z ) ∈ V per cui risulta F ( x, f (x, z ), z ) = 0

f è di classe C1(U) e le derivate parziali di f, ammessa l’esistenza, si deducono applicando il


teorema di derivazione composta all’equazione F ( x, f (x, z ), z ) = 0 , ovvero dalle relazioni

∂f ∂f
Fx + Fy =0 e Fz + Fy =0
∂x ∂z

b) se ∇F (P0 ) ≠ 0 ⇒ Fx (P0 ) ≠ 0 , allora esistono un intorno U di ( y 0 , z 0 ) ed un intorno V di x 0


tali che

∀( y, z ) ∈ U ∃ ! x = f ( y, z ) ∈ V per cui risulta F ( f ( y, z ), y, z ) = 0

f è di classe C1(U) e le derivate parziali di f, ammessa l’esistenza, si deducono applicando il


teorema di derivazione composta all’equazione F ( f ( y, z ), y, z ) = 0 , ovvero dalle relazioni

∂f ∂f
Fy + Fx =0 e Fz + Fx = 0.
∂y ∂z

Si osservi che se F è di classe C2(U) allora f è di classe C2(U) inoltre risulta

∂2 f
∂x 2
=−
1
(Fz )3
[
(Fx )2 Fzz − 2 Fxz Fx Fz + (Fz )2 Fxx ]
∂2 f
∂y 2
=−
1
(Fz )3
[
(Fy )2 Fzz − 2 Fyz Fy Fz + (Fz )2 Fyy . ]
Analogamente si dimostra il seguente

TEOREMA 11.2 (di Dini in R2)

41
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Sia A un aperto di R2 e sia F una funzione di classe C1(A). Se in P0 = ( x0 , y 0 ) ∈ A risulta


F (P0 ) = 0 e ∇F (P0 ) ≠ 0
allora esiste un intorno di P0 nel quale l’insieme degli zeri di F è il grafico di una funzione.
In particolare se ∇F (P0 ) ≠ 0 ⇒ Fy (P0 ) ≠ 0 , allora esistono un intorno U di x 0 ed un intorno V di
y 0 tali che
∀x ∈ U ∃ ! y = f (x ) ∈ V per cui risulta F ( x, f ( x )) = 0 .
1
Inoltre f ∈ C (U) e
Fx (P )
f ′(x ) = − dove P = (x, f ( x )).
Fy (P )

La derivata di f, si deduce applicando il teorema di derivazione composta all’equazione


F ( x, f ( x )) = 0 , ovvero dalla relazione

Fx (P ) + Fy (P ) f ′( x ) = 0 .

Se ∇F (P0 ) ≠ 0 ⇒ Fx (P0 ) ≠ 0 , allora esistono un intorno U di y 0 ed un intorno V di x 0 tali che

∀y ∈ U ∃ ! x = f ( y ) ∈ V per cui risulta F ( f ( x ), y ) = 0 .

Inoltre f ∈ C1(U) e la derivata di f , ammessa l’esistenza, si deduce applicando il teorema di


derivazione composta all’equazione F ( x, f ( x )) = 0 , ovvero alla relazione

Fx (P ) f ′( y ) + Fy (P ) = 0 .

Un’applicazione importante del teorema di Dini per le funzioni implicite, è quella relativa alla
ricerca di condizioni sufficienti affinché un sistema di equazioni qualsiasi definisca (in un intorno di
un punto che lo soddisfa) alcune incognite che in esso compaiono in funzione delle altre. Per fissare
le idee consideriamo il caso più semplice cioè quello di un sistema della forma

⎧ F ( x, y , z ) = 0

⎩G (x, y, z ) = 0

TEOREMA 11.3

Siano A un aperto di R3, F e G due funzioni di classe C1(A). Se in P0 = (x0 , y 0 .z 0 ) ∈ A risulta

F (P0 ) = 0 , G (P0 ) = 0

e
⎛ ∂ ( F , G ) ∂ (F , G ) ∂ (F , G ) ⎞
∇F (P ) ∧ ∇G (P ) = ⎜⎜ , , ⎟⎟ ≠ 0
⎝ ∂ ( y , z ) ∂ ( z , x ) ∂ ( x, y ) ⎠

Allora esiste un intorno di P0 nel quale l’insieme degli zeri comuni di F e G è la traiettoria
descritta da una curva regolare. In particolare se la condizione ∇F (P0 ) ∧ ∇F (P0 ) ≠ 0 implica

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∂(F , G ) Fy (P0 ) Fz (P0 )


= = (Fy G z − Fz G y )(P0 ) ≠ 0
∂( y, z ) G y (P0 ) G z (P0 )

allora esiste una curva regolare α (x ) = ( x, y (x ), z ( x )) , definita in un intorno di x 0 tale che

F ( x, y( x ), z (x )) = 0 e G (x, y( x ), z ( x )) = 0 .

Dimostrazione.
Osservato che
(F G
y z − Fz G y )(P0 ) ≠ 0 ⇒ Fz (P0 ) ≠ 0 oppure G z (P0 ) ≠ 0 ,
è lecito supporre Fz (P0 ) ≠ 0 .
Essendo F (P0 ) = 0 e Fz (P0 ) ≠ 0 , per il teorema di Dini, esiste un intorno di P0

U × V ⊂ A dove U = [x0 − δ , x 0 + δ ]× [ y 0 − δ , y 0 + δ ] e V = [z 0 − h, z 0 + h]

tali che

∀( x, y ) ∈ U ∃ ! z = f (x, y ) ∈ V per cui risulta F ( x, y, f ( x, y )) = 0 .

Inoltre F è di classe C1(U) ed in particolare è


∂f F (P )
( x0 , y 0 ) = − y 0
∂y Fz (P0 )
Sia
g ( x, y ) = G ( x, y, f ( x, y )) ∀( x, y ) ∈ U .
Essendo
g ( x0 , y 0 ) = G (x0 , y 0 , f (x0 , y 0 )) = G (P0 ) = 0

g y (x0 , y 0 ) = −
1
(Fy G z − Fz G y )(P0 ) ≠ 0
Fz (P0 )

segue che la funzione g ( x, y ) soddisfa le ipotesi del teorema di Dini, pertanto esiste un intorno U’
di (x0 , y 0 ) : U’ = [x0 − δ ' , x 0 + δ ']× [ y 0 − k , y 0 + k ] ⊂ U tale che per ogni x ∈ [x0 − δ ' , x0 + δ '] esiste
un unico valore di y = y (x ) ∈ [ y 0 − k , y 0 + k ] per il quale, posto z ( x ) = f ( x, y( x )) , risulta

g ( x, y( x )) = G( x, y( x ), z (x )) = 0 .

Inoltre y è di classe C1. Quindi nei punti della curva regolare

α (x ) = ( x, y ( x ), z ( x )) x ∈ [x0 − k , x0 + k ]
risulta
F ( x, y( x ), z (x )) = 0 e G (x, y( x ), z ( x )) = 0 .

Ovviamente il vettore

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⎛ ∂ ( F , G ) ∂ (F , G ) ∂ ( F , G ) ⎞
∇F (P ) ∧ ∇G (P ) = ⎜⎜ , , ⎟⎟
⎝ ∂ ( y , z ) ∂ ( z , x ) ∂ ( x, y ) ⎠
è tangente ad α ( x ) in P = ( x, y ( x ), z (x )). Pertanto

x − x0 y − y0 z − z0
= =
∂ (F , G ) ∂ (F , G ) ∂ ( F , G )
∂ ( y, x ) ∂(z, x ) ∂ ( x, y )

è l’equazione della retta tangente alla curva α ( x ) in P0 = ( x0 , y ( x0 ), z ( x0 )) = ( x0 , y 0 , z 0 ) ;

∂ (F , G )
( x − x 0 ) + ∂ (F , G ) ( y − y 0 ) + ∂ (F , G ) ( z − z 0 ) = 0
∂ ( y, z ) ∂(z, x ) ∂ ( x, y )

è l’equazione del piano normale alla curva α ( x ) in P0 = ( x0 , y ( x0 ), z ( x0 )) = ( x0 , y 0 , z 0 ) cioè del


piano normale alla retta tangente ad α ( x ) in P0 .
Si osservi che la derivata y ′( x ) e z ′( x ) , ammessa l’esistenza, si deducono applicando il teorema di
derivazione delle funzioni composte alle equazioni

F ( x, y( x ), z (x )) = 0 e G (x, y( x ), z ( x )) = 0

ovvero risolvendo il sistema

Fx + F y y ′ + Fz z ′ = 0
G x + F y y ′ + G z z ′ = 0.

Inoltre si osservi che:


a) se la condizione ∇F (P0 ) ∧ ∇G (P0 ) ≠ 0 implica

∂ (F , G )
= (Fz G x − Fx G z ) ≠ 0
∂(z, x )

allora esiste una curva regolare β ( y ) = ( x( y ), y, z ( y )) , definita in un intorno di y 0 , tale che

F ( x( y ), y, z ( y )) = 0 e G( x( y ), y, z ( y )) = 0.

b) se la condizione ∇F (P0 ) ∧ ∇G (P0 ) ≠ 0 implica

∂ (F , G )
= (Fx G y − Fy G x ) ≠ 0
∂ ( x, y )

allora esiste una curva regolare γ (z ) = ( x( z ), y( z ), z ) , definita in un intorno di z 0 , tale che

F ( x( z ), y ( z ), z ) = 0 e G( x(z ), y( z ), z ) = 0.

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TEOREMA 11.4 (delle funzioni implicite): un caso particolare

Consideriamo il sistema (di due equazioni e quattro incognite)

⎧ F ( x, y , u , v ) = 0
⎨ (1)
⎩G ( x, y, u, v) = 0

Dove le funzioni F e G sono definite in un aperto Ω CIR4 che include il punto ( x0 , y 0 , u 0 , v0 ) per il
quale

F ( x0 , y 0 , u 0 , v0 ) = 0 e G ( x0 , y 0 , u 0 , v0 ) = 0.

Se F e G sono di classe C(1) in un intorno del punto ( x0 , y 0 , u 0 , v0 ) e se nel


punto ( x0 , y 0 , u 0 , v0 ) risulta

∂( F , G )
≠0 (2)
∂ ( x, y )

allora nel suddetto intorno esiste un intorno di ( x0 , y 0 , u 0 , v0 ) nel quale il sistema (1) può essere
risolto rispetto ad x e y.
Le funzioni x = x (u , v ) e y = y (u , v) soluzioni del sistema (1), in un opportuno intorno di
(u 0 , v0 ) sono di classe C(1) e risulta (vedi osservazione seguente)

∂( F , G) ∂( F , G)
∂x ∂ (u, y ) ∂y ∂ ( x, u )
=− =−
∂u ∂ (F , G) ∂u ∂ (F , G)
∂ ( x, y ) ∂ ( x, y )
(3)

∂( F , G) ∂( F , G)
∂x ∂ ( v, y ) ∂y ∂ ( x, v )
=− =−
∂v ∂( F , G) ∂v ∂( F , G)
∂ ( x, y ) ∂ ( x, y )

Osservazione
Nelle espressioni precedenti il denominatore è lo jacobiano di F e G rispetto alle variabili
dipendenti x e y; il numeratore è lo jacobiano che si ottiene da quello del denominatore sostituendo
la variabile indipendente che si deriva con la variabile rispetto alla quale si sta derivando.

Derivando il sistema (1) rispetto ad u e v, supponendo x = x (u , v ) e y = y (u , v) , si evince

∂ ( F , G ) ∂ ( F , G ) ∂ ( x, y ) ∂ ( x, y ) ∂ ( F , G ) ∂( F , G)
= da cui = (4)
∂ (u, v) ∂ ( x, y ) ∂ (u, v) ∂ (u, v) ∂ (u, v) ∂ ( x, y )

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Se si suppone che il sistema (1) sia risolvibile rispetto ad u e v in funzione di x e y allora

∂ (u, v) ∂ ( F , G ) ∂( F , G)
= . (*)
∂ ( x, y ) ∂ ( x , y ) ∂ (u, v)
In particolare se il sistema

⎧ x = x(u, v) ⎧ F ( x, y, u, v) = x − x(u, v) = 0
⎨ ovvero ⎨
⎩ y = y (u, v) ⎩G ( x, y, u, v) = y − y (u, v) = 0

è risolvibile rispetto ad u e v in funzione di x e y, allora tenuto presente che

∂( F , G) 1 0 ∂ ( F , G ) ∂ ( x, y )
= =1 e =
∂ ( x, y ) 0 1 ∂ (u , v) ∂ (u, v)

dalla (*) si evince

∂ (u , v) 1 ∂ (u, v) ∂ ( x, y )
= quindi =1
∂ ( x, y ) ∂ ( x, y ) ∂ ( x, y ) ∂ (u, v)
∂ (u , v)

Osservazione
Derivando il sistema (1) rispetto ad u e v (variabili indipendenti) si ha:

⎧ ∂F ∂x ∂F ∂y ∂F ⎛ ∂F ∂F ⎞ ⎛ ∂x ⎞ ⎛ ∂F ⎞
⎪ ∂x ∂u + ∂y ∂u = − ∂u ⎜ ⎟ ⎜ ⎟ ⎜− ⎟
⎪⎪ ⎜ ∂x ∂y ⎟ ⎜ ∂u ⎟ ⎜ ∂u ⎟
⎨ ⇒ ⎜
⎜ ∂G
⎟ ⎜ ⎟=⎜


⎪ ∂G ∂x ∂G ∂y ∂G ⎜
∂G ⎟ ∂y ⎟ ⎜ ∂G ⎟
⎪ + =− ⎜⎜ ⎜ ⎟ ⎜ − ⎟
⎪⎩ ∂x ∂u ∂y ∂u ∂u ⎝ ∂x ∂y ⎟⎠ ⎝ ∂u ⎠ ⎝ ∂u ⎠

⎧ ∂F ∂x ∂F ∂y ∂F ⎛ ∂F ∂F ⎞ ⎛ ∂x ⎞ ⎛ ∂F ⎞
⎪ ∂x ∂v + ∂y ∂v = − ∂v ⎜ ⎟ ⎜ ⎟ ⎜− ⎟
⎪⎪ ⎜ ∂x ∂y ⎟ ⎜ ∂v ⎟ ⎜ ∂v ⎟
⎨ ⇒ ⎜
⎜ ∂G
⎟ ⎜ ⎟=⎜


⎪ ∂G ∂x ∂G ∂y ∂G ⎜⎜

∂G ⎟ ∂y ⎟ ⎜ ∂G ⎟
⎪ + =− ⎜ ⎟ ⎜ − ⎟
⎩⎪ ∂x ∂v ∂y ∂v ∂v ⎝ ∂x ∂y ⎟⎠ ⎝ ∂v ⎠ ⎝ ∂v ⎠

da cui
⎛ ∂F ∂F ⎞ ⎛ ∂x ∂y ⎞ ⎛ ∂F ∂F ⎞
⎜ ⎟⎜ ⎟ ⎜ ⎟
⎜ ∂x ∂y ⎟ ⎜ ∂u ∂u ⎟ ⎜ ∂u ∂v ⎟
⎜ ⎟⎜ ⎟ = − ⎜ ⎟
⎜ ∂G ∂G ⎟⎟ ⎜ ∂x ∂y ⎟ ⎜ ∂G ∂G ⎟
⎜⎜ ⎜ ⎟ ⎜ ⎟
⎝ ∂x ∂y ⎟⎠ ⎝ ∂v ∂v ⎠ ⎝ ∂u ∂v ⎠

L’equazione matriciale precedente, passando ai determinanti, definisce la (4).

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Si osservi che le (3) si ottengono risolvendo i sistemi precedenti con la regola di Kramer.

12. TRASFORMAZIONI INVERTIBILI DA ℜ 2 IN ℜ 2

Siano z = G ( y ) e y = F (x ) due applicazioni da ℜ 2 in ℜ 2 dove z = ( z1 , z 2 ) , y = ( y1 , y 2 ) e


x = ( x1 , x 2 ) con

⎧⎪ z1 = g1 ( y1 , y 2 ) ⎧⎪ y1 = f1 ( x1 , x 2 )
⎨ e ⎨ .
⎪⎩ z 2 = g 2 ( y1 , y 2 ) ⎪⎩ y 2 = f 2 ( x1 , x 2 )

Supponiamo che (x1, x2 ) ∈ DomF ⇒( y1 , y2 ) ∈ DomG e che F e G siano di classe C (1) . Allora
z = G[F ( x )] ovvero

⎧⎪ z1 = g1 [ f1 ( x1 , x 2 ), f 2 ( x1 , x 2 )]

⎪⎩ z 2 = g 2 [ f1 ( x1 , x 2 ), f 2 (x1 , x 2 )]

e il teorema di derivazione delle funzioni composte fornisce le relazioni

∂z1 ∂g1 ∂y1 ∂g1 ∂y 2 ∂z1 ∂g1 ∂y1 ∂g1 ∂y 2


= + ; = + ;
∂x1 ∂y1 ∂x1 ∂y 2 ∂x1 ∂x 2 ∂y1 ∂x 2 ∂y 2 ∂x 2

∂z 2 ∂g 2 ∂y1 ∂g 2 ∂y 2 ∂z 2 ∂g 2 ∂y1 ∂g 2 ∂y 2
= + ; = + .
∂x1 ∂y1 ∂x1 ∂y 2 ∂x1 ∂x 2 ∂y1 ∂x 2 ∂y 2 ∂x 2

Le relazioni precedenti sono equivalenti all’equazione matriciale

⎛ ∂z1 ∂z1 ⎞ ⎛ ∂g1 ∂g1 ⎞⎛ ∂y1 ∂y1 ⎞


⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎜ ⎟
⎜ ∂x1 ∂x 2 ⎟ = ⎜ ∂y1 ∂y 2 ⎟⎜ ∂x1 ∂x 2 ⎟
⎜ ∂z 2 ∂z 2 ⎟ ⎜ ∂g 2 ∂g 2 ⎟⎜ ∂y 2 ∂y 2 ⎟
⎜ ∂x ∂x 2 ⎟ ⎜ ∂y ∂y 2 ⎟⎜ ∂x ∂x 2 ⎟
⎝ 1 ⎠ ⎝ 1 ⎠⎝ 1 ⎠

da cui, tenuto presente che è g1 ( y1 , y 2 ) = z1 e g 2 ( y1 , y 2 ) = z 2 , si ottiene

∂ (z1 , z 2 ) ∂(z1 , z 2 ) ∂ ( y1 , y 2 )
= .
∂ ( x1 , x 2 ) ∂ ( y1 , y 2 ) ∂ ( x1 , x 2 )

Se F è invertibile e G l’inversa di F allora z = G[F ( x )] = x cioè

⎧⎪ z1 = x1

⎪⎩ z 2 = x 2

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allora
⎛ ∂z1 ∂z1 ⎞
⎜ ⎟
⎜ ∂x1 ∂x 2 ⎟ = ⎛⎜ 1 0 ⎞⎟ ∂ ( z1 , z 2 )
e =1
⎜ ∂z 2 ∂z 2 ⎟ ⎜⎝ 0 1 ⎟⎠ ∂ ( x1 , x 2 )
⎜ ∂x ∂x 2 ⎟
⎝ 1 ⎠

In questo caso risulta

∂ ( z1 , z 2 ) ∂ ( y1 , y 2 ) ∂ ( x1 , x 2 ) ∂ ( y1 , y 2 )
1= =
∂ ( y1 , y 2 ) ∂ (x1 , x 2 ) ∂ ( y1 , y 2 ) ∂( x1 , x 2 )

da cui

∂ ( x1 , x 2 ) 1
= .
∂ ( y1 , y 2 ) ∂ ( y1 , y 2 )
∂( x1 , x 2 )

Si dimostra che il non annullarsi del determinante

∂ ( y1 , y2 )
∂ ( x1 , x2 )

è condizione necessaria e sufficiente per garantire l’invertibilità del sistema

⎧⎪ y1 = f1 (x1 , x 2 )

⎪⎩ y 2 = f 2 (x1 , x 2 )

48
Integrali doppi e tripli

INTEGRALI DOPPI IN COORDINATE RETTANGOLARI

Supponiamo che la funzione f ( x, y ) sia definita in un dominio D chiuso e limitato del piano xOy.
Suddividiamo il dominio D,in maniera arbitraria, in n sottodomini, rispettivamente di area
∆σ 1 , ∆σ 2 ,..., ∆σ n e diametro d 1 , d 2 ,..., d n (il diametro di un dominio è la più grande distanza tra
due punti all’interno dello stesso dominio). Scegliamo un punto arbitrario Pk (ξ k ,η k ) in ciascun
sottodominio e moltiplichiamo il valore della funzione nel punto Pk con l’area del sottodominio.
La somma integrale della funzione f ( x, y ) sul dominio D si definisce con la sommatoria:

∑ f (ξ
k =1
k ,η k )∆σ k = f (ξ1 ,η1 )∆σ 1 + f (ξ 2 ,η 2 )∆σ 2 + ... + f (ξ n ,η n )∆σ n

L’integrale doppio della funzione f ( x, y ) sul dominio D è il limite della somma integrale, per il
maggiore dei diametri dei sottodomini che tende a zero:

∫∫ f ( x, y )dσ = lim
max d k → 0
∑ f (ξ
k =1
k ,η k )∆σ k
D

Se la funzione f ( x, y ) è continua in un dominio chiuso D, allora il limite della somma integrale


esiste e non dipende da come è suddiviso il dominio D nei sottodomini o dalla selezione dei punti
Pk (teorema sull’esistenza dell’integrale doppio).
Se f ( x, y ) > 0 nel dominio D, allora l’integrale doppio ∫∫ f (x, y )dσ
D
è uguale al volume del cilindro

limitato in alto dalla superficie z = f (x, y ) , lateralmente dalla superficie con generatrici parallele
all’asse z, e sotto dal dominio D del piano xOy.

PRINCIPALI PROPRIETA’ DEGLI INTEGRALI DOPPI

1o.∫∫ [ f 1 (x, y ) ± f 2 ( x, y )]dσ = ∫∫ f 1 ( x, y )dσ ± ∫∫ f 2 ( x, y )dσ


D D D

2 o.∫∫ c ⋅ f ( x, y )dσ = c ∫∫ f (x, y )dσ , dove c è una costante.


D D

3 o. Se il dominio d’integrazione è diviso in due sottodomini D1 e D2 , allora

∫∫ f (x, y )dσ = ∫∫ f (x, y )dσ + ∫∫ f (x, y )dσ


D D1 D2

In coordinate cartesiane l’integrale doppio è usualmente scritto come ∫∫ f (x, y )dxdy .


D

1
REGOLE PER CALCOLARE GLI INTEGRALI DOPPI

Ci sono due principali forme del dominio di integrazione.

1. Il dominio di integrazione D è limitato sulla sinistra e sulla destra da due linee rette x = a e
x = b (a < b ) , e sotto e sopra da curve continue y = ϕ1 (x ) e y = ϕ 2 ( x ) [ϕ1 ( x ) ≤ ϕ 2 ( x )] , ciascuna
delle quali è intersecata da una linea retta verticale solo in un punto (fig. 1).
Per tale dominio, l’integrale doppio può essere calcolato con la formula:

b ϕ2 ( x )

∫∫
D
f ( x, y )dxdy = ∫ dx
a
∫ f (x, y )dy .
ϕ1 ( x )

ϕ2 ( x )
In questo caso, la prima cosa da fare è calcolare l’integrale ∫ f (x, y )dy , nel quale x è considerata
ϕ1 ( x )
come costante.

2. Il dominio di integrazione D è limitato sotto e sopra dalle linee rette y = c e y = d (c < d), e
sulla sinistra e sulla destra da curve continue x = ψ 1 ( y ) e x = ψ 2 ( y ) (ψ 1 ( y ) ≤ ψ 2 ( y )) , ciascuna
delle quali è intersecata da una linea retta orizzontale in un solo punto (fig. 2).
Per un tale dominio, l’integrale doppio è calcolato con la formula:

d ψ 2 (y)

∫∫
D
f ( x, y )dxdy = ∫ dy
c
∫ f (x, y )dx
ψ1 ( y )

ψ 2 (y)
Viene calcolato per prima l’integrale ∫ f (x, y )dx
ψ1 ( y )
nel quale y è considerata come costante.

Le espressioni nel membro di destra delle formula precedenti sono chiamate integrali iterati.
In un caso più generale, il dominio di integrazione può essere ridotto ai casi più generali in base alla
scelta della suddivisione del dominio.

2
ESEMPIO 1

Calcolare ∫∫ x ln ydxdy , se il dominio D è il rettangolo 0 ≤ x ≤ 4 , 1 ≤ y ≤ e .


D

Soluzione

4
 x2 
4 e

∫∫D ∫0 ∫1   ⋅ [ y ln y − y ]1 = 8 ⋅ (e − e + 1) = 8.
e
x ln ydxdy = xdx ln ydy =
 2 0

ESEMPIO 2

∫∫ (cos )
2
Calcolare x + sin 2 y dxdy , se il dominio D è il quadrato 0 ≤ x ≤ π 4 , 0 ≤ y ≤ π 4 .
D

Soluzione

π 4 π 4 π 4 π 4
 y 1 
∫∫ (cos ) ∫ dx ∫ (cos ) ∫
2 2 2 2 2
x + sin y dxdy = x + sin y dy =  y cos x + 2 − 4 sin 2 y  dx =
D 0 0 0 0
π 4 π 4
π π 1 π  1  π 1   π π 1  π 1π π 2

2
=  cos x + − dx =   x + sin 2 x  +  −  x  =  +  +  −  = .
0 4 8 4 8  2   8 4  0 8  4 2   8 4  4 16

ESEMPIO 3

2 x2
Calcolare I = ∫ dx ∫ (2 x − y )dy
1 x

Soluzione

2 x2 2 2
 1   1 1  1 1 1 
I = ∫ 2 xy − y 2  dx = ∫  2 x 3 − x 4 − 2 x 2 + x 2 dx =  x 4 − x 5 − x 3  = 0.9.
1 
2 x 1
2 2  2 10 2 1

3
ESEMPIO 4

Calcolare ∫∫ (x − y )dxdy, se il dominio D è limitato dalle curve


D
y = 2 − x 2 , y = 2x − 1 .

Soluzione

Costruiamo il dominio D. La prima curva è una parabola, con vertice nel punto (0;2), simmetrica
rispetto all’asse y. La seconda curva è una linea retta. Risolvendo parallelamente le equazioni
y = 2 − x 2 e y = 2 x − 1 , troviamo le coordinate dei punti d’intersezione: A (-3; -7), B (1, 1) (fig. 3).
Il dominio di integrazione è del primo tipo:

∫∫ (x − y )dxdy =
D
1 2− x 2 1 2− x 2 1
 1   1 1
= ∫ dx ∫ ( x − y )dy = ∫  xy − y 2  dx = ∫  2 x − x 3 − 2 + 2 x 2 − x 4 − 2 x 2 + x + 2 x 2 − 2 x + dx =
−3 
−3 2 x −1
2  2 x −1 − 3
2 2

1 1
 1 3  1 1 2 1 3  4
= ∫  − x 4 − x 3 + 2 x 2 + x − dx = − x 5 − x 4 + x 3 + x 2 − x  = 4 ⋅
− 3
2 2  10 4 3 2 2  −3 15

ESEMPIO 5

Calcolare ∫∫ ( x + 2 y)dxdy , se il dominio D è limitato dalle linee rette y = x, y = 2x, x = 2, x = 3.


D

Soluzione

3 2x 3 3 3 3
4 19
[
∫∫( x + 2 y)dxdy = ∫ dx ∫ (x + 2 y)dy = ∫ xy + y
2
]
2x
x dx = ∫ (2x 2 + 4x 2 − x 2 − x 2 )dx = 4∫ x 2 dx = x 3 = ⋅ 4
3 2 3
D 2 x 2 2 2

4
ESEMPIO 6

1 1− x 2
Cambiare l’ordine di integrazione nell’integrale ∫ dx ∫ f (x, y )dy
−1 − 1− x 2

Soluzione

Il dominio di integrazione è limitato dalle curve x = -1, x = 1, y = − 1 − x 2 , y = 1 − x 2 (fig. 4).


Cambiamo l’ordine di integrazione e rappresentiamo il dominio dato in due sottodomini (del
secondo tipo): D1 , limitato sulla sinistra e sulla destra dai rami della parabola x = ± 1 − y
(0 ≤ y ≤ 1) e D2 limitato dagli archi di circonferenza x = ± 1 − y 2 (− 1 ≤ y ≤ 0) .

1 1− x 2 1 1− y 0 1− y 2

∫ dx ∫
−1
f ( x, y )dy = ∫ dy ∫ f ( x, y)dx + ∫ dy ∫ f ( x, y)dx .
−1
− 1− x 2 0 − 1− y − 1− y 2

CAMBIAMENTO DI VARIABILI NEGLI INTEGRALI DOPPI


Integrali doppi in coordinate polari. La trasformazione degli integrali doppi da coordinate
rettangolari x,y a coordinate polari ρ , ϑ connesse dalle relazioni x = ρ cos ϑ , y = ρ sin ϑ , può
essere eseguita tramite la formula:

∫∫ f ( x, y)dxdy = ∫∫ f ( ρ cos ϑ , ρ sin ϑ ) ρdρdϑ .


D D

Se il dominio di integrazione D è limitato da due raggi ϑ = α , ϑ = β (α < β ), che partono


dall’origine, e due curve ρ = ρ1 (ϑ ) e ρ = ρ 2 (ϑ ) , dove ρ1 (ϑ ) e ρ 2 (ϑ ) sono funzioni a valore
singolo per α ≤ ϑ ≤ β e ρ1 (ϑ ) ≤ ρ 2 (ϑ ) , allora l’integrale doppio può essere calcolato con la
formula:
β ρ 2 (ϑ )

∫∫ F ( ρ ,ϑ ) ρdρdϑ = ∫ dϑ
D α
∫ F ( ρ ,ϑ ) ρdρ
ρ1 (ϑ )
,

ρ 2 (ϑ )
dove F ( ρ , ϑ ) = f ( ρ cos ϑ , ρ sin ϑ ) , l’integrale ∫
ρ ϑ
F ( ρ ,ϑ ) ρdρ nel quale ϑ è considerata costante
1( )

essendo il primo a essere calcolato.


5
Integrali doppi in coordinate curvilinee. Supponiamo di voler trasformare un integrale doppio
dato in coordinate rettangolari x,y in coordinate curvilinee u,v connesse dalle relazioni x = x(u,v),
y = y(u,v), dove le funzioni x(u,v) e y(u,v) hanno derivate parziali continue nel dominio D ′ del
piano uO ′v , e la trasformazione Jacobiana non si annulla nel dominio D ′ :

∂x ∂x
J = ∂u ∂v ≠ 0
∂y ∂y
∂u ∂v

In questo caso la trasformazione è biunivoca, le equazioni possono essere risolte rispetto a u e v in


funzione di x e y, e la trasformazione inversa risultante:

u = u(x, y)
v = v(x, y)

è biunivoca tra i punti del dominio D del piano xOy e i punti del dominio D’ del piano uO′v (fig. 5).

∫∫ f ( x, y)dxdy = ∫∫ f [x(u, v), y(u, v)] J dudv .


D D′

y v fig. 5

(x;y) (u;v)
D D'
K

O x O' u

Nel caso di coordinate polari:

∂x ∂x
∂ρ ∂ϑ cos ϑ − ρ sin ϑ
J= = =ρ.
∂y ∂y sin ϑ ρ cos ϑ
∂ρ ∂ϑ

Una trasformazione biunivoca può essere impiegata per trasformare l’integrale doppio

∫∫ f (x, y )dA
D

in un integrale doppio sull’insieme corrispondente D’ del piano uv. Con la trasformazione


l’integrando f(x,y) diventa g(u,v) = f(x(u,v),y(u,v)).
6
Per esprimere l’elemento d’area dA = dxdv in termini dell’elemento d’area dudv del piano uv si
procede come segue.
Per ogni valore di u fissato, ad esempio u = c, le equazioni:

x = x(u,v) y = y(u,v)

definiscono una curva parametrica (con v come parametro) nel piano xy. Questa curva è chiamata
u-curva corrispondente al valore u = c. Analogamente per v fissato le equazioni definiscono una
curva parametrica (con parametro u) chiamata v-curva. Consideriamo l’elemento d’aria infinitesimo
delimitato dalle u-curve corrispondenti ai valori vicini u e u + du e dalle v-curve corrispondenti ai
valori vicini v e v + dv.
Si dimostra che una regione rettangolare di area dudv nel piano uv è trasformata in un
parallelogramma curvilineo la cui area è approssimativamente zero.

∂ ( x, y ) R
dA = dxdy = dudv (1)
∂ (u , v )
dA
v + dv
P

u
Q
v
u + du

L’errore di questa approssimazione diventa trascurabile in confronto a dA quando du e dv tendono a


zero.
Si dimostra che la (1) resta valida anche se la trasformazione non è iniettiva o se il determinante si
annulla sull’insieme di misura nulla.

Esercizio

Utilizzare un cambiamento di variabili appropriato per determinare l’area del disco ellittico E dato
da

x2 y2
+ ≤1
a2 b2

Soluzione

A seguito della trasformazione x = au, t = bv, il disco ellittico E è l’immagine del disco circolare D
dato da u 2 + v 2 ≤ 1 . Supponendo a>0 e b>0, abbiamo

7
∂ ( x, y ) a 0
dxdy = dudv = dudv = abdudv
∂(u , v ) 0 b

Pertanto l’area di E è data da

∫∫1dxdy = ∫∫ abdudv =ab × (area di D) = πab


E D

Negli esempi che seguono è data la frontiera del dominio D e l’integrale doppio

I = ∫∫ f ( x, y )dxdy
D

è espresso mediante la formula di riduzione in coordinate polari.

ESEMPIO 7
y

D è l’area della circonferenza x 2 + y 2 = a 2

2π a

∫ ∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ


a
I = dϑ
x

0 0

ESEMPIO 8

D è l’area della corona circolare specificata dalle circonferenze:


y
x2 + y 2 = a2 e x2 + y 2 = b2 dove 0papb

2π b


I = dϑ
0
∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ
a a b x

8
y
ESEMPIO 9

D è l’area della circonferenza di equazione x 2 + y 2 = 4ax


π
2 4 a cosϑ

I= ∫ dϑ ∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ


−π 0
2 2a 4a x

ESEMPIO 10

D è l’area del cerchio di equazione x 2 + y 2 = 2 x + 2 y


y

4 2 (cosϑ + sin ϑ )

I= ∫ dϑ
−π
∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ
0
4

 − π 3π 
La condizione che l’angolo ϑ ε  ,  deriva x
 4 4
dal fatto che la retta di equazione y = -x è tangente al

cerchio nel punto (0,0 )

ESEMPIO 11
y

D è l’area esterna alla circonferenza γ 1 ed interna alla circonferenza γ 2

rispettivamente di equazioni:

γ 1 : x 2 + y 2 = r 2 e γ 2 : x 2 + y 2 = 2rx
r 2r x

Risolvendo il sistema fra le due equazioni precedenti si trovano i punti

r r  r r 
comuni alle due circonferenze:  , 3  e  ,− 3
2 2  2 2 
π π
da cui si evince che − ≤ϑ ≤ pertanto:
3 3

π
3 2 r cos ϑ

I = ∫ dϑ ∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ


−π r
3

9
ESEMPIO 12

D è l’area del dominio situato nel primo quadrante limitato dalla retta e dalla circonferenza
y
2 2 2
Rispettivamente di equazioni: x + y = a e x + y = a a f0
a

π
2 a

I= ∫ dϑ a
∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ a x
0
(sin ϑ + cos ϑ )

ESEMPIO 13

D è l’area del dominio limitato dalla parabola y = x 2 e dalla retta y = 1

I = I 1 +I 2 +I 3 y

π
4 g (ϑ )

I 1 = ∫ dϑ ∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ


0 0
1

3π 1
4 sin ϑ

I2 =
π
∫ dϑ ∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ
0
x
4

π g (ϑ )
tan ϑ
I3 =
3
∫ dϑ ∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ
π 0
con g (ϑ ) =
cos ϑ
= tan ϑ sec ϑ
4

ESEMPIO 14

D è l’area del dominio limitato dall’ellisse e dalla circonferenza di equazioni:


y
x2 y2 2 2 2
+ =1 y≥0 e x + y =b y≥0
a2 b2

Ora, se indichiamo con D 1 il dominio limitato

dall’ellisse e con D 2 il dominio limitato dalla b a x

circonferenza, allora il nostro scopo è quello di calcolare il nostro integrale come differenza di due
integrali:

10
I= ∫∫ f ( x, y )dxdy = ∫∫ - ∫∫
D D1 D2

Per calcolare l’integrale esteso al dominio D 1 relativo all’ellisse, operiamo prima la seguente
sostituzione: x = au , y = bv da cui dxdy = ab dudv
con questa l’ellisse si trasforma in un cerchio di raggio 1 con equazione:

u2 + v2 = 1 con v ≥ 0

Pertanto :
π 1 π b

I = ab ∫ dϑ ∫ f (aρ cosϑ , bρ sin ϑ ) ρdρ − ∫ dϑ ∫ f ( ρ cosϑ , ρ sin ϑ ) ρdρ


0 0 0 0

ESEMPIO 15

Utilizzando le coordinate polari, calcolare ∫∫ D


x 2 + y 2 dxdy , se il dominio D è il primo quadrante
2 2 2
della circonferenza x + y ≤ a .

Soluzione

Ponendo x = ρ cos ϑ , y = ρ sin ϑ :

∫∫
D
x 2 + y 2 dxdy =
π 2 a π 2 π 2
1 a a3 πa 3
= ∫∫ ρ 2 cos 2 ϑ + ρ 2 sin 2 ϑ ρdρdϑ = ∫ dϑ ∫ ρ 2 dρ = ∫ ρ 3 0 dϑ = ∫ dϑ = .
D 0 0
3 0
3 0
6

ESEMPIO 16

∫∫ ln( x
2
Calcolare + y 2 )dxdy , se il dominio D è il disco tra le circonferenze x 2 + y 2 = e 2 e
D

x2 + y2 = e4 .

Soluzione

11
Passando alle coordinate polari:
2π e2

∫∫ ln( x + y )dxdy = ∫∫ ln ρ ⋅ ρdρdϑ = 2 ∫∫ ρ ln ρdρdϑ = 2 ∫ dϑ ∫ ρ ln ρdρ .


2 2 2

D D D 0 e

Integrando per parti l’integrale dipendente da ρ , otteniamo:

2π e2
1 1 
2 ∫  ρ 2 ln ρ − ρ 2  dϑ = πe 2 (3e 2 − 1)
0
2 4 e

ESEMPIO 17

∫∫ ( x + y)
3
Calcolare ( x − y ) 2 dxdy , se il dominio D è il quadrato limitato dalle linee rette x + y = 1 ,
D
x − y = 1, x + y = 3, x − y = −1 (fig. 6).

Soluzione
1
Poniamo x + y = u , x − y = v , da cui si ha x = (u + v ) , y = 1 (u − v) . Pertanto il Jacobiano della
2 2
trasformazione è:

∂x ∂x 1 1
J = ∂u ∂v = 2 2 = −1,
∂y ∂y 1 1 2

∂u ∂v 2 2

1 1
quindi J = . Di conseguenza, ∫∫ ( x + y ) 3 ( x − y ) 2 dxdy = ∫∫ u 3 v 2 dudv . Poiché il dominio D ′ è
2 D
2 D′
anche un quadrato (fig. 7), abbiamo:

3 1 3 1 3 3
1 3 1 1  1 1 20
∫∫ ( x + y) ( x − y) dxdy = ∫ u du ∫ v 2 dv = ∫ u 3 ⋅  v 3  du = ∫ u 3 (1 + 1)du = u 4 = .
3 2

D
21 −1
21  3  −1 61 12 1 3

12
CALCOLO DI AREE DI FIGURE PIANE

L’area di una figura piana limitata dal dominio D può essere trovata con la formula:

S = ∫∫ dxdy .
D

Se il dominio D è specificato dalle disuguaglianze a ≤ x ≤ b , ϕ1 ( x) ≤ y ≤ ϕ 2 ( x ) , allora

b ϕ2 ( x)
S = ∫ dx ∫ dy.
a ϕ1 ( x )

Se il dominio D in coordinate polari è specificato dalle disuguaglianze α ≤ϑ ≤ β ,


ϕ (ϑ ) ≤ β ≤ f (ϑ ) , allora
β f (ϑ )

S = ∫∫ ρdρdϑ = ∫ dϑ ∫ ρ dρ .
D α ϕ (ϑ )

ESEMPIO 18

Calcolare l’area della figura limitata dalle curve x = 4 y − y 2 , x + y = 6 .

Soluzione

Risolvendo il sistema di equazioni x = 4 y − y 2 e x + y = 6 , troviamo le coordinate dei punti di


intersezione delle curve date (disegnare il grafico). Come risultato si ha A(4;2), B(3;3), e, di
conseguenza,

3 4 y− y2 3 3 3
4 y− y2  1 3 5 2  1
S = ∫∫ dxdy = ∫ dy ∫6− ydx = ∫2 x 6− y dy = ∫2 (− y + 5 y − 6)dy = − 3 y + 2 y − 6 y  2 = 6 (unità di superficie)
2

D 2

ESEMPIO 19

Calcolare l’area della figura limitata dalle circonferenze ρ = 1 , ρ = ( 2 3 ) cos ϑ (al di fuori della
circonferenza ρ = 1 ) (fig. 8).

Soluzione

Troviamo le coordinate del punto A; abbiamo 1 = ( 2 3 ) cos ϑ , cos ϑ = 3 2 , ϑ = π 6 (quindi


A(1; π 6 )).

13
π 6 (2 3 ) cosϑ π 2 (2 3 ) cosϑ π 6 π 6
1  4  2 2 
S = ∫∫ ρdρdϑ = 2 ∫ dϑ ∫ ρdρ = 2 ∫  ρ 2  dϑ = ∫
2
 cos ϑ − 1dϑ = ∫  3 + 3 cos 2ϑ − 1dϑ =
D 0 1 2 0 1 0  3  0
π 6
1 1 1 π π  1
∫ (2 cos 2ϑ − 1)dϑ = 3 [sin 2ϑ − ϑ ]
π 6
= 0 =  sin −  = (3 3 − π ) (unità di superficie).
3 0
3 3 6  18

ESEMPIO 20

Trovare l’area limitata dalla lemniscala ( x 2 + y 2 ) 2 = 2a 2 xy .

Soluzione

Ponendo x = ρ cos ϑ , y = ρ sin ϑ , trasformiamo l’equazione della curva in coordinate polari. Il


risultato è ρ 2 = 2a 2 sin ϑ cos ϑ = a 2 sin 2ϑ . E’ evidente che il cambiamento nell’angolo polare ϑ
da 0 a π 4 è associato con il quarto di area desiderata:
π 4 a sin 2ϑ π 4 π 4
a sin 2ϑ
S = 4 ∫∫ ρdρdϑ = 4 ∫ dϑ ∫ ρ dρ = 2 ∫ ρ 2 dϑ = 2a 2 ∫ sin 2ϑdϑ = −a 2 cos 2ϑ |π0 4 = a 2 .
0
D 0 0 0 0

ESEMPIO 21

Trovare l’area della figura limitata dalle curve x 3 + y 3 = axy (l’area della curva)(fig. 9).

Soluzione

Trasformiamo l’equazione data in coordinate polari: ρ 3 (sin 3 ϑ + cos 3 ϑ ) = aρ 2 sin ϑ cosϑ , cioè
ρ = a sin ϑ cosϑ (sin 3 ϑ + cos 3 ϑ ). L’asse di simmetria della curva è il raggio ϑ = π 4 , pertanto:

π 4 a sin ϑ cos ϑ (sin 3 ϑ + cos 3 ϑ ) π 4 π 4


sin 2 ϑ cos 2 ϑ tan 2 ϑ cos 4 ϑ
S = 2∫∫ ρdρdϑ = 2 ∫ dϑ ∫ ρdρ = a 2 ∫ dϑ = a 2 ∫ dϑ =
D 0 0 0
(sin 3 ϑ + cos 3 ϑ ) 2 0
cos 6 ϑ (1 + tan 3 ϑ ) 2

π 4 π 4 π 4
a2 3 tan 2 ϑd (tan ϑ ) a 2 d (1 + tan 3 ϑ )  a2  a2
=
3 ∫
0
(1 + tan 3 ϑ ) 2
=
3 ∫0
=  − 
(1 + tan 3 ϑ ) 2  3(1 + tan 3 ϑ )  0
=
6
.

14
CALCOLO DEL VOLUME DI UN CORPO

Il volume di un corpo cilindrico limitato sopra da una superficie continua z = f ( x, y ), sotto dal
piano z=0 e di lato da una superficie cilindrica retta incidente un dominio D del piano xOy , può
essere calcolato tramite la formula

V = ∫∫ f ( x, y )dxdy.
D

ESEMPIO 22

Trovare il volume di un corpo limitato dalle superfici y = 1 + x 2 , z = 3 x , y = 5, z = 0 e posto nel


primo quadrante.

Soluzione

Il corpo è limitato in alto dal piano z = 3 x , lateralmente dal cilindro parabolico y = 1 + x 2 e dal
piano y = 5 . Pertanto è un corpo cilindrico. Il dominio D è limitato dalla parabola y = 1 + x 2 e dalle
linee rette y = 5 e x = 0 . Così si ha:

2 5 2 2 2
 1 
V = ∫∫ 3xdxdy = 3∫ xdx ∫ dy = 3∫ x ⋅ [ y ] dx = 3∫ (4 x − x )dx = 3 2 x 2 − x 4  = 12 (unità di volume).
5 3
1+ x 2
D 0 1+ x 2 0 0  4 0

ESEMPIO 23

Calcolare il volume di un corpo limitato dalle superfici z = 1 − x 2 − y 2 , y = x , y = x 3 , z = 0 e


posto nel primo quadrante.

Soluzione

Il corpo dato è limitato sopra dal paraboloide z = 1 − x 2 − y 2 . Il dominio di integrazione è un settore


circolare limitato da un arco della circonferenza x 2 + y 2 = 1 , il quale è la linea di intersezione del
paraboloide con il piano z = 0 , e le linee rette y = x e y = x 3 . Di conseguenza,

V = ∫∫ (1 − x 2 − y 2 )dxdy
D

Poiché il dominio di integrazione è una parte della circonferenza e l’integrando dipende da x 2 + y 2 ,


è utile passare alle coordinate polari. In queste coordinate, l’equazione della circonferenza
x 2 + y 2 = 1 assume la forma ρ = 1 , l’integrando è uguale a 1 − ρ 2 , e gli estremi di integrazione

15
possono essere determinati dalle equazioni delle linee rette: k1 = tan ϑ1 = 1 , cioè ϑ1 = π 4 ;
k 2 = tan ϑ2 = 3 , cioè ϑ2 = π 3 . Così abbiamo:

π 3 1 π 3 1 π 3
1 2 1 4  1 π
V = ∫∫ (1 − ρ 2 ) ρdρdϑ = ∫ dϑ ∫ ( ρ − ρ 3 )dρ = ∫π 4  2 ρ − 4 ρ  0 dϑ = 4 π∫4 dϑ = 48 (unità di volume).
D π 4 0

ESEMPIO 24

Trovare il volume del corpo limitato dalle superfici x 2 + y 2 = a 2 , x 2 + z 2 = a 2 .

Soluzione

Consideriamo l’ottava parte del corpo dato (fig. 10):

a a 2 − x2
1
V = ∫∫ a 2 − x 2 dxdy = ∫ a 2 − x 2 dx ∫ dy =
8 D 0 0

a a
 1  2
= ∫ (a 2 − x 2 )dx =  a 2 x − x 3  = a 3
0  3 0 3
Quindi, V = 16 a 3 3 .

APPLICAZIONI DEGLI INTEGRALI DOPPI

Se una lamina occupa il dominio D del piano xOy e ha una superficie di densità variabile
γ = γ ( x, y ) , allora la massa M della lamina è espressa dall’integrale doppio

M = ∫∫ γ ( x, y ) dxdy.
D

Il momenti statici della lamina rispetto agli assi Ox e Oy possono essere trovati tramite le formule

M x = ∫∫ yγ ( x, y )dxdy, M y = ∫∫ xγ ( x, y )dxdy.
D D

Nel caso della omogeneità della lamina γ è costante.


Le coordinate del centro di gravità della lamina possono essere trovate con le formule

My Mx
x= , y= ,
M M

16
dove M è la massa della lamina e M x , M y sono i suoi momenti statici rispetto agli assi coordinati.
Nel caso di omogeneità della lamina, le formule assumono la forma

∫∫ xdxdy
D
∫∫ ydxdy
D
x= , y= ,
S S

dove S è l’area del dominio D.


I momenti di inerzia della lamina rispetto agli assi Ox e Oy sono calcolati tramite le formule

I x = ∫∫ y 2γ ( x, y ) dxdy, I y = ∫∫ x 2γ ( x, y ) dxdy ,
D D

e il momento di inerzia rispetto all’origine tramite la formula

I 0 = ∫∫ ( x 2 + y 2 )γ ( x, y ) dxdy = I x + I y .
D

Ponendo γ ( x, y ) = 1 in queste formule, possiamo ottenere le formule per calcolare i momenti


geometrici di inerzia di una figura piana.

ESEMPIO 25

Trovare le coordinate del centro di gravità della figura limitata dalle curve y 2 = 4 x + 4 ,
y 2 = −2 x + 4 (fig. 14).

Soluzione

Poiché la figura è simmetrica rispetto all’asse x, si ha y = 0. Rimane da trovare x .


Troviamo l’area della figura data:

( 4− y 2 ) 2
2 2
 4 − y2 y2 − 4 
S = ∫∫ dxdy = 2 ∫ dy ∫ dx = 2 ∫0  2 − 4 dy =
2
D 0 ( y −4 ) 4

17
2
2
 3y 2   1 
= 2 ∫  3 −  dy = 6  y − y 3  = 8 .
0
4   12  0

Segue che:

2 ( 4− y 2 ) 2 2 2
1 1 1 1 1  1  3 3 
x = ∫∫ xdxdy = ⋅ 2∫ dy ∫ xdx = ∫  (4 − y 2 ) 2 − ( y 2 − 4) 2  dy = ∫  3 − y 2 + y 4 dy =
8D 8 0 ( y 2 −4) 4 8 0 4 16  8 0 2 16 
2
1 y3 3y5  2
= 3 y − +  = .
8 2 80  0 5

ESEMPIO 26

x2 y2
Trovare le coordinate del centro di gravità della figura limitata dall’ellisse + = 1 e da una sua
25 9
x y
corda + =1.
5 3

Soluzione

Troviamo l’area del segmento:

5 ( 3 5 ) 25− x 2 5
3 3  15
S = ∫∫ dxdy = ∫ dx ∫ dy = ∫  25 − x 2 − 3 + x dx = (π − 2).
0
D 0 3(1− x 5 )
5 5  4

Abbiamo poi:

( 3 5 ) 25− x 2
3  x 
5 5
1 4 4
x = ∫∫ xdxdy =
15(π − 2) ∫0 ∫ ∫
xdx dy =  x 25 − x 2 − 3 x1 −  dx =
S D 3 (1− x 5 )
15(π − 2) 0  5  5 

5
4  3 1 2 2 32 3x 2 x 3  4  75  10
=  − ⋅ ⋅ ( 25 − x ) − +  =  25 − + 25  = ;
15(π − 2)  5 2 3 2 5  0 15(π − 2)  2  3(π − 2)

1 9  x 
5 ( 3 5) 25− x 2 5 2
1 4 4
y = ∫∫ ydxdy =
15(π − 2) ∫0 ∫
dx ydy = ⋅ ∫  (25 − x 2 ) − 91 −   dx =
S D 3(1− x 5)
15(π − 2) 2 0  25  5  

5
2⋅9⋅ 2
5
12  5x 2 1 3  12  125 125  2

2
= (5 x − x ) dx = =  − x  =  − = .
15(π − 2) ⋅ 25 0 125(π − 2)  2 3  0 125(π − 2)  2 3  π −2

18
ESEMPIO 27

x y
Calcolare il momento di inerzia rispetto all’origine della figura limitata dalle curve + = 1,
a b
x =0, y =0.

Soluzione

Il momento d’inerzia rispetto all’origine è

( b a )( a − x ) ( b a )( a − x )
a

a
1 
a
b 1 b3 
I 0 = ∫∫ ( x 2 + y 2 )dxdy = ∫ dx ∫ ( x 2 + y 2 )dy = ∫  x 2 y + y 3  dx = ∫  x 2 (a − x) + 3 (a − x)3  dx =
0
D 0 0
3 0 0
a 3a 
a
1 3 b 4 1 b 1 3
4 ab( a 2 + b 2 )
 bx − x − ⋅ ⋅ ( a − x )  = .
3 4a 3 a3 4 0 12

ESEMPIO 28

Calcolare il momento d’inerzia della figura limitata dalla cardioide ρ = a(1 + cosϑ ) ,
rispetto all’asse x.

Soluzione

Passando alle coordinate polari nella formula I x = ∫∫ y 2 dxdy , otteniamo:


D

2π a (1+ cos ϑ ) 2π
1
I x = ∫∫ ρ 2 sin 2 ϑρdρdϑ = ∫ sin 2 ϑdϑ ∫ ρ 3 dρ = ∫ sin 2 ϑ ρ 4 |0a (1+cosϑ ) dϑ =
D 0 0 0
4
2π 2π
1 4 1 21
= a ∫ sin 2 ϑ (1 + cosϑ ) 4 dϑ = a 4 ∫ sin 2 ϑ (1 + 4 cosϑ + 6 cos 2 ϑ + 4 cos 3 ϑ + cos 4 ϑ )dϑ = πa 4 .
4 0 4 0 32

ESEMPIO 29 y

Sia

A= {(x, y) : x²+y²≤1; x²+y²≥1}

1
T= {( ρ , ϑ ) : ≤ ρ ≤1; 0≤ ϑ ≤π/2}
sin ϑ + cosϑ
θ
x
Calcolare :

1) ∫∫ xdxdy
A

Soluzione

19
π π
2 1
1 2  1 
∫∫ xdxdy = ∫∫ ρ cos ρdρdθϑ = ∫ cosϑdϑ ∫1 ρ dρ 2
= ∫ cos ϑ 1 − dϑ =
3 
A T 0
3 0  (sin ϑ + cos ϑ ) 
sin ϑ + cos ϑ

1  1   1
π π
2 2
cos ϑ
= 1 −  
1 1
3 ∫0 (sin ϑ + cosϑ )3  =

3 
1− ∫0 cos 2 ϑ 1 + tan 2 ϑ 3  = 6
(
d ϑ
)
   
∫∫ y dxdy
2
2)
A

Soluzione

π π
1 2 2  
2 1
1  dϑ =
∫∫ y dxdy = ∫∫ ρ sin ϑρdρdϑ = ∫ sin ϑdϑ ∫1 ∫
2 2 2 2 3
ρ d ρ = sin ϑ 1 −
 
A T 0
4 0  (
sin ϑ + cos 2 ϑ )
4

sin ϑ + cos ϑ
π π π
1 21 − cos 2ϑ 1 2 1 1 π 1 1 1  2 π 1
= ∫ dϑ − ∫ 2 d ϑ = + 
 −  = −
3 
4 0 2 4 0 sin ϑ (1 + cot gϑ )4
16 4  3 (1 + cot gϑ )  0 16 12

∫∫ x dxdy
2
3)
A

Soluzione

π 1
∫∫ x dxdy = 16 − 12
2

ESEMPIO 30

Sia A= {(x, y) : x²+y²-4≤0; x²+y²-4x≥0, y≥ }

T= {( ρ , ϑ ) : 2cos ϑ ≤ ρ ≤4cos ϑ , 0≤ ϑ ≤π/2} y

y2
Calcolare : ∫∫
A
x
dxdy

x
Soluzione

20
π π π
4 cos ϑ
y2 sin 2 ϑ
2
1 2 sin 2 ϑ 56 2 2
∫∫ ∫0 cosϑ 2 cos∫ ϑ ∫ ( ) ∫
2 3
dxdy = d ϑ ρ dρ = 64 − 8 cos ϑd ϑ = sin ϑ cos 2 ϑdϑ =
T
x 3 0 cos ϑ 3 0
π π
56 2 2 56 21 − cos 4ϑ 14  π  7
= ∫
12 0
sin 2ϑdϑ = ∫
12 0 2
dϑ =   = π
6 2 6

ESEMPIO 31

Sia A = {(x, y) : x²+ y²-4y≤0; x≥0}


y
T = {( ρ , ϑ ) : 0≤ ρ ≤4sin ϑ , 0≤ ϑ ≤π/2}

Calcolare : ∫∫ xdxdy
A
2 A

Soluzione x
π
π π 2
4 sin ϑ
2
1 2  64 sin 4 ϑ  16
∫∫ xdxdy = ∫∫ cos ϑρ
2
dρ dϑ = ∫ cosϑ ∫ (
ρ 2 dρ = ∫ cos ϑ 64 sin 3 ϑ dϑ = 
30
)  =
A T 0 0 3 4 0 3

y
ESEMPIO 32
1
dxdy
Calcolare ∫∫
A x2 + y2 A

1 x
dove:

1 π
A = {( x, y ) : x + y ≥ 1, x 2 + y 2 ≤ 1 } ≤ ρ ≤1 0 ≤θ ≤
sin θ + cosθ 2
π π
dxdy  1  2
π 2
1
∫∫
A
2
x +y 2
= ∫∫ d ρ d θ = ∫  1 −
T 0
 dθ = −
sin θ + cos θ  2 ∫ sin θ + cos θ dθ
0

Vediamo che:
1 1 1 1
= =− ⋅
sin θ + cosθ θ θ θ θ θ θ θ
2 sin cos + cos 2 − sin 2 cos 2 tan 2 − 2 tan −1
2 2 2 2 2 2 2
21
Quindi sostituendo:

π
2 1
dxdy 1 π
1 1 π dt π 1 2 −1
∫∫
A
2
x +y 2
= +2∫ ⋅
2 0

2 cos2 θ tan 2 θ − 2 tan θ − 1
dθ = + 2∫ 2
2 0
= +
t − 2t − 1 2 2
ln
2 +1
2 2 2

1 1
dt dt 1 1 t −1− 2 1 1  1+ 2 
∫0 t 2 − 2t − 1 = ∫ (t − 1)
0
2
−2
= ⋅
2 2
⋅ ln
t −1 + 2 0
= ⋅  − ln
2 2 

2 − 1 

ESEMPIO 33 y

y 1
Calcolare ∫∫ x dxdy
D

2 4 x
dove:

1
D= {(x, y ) x 2 + 4 y 2 − 4 x ≤ 0, y ≥
2
x }

Ponendo x = µ e y = υ/2, si ha:


u
∂ ( x, y ) 1  
= e δ = (µ ,υ ) | µ 2 + υ 2 ≤ 4 µ e υ ≥ µ 
∂ (µ , υ ) 2  

π
4 cos θ /4
y υ 1 1 4
∫∫D x dxdy = ∫∫S 2µ 2 dµ d υ =
4 π∫
tan θ dθ ∫ ρ dρ = *
2
0 1
π π
2 2
1 1 1
∫ ∫
2
= tan θ ⋅ ⋅ 16 cos θ dθ = 2 sin θ cosθ dθ =
4π 2 π 2
4
4

* µ = ρ cosθ e υ = ρ sin θ

ESEMPIO 34

Calcolare ∫∫ ydx dy
A

22
y

dove 2

 x2 y 2 
A = ( x, y ): + ≤ 1; x 2 + y 2 ≥ 4; y ≥ 0 2 3 x
 9 4 

Se A1 denota la restrizione di A al primo quadrante, risulta:

∫∫ ydxdy = 2∫∫ ydxdy = 2∫∫ ydxdy − 2∫∫ ydxdy


A A1 B1 B2

dove:

 x2 y2  y
B 1 = ( x, y ) :
y
+ ≤ 1; x ≥ 0; y ≥ 0
 9 4  2
2

{
B2 = ( x, y ) : x 2 + y 2 ≤ 4; x ≥ 0; y ≥ 0 } B1
B2

3 x 2 x

Per il calcolo dell’integrale su B1 poniamo x = 3µ e y = 2υ; avremo:

∂ ( x, y )
∫∫ ydx dy = ∫∫ 2υ ∂(x, y ) dµ dυ = 12∫∫υ dυ dµ =
B1 T1 T1
π
2 1
π µ
= 12 ∫ sin θ dθ ∫ ρ d ρ = 4(− cosθ )0 2 = 4
2

0 0

π
2 2
8
(− cosθ )0 2 = 8
π
∫∫ ydx dy = ∫ sin θ dθ ∫ρ
2
dρ =
B2 0 0
3 3

Quindi:

16 8
∫∫ ydx dy = 8 −
A
=
3 3

23
ESEMPIO 35

∫∫ x dxdy ∫∫ x dxdy − ∫∫ x dxdy


2 2 2
= = Ponendo x = 2u ; y = v allora
A1 E1 C1

π 2
7 7 7
8∫∫ u dudv − ∫∫ x dxdy = 7 ∫∫ x dxdy =
2 2 2
∫ cos
2
ϑdϑ = π ⇒ ∫∫ x 2 dxdy = π
T1 C1 C1
4 0 16 A 4

π 2  36 ⋅ 6 
sin ϑ  − 8  dϑ =
1
∫∫A1 ydxdy = T∫1ρ sin ϑdρdϑ = 3 ∫
2
 
0
2
( 2
 4 cos ϑ + ρ sin ϑ )
3
2

π 2 π 2
1 sin ϑ 8 sin ϑ 8
= ∫ 36 ⋅ 6 dϑ − = 72 ∫ dϑ − =
3 0 9 − 5 cos 2 ϑ ( )
32
3 2
0 9 − 5 cos ϑ ( )
3
2 3

π 2 1
sin ϑ dt
= 72 ∫ (9 − 5 cos ϑ ) dϑ = 72 ∫
0
2 32
0 (9 − 5t ) 2
3
2

cos π 2 = 0
e ponendo t = cos π 2 = 0 ⇒
cosϑ = 1
3
Essendo 5 t = 3 sin ϑ

dt 3 cosϑ ϑ
∫ = ∫ 27 cos 3 ϑ dϑ =
(9 − 5t ) 2
3
2 5
9 − 5t 2 = 3 cosϑ

1 1 5 3 t
= tan ϑ = t =
9 5 9 5 3 9 − 5t 2
9 9 − 5t 2

segue che

π 2
sin ϑ t 1
72 ∫ dϑ = 8 = 4
0 (9 − 5 cos ϑ ) 2 32
9 − 5t 2 0

Quindi

 8 8
∫∫ ydxdy
A
= 2 ∫∫ ydxdy
A1
= 24 −  =
 3 3

24
ESEMPIO 36

 x2 
∫∫ x dxdy
2
Calcolare A = ( x, y ) : x 2 + y 2 ≥ 1; + y 2 ≤ 1
A  4 

1 1

1 2 C1 A1 E1

1 2 2

∫∫ x dxdy ∫∫ x dxdy
2 2
= 4 dove A1 è la restrizione di A al primo quadrante
A A1

π 2 ρ (ϑ )
4
∫∫ x dxdy ∫ cos ∫ρ
2 2 3
= ϑ dρdϑ = ρ 2 (ϑ ) = =
A1 0 1 cos ϑ + sin 2 ϑ
2

π 2 π 2
1 1 16 cos 2 ϑ π
∫ cos ϑ (ρ (ϑ ) − 1)dϑ = ∫ (cos
2
= 4
− =
ϑ + 4 sin 2 ϑ )
2
4 0 4 0
2 16

π 2
2 1 π
= 2 ∫ cos ϑ (1 + 4 tan ϑ )
0
2 2 2
dϑ −
16
= e ponendo 2 tan ϑ = t

+∞
dt π
= 2 ∫ (1 + t )
0
2 2

16

Dal seguente

1 t t 2t t t 2 +1−1
∫ 1 + t 2 = 1 + t 2 + ∫ (1 + t 2 )2 = 1 + t 2 ∫ 1 + t 2 2 dt =
dt + 2
( )
t 1 1
= + 2∫ dt − 2 ∫ dt
1+ t 2
1+ t 2
1+ t 2 ( )2

segue che

+∞ +∞
dt 1 t 1 π
∫ (1 + t )
0
2 2
=
2 1+ t 2
+ arctan t
2 0
=
4

25
Quindi

π π  7
∫∫ x dxdy
2
4 = 4 −  = π
A1  2 16  4

ESERCIZIO (Un integrale molto importante)

Mostrare che

+∞

∫ e dx
2
−x
= π
−∞

SOLUZIONE:

L’integrale improprio converge e il suo valore (ovviamente) non dipende da quale simbolo si usa
per la variabile d’integrazione. Pertanto possiamo esprimere il quadrato dell’integrale come
prodotto di due integrali identici, ma con le loro variabili d’integrazione indicate in modo diverso.
Possiamo poi interpretare questo prodotto come un integrale doppio e integrarlo in coordinate
polari:

2
 +∞ − x 2  +∞ +∞
( )
 ∫ e dx  ∫ e dx ∫ e dy = ∫∫ e
2
−x −y 2
− x 2 + y 2 dA
  = =
 −∞  −∞ −∞ ℜ2

2π R
 1 −ρ 2  R
∫ dϑ ∫ e ρdρ = π
2
−ρ
= lim = 2π lim − e 
R →∞ 0 0 R →∞  2 0

Dove si è tenuto presente che in coordinate polari, tutti i punti del piano si ottengono prendendo il
valore principale dell’anomalia, cioè facendo variare ϑ da 0 ( oppure - π ) incluso, a 2 π
(oppure π ) escluso, e facendo variare ρ tra 0 e + ∞ .

26
INTEGRALI TRIPLI

Supponiamo che la funzione f ( x, y , z ) sia definita nel dominio T chiuso e limitato. Suddividiamo il
dominio T arbitrariamente in n sottodomini T1,T2 ,...Tn con diametri d1 , d 2 ,...d n e volumi
∆V1 , ∆V2 ,.., ∆Vn . Prendiamo arbitrariamente un punto Pk (ξ k ,η k , ζ k ) in ciascun sottodominio e
moltiplichiamo il valore della funzione nel punto Pk con il volume del sottodominio.
La somma integrale per la funzione f ( x, y , z ) sul dominio T è la somma della forma

∑ f (ξ
k =1
k ,η k , ζ k ) ∆Vk .

L’integrale triplo della funzione f ( x, y , z ) sul dominio T è il limite della somma integrale sotto la
condizione che il più grande diametro dei sottodomini tende a zero:

∫∫∫ f ( x, y, z )dV = lim


max d k →0
∑ f (ξ
k =1
k ,η k , ζ k ) ∆Vk .
T

Per una funzione continua in un dominio T questo limite esiste e non dipende dal modo in cui è
suddiviso il dominio T nei sottodomini o sulla scelta dei punti Pk (teorema dell’esistenza di un
integrale triplo).

Se f ( x, y , z ) >0 nel dominio T, allora l’integrale triplo ∫∫∫ f ( x, y, z )dV


T
è la massa del corpo che

riempie il dominio T e possiede una densità variabile γ = f ( x, y, z ) (interpretazione fisica


dell’integrale triplo).

Le principali proprietà degli integrali tripli sono simili a quelle degli integrali doppi.
In coordinate cartesiane l’integrale triplo è usualmente scritto come

∫∫∫ f ( x, y, z )dxdydz .
T

27
Integrali tripli in coordinate cartesiane

Come gli integrali doppi, anche gli integrali tripli si riducono ad integrali ordinari mediante formule
di riduzione. Per gli integrali tripli in coordinate cartesiane esistono una formula d’integrazione per
strati e una per fili.

a) La formula d’integrazione per strati è:


b

∫∫∫ f (x, y, z ) dx dy dz = ∫ dz ∫∫( ) f (x, y, z ) dx dy


C a C z

Questa formula si applica quando il solido


viene segato mediante piani z = cost
e quando ogni z = k seghi C secondo un dominio piano C Z .

b) La formula d’integrazione per fili è:


β ( x, y )

∫∫∫ f ( x, y, z ) dx dy dz = ∫∫ dx dy
C D
∫ f ( x, y, z ) dz
α (x, y )

Questa formula si applica quando il solido viene segato mediante


rette parallele all’asse Z e C è normale rispetto a queste parallele.

A volte il solido C si presta all’applicazione delle due formule


indifferentemente.

Nei casi non si può applicare né l’una né l’altra si spezza opportunamente il campo C.

ESEMPIO 37

Calcolare il momento d’interzia relativo all’asse z del cono rotondo di raggio di base a e altezza h

Supponiamo che il vertice del cono coincida con l’origine degli assi.
Ricaviamoci l’equazione della superficie conica:
siccome è una superficie di rotazione, ricaviamo prima l’equazione del meridiano (in questo caso
una retta sul piano xz):

28
h
z= x
a
Avvalendoci di un artificio noto dalla Geometria, al posti di x sostituiamo x 2 + y 2 e quadriamo.
Si ottiene:
h2
z2 = 2 ( x2 + y2 ) equazione del cono.
a

Il momento d’inerzia rispetto all’asse z è dato da:

(
M = ∫∫∫ x 2 + y 2 dx dy dz )
Calcoliamo per fili:
h
 h 
(
M = ∫∫ x 2 + y 2 dx dy) ∫ dz = ∫∫ ( x
2
)
+ y2  h − x 2 + y 2  dx dy
C h
x2 + y 2 C  a 
a
Il campo C è una circonferenza di raggio a . Passiamo ora alle coordinate polari:

x = ρ cos ϕ
y = ρ senϕ
Si ha allora:
2π a
 h   h  1
M = ∫∫ ρ 2  h − ρ  ρ dρ dϕ = ∫ dϕ ∫ ρ 3  h − ρ  dρ = π a 4 h .
C  a  0 0  a  10

ESEMPIO 38
x2 + y2
Calcolare l’integrale triplo dove f = 2
ed il solido è individuato da z 2 = x 2 + y 2 ;
z +1
(
z2 = 4 x2 + y2 ;) 0≤ z≤h.

Calcoliamo l’integrale per strati. Passando in coordinate cilindriche avremo:

h h 2π z
dz dz
I =∫ ∫∫ ρ dθ dρ = ∫
3
∫ dθ ∫ ρ dρ
3

0
1+ z 2 CZ 0
1+ z2 0 1
z
2

Per la sezione generica C Z è:

1
z=ρ , ρ 2 = z2
4
29
Fatta questa considerazione l’integrale diventa:

h
15 z4
I = π∫ dz
32 0 1 + z 2
quindi la soluzione è:

15  1 3 
I= π  h − h + arctg h  .
32  3 

ESEMPIO 39

Determinare il volume del solido delimitato dalle superfici di equazioni:

x ≥ 0
 x 2 + y 2 + z 2 = r 2 
 2 y ≥ 0
 x + y 2 − r y = 0 z ≥ 0

Calcoliamo il volume, risolvendo l’integrale triplo per “fili”:

r 2 −x2 − y2

V = ∫∫∫ dx dy dz = ∫∫ dx dy ∫ dz = ∫∫ r 2 − x 2 − y 2 dx dy
C 0 C

Il dominio C è il semicerchio base del cilindro (v. figura). Passando in coordinate polari:

x = ρ cosθ
y = ρ senθ
si avrà:ù

π
r sin ϕ
2
r3  π  r3 r3 π 2 
V = ∫∫ r 2 − ρ 2 ρ dρ dθ = ∫ dϕ ∫ ρ r 2 − ρ 2 dρ =  − 1 + =  −  .
C 0 0
3 2  9 3  2 3

30
ESEMPIO 40

Calcolare:

∫∫∫ log(1 + 2 x + 3 y + 4 z )dxdy dz


C

Dove il dominio C è dato da:

0 ≤ x ≤ a

C ≡ 0 ≤ y ≤ b
0 ≤ z ≤ c

Il dominio d’integrazione è un parallelepipedo, quindi potremmo


utilizzare indifferentemente sia la formula d’integrazione per strati
sia quela per fili.

Utilizziamo quella per fili:

c a b
I = ∫∫∫ log(1 + 2 x + 3 y + 4 z ) dx dy dz = ∫ dz ∫ dx ∫ log(1 + 2 x + 3 y + 4 z ) dy
C 0 0 0

Per risolvere l’integrale poniamo:


1+ 2x + 3 y + 4z = t
per cui:

c a 1+ 2 x + 3b + 4 z c a
1 1 1 + 2 x + 3b + 4 z
I = ∫ dz ∫ dx ∫ logt dt = ∫ dz ∫ 3 b log dx
0 0
3 1+ 2 x + 4 z
30 0 1+ 2x + 4z

Per procedere oltre conviene porre:


1 + 2 x + 3b + 4 z
u=
1+ 2x + 4z
Sostituendo:

3 3
x= (u − 1) b − 1 − 4 z ; dx = b du
2 2
l’integrale diventa:

1 + 2a +3b+ 4 z
c 1+2a + 4 z c
3 3 2 − 6ab 1+ 4z + 2a + 8az +12bz + 3b +16z 2
b ∫ dz ∫ logu b du = b ∫ log dz
0 1 +3b+ 4 z 2 2 0 1+ 2a + 8z + 8az +16z 2 1+ 2a + 8z + 3b + 6ab +12bz + 8az +16z 2
1+ 4 z

31
Per il resto non ci dovrebbe essere nessuna difficoltà nel proseguire alla risoluzione dell’integrale.

ESEMPIO 41

Calcolare l’integrale:

∫∫∫ y
2
I= dx dy dz
C

dove C è il volume della parte di cilindro rotondo di equazione x 2 + y 2 = r 2


r
con − r ≤ y ≤ e 0 ≤ z ≤ h .
2
Integriamo per strati e si ha:

h
I = ∫ dz ∫∫ y 2 dx dy
0 C

dove C è la proiezione del solido sul piano x,y.

∫∫ y
2
L’integrale dx dy si può calcolare in coordinate polari spezzando opportunamente il dominio.
C
Si ha:

3 4 8π − 3 3 4
∫∫
C
y 2 dx dy = ∫∫ ρ 3 sen 2θ dρ dθ =
C
32
r +
48
r

L’integrale proposto vale:

1 3  4
I = − r h
 6 32 
 

ESEMPIO 42

Calcolare ∫∫∫ x dx dy dz esteso al primo ottante e delimitato dai piano z = 0 e z = 2 e dalle superfici
D
cilindriche:

x2 + y2 = 1
 2 2
x + y − 2 y = 0

32
La superficie cilindrica x 2 + y 2 − 2 y = 0 si proietta sul piano xy nella circonferenza di centro
C (0,1) e raggio 1, mentre la x 2 + y 2 = 1 si proietta nella circonferenza con centro nell’origine e
raggio unitario.

Eseguiamo l’integrazione per fili:

2
I = ∫∫∫ x dx dy dz = ∫∫ x dx dy ∫ dz
D C 0

dove C è la sezione del cilindroide con il piano xy. Sviluppando i calcoli si ottiene:

5
I= .
12

ESEMPIO 43

Calcolare ∫∫∫ x dx dy dz esteso ad una regione D del primo ottante definita dalle equazioni:
D

 y = x2
 2 2
 0≤ z ≤ x + y
 y ≤1

Conviene eseguire l’integrazione “per fili”. Si pensi di inscrivere il solido in un cilindroide avente
generatrici parallele all’asse z e limitato superiormente dalla z = x 2 + y 2 e inferiormente dalla
z = 0.

Cioè:

Fig. a)

33
x2 + y2

I = ∫∫∫ x dx dy dz = ∫∫ x dx dy = ∫ dz
D C 0

dove C è la sezione normale del cilindroide, come si può vedere nella fig. b).

Fig. b)

Sviluppando i calcoli:
2
x 2+ y
5
I = ∫∫ x dx dy ∫ dz = ∫∫ x (x )
+ y 2 dx dy = ∫∫ x 3 dx dy + ∫∫ y 2 x dx dy =
2
.
C 0 C C C
24

ESEMPIO 44

Determinare le coordinate del baricentro del segmento sferico ad una base di altezza h = 5 , limitato
dalla superficie sferica x 2 + y 2 + z 2 = 64 e avente come asse di simmetria l’asse z.

Nel caso in esame è xG = yG = 0 .


Incominciamo a calcolare l’integrale che va a numeratore nell’espressione di zG :
r
I1 = ∫∫∫ z dx dy dz = ∫ z dz ∫∫ dx dy
r −h

L’integrale doppio ∫∫ dx dy rappresenta l’area di una sezione generica della sfera con un piano
z = cost, e cioè:
∫∫ dx dy = π ( r − z 2 ) = π ( 64 − z 2 )
2

Quindi:
8
3025
(
I1 = π ∫ 64 − z 2 z dz = ) 4
π
3

L’integrale I 2 che sta a denominatore nell’espressione di zG rappresenta il volume del segmento


sferico, quindi:
8
475
I 2 = π ∫ 64 − z 2 dz =
3
( π )
3
In definitiva:

34
I 1 3025 3 363
zG = = π⋅ = .
I2 4 475π 76

ESEMPIO 45

Calcolare il momento d’inerzia rispetto all’asse di un tronco di cono avente le seguenti dimensioni:

altezza h = 2 cm
raggio maggiore a = 3 cm
raggio minore b = 2 cm

Il momento d’inerzia è dato da:


I = ∫ z 2 dx dy dz
Integrando per strati otteniamo:
h
(1) I = ∫ z 2 dx dy dz = ∫ dz ∫ z 2 dx dy
0 CZ

ove C Z è una sezione del tronco di cono col piano z = cost.


Ma nell’integrale (1) possiamo spostare la z nella prima parte, ottenendo:
h

∫z dz ∫ dx dy
2
(2)
0 CZ

La seconda parte della (2) non è che l’area del cerchio C Z . Supponiamo di tagliare il cono con un
piano passante per z ottenendo un trapezio OCBG in cui GB = b, OC = a, FE = ρ (raggio di C Z ).
Abbassiamo per B la perpendicolare a OC: avremo due triangoli rettangoli simili BDE e BAC dai
quali si ricava:

 DE = ρ − b
 BD = h − z
DE AC 
= ; ma è 
BD AB  AC = a − b
 AB = h
quindi:

ρ −b a−b
=
h−z h

da cui ricaviamo:
a−b
ρ = a− z
h

Dunque, essendo l’area di C Z uguale a π ρ 2 , sarà pure:

2
 a −b 
CZ = π  a − z
 h 
e, sostituendo nella (2) otterremo:
35
h 2
 a −b  π 1 1
I = π ∫ a − z  ⋅ z 2 dz = a 2 h 3 − π a (a − b ) h 3 + π (a − b ) h 3 .
2

0
h  3 2 5

Ponendo in luogo di a, b, h i loro valori, otterremo:

I = 44,35 .

ESEMPIO 46

Trovare il momento d’inerzia rispetto a yz del solido delimitato dalle disuguaglianze:


 x2 + y2 ≤ a

y ≥ a − x
0 ≤ z ≤ a

Si sa dalla Meccanica che il momento d’inerzia rispetto a yz è dato da:

Fig. 1

Ι = ∫∫∫ x 2 dx dy dz
V

essendo V il solido individuato dalle disuguaglianze.


E’ comodo eseguire l’integrale triplo per strati; una generica sezione con un piano parallelo a xy è
quella indicata in figura.
L’integrale si calcola nel modo seguente:

a
Ι = ∫∫∫ x 2 dx dy dz = ∫ dz ∫∫ x 2 dx dy
V 0 C(z )

Calcoliamo separatamente l’integrale doppio, questo si calcola facilmente in coordinate polari.


Le formule di passaggio sono:

36
 x = ρ cosϑ

 y = senϑ

Fig. 2

Sostituendo si ha:
π
ϑ=
2 ρ =a
I = ∫∫ x 2 dx dy = ∫∫ ρ 2 cos 2 ϑ ρ dρ dϑ = ∫∫ ρ 3 cos 2 ϑ dρ dϑ = ∫ dϑ ∫ρ
3
cos 2 ϑ dρ =
C C C ϑ =0 a
ρ=
senϑ + cos ϑ
π π
ϑ= ϑ=
4 2
a cos ϑ2 2
a 4 cos 2 ϑ
= ∫ dϑ − ∫ dϑ .
ϑ =0
4 ϑ =0 4 ( sen ϑ + cos ϑ )4

Calcoliamo separatamente i due integrali:


π π
ϑ= ϑ=
a 4 cos 2 ϑ
2
a4 2
a 4π
I1 = ∫ dϑ = ∫ cos ϑ dϑ =
2
.
ϑ =0
4 4 ϑ =0
16
π π
ϑ= ϑ=
4 2 4
2
a cos ϑ a 2
cos 2 ϑ
I2 = ∫
ϑ = 0 4( senϑ + cosϑ )
4
dϑ =
4 ∫
ϑ = 0 (senϑ + cosϑ )
4
dϑ .

Ricordando che:
cos 2ϑ − 1
cos 2 ϑ =
2

Sostituendo e contemporaneamente sviluppando il denominatore, si ha:

π π
ϑ= ϑ=
4 2 4 2
a cos 2ϑ − 1 a cos 2ϑ − 1
I2 = ∫ (
2 ⋅ 4 ϑ = 0 sen ϑ + cos ϑ + 2senϑ cosϑ
2 2 2
dϑ =
8 ) ϑ

=0
1 + sen 2 2ϑ + 2sen 2ϑ

Ricordando che:
2 tgϑ 1 − tg 2ϑ
sen 2ϑ = , cos 2ϑ =
1 + tg 2ϑ 1 + tg 2ϑ

sostituendo si ottiene:
π 1 − tg 2ϑ π
ϑ= −1 ϑ=
a4 2
1 + tg 2ϑ a4 2
− 2 tg 4ϑ − 2 tg 2ϑ
I2 =
8 ϑ =0
∫  2 tg ϑ 
2
2 tg ϑ
dϑ =
8 ∫
ϑ =0 tg 4ϑ + 4 tg 3ϑ + 6 tg 2ϑ + 4 tg ϑ + 1
dϑ .
1 +  2
 +2
 1 + tg ϑ  1 + tg 2ϑ

37
Poniamo:
tgϑ = t .

Sarà di conseguenza:

1
ϑ = arctg t , dϑ = dt .
1+ t 2
Sostituendo si ottiene:

∞ ∞
a4 − 2 t4 − 2 t2 a4 −2 t2
I2 =
8 ∫(
0
)(
t 4 + 4 t 3 + 6 t 2 + 4 t +1 ⋅ 1+ t 2)dt =
8 ∫
0
t 4 + 4 t 3 + 6 t 2 + 4 t +1
dt .

Scomponiamo il denominatore in modo da poter risolvere l’integrale con la regola di Hermitte:

t 4 + 4 t 3 + 6 t 2 + 4 t + 1 = ( t + 1)
4


a4 − 2 t2
I2 =
8 ∫0 ( t + 1)4 dt .
a4
Consideriamo solo l’integrale a meno di :
8

− 2 t2 A t2 + B t + C
I2 '= ∫ dt = + D lg( t + 1)
( t + 1)4 ( t + 1)3
Derivando ambo i membri:

− 2t 2 2 A t 2 + 2 A t + B t + B − 3 A t 2 − 3B t − 3 C D
= + .
( t + 1)4
( t + 1)4
t +1

Eliminando i denominatori si ha:

− 2t 2 = − A t 2 + t ( 2 A + B − 3B ) + B − 3C + D ( t + 1) = D t 3 + t 2 ( 3D − A) + t ( 2 A − 2 B + 3D ) + ( B − 3C + D )
3

Per il principio d’identità dei polinomi deve essere:

D = 0
3D − A = −2


2 A − 2 B + 3 D = 0
 B − 3C + D = 0

38
Risolvendo il sistema si ottiene :
A = 2
B = 2

 2
C = 3

 D = 0

L’integrale I 2 ' vale :

2
2t 2 + 2t +
I2 '= 3
( t + 1)3
Ricordiamo che :


a4 − 2t 2
I2 =
8 ∫0 ( t + 1)4 dt

Avendo calcolato l’integrale indefinito possiamo ora procedere calcolando un integrale


generalizzato col seguente procedimento :

k
a4 − 2t 2 a4 2 a4
I 2 = lim
k →∞ 8 ∫0 ( t + 1)4 dt = −
8 3
= −
12

Otteniamo così i due risultati :

a 4π a4
I1 = ; I2 = −
16 12

L’integrale da cui abbiamo tirato fuori questi parziali è :

I = ∫∫ x 2 dx dy .
C
Possiamo quindi concludere che :

a 4π a 4
I = ∫∫ x 2 dx dy = −
C
16 12

Per il momento d’inerzia avevamo scritto :

a
Ι = ∫∫∫ x 2 dx dy dz = ∫ dz ∫∫ x 2 dx dy .
V 0 C

Avendo calcolato già l’integrale doppio, possiamo procedere ottenendo :

39
a
 a 4π a 4  a 5π a 5 3a 5π − 4a 5
Ι = ∫∫∫ x 2 dx dy dz = ∫  −  dz = − =
V 0 
16 12  16 12 48

Il momento d’inerzia richiesto vale :

a 5 ( 3π − 4 )
Ι= .
48

40
Integrali tripli in coordinate cilindriche

Si dimostra che nel passaggio da integrali tripli in coordinate cartesiane a coordinate curvilinee in
genere sussiste la relazione:

∂ ( x, y, z )
∫ ∫ ∫ f ( x, y , z ) dx
T
dy dz = ∫ ∫ ∫ f (u , v , w )
T
∂ (u , v , w )
du dv dw

in cui è stato posto:

∂x ∂y ∂z
∂u ∂u ∂u
∂ ( x, y , z ) ∂x ∂y ∂z
=
∂ (u , v, w) ∂v ∂v ∂v
∂x ∂y ∂z
∂w ∂w ∂w

Le formule di passaggio dalle coordinate cartesiane alle coordinate cilindriche sono:

 x = ρ cos ϑ

 y = ρsenϑ
z = z

Il termine Jacobiano vale:

cos ϑ senϑ 0
∂ ( x, y , z )
= − ϑsenϑ cos ϑ 0 = ϑ
∂ ( ρ ,ϑ , z )
0 0 1

La formula di trasformazione da utilizzare è:

∫ ∫ ∫ f ( x , y , z ) dx dy dz = ∫ ∫ ∫ f ( ρ , ϑ , z )ρ d ρ d ϑ dz
T T

In coordinate cilindriche si opera come in coordinate cartesiane osservando che il solido deve essere
normale rispetto al riferimento cilindrico. Anche in coordinate cilindriche sussistono formule
analoghe a quella per strati e per fili delle coordinate cartesiane:

B ( ρ ,ϑ )

∫∫∫ f ( ρ , ϑ , z )d ρ d ϑ dz = ∫∫ D
dρ d ϑ ∫α ( ρ ,ϑ )
f ( ρ ,ϑ , z )
T

41
ESEMPIO 47

Calcolare l’integrale:

I = ∫∫∫ xyz dx dy dz
T

x z
Dove T è il volume compreso tra il cilindro di equazione y2+z2-2cz = 0 e il piano + = 1 con
h 2c
x≥0.

Facendo il seguente cambiamento di variabili:

x = x

 y = ρ cos θ
 z = ρsenθ

e integrando per fili si ha:


hρsenθ
h−
2c

I = ∫∫ ρ cos θ senθ dρ dθ
3
∫ x dx
D 0

Dove D è la proiezione del solido sul piano y,z descritta da 0≤θ≤π ,0 ≤ρ≤2csenθ.
Procedendo,si ha:

h2 ρsenθ ρ 2 sen 2θ h2c 4


I=
2 ∫∫ T
ρ 3 cos θ senθ dρ dθ (1 −
c
+
4c 2
)=
15

42
ESEMPIO 48

Calcolare l’integrale:

z
I = ∫∫∫ dx dy dz
T
x + y2
2

Dove T è il volume compreso tra la sfera x2 + y2 + z2 = a2 e i coni z2 = x2 + y2 , z2 = 4(x2+y2) con


z≥0.

Conviene spezzare il campo in due parti e integrare per fili. Passando in coordinate cilindriche si
ottiene:

a a
2 ρ 2 + y2 2 ρ 2 + y2
2π 5 2π 2
25 2 − 12 5
I = ∫∫∫ dρ dθ dz = ∫ dθ ∫ dρ ∫ z dz + ∫ dθ ∫ dρ ∫ z dz = πa 3
T 0 0
ρ2 + y2
0 a
ρ 2 + y2 75
5

ESEMPIO 49

Calcolare l’integrale:

I = ∫∫∫ yz senx dx dy dz
T

Dove T è il volume del cono x2 = y2 + z2 con 0≤x≤h , y≥0 , z≥0.

43
Con il cambiamento seguente:

x = x

 y = ρ cos θ
 z = ρsenθ

si ottiene:

I = ∫∫∫ ρ 3 senθ cos θ senx dρ dθ dx


T

Integriamo per fili:


h

I = ∫∫ ρ 3 senθ cos θ dρ dθ ∫ senx dx


D ρ

π
Dove D è la proiezione del solido sul piano z,y che viene descritta con 0 ≤ θ ≤ , 0 ≤ ρ ≤ h.
2
Procedendo,si ha:

π
2 h h
1  h4 
I = ∫ senθ cos θ dθ ∫ρ
3
dρ ∫ senx dx =  − cosh + h 3 senh + 3h 2 cosh − 6h senh − 6 cosh + 6 
0 0 ρ 2 4 

ESEMPIO 50

Calcolare l’integrale:

I = ∫∫∫ ( x 2 + y 2 )dx dy dz
T

dove T è il volume compreso tra il paraboloide z = 1 – (x2 + y2) e il cono (z – 1)2 = x2 + y2 , con
h≥z≥0.

44
Passando in coordinate cilindriche si ha:

I = ∫ ρ 3 dρ dθ dz

e integrando per strati:

h 2π 1− z 1
 (1 − z ) 2 ( z − 1) 4  14
I = ∫ dz ∫ dθ ∫ ρ 3 dρ = 2π ∫  −  dz = − π .
0 0 z −1 0
 4 4  15

ESEMPIO 51

In una sfera di centro C(0;0;0) e raggio R viene scavato un foro cilindrico rotondo di asse x e
raggio a.
Trovare il volume della parte di sfera rimanente.

45
Si può trovare il volume V del cilindro più il volume delle due calottine integrando per fili e
facendo il seguente cambiamento di variabili:

x = x

 y = ρ cosθ
 z = ρsenθ

Quindi si ha:

2π ( R2 − ρ 2 )
a
4
V = ∫∫∫ ρ dρ dθ dx = ∫ dθ ∫ ρ dρ ∫ dx = π ( R 2 − a 2 ) 3 .
T 0 0
− ( R2 −ρ 2 ) 3

ESEMPIO 52

Calcolare l’integrale:

dz
I = ∫∫∫
T z+2

dove T è il cilindro di equazione: x2 + y2 – 2ay = 0 con 0 ≤ z ≤ h .


Passando in coordinate cilindriche si ha:

dz h
dz 2π 2 a senθ
h
I = ∫∫∫ =∫ ∫ dθ ∫ ρ dρ = 2πa 2 log .
T z+2 0 z + 2 0 0 2

ESEMPIO 53

Calcolare l’integrale:

yz
I = ∫∫∫ dx dy dz
T x

dove T è il volume compreso fra il cilindro x2 + y2 = 4, il paraboloide z = x2 + y2 + 2 e il primo


x – y = 0 limitatamente al 1° ottante.

46
Passando in coordinate cilindriche e integrando per fili si ha:

ρ 2 +2
1
I = ∫∫ ρ dρ dθ ∫
2 ∫∫D
tgθ z dz = ρ ( ρ 2 + 2) 2 tgθ dρ dθ
D 0

dove D è la proiezione del solido sul piano x , y , che viene descritta con

π
0 ≤θ ≤ , 0≤ ρ ≤ 2.
4
Quindi:

1 4 2
104 2
I = ∫ tgθ dθ ∫ ( ρ 2 + 2) 2 ρ dρ = log .
2 0 0 3 2

ESEMPIO 54

Calcolare l’integrale:

I = ∫∫∫ ( x + z ) dx dy dz
T

dove T è il volume compreso tra i coni di equazione y2 = x2 + z2 , (y – 4a)2 = x2 + z2 con


x ≥ 0 , z ≥ 0.

y = y

Col seguente cambiamento di variabili:  x = ρ cos θ
 z = ρsenθ

47
avremo:

I = ∫∫∫ ρ 2 (cos θ + senθ ) dρ dθ dy


T

Integrando per fili:


ρ +4a

I = ∫∫ ρ 2 (cos θ + senθ ) dρ dθ ∫ dy
D ρ

dove D è la proiezione del solido sul piano x , z che viene descritta con 0 ≤ θ ≤ π 6 , 0 ≤ ρ ≤ 2° .
procedendo nei calcoli:

π
2 2a
64 4
I = 4a ∫ (cos θ + senθ )dθ ∫ ρ 2 dρ = a .
o 0 3

ESEMPIO 55

Calcolare l’integrale:

I = ∫∫∫ z dx dy dz
T

dove T è il volume compreso tra la sfera x2 + y2 + z2 = 4a2 e i piani z = 0 , z = a.

Passando in coordinate cilindriche si ha:

I = ∫∫∫ zρ dρ dθ dz
T

Ovvero integrando per strati:

2π 4a2 −z2
a
7
I = ∫ z dz ∫ dθ ∫ ρ dρ = πa 4 .
0 0 0 4
48
ESEMPIO 56

Mediante l’uso degli integrali tripli calcolare il volume del solido compreso tra il cilindro di
equazione x2 + y2 = 4 tra i piani z = 0 e z = 3 e il cono di equazione 4 z2 = 9(x2 + y2) .

Calcolando l’integrale per strati avremo:


3

VS = ∫ dz ∫∫ dx dy
0 cz

e passando in coordinate cilindriche:


3 2π 2

VS = ∫ dz ∫ ∫ ρ dρ = 8π
0 0 2
z
3

D’altra parte come verificare si può tener presente che

VS = Vcilindro – Vcono = 12 π – 4 π = 8 π .

49
Integrali tripli in coordinate polari

Le formule di passaggio dalle coordinate cartesiane alle coordinate polari nello spazio sono:

 x = ρsenϑ cos ϕ

 y = ρsenϑ senϕ
 z = ρ cos ϑ

Il determinante Jacobiano è:

cos cos
( , , )
ϕ ρϑρ ϑ ϕ ρ ϑ cos ϕ 0
( , , )
ρ cos ϑ cos ϕ ρ cos ϑ ϕ ρ ϑ

cosϑ ( ρ 2 ϑ cos ϑ 2
ϕ ρ2 ϑ cos ϑ cos 2 ϕ ) ρ ϑ(ρ 2
ϑ cos 2 ϕ ρ 2
ϑ 2
ϕ)

ρ 2 cos 2 ϑ ϑ ρ2 3
ϑ ρ2 ϑ.

Tenendo presente la formula di passaggio da coordinate cartesiane a curvilinee,nel caso in esame si


deduce:

∫∫∫ T
f ( x, y, z ) dx dy dz = ∫∫∫ F ( ρ , ϕ ,ϑ ) ϑ 2 senϑ dρ dϕ dϑ .
T

50
ESEMPIO 57

Trovare le coordinate del baricentro del solido limitato dal cono rotondo di semiapertura π 6 e dalla
calotta sferica con centro nel vertice del cono e raggio 2.
Siccome l’asse z è asse di simmetria è: xG=0,yG=0,mentre:

∫∫∫ ρ cosθ ρ senθ


2
dρ dϕ dθ
zG = T

∫∫∫ ρ senθ dρ
2
dϕ dθ
T

dove T è il volume della calotta.


Calcoliamo separatamente i due integrali:

π
2π 6 2

1°∫∫∫ ρ 3 cos θ senθ dρ dϕ dθ = ∫ dϕ ∫ cos θ senθ dθ ∫ ρ 3 dρ = π


T 0 0 0

π
2π 6 2
16 8 3
2°∫∫∫ ρ 2 senθ dρ dϕ dθ = ∫ dϕ ∫ senθ dθ ∫ ρ 2 dρ = π ( − ).
T 0 0 0 3 3

Quindi sostituendo in zG si ottiene:

3
zG = .
16 − 8 3

51
ESEMPIO 58

Calcolare l’integrale:

∫∫∫ y dx dy dz
T

dove T è il volume compreso tra la semisfera x2+y2+z2 = a2 , z≥0 e i piani y = 0 , y = x tgα,


limitatamente al 1° ottante.

Passando alle coordinate polari si ha:

π
2 α a
a 4π
I = ∫∫∫ ρ sen θ senϕ dθ dρ dϕ = ∫ sen θ dθ
3 2 2
∫ senϕ dϕ ∫ ρ dρ = −
3
(cos α + 1) .
T 0 0 0 16

ESEMPIO 59

Calcolare l’integrale:

I = ∫∫∫ ( x 2 + y 2 ) dx dy dz
T

dove T è il volume compreso tra le sfere di equazioni x2 + y2 + z2 = 4a2 , x2 + y2 + z2 - 2az = 0, con


z≥0.

52
Passando in coordinate polari, l’integrale I diventa:
π
2π 2 2a

I = ∫∫∫ ρ sen θ dθ dρ dϕ = ∫ dϕ ∫ sen 3θ dθ ∫


4 3
ρ 4 dρ = 8πa 5
T 0 0 2 a cos θ

Dove si è tenuto conto che ρ=2a e ρ=2acosθ.

ESEMPIO 60

Integrare la funzione:

f = x2 + y2 + z2

nel campo delimitato dalla sfera di centro nell’origine e raggio ρ = 2 , dal piano yz e dal piano xy.

Conviene ricorrere alle coordinate polari:

 x = ρ cos ϕ sin θ

 y = ρ sin ϕ sin θ

 z = ρ cos θ
 J = ρ 2 sin θ

Con tale sostituzione si ha:

16 2
∫∫∫ ( x + y 2 + z 2 )dxdydz = ∫∫∫ ( ρ 2 sin 2 θ cos 2 ϕ + ρ 2 sin 2 θ sin 2 ϕ + ρ 2 cos 2 θ ) ρ 2 sin θdρdϕdθ =
2
π
T T 5

53
ESEMPIO 61

In una sfera di raggio R viene ricavata una cavità avente forma di cono rotondo di vertice O, asse
z e semiapertura t.
Trovare il volume della parte di sfera rimanente.
Conviene rappresentare uno spaccato del solido con il piano yz.
Essendo il solido in questione a simmetria sferica,conviene introdurre le coordinate polari nello
spazio:

 x = ρ cos ϕ sin θ

 y = ρ sin ϕ sin θ
 z = ρ cosθ

L’integrale di volume diventa:

2π π −t R
4
V = ∫∫∫ dx dy dz = ∫∫∫ ρ 2 sin θ dρ dϕ dθ = ∫ dϕ ∫ sin θ dθ ∫ ρ 2 dρ = πR 3 cos t.
T T 0 t 0 3

ESEMPIO 62

Determinare il volume del solido racchiuso dalla superficie:

x2 y2 z 4
+ + =1
a 2 b2 c 4

Con un opportuno artificio si possono rendere le cose molto facili.Basta effettuare un cambio di
variabili:

 x = au
 abc
 y = bv , J=
 2 w
z = c w

L’equazione della superficie diventa:

u2 + v2 + w2 = 1

e il solido si trasforma in una sfera di raggio 1. L’integrale di volume diventa:

abc du dv dw
∫∫∫ dx dy
T
dz =
2 ∫∫∫T w
.

54
Passando alle coordinate polari dello spazio:

u = ρ sin θ cos ϕ

v = ρ sin θ sin ϕ
w = ρ cos θ

si ha:

abc du dv dw abc π
sin θ 1
8
V =
2 ∫∫∫T w
=
2 0∫ dϕ ∫0 cos θ
dθ ∫0
ρ ρ dρ = πabc
5

Nella sostituzione z = w non si tiene conto che z può anche assumere valori negativi,per cui
π
sin θ
l’integrale ∫
0 cos θ
dθ assumerebbe valori immaginari per θ=π.

π
Per ovviare a questo inconveniente basterà calcolare l’integrale fra 0 e e moltiplicare per 2 il
2
risultato ottenuto. Avremo:

π
π
sin θ 2
sin θ
∫0 cos θ
dθ = 2 ∫
0 cos θ
dθ .

ESEMPIO 63

Determinare il volume del solido compreso tra le superfici di equazioni:

 2 1 2 2
z = 3 ( x + y )
 2 2 2
 z = 3( x + y )
x2 + y 2 + z 2 = r 2

 z ≥ 0

Il solido è racchiuso tra 2 coni aventi vertice nell’origine degli assi e da una sfera con centro
nell’origine;sarà meglio dare una sezione della figura col piano yz.

55
Conviene passare alle coordinate polari dello spazio:

 x = ρ sin θ cos ϕ

 y = ρ sin θ sin ϕ
 z = ρ cos θ

Si ottiene quindi:
π

3 r
1
V = ∫∫∫ dx dy dz = ∫∫∫ ρ 2 sin θ dρ dϕ dθ = ∫ dϕ ∫ sin θ dθ ∫ ρ 2 dρ = πr 3 ( 3 − 1)
T T 0 π 0 3
6

ESEMPIO 64

Calcolare il volume del solido limitato dalle superfici di equazioni:

z = x2 + y2  y = x 2
 , 
z = 0  x = y 2

Si tratta dell’intersezione tra due cilindri parabolici con le generatrici parallele all’asse z ,
limitata dal piano z = 0 e dal paraboloide rotondo z = x 2 + y 2 .
Questo solido si proietta sul piano xy nella regione limitata dalle due parabole y = x 2 e x = y 2
(vedi figura).Calcoliamo l’ integrale triplo per “fili” :

2
x 2+ y

V = ∫∫∫ dx dy dz = ∫∫ dx dy ∫ dz =
T 0

Risolviamo l’ integrale doppio per verticali :

1 x 1
 1 1  6
V = ∫ dx ∫ (x + y 2 ) dy = ∫  x 2 x + x x − x 4 − x 6  dx =
2
0 x2 0  3 3  35

56
ESEMPIO 65

Calcolare l’ ascissa del baricentro della parte di ellissoide di equazione:

x2 y2 z 2
+ + =1
a 2 b2 c 2

contenuta nel primo ottante.


L’ ascissa del baricentro di un solido si trova calcolando l’ integrale triplo:

xG =
∫∫∫ x dx dy dz
∫∫∫ dx dy dz
4
L’ integrale a denominatore è immediato. Il volume dell’ intero ellissoide vale π abc ,e quindi
3
π abc
Il volume dell’ ottava parte vale V = .
6
Calcoliamo l’ integrale a numeratore, facendo un cambio di variabile:

 x = au

 y = bv , J = abc
 z = cw

L’ equazione dell’ellissoide diventa l’ equazione di una sfera di raggio unitari,


si ha quindi:

∫∫∫ x dx dy dz = a 2 bc ∫∫∫ u du dv dw

Passando alle coordinate polari:

u = ρ sin θ cos ϕ

v = ρ sin θ sin ϕ
w = ρ cos θ

π π
1
2 2
πa 2 bc
a 2 bc ∫∫∫ ududvdw = a 2 bc ∫∫∫ ρ sin θ cos ϕρ 2 sin θdρdϕdθ = a 2 bc ∫ cos ϕdϕ ∫ sin 2θdθ ∫ ρ 3 dρ =
0 0 0
16

L’ ascissa del baricentro vale :


3
xG = a
8

57
ESEMPIO 66

Calcolare l’ integrale:

∫∫∫ (x )
2
+ y 2 dx dy dz
T

dove T è il campo delimitato da:

 x 2 + y 2 + z 2 = 4a 2

y = a

Passiamo in coordinate polari:

 x = ρ sin θ cos ϕ

 y = ρ sin θ sin ϕ
 z = ρ cos θ

L’ integrale proposto diventa:

27
∫∫∫ (x + y 2 ) dx dy dz = ∫∫∫ ρ 2 cos 2ϕ ρ 2 sin θ dρ dϕ dθ =
2
T T 35a 5

ESEMPIO 67

Calcolare il volume del solido compreso nel primo ottante fra i cilindri:

 z = 1 − y 2
 2
 x + y 2 = 1
Il volume richiesto è:

58
1− y 2

V = ∫∫ dx dy dz = ∫∫ dx dy ∫ (
dz = ∫∫ 1 − y 2 dx dy )
0

Conviene passare alle coordinate polari:

3
V = ∫∫ (1 − y 2 ) dx dy = ∫∫ (1 − ρ 2 sin 2 θ ) ρ dρ dθ = π
16

ESEMPIO 68

Trovare il momento d’ inerzia, rispetto all’asse z, del solido compreso tra le sfere di raggi a e b
(a < b), con centro nell’ origine, considerando la parte al di sopra del piano xy.
Il momento d’ inerzia è dato da:

(
I = ∫∫∫ x 2 + y 2 dx dy dz
T
)
Trattandosi di un solido delimitato da superficie sferiche, ci conviene operare in coordinate polari,
ponendo:

 x = ρ cos ϕ sin θ

Y = ρ sin ϕ cos θ , J = ρ 2 sin θ dρ dϕ dθ
 z = ρ cos θ

La funzione integrando si modifica in:

x 2 + y 2 = ρ 2 (sin 2 θ cos 2 ϕ + sin 2 θ sin 2 ϕ ) = ρ 2 sin 2 θ

e, quindi:


L = ∫∫∫ ρ 4 sin 3 θ dρ dϕ dθ =
T 15

Ipotizziamo che il dominio di integrazione T è specificato dalle disuguaglianze x1 ≤ x ≤ x2 ,


y1 ( x) ≤ y ≤ y 2 ( x), z1 ( x, y ) ≤ z ≤ z 2 ( x, y ) , dove y1 ( x), y 2 ( x), z1 ( x, y ), z 2 ( x, y ) sono funzioni
continue. Allora l’integrale triplo della funzione f ( x, y , z ) estesa al dominio T può essere calcolato
con la formula

x2 y2 ( x ) z2 ( x , y )

∫∫∫ f ( x, y, z )dxdydz = ∫ dx ∫ dy ∫ f ( x, y, z )dz.


T x1 y1 ( x ) z1 ( x , y )

59
Se, nel calcolo di un integrale triplo, è necessario passare dalle variabili x,y,z alle nuove variabili
u,v,w connesse con x,y,z dalle relazioni x = x(u , v, w) , y = y (u , v, w), z = z (u , v, w) , dove le funzioni
x = x(u , v, w) , y = y (u , v, w), z = z (u , v, w) , continue insieme alle loro derivate prime parziali,
stabiliscono una corrispondenza biunivoca, continua in entrambe le direzioni, tra i punti del
dominio T dello spazio Oxyz e i punti dello stesso dominio T ′ dello spazio Ouvw , e il Jacobiano J
del dominio T non si annulla

∂x ∂x ∂x
∂u ∂v ∂w
∂y ∂y ∂y
J= ≠ 0,
∂u ∂v ∂w
∂z ∂z ∂z
∂u ∂v ∂w

allora si usa la formula ∫∫∫ f ( x, y, z )dxdydz = ∫∫∫ f [x(u, v, w), y(u, v, w), z (u, v, w)]⋅ J dudvdw.
T T
In particolare, passando dalle coordinate cartesiane x,y,z alle coordinate cilindriche ρ ,ϕ , z
(Fig.15), connesse con x,y,z dalle relazioni

x = ρ cos ϕ , y = ρ sin ϕ , z = z (0 ≤ ρ ≤ +∞,0 ≤ ϕ ≤ 2π ,−∞ ≤ z ≤ +∞),

la trasformazione jacobiana J = Bρ , e la formula di trasformazione di un integrale triplo in


coordinate cilindriche ha la forma

∫∫∫ f ( x, y, z )dxdydz = ∫∫∫ f ( ρ cos ϕ , ρ sin ϕ , z ) ρdρdϕdz.


T T

Passando dalle coordinate cartesiane x,y,z alle coordinate sferiche ρ ,ϕ ,ϑ (Fig.16), connesse con
x,y,z dalle relazioni

x = ρ sin ϑ cos ϕ , y = ρ sin ϑ sin ϕ , z = ρ cosϑ (0 ≤ ρ ≤ +∞,0 ≤ ϕ ≤ 2π ,0 ≤ ϑ ≤ π ),


La trasformazione jacobiana J = ρ 2 sin ϑ , e la formula di trasformazione di un integrale triplo in
coordinate sferiche ha la forma

∫∫∫ f ( x, y, z )dxdydz = ∫∫∫ f ( ρ sin ϑ cosϕ , ρ sin ϑ sin ϕ , ρ cosϑ ) ρ


2
sin ϑdρdϕdϑ .
T T

60
ESEMPIO 69

Calcolare I = ∫∫∫ zdxdydz, dove il dominio T è specificato dalle disuguaglianze


T

0 ≤ x ≤ 1 2, x ≤ y ≤ 2 x,0 ≤ z ≤ 1 − x 2 − y 2 .

Soluzione

12 2x 1− x 2 − y 2 12 2x 12 2x 12 2x
1 1− x 2 − y 2 1 1  1 
I = ∫ dx ∫ dy ∫ zdz = ∫ dx ∫ z 2 dy = ∫ dx ∫ (1 − x 2 − y 2 )dy = ∫  y − yx 2 − y 3  dx =
0 x 0
20 x 0 20 x 2 0 3 x

12 12 12
1 8 1 1  10  1 1 5  11 5 1  7
=
20∫ (2 x − 2 x 3 − x 3 − x + x 3 + x 3 )dx = ∫  x − x 3 dx =  x 2 − x 4  =  − ⋅  =
3 3 2 0 3  2 2 6 0 2  8 6 16  192
.

ESEMPIO 70

Calcolare I = ∫∫∫ x 2 dxdydz , se T è la sfera x 2 + y 2 + z 2 ≤ R 2 .


T

Soluzione

Passiamo alle coordinate sferiche. Nel dominio T le coordinate ρ ,ϕ ,ϑ varia come segue:
0 ≤ ρ ≤ R,0 ≤ ϕ ≤ 2π ,0 ≤ ϑ ≤ π . Di conseguenza,
π 2π R π 2π
R5  1 
I = ∫∫∫ ρ sin ϑ cos ϕdρdϕdϑ = ∫ sin ϑdϑ ∫ cos ϕdϕ ∫ ρ dρ =
4 3 2

3 2
sin 3 ϑdϑ ϕ + sin 2ϕ  = 4

T 0 0 0
5⋅2 0  2 0
πR 5 π 4πR 5
∫ (cos ϑ − 1)d (cosϑ ) =
2
= .
5 0
15

ESEMPIO 71

Calcolare ∫∫∫ z
T
x 2 + y 2 dxdydz, se il dominio T è limitato dal cilindro x 2 + y 2 = 2 x e dai piani

y = 0, z = 0, z = a .

Soluzione

Passiamo alle coordinate cilindriche. In queste coordinate l’equazione del cilindro assume la forma
ρ 2 cos 2 ϕ + ρ 2 sin 2 ϕ = 2 ρ cos ϕ , o ρ 2 (cos 2 ϕ + sin 2 ϕ ) = 2 ρ cos ϕ , cioè ρ = 2 cos ϕ .

Di conseguenza nel dominio T le coordinate ρ ,ϕ , z variano come segue:


0 ≤ ρ ≤ 2 cosϕ ,0 ≤ ϕ ≤ π 2 ,0 ≤ z ≤ a. Pertanto
61
π 2 2 cos ϕ a π 2 2 cos ϕ π 2
1 4
∫∫∫ z x + y dxdydz = ∫∫∫ zρ ⋅ ρdρdϕdz = ∫ dϕ ∫ ρ 2 dρ ∫ zdz = a 2 ∫ ∫ ρ 2 dρ = a 2 ∫ cos 3 ϕdϕ =
2 2

T T 0 0 0
2 0 0
3 0

π 2 π 2
4 4  1  8
= a2 ∫ (1 − sin ϕ ) ⋅ d (sin ϕ ) = a 2 sin ϕ − sin 3 ϕ  = a 2 .
2

3 0
3  3 0 9

ESEMPIO 72

∫∫∫ ( x
2
Calcolare + y 2 )dxdydz, se il dominio T è la metà superiore della sfera x 2 + y 2 + z 2 ≤ r 2 .
T

Soluzione

Usiamo le coordinate sferiche; le nuove variabili variano nel seguente modo:


0 ≤ ρ ≤ r ,0 ≤ ϕ ≤ 2π ,0 ≤ ϑ ≤ π 2 . Pertanto si ha:

r π 2 2π r π 2

∫∫∫( x + y )dxdydz = ∫∫∫ ρ sin ϑdρdϕdϑ = ∫ ρ dρ ∫ sin 3 ϑdϑ ∫ dϕ = 2π ∫ ρ 4 dρ ∫ (cos 2 ϑ − 1)d (cosϑ ) =
2 2 4 3 4

T T 0 0 0 0 0
r π 2
1  4
= 2π ∫ ρ 4 dρ  cos 3 ϑ − cosϑ  = πr 5 .
0 3 0 15

APPLICAZIONI DEGLI INTEGRALI TRIPLI


Il volume di un corpo occupante il dominio T è determinato dalla formula

V = ∫∫∫ dxdydz.
T

Se la densità del corpo è una quantità variabile, cioè γ = γ ( x, y, z ), allora la massa del corpo,
occupante il dominio T, è determinata dalla formula

M = ∫∫∫γ ( x, y, z )dxdydz.
T

Le coordinate del centro di gravità del corpo sono specificate dalle formule

1 1 1
x=
M ∫∫∫γxdxdydz, y = M ∫∫∫γydxdydz, z = M ∫∫∫γzdxdydz.
T T T

Per γ = 1 , abbiamo

62
1 1 1
x=
V ∫∫∫ xdxdydz, y = V ∫∫∫ ydxdydz, z = V ∫∫∫ zdxdydz
T T T

( x, y, z sono le coordinate del centro di gravità).

I momenti di inerzia (geometrici) rispetto agli assi coordinati sono uguali, rispettivamente, a

I x = ∫∫∫ ( y 2 + z 2 )dxdydz, I y = ∫∫∫ ( z 2 + x 2 )dxdydz, I z = ∫∫∫ ( x 2 + y 2 )dxdydz.


T T T

ESEMPIO 73

Calcolare il volume del corpo limitato dalle superfici


hz = x 2 + y 2 , z = h (Fig.17).

Soluzione

Il corpo dato è limitato sotto dal paraboloide z = ( x 2 + y 2 ) h, e sopra dal piano z = h , e si proietta
sul cerchio x 2 + y 2 ≤ h 2 del piano xOy .
Usiamo le coordinate cilindriche tramite le quali l’equazione del paraboloide assume la forma
z = ρ 2 h . Il volume del corpo è uguale a

2π 2π 2π h
h h h
 ρ2   hρ 2 ρ 4 
V = ∫∫∫ dxdydz = ∫∫∫ ρdρdϕdz = ∫ dϕ ∫ ρdρ ∫2 dz = ∫0 ∫0  h 
dϕ  h −  ρdρ = ∫0  2 − 4h  dϕ =
T T 0 0 ρ h 0

 h 3 h 3  2π πh 3
=  −  ∫ dϕ = .
 2 4 0 2

ESEMPIO 74

Trovare le coordinate del centro di gravità del corpo prismatico limitato dai piani
x = 0, z = 0, y = 1, y = 3, x + 2 z = 3.

Soluzione

Troviamo il volume del corpo in questione:

63
3 3 ( 3− x ) 2 3 3 3 3
3− x  1  9
V = ∫∫∫ dxdydz = ∫ dx ∫ dy ∫ dz = ∫ dx ∫ dy = ∫ (3 − x)dx = 3 x − x 2  = .
T 0 1 0 0 1
2 0  2 0 2

Allora abbiamo:

3 3 ( 3− x ) 2 3 3 3 3
2 2 2 3− x 2 2 3 2 1 3
x = ∫∫∫ xdxdydz = ∫ xdx ∫ dy ∫0 dz = 9 ∫0 xdx ∫1 2 dy = 9 ∫0 x(3 − x)dx = 9  2 x − 3 x  0 = 1;
9 T 90 1

( 3− x ) 2 3
4 x2 
3 3 3 3 3
2 2 1 4
y = ∫∫∫ ydxdydz = ∫ dx ∫ ydy ∫0 9 ∫0 ∫1 9 ∫0
dz = dx y (3 − x ) dy = (3 − x ) dx = 3 x −  = 2;
9 T 90 1 9 2 0

( 3− x ) 2 3
1  − (3 − x) 3 
3 3 3 3
2 2 2 (3 − x) 2 1
z = ∫∫∫ zdxdydz = ∫ dx ∫ dy ∫ zdz = ∫ dx ∫ dy =   = .
9 T 90 0 0
90 8 1
18  3 0 2

64
Funzioni a valori vettoriali

Definizione 1. Un’ applicazione definita su un insieme di numeri reali il cui codominio è un


insieme di ℜ n è per definizione una funzione a valori vettoriali.
Se F denota una funzione a valori vettoriali allora F (t ) è un vettore che ha n componenti e si scrive

f (t ) = ( f1 (t ), f 2 (t ),..., f n (t )) .

Così ogni funzione F a valori vettoriali dà origine a n funzioni f1, f 2 ,..., f n a valori reali i cui
valori
nel punto t sono le componenti di F (t ) .
Nel seguito il dominio di F sarà un intervallo che può essere anche infinito.

Definizione 2. Sia F una funzione a valori vettoriali definita su un intervallo I. Si dice che F è
continua in a ∈ I e si scrive

lim F (t ) = F (a ) ovvero lim F (t ) − F (a ) = 0


t →a t →a

se per ogni ε > 0 è possibile trovare un numero positivo δ = δ (ε , a ) tale che

F (t ) − F (a ) < ε ogni qualvolta che t ∈ I e t − a < δ

dove denota la norma euclidea in ℜ n :

u = u12 + ... + u n2 u = (u1 ,..., u n )

Pertanto

lim F (t ) = F (a ) se e solo se lim F (t ) − F (a ) = 0


t →a t →a

Non è difficile dimostrare che

lim F (t ) = F (a ) se e solo se lim f i (t ) = f i (a ) i = 1,..., n


t →a t →a

Si dice che F è continua in I quando F è continua in ogni punto di I. Da quanto precede: una
funzione a valori vettoriali è continua se e solo se è continua ogni sua componente.
Analogamente: una funzione a valori vettoriali F è derivabile o integrabile su un intervallo I se ogni
componente di F ha la corrispondente proprietà sullo stesso intervallo.

1
Se F è derivabile per t = a allora

F (t ) − F (a ) F (t ) − F (a )
F ′(a ) = lim se e solo se lim − F ′(a ) = 0
t →a t−a t →a t−a

F (t ) − F (a ) f (t ) − f (a )
lim − F ′(a ) = 0 se e solo se lim i = f i′(a ) i = 1,2,..., n
t →a t−a t →a t−a

Ovviamente
F (t ) − F (a ) F (a + h ) − F (a )
lim = F ′(a ) = lim
t →a t−a h → 0 h

Definizione 3. Un’ applicazione F a valori vettoriali definita e continua in un intervallo chiuso e


limitato [a,b] è per definizione una curva o un arco di curva.

L’immagine di una curva è detta sostegno di F oppure la traiettoria descritta da F da F(a) a F(b); le
equazioni

x1 = f1 (t ) , x 2 = f 2 (t ) , x n = f n (t ) t ∈ [a, b]

sono dette le equazioni parametriche della curva.

Ovviamente lungo una curva γ sono possibili due orientazioni. L’equazione della curva F = F (t )
determina una delle due possibili orientazioni: quella corrispondente alla direzione lungo la quale il
parametro è crescente.
In altre parole l’equazione F = F (t ) t ∈ [a, b] induce sulla curva l’orientazione dal punto F (a ) al
punto F (b ) .
Se F ha derivata F ′ continua in (a, b ) e se F (t ) ≠ 0 in (a, b ) allora la curva è detta liscia o
'

regolare.

Una curva F si dice regolare a tratti se esiste una suddivisione finita di [a,b]:

a = t0 < t1 < t2 < ....< tn = b

tale che F risulti regolare in ogni intervallo aperto

(t 0 , t1 ), (t1 , t 2 ),..., (t n−1 , t n )


Se risulta F (a ) = F (b ) la curva si dice chiusa;
Se risulta F (t1 ) ≠ F (t 2 ) per ogni t1 , t 2 ∈ (a, b ) con t1 ≠ t 2 allora la curva si dice semplice.

2
Curve piane. Una funzione F a valori vettoriali, definita e continua su un intervallo [a, b] il cui
condominio è un insieme di ℜ 2 è per definizione una curva piana. Se

F (t ) = ( f 1 (t ), f 2 (t )) t ∈ [a, b]

allora le equazioni

x = f 1 (t ) , y = f 2 (t ) t ∈ [a, b]

sono dette equazioni parametriche della curva e la variabile t è detta parametro della curva.
Generalmente le equazioni parametriche di una curva piana vengono indicate con

x = x(t ) , y = y (t ) t ∈ [a, b]

e la corrispondente funzione vettoriale con il vettore

r = r(t) = x(t)i + y(t)j t ∈ [a, b]

detto vettore posizione in quanto:


il grafico di una curva γ può essere pensato come la traiettoria descritta da un punto materiale in
movimento la cui posizione all’istante t è individuata dal vettore r (t ) . Nell’ intervallo di tempo da t
a t + ∆t la particella si muove dalla posizione r (t ) alla posizione r (t + ∆t ) e

∆r (t ) r (t + ∆t ) − r
=
∆(t ) ∆t

è la sua velocità media. Se quando ∆t → 0 la velocità media ammette limite allora si dice che r (t )
è differenziabile e tale limite è detto velocità (istantanea) della particella al tempo t. Il vettore
velocità è indicato con v (t ) . La direzione di questo vettore velocità è tangente alla curva γ nel
punto r (t ) e punta nella direzione del moto. Il modulo (la norma euclidea) del vettore velocità:
v(t ) = v(t ) , è chiamato velocità scalare. Il vettore che si ottiene derivando il vettore velocità è
detto vettore accelerazione e si indica con a(t ) :
dv (t )
a(t ) =
dt

3
Esempi

1. Moto circolare

La funzione a valori vettoriali F (t ) di equazioni parametriche

 2π 
x = a cos ωt y = a sin ωt t ∈ 0,  , a > 0
 ω 

 2π 
è una curva chiusa, in quanto F (0 ) = F   = (a,0 ) . Osservato che
ω 
 π 
x 2 + y 2 = a 2 , F (0 ) = F (a,0) , F   = (0, a )
 2ω 

si evince che il vettore posizione


r = r (t ) = a cos ωti + a sin ωtj

specifica la posizione, ( all’istante t ), di una particella che si muove su una circonferenza nel verso
antiorario.

Essendo

v (t ) =
dr
= −ωa sin ωti + ωa cos ωtj
dt

e quindi v(t ) = v(t ) = aω ≠ 0 per ogni t, segue che la curva è liscia. Inoltre la curva è semplice
 2π 
dato che le funzioni seno e coseno sono iniettive in  0,  . La curva non è né chiusa né semplice
 ω 
per t ≥ 0.

Il vettore accelerazione (della particella) è dato dalla formula

a(t ) = = −ω 2 r (t )
dv
dt

la quale mostra che il vettore accelerazione è sempre opposto al vettore posizione. Pertanto se lo si
pensa applicato alla posizione istantanea della particella che si muove lungo la circonferenza, il
vettore accelerazione è sempre diretto verso il centro del cerchio. Per questo motivo la suddetta
accelerazione è detta centripeta.

Osservazione

Siano x = x(t ), y = y (t ) t ∈ [a, b] le equazioni parametriche di una curva regolare. Se in c ∈ (a, b )


risulta x ′(c ) ≠ 0 , per esempio x ′(c ) > 0 , per il teorema della permanenza del segno esiste un intorno
di c contenuto in (a,b) nel quale risulta x ′(t ) > 0 , quindi, in questo intorno x(t ) è invertibile.

4
Se t = t (x) è la funzione inversa della funzione x = x(t ) , nel suddetto intorno risulta

y = y[t ( x)] = f ( x)

Da cui usando il teorema di derivazione composta, si ottiene

dy dy dt dy 1 y'
= = =
dx dt dx dt dx / dt x'

In altre parole, la traiettoria descritta dalla curva α, (nel suddetto intorno di c), è il grafico di una
1
funzione di classe C .
2
Se poi la curva è di classe C risulta

d 2 y  d dy  dt d  y '  1 y '' x ' − y ' x ''


=   =   =
dx 2  dt dx  dx dt  x '  x ' ( x' )3

2. Cicloide

La curva F = F(t) di equazioni parametriche

x = (a (t − sin t )), y = a (1 − cos t ) t ∈ [0,2π ], a > 0

è per definizione un arco di cicloide. Essendo

F ′(t ) = 2a sin ≠ 0 in (0,2π )


t
2

segue che F è una curva regolare in (0,2π ) .


Da
x ′(t ) = a(1 − cos t ) > 0 in (0, 2π )

segue che la funzione x = x(t ) è invertibile in (0,2π ) . Se t = t ( x ) x ∈ [0, 2π a ] è la corrispondente


inversa, allora la traiettoria descritta da F è il grafico della funzione

y = y ( t ) = y [ t ( x )] = a (1 − cos t ( x ) x ∈ [ 0 , 2π a ]

la cui derivata è
dy dy dt y′(t ) sin t
= = = x ∈(0, 2π a )
dx dt dx x′(t ) 1 − cos t

5
Agli estremi dell’intervallo [0, 2π a ] risulta

dy sin t
lim+ = lim+ = +∞ t → 2π − ⇒ sin(t ) → 0 −
x → 0 dx x →0 1 − cos t

dy sin t t2
lim = lim− = −∞ t → 2π − ⇒ 1 − cos(t ) ≅ → 0−
x → 2π a dx x → 2π 1 − cos t 2

Per rappresentare graficamente la funzione x = f ( x ) si osservi che risulta


( N.B. t : 0 → π ⇔ x : 0 → a π ; t : π → 2π ⇔ x : a π → 2π a )

y ′( x ) > 0 in (0, a π ) ; y ′( x ) < 0 in (a π , 2a π )

d 2 y  d dy  dt y '' x ' − y ' x '' 1 1


=  = =− <0
dx 2
 dt dx  dx (x )' 2
x '
a(1 − cos t ) 2

in (0, 2π a ) .

Pertanto il grafico dell’arco di cicloide è

πa 2πa

6
2. Asteroide

La curva φ di equazioni parametriche

x = a cos 3 t , y = a sin 3 t t ∈ [0, 2π ]

dove a > 0 , è per definizione un asteroide.

π 
Essendo ϕ (0 ) = ϕ (2π ) = (a, 0) la curva è chiusa; essendo ϕ   = (0, a ) segue che φ descrive la
2
corrispondente traiettoria nel verso antiorario.

Da
π
ϕ ′(t ) = 3a sin t cos t = 0
3
t = 0, , π, π , 2π
2 2

segue che φ è una curva regolare a tratti: φ è regolare negli intervalli

 π  π   3   3 
 0, ,  , π ,  π , π  ,  π , 2π 
 2 2   2  2 
.
Osservato che

 π
x ′(t ) = −3a sin t cos 2 t < 0 in  0, 
 2

 π
segue che la funzione x = a cos t è invertibile in  0,  .
3

 2

Sia t = t ( x ) la funzione inversa di x = a cos 3 t , definita ovviamente in [0, a ] ,


allora

y = y ( x) = a sin 3 [t ( x)] x ∈ [0, a ]

π
è la funzione il cui grafico coincide con la traiettoria descritta da ϕ quando t varia da 0 a .
2

7
dy dy dt y ′  π
Essendo = = = − tan t t ∈  0, 
dx dt dx x ′  2

segue che y = y ( x ) è decrescente in (0, a ) .


Inoltre da
d 2 y d  dy  dt y '' x' − y ' x'' 1
2
=   = ' 3
= >0
dx dt  dx  dx (x ) 3a cos 4 t sin t

segue che la funzione è convessa.

Infine da
lim y ′( x ) = lim− − tan t = −∞
x→ 0 + π
t→
2

lim y ′( x ) = lim+ − tan t = 0


x→ a − t→0

 π
si evince che il grafico della funzione y ( x ) in [0, a ] ovvero della curva ϕ (t ) in 0,  è quello in
 2
figura

Per dedurre l’equazione cartesiana della curva si osservi che da

1 1
 x 3  y 3
  = cos t   = sin t
a a
Segue
x2 3
+ y2 3
= a2 3

da cui si evince che la curva è simmetrica rispetto agli cartesiani. Pertanto il suo grafico è

8
Curve sghembe. Una funzione F a valori vettoriali, definita e continua su un intervallo [a, b] il cui
codominio è un insieme dello spazio tridimensionale ℜ 3 è per definizione una curva sghemba. Se

F (t ) = ( f 1 (t ), f 2 (t ), f 3 (t )) t ∈ [a, b ]

allora le equazioni

x = f1 (t ) , y = f 2 (t ) , z = f 3 (t ) t ∈ [a, b ]

sono dette equazioni parametriche della curva e la variabile t è detta parametro della curva.

Generalmente le equazioni parametriche di una curva sghemba vengono indicate con

x = x(t ) , y = y (t ) , z = z (t ) t ∈ [a, b]

e la corrispondente funzione vettoriale con il vettore

r = r (t ) = x(t )i + y (t ) j + z (t )k t ∈ [a, b]

detto vettore posizione.

Curve equivalenti e cambiamento di parametro

Sia γ una curva specificata dalla funzione vettoriale

F = F (t ) t ∈ [a, b ] .

Sia t = u (r) una funzione a valori reali definita su un intervallo [c, d ] con derivata u ′ sempre
diversa da zero e tale che il codominio di u sia [a, b] . In altre parole:

∀ t ∈ [a , b ] ∃ ! τ ∈ [c , d ] : t = u (τ )
Allora la funzione vettoriale definita dall’equazione

G (τ ) = F [u (τ )] τ ∈ [c, d ]

ha lo stesso grafico di F. Due funzioni vettoriali F e G che si trovano tra loro in questa relazione si
dicono equivalenti. Si dice altresì che la funzione t = u (τ ) definisce un cambiamento di parametro.
Si osservi che:

1. se u ′(τ ) è sempre positiva su [c, d ] allora F e G percorrono γ nella stessa direzione;

2. se u ′(τ ) è sempre negativa su [c, d ] allora F e G percorrono γ in direzioni opposte.

9
In altre parole il cambiamento di parametro t = u (τ ) conserva l’orientamento nel primo caso
(u′(τ ) > 0) , e lo inverte nel secondo caso (u′(τ ) < 0) .
Poiché lungo una curva sono possibili due orientazioni ne consegue che qualunque
parametrizzazione di una curva determina una delle due possibili orientazioni:quella corrispondente
alla direzione lungo la quale il parametro è crescente.

Esempio. L’equazione cartesiana del segmento di estremi (a, b) e (c, d) :

b−a
t =b− (τ − c ) τ ∈ [c, d ]
d −c

costituisce un esempio di cambiamento di parametro che inverte i verso della curva γ .


Infatti quando τ varia da c a d (τ : c → d ) il parametro t varia da b ad a (τ : b → a ) .

Lunghezza d'arco ( ascissa curvilinea )

Sia γ una curva specificata dall’equazione vettoriale

r = r (t ) = x(t )i + y (t )j + z (t )k t ∈ [a, b]

Se r (t ) ha derivata v(t ) continua e non nulla in [a, b] , ovvero se la curva γ è liscia ( regolare )
allora la lunghezza della curva γ è data da

b b
L[γ ] = ∫ v(t ) dt = ∫ v(t ) dt
a a
ovvero
b
L(γ ) = ∫ (x& )2 + ( y& )2 + (z& )2 dt
a

In particolare la lunghezza di una curva piana di equazione y = f ( x ) dove f è una funzione di classe
C 1 ([a, b]) , è data da
b

∫ 1 + [ f ′( x )] dx
2

a
Infatti usando x come parametro, risulta

r ( x ) = xi + f ( x )j x ∈ [a, b]

Se s (t ) indica la lunghezza di quella parte di γ che corrisponde ai valori del parametro in [a, t ] ,
dove a ≤ t ≤ b , allora la funzione
t
s (t ) = ∫ v(τ ) dτ detta lunghezza d’arco o ascissa curvilinea, è derivabile e
a

ds = v(t )dt = (x′)2 + ( y′)2 + (z′)2 dt


dr
dt = è detto elemento di lunghezza d’arco.
dt

10
Ne consegue che:

L[γ ] = ∫ ds
γ

Osservazione

Sia F = F (t ) t ∈ [a, b] una curva regolare a tratti e sia

a = t0 < t1 < ... < tn = b

una partizione di [a, b] tale che la restrizione di F su [ti −1 , ti ] i = 1,..., n , sia un arco di curva
regolare. Indichiamo con γ la traiettoria descritta da α su [a, b] e con γ i quella corrispondente
all’intervallo [ti −1 , ti ] i = 1,..., n .
Allora

∫ ds = ∑ ∫ ds
γ i =1 γ i

poiché l'integrale (come sarà dimostrato nel paragrafo successivo)

∫γ ds i = 1,2,..., n
i

è indipendente dalla rappresentazione parametrica che descrive γ i ne consegue che per il calcolo
degli integrali precedenti possiamo considerare per ogni γ i la rappresentazione parametrica più
conveniente.
Un modo naturale di parametrizzare una curva liscia γ è quello di considerare come parametro la
lunghezza d’arco s misurata da qualche punto particolare di γ detto punto iniziale. Più
precisamente: supponiamo che una curva regolare sia specificata in funzione di un parametro
arbitrario t dall’equazione r = r (t ) t ∈ [a, b]. Supponiamo inoltre che la lunghezza d’arco abbia
come punto iniziale P0 = r (t0 ) t0 ∈ [a, b ] . Allora se la lunghezza misurata lungo la curva γ da P0 al
punto generico P = r (τ ) , data da

t t
s = s (t ) = ∫ dτ = ∫ v(τ ) dτ
dr
t0
dτ t0

può essere calcolata esplicitamente e se l’equazione s = s (t ) può essere risolta esplicitamente


rispetto a t, t = t (s ) , allora la curva può essere riparametrizzata mediante la lunghezza d’arco
sostituendo t = t (s ) nella parametrizzazione originale ottenendo

r * = r [ t (s ) ] = r * (s )

dove s varia in un intervallo di lunghezza L essendo L la lunghezza della curva considerata.

11
Più precisamente s ∈ [L1 , L2 ] dove

t0 t
L1 = ∫ v(τ ) dτ L2 = ∫ v(τ ) dτ
a t0

In particolare se il punto iniziale coincide con il primo estremo dell’intervallo in cui varia t cioè se è
t0 = a allora s ∈ [0, L ] . Da

t
s = s (t ) = ∫ v(τ )dτ
t0

segue che qualunque sia il parametro risulta

= v(t )
ds
dt

pertanto se il parametro è la lunghezza d’arco s, risulta v(s ) = 1 .

In altre parole:
una curva r* = r * (s ) = r[t (s )] parametrizzata in funzione della lunghezza d'arco s è percorsa con
velocità unitaria. Infatti
dr * dr dt dr 1 dr * dr 1
= = ⇒ = =1
ds dt ds dt v(t ) ds dt v(t )

Esempi.

Calcolare la lunghezza dell’arco delle seguenti curve:

1. arco di circonferenza:
x = a cos(t ), y = a sin (t ) 0 ≤ t ≤ϑ

2. arco di cicloide:
x = a(t − sin (t )), y = a(1 − cos(t )) 0 ≤ t ≤ 2π

3. primo anello dell'elica circolare:

x = a cos(t ), y = a sin (t ), z = bt 0 ≤ t ≤ 2π

4. dell'asteroide
x = a cos3 (t ), y = a sin 3 (t ), 0 ≤ t ≤ 2π

12
Abbiamo

i)
ϑ
L = ∫ a dϑ = a ϑ
0

da cui: la lunghezza s di un arco di circonferenza di raggio ρ con angolo al centro ϑ è dato


da s = ρϑ

ii )
2π 2π
t t
L = ∫ 2a sin  dt = 2a ∫ sin dt = 8a
0 2 0 2
t
dove si è tenuto conto del fatto che 0 ≤ ≤ π quando 0 ≤ t ≤ 2π .
2

iii )

L= ∫ a 2 + b 2 dt = 2π a 2 + b 2
0

iv ) essendo
(ds )2 = (x′)2 + ( y′)2 = (3 sin (t )cos 2 (t ))2 + (3a cos(t )sin 2 (t ))2 =
= 9a 2 sin 2 (t )cos 2 (t )(cos 2 (t ) + sin 2 (t ))

segue
π 2
 3a 
L= ∫ 3a sin (t )cos(t )dt = 4 2  = 6a
0

Per calcolare la lunghezza di una curva γ specificata dall’equazione polare ρ = ρ (ϑ ), ϑ1 ≤ ϑ ≤ ϑ2


osservato che le equazioni parametriche della curva γ rispetto al parametro ϑ sono:

x = ρ (ϑ )cos(ϑ ) y = ρ (ϑ )sin (ϑ ) ϑ1 ≤ ϑ ≤ ϑ2

derivando le equazioni precedenti rispetto a ϑ , si ottiene:

= ρ ′(ϑ )cos ϑ − ρ (ϑ )sin ϑ


dx

= ρ ′(ϑ )sin ϑ + ρ (ϑ )cos ϑ
dy

da cui
2 2
 dx   dy 
  +  = ρ + (ρ ′)
2 2
dove ρ = ρ (ϑ ) e ρ ′ = ρ ′(ϑ )
 dϑ   dϑ 

13
Quindi

L= ∫ ρ 2 + (ρ ′) dϑ .
2

Esempio

Calcolare la lunghezza della cardioide ρ = a(1 + sin ϑ ), 0 ≤ ϑ ≤ 2π


Essendo ρ ′ = a cos ϑ , abbiamo

2π π 2
L = a ∫ 2 + 2 sin ϑ dϑ = 2 2a ∫ 1 + sin ϑ dϑ
0 − π 2

da cui, essendo
π 2 π 2

∫ 2 + 2 sin ϑ dϑ = 2 2a ∫ 1 + sin ϑ dϑ
−π 2 −π 2

Segue che è L = 8a.

Esempio

Riparametrizzare l’arco di cicloide γ

x = a(t − sin t ) y = a(1 − cos t ) 0 ≤ t ≤ 2π

rispetto al parametro d’arco s con punto iniziale (0, 0 ) .

A tale scopo calcoliamo


τ
t t
s = s(t ) = ∫ v(τ ) dτ = 2a ∫ sin dτ
0 0
2
da cui
t t s
s = 4a − 4a cos da cui cos = 1 −
2 2 4a

Ora riscriviamo l’equazione precedente rispetto a t.

14
Osservato che 0 ≤ t ≤ 2π implica 0 ≤ t 2 ≤ π , abbiamo

 s   s 
t = 2ar cos1 −  ovviamente 0 ≤ ar cos1 −  ≤ π
 4a   4a 

s
Si osservi che da 0 ≤ s ≤ 8a segue che − 1 ≤ 1 − ≤ 1.
4a

Essendo
1 − cos t
2
t  s 
= cos 2 = 1 − 
2 2  4a 
da quando precede, si evince

t  s 
i ) cos t = 2 cos 2 − 1 = 2 1 −  − 1 .
2  4a 
12
t t  t
12
t   s   
2
s 
ii ) sin t = 2 sin cos = 2 1 − cos 2  cos = 2  1 − 1 −   1 − 
2 2  2 2   4a    4a 

quindi
12
 s    s   
2
s 
x = 2a ar cos1 −  − 2a 1 − 1 −   1 − 
 4a    4a    4a 
  s 
2
   s  
2

y = a 1 − 21 −  + 1 = 2a 1 − 1 −   0 ≤ s ≤ 8a
  4a     4a  

Oppure da:

 s 
t = t (s ) = 2ar cos1 − 
 4a 
segue che

  s    s    s 
sin t = sin 2ar cos1 −  = 2 sin ar cos1 −  cos ar cos1 −  =
  4a    4a    4a  
2
  s   s   s   s 
= 2 1 − cos ar cos1 −  1 −
2
 = 2 1 − 1 −  1 − 
  4 a    4a   4a   4a 

  s    s    s 
cos t = cos 2ar cos 1 −  = cos 2 ar cos1 −  − sin 2 ar cos1 −  =
  4a    4a    4a  
s    s  
2 2 2
  s 
= 1 −  − 1 − 1 −   = 21 −  − 1
 4a    4a    4a 

15
Quindi

12
 s    s   
2
s 
x = 2a ar cos1 −  − 2a 1 − 1 −   1 − 
 4a    4a    4a 

  s 
2
   s  
2

y = a 1 − 2 1 −  + 1 = 2a 1 − 1 −   0 ≤ s ≤ 8a
  4a     4a  

16
Integrali curvilinei per campi scalari

Sia F = F (t ) una curva regolare definita in [a, b] e sia f un campo scalare definito e limitato in un
aperto Ω dello spazio tridimensionale che contiene il grafico γ di F.
L’integrale curvilineo di f lungo γ è definito dalla uguaglianza

∫γ f ds = ∫ f [F (t )] (F ′(t ))dt
a

ogni qualvolta che l’integrale indicato a destra esiste, per esempio se f è continua su γ .
Sia G = G (τ ) τ ∈ [c, d ] una curva equivalente ad F , allora

d b

∫ f [G(τ )] (G′(τ ))dτ = ∫ f (t )(F ′(t ))dt


c a

ovvero: l’integrale curvilineo di un campo scalare lungo γ è invariante rispetto alla


rappresentazione parametrica che descrive γ (e quindi rispetto al verso di percorrenza).
Per dimostrare ciò, incominciamo ad osservare che se t = u (τ ) è un cambiamento di parametro tale
che G (τ ) = F [u (t )]

Allora

b u −1 ( b )

∫ f [ F (t ) ] ( F ′(t ) )dt = ∫ f ( F [u (τ )] ) (F ′[u(τ ) ])u′(τ )dτ


a u −1 ( a )

Per giustificare l’ultima uguaglianza precedente si osservi che:

i. se u′(r ) < 0 allora u′(a ) = d , u −1 (b ) = c , u −1 (r ) = − u1 (r ) e

G′(τ ) = F ′ [ u (τ ) ] u′(τ ) = − F ′ [ u (τ ) ] u′(τ )

ii. se u′(r ) > 0 allora u −1 (a ) = c , u′(b ) = d , u1 (r ) = u1 (r ) e

G′(τ ) = F [ u′(τ )] u′(τ ) = F [ u (τ ) ] u′(τ )

Osservazione

Sia F = F (t ) t ∈ [a, b] una curva regolare a tratti e sia

a = t0 < t1 < ... < tn = b

una partizione di [a, b] tale che la restrizione di F su [ti −1 , ti ] i = 1,..., n , sia un arco di curva
regolare.

17
Indichiamo con γ la traiettoria descritta da F su [a, b] e con γ i quella corrispondente all’intervallo
[ti −1, ti ] . Allora
n

∫γ f ds = ∑ ∫ f ds
i =1 γ i

poiché
∫ f ds
γi
i = 1,2,..., n

è indipendente dalla rappresentazione parametrica che descrive γ i ne consegue che per il calcolo
degli integrali precedenti possiamo considerare per ogni γ i la rappresentazione parametrica più
conveniente.
1. Calcolare ∫ ( x − y )ds , dove γ è un tratto di linea tra A(0, 0) e B(4, 3) .
γ

Svolgimento. L’equazione della retta AB è y = (3 4)x . Troviamo y′ = 3 4 e


conseguentemente
4 4 4
 3 
∫γ (x − y )ds = ∫0  x − 4 x  1 + 16 dx = 16 ∫0 x dx = 32 x 0 = 2
9 5 5 2 5

Se pensiamo una curva γ (piana e sghemba) come a un filo di un materiale di densità


lineare variabile f ( x, y, z ) dove f ( x, y, z ) è una massa per unità di lunghezza
nel punto ( x, y, z ) di γ allora:
la massa totale M del filo è data dall'integrale curvilineo o di linea
M = ∫ f ( x, y, z ) ds
γ

Il baricentro del filo è definito come il punto le cui coordinate ( x, y , z ) sono definite
dalle equazioni
M x = ∫ x f ( x, y , z ) ds; M y = ∫ y f ( x, y, z ) ds; M z = ∫ z f ( x, y, z ) ds
γ γ γ

Il momento di inerzia del filo rispetto ad un asse r è

I γ = ∫ d 2 ( p, r ) f ( x, y, z ) ds
γ

Dove d (P, r ) è la distanza del punto P ≡ ( x, y, z ) ∈ γ dall'asse r.


In particolare i momenti d'inerzia rispetto agli assi coordinati sono definiti dalle relazioni

( )
I x = ∫ y 2 + z 2 f ( x, y, z ) ds; ( )
I y = ∫ x 2 + z 2 f ( x, y, z ) ds; ( )
I z = ∫ x 2 + y 2 f ( x, y, z ) ds .
γ γ γ

18
Un filo di densità costante è detto omogeneo, in questo caso il baricentro si dice anche centroide;
in questo caso risulta
1 1
L ∫γ
y = ∫ y dx;
L ∫γ
x= x dx; z= z dx dove L = ∫ dx .
γ γ

2. Trovare la massa M dell’arco di curva x = t , y = t 2 2, z = t 3 3 ( 0 ≤ t ≤ 1 ) , la cui densità


lineare varia per γ = 2 y .
Svolgimento. Abbiamo
1
M = ∫ 2 y ds = ∫ t x′2 + y′2 + z′2 dt =
γ 0

1 1 2
1  1 3  1
= ∫ t 1 + t + t dt = ∫  t 2 +  + d  t 2 + 
2 4

0
20  2 4  2
1
da cui ponendo t 2 + = v si ottiene
2
1 32
1 3
∫0 t 1 + t + t dt = 2 1∫2 v + b dv dove b = 4
2 4 2 2 2

Essendo ( vedi figura )

b b
∫ v 2 + b 2 du = ∫ dϑ =
cosϑ cos 2 ϑ
v2 + b2
b2  1 1 
=  cosϑ tan ϑ + ln cos ϑ + tan ϑ  = v = b tan ϑ
2  
ϑ

b2  v2 + b2 v v 2 + b2 + v 
=  + ln  b = v 2 + b 2 cos ϑ
2  b b b 

segue che

32
1 b2  v2 + b2 v 
v 2 + b2 + v 3 2
( )
 2 3 + 3 
1

∫0 t 1 + t +2
t dt4
=  + ln  =  3 3 − 1 + ln 

2 2  2 b 2 1 2 16  3  3  

19
3. Trovare le coordinate del centro di gravità dell’arco del cicloide

x = t − sin t , y = t − cos t 0≤t ≤π

Svolgimento. Le coordinate del centro di gravità dell’arco omogeneo della curva γ possono
essere calcolate con la formula

1 1
x=
sγ∫ x ds , y = ∫ y ds

dove s è la lunghezza dell’arco. Abbiamo


π π π π
s=∫ x′2 + y′2 dt = ∫ (1 − cos t ) + sin t dt = ∫ sin t dt = −4 cos t
2 2
= 4.
0 0 0
2 2 0

Poi
π π
1  
x ds = ∫ (t − sin t ) 2 sin dt = ∫  t sin − sin sin t  dt =
1 1 t t t
x=
4γ∫ 40 2 2 0 2 2 
π
1 t t 4 t 1 4 8
= − 2t cos + 4 sin + sin 3  =  4 +  =
2 2 2 3 2 0 2  3 3

π π
1  
y ds = ∫ ( 1 − cos t )2 sin dt = ∫  sin − sin cos t
1 1 t t t
y=
4γ∫ 40 2 2 0 2 2
 dt =

π
1 t 1 t t  4
=  − 2 cos + cos 3 − cos  =
2 2 3 2 2 0 3

( )
4 . Trovare le coordinate x, y del baricentro dell’arco della circonferenza x 2 + y 2 = a 2 posto
nel primo quadrante, cioè della curva λ di equazioni parametriche

π
x = a cos t , y = a sin t 0≤t ≤
2

Svolgimento. Poiché la curva γ della quale vogliamo trovare il baricentro ha un asse di


simmetria (la bisettrice del 1° quadrante) risulta
1
L ∫γ
y=x= x ds .

20
Essendo
ds = x 2 + y 2 dt = a dt
π
2
π
L = ∫ ds = ∫ a dt = a
γ 0
2
π
2

∫γ x ds = ∫ a cos t dt = a 2
2

segue che
2
y=x= a
π

Quindi il baricentro di un quarto di circonferenza si trova sull’asse di simmetria e la sua


2 2a
distanza dal centro della circonferenza è
π

5. Calcolare il momento di Inerzia di una circonferenza di raggio a rispetto ad un diametro


fisso.
Svolgimento. Supponendo il diametro fisso sull’asse x risulta:

2π 2π
a3
Ix = ∫ y ds = ∫ a sin t a dt =
2 2 2
2π = π a 3
0 0
2

( )
6. Trovare le coordinate x, y del baricentro di un arco di circonferenza di raggio a e angolo
al centro 2θ .
Svolgimento. Fissiamo il riferimento in modo che l’asse x coincida con l’asse di simmetria
dell’arco della circonferenza considerata. Allora y = 0 e
θ θ
L x = ∫ x ds = ∫ a cos t a dt = 2a 2
∫ cos t dt = 2a
2
sin θ
γ −θ 0

x = 2a 2 sin θ a sin θ
=
2 aθ θ
a sin θ
Cosi il baricentro si trova sull’asse di simmetria, alla distanza dal centro della
θ
circonferenza.

21
7. Calcolare il baricentro dell'arco (asteroide)
π
x = a cos3 t , y = a sin 3 t 0≤t ≤
2
Svolgimento. Risulta x = y e
π π
2
1 12 2
x = ∫ x ds = ∫ a cos3 t 3 a sin t cos t dt = a
L0 L0 5

Infatti

(ds )2 = x 2 + y 2 = ( 3 a sin t cos 2 t )2 + (3 a cos t sin 2 t )2 =


( )
= 9a 2 sin 2 t cos 2 t cos 2 t + sin 2 t = 9a 2 sin 2 t cos 2 t

π 2 π 2
1 3
e L = ∫ ds = ∫ 3a sin t cos t dt = 3a sin 2 t = a
γ 0
2 0 2

8. Sia γ la curva di equazioni parametriche

x = t cos t , y = t sin t , z =t t ∈ [0, t0 ]

Calcolare i ) L[γ ] ; ii ) z .

Svolgimento.
Essendo x& = cos t t sin t , y& = sin t + t cos t , z& = 1

Abbiamo (ds )2 = x& 2 + y& 2 + z& 2 = 2 + t 2 .

Allora procedendo come nell’esempio 2 si ottiene

t0
t0  t 2 + t2 2 + t2 t 
i ) L[γ ] = ∫ 2 + t 2 dt =  − ln + 
0  2 2 2 2 
0

2
2 + t2 t = 2 tan θ dt dθ
θ cos 2 θ

2 = 2 + t02 cos θ

[( ]
t0

ii ) zL = ∫ t 2 + t 2 dt =
1
3
2 + t02 )
32
−2 2 .
0

22
9. Un filo omogeneo è disposto lungo l’arco di cicloide

x = a(t − sin t ), y = a(1 − cos t ) t ∈ [0, 2π ] a > 0

Determinare il momento d’inerzia rispetto all’asse x e le coordinate x, y del baricentro. ( )


(Si supponga la densità lineare uguale a 1).


I x = ∫ y 2 ds = ∫ a 2 (1 − cos t ) x 2 + y 2 dt
2
i.
γ 0

con t ∈ [ 0, 2π ] , si ha
t t t
Essendo x 2 + y 2 = 4a 2 sin 2 e tenuto conto che sin = sin
2 2 2

2π 2π 2
 t
I x = 2a 3 ∫ ( 1 − cos t ) sin dt = 8a 3 ∫  sin 2  sin dt =
2 t t
0
0
2 2 2
2π 2
 t t a 3 256 3
= 8a ∫ 1 − cos 2  sin dt = 16 2
3
= a
0
2 2 15 15

ii. E' x = π a ;
2π 2π
L y = ∫ y ds = ∫ a ( 1 − cos t ) 2 a sin dt = 4a 2 ∫ sin 2 sin dt =
t t t
γ 0
2 0
2 2
2π 2π
 t t  t 2 t 4 4 
= 4a 2 ∫ 1 − cos 2  sin dt = 4a 2 − 2 cos + cos3  = 8a 3 = 8a  a 
0
2 2  2 3 2 0 3 3 

4  4 
da cui y = a . Quindi G π a, a  .
3  3 

( )
10. Calcolare la massa m, le coordinate x, y, z del baricentro G, i momenti d'inerzia rispetto
agli assi coordinati di un singolo anello di una molla avente la forma di un'elica di equazione

x = a cos t , y = a sin t , z = bt t ∈ [0, 2π ]

se la densità nel punto ( x, y, z ) della molla è x 2 + y 2 + z 2 .

23
Svolgimento.
E'

( )

 (2π )3 
m = ∫ x 2 + y 2 + z 2 ds = ∫ (a + b2 t 2 ) a 2 + b 2 dt = a 2 + b 2  2πa 2 + b 2
2

γ 0  3 


x=
1
mγ∫ ( a
x x 2 + y 2 + z 2 ds = ∫ cos t a 2 + b 2 t 2
m 0
) ( ) a 2 + b 2 dt =


a a2 + b2
∫( )
6ab 2
= a cos t + b t cos t dt = 2
2 2 2

m 0
3a + 4π 2b 2


a a2 + b2
1
y = ∫ y x 2 + y 2 + z 2 ds =

( m
) ∫(a
2
)
sin t + b 2t 2 sin t dt = − x π
0

T T 2

N.B. Se f ( x + T ) = f ( x ) ⇒ ∫ = ∫ .
0 −T 2

3b( π a + 2π b )

b a 2 + b2
( ) ∫ (a t + b t )dt = 3a + 4π b
2 3 2
1
m ∫γ
z= z x 2
+ y 2
+ z 2
ds = 2 2 3
2 2 2
m 0


I x = ∫ y2 + z2 ( )( x 2
)
+ y 2 + z 2 ds = a 2 + b 2 ∫ (a
2
)( )
sin t + b 2t 2 a 2 + b 2t 2 dt =
γ 0

= a 2b 2 ∫ (a sin 2 t + a 2b 2t 2 sin 2 t + a 2b 2t 2 + b 4t 4 dt )
4

2π 2π
4 π
∫ sin
2
t dt = π ∫t
2
sin 2 t dt = −
0 0
3 2
2π 2π
(2π )5 = 32π
5

∫ t dt =
2 1
(2π )3 = 8 π ∫ t dt =
4 1
0
3 3 0
5 5

  π  32 
I x = a 2 + b 2 π a 4 + a 2b 2  4π 3 −  + b 4π 5 
  2 5 
  π  32 
I y = a 2 + b 2 π a 4 + a 2b 2  4π 3 +  + b 4π 5 
  2 5 


(
Iz = ∫ x + y 2 2
)(x 2
+ y + z ds = a
2 2
) 2
a +b
2 2
∫ (a
2
)  8 
+ b 2t 2 dt = ma 2 = a 2 a 2 + b 2  2π a 2 + π 3b 2 
γ 0  3 

24
11. Un filo disposto lungo la circonferenza x 2 + y 2 = a 2 . Se la densità lineare nel punto ( x, y )
è x + y , determinare la massa M e il momento d'inerzia rispetto ad un diametro.
Svolgimento. Essendo le equazioni parametriche della circonferenza C
x = a cos t , y = a sin t t ∈ [0, 2π ]
si ha
2π 2π
i ) M = ∫ ( x + y )ds = ∫ ( a cos t + a sin t ) x + y dt = a
2 2 2
∫ cos t + sin t dt =
γ 0 0

π 2 π 3π 2 2π
=a ∫ ( cos t + sin t )dt + a ∫ ( − cos t + sin t )dt − a ∫ ( cos t + sin t )dt + a ∫ ( cos t − sin t )dt
2 2 22

0 π 2 π 3π 2

Da cui M = 8a 2 .
ii ) L’equazione di un generico diametro è y − mx = 0 . Pertanto se P è un punto di γ :
P( a cos t , a sin t ) e denota il diametro si ha
2
 a sin t − ma cos t 
d (P, r ) = 
2
 =
a2
+ 2
sin 2
(
t + m 2
cos 2
t − 2 m sin t cos t =
a2
+ 2
H (t ) )
 1 + m2  1 m 1 m

(
Posto H (t ) = sin 2 t + m 2 cos 2 t − 2m sin t cos t )
segue che


I r = ∫ d 2 (P, r )( x + y )ds = ∫ H (t )a( sin t + cos t )a dt =
a2
γ
1 + m2 0

π 2
a4  

( ) ( ) ( )( )
1 + m 2  ∫0 ∫
=  H t sin t + cos t dt = ... = H t − sin t + cos t dt 
3π 2 

sin 3 t  sin 3 t  2m cos 3 t


Essendo ∫ H (t )cos t dt = 3
+ m 2  sin t −
 3
 +
 3 3
= B(t )

cos3 t cos 3 t 2m 3
∫ H (t )sin t dt = − cos t + 3
− m2
3

3
sin t = A(t )

segue che

Ir =
a4
1+ m 2
{
[ A(t ) + B(t ) ]π0 2 + [ A(t ) − B(t ) ]π0 2 − [ A(t ) + B(t ) ]π3π 2 + [ A(t ) + B(t ) ]32ππ 2 = }
=
a4
1 + m2
(
4 1 + m2 = 4 a 2 )
Quindi il momento richiesto non dipende dal diametro.

25
Integrale di linea

Supponiamo che le funzioni P(x, y) e Q(x, y) siano continue sui punti dell’arco AB della curva liscia
C specificata dall'equazione y = ϕ ( x ) a ≤ x ≤ b .
Consideriamo la somma integrale

∑ [P( ξ ,η )∆x
k =1
k k k + Q(ξ k ,η k )∆yk ]

Dove ∆xk e ∆yk sono le proiezioni dell’arco elementare sugli assi.

L’integrale di linea del secondo tipo


P( x, y )dx + Q( x, y )dy sull’arco orientato AB è il limite della somma integrale sotto la condizione
che il max ∆xk → 0 e il max ∆yk → 0 .

∫ P( x, y )dx + Q(x, y )dy = lim


max ∆x k → 0
∑ [P( ξ ,η )∆x
k k k + Q(ξ k ,ηk )∆yk ]
AB max ∆y k → 0 k =1

Proprietà principali dell’integrale di linea del secondo tipo

1° Un integrale di linea del secondo tipo cambia segno cambiando la direzione d’integrazione:

BA
∫ P dx + Q dy = − ∫ P dx + Q dy
AB

2° ∫ P dx + Q dy = ∫ P dx + ∫ Q dy
AB AB AB

Le altre proprietà sono analoghe a quelle dell’integrale del primo tipo.

Un integrale di linea del secondo tipo può essere calcolato con la formula

∫ P(x, y )dx + Q(x, y )dy = ∫ {P[x, ϕ (x )] + ϕ ′(x )Q[x,ϕ (x )] }dx


C a

Se la curva C è specificata dalle equazioni parametriche x = x(t) ,y = y(t) dove a ≤ t ≤ b, allora


abbiamo
b

∫ P( x, y)dx + Q( x, y)dy = ∫ {P [ x(t ), y (t )]x′(t ) + Q[ x(t ), y (t )] y ′(t ) }dt


C a

26
Una formula analoga è vera anche per il calcolo di un integrale di linea del secondo tipo lungo C: se
la curva è specificata dalle equazioni x = x(t ) , y = y (t ), z = z (t ) dove a ≤ t ≤ b, allora

∫ P( x, y, z)dx + Q( x, y, z )dy + R( x, y, z)dz =


C
b
= ∫ {P[ x(t ), y (t ), z (t )]x ′(t ) + Q[ x(t ), y (t ), z (t )] y ′(t ) + R[x(t ), y (t ), z (t )]z ′(t ) }dt
a

Quanto segue costituisce una interpretazione meccanica dell’integrale precedente.


Sia C una curva liscia dello spazio tridimensionale descritta dall’equazione vettoriale

r = r (t ) = x(t )ˆi + y (t )ˆj + z (t )kˆ t ∈ [a, b ] (1)

Se riparametrizziamo la curva C in funzione della lunghezza dell’arco s, allora da

r = r ( s ) = r[ t ( s )]

1
dt ds 1
si evince poiché t = t(s) è l'inversa di s = s(t) , segue che = = (t )
ds dt ν

dr dr dt dr 1 r (t )
= = =
ds ds ds dt ν (t ) r (t )

da cui il vettore tangente della curva r = r (s ) è un vettore unitario che si indica con T
ˆ (s) :

ˆ ( s ) = dr (2)
T
ds

Premesso ciò, supponiamo che

F(r ) = F ( x, y, z ) = F1 ( x, y, z )ˆi + F2 ( x, y, z )ˆj + F3 ( x, y, z )kˆ

sia un campo vettoriale continuo in un aperto Ω che contiene C.

Il lavoro W fatto dalla forza F durante lo spostamento di un corpo lungo C, nella direzione del
moto, è dato da
W = ∫ F ⋅ Tˆ ds = ∫ F ⋅ dr
C C

Si osservi che F ⋅ T
ˆ dipende dall’orientazione di T̂ e quindi dalla parametrizzazione di C.

27
Essendo
dr = dx ˆi + dy ˆj + dz kˆ
segue

∫ F ⋅ dr = ∫ F ( x, y, z )dx + F ( x, y, z )dy + F ( x, y, z )dz (3)


C C
1 2 3

Questo integrale (che è un integrale di linea della componente tangente di F lungo C) dipende
dell’orientazione di C, nel senso che se r = r (t ) e s = s(τ ) descrivono C nel verso opposto, allora

∫ F ⋅ dr = − ∫ F ⋅ ds
C C

Se C è una curva chiusa, l’integrale di linea della componente tangente F lungo C è chiamato
circuitazione di F lungo C. Il fatto che la curva sia chiusa è indicato spesso da un piccolo cerchio
scritto sopra il segno d’integrale: l’espressione

∫ F ⋅ ds
C

denota quindi la circuitazione di F lungo la curva chiusa C.

Per il calcolo di questi integrali, per indagare che la curva chiusa è percorsa nel senso antiorario
scriveremo ∫ .
C+

Oppure ∫= − ∫ per indicare che il percorso della curva è quello orario.


C− C+

Nel caso di un arco liscio di equazione


x=x(t), y=y(t) a ≤ t ≤ b,
è

∫ F ( x, y, z )dx + F ( x, y, z )dy + F ( x, y, z )dz =


C
1 2 3

b
 dz 
= ∫ F1[x(t ) , y (t ) , z (t )] + F2 [x(t ) , y (t ) , z (t )] + F3 [x(t ) , y (t ) , z (t )] dt
dx dy
a
dt dt dt 

Se C è una curva liscia a pezzi: C = C1 ∪ ..... ∪ C n l’integrale precedente è la somma degli integrali
di linea sui vari archi lisci C i i = 1,......, n che costituiscono C:

n
∫ = ∑∫
C i =1 Ci

28
1. Calcolare ∫x
2
y dy − y 2 xdx se x = cos t , y = sin t 0 ≤ t ≤ π / 2
C

sin t cos t
Svolgimento. Essendo dx = − dt , dy = dt
2 cos t 2 sin t

π /2  
abbiamo ∫ x y dy − y x dx =  cos t sin t cos t + sin t cos t sin t dt = π

2 2
 2 sin t 2 cos t  4
c 0  

Domini Connessi

Definizione 1. Un dominio D è connesso se per ogni coppia di punti A e B di tale dominio D, esiste
una curva regolare a tratti, avente come estremi i punti A e B, interamente contenuta in D.

Definizione 2. Nel piano,un dominio connesso D è detto semplicemente connesso se l’interno di


ogni curva chiusa, e regolare a tratti, appartenente a tale dominio D giace in D; in altre parole, se
comunque si prenda una curva chiusa e regolare a tratti, questa è la frontiera di un insieme limitato
contenuto in D.

Definizione3. Nello spazio tridimensionale un dominio D semplicemente connesso è caratterizzato


dalle seguenti condizioni:
i ) Qualunque curva chiusa e regolare a tratti di D è la frontiera di una superficie che giace
interamente in D.
ii ) Se C 1 e C 2 sono due curve di D aventi gli stessi estremi allora, C 2 (oppure C 1 ) può essere
deformata in modo continuo in C 1 (oppure C 2 ), rimanendo in D durante il processo di
deformazione.

Nel piano, un dominio semplice connesso D non può avere buchi, nemmeno buchi costituiti da un
1
solo punto. Ad esempio, il dominio della funzione 2 non è semplicemente connesso poiché
x + y2
l’origine non gli appartiene. (L’origine è un”buco”di quel dominio.) Nello spazio tridimensionale,
un dominio semplicemente connesso può avere dei buchi. L’insieme di tutti i punti di ℜ 3 esclusa
l’origine è semplicemente connesso, come pure lo è l’esterno di una palla. Ma l’insieme di tutti i
punti di ℜ3 soddisfacenti x 2 + y 2 f 0 non è semplicemente connesso. E neppure lo è l’interno di
una ciambella chiamato in geometria toro.

29
Funzione Potenziale e Campi Conservativi
Sia
F = F( x, y, z ) = F1 ( x, y, z )ˆi + F2 ( x, y, z )ˆj + F3 ( x, y, z )kˆ

un campo vettoriale di classe C (1) (Ω) dove Ω denota un aperto connesso (dominio).

Definizione. Se per qualche funzione Φ = Φ ( x, y, z ) definita in Ω, risulta F = ∇Φ allora si dice che


F è un campo vettoriale conservativo in Ω e la funzione Φ è detta potenziale scalare di F.
Si osservi che F è conservativo in un dominio Ω se e solo
F ( x , y , z ) = ∇ Φ ( x, y , z ) ∀( x, y, z ) ∈ Ω

il potenziale Φ non può avere neanche un punto singolare in Ω.

Sia c una costante arbitraria, osservato che

i ) ∇[Φ + c] = ∇Φ
ii ) ∇[Φ ( x, y, z ) − Ψ ( x, y, z )] = 0 per ogni ( x, y, z ) ∈ Ω (aperto connesso) implica
Φ( x, y, z ) − Ψ ( x, y, z ) = c su Ω ;

si evince quanto segue:


due funzioni potenziali di un campo vettoriale conservativo definito su un aperto connesso
differiscono per una costante.
In altre parole le funzioni potenziali non sono determinate in modo univoco: si può sempre
aggiungere una costante.
Una condizione necessaria che deve essere soddisfatta affinché un campo vettoriale in ℜ 3 (oppure
in ℜ 2 ) sia conservativo è che sia irrotazionale. In altre parole:

se F = ∇Φ allora ∇ × F = rot F = 0

Per dimostrarlo si osservi che l’equazione F = ∇Φ ovvero


∂Φ ˆ ∂Φ ˆ ∂Φ ˆ
F1 ( x, y, z )ˆi + F2 ( x, y, z )ˆj + F1 ( x, y, z )kˆ = i+ j+ k
∂x ∂y ∂z

30
implica le tre equazioni scalari
∂Φ ∂Φ ∂Φ
= F1 ; = F2 ; = F3
∂x ∂y ∂z

da cui, dovendo essere uguali le derivate parziali miste di Φ in quanto F è di classe C (1) , si ottiene
∂F3 ∂F2 ∂ 2 Φ ∂ 2 Φ
− = − =0
∂y ∂z ∂y∂z ∂z∂y
∂F1 ∂F3 ∂ 2 Φ ∂ 2 Φ
− = − =0
∂z ∂x ∂z∂x ∂x∂z
∂F2 ∂F1 ∂ 2 Φ ∂ 2 Φ
− = − =0
∂x ∂y ∂x∂y ∂y∂x
In seguito dimostreremo che la condizione precedente è anche sufficiente nel caso in cui F è
definito in un aperto semplicemente connesso.

Particolari domini semplicemente connessi sono i domini stellati rispetto ad un punto:


un dominio si dice stellato rispetto ad un suo punto P0 se per ogni punto P del dominio, il segmento
di estremi P e P0 sta tutto nel dominio.
In questo sussiste il teorema successivo.
Per non confondere le coordinate (x,y,z) del punto P con gli assi coordinati indichiamo questi con
(u,v,w). Premesso ciò ricordiamo che l'equazione vettoriale di estremi P0 (x0,y0,z0) e P (x,y,z) è
r (t ) = P0 + t ( P − P0 ) = uˆi + vˆj + wkˆ

dove
u = x0 + t ( x − x0 ),ν = y 0 + t ( y − y 0 ), w + ( z − z 0 )

In particolare se P0 coincide con l'origine risulta


r (t ) = t ( P − 0) = tx ˆi + ty ˆj + tz kˆ t ∈ [0,1] (1)

da cui le equazioni parametriche del segmento i cui estremi sono l'origine e P(x,y,z) sono
u = tx, v = ty, w = tz t ∈ [0,1] (2)

31
Teorema. Se F è un campo conservativo irrotazionale liscio in un dominio Ω stellato rispetto
ad un punto P0 ∈ Ω allora F = ∇Φ per qualche funzione potenziale Φ definita in Ω , ovvero F

è conservativo.

Dimostrazione.
Senza perdere di generalità possiamo supporre che P0 sia l'origine.
Consideriamo la funzione Φ = ( x, y, z ) definita dall'uguaglianza seguente
dr
Φ = ( x, y , z ) = ∫ F ⋅ ( ) ( x, y , z ) ∈ Ω
C
dt

dove C è il segmento di estremi l'origine e P, le cui equazioni parametriche sono date dalla (2).
Pertanto
1
Φ( x, y, z ) = ∫ [xF1 (u, v, w) + yF2 (u, v, w) + zF3 (u, v, w)]dt (3)
0

Dimostriamo che
∂Φ ∂Φ ∂Φ
= F1 ( x, y, z ), = F2 ( x, y, z ), = F3 ( x, y, z ), (4)
∂x ∂y ∂z

A tale scopo deriviamo la (3) rispetto ad x ottenendo:

∂Φ ∂F ∂F ∂F
1
= ∫ ( F1 + 1 + x + 2 + y + 3 + z )dt =
∂x 0 ∂u ∂u ∂u
∂F1 ∂F ∂F
1
= ∫ [ F1 + t ( x + 2 y + 3 z )]dt =
0
∂u ∂u ∂u
1
[tF1 (u , v, z )]dt = tF1 (tx, ty, tz ) = F1 ( x, y, z )
d 1
=∫
0
dt 0

Analogamente si ha
∂Φ ∂Φ
= F2 ( x, y, z ) e = F3 ( x, y, z )
∂y ∂z
il che completa la dimostrazione.

32
Esempi:
1. Il campo vettoriale
2x ˆ 2y ˆ
F ( x, y ) = i+ 2 j ( x, y ) ≠ (0,0)
x +y
2 2
x + y2
(definito in un aperto connesso) è irrotazionale in quanto
∂ 2y ∂ 2x
=
∂x x + y
2 2
∂y x + y 2
2

pertanto potrebbe essere conservativo.


Per stabilire se il campo vettoriale dato è conservativo poniamo

∂Φ 2x ∂Φ 2y
i) = 2 ; ii ) = 2 .
∂x x + y 2 ∂y x + y 2

Integrando la i ) rispetto a x otteniamo

Φ( x, y ) = ln( x 2 + y 2 ) + c( y ).

Si osservi che la costante di integrazione è una costante rispetto a x ovvero è una funzione della sola
variabile y, che abbiamo indicato con c(y). Se deriviamo ambo i membri dell’equazione precedente
rispetto a y otteniamo
∂Φ
+ c ′( y )
2y
= 2
∂y x + y2

Confrontando l’equazione precedente con la ii ) troviamo che c ′( y ) = 0 da cui c( y ) = k (costante).


Quindi, a meno di una costante additiva, la funzione

Φ( x, y ) = ln( x 2 + y 2 )

è una funzione potenziale del campo vettoriale F.

33
2. Il campo vettoriale
y ˆ x ˆ
F ( x, y ) = − i+ 2 j ( x, y ) ≠ (0,0)
x +y
2 2
x + y2

il cui dominio è un aperto connesso, è irrotazionale in quanto

∂ x ∂ y
=− .
∂x x + y
2 2
∂y x + y 2
2

Se esiste una funzione potenziale Φ che genera il campo, deve necessariamente essere

∂Φ y ∂Φ x
i) =− 2 ; ii ) = 2 .
∂x x +y 2
∂y x + y 2

Integrando i ) rispetto a x otteniamo

x
Φ( x, y ) = −arctan  + c( y ) y≠0
 y

da cui, derivando ambo i membri rispetto a y , otteniamo

∂Φ x
= 2 + c ′( y )
∂y x + y 2

Confrontando l’espressione precedente con la ii ) troviamo c ′( y ) = 0 da cui c( y ) = k Quindi,a meno


di una costante additiva,la funzione
x
Φ( x, y ) = arctan  y≠0
 y

non è una funzione potenziale di F in quanto il suo dominio non coincide con quello del campo.
Il campo vettoriale considerato è conservativo nel semipiano y > 0 e nel semipiano y < 0.

34
3. Sia
(
F( x, y, z ) = 3 x 2 y sin z ˆi + x 3 sin z ˆj + x 3 y cos z + 1 kˆ)
Essendo
rot F = ∇ × F = 0
e dato che il dominio di F è tutto lo spazio tridimensionale che è semplicemente connesso, ne
consegue che F è conservativo.
Se Φ è una funzione potenziale per F, deve necessariamente essere

∂Fi ∂Φ ∂Φ
i) = 3 x 2 y sin z ; ii ) = x 3 sin z ; iii ) = x 3 y cos z + 1 .
∂x ∂y ∂z

Integrando, per esempio, la i ) rispetto a x si ottiene


a ) Φ( x, y, z ) = x 3 y sin z + c( y, z )
dove c( y, z ) è una costante rispetto a x. Derivando la a ) rispetto ad y si ha
∂Φ ∂c
= x 3 sin z +
∂y ∂y
e per confronto con la ii ) si deduce che c( y, x) non dipende da y.

Se poniamo c( y, z ) = g ( z )

b ) Φ( x, y, z ) = x 3 y sin z + g ( z )

Infine, derivando la b ) rispetto a z e per confronto con la iii ) , si ottiene g ′( z ) = 1 e quindi (a meno
di una costante additiva) è
Φ( x, y, z ) = x 3 y sin z + z.

4. Sia a > 0 e

F( x, y, z ) = (2 xy + cos( x + y 2 ))ˆi + (a z + x 2 + 2 y cos( x + y 2 ))ˆj + ( ya z ln a )kˆ


Poiché il dominio F è semplicemente connesso e F è irrotazionale ne consegue che F è
conservativo. Per determinare una funzione potenziale Φ procediamo come nell’esempio
precedente.Abbiamo
∂Φ ∂Φ ∂Φ
i) = 2 xy + cos( x + y 2 ) ; ii ) = a z + x 2 + 2 y cos( x + y 2 ) ; iii ) = ya z ln a
∂x ∂x ∂x

35
Integrando la iii ) rispetto a z otteniamo
a ) Φ( x, y, z ) = ya z + c( x, y )
Derivando la a ) rispetto a y e per confronto con la ii ) si ha

∂c
az + = a z + x 2 + 2 y cos( x + y 2 )
∂y
da cui
c( x, y ) = yx 2 + sin( x + y 2 ) + g ( x).

Sostituendo c( x, y ) nella a ) otteniamo

( )
b ) Φ( x, y, z ) = ya z + yx 2 + sin x + y 2 + g ( x).

Infine, derivando la b ) rispetto ad x e per confronto con la i ) otteniamo g(x)-k (costante) e quindi,
a meno di una costante additiva,

(
Φ( x, y, z ) = ya z + yx 2 + sin x + y 2 . )

5. Il campo vettoriale

2x 2y
F ( x, y ) = ˆi + ˆj x2 + y2 −1 ≠ 0
x + y −1 x + y −1
2 2 2 2

è conservativo in quanto

F ( x, y ) = ∇Φ ( x, y ) dove Φ( x, y ) = ln x 2 + y 2 + 1 x2 + y2 +1 ≠ 0

più precisamente è

 ln( x 2 + y 2 − 1) + c1 x2 + y2 > 1
Φ ( x, y ) = 
ln(− x − y + 1) + c 2 x2 + y2 < 1
2 2

36
6. Stabilire se il campo vettoriale

1
F ( x, y , z ) = ˆi + z sin 2 y ˆj + sin 2 y kˆ
2 + cos x

è conservativo. In caso affermativo determinare una funzione potenziale.


Svolgimento. Essendo il dominio di F semplicemente connesso (in quanto F è definito in ℜ 3 ) ed
essendo rot F = ∇ × F = 0 , segue che F è conservativo (cioè esiste una funzione Φ che soddisfa
l’equazione F = ∇Φ ). Per determinare una funzione potenziale Φ = Φ ( x, y, z ) procedendo come
negli esempi precedenti si ha
∂Φ
i) = sin 2 y ⇒ Φ = z sin 2 y + c( x, y )
∂y
∂c
ii ) z sin 2 y = z 2 sin y cos y + ⇒ c ( x, y ) = c ( x )
∂y

Da i ) e ii ) segue che Φ = z sin 2 y + c( x)


1 1
iii ) = c ′( x) ⇒ c( x) = ∫ dx
2 + cos x 2 + cos x
Per risolvere l’integrale precedente si osservi che

x  x x x x
2 + cos x = 2 + cos 2 = 2 cos 2 + sin 2  + cos 2 − sin 2 .
2  2 2 2 2
ovvero
x x x x
2 + cos x = 3 cos 2 + sin 2 = cos 2  3 + tan 2 
2 2 2 2
x
Allora, sostituendo tan = t , si ottiene
2
1 1 1
∫ 2 + cos x dx = ∫ x  x 
dx = 2 ∫
3 + t2
dt =
cos  3 + tan 
2 2

2 2
2 t t 2  1 x
= arctan = = arctan  tan  + c
3 3 3 3  3 2

37
Quindi, a meno di una costante additiva, è
 1 x
Φ ( x, y , z ) =
2
arctan  tan  + z sin 2 y
3  3 2

Teorema. Sia Φ un campo scalare di classe C (1) (Ω ) dove Ω è un aperto connesso dello spazio
tridimensionale. Per ogni coppia di punti A e B connessi da una curva γ contenuta in Ω, regolare a

tratti é specificata dall’equazione vettoriale r = r (t ) a ≤ t ≤ b , si ha

∫γ ∇ Φ ⋅ dr = Φ [ r(b) ] − Φ[ r(a ) ] = Φ(B ) − Φ( A)

Dimostrazione. Siano A e B due punti qualsiasi in Ω e congiungiamoli tramite una curva γ


contenuta in Ω, regolare a tratti e di equazione r = r (t ) a ≤ t ≤ b . Supponiamo inizialmente che
γ sia regolare in [a, b]. Allora l’integrale curvilineo del ∇Φ da A a B lungo γ è dato da

∫γ ∇Φ ⋅ dr = ∫ ∇Φ [ r(t ) ]⋅ r′(t )dt .


a

Se poniamo g (t ) = Φ[r (t )] , per la regola di derivazione delle funzioni composte, si ha

g ′(t ) = ∇Φ[r (t )] ⋅ r ′(t ) a≤t≤b

Essendo ∇Φ continuo su Ω e γ regolare, segue che g ′(t ) è continua in (a, b ) . Perciò

b b

∫ ∇Φ ⋅ dr = ∫ g ′(t )dt = g (b ) − g (a ) = Φ[r(b )] − Φ[r(a )] = Φ(B ) − Φ( A)


a a

Ciò dimostra il teorema ma nel caso in cui γ è regolare.

Se γ è regolare a tratti, dividiamo l’intervallo [a, b] in un numero finito n, di sotto - intervalli:

I k = [tk −1 , tk ] k = 1,2,..., n t0 = a ; t n = b

38
in ognuno dei quali γ k ( la restrizione di γ a I k ) sia regolare. Se applichiamo il risultato appena

dimostrato ad ogni γ k , otteniamo


n n

∫ ∇Φ ⋅ dr = ∑ ∫ ∇Φ ⋅ dr = ∑ [ g (tk ) − g (tk −1 ) ] =
γ k =1 γ k k =1

= [g (t1 ) − g (t0 )] + [g (t2 ) − g (t1 )] + ... + [ g (tn ) − g (tn −1 ) ] =

= g (tn ) − g (t0 ) = g (b ) − g (a ) = Φ(B ) + Φ ( A)

Da quanto precede si evincono le condizioni necessarie e sufficienti affinché un campo vettoriale


sia un gradiente.

Sia F un campo vettoriale ( continuo ) su un aperto connesso Ω contenuto in ℜ3 . Le seguenti


affermazioni sono equivalenti:

i) F è il gradiente di qualche funzione potenziale Φ definita in Ω ( F = ∇Φ in Ω).


ii) L’integrale curvilineo di F è indipendente dalla traiettoria in Ω.
iii) L’integrale curvilineo di F lungo ogni curva chiusa regolare a tratti è uguale a zero

∫ F ⋅ dr = 0
C
per qualunque curva chiusa C liscia e continua a pezzi contenuta in D.

Pertanto se l’integrale curvilineo di F lungo una sola curva chiusa è diverso da zero, certamente F
non è un gradiente.
Se il campo vettoriale F è conservativo in un aperto connesso D, se C è una curva regolare a tratti
contenuta in D i cui estremi sono un punto A (a,b,c) fissato in D e un punto arbitrario P (x,y,z),
allora il valore dell'integrale di linea ∫ F ⋅ dr non dipende dalla curva C ⊂ D ma dal punto P e si
C

dimostra che la funzione

Φ ( x , y , z ) = ∫ F ⋅ dr
C

è un potenziale per F ovvero che ∇Φ = F


Pertanto, quando è possibile, si può costruire una funzione potenziale Φ integrando lungo la

39
spezzata costituita dai segmenti i cui estremi sono
A( a, b, c ) ; A′( x, b, c ) ; A′( x, y, c ) ; P ( x, y , z )
dove:
i) Il segmento AA' è parallelo all'asse x e può essere specificato dall’equazione
r (u ) = uˆi + bˆj + ckˆ u ∈ [ a, x ]
ii) Il segmento A'A'' è parallelo all'asse y e può essere specificato dall’equazione
r (v ) = xˆi + vˆj + ckˆ v ∈ [ b, y ]
iii) Il segmento A''P è parallelo all'asse z e può essere specificato dall'equazione
r (w) = xˆi + yˆj + wkˆ w ∈ [ c, z ]

In altre parole è
x y z
Φ ( x, y, z ) = ∫ F1 ( u , b, c )du + ∫ F2 ( x, v, c )dv + ∫ F3 ( x, y, w)dw =
a b c
x y z
= ∫ F1 (t , b, c )dt + ∫ F2 ( x, t , c )dt + ∫ F3 ( x, y, t )dt
a b c

40
Invarianza di un integrale di linea rispetto la deformazione della traiettoria

Siano P e Q due funzioni di classe C (2 ) in un aperto connesso Ω del piano x - y. Supponiamo che
∂P ∂Q
ovunque in Ω sia =
∂y ∂x

Siano C 1 e C 2 curve semplici, chiuse e regolari a tratti, contenute in Ω, che soddisfano le seguenti
condizioni:
i ) C 2 sta nell’interno di C 1 ;
ii ) i punti che sono interni a C 1 ed esterni a C 2 stanno in Ω.
Allora si ha

∫ P dx + Q dy = ∫ P dx + Q dy
C1 C2

dove le due curve sono percorse entrambe nello stesso verso.

Ω C1

C2

41
Forme differenziali

Sia F( x) = (F1 ( x ), F2 ( x ), F3 ( x )) un campo vettoriale definito su un aperto connesso A ⊂ ℜ3 e sia

Φ = Φ( x ) un campo scalare di classe C (1) ( A) . Se risulta

 ∂Φ ∂Φ ∂Φ 
F( x) =  , ,  = grad Φ ( x) x = ( x1 , x2 , x3 ) ∈ A
 ∂x1 ∂x2 ∂x3 
le seguenti proposizioni sono equivalenti:

i) F è un campo vettoriale conservativo e Φ è una funzione potenziale per F;


ii) La forma differenziale
3
w = ∑ Fi ( x)dxi =F1 ( x)dx1 + F2 ( x)dx2 + F3 ( x)dx3
i =1

è esatta e Φ è una primitiva di w, ovvero


∂Φ ∂Φ ∂Φ
w = dΦ = dx1 + dx2 + dx3 = F1 ( x)dx1 + F2 ( x)dx2 + F3 ( x)dx3
∂x1 ∂x2 ∂x3

∂ Fi ∂ F j
Se per ogni x ∈ A risulta: F di classe C (1) ( A) e =
∂ x j ∂ xi
i , j = 1,2 ,3

si dice che la forma differenziale w è chiusa.

In ℜ3 la forma differenziale w = F1 ( x, y, z )dx + F2 ( x, y, z )dy + F3 ( x, y, z )dz

è chiusa se e solo se ∇ × F = 0 dove

F = F1 ( x, y, z )ˆi + F2 ( x, y, z )ˆj + F3 ( x, y, z )kˆ

Non è difficile verificare che, se w ∈ C (2 ) ( A) allora la proposizione:


una forma differenziale w esatta è chiusa, corrisponde alla proposizione: un campo vettoriale
conservativo è irrotazionale F = ∇⋅Φ ⇒ ∇×F .
Sussiste il seguente
Teorema: Sia A un aperto semplicemente connesso e sia w una forma differenziale di
classe C (1) ( A) .Allora w è esatta se e solo se w è chiusa.
Ovvero: F è conservativo se e solo se F è irrotazionale F = ∇ ⋅ Φ se e solo se ∇ × F = 0

42
Esempi vari

Esempio. Verificare che il campo vettoriale F dato è conservativo e determinare la corrispondente


funzione potenziale.

x z +1  ln x 1 ˆ
F( x, y, z ) = x z cos y ˆi − sin y ˆj + x z +1 cos y − k
2 
z +1  z + 1 ( z + 1) 
Essendo
 ∂F ∂F   ∂F ∂F   ∂F ∂F 
∇ × F =  3 − 2 ˆi +  1 − 3 ˆj +  2 − 1 kˆ = 0
 ∂y ∂z   ∂z ∂x   ∂x ∂y 

segue F conservativo: F = ∇Φ ∀( x, y, z ) : x > 0 , z ≠ −1

osservazioni:

∂F2  ln x( z + 1) − 1   ln x 1 
= − sin y x z +1   = − x z +1 sin y − 
2 
∂z  ( z + 1)2
  z + 1 ( z + 1) 

∂F3   ln x 1  x z +1 1 
= ( z + 1)x 2 sin y − 2 +
  cos y =
∂x   z + 1 ( z + 1)  z + 1 x 
 1 1 
cos y x z  ln x − +  = cos y x ln x
z

 z + 1 z + 1 
z +1
∂Φ ∂c
= x z cos y ⇒ Φ( x, y, y ) = sin y + 1 ⇒ c1 ( y, z ) = c2 ( y, z )
x
∂x z +1 ∂y
 ln x 1   ln x 1 
− x z +1 cos y −  = − x ( z +1) cos y
2 
−  + c2′ ( z ) ⇒ c2 ( z ) = c
2 
 z + 1 ( z + 1)   z + 1 ( z + 1) 
Pertanto
x z +1
Φ = ( x, y , z ) = cos y + c
z +1

( )
12.(6.4) Calcolare il lavoro del campo di forza F = y 2 cos x + z 3 ˆi + (2 y sin x − 4 )ˆj + 3 xz 2 + 2 kˆ ( )
quando una particella si muove lungo la curva x = arctan t ; y = 1 − 2t ; z = 3t − 1 t ∈ [0,1] .

[

] [ 
]
1
i) I = ∫  (1 − 2t ) cos(arcsin t ) + (3t + 1) + [2(1 − 2t )t − 4](− 2 ) + 3(3t − 1) arcsin t + 2 3dt
2 3 1 2

0 1− t 2

Essendo

1 ϑ t = sin ϑ

cosϑ = 1 + t 2 = cos( arcsin t )

43
1
1 2
∫ (1 + 2t )cos (arcsin t )3 8 1
dt = 1 + 4 −  = 3 − =
144244 2 3 3 3
0 =1
1 1

∫ 9 (3t − 1) arcsin t dt = 4π − ∫ (3t − 1)


2 3 1
dt
0 0 1− t2

Segue che

1 1 2 
+  − − 2 (− 4 ) + 4π + 6 = − 2 + + 8 + 4π + 6 = 15 + 4π .
1 8
I=
3 2 3  3 3

ii ) F = ∇Φ Φ( x, y, z ) = y 2 sin x + z 3 x − 4 y + 2 z

π 
L = Φ , − 1, 2  − Φ (0,1, − 1) = 9 + 4π − (− 6 ) = 15 + 4π
2 

13.(6.4)

∫ {[2t sin(π t ) − (1 + t )] + [π t ] }
1
2
cos(π t ) − 3(1 + t ) − t dt =
0
1 1 1 1
= ∫ 2t sin (π t )dt − ∫ (4 + 5t )dt + t 2 sin (π t ) − 2 ∫ t sin (π t )dt =
0 0 0 0

5 13
= −4 − =−
2 2

8. Determinare il lavoro fatto dal campo di forza

F = ( x + y )ˆi + ( x − z )ˆj + ( z − y )kˆ

quando un corpo si muove da A( 1, 0, − 1 ) a B( 0, − 2, 3 ) lungo una qualsiasi curva liscia o


liscia a tratti i) lungo la retta che passa per A e B
r (t ) = A + t (B − A) t ∈ [ 0,1 ]
x =1− t , y = −2t , z = −1 + 4t
1 1
L = ∫ [− (1 − 3t ) − 2(2 − 5t ) + 4(− 1 + 6t )]dt = ∫ (37t − 9)dt =
37 19
−9 =
0 0
2 2

z
y

1
x

-1 A

44
i ) lungo una spezzata AO ∪ OB
Essendo, lungo AO, z = − x segue che
x = −t e z = t −1 ≤ t ≤ 0
è una parametrizzazione che percorre il segmento AO da A all'origine.
0
L1 = ∫ [t + t ]dt = −1
−1

3
Essendo, lungo OB, z = − y , segue che
2
2
x = 0, y = − t, z = t 0≤t ≤3
3
è una parametrizzazione che percorre il segmento OB dall'origine a B.
3
2 5  7 9 21
L2 = ∫  t + t dt = =
0
3 3  32 2

21 19
L= −1 =
2 2

B
3

-2 y

ii ) ∫ F ⋅ dr = ∫ F ⋅ dr + ∫ F ⋅ dr + ∫ F ⋅ dr
C C1 C2 C3

0 1 3

∫C F ⋅ dr = −∫0 (t − 2)dt = 2 ; ∫ (t + 2)dt = 12


3
∫ F ⋅ dr = − ∫ 2 dt = −4;
C1 −2
∫ F ⋅ dr =
C3 −1

2

3 19
⇒ ∫ F ⋅ dr = 12 − 4 + 2 =
C
2

9. Sia

F( x, y ) =
1
x + y2
2
(
− yˆi + xˆj ) ⇒ rot F = ∇ × F = 0

45
Calcolare
− y dx + x dy
∫ F ⋅ dr = ∫
C C
x2 + y2

dove
i) C : x2 + y2 = r 2 percorsa nel verso antiorario una sola volta.
ii ) C è un rettangolo di vertici (− 1,1), (1,1), (− 1, − 1), (1, − 1) .
iii ) C è il rettangolo di vertici (− a, b ), (− a, 2b ), (a, b ), (a, 2b ) con a e b positivi.

iv ) C è la frontiera del dominio: 1 ≤ x 2 + y 2 ≤ 4 y ≥ 0 .

Svolgimento.
i ) Una rappresentazione parametrica di C è: x = a cos t , y = a sin t con t ∈ [0, 2π ] .
Allora

a(− sin t )(− a sin t ) + (a cos t )(a cos t )



− y dx + x dy
∫C x 2 + y 2 = ∫ dt = 2 π
0
a2

− y dx + x dy
ii ) ∫ F ⋅ dr = ∫
C C
x2 + y2
=∫ +∫ +∫ +∫ =
C1 C2 C3 C4

− dt − dt
1 1 1 1 1
dt dt dt
= ∫−11 + t 2 + −∫11 + t 2 + −∫11 + t 2 + −∫11 + t 2 = 8 −∫11 + t 2 = 2π

C3
1 C1 : x = t , y = −1 − 1 ≤ t ≤ 1
C C2 C2 : y = t , x = 1 −1 ≤ t ≤ 1
4
-1 -1 1 − C3 : x = t , y = 1 −1 ≤ t ≤ 1

C4 − C4 : y = t , x = −1 − 1 ≤ t ≤ 1

46
iii)
C1 : x = t , y=b −a≤t ≤a
2b C3
C2 : y = t , x=a b ≤ t ≤ 2b
C2
C4 − C3 : x = t , y = 2b −a≤t ≤a
b C1 − C4 : y = t , x = −a b ≤ t ≤ 2b

-a a

− b dt − 2b dt − a dt − b dt
a 2b a 2b a 2b a
a dt a dt b dt

−a
t 2 + b2
+ ∫
b
2 2
−∫ 2
t + a − a t + 4b 2
− ∫
b
t +a
2 2
= 2∫ 2
0
t +a 2
+2∫ 2
b
t +a 2
+ 4∫ 2
0
t + 4b 2
=

a  2b a a
= 2 arctan + 2  arctan − arctan  + 2 arctan =
b  a b 2b
 a b  2b a  π π
= −2  arctan + arctan  + 2  arctan + arctan  = −2 + 2 = 0
 b a  a 2b  2 2

y
α = arctan
x
β x
y = x tan α β = arctan
α y
x = y tan β

−1 π π
− y dx + x dy
a 2
iii ) ∫− a x 2 + y 2 ⇒ −2
∫ 0 dt − ∫ dt + ∫ 0 dt + ∫ dt = 0
0 1 0

Confrontare con F=
2
x + y2
2
xˆi + yˆj ( ) ⇒ rot F = 0

∫ F ⋅ dr = 0
C : x | y 2 =a 2
2

47
10. F = (axy + z )ˆi + x 2 ˆj + (bx + 2 z )kˆ
è conservativo se e solo se rot F = ∇ × F = 0 ovvero se e solo se b = 1 e a = 2.
Infatti

∂ 3 F1 − ∂1F3 = 0 se b = 1

∂1F2 − ∂ 2 F1 = 0 se a = 2.
Pertanto è
F = (2 xy + z )ˆi + x 2 ˆj + ( x + 2 z )kˆ = ∇ Φ
se
∂Φ
i) = x2
∂y

∂Φ ∂Φ ∂c
ii ) = 2 xy + z ⇒ Φ ( x , y , z ) = x 2 y + c ( x, z ) ⇒ = 2 xy +
∂x ∂Φ ∂x

∂Φ
iii ) = x + 2z
∂z

∂c
2 xy + z = 2 xy + ⇒ c( x, z ) = zx + c(z )
∂x
pertanto
Φ( x, y, z ) = x 2 y + xz + c1 ( z )

∂ c1 ( z ) ∂ c2 ( z )
x + 2z = x + ⇒ = 2 z ⇒ c1 ( z ) = z 2 + k
∂z ∂z

Φ( x, y, z ) = x 2 y + xz + z 2 + k
Φ(0, 0, 3) − Φ(1,1, 0) = 9 − 1 = 8

11. Calcolare
( 2;3 )
I= ∫ (x + 3 y )dx + ( y + 3x )dy .
( )
1;1

Svolgimento. L’integrale dato è indipendente dal contorno di integrazione in quanto

48
∂P ∂
= (x + 3 y ) = 3 ; ∂ Q = ∂ ( y + 3 x ) = 3
∂y ∂y ∂x ∂x

∂ P ∂Q
e quindi = ( sull’intero piano XY).
∂y ∂x
Come percorso di integrazione scegliamo la linea poligonale nella quale i segmenti sono paralleli
agli assi coordinati. Sul primo segmento abbiamo y = 1, dy = 0 1 ≤ x ≤ 2 , sul secondo
x = 2, dx = 0 1 ≤ y ≤ 3
Conseguentemente,

2 2
 x2   y2 
I = ∫ ( x + 3)dx + ∫ ( y + 6)dy =  + 3 x  +  + 6 y  = 2 + 6 − − 3 + + 18 − − 6 = 20 .
1 9 1 1
1 1 2  2  2 2 2 2

12. Trovare la primitiva U, della forma differenziale dU = [ y + ln( x + 1)]dx + ( x + 1 − e y )dy


∂Q ∂Q
Svolgimento. Abbiamo P = y + ln( x + 1); Q = x + 1 − e y ; ≡ = 1.
∂y ∂x
Assumendo x0 = 0 , y0 = 0 e che il contorno K è una linea poligonale OMN ( Fig. 1 ).

Fig. 1

( )
x y

U ( x, y ) = ∫ ln( x + 1)dx + ∫ x + 1 − e y dy =
0 0

[ ]
= [x ln ( x + 1) − x + ln ( x + 1)] + xy + y − e y = ( x + 1)ln ( x + 1) − x + xy + y − e y + 1 + C

49
13. F( x, y, z ) = 3 x 2 y sin z ˆi + x 3 sin z ˆj + (x 3 y cos z + 1)kˆ
Svolgimento. Essendo
∇ ⋅ F = ∇ × F = 0 in ℜ3 ⇒ ∃Φ tale che F = ∇ ⋅ Φ
∂Φ
i) = 3 x 2 y sin z ⇒ Φ = x 3 y sin z + c( y, z )
∂x
∂c
ii ) x 3 y sin z = x 3 y sin z + ⇒ c( y, z ) = c(z )
∂y

Da i ) e ii ) ⇒ Φ = x y sin z + c( z )
3

iii ) x 3 y cos z + 1 = x 3 y sin z + c′( z ) ⇒ c( z ) = z

Quindi
Φ( x, y, z ) = x 3 y sin z + z
Oppure se P0 (0,0,0 ) allora
x y z
Φ( x, y, z ) = ∫ F1 (u ,0,0)du + ∫ F2 ( x, v,0)dv + ∫ F3 ( x, y, w)dw
0 0 0

poiché i primi due integrali sono uguali a 0 si ha

( ) ( )
z
Φ( x, y, z ) = ∫ x 3 y cos w + 1 dw = x 3 y sin w + w
z
= x 3 y sin z + z
0 0

[ ] [
14. F( x, y, z ) = 2 xy + cos( x + y 2 ) ˆi + a z + x 2 + 2 y cos x + y 2 ˆj + ya z ln akˆ ; ( )] a>0
Svolgimento.
Da ∇⋅F = ∇×F = 0 in ℜ 3 ⇒ ∃Φ tale che F = ∇ ⋅ Φ, dove
x y z
Φ( x, y, z ) = ∫ F1 (u,0,0)du + ∫ F2 ( x, v,0)dv + ∫ F3 ( x, y, w)dw =
0 0 0

( ( ))
x y z
= ∫ cos u du + ∫ 1 + x 2 + 2v cos x + y 2 dv + ∫ y a w ln(a)dw =
0 0 0

(
= sin x + y + x 2 y + sin( x + y 2 ) − sin x + y a z − 1 = x 2 y + ya z + sin x + y 2) ( )

50
Alcune proprietà della divergenza

Un campo vettoriale F = F1 ( x, y, z )ˆi + F2 ( x, y, z )ˆj + F3 ( x, y, z )kˆ è detto solenoidale in un


dominio D se ∇ ⋅ F = divF = 0.

Poiché la divergenza del rotore di un campo vettoriale è nulla ne consegue che:


il rotore di qualunque campo vettoriale è solenoidale.

Esempi

i) Se ∇ 2Φ = 0 e ∇ 2 Ψ = 0 allora Φ∇Ψ − Ψ∇Φ è solenoidale

Infatti

  ∂Ψ ˆ ∂Ψ ˆ ∂Ψ ˆ   ∂Φ ˆ ∂Φ ˆ ∂Φ ˆ 
∇ ⋅ (Φ∇Ψ − Ψ∇Φ ) = ∇ ⋅ Φ i+ j+ k  − Ψ  i+ j+ k  =
  ∂x ∂y ∂z   ∂x ∂y ∂z 

∂  ∂Ψ ∂Φ  ∂  ∂Ψ ∂Φ  ∂  ∂Ψ ∂Φ 
= Φ −Ψ  +  Φ −Ψ  +  Φ −Ψ =
∂x  ∂x ∂x  ∂y  ∂y ∂y  ∂z  ∂z ∂z 

 ∂ 2Ψ ∂ 2Φ   ∂ 2 Ψ ∂ 2Φ   ∂ 2 Ψ ∂ 2Φ 
=  Φ 2 − Ψ 2  +  Φ 2 − Ψ 2  +  Φ 2 − Ψ 2  = Φ∇ψ − Ψ∇Φ = 0
 ∂x ∂x   ∂y ∂y   ∂z ∂z 

Oppure da ∇ ⋅ ΦF = ∇Φ ⋅ F + ∇Φ ⋅ F ⇒ ∇ ⋅ (Φ∇Ψ ) = ∇Φ ⋅ ∇Ψ + Φ∇ ⋅ ∇Ψ

∇ ⋅ (Ψ∇Φ ) = ∇Ψ ⋅ ∇Φ + Ψ∇ ⋅ ∇Φ

Pertanto
( ) (
∇ ⋅ (Φ∇Ψ − Ψ∇Φ ) = ∇Φ ⋅ ∇Ψ + Φ∇ 2 Ψ − ∇Ψ∇Φ + Ψ∇ 2Φ = 0 )
ii) Se F e G sono conservativi (F = ∇Φ e G = ∇Ψ ) allora F × G sono solenoidali.
Infatti

∇ ⋅ (F × G ) = (∇ × F ) ⋅ G − F (∇ × G ) = (∇ × ∇Φ ) ⋅ G − F(∇ × ∇Ψ ) = 0
1424 43 4 14243
=0 =0

in quanto è sempre vero ∇ × ∇Φ = 0

51
Esempi

  ∂Ψ ˆ ∂Ψ ˆ ∂Ψ ˆ   ∂Ψ ˆ ∂Ψ ˆ ∂Ψ ˆ 
1. ∇ × (Φ∇Ψ ) = ∇ × Φ i+ j+ k  = ∇ ×  Φ i+Φ j+ Φ k
  ∂x ∂y ∂z   ∂x ∂y ∂z 

ˆi ˆj kˆ
∂ ∂ ∂
∂x ∂y ∂z
∂Ψ ∂Ψ ∂Ψ
Φ Φ Φ
∂x ∂y ∂z

 ∂ ∂Ψ ∂ ∂Ψ ˆ  ∂ ∂Ψ ∂ ∂Ψ ˆ  ∂ ∂Ψ ∂ ∂Ψ  ˆ
 Φ − Φ i +  Φ − Φ  j +  Φ − Φ k
 ∂y ∂z ∂z ∂y   ∂z ∂x ∂x ∂z   ∂x ∂y ∂y ∂x 

 
 ∂Φ ∂Ψ ∂ Ψ ∂Φ ∂Ψ
2
∂ Ψ ˆ
2
 +Φ − −Φ i +
 ∂y ∂z 12 ∂y∂z ∂z ∂y ∂y∂z 
 3 123 
 =0 =0 
 
 ∂Φ ∂Ψ ∂ 2 Ψ ∂Φ ∂Ψ ∂ 2 Ψ ˆ
+ +Φ − −Φ j +
 ∂z ∂x 12 ∂x3 ∂z ∂x ∂z 12 ∂z3 ∂x 
 =0 =0 
 
 ∂Φ ∂Ψ ∂ 2 Ψ ∂Φ ∂Ψ ∂ 2Ψ  ˆ
+ +Φ − −Φ k
 ∂x ∂y 12 ∂x∂y ∂y ∂x ∂y∂x 
 3 123 
 =0 =0 

 ∂Φ ∂Ψ ∂Φ ∂Ψ ˆ  ∂Φ ∂Ψ ∂Φ ∂Ψ ˆ  ∂Φ ∂Ψ ∂Φ ∂Ψ  ˆ
 − i +  − j +  − k = ∇Φ × ∇Ψ
 ∂y ∂z ∂z ∂y   ∂z ∂x ∂x ∂z   ∂x ∂y ∂y ∂x 

 ∂Ψ ˆ ∂Ψ ˆ ∂Ψ ˆ 
2. ∇ ⋅ (Φ∇Ψ ) = ∇ ⋅  Φ i+Φ j+ Φ k =
 ∂x ∂y ∂z 

52
∂  ∂Ψ  ∂  ∂Ψ  ∂  ∂Ψ 
= Φ  +  Φ  +  Φ  = ∇Φ ⋅ ∇Ψ + Φ∇ Ψ
2

∂x  ∂x  ∂y  ∂y  ∂z  ∂z 

[ ]
3. ∇ ⋅ (F × G) = ∇ ⋅ (F2G3 − F3G2 )ˆi + (F3G1 − F1G3 )ˆj + (F1G2 − F2G1 )kˆ =

∂F2 ∂G ∂F ∂G
= G3 + F2 3 − 3 G2 − F3 2 +
∂x ∂x ∂x ∂x
∂F ∂G ∂F ∂G
+ 3 G1 + F3 1 − 1 G3 − F1 3 +
∂y ∂y ∂y ∂y
∂F ∂G ∂F ∂G
+ 1 G2 + F1 2 − 2 G1 − F2 1 =
∂z ∂z ∂z ∂z

 ∂G ∂G   ∂G ∂G   ∂G ∂G 
= − F1  3 − 2  − F2  1 − 3  − F3  2 − 1  +
 ∂y ∂z   ∂z ∂x   ∂x ∂y 
 ∂F ∂F   ∂F ∂F   ∂F ∂F 
− G1  3 − 2  − G2  1 − 3  − G3  2 − 1  = G ⋅ (∇ × F ) − F(∇ × G )
 ∂y ∂z   ∂z ∂x   ∂x ∂y 

53
SUPERFICI

Definizione.

Sia T la chiusura di un aperto connesso limitato A ⊂ R 2 la cui frontiera ∂A è una curva semplice,
chiusa, regolare a tratti. Una applicazione vettoriale:

r: T → R 3 , r (u,v) = x(u , v) i + y (u , v) j + z (u , v) k (u,v) ∈ T

che ha le seguenti proprietà:

1- r è continua su T
2- r è iniettiva in A

è per definizione una superficie parametrica in R 3 e si dice che le equazioni

x = x(u , v); y = y (u , v); z = z (u , v) (u,v) ∈ T

costituiscono una rappresentazione parametrica della superficie. Se in ( u 0 , v0 ) ∈ A esistono i vettori

∂r ∂x ∂y ∂z
ru = = i+ j+ k
∂u ∂u ∂u ∂u

∂r ∂x ∂y ∂z
rv = = i+ j+ k
∂v ∂v ∂v ∂v

si dicono regolari quei punti ( u 0 , v0 ) in cui ru e rv risultino continui e

∂ ( y, z ) ∂ ( z, x) ∂ ( x, y )
ru × rv = i+ j+ k≠0
∂ (u , v) ∂ (u , v) ∂ (u , v)

diversamente i punti si dicono singolari.


Pertanto se r ∈ C 1 ( A) , ru × rv ≠ 0 in A, la superficie è detta liscia o regolare. Se una superficie S è

liscia allora per ogni punto (u0 , vo ) ∈ A le curve r (u 0 , v) e r (u , v0 ) su S sono curve regolari e nel
∂r
loro punto di intersezione P0 ( x0 , y0 , z0 ) = r (u 0 , v0 ) ∈ S i rispettivi vettori tangenti (u 0 , v ) e non
∂v
∂r
∂v
(u , v0 ) sono paralleli. Il vettore
∂r
n= (u0 , v 0 ) × ∂r (u0 , v 0 )
∂v ∂u

è un vettore normale alla superficie S in P0 , inoltre il piano passante per P0 ( x0 , y0 , z0 ) = r (u 0 , v0 )


∈ S e ortogonale al vettore n , è per definizione il piano tangente a S in P0 la cui equazione è :

1
(P − P0 ) ⋅ ( ru × rv )(u 0 , v0 ) = 0
dove
(P − P0 ) = ( x − x0 ) i + ( y − y 0 ) j + ( x − z0 ) k

Ovviamente le curve r (u 0 , v) e r (u , v0 ) sono le immagini dei segmenti per (u0 , v0 ) e


rispettivamente paralleli all’asse delle v e all’asse delle u.

Quando u varia di quantità du il punto P0 si muove lungo la curve r = (u , v0 ) di un tratto ru du ;


analogamente quando v varia di una quantità dv il punto P0 si muove lungo la curva r = (u 0 , v ) di

un tratto rv dv

Da quanto precede si evince che r (u , v) trasforma un rettangolo R di area du dv contenuto in A in


un parallelogramma curvilineo che possiamo approssimare al parallelogramma individuato dai
vettori ru du e rv dv la cui area è

2
dS = ru × rv du dv

L’area a(S ) di tutta la superficie S è la somma di tutti gli elementi d’area dS:

a ( S ) = ∫∫ dS = ∫∫ ru × rv du dv = ∫∫ n du dv
S T T

Esempio 1

Le equazioni
x = a sin v cos u , y = a sin v sin u , z = a cos v (1)

ovvero l’equazione vettoriale

r = r (u , v) = a sin v cos u i + a sin v sin u j + a cos v k

dove i punti (u,v) variano nel rettangolo R = [0,2π ]× [0, π ] forniscono una rappresentazione
parametrica di una superficie sferica con centro nell’origine e di raggio a, non è difficile verificare
che x 2 + y 2 + z 2 = a 2 .
I parametri u e v denotano rispettivamente le coordinate ϑ e Φ sulla sfera (vedi figura) .

3
La parametrizzazione considerata è iniettiva nel rettangolo aperto 0 < u < 2π , 0 < v < π , ma non
sul rettangolo chiuso. Infatti i lati v = 0 e v = π sono trasformati rispettivamente nei punti (0,0,a) e
(0,0,-a) detti rispettivamente polo nord e polo sud; inoltre i lati u = 0 e u = 2π sono trasformati
negli stessi punti, precisamente nei punti (a sin v, 0, a cos v ) con 0 ≤ v ≤ π .

La restrizione dell’equazione (1) al rettangolo T = [0,2π ] × [0, π 2] è una rappresentazione


parametrica dell’emisfero superiore. L’emisfero inferiore è l’immagine del rettangolo
[0,2π ]× [π 2,π ] .

Essendo

∂x ∂y ∂z
= a cos v cos u = a cos v sin u = −a sin v
∂v ∂v ∂v

∂x ∂y ∂z
= − a sin v sin u = a sin v cos u =0
∂u ∂u ∂u

ru × rv = a sin v r (u , v )

si evince che l’elemento d’area di una sfera di raggio a è:

dS = ru × rv dv du = a 2 sin v dv du = a 2 sin φ dφ dθ

Quindi
2π π
A( S ) = ∫∫ a 2 sin v dv du = a 2 ∫ du ∫ sin v dv = 4π a 2
T 0 0

4
Esempio 2

CONO CIRCOLARE RETTO

Con riferimento alla figura seguente è:

π
OP = v, OP ' = v sin α , r = a sin α , h = a cos α , 0 <α <
2

Pertanto le equazioni parametriche di un cono circolare retto con angolo al centro 2α e di apotema
a sono:

x = v sin α cos u , y = v sin α sin u , z = v cos α (1)

La corrispondente equazione vettoriale è:

r (u, v ) = v sin α cos u i + v sin α sin u j + v cos α k dove 0 ≤ u ≤ 2π e 0 ≤ v ≤ a ;

Essendo

ru × rv = v sin α cos α cos u i + v sin α cos α sin u j − v sin 2 α k

e quindi

ru × rv = v sin α ≠ 0

sui punti interni di T si evince che la superficie conica considerata è regolare.


Elevando al quadrato le equazioni (1) si ottengono le equazioni:

x 2 + y 2 = v 2 sin 2 α z 2 = v 2 cos 2 α

5
r
da cui, essendo tan α = , si ottiene:
h

r2 2 r
x +y = 2 z
2 2
dove = arctan α . (2)
h h

La (2) è l’equazione cartesiana del cono circolare retto di altezza h e raggio base r il cui angolo al
r
centro è 2α dove α = arctan   .
h
Riassumendo quanto precede b 2 z 2 = x 2 + y 2 è l’equazione di un cono circolare retto con vertice in
0 e di angolo al centro 2α con α = arctan b .

Infine si osservi che l’equazione (2) risolta rispetto a z ha due soluzioni:

h 2 h 2
z= x + y2 e z=− x + y2
r r

In altre parole l’equazione (2) è l’equazione cartesiana di due coni simmetrici rispetto al piano xy , i
cui vertici coincidono con l’origine del riferimento cartesiano.
Infine

a 2π
a( S ) = ∫ v dv ∫ sin α du = π a (a sin α ) = π a r
0 0

Esempio 3

Sia z = f ( x, y ), ( x, y ) ∈ T Se poniamo x = u , y = v allora z = f (u , v) .Se f è di classe C 1 (A) allora


l’equazione vettoriale

r(u,v)= u i + v j + f(u,v) k , (u , v) ∈ T

rappresenta sempre una superficie parametrica regolare il cui dominio T è la proiezione biunivoca
della superficie sul piano xy. Infatti essendo

∂r ∂f ∂r ∂f
=i+ k = j+ k
∂u ∂u ∂v ∂v

6
risulta

i j k
∂f ∂f ∂f
ru × rv = 1 0 =− i− j+k
∂u ∂u ∂v
∂f
0 1
∂v

Poiché la terza componente del vettore ru × rv è 1, il suo modulo non è mai nullo.
Quindi il grafico di una funzione z = f ( x, y ) che risulta di classe C (1) nei punti interni al suo
dominio T è sempre una superficie regolare. In questo caso l’equazione del piano tangente nel
punto ( xo , y0 , z 0 ) dove z 0 = f ( x0 , y0 ) è

z = f ( x0 , y0 ) + f x ( x0 , y0 )( x − x0 ) + f y ( x0 , y0 )( y − y0 ) ;

l’area della superficie è:

  ∂f  2  ∂f  2 
a( S ) = ∫∫ | ru × rv | du dv = ∫∫ 1 +   +    dx dy
  ∂x   ∂y  
T T  

In particolare se z = a 2 − x 2 − y 2 allora

a (S ) = ∫∫
a
dx dy = 2π a 2 dove T : x2 + y2 ≤ a2 .
T a −x −y
2 2 2

Se la superficie S giace su un piano parallelo al piano xy (cioè sul piano z = costante) allora:

a (S ) = ∫∫ dx dy = a (T )
T

dove T è la proiezione della superficie S sul piano xy .

Se la superficie S di equazione z = f ( x, y ) è una superficie piana che giace su un piano che forma
un angolo γ con il piano xy , allora l’angolo che il vettore n normale alla superficie forma con il
versore k è uguale a γ , pertanto è:

n ⋅ k = 1 e n⋅ k = n cos γ

7
da cui
1
i) n =
cos y

1 n
ii ) =
cos y n ⋅ k

Utilizzando la i) e tenendo presente che γ è costante si ottiene:

a (S ) = ∫∫ ∫∫ dx dy = cos γ a (T )
1 1 1
dx dy =
T
cos γ cos γ T

ovvero

a (T ) = a ( S ) cos γ .

L’equazione precedente è nota come principio del coseno delle aree:

Se una superficie S giacente su un piano è proiettata ortogonalmente su un insieme T che giace su


un piano che forma un angolo γ con il piano che contiene la superficie allora a (T ) è cos γ volte
l’area di S.

La i) e la ii) sono valide anche nel caso in cui S è una superficie regolare che ha una proiezione
biunivoca T sul piano xy. In questo caso l’angolo γ , che il vettore n normale alla superficie,forma
con il versore k ,varia da punto a punto. Utilizzando ii) risulta

n
a (S ) = ∫∫ dx dy
T
n⋅k

Ovviamente

n n
a(S ) = ∫∫ dy dz a (S ) = ∫∫ dx dz
T
n⋅i T
n⋅ j

sono valide nel caso in cui una superficie regolare S ha una proiezione biunivoca T rispettivamente
sul piano yz e sul piano xz.

Da quanto precede, segue che se una equazione del tipo F ( x, y, z ) = 0 definisce implicitamente z in
funzione di (x,y), ovvero una superficie regolare S che si proietta biunivocamente in una regione T
del piano xy, allora :

∇F
a( S ) = ∫∫ dx dy
T
Fz

8
Osservazioni

1. La relazione precedente può essere dedotta anche nel modo seguente. Nelle ipotesi suddette
risulta per il teorema delle funzioni implicite:

∂z F ∂z Fy
=− x =−
∂x Fz ∂y Fz

pertanto

  ∂z  2  ∂z  2 
1 +   +    dx dy =
 F
1 +  x
2
  Fy 
2

 dx dy = (Fz )2 + (Fx )2 + (Fy )2
dS =  +   dx dy
  ∂x   ∂y     Fz   Fz   (Fz )2
   

e quindi

∇F
a(S ) = ∫∫ dx dy
T
Fz

2. Nel caso in cui la superficie S è specificata dall’equazione z = f ( x, y ) per calcolare l’area si può
utilizzare la forma implicita in quanto z = f ( x, y ) può essere scritta come F ( x, y, z ) = z − f ( x, y ) = 0

RIASSUMENDO

- Forma parametrica:

Se r = r (u, v ) allora a( S ) = ∫∫ ru × rv du dv (u , v) ∈ T
T
- Forma cartesiana

Se z = f ( x, y ) allora a ( S ) = ∫∫ (1 + ( f x ) 2 + ( f y ) 2 dx dy ( x, y ) ∈ T
T
- Forma implicita

∇F
Se F ( x, y, z ) = 0 allora a( S ) = ∫∫ dx dy ( x, y ) ∈ T
T
Fz

valida nel caso in cui la proiezione della superficie sul piano xy sia biunivoca.

9
Esempio 4

Calcolare l’area della porzione della sfera x 2 + y 2 + z 2 = a 2 interna al cilindro x 2 + y 2 = ay .


z

y
a
T

Svolgimento

Un quarto dell’area richiesta si proietta sul piano xy nel semidisco

  a
2
a 2 
T = ( x, y ) | x ≥ 0, y ≥ 0, x +  y −  ≤  .
2

  2 4 

Si deve calcolare:

2
 ∂z   ∂z 
2

a ( S ) = 4 ⋅ ∫∫ 1 +   +   dx dy dove z = a 2 − x 2 − y 2 .
T  ∂x   ∂y 

Allora, usando le coordinate polari, si ha:

π
a sin θ
2
ρ
dρ = 2a 2 (π − 2 )
dx dy
a ( S ) = 4 a ∫∫ = 4 a ∫ dθ ∫
T a −x −y
2 2 2
0 0 a −ρ
2 2

Altro procedimento: Poniamo

F ( x, y , z ) = x 2 + y 2 + z 2 − a 2 = 0

allora tenuto presente che su S è x 2 + y 2 + z 2 = a 2 e z = a 2 − x 2 − y 2 , abbiamo

∇F x2 + y2 + z2 a
a ( S ) = 4 ⋅ ∫∫ dx dy = 4 ⋅ ∫∫ = 4 ⋅ ∫∫ dx dy = 2a 2 (π − 2)
T
Fz T
z T a −x −y
2 2 2

10
Esempio 5

1. Calcolare l’area della superficie conica z 2 = x 2 + y 2 che si trova tra i piani z = 0 e


2z + x = 3 .

3/2
S

-3 1 x
Svolgimento

La frontiera del dominio T sul quale si proietta la superficie S della quale si vuole calcolare
l’area è data dall’ intersezione della superficie conica con quella del piano:

z 2 = x 2 + y 2  2 (3 − x) 2
 x + y 2
=
 4 ( x + 1) 2 y 2
  + =1
2 z + x = 3 z = − x 4 3
  2

-1

Se poniamo F ( x, y, z ) = x 2 + y 2 − z 2 = 0 allora ∇F = 2 x i + 2 y j − 2 z k .
Quindi

∇F 2 x2 + y2 + z2
a ( S ) = ∫∫ dx dy = ∫∫ dx dy
T
F2 T
2z

da cui tenuto presente che su S è z 2 = x 2 + y 2 ovvero z = x 2 + y 2 , si ottiene

a( S ) = 2 ∫∫ dx dy = 2 (2 3π ) = 2 6 π
T

11
Esempio 6

Calcolare l’area della parte della sfera x 2 + y 2 + z 2 = a 2 interna al cilindro ellittico 2 x 2 + y 2 = a 2 .

Svolgimento

Un ottavo dell’area richiesta si proietta sul piano xy nella parte T dell’ ellisse che sta nel primo
quadrante del piano xy.
Pertanto
2
 ∂z   ∂z 
2

a ( S ) = 8 ∫∫ 1 +   +   dx dy dove z = a2 − x2 − y2 .
T  ∂x   ∂y 

a2 − y2
Posto b( y ) = si ha
2

a b( y)
dx dy dx
a ( S ) = 8a ∫∫ = 8a ∫ dy ∫ =
T a −x −y
2 2 2
0 0 a − x2 − y2
2

b( y )
a
x π
= 8a ∫ arcsin dy = 8a 2 = 2πa 2
0 a −y
2 2
0
4

Esempio 7

Calcoliamo l’area della superficie z =


1 2
a
( )
x + y 2 che sta sopra la lemniscata 4 ρ 2 = a 2 cos 2θ .

Svolgimento

Un quarto dell’area richiesta si proietta sul piano xy nella parte T della lemniscata corrispondente a
π
cos 2θ = b(θ ) .
a
0 ≤θ ≤ e 0 ≤ ρ ≤
4 4
Usando le coordinate polari si ha

2
 ∂z   ∂z 
2

a (S ) = 4 ∫∫
a
1 +   +   dx dy = ∫∫ ( )
4 x 2 + y 2 + a 2 dx dy =
T  ∂x   ∂y  4 T

∫ [ (4ρ ]
π /4 b (θ ) π /4 b (θ )
=
4
a ∫ dθ ∫ ρ 4 ρ + a dρ =2 1
30
2 2
+ a2 )
3/ 2
0 dθ =
0 0 0
π /4
a2 πa 2
a2 5 π 
= ∫ (1 + cos 2θ ) dθ − 12 =  − 
3/ 2

3 0
3 3 4 

dove si è tenuto presente che 1 + cos 2θ = 2 cos 2 θ .

12
Esempio 8

Calcolare l’area della superficie sferica x 2 + y 2 + z 2 = 4 che sta sopra la cardioide ρ = 1− cosθ .

Svolgimento

L’area richiesta è due volte l’area della parte della superficie z = 4 − x 2 − y 2 la cui proiezione sul
piano xy è il dominio T delimitato da ρ = 1− cosθ con 0 ≤ θ ≤ π .
Pertanto:

2
 ∂z   ∂z 
2
dx dy
a( S ) = 2∫∫ 1 +   +   dx dy = 4∫∫
T  ∂x   ∂y  T 4 − x2 − y2

da cui, passando a coordinate polari, si ottiene

π 1 − cos θ π π
ρ  4 θ
  θ θ 
a( S ) = 4 ∫ dθ ∫ dρ = 8  π − ∫ 1 − sin
 dθ  = 8  π − ∫ 1 + sin 2 cos dθ 
 
0 0 4− ρ2  0
2   0
2 2 

Ponendo
θ
Sostituendo sen = u si ottiene
2

( )
π
θ θ 1

∫ 1 + sin 2 cos dθ = 2 ∫ 1 + u 2 du = 2 + ln 2 + 1
0
2 2 0

Quindi

a ( S ) = 8 [π − 2 − ln( 2 + 1)] .

13
Elemento d’area di una superficie cilindrica

L’elemento d’area dS di una superficie cilindrica S data in coordinate cilindriche dall’equazione

r = r (ϑ ) 0 ≤ ϑ ≤ ϑ1

è dS = ds dz dove ds è l’elemento di lunghezza d’arco della curva di equazioni parametriche

x = r (ϑ ) cos ϑ y = r (ϑ ) sin ϑ 0 ≤ ϑ ≤ ϑ1

in altre parole è
e quindi ds = r 2 + r& 2 dθ dove r& = r ′(ϑ )

Se il cilindro ha la base sul piano z = 0 e il “coperchio” su una superficie liscia di equazione


z = f ( x, y ) > 0 allora

0 ≤ z ≤ z (ϑ ) = f (r (ϑ ) cos(ϑ ), r (ϑ ) sin(ϑ ))
quindi

θ1 z (ϑ ) ϑ1
a( S ) = ∫ r 2 + r& 2 dϑ ∫ dz = ∫ z(ϑ ) r 2 + r& 2 dϑ
0 0 0

14
Esempio 9

Determinare l’area di quella parte della superficie cilindrica di equazione x 2 + y 2 = 2ay

i) interna alla sfera di equazione x 2 + y 2 + z 2 = 4a 2


ii) esterna al cono di equazione z 2 = x 2 + y 2

Svolgimento

i) Ovviamente un quarto dell’area richiesta S si trova nel primo ottante. Pertanto osservato che
l’equazione del cilindro in coordinate cilindriche è

ρ = 2a sin ϑ 0 ≤ϑ ≤π ,

e che il coperchio superiore giace sull’emisfero z = 4a 2 − x 2 − y 2 si evince che

z = 4a 2 − ρ 2 = 2a | cos ϑ | 0 ≤ϑ ≤π

e quindi
π 2 π 2
a( S ) = 4 ∫ 2a cos ϑ ρ 2 + ρ& 2 dϑ = 16a 2 ∫ cos ϑdϑ = 16a
2

0 0

ii) Come in i) osservato che il coperchio superiore giace sulla superficie z = x 2 + y 2 segue che

z (ϑ ) = ρ = 2a sin ϑ 0 ≤ϑ ≤π

da cui

π /2
a( S ) = 4 ∫ 2a sin ϑ ⋅ 2a dϑ = 16a 2
0

15
Esempio 10

Determinare l’area di quella parte di superficie cilindrica x 2 + z 2 = a 2 interna alla superficie


cilindrica y 2 + z 2 = a 2 .

Svolgimento

L’equazione del cilindro x 2 + z 2 = a 2 in coordinate cilindriche è ρ = a . Pertanto è

dS = adϑdy

Osservato che il coperchio destro giace sulla superficie di equazione:

y = a 2 − z 2 = a 2 − a 2 sin 2 ϑ = a | cos ϑ |= y (ϑ )

e che un ottavo dell’area richiesta si trova nel primo ottante, si evince che

π /2 a cos ϑ π /2
a( S ) = 8 ∫ a dϑ ∫ dy = 8a 2
∫ cos ϑ dϑ = 8a
2
.
0 0 0

Esempio 11
θ
Calcolare l’area del cilindro verticale di equazione ρ = 1 − cos θ = 2 sin 2 interna alla sfera
2

x2 + y2 + z 2 = 4 .

Svolgimento

16
L’area richiesta è quattro volte l’area della superficie cilindrica che sta nel primo e nel terzo ottante
il cui coperchio è la superficie: z = 4 − x 2 − y 2

Pertanto

π
a( S ) = 4∫ z (θ ) ρ 2 + ρ& 2 dθ
0

dove

θ
ρ 2 + ρ& 2 = (1 − cosθ )2 + sin 2 θ = 2(1 − cos θ ) = 4 sin 2
2

θ θ θ
z (θ ) = 4 − ρ 2 = 4 − 4 sin 4 = 2 cos 1 + sin 2 .
2 2 2

Quindi

( )
π
θ θ θ 32
a( S ) = 16∫ sin cos 1 + sin 2 dθ = 2 2 −1
0
2 2 2 3

Osservazione

Se una rappresentazione parametrica r = r (u , v) di una superficie è biunivoca anche sulla frontiera


del suo dominio T , allora r trasforma la frontiera di T in una curva semplice chiusa liscia a tratti,
detto contorno della superficie parametrica. Se r è biunivoca solo su una parte della frontiera di
T , il contorno della superficie può essere ottenuto solo da una parte del contorno di T . Nel caso
degli emisferi la circonferenza x 2 + y 2 = a 2 , che corrisponde al lato v = π / 2 del rettangolo è il
contorno sia dell’emisfero superiore sia dell’emisfero inferiore. L’ intera superficie sferica è priva
di contorno in quanto biunivoca solo sui punti interni al rettangolo. Una superficie di contorno è
detta superficie chiusa. Come nel caso di una curva, la parametrizzazione di una superficie non è
unica.

17
L’emisfero superiore può essere parametrizzata nel modo seguente:

x = u , y = v , z = a2 − u2 − v2 (u , v) ∈ T

dove T è il disco u 2 + v 2 ≤ a 2 .
Si osservi che per questa rappresentazione ogni punto sull’equatore è un punto singolare. Se un
numero finito di superfici lisce sono unite, a coppie, lungo una parte o la totalità del loro contorno,
la superficie così ottenuta è detta superficie liscia a pezzi.
Esempi di superficie lisce a pezzi sono i parallelepipedi. Un parallelepipedo è una superficie chiusa,
in quanto non esistono due lati non uniti fra loro che costituiscono un contorno.

Se per esempio, eliminiamo la faccia superiore del parallelepipedo


considerato, le rimanenti cinque facce formano la superficie di una scatola
senza coperchio. I lati in alto delle quattro facce laterali costituiscono ora il
contorno di questa superficie (liscia a pezzi).

Siano
r : A → ℜ3 (u , v) → r (u , v)
R : B → ℜ3 ( s, t ) → R ( s, t )

due superfici regolari equivalenti e sia

G : B → A di classe C 1 ( B) t.c. ( s, t ) → ( U ( s, t ),V ( s, t ) )


R ( s, t ) = r [G ( s, t ) ] = r ( U ( s, t ),V ( s, t ) )

In altre parole
R ( s, t ) è l’equazione parametrica della superficie che si ottiene dall’equazione parametrica
r = r (u, v ) mediante il combinamento di parametri

u = U ( s, t ) ( s, t ) ∈ B e U ∈ C 1 ( B )
v = V ( s, t ) ( s, t ) ∈ B e V ∈ C 1 ( B ) .

Allora
∂ (U , V )
R s ∧ R t = ( ru ∧ rv ) ∂(U ,V ) e R s ∧ R t = ru ∧ rv
∂ (s, t ) ∂ (s, t )

Inoltre
Se ∃ ∫ f dS ⇒ ∃ ∫ F dS e ∫ F dS = ∫ f dS
r ( A) r( B) r ( A) r ( B)

dove F [ R ( s, t )] = f [r (U ( s, t ), V ( s, t )] .

18
INTEGRALI DI SUPERFICIE DI CAMPI VETTORIALI:
FLUSSO

Superfici Orientate

Una superficie liscia S è orientabile se in ogni P ∈ S esiste un campo vettoriale unitario n̂ (P)
continuo e normale a S. Una superficie S orientabile deve avere due lati. Il lato al di fuori del quale
punta N è detto lato positivo.
Una superficie orientata S induce una orientazione su ogni curva C ∈ ∂S. Il verso positivo di C è
quello lungo il quale un osservatore, in piedi sul lato positivo della superficie, percorrendo C vede S
alla sua sinistra.

Osservazione

Il concetto di orientabilità si può applicare solo alle superfici lisce. Tuttavia non sempre le superfici
lisce sono orientabili. Inoltre spesso le superfici non sono lisce ma possono essere l’unione di più
superfici lisce orientabili.

Flusso
In fisica, il significato originario di flusso è quello di quantità di un fluido che passa, nell’unità di
tempo, attraverso una superficie. Tale definizione è legittimata dal fatto che se una superficie è
attraversata da un fluido di densità unitaria, allora sapendo che la densità è la massa per unità di
volume, segue che la massa del fluido che, nell’unità di tempo, passa attraverso la superficie è
numericamente uguale al volume del fluido che passa attraverso la superficie nell’unità di tempo.
Supponiamo che σ sia una superficie orientata con un versore normale n̂ e che un fluido di
densità unitaria fluisca attraverso σ nella direzione di n̂ .
Inoltre supponiamo che il fluido sia stazionario, ovvero: in ogni istante la velocità della particella
del fluido che occupa la posizione (x,y,z) rimane la stessa.
La velocità del fluido che supponiamo funzione della posizione e non del tempo sia descritta dal
campo (di velocità):

F(x,y,z) = F1 (x,y,z) i + F2 (x,y,z) j + F3 (x,y,z) k

Per determinare la massa Φ del fluido che passa attraverso una superficie orientata σ nella
direzione dell’orientazione n̂ suddividiamo σ in n parti σ 1 , σ 2 ,...., σ n con aree rispettivamente
∆S1 , ∆S 2 ,..., ∆S n .

Se le parti sono piccole e se ( x k* , y k* , z k* ) è un punto qualunque della k-esima parte σ k ,è ragionevole


affermare che la velocità è costante e uguale a F ( x k* , y k* , z k* ) in ogni σ k .
La componente della velocità del fluido attraverso la superficie σ k ovvero:

F ( x k* , y k* , z k* ) ⋅ n̂ ( x k* , y k* , z k* ) (1)

19
rappresenta la distanza percorsa, nell’unità di tempo, dalla sezione del flusso inizialmente su σ k . In
altre parole la sezione del flusso che inizialmente si trova su σ k , nell’unità di tempo si muoverà
spaziando un cilindro di area base ∆S k e di altezza (1).

Pertanto
( ) ( )
F x k* , y k* , z k* ⋅ nˆ x k* , y k* , z k* ∆S k (2)

rappresenta il volume di questo cilindro.


Così il volume del fluido passante attraverso σ nell’unità di tempo può essere approssimata come
segue:
( ) ( )
n
Φ ≈ ∑ F x k* , y k* , z k* ⋅ nˆ x k* , y k* , z k* ∆S k
k =1

Se aumentiamo n in modo tale che le parti della superficie tendono a zero, è plausibile che gli errori
nelle approssimazioni tendono a zero e il volume di Φ è:

( ) ( )
n
Φ = lim ∑ F x k* , y k* , z k* ⋅ nˆ x k* , y k* , z k* ∆S k
n →∞ k =1

che può essere espressa tramite l’integrale di superficie:

Φ = ∫∫ F ( x, y, z ) ⋅ nˆ ( x, y, z ) dS (3)

La quantità Φ definita da questo integrale rappresenta il flusso di F attraverso σ , ovvero la massa


del flusso passante attraverso σ nell’unità di tempo.

Osservazione

Quando si deve calcolare il flusso di un campo vettoriale F attraverso una superficie liscia σ è
opportuno tenere presente quanto segue:

i) Per una superficie σ definita dall’equazione z = f ( x, y ) è

− fx i − fy j − k
nˆ = ± e dS = ( f x )2 + ( f y )2 + 1 dx dy
( fx ) + (fy ) +1
2 2

da cui

nˆ dS = ± (− f x i − f y j − k ) dx dy . (4)

Analogamente, se la superficie è definita da una equazione della forma y = g ( x, z ) oppure


x = h( y, z ) risulta
nˆ dS = ± (− g x i − j − g x k ) dx dy

20
oppure

nˆ dS = ± ( i − h y j − hz k ) dz dy

ii) Per una superficie definita implicitamente da un’equazione della forma F (x, y, z ) = 0 e con una
proiezione biunivoca su una regione T del piano xy, è

∇F ∇F
n̂ = ± e dS = ± dx dy
∇F F

da cui

∇F
n̂ dS = ± dx dy . (5)
Fz

Naturalmente valgono formule simili alle precedenti per le superfici che hanno una proiezione
biunivoca T sui piani coordinati yz e xz; non è difficile verificare che allora risulta
rispettivamente

∇F ∇F
n̂ dS = ± dy dz e n̂ dS = ± dx dz .
Fx Fy

iii) Per una superficie σ definita parametricamente dall’equazione vettoriale r = r (u, v ) è

ru × rv
nˆ = ± e nˆ = ± ru × rv du dv
ru × rv

da cui

nˆ dS = ± ( ru × rv ) du dv . (6)

Ovviamente, comunque venga assegnata la superficie, in (4), (5) e (6), il segno deve essere scelto in
modo da assegnare a σ l’orientazione desiderato.

21
Esempio 1

Determinare il flusso del campo vettoriale

r
F=m 3
r= x i + y j + z k
r

Uscente dalla superficie sferica σ con centro nell’origine e di raggio a.

Svolgimento

Dobbiamo calcolare

∫∫σ F ⋅ n̂ dS

dove n̂ è la normale unitaria esterna alla sfera σ ,ovvero

r
n̂ = .
r

Se usiamo le coordinate sferiche in ogni punto della sfera è

r = r (θ,Φ) = a sinΦ cosθ i + a sinΦ sinθ j + a cosΦ k

dove 0 ≤ Φ ≤ π , 0 ≤ θ ≤ 2π;

m 1
F= r (θ,Φ) e n̂ = r (θ,Φ) .
a3 a

Infine osservato che

dS = rθ × rΦ dθ dΦ = a² sinΦ dθ dΦ

si evince che

2π π

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = m ∫ dθ ∫ sin Φ dΦ = 4πm.


0 0
Infatti è

r r m m
F ⋅ n̂ = m 3
= 2
= .
r r r a2

22
Esempio 2

Calcolare il flusso totale di F=x i +y j +z k

Uscente dalla superficie cilindrica x² + y² ≤ a² -h ≤ z ≤ h.

Svolgimento

La superficie σ è costituita dai due dischi della base e del coperchio:

σ 1 : z = -h x² + y² ≤ a², σ 2 : z = h x² + y² ≤ a²

e dalla superficie laterale


σ L : x² + y² = a² -h ≤ z ≤ h.

Il flusso totale di F uscente dalla superficie σ è la somma del flusso di F uscente dalla base σ 1 , dal
coperchio σ 2 e dalla superficie laterale σ L del cilindro.
È opportuno usare le coordinate cilindriche.

Sulla base è n̂ = -k, pertanto

∫∫
σ
F ⋅ n̂ dS = ∫∫
σ
-z dS
1 1

Poiché sulla base è z = -h abbiamo che

∫∫
σ
F ⋅ n̂ dS = h ∫∫ dS = hπa².
σ1
1

Analogamente, essendo sul coperchio n̂ = k e z = h, si ottiene

∫∫
σ
F ⋅ n̂ dS = ∫∫
σ
z dS = h ∫∫ dS = hπa².
σ2
2 2

Sulla superficie laterale del cilindro σ L la normale esterna non dipende da z, è

n̂ = cosθ i + sinθ j .
Inoltre su σ L è
F = a cosθ i + a sinθ j + z k

Pertanto su σ L è F ⋅ n̂ =a. Infine osservato che l’elemento d’area della superficie laterale del
cilindro è

dS= dz ds = a dθ dz

si evince che (*)

23
2π h

∫∫ F ⋅ n̂ dS = a² ∫ dθ ∫ dz = 4πa²h.
σ L 0 −h

Quindi

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = 6πa²h.

(*) Osservazione

∫∫ F ⋅ n̂ dS = ∫∫ a dS = a (Area di σ L ) = a (2πa2h) = 4πa²h.


σL σL

Esempio 3

Calcolare il flusso del campo vettoriale

F = F ( x, y, z ) = xy 2 i + y 3 j + x 2 zk

uscente dal cilindro ellittico S di equazione

x2 y2
+ =1 0 ≤ z ≤1
a2 b2

Svolgimento

Il flusso richiesto è la soma del flusso uscente dalla superficie laterale S L del cilindro, dalla base B
sul piano xy e dal coperchio sul piano z = 1 . Calcoliamo il flusso uscente da S L , le cui equazioni
parametriche sono
x = a cos θ , y = b sin θ , z = z

dove 0 ≤ θ ≤ 2π e 0 ≤ z ≤ 1 . Essendo su S L

F = ab 2 sin 2 θ cos θ i + b 3 sin 3 θ j + z a 2 cos 2 θ k ;

rθ × rz b cos θ i + a sin θ j
nˆ = =
rθ × rz b 2 cos 2 θ + a 2 sin 2 θ
oppure

T×k
nˆ = dove T = − a sin θ i + b cos j ;
T×k

24
dS = ds dz = a 2 sin 2 θ + b 2 cos θ dθ dz
si ha

2π 1

∫∫ F ⋅ nˆ dS = ab ∫ sin θ dθ ∫ dz = ab π
2 3
.
SL 0 0

Il flusso del coperchio C è

∫∫ F ⋅ k dS = ∫∫ x z dx dy = ∫∫ x 2 dx dy
2

C C T

dove si è tenuto conto che su C è z = 1 e che la proiezione di C sul piano xy è l’insieme

 x2 y2 
T = ( x, y ) 2
+ 2 ≤ 1.
 a b 

Ponendo x = a u , y = b v e usando le coordinate polari si ottiene che

2π 1
π
∫∫ x z dx dy = a b ∫∫ u du dv = ba ∫ cos θ dθ ∫ ρ dρ = ba
2 3 2 3 2 3 3

T D 0 0
4

dove D è il disco u 2 + v 2 ≤ 1 .

Infine osservato che sulla base è nˆ = −k e z = 0 si evince che il flusso uscente da B è zero. Quindi
il flusso totale uscente sa S è

 2 a2 
∫∫S F ⋅ ˆ
n dS = π ab  b +  .
 4 

25
Esempio 4

Calcolare il flusso del campo vettoriale di F = y i + z k uscente dalla frontiera σ del cono

0 ≤ z ≤ 1- x 2 + y 2

Svolgimento

Indichiamo con σ L la superficie laterale del cono z =1 - x 2 + y 2 e con T il disco x² + y² ≤ 1.


Allora

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫
σ
F ⋅ n̂ dS + ∫∫
T
F ⋅ n̂ dS
L

dove

x y
n̂ = i + j + k su σ L n̂ = - k su T.
x2 + y2 x2 + y2

Essendo su σ L

F = y i + 1 − x 2 + y 2  k
 

abbiamo (tenuto presente che σ L si proietta su T)

 xy 
 x 2 + y 2  dx dy -
∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫  x2 + y2
+ 1−
 ∫∫ z dx dy .
T   T

Osservato che, per motivi di simmetria, è

xy
∫∫
T x + y2
2
dx dy = 0

e che su T è z = 0, utilizzando le coordinate polari, si ottiene


1 − x 2 + y 2  dx dy =
1
π
∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫   ∫ dθ ∫ (1 − ρ ) ρ dρ = .
T   0 0
3

26
Teorema della Divergenza (di Gauss)
Sia D un dominio tridimensionale regolare, la cui frontiera ∂D è una superficie chiusa S orientata
con campo normale unitario n̂ uscente da D.
Se
F(x,y,z) = F1 (x,y,z) i + F2 (x,y,z) j + F3 (x,y,z) k

è un campo vettoriale liscio definito su D, allora

∫∫∫
D
∇ ⋅ F dV = ∫∫ F ⋅ nˆ dS
S

Dimostrazione

Incominciamo a calcolare il flusso di un campo vettoriale

F = F3 (x,y,z) k

parallelo all’ asse z uscente da una superficie orientabile chiusa S liscia a pezzi che è il contorno di
un dominio D z-semplice .
Poiché D è z-semplice , tale dominio è compreso tra i grafici di due funzioni z = f ( x , y ) e
z = g ( x , y ) definite su una regione connessa e limitata R del piano xy. Se supponiamo
f ( x, y ) ≤ g ( x, y ) allora

(x, y, z) ∈ D ⇔ (x, y) ∈ R e f (x, y) ≤ z ≤ g (x, y)

Supposto f e g di classe C 1 ( R ) , la superficie S consiste di una parte inferiore S1, di una parte
superiore S2 definite rispettivamente dalle equazioni z = f ( x , y ) e z = g ( x , y ) ed
27
eventualmente da una parte S3 del cilindro verticale che passa per la frontiera di R .
Calcoliamo
∫∫ F ⋅ nˆ dS S

dove n̂ è il campo normale unitario di S uscente da D . Essendo sulla superficie laterale S3


k ⋅ n̂ = 0 risulta

∫∫ F ⋅ nˆ dS
S
= ∫∫ F ⋅ n̂ dS
S2
+ ∫∫ F ⋅ n̂ dS
S1

Poiché su S2 è :

 ∂f ∂f 
k ⋅ n̂ dS = k ⋅  − i− j + k  dx dy = dx dy
 ∂x ∂y 

mentre su S1 è :

 ∂f ∂f 
k ⋅ n̂ dS = k ⋅  i+ j − k  dx dy = − dx dy
 ∂x ∂y 

risulta :

∫∫ F ⋅ nˆ dS = ∫∫ F ( x, y, z) k ⋅ nˆ dS = ∫∫ [F ( x, y, g ( x, y ))] dx dy − ∫∫ [F ( x, y, f ( x, y))] dx dy =
S S
3
R
3
R
3

 g ( x , y ) ∂F3  ∂F3
= ∫∫  ∫  dx dy = ∫∫∫ dx dy dz

R  f ( x, y )
∂z 
 D
∂z

E’ evidente ora che se D è x-semplice possiamo usare lo stesso tipo di ragionamento per dimostrare
l’identità
∂F1
∫∫S F1 i ⋅ nˆ dS = ∫∫∫
D
∂x
dx dy dz

mentre se D è un dominio y-semplice l’identità è

∂F2
∫∫
S
F2 j ⋅ nˆ dS = ∫∫∫
D
∂y
dx dy dz

Pertanto se D è un solido x-y-z semplice, la cui frontiera S è una superficie chiusa, orientabile e
liscia a pezzi e se
FFFF

( x, y, z ) = F1 ( x, y, z ) i + F2 ( x, y, z ) j + F3 ( x, y, z ) k

è un campo vettoriale di classe C 1 ( D) allora

28
 ∂F1 ∂F2 ∂F3 
∫∫∫
D

 ∂x
+
∂y
+  dx dy dz =
∂z  ∫∫
S
( F1 i + F2 j + F3 k ) ⋅ nˆ dS

ovvero

∫∫∫
D
div F dV = ∫∫
S
F ⋅ n̂ dS

Ora supponiamo che D sia l’unione di due domini D1 e D2 x-y-z semplici che non si sovrappongono
e che la frontiera S viene divisa in S1 e S2 dalle superficie S* che taglia D in D1 e D2 . Ovviamente S*
è parte del contorno sia di D1 che di D2 . Poiché il teorema vale per entrambi i domini D1 e D2
abbiamo:

∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = ∫∫ F ⋅ n̂1 dS
D1 S1 ∪ S ∗

∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = ∫∫ F ⋅ nˆ 2 dS
D2 S2 ∪S *

da cui

∫∫∫
D
∇ ⋅ F dV = ∫∫∫ ∇ ⋅ F dV + ∫∫∫ ∇ ⋅ F dV =
D1 D2

= ∫∫ F ⋅ nˆ 1 dS + ∫∫ F ⋅ nˆ 1 dS + ∫∫ F ⋅ nˆ 2 dS + ∫∫ F ⋅ nˆ dS
S1 S* S2 S*

Poiché le normali esterne n̂ 2 e n̂1 , rispettivamente dei domini D1 e D2 puntano in direzioni opposte
sui due lati di S*, i contributi provenienti da S* si elidono, pertanto risulta

∫∫∫
D
∇ ⋅ F dV = ∫∫ F ⋅ nˆ 1 dS + ∫∫ F ⋅ nˆ 2 dS = ∫∫ F ⋅ nˆ dS
S1 S2 S

Iterando il procedimento precedentemente si evince la validità del teorema al caso in cui D è


regolare ovvero è l’unione finita di domini x-y-z semplici che non si sovrappongono.

29
Vale il seguente

Teorema. Siano: B (r ) una sfera solida di raggio r e con centro in P0 ; S la frontiera di B(r ) ; n̂ la
normale unitaria esterna di S; B(r ) il volume di B(r ) . Allora

1
lim
r →0 B(r ) ∫∫ F ⋅ nˆ dS
S
= ( grad F) ( P0 ) .

Dimostrazione.

Dobbiamo dimostrare che dato ε > 0 esiste δ = δ (ε ) > 0 tale che

ϕ (P0 ) −
1
∫∫ F ⋅ nˆ dS <ε per ogni 0 < r < δ .
B(r ) S

Dove ϕ (P ) = ( grad F) ( P) . Poiché ϕ è continua in P0 , in corrispondenza di ε > 0 esiste una sfera


B ( P0 ; δ ) tale che

ε
ϕ (P ) − ϕ (P0 ) < per ogni P ∈ B ( P0 ; δ ) .
2

Se scriviamo

ϕ (P0 ) = ϕ (P ) − [ ϕ (P ) − ϕ (P0 ) ]

ed integriamo questa equazione su una sfera B ( P0 , r ) dove 0 < r < δ , abbiamo

ϕ (P0 ) B (r ) = ∫∫∫ ∇ ⋅ F (P ) dV −
B (r)
∫∫∫ [ ϕ (P ) − ϕ (P ) ] dV .
B (r )
0

Da cui se applichiamo il teorema della divergenza al primo integrale del secondo membro,
otteniamo

1 ε
ϕ (P0 ) −
1
∫∫ F ⋅ nˆ dS ≤ B (r ) < ε per ogni 0 < r < δ .
B(r ) S
B(r ) 2

La formula dimostrata nel teorema precedente cioè

∇ ⋅ F (P ) = lim
1
r →0 B (r ) ∫∫ F ⋅ nˆ dS
S

in precedenza in alcuni testi di analisi vettoriale è presa come definizione di divergenza e fornisce la
seguente interpretazione fisica della divergenza.

30
Supponiamo che F rappresenti il vettore densità di flusso di una corrente stazionaria. Allora come
già visto, l’integrale superficiale

∫∫ F ⋅ nˆ dS
S

misura la massa totale di fluido che scorre attraverso S nell’unità di tempo nella direzione di n̂ ;
il rapporto

1
B(r ) ∫∫ F ⋅ nˆ dS
S

misura la massa per unità di volume che scorre attraverso δ nell’unità di tempo e nella direzione di
n̂ . Poiché il limite per r → 0 del rapporto precedente è la divergenza di F in P, segue che:
la divergenza di F in un punto P può essere interpretata come la rapidità di variazione della massa
per unità di volume e per unità di tempo in P.

Osservazioni importanti

Dal teorema di Gauss segue

1. Il flusso uscente da una superficie S ( orientabile e liscia a pezzi ) , di un campo vettoriale


costante è uguale a 0

2. Qualunque sia la superficie chiusa S ( orientabile e liscia a pezzi ), è

∫∫
S
(∇ × F ) ⋅ nˆ dS = ∫∫∫
D
∇ ⋅ ∇ × F dS = 0

Ovvero

∫∫
S
rot F ⋅ nˆ dS = 0

UNA APPLICAZIONE DEL TEOREMA DELLA DIVERGENZA

Sia D un dominio regolare la cui frontiera è la superficie S. Se F è un campo vettoriale liscio, φ è


un campo scalare liscio e c è un vettore costante arbitrario, allora applicando il teorema divergenza
a F x c e φ c , si ottengono rispettivamente le seguenti relazioni vettoriali:

i) ∫∫∫ ∇ × F dV
D
= − ∫∫ F × nˆ dS
S

ii) ∫∫∫ ∇φ dV
D
= − ∫∫ φ nˆ dS .
S

31
Osservazione

Formalmente la i) si ottiene da

∫∫∫ ∇ ⋅ F dV
D
= − ∫∫ F ⋅ nˆ dS
S

Sostituendo · con × e ponendo il segno meno al 2° membro;


la ii) sostituendo F con φ .

Il teorema della divergenza applicato a F x c da

∫∫∫ ∇ × ( F x c ) dV = − ∫∫ [( ∇ × F )⋅ c − (∇ × c )⋅ F ] dV = c ⋅ ∫∫∫ ( ∇ × F ) dV
D S D

∫∫ ( F x c ) ⋅ nˆ dV
S
= − ∫∫
S
( c × F ) ⋅ nˆ dS =− ∫∫ c ⋅ ( F × nˆ ) dS = − c ⋅ ∫∫∫ ( F × nˆ ) dS
S D

segue che

 



∫∫∫ ( ∇ × F ) dV + ∫∫ ( F × nˆ ) dS  ⋅ c = 0
D S

da cui, data l’arbitrarietà di c , si evince che

∫∫∫ ( ∇ × F ) dV
D
=− ∫∫ ( F × nˆ ) dS
S
.

Esempio 1

Verificare il teorema di Gauss nel caso in cui D è il dominio la cui frontiera σ è il tetraedro
delimitato dai piani coordinati e dal piano

x y z
+ + =1 a > 0, b > 0, c > 0;
a b c
e

F = ∇Ф dove Ф = Ф(x,y,z) = xy + z².

Svolgimento

Dobbiamo dimostrare che


∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫∫
D
∇ ⋅ F dS

32
dove n̂ denota la normale unitaria esterna a σ . Ovviamente σ è costituita da σ 1 , σ 2 , σ 3 , σ 4 dove:
σ 1 è quella parte del piano di equazione

x y
z = c(1- − ) (x,y) ∈ T
a b

essendo T il triangolo di vertici (0,0,0), (a,0,0), (0,b,0);

σ 2 è il triangolo di vertici (0,0,0), (0,b,0), (0,0,c);

σ 3 è il triangolo di vertici (0,0,0), (a,0,0), (0,0,c);

σ 4 è il triangolo di vertici (0,0,0), (a,0,0), (0,b,0).


Poiché su σ 1 è
 c c 
n̂ dS =  i + j + k  dx dy
a b 
 x y 
F = ∇ Ф = y i + x j + 2c  1 − + k
 a b 
si ha
c 2c   c 2c   c
∫∫ F ⋅ nˆ dS = ∫∫   −  x+ −  y + 2c  dx dy = (a + b)
2

σ 1
b T
a  a b   6

Analogamente
b 2c
∫∫ F ⋅ ( i ) dS = −
σ2
∫∫
σ
y dy dz = −
6
2

a 2c
∫∫ F ⋅ ( j ) dS = −
σ3
∫∫
σ
x dx dz = −
6
3

∫∫
σ
F ⋅ ( − k ) dS = ∫∫ 0 dS = 0
σ
4 4

Quindi

∫∫σ F ⋅ nˆ dS =
c
6
[ (a + b) 2
]
− a 2 − b2 =
abc
3
.

Infine abbiamo

1 ab abc
∫∫∫
D
∇ ⋅ F dV = ∫∫∫ 2 dV = 2(volume del tetraedro) = 2 3
D
2
c=
3

Oppure integrando per fili

 x y   ab ab ab  abc
∫∫∫ dV = c ∫∫  1 − +  dx dy = c  − − = .
T  b   2 6 
D a 6 6

33
Esempio 2

Verificare il teorema di Gauss nel caso in cui

F = ( y + xz ) i + ( y + yz ) j - ( 2x + z² ) k ,

D ={(x,y,z) : x² + y² + z² ≤ a² , x ≥ 0, y ≥ 0, z ≥ 0}.

Svolgimento

Dobbiamo dimostrare che

∫∫∫
D
∇ ⋅ F dV = ∫∫σ F ⋅ n̂ dS

dove σ è la frontiera del dominio D e n̂ denota la normale unitaria esterna alla superficie σ. La
superficie σ consta di quattro parti:

σ 1 = {(x,y,z) : x² + y² + z² = a² , x ≥ 0, y ≥ 0 e z ≥ 0 };
σ 2 = {(x,y) : x² + y² ≤ a² , x ≥ 0, y ≥ 0 }
σ 3 = {(y,z) : y² + z² ≤ a² , y ≥ 0, z ≥ 0 }
σ 4 = {(x,z) : x² + z² ≤ a² , x ≥ 0, z ≥ 0 }.

Su σ 1 è z = a2 − x2 − y2 (x,y) ∈ T = σ 2 , pertanto

 ∂z ∂z   x y 
n̂ dS =  − i− j + k  dx dy =  i + j + k  dx dy
 ∂x ∂y   z z 
e
 xy + y 2 
∫∫ F ⋅ n̂ dS = ∫∫T  a2 − x2 − y2
+ 2 ( x² + y² ) - 2 x -a²  dx dy .

σ 1  

Passando a coordinate polari abbiamo

π 2
 1 − cos 2θ  a
ρ
∫∫ F ⋅ n̂ dS = ∫  sin θ cos θ +  ∫ ρ2 dρ +
σ1 0  2  0 a − ρ2
2

π 2 π 2
π
( )
a a
a
3
+ ∫ dθ ∫ 2 ρ − a ρ dρ − 2
3 2
∫ cos θ dθ ∫ ρ 2 dρ =  −1 
0 0 0 0  2  3

Su σ 2 è z = 0 e n̂ = - k , pertanto abbiamo

34
∫∫
σ
F ⋅ n̂ dS = 2 ∫∫ x dx dy.
σ2
2

Passando a coordinate polari si ha

π 2 a
2a 3
∫∫ F ⋅ n̂ dS = 2 ∫ cos θ dθ ∫ ρ 2 dρ =
σ 2 0 0
3

Analogamente tenuto presente che su σ 3 è x = 0 e n̂ = - i si ottiene

a3
∫∫
σ
F ⋅ n̂ dS = - ∫∫
σ
y dz dy = -
3
3 3

Su σ 4 è y = 0 e n̂ = - j , pertanto

∫∫
σ
F ⋅ n̂ dS = ∫∫
σ
0 dS = 0.
4 4

Quindi
π a π a3
3
2 a3
∫∫σ F ⋅ n̂ dS =  − 1 
 2  3
+ a3 −
3 3
=
2 3
.

Infine

1 1 4 π a3
∫∫∫
D
∇ ⋅ F dV = ∫∫∫
D
dV =
8
(volume della sfera) =
8 3
πa³ =
2 3

Oppure utilizzando le coordinate sferiche si ha :

π 2 π 2 a
π a3 π a3
∫∫∫
D
dV = ∫
0
dθ ∫ sin Φ dθ
0
∫ 0
ρ 2 dρ =
2
1
3
=
2 3
.

35
Esempio 3

Verificare il teorema di Gauss nel caso in cui:

D= {( x, y , z ) : x 2
+ y2 + z2 ≤ a2 }
i) F = F ( x, y, z ) = x i − 2 y j + 4 z k

(
ii) F = F ( x, y, z ) = x 3 i + 3 yz 2 j + 3 y 2 z + x 2 k )
Svolgimento

E’ opportuno usare le coordinate sferiche:

x = ρ sin φ cos ϑ , y = ρ sin φ cos ϑ , z = ρ cos φ

dove 0 ≤ ϑ ≤ 2π , 0 ≤ φ ≤ π, 0≤ρ ≤a .

Sul contorno σ del dominio D, ovvero sulla sfera di raggio a con centro nell’origine, vale:

r r
ρ = a, dS = a 2 sin φ dϑ dφ , nˆ = = r=xi +y j+z k
r a

dove n̂ indica la normale unitaria esterna a σ.

Inoltre l’elemento di volume, in coordinate sferiche, è:

dV = ρ 2 sin φ dφ dϑ dρ

Premesso ciò, bisogna dimostrare che:

∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = ∫∫ F ⋅ n̂ dS
D σ
i) Risulta

4
∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = 3∫∫∫ dV = 3 ⋅ π a 3
D D
3

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫ F⋅
r
a
dS = ∫∫
1 2
a
(
x − 2 y 2 + 4z 2 ) dS =
σ σ

36
2π π
=a 3
∫ (
dϑ ∫ sin 2 φ cos 2 ϑ − 2 sin 2 φ sin 2 ϑ + 4 cos 2 φ sin φ dφ = )
0 0

π π
 4 16 
= −a π 3
∫ (1 − cos φ ) sin φ dφ + 8π a
2 3
∫ cos 2 φ sin φ dφ = a 3 π  − +  = 4π a 3
0 0  3 3

ii) Risulta

2π π
( )
a
12 5
∫∫∫ ∇ ⋅ F = 3∫∫∫ x 2 + y 2 + z 2 dV = 3 ∫ dϑ ∫ sin φ dφ ∫ ρ 4 dρ = aπ
D D 0 0 0
5

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫ F ⋅
r
a
1
(
dS = ∫∫ x 4 + 6 y 2 z 2 + x 2 z dS

)
σ

Osservato che il terzo degli integrali superficiali precedenti è nullo in virtù della simmetria, segue
che

2π π

∫∫ (x + 6 y 2 z 2 ) dS = a 5 ∫ cos 4 ϑ dϑ
1
∫∫σ F ⋅ nˆ dS = 4
∫ sin
4
φ sin φ dφ +
a σ 0 0

2π π
12 5
+ 6a 5
∫ sin ϑ dϑ2
∫ sin 2 φ cos 2φ sin φ dφ = a π
0 o
5
Infatti risulta

2π π 2π
 1 + cos 2ϑ  1 + cos 4ϑ 
2
1  3
∫ cos ϑ dϑ = ∫
4
  dϑ = ∫ 1 + 2 cos 2ϑ +  dϑ = π
0 0  2  4 0  2  4

π π

∫ (
sin 4 φ sin φ dφ = ∫ 1 − 2 cos 2 φ + cos 4 φ sin φ dφ = ) 16
15
0 0

π π

∫ sin φ cos φ sin φ dφ = ∫ 1 − cos 2 φ cos 2 φ sin φ dφ =


2 2
( ) 4
15
0 0

∫ sin 2 ϑ dϑ = π
0

37
Esempio 4

Verificare il teorema di Gauss nel caso in cui è

F = ( x + yz ) i + ( y − xz ) j + ( z − e sin y ) k
x

 
D =  ( x, y, z ) : x 2 + y 2 + z 2 ≤ 4a 2 x2 + y2 ≤ a2 
 

x 2 + y 2 + z 2 = 4a 2
2a
3a
x2 + y2 = a2
O

x y

Svolgimento

Dobbiamo verificare che

∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = ∫∫ F ⋅ n̂ dS
D σ

La superficie σ ovvero la frontiera di D consiste di una parte cilindrica σ 1 e di una parte


sferica σ 2 . Pertanto

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫ F ⋅ nˆ dS1 + ∫∫ F ⋅ nˆ dS 2
1111

2222

σ1 σ1

Dove: n̂1 è la normale unitaria al cilindro verticale

x2 + y2 = a2 z ≤a 3 ;

38
n̂ 2 è la normale unitaria esterna alla sfera

x 2 + y 2 + z 2 = 4a 2 .

Usando le coordinate cilindriche, sulla superficie laterale della parte cilindrica è

  
F ⋅ n̂1 = F ⋅ −  cos ϑ i + sin ϑ j  =
  

    
= −  a cos ϑ + za sin ϑ  cos ϑ +  a sin ϑ + za cosϑ  sin ϑ  = − a
    

Quindi

∫∫ F ⋅ nˆ 1 dS1 = − a ∫∫ dS1 = − 4π a 3 3
σ1 σ1

Usando le coordinate sferiche, sulla parte sferica è

x = 2a sin φ cos ϑ y = 2a sin φ sin ϑ z = 2a cos φ

dove
π π
0 ≤ ϑ ≤ 2π ≤φ ≤ π,
6 6

pertanto

5
π
2π 6
1
∫∫ F ⋅ r dS 2 = 2a ∫ dϑ ∫ 4a 2 sin φ dφ = 16a 3 3π
2a ∫∫
F ⋅ nˆ dS 2 =
2222

σ 1 σ2 0 π
6

39
Quindi

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = 12a 3π 3

Infine, tenuto presente che l’elemento di volume in coordinate sferiche è

dV = ρ 2 sin φ dφ dϑ dρ

Abbiamo

π
2π 2 2a

∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = 3 ∫∫∫ dV = 6 ∫ dϑ ∫ sin φ dφ ∫ ρ 2 dρ = 12 3a 3π


D D 0 π a
6 sin φ

Osservazione

L’equazione del cilindro x + y = a in coordinate sferiche è


2 2 2

ρ 2 sin 2 φ (cos 2 ϑ + sin 2 ϑ ) = ϑ 2 ovvero ρ 2 sin 2 φ = a 2

a
a
da cui ρ=
sin φ
a 2a

40
Esempio 5

Un dominio conico D con vertice in (0,0,b) e asse lungo l’asse z ha come base un disco T di raggio
a sul piano xy. Determinare il flusso di:

F= x+ y ( 2
) i + (3x 2
)
y + y 3 − x 3 j + ( z + 1) k

che attraversa la frontiera σ della parte conica del dominio D ovvero la superficie σ di equazione:

b
z =b− x2 + y2 b>0
a

Soluzione

Utilizzando il teorema di Gauss abbiamo:

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫∫ D
∇ ⋅ F dV − ∫∫
T
F ⋅ n̂ dS

Ora calcoliamo i due integrali alla destra della relazione precedente:

∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = ∫∫∫ [2 + 3 (x + y2 )] dV = 23 a bπ + 3∫∫∫ (x )


+ y 2 dV
2 2 2

D D D

Essendo:

∫∫∫ (x ) (x )
 b 2 
2
+ y 2 dV = ∫∫ 2
+ y2 b − x + y 2  dx dy
D T  a 

Utilizzando le coordinate polari si ottiene:


 ρ πba 4
∫∫∫ (x ) dV = b ∫ dϑ ∫
a
2
+y 2
ρ 1 −  ρ dρ =
2

D 0 0  a 10

Oppure se indichiamo con c(z) il disco:

41
a2
x + y ≤ 2 (b − z ) 0≤ z≤b
2 2
2

Si ha:

a
(b − z )

πba 4
∫∫∫ ( x ) dV = ∫ (x ) dx dy =∫
b b b
2
+y 2
dz ∫∫ 2
+y 2
dz ∫ dϑ ∫ ρ dρ =
3

D 0 c( z) 0 0 0
10

Pertanto:

2 2 3
∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = ba π + ba 4π .
D
3 10

Ora tenuto presente che su T è z=0, abbiamo:

∫∫ F ⋅ n̂ dS = ∫∫ F ⋅ (− k ) dS = − ∫∫ ( z + 1) dx dy = − ∫∫ dx dy = − π a 2
T T T T

Quindi:

2 2 3
∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ba π + b a 4π + π a 2
3 10

METODO DIRETTO

Su σ abbiamo:

( ) (
F = x + y i + 3 x y + y − x j + 1 + b −
2 2 3 3
)  b 
x2 + y2  k
 a 

e
 ∂z ∂z 
n̂ dS =  − i − j + k  dx dy
 ∂x ∂y 

Pertanto:

42
 b  x 2 + xy 2 3 x 2 y 2 + y 4 − x 3 y  b 2 
F ⋅ n̂ dS ∫∫
=   +  + + − + 2
 dx dy.
∫∫σ   
1 b x y

  x +y x +y
a 2 2 2 2 a
T  

Osservato che per la simmetria (giustificare!) è:

xy 2 x3 y
∫∫ T x2 + y2
dx dy = ∫∫
T x2 + y2
dx dy = 0

Segue che:

 x 2 + 3x 2 y 2 + y 4  3x 2 y 2 + y 4 − y 2
b  2 
( ) π
b
∫∫σ a ∫∫ ∫∫
F ⋅ n̂ dS = − x 2
+ y dx dy + 1 + b a 2
= dx dy
T 
 x +y
2 2  a x +y
2 2
 T

Utilizzando le coordinate polari si ottiene

2π a 2π
3x 2 y 2 3 a5 3 a5
∫∫ dx dy = 3 ∫ cos ϑ sin ϑ dϑ ∫ 2 2
ρ dρ =
2
∫ sin 2ϑ dϑ =
2
π
T x2 + y2 0 0
4 5 0
4 5

2π 2π
1 + cos 4ϑ  a 5π  3 
a
y 4 dxdy 1 a5 
∫∫ = ∫ sin ϑ dϑ ∫
4
ρ dρ =
4
∫ 1 − 2 cos 2ϑ +  dϑ =  
T x2 + y2 0 0
4 5 0  2  5 4

2π a
y2 a3
∫∫ dx dy = ∫ sin ϑ dϑ ∫
2
ρ dρ = π
2

T x2 + y2 0 0
3

Quindi

b 3 5 a3 
 + (1 + b )π a 2 = ba 4π + ba 2π .
3 2
∫∫σ F ⋅ n̂ dS =  a π − π
a  10 3  10 3

43
Esempio 6

Sia σ quella parte della superficie cilindrica di equazione y + z = 1 che si trova nel 1 ° ottante
2 2

compresa tra i piani x = 0 e x = 1.

Calcolare il flusso del campo vettoriale

F = 3 xz i − x j − y k
2

uscente da σ

Svolgimento

E’ opportuno utilizzare le coordinate cilindriche; allora l’equazione di σ è ρ = 1 0 ≤ x ≤ 1 .


La superficie σ interseca il piano yz nella curva C di equazioni parametriche

π
y = cos ϑ , z = sin ϑ 0 ≤ϑ ≤
2
pertanto risulta dS = dϑ . Essendo sulla superficie laterale del cilindro

dS = dϑ dx , F = 3 x sin 2 ϑ i − x j − cos ϑ k , n̂ = cos ϑ j + sin ϑ k

Segue che su σ è

F ⋅ n̂ dS = (− x cos ϑ − cos ϑ sin ϑ ) dϑ dx

quindi

π
2 1

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = − ∫ dϑ ∫ ( x cos ϑ + cos ϑ sin ϑ ) dx = −1 .


0 0

Oppure
se indichiamo con D il solido così definito:
 
D =  ( x, y , z ) : y 2 + z 2 ≤ 1, y ≥ 0, z ≥ 0, 0 ≤ x ≤ 1
 

per il Teorema di Gauss risulta

∫∫σ F ⋅ n̂ dS = ∫∫∫ ∇ ⋅ F dV − ∫∫ F (−k) d σ 1 − ∫∫ F (−i) d σ 2 − ∫∫ F (− j) d σ 3 − ∫∫ F ( i) d σ 4


D σ 1 σ2 σ 3 σ4

dove il significato di σ i i = 1,2,3,4 è ovvio.

44
Essendo

1 1
F ⋅ (−k) dS1 = ∫∫ y dx dy = ∫ dx ∫ y dy =
1
∫∫
σ σ1 0 0
2
1

∫∫ F ⋅ (−i) dS 2 = ∫∫ − 3 xz 2 dx dz = 0 su σ 2 è z = 0
σ2 σ2

1 1
F ⋅ (− j) dS 3 = ∫∫ x dx dz = ∫ dz ∫ x dx =
1
∫∫
σ σ3 0 0
2
3

()
2 1
3
∫∫ F ⋅ î dS 4 = ∫∫ 3 z dx dz =3 ∫ sin 2 ϑ dϑ ∫ ρ 3 dρ =
2
π
σ4 σ4 0 0
16

∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = 3∫∫∫ z dV = 3 ∫ dx ∫∫ z 2 dz dy
2

D D 0 C (x)

dove C(x) denota il disco z + y ≤ 1, z ≥ 0, y≥0


2 2

pertanto

π
1 2 1
3
∫∫∫ ∇ ⋅ F dV = 3 ∫ dx ∫ sin ϑ dϑ ∫ ρ 3 dρ =
2
π
D 0 0 0
16

quindi

3 1 1 3
∫∫σ F ⋅ n̂ dS = π − − − π = −1
16 2 2 16

45
Esempio 7

Verificare il teorema di Gauss nel caso in cui

D= { ( x, y , z ) x 2
+ y 2 + ( z − a ) ≤ 4a 2 , z ≥ 0
2
}
( ) (
F = F( x, y, z ) = x 2 + y + 2 + z 2 i + e x + y 2 j + (3 + x ) k .
2
)
Svolgimento

La frontiera del dominio D è costituita da quella parte S della superficie sferica che sta sul piano
x y:

x 2 + y 2 + ( z − a ) = 4a 2 z≥0
2

E dal disco T : x 2 + y 2 ≤ 3a 2 , z = 0 . Quindi dobbiamo verificare che

∫∫∫ ∇ ⋅ F dv = ∫∫ F ⋅ (− k ) dA + ∫∫ F ⋅ N dS
D T S

A tale scopo calcoliamo separatamente i tre integrali dell’uguaglianza precedente.

i) Poiché D è simmetrico rispetto ai piani x = 0 e y = 0 , risulta

∫∫∫ ∇ ⋅ F dv = ∫∫∫ (2 x + 2 y ) dx dy dz = 0
D D

∫∫ F ⋅ (− k ) dS = −∫∫ (3 + x ) dx dy = −3∫∫ dx dy = −9π a


2
ii)
T T T

iii) Per calcolare

∫∫ F ⋅ N dS
S

Facciamo il seguente cambiamento di variabili

x = x, y = y z = a + u

e poniamo F( x, y, a + u ) = G ( x, y, u ) . Allora il valore del flusso dato dall’integrale


precedente è uguale al flusso, del campo vettoriale G , uscente da quella parte della sfera di
equazione

x 2 + y 2 + u 2 = 4a 2 u ≥ −a

46
Ovvero che sta sul piano u = −a (vedi figura).

u z

3a
a
α y
−a
y

Per il calcolo di

G ⋅ ( x i + y j + u k ) dS =
1 3
∫∫ F ⋅ N dS =
S
∫∫
2a S 2a ∫∫ dS
S

Dove si è tenuto conto delle simmetrie gia menzionate, usiamo le coordinate sferiche. A tale
scopo, tenuto presente che
3 π
cos α = ⇒ α=
2 6

π π 2
Si evince che 0≤φ ≤ + = π.
2 6 3

Quindi
2
π
∧ 2π 3

∫∫ F ⋅ N dS = 3 ∫ dϑ ∫ 4a sin φ cos φ dφ = 9π a 2
2

S 0 0

Il che completa quanto volevamo verificare.

47
TEOREMA DI GREEN
Le formule
∂f
∫∫ ∂x dx dy = ∫ f ( x, y ) dy
D C
[1]

∂f
− ∫∫
D
∂y
dx dy = ∫ f ( x, y ) dx
C
[2]

note come formule di Green sono due relazioni semplici ma molto importanti fra gli integrali estesi
ad un dominio piano e gli integrali estesi alla frontiera del medesimo.
Nelle suddette formule f è di classe C ( ) ( D ) ; C è il contorno orientato del dominio D considerato
1

come una superficie con orientazione data da n$ = k . Pertanto C è orientato positivamente se quando
si percorre C secondo il suo orientamento il dominio D si trova alla sua sinistra.
Per dimostrare la validità delle formule [1] e [2] supponiamo che in un primo momento che il do-
minio D sia y-semplice ovvero che sia delimitato dalle due rette verticali x = a , y = b e dai grafici
C1 e C2 delle funzioni rispettivamente di equazioni
y = ϕ1 ( x ) e y = ϕ2 ( x ) con a ≤ x ≤ b e ϕ1 ( x ) ≤ ϕ 2 ( x ) .

Dove ϕ1 e ϕ2 si suppongono continue con le loro derivate prime.


Premesso che nelle suddette ipotesi risulta
d ϕ2 ( x ) ϕ2 ( x )
∫ϕ ( )
f ( x , y ) dy = ∫ϕ ( )
f x ( x, y ) dy + f  x, ϕ2 ( x )  ϕ2' ( x ) − f  x, ϕ1 ( x )  ϕ1' ( x )
dx 1 x 1 x

Si ottiene
∂f ϕ2 ( x )
f x ( x, y ) dy =
b
1) ∫∫ ∂x dx dy = ∫
D
a
dx ∫
ϕ1 ( x )

b d ϕ2 ( x ) 
=∫  ∫ f ( x, y ) dy − f  x, ϕ2 ( x )  ϕ2' ( x ) + f  x, ϕ1 ( x )  ϕ1' ( x )  dx =
a dx ϕ1 ( x )
 
ϕ2 ( b ) ϕ2 ( a )
f ( b, y ) dy − ∫ f ( a, y ) dy + ∫ f ( x, ϕ1 ( x ) ) ϕ1' ( x ) dx − ∫ f ( x, ϕ2 ( x ) ) ϕ2' ( x ) dx =
b b
=∫
ϕ1 ( b ) ϕ1 ( a ) a a

= ∫ f ( x, y ) dy + ∫ f ( x, y ) dy + ∫ f ( x, y ) dx + ∫ f ( x, y ) dx = ∫ f ( x, y ) dy
C3 C4 C1 C2 C

Negli integrali curvilinei precedenti C3 e C4 denotano i segmenti delle rette x = b e x = a che ap-
partengono alla frontiera C del dominio D
∂f
( f  x,ϕ ( x )  − f  x, ϕ1 ( x ) ) dx = ∫ f ( x, y ) dx
ϕ2 ( x )
f y ( x, y ) dy = ∫
b b
2) ∫∫ ∂y dx dy = ∫
D
a
dx ∫
ϕ1 ( x ) a
2
C

Nel caso in cui il dominio D è x-semplice si hanno forme analoghe, e la dimostrazione (con le op-
portune modifiche) è la stessa.

2
Passiamo ora la caso generale:
Sia D un dominio con frontiere C regolare a tratti e che possiede la proprietà seguente: la sua chiu-
sura può essere suddivisa, da rette parallele agli assi coordinati x e y in numero finito di sottodomini
Dk ciascuno dei quali è un dominio y-semplice, x-semplice o entrambi (i domini rettangolari).
∂f ∂f
∫∫ ∂x dx dy = ∑ ∫∫ ∂x dx dy = ∑ ∫ f ( x, y ) dy
D k Dk k Ck

La frontiera generale per tutti i domini Dk è composta da C e da un numero finito di segmenti, cia-
scuno dei quali appartiene a D ed è comune a due domini vicini. Pertanto ogni segmento è percorso
due volte in direzioni opposte, perciò gli integrali curvilinei corrispondenti a questi percorsi si com-
pensano mutuamente e resta solo l’integrale esteso C. Pertanto

∑ ∫ f ( x, y ) dy = ∫ f ( x, y ) dy
k Ck C

e la dimostrazione è completa.
Dalle formule di Green segue il Teorema di Green.
Teorema di Green
Siano C, C1, …, Cn n curve semplici, chiuse, lisce a pezzi con le seguenti proprietà:
1) Le curve non hanno punti comuni;
2) Le curve C1, …, Cn stanno all’interno di C;
3) La curva Ci sta nell’esterno della curva Cj, ∀ i ≠ j dove i = 1, 2,..., n , j = 1, 2,..., n .
Sia R la regione costituita dall’unione di C con quella parte dell’interno di C che non è interna a C1,
C2, …, Cn. Sia F = F1 ( x, y ) i + F2 ( x, y ) j un campo vettoriale liscio in un aperto Ω contenente R,

allora
 ∂F ∂F  n

∫∫R  ∂x2 − ∂y1  dx dy = ∫ F1 ( x, y ) dx + F2 ( x, y ) dy − ∑ ∫ F1 ( x, y ) dx + F2 ( x, y ) dy


C k =1 Ck

Fig. 1

In particolare se R è una regione limitata semplicemente connessa e C è la sua frontiera allora

3
 ∂F2 ∂F1 
∫∫  ∂x
R

∂y 
 dx dy = ∫ F ( x, y ) dx + F ( x, y ) dy
C
1 2

In questa formula si deve considerare R come una superficie orientata con normale k.

Se R è una regione connessa chiusa e limitata del piano xy il suo contorno C è costituito da più cur-
ve chiuse semplici, lisce a pezzi, e che sono orientate positivamente. In particolare se R è un domi-
nio semplicemente connesso, allora C sarà orientata nel verso orario; se R ha dei buchi in tal caso il
contorno dei buchi sarà orientato nel verso orario. (vedi figura)

Comunque se indichiamo con Tˆ la tangente unitaria a C e con N̂ la normale unitaria a C che punta
all’esterno di R, a causa dell’orientamento di C questi settori devono soddisfare l’equazione
vettoriale Nˆ = Tˆ × kˆ .
Pertanto se C è parametrizzata per mezzo della lunghezza d’arco, allora

 iˆ ˆj kˆ 
r 
dr ˆ dx ˆ dy ˆ dx dy dy ˆ dx ˆ
=T = i + j N =T ×k = 
ˆ ˆ ˆ 0 = i− j
ds ds ds  ds ds  ds ds
 0 0 1
 

e risulta

( )
r  dx 
+ (− F1 ) −  = F2 iˆ − F1 ˆj ⋅ Nˆ
dx dy dy
F ⋅ Tˆ = F1 + F2 = F2
ds ds ds  ds 

La forma vettoriale della formula precedente, ovvero

( )
r
 Se C è orientata positivamente (1)
∫∫ ∇ × F ⋅ kˆdA
r r  R
∫ F ⋅ dr = 
C
 ∫∫
( )( )
 ∇ × Fr ⋅ − kˆ dA
Se C è orientata negativamente (2)
R

4
(1) (2)

corrisponde al teorema di Stokes nel piano (vedi paragrafo successivo).

Esempio N°1
Con l’ausilio delle formule di Green, calcolare

I = ∫∫ ye x
D
( 2
+ y 2 −1
+ y 3e x
2
+ y 2 −1
) dx dy
dove D è quella parte del disco x 2 + y 2 ≤ 1 che sta nel 1° quadrante.

Svolgimento
Osservato che

ye x
2
+ y 2 −1
+ y 3e x
2
+ y 2 −1
=
1
2
(
2 ye x + y −1 + y 2 2 ye x + y −1 =
2 2 2 2 1 ∂ 2 x2 + y 2 −1
2 dy
ye )
Utilizziamo la formula
∂f
∫∫ ∂y dx dy = − ∫ f ( x, y ) dx .
D C

Allora
1 ∂f 1
∫ f ( x, y ) dx f ( x, y ) = y 2 e x + y 2 −1
I= ∫∫ dx dy = −
2

2 D ∂y 2 C

dove C è costituita dagli archi


C1 : x = t , y = 0 0 ≤ t ≤1

π
C2 : x = cos t , y = sin t 0≤t ≤
2
C3 : x = 0, y = t 0 ≤ t ≤1

Poiché su C1 è f ( t , 0 ) = 0 e che su C3 è dx = 0 , si ha:

(1 − cos t ) sin t dt = − 23
π 2 π 2
∫ f ( x, y ) dx = ∫ f ( x, y ) dx = − ∫ sin 2 t sin t dt = − ∫ 2
0 0
C C2

5
quindi I = 1 3 . Per verificare l’esattezza del risultato ottenuto calcoliamo l’integrale doppio. Risulta

( )
1− x 2 ∂ 1 1 1
I=
1 1
2 ∫0
dx ∫0 ∂y
y 2 x 2 + y 2 −1
e dy =
1 1
2 ∫0
(1 − x 2 ) dx = 1 −  =
2 3 3

Un’applicazione del teorema di Green


L’integrale doppio che dà l’area a(R) di una regione piana R si può esprimere nella forma:

∂Q ∂P
a ( R) = ∫∫ dxdy = ∫∫ ( − )dxdy
R R
∂x ∂y

dove P=P(x,y) e Q=Q(x,y) sono tali che


∂Q ∂P
− =1
∂x ∂y

Per esempio se nella formula che specifica il teorema di Green prendiamo F=xj abbiamo:

∫∫ dxdy = ∫ xdy
R C

pertanto se Q=x e P=0 si ottiene


a ( R) = ∫ xdy
C

Se prendiamo F=-yj abbiamo:

∫∫ dxdy = −∫ ydx
R C

pertanto se Q=0 e P=-y si ottiene


a ( R) = − ∫ ydx
C

Infine, da quanto precede, si evince anche la formula

1
2 C∫
a( R) = − ydx + xdy .

6
Esempio N°2
Applicare il teorema di Green per calcolare l’integrale
I= ∫y dx + x dy
2

dove C è la curva di equazioni parametriche


x = 2 cos3 t , y = 2 sin 3 t 0 ≤ t ≤ 2π

Svolgimento
Per il teorema di Green è

I= ∫y
2
dx + x dy = ∫∫ (1 − 2 y ) dx dy = ∫∫ dx dy
C D D

in quanto, per simmetria è

∫∫ y dx dy = 0 .
D

Risulta
2 2 sin 3 t 2
∫∫ dx dy = 4∫ dx ∫
D
0 0
dy = 4 2 ∫ sin 3 t dx
0

da cui, tenuto presente che x = 2 cos3 t e 0 ≤ t ≤ 2π , si ha

sin 4 t (1 − sin 2 t ) dt .
π 2
∫∫ dx dy = 24∫
D
0

Utilizzando la formula di ricorrenza (che si deduce integrando per parti)


cos t sin k −1 t k − 1
∫ sin t dt = −
k
+ ∫ sin k − 2 t dt
k k
si ottiene che
π 2 3 π 2 5
∫ sin 4 t dt = π, ∫ sin 6 t dt = π
0 16 0 32
quindi
 3 5  3
I= ∫y
2
dx + x dy = 24  −  π = π .
C  16 32  4

Oppure
sin 2 2t
sin 2 t ( sin 2 t cos 2 t ) dt = ∫
π 2 π 2 π 2

0
sin 4 t cos 2 t dt = ∫
0 0
sin 2 t
4
dt =

1 π 1 π 2 1 − cos 4t π
(1 − cos 2t ) sin 2 2t dt = ∫0
2

8 ∫0
= dt =
8 2 32

7
TEOREMA DI STOKES

Il teorema di Stokes costituisce una generalizzazione del teorema di Green relativa a superfici dello
spazio tridimensionale non necessariamente piane.
Sia S una superficie orientata dello spazio tridimensionale, liscia a pezzi, avente campo normale

unitario n$ il cui contorno C consiste di una o più curve chiuse, continue a pezzi con orientazione
ereditata da S. Se F è un campo vettoriale liscio, definito su un insieme aperto contenente S, allora:

∫∫ ∇ ×F ⋅ n$ dS = ∫ F ⋅ dr
S C

Stabiliremo la validità della formula per una superficie liscia S che abbia una proiezione normale
biunivoca sul piano xy e che il campo della sua normale unitaria punti verso l’alto. Pertanto su S, z è
una funzione di classe C1 , definita per (x,y) appartenente a una regione R del piano xy : z = f
(x,y).
I contorni C di S e C* di R sono entrambi orientati in senso antiorario, guardando dall’alto lungo
l’asse z.In questo caso è:
 ∂f ∂f 
n$ dS =  − i - j + k  dx dy
 ∂x ∂y 

Pertanto:

 ∂F3 ∂F2   ∂z   ∂F1 ∂F3   ∂z   ∂F2 ∂F1  


∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = ∫∫  ∂y
S R
− −  +  − −  +  −
∂z   ∂x   ∂z ∂x   ∂y   ∂x ∂y  
  dA

Poiché z è una funzione di x e y,su C abbiamo

∂z ∂z
dz = dx + dy .
∂x ∂y
  ∂z ∂z 
Quindi: ∫ F ⋅ dr = ∫  F ( x, y, z ) dx + F ( x, y, z ) dy + F ( x, y, z )  ∂x dx + ∂y dy   =
1 2 3
C C∗

 ∂z   ∂z  
∫  F ( x, y, z ) + F ( x, y, z ) ∂x  dx +  F ( x, y, z ) + F ( x, y, z ) ∂y  dy  .
1 3 2 3
C∗

8
Applicando ora il teorema di Green nel piano xy e ricordando che z è funzione di x e y otteniamo:
∂  ∂z  ∂   ∂z   
∫ F ⋅ dr = ∫∫  ∂x  F ( x, y, z) + F ( x, y, z) ∂y  − ∂y  F ( x, y, z) +  F ( x, y, z) ∂x   dA =
S R
2 3 1 3

 ∂F2 ∂F2 ∂z ∂F3 ∂z ∂F3 ∂z ∂z ∂ 2 z ∂F1 ∂F1 ∂z ∂F3 ∂z ∂F3 ∂z ∂z ∂2z 


= ∫∫  + + + + F3 − − − − − F3 dA =
R 
∂x ∂z ∂x ∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂x∂y ∂y ∂z ∂y ∂y ∂x ∂z ∂y ∂x ∂y∂x 

 ∂F ∂F   ∂z   ∂F ∂F   ∂z   ∂F ∂F  
= ∫∫  3 − 2   −  +  1 − 3   −  +  2 − 1   dA =
R 
∂y ∂z   ∂x   ∂z ∂x   ∂y   ∂x ∂y  

= ∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS
S

La dimostrazione è così completata.

OSSERVAZIONE Se ∇ × F = 0 in un dominio D dotato della proprietà che ogni curva chiusa sem-

plice e liscia a pezzi contenuta in D, allora il teorema di Stokes assicura che ∫ F ⋅ dr = 0 per qualun-
S

que curva C di questo tipo, per cui F deve essere conservativo. Un dominio semplicemente connes-
so D ha effettivamente la proprietà appena specificata: una curva chiusa C di un dominio semplice-
mente connesso D è la frontiera di una superficie di D.

Come per il teorema della divergenza, l’importanza maggiore del teorema di Stokes risiede
nell’essere uno strumento teorico. Tuttavia esso permette di semplificare il calcolo di integrali di
circuitazione come illustrato dai seguenti esempi.

ESEMPIO N° 1

∫ F ⋅ dr dove F = - y i + x3 j − z 3 k , e C è la curva d’intersezione del cilindro x 2 + y 2 = 1


3
Calcolare
C

e del piano 2 x + 2 y + z = 3 , orientata in modo da avere una proiezione con orientamento antiorario
sul piano xy .

Svolgimento
C è il contorno orientato di un disco ellittico D che si trova nel piano 2x + 2y + z = 3 e che ha il di-
sco circolare R: x2 + y2 ≤ 1 come proiezione sul piano xy. Su S abbiamo
n$ dS = ( 2 i + 2 j + k ) dx dy ,

9
inoltre
∇ × F = 3( x2 + y2 ) k

Quindi per il teorema di Stokes


1

∫C F ⋅ dr = ∫∫S ∇ × F ⋅ n$ dS = ∫∫R 3( x + y ) dx dy = 2π ∫0 3ρ ρ d ρ = 2
2 2 2

ESEMPIO N° 2

Calcolare ∫ F ⋅ dr , dove:
C

F = ye x i + ( x + e x ) j + z 2 k

C: x = 1 + cos t y = 1 + sin t z = 1 − sin t − cos t t ∈ [ 0, 2π ]

Svolgimento

i) Per il teorema di Stokes è

∫ F ⋅ dr = ∫∫ ∇ × F ⋅ n$ ds
C S

Dove S è la parte del piano di equazione z = 3 − x − y interna al cilindro di equazione: x = 1 + cos t ,

y = 1 + sin t t ∈ [ 0, rπ ] .

Pertanto essendo

n$ dS = ( i + j + k ) dx dy e ∇ × F = k

Si evince che

∫ F ⋅ dr = ∫∫ ∇ × F ⋅ n$ ds = ∫∫ dx dy = π
C S T

Dove T è la proiezione di S sul piano xy ovvero {( x, y ) : ( x − 1) 2 2


}
+ ( y − 1) ≤ 1

ii) Osservato che F = ( ye x i + e x j + z 2 k ) + x j = F1 + x j e che F1 è conservativo, segue che

10

∫ F ⋅ dr = ∫ F ⋅ dr + ∫ x dy = ∫ (1 + cos t ) cos t dt = π
C C
1
C 0

∫ F ⋅ dr = ∫ ye dx + ( x + e x ) dy + z 2 dz
x
iii)
C C

∫ {−e (1 + sin t ) e sin t + (1 + cos t + eecos t ) cos t + [1 − (sin t − cos t )] (sin t − cos t ) dt = }
cos t 2

2π 2π

eecos t | − e ∫ ecos t sin 2 t dt + π + e ∫ ecos t cos t dt = π
0
0 0

In quanto

2π 2π 2π

∫ e cos t dt = sin t e | + ∫ e sin t dt = ∫e
cos t cos t cos t 2 cos t
sin t dt
0
0 0 0

∫ 1 − ( sin t + cos t ) ( sin t − cos t ) dt = 0 .


2

ESEMPIO N° 3

Disegnare la curva C : r ( t ) = sin t i + sin 2t j 0 ≤ t ≤ 2π e calcolare

∫ F ⋅ dr
C
dove F = ye 2 x i + x3e y j

Svolgimento
Da x = sin t e y = sin 2t = 2 sin t cos t segue x = sin t , y / 2 x = cos t . Da cui x 2 + y 2 / 4 x 2 = 1

Ovvero y = −2 x 1 − x 2 y = 2x 1 − x2

I cui grafici sono rispettivamente:

⇒ R1 R2

-1 1 -1 1

11
Dunque C è la frontiera di una regione R unione di due regioni R1 e R2 . Osservato che

π  1  π 3  1 
t = 0 → ( 0, 0 ) , t= → ,1  , t= → (1, 0 ) t = π → , −1  ,
4  2  2 4  2 

5  1  3
t = π → ( 0, 0 ) , t = π →  − ,1 , t = π → ( −1, 0 ) , t = 2π → ( 0, 0 )
4  2  2

Si evince che la frontiera di R1 è percorsa a partire da (0,0) nel verso positivo (antiorario), le fron-

tiere di R2 è percorsa nel verso negativo (orario).

Allora su R1 è n$ = k , su R2 è n$ = −k

Poiché R1 e R2 sono simmetriche rispetto all’asse y e

(
rot F = ∇ × F = 3x 2 e y − e x k
2

)
è pari in x, abbiamo

∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = −∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS
R1 R2

Quindi

∫ F ⋅ dr = ∫∫ ∇ × F ⋅ n dS = ∫∫ + ∫∫
C R R1 R2
=0

ESEMPIO N° 4

Se C è il contorno orientato positivamente di una regione piana R avente area A e centroide ( x , y ) ,

interpretare geometricamente l’integrale di linea

∫ F ⋅ dr
C
dove: a) F = x 2 j ; b) F = xy j ; c) F = y 2 i + 3 xy j .

Svolgimento
Per il teorema di Stokes (essendo R una regione piana) ho
 ∂F2 ∂F1 
∫ F ⋅ dr = ∫∫  ∂x
C R

∂y 
 dA

Allora
a) ∫ F ⋅ dr = ∫∫ 2 x dA = 2 Ax
C R

b) ∫ F ⋅ dr = ∫∫ − x dA = − Ax
C R

12
c) ∫ F ⋅ dr = ∫∫ ( 3 y − 2 y ) dA = Ay
C R

ESEMPIO N° 5

Calcolare

∫ ( xy dx + yz dy + zx dz)
C

lungo il contorno del triangolo con vertici (1,0,0), (0,1,0), (0,0,1), orientato in senso orario guardan-
dolo dal punto(1,1,1).

Svolgimento
C giace sul piano z = 1 − x − y ed è il contorno di quella parte S del piano la cui proiezione sul piano
xy è il dominio limitato T che ha come frontiera il triangolo con vertici (1,0), (0,1) e (0,0). Ovvia-
mente

∫ xy dx + yz dy + zx dz = ∫ F ⋅ dr
C C
dove F = xy i + yz j + zx k .

Per il teorema di Stokes è

∫ F ⋅ dr =∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS
C S

Essendo
1
∇×F = y i − z j− x k , n$ = − ( i + j + k ) e dS = 3 dx dy e tenuto presente che su S è
3
x + y + z = 1 , si ha
1 1
∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = ∫∫ ( x + y + z ) dS = ∫∫ dx dy =
S S 3 T
2

Quindi
1
∫ xy dx + yz dy + zx dz = 2
C

ESEMPIO N° 6

Calcolare

∫ ( y dx − x dy + z
2
dz )
C

13
Lungo la curva C d’intersezione delle superfici cilindriche z = y 2 e x 2 + y 2 = 4 ; la curva è orientata
in senso antiorario vista dall’alto lungo l’asse z.

Svolgimento
La curva C è il contorno di quella parte S della superficie cilindrica z = y 2 la cui proiezione T sul

piano xy è il disco x 2 + y 2 ≤ 4 . Ovviamente

∫ y dx − x dy + z dz = ∫ F ⋅ dr F = y i − x j + z2 k
2
dove
C C

Per il teorema di Stokes è

∫ F ⋅ dr = ∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS
C S

essendo
1
∇ × F = −2 k , n$ = ( −2 y j + k ) e dS = 5 dx dy
5
risulta
−2
∫ F ⋅ dr = ∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = ∫∫ dS = −2 ∫∫ dx dy = −2 ( 4π ) :
C S S 5 T

quindi

∫ y dx − x dy + z
2
dz = −8π .
C

ESEMPIO N° 7

Calcolare

∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS
S

Dove S è la semisfera x 2 + y 2 + z 2 = a 2 con normale esterna crescente e

F = 3 y i − 2 xz j + ( x 2 − y 2 ) k

Svolgimento
Il contorno C di S ovvero la circonferenza x 2 + y 2 = a 2 e anche il contorno del disco

T : x 2 + y 2 ≤ a 2 e z = 0 . Allora

14
∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = ∫ F ⋅ dr =∫∫ ∇ × F ⋅ k dA
T C T

essendo ( ∇ × F ) ⋅ k = −3z − 3 e z = 0 su T segue che

∫∫ ∇ × F ⋅ k dA = ∫∫ dx dy = −3π a
2
.
T T

ESEMPIO 8

Calcolare

∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS
S

Dove S è la superficie x 2 + y 2 + 2 ( z − 1) = 6, z ≥ 0 , n$ è la normale esterna (rispetto all’origine) su


2

S, e

F = ( xz − y 3 cos z ) i + x 3e z j + xyz e x + y2 + z2
2
k

Svolgimento
Il contorno C di S ovvero x 2 + y 2 = 4 è anche il contorno del disco T : x 2 + y 2 ≤ 4 e z = 0 .
Allora

∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = ∫ F ⋅ dr = ∫∫ ∇ × F ⋅ k dA
S C S

Essendo
∇ × F ⋅ k = 3 x 2 e z + 3 y 2 cos z e z = 0 su T segue che

∫∫ ∇ × F ⋅ k dA = 3∫∫ ( x + y 2 ) dx dy
2

S T

Da cui, usando le coordinate polari, si ha


2π 2

∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = 3 ∫ dσ ∫ ρ d ρ = 24π
3

S 0 0

ESEMPIO N° 9

Sia C la curva
( x − 1)2 + 4 y 2 = 16

2 x + y + z = 3
orientata in senso antiorario quando guardata dall’alto dall’asse z. Sia

15
F = ( z 2 + y 2 + sin x 2 ) i + ( 2 xy + z ) j + ( xz + 2 yz ) k .

calcolare

∫ F ⋅ dr
C

Svolgimento
C è la frontiera, orientata nel verso antiorario, del disco ellittico S che sta sul piano 2 x + y + z = 3 ,
ovvero sul piano z = −2 x − y + 3 . S ha normale unitaria

1
n$ = (2 i + j + k )
6
Essendo

∇ × F = ( 2 z − 1) i + z j

Si ha

( 5 z − 2 ) dS F
∫ F ⋅ dr = ∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = ∫∫
C S S 6

( x − 1)
2
y2
Osservato che S ha una proiezione biunivoca su T: + ≤ 1 la cui area è 4 ⋅ 2 ⋅ π = 8π
16 4

segue che
1
∫ F ⋅ dr = ∫∫ 5 ( 3 − 2 x − y ) − 2 6 dx dy = ∫∫ (13 − 10 x − 5 y ) dx dy
C T 6 T

Osservato che le coordinate del centroide di T sono x = 1 e y = 0 , si evince che

∫∫ y dx dy = 0
T
∫∫ x dx dy = 1
T

16
quindi

∫ F ⋅ dr = ∫∫ (13 − 10 x ) dx dy = 13 ( area di T ) − 10 x ( area di T )


C T

ESEMPIO N° 10

Mediante il teorema di Stokes dimostrare che

∫ y dx + z dy + x dz = 3π a 2
C

Dove C è l’ intersezione, orientata convenientemente, delle superfici:

x 2 + y 2 + z 2 = a 2 e x + y + z = 0.

Svolgimento
Il cerchio C, intersezione della sfera x 2 + y 2 + z 2 = a 2 con il piano x + y + z = 0 , è la frontiera del
disco D che sta sul piano x + y + z = 0 .
Osservando che

∫ y dx + z dy + x dz = ∫ ( y i + z j + x k ) ⋅ dr = ∫ F ⋅ dr
C C C

(ovviamente è F = y i + z j + x k ) per il teorema di Stokes risulta:

∫ F ⋅ dr = ∫∫ ∇ × F ⋅ n$ dS = ∫∫ ( −i + j + k ) ⋅ n$ dS
C D D

Essendo su D (che sta sul piano di equazione z = − x − y )


1
n$ = ± (i + j + k )
3
segue che

∫ F ⋅ dr = 3 ∫∫ dS = 3π a 2
C D

17
Si è tenuto conto del fatto che l’integrale al secondo membro è l’area del disco D. Ignorando ciò si
può procedere come segue. Poiché

 x2 + y2 + z 2 = a 2 2 x 2 + 2 y 2 + 2 z 2 = a
 ⇒ 
x + y + z = 0  z = − ( x + y )

Segue che il disco D si proietta sul piano xy nel dominio T la cui frontiera è la conica di equazione

2 x 2 + 2 y 2 + 2 xy = a 2 (3)

Ricordando (vedi rotazione di assi coordinati) che un’ equazione del tipo

Ax 2 + Bxy + Cy 2 + Dx + Ey + F = 0 B≠0 (4)

in un sistema di coordinate u,v ottenuto rotando (intorno all’origine) gli assi x,y di un angolo θ tale
che
A-B
cotg 2θ =
B
assume la forma
au 2 + cv 2 + du + ev + f = 0
ottenuta sostituendo le equazioni della rotazione degli assi:

 x = u cos θ − v sin θ

 y = u sin θ + v cos θ

nell’equazione (2) ne consegue che le equazioni (vedi Osservazione*)

 1
 x = 2
(u − v)

y = 1
(u + v)
 2

trasformano l’ equazione (1) nell’equazione

u2 v2
+ =1
(a 3 )
2
a2

18
a
ovvero in una ellisse di area aπ .
3
Quindi
a2
3 ∫∫ dS = ∫∫ dxdy = 3 π = 3πa 2
T T 3

(*) Osservazione. Nel caso dell’ equazione


2 x 2 + 2 xy + 2 y 2 = a 2
π π
è cotg 2θ = quindi θ = .
2 4

v y u

P
y
θ
u

v
θ
x x

19
1

TRASFORMATA DI LAPLACE

1. Introduzione.

In questo capitolo studieremo un operatore integrale noto come la trasformata di Laplace.


Prima di descrivere tale operatore integrale premettiamo alcune definizioni.
Una funzione F si dice continua a tratti in [a,b] se è definita e continua in [a,b], ad
eccezione, al più, di un numero finito di punti

x 0 = a < x1 < . . . < x n = b

in cui esistono finiti i limiti

lim + F( x) = F( xi + ) e lim − F( x) = F( xi − )
x → xi x → xi

Ovviamente in x = a ed in x = b hanno senso soltanto F(a+) e F(b-) rispettivamente.


In questo senso una funzione continua a tratti in [a,b] è continua in ciascuno degli intervalli
(xi , xi +1) . Per di più, indipendentemente dal fatto che F sia definita o meno nei punti xi
ed xi + 1 la si può ivi ridefinire in modo da renderla continua in xi , xi + 1 . [ ]
Una funzione F si dice regolare a tratti se è continua a tratti ed ha derivata F’ continua a
tratti, in [a , b] ; in altre parole se esiste una suddivisione finita di [a , b] :

a = x0 < x1 < ... < x n = b

in corrispondenza della quale F risulti di classe C1 in ( xi , xi + 1 ) , inoltre esistono finiti i


( ) ( ) ( ) (
limiti F xi + , F xi + 1− , F' xi + , F' xi + 1− . )
Se F è continua in [a , b] ed ha derivata F’ continua a tratti in [a , b] , diremo che F è
continua e regolare a tratti.
Premesso ciò, ricordiamo che se F è una funzione continua a tratti in [a,b] con
discontinuità in

x 0 = a < x1 < . . . < x n = b

allora F è integrabile su [a , b] e

F' (t) dt = lim+ ⎡ ∫ F(t) dt ⎤


b x 0 −h x1 − h b−h
∫ F(t) dt + ∫ F(t) dt + . . . + ∫
a h→ 0 ⎢
⎣ a+h x0 +h x n +h ⎥⎦

inoltre valgono i seguenti teoremi:


2

TEOREMA 1.1.
Sia F una funzione continua su [a , b] e derivabile in (a , b). Se F' è continua in (a, b) e
integrabile su [a , b] allora:
b
∫ a
F' (t)dt = F(b) - F(a) .

Dimostrazione.
Sia
∀ x ∈[a, b] .
x
f (x) = ∫ F' (t)dt
a

Essendo f continua su [a , b], derivabile in (a , b) con f ' = F' , segue che la funzione f − F
continua su [a , b] è costante su (a , b) e quindi, per continuità, su [a, b].
In particolare è

F (b) - f (b) = F (a) - f (a)

da cui, essendo f (a) = 0, si evince l’asserto:

b
F(b) - F(a) = f (a) = ∫ a
F' (t)dt .

TEOREMA 1.2.
Sia F una funzione continua e regolare a tratti su [a , b], allora

b
∫ a
F' (t)dt = F(b) - F(a)

Dimostrazione.
Supponiamo che F non sia derivabile nei punti

a = x o < x 1 < ... < x n = b

allora per definizione è


n -1
F' (t)dt = ∑
b xi
∫ a
i =1
∫ x i -1
F' (t)dt

da cui, tenuto presente che per il teorema precedente è

xi
∫ x i −1
F' (t) dt = F( x i ) - F( x i-1 )

si evince che
n -1
F' (t) dt = ∑ [ F( x i ) − F( x i-1 ) ] = F(b) - F(a).
b
∫ a
i =1
3

TEOREMA 1.3.
Se F e G sono due funzioni continue e regolari a tratti in [a , b] allora vale la formula di
integrazione per parti

b b
∫ - ∫ F' (t) G(t) dt
b
F(t) G' (t) dt = F(t) G' (t) a
a a

Dimostrazione.
Ovviamente la funzione FG è continua e regolare a tratti in [a , b], pertanto ad eccezione di
un numero finito di punti è

( F(t) G(t) )'= F(t) G'(t) + F'(t) G(t)

da cui, tenuto presente, il teorema precedente e che la funzione FG' e F'G sono
integrabili, si evince l’asserto.
In questo contesto saremo interessati a funzioni continue a tratti su ogni intervallo finito
[0 , b] per ogni b > 0, per brevità diremo che tali funzioni sono continue a tratti su [0 , +∞).
Saremo interessati anche a funzioni continue e regolari a tratti cioè con derivata continua a
tratti su [0 , +∞).

TEOREMA 1.4.

Sia F(t) una funzione continua a tratti su [0,+∞]. Se l’integrale improprio


+∞
∫ 0
e − s0t F (t )dt

converge, allora la funzione

t
∫e
− s0 t
v(t) = F (u )du
0

è limitata su [0,+ ∞ ).

Dimostrazione.
Per ipotesi esiste finito il limite di v(t) per t → + ∞ . Sia
+∞
lim v(t ) = ∫ e − s0u F (u )du = f ( s0 ) .
t →+∞ 0

L’asserto segue osservando che:

i) esiste t0 >0 tale che

v(t) ≤ 1 + f(s0 ) ∀t ≥ t0 >0;

ii) essendo v(t) continua su [0, t0 ] esiste k > 0 tale che

v(t) ≤ k ∀t ∈[ 0, t0 ] .
4

2. Funzioni di ordine esponenziale

DEFINIZIONE 2.1.

Una funzione F è di ordine esponenziale su [0 , +∞) se esistono due costanti C > 0 ed


α > 0 tali che

F(t) ≤ C eα t ∀t≥0

In particolare le funzioni limitate sono di ordine esponenziale in quanto

F(t) ≤ C ∀t≥0 implica F(t) ≤ C e t ∀t≥0 .

Sono di ordine esponenziale anche le funzioni per le quali risulta

F(t) ≤ C eα t per qualche α < 0 e C > 0

Infatti tali funzioni sono limitate su [0 , ∞):

F(t) ≤ C eα t ≤ C ∀t ≥ 0 .

Osservazioni.

Sia F una funzione continua a tratti su [0 , +∞) :

1. Se per qualche C > 0 e α > 0 risulta:

F(t) ≤ C eα t ∀t > t 0 > 0

allora F è di ordine esponenziale su [0 , ∞). Infatti dalla relazione precedente e da

F(t) ≤ sup { F(t) , t ∈ [0 , t 0 ] } = M ≤ M e t

segue che

F(t) ≤ k e a t ∀t ≥ 0

dove k = max (C , M) ed a = max (α , 1) .

2. Se per qualche α > 0 è

F(t)
lim =0
t → + ∞ eα t

allora F è di ordine esponenziale.


5

Segue dalla 1 ; infatti esiste t 0 tale che:

F(t) ≤ eα t ∀t > t 0 > 0 .

Pertanto le funzioni 1, t n , sin t , cos t , sono funzioni continue di ordine esponenziale su


[0,+∞).

3. Se
F(t)
lim =∞ ∀α ∈ℜ
t → + ∞ eα t

allora F non è di ordine esponenziale.


2
Da cui le funzioni e t e t t = e t lnt non sono di ordine esponenziale.

4. Se F è di ordine esponenziale su [0 , +∞), allora

t
G(t) = ∫ F(u) du
0

è di ordine esponenziale su [0 , +∞). Infatti per qualche C > 0 e α > 0 è

G(t) ≤ ∫
t

0
F(u) du ≤ C ∫
0
t
eα u du =
C
α
(e αt
)
−1 <
C
α
eα t .

5. Sia F una funzione continua e regolare a tratti in [0 , +∞) la cui derivata F' è di ordine
esponenziale:

F' (t) ≤ C eα t

per qualche C > 0 e α > 0. Allora F è di ordine esponenziale.


Infatti da
-C eα t ≤ F'(t) ≤ C eα t
segue che
t t
-C ∫ 0
eα u du ≤ F(t) - F(0) ≤ C ∫ 0
eα u du
da cui
C
F(t) - F(0) ≤ eα t
α
e, quindi,
F(t) ≤ k eα t ∀t>0
C
dove k = + F(0) .
α
6

6. Se F è di ordine esponenziale su [0 , +∞) allora:

lim e -s t F(t) = 0
t →+∞

definitivamente rispetto ad s.

3. Definizione di trasformata di Laplace.

Definizione 3.1.
Sia f una funzione definita su [0,+∞) e consideriamo l’ integrale improprio dipendente dal
parametro s ∈ ℜ

+∞
e − s t f (t ) dt = lim ∫ e − s t f (t ) dt
b
∫ 0 def b →∞ 0

quando f è sufficientemente regolare, l’ integrale precedente converge per determinati


valori di s, in tal caso definisce una funzione F (s) detta Trasformata di Laplace di f,
che si indica anche con L {f(t)}.

Non è difficile verificare che:

+∞ 1
L {1} = ∫ 0
e - s t dt =
s
s>0
+∞ 1
L {t } = ∫ 0
t e - s t dt =
s2
s>0

+∞ n!
L {tn} = ∫ 0
e - s t t n dt =
s n +1
n = 1,2,... s>0
+∞ ω
L {sen ωt} = ∫ e - s t sin ω t dt =
0 s +ω2
2

+∞ s
L { cos ωt } = ∫ e - s t cos ω t dt =
0 s +ω2
2

+∞ 1
L {eat} = ∫ e - s t e a t dt = s>a
0 s-a

Teorema 3.1

Sia f(t) una funzione continua a tratti. Se l’integrale improprio


+∞
∫ 0
e − st f (t )dt

converge per s = s0 , allora converge anche per s > s0.


7

Dimostrazione.

Da
b b
∫ 0
e − st f (t )dt = ∫ e −( s − s0 ) t e −s0t f (t )dt
0

integrando per parti si ottiene


b b
∫ 0
e − st f (t )dt = v(b)e −( s − s0 )b + ( s − s0 ) ∫ e −( s − s0 ) t v(t )dt
0

dove v(t) è la funzione definita nel teorema 1.4. Essendo

e − ( s−s0 ) t v ( t ) ≤ Me− ( s−s0 ) t M = sup { v(t) , t > 0 }

si evince che l’integrale improprio

+∞
∫ 0
e −( s− s0 )t v(t )dt

converge per ogni s > s0. Infine osservato che

lim v(b)e − ( s − s0 ) b = 0 ∀s > s0


b →+∞

segue che

b +∞
lim
b → +∞ ∫ 0
e − st f (t ) dt = ( s − s0 ) ∫
0
e −( s − s0 ) t v (t ) dt ∀s > s0

cioè l’asserto.

Possiamo dire che se una funzione f(t) continua a tratti è L-trasformabile (cioè esiste
L {f(t)} ) la corrispondente trasformata di Laplace risulta definita in un intervallo del tipo
(h,+∞) dove h, eventualmente uguale a − ∞ , è completamente determinato dalla funzione
f(t).
Tale numero h è detto ascissa di convergenza se:

+∞ ⎧diverge∀s < h
∫ e − st f (t )dt ⎨
0
⎩converge∀s > h

Il seguente teorema fornisce una condizione sufficiente per l’esistenza della trasformata di
Laplace.
8

TEOREMA 3.2.
Se F è una funzione continua a tratti di ordine esponenziale, esiste un a ∈ ℜ tale che:

+∞
∫ 0
e - s t f(t) dt

converge per ogni s > a in altre parole esiste L [f(t)]=F(s); inoltre risulta

lim F(s) = 0 .
s→ + ∞

Dimostrazione.
Per ipotesi esistono due costanti C > 0 e α > 0 , tali che

f(t) ≤ C eα t

pertanto è

e -s t f(t) ≤ C e -(s-α )t .

Da cui, tenuto presente che

+∞ 1
∫ e -(s-α )t dt = ∀s >α
0 s −α

si evince l’asserto.

Si osservi che l’insieme delle funzioni che ammettono la trasformata di Laplace è più
grande dell’insieme delle funzioni continue a tratti di ordine esponenziale su [0 , +∞).
1
Infatti la funzione ammette trasformata di Laplace anche se non è di ordine
t
esponenziale:
⎧1⎫ )2 d s x = π
-s t
2
e -(
+∞ e +∞
L ⎨ ⎬ = ∫0 dt = ∫
sx
s>0 .
⎩ t⎭ t s 0 s
9

4. Proprietà della trasformata di Laplace.

I seguenti teoremi mostrano che per il calcolo della trasformata di Laplace di una data
funzione esistono metodi più facili di quello suggerito dalla definizione.

Teorema 4.1.
Se esiste la trasformata di Laplace delle funzioni f e g allora per ogni a e b ∈ ℜ esiste la
trasformata di Laplace della funzione a f+b g e risulta:

L [af + bg ]= aL [f ] + bL [g ] .

In altre parole, l’operatore L è lineare.

Esempi.

1
1. L [cos (t + a)] = L [ cos(t) cos(a) - sin(t) sin(a)] = (s cos(a) - sin(a))
1 + s2

⎡3 1 ⎤ 3
2. [ ]
L sin 3 t = L ⎢ sin(t) - sin(3t) ⎥ =
⎣4 4
1
-
1 9
⎦ 4 s +1 4 s + 9
2 2

⎡3 1 ⎤ 3
3. [ ]
L cos3 t = L ⎢ cos( t) +
⎣4 4
cos(3t) ⎥ =
1
+
1 s
⎦ 4 s +1 4 s + 9
2 2
.

⎡ e at − e − at ⎤ 1 ⎛ 1 1 ⎞ a
4. L [sinh at]= L ⎢ ⎥= ⎜ − ⎟= 2
⎦ 2⎝ s−a s+a⎠ s −a
2
⎣ 2

⎡ e at + e − at ⎤ 1 ⎛ 1 1 ⎞ a
5. . L [cosh at]= L ⎢ ⎥ = ⎜ − ⎟= 2
⎦ 2⎝ s−a s+a⎠ s +a
2
⎣ 2

Si osservi che è

sin (3t) = 3sin t - 4sin3 t . cos (3t) = -3cos t + 4cos3 t .

Teorema 4.2.

Se esiste la trasformata di Laplace di f: L [f ] = F (s) allora, per ogni a∈ℜ, risulta

[ ]
L e a t F(t) = f (s - a ) .
10

Dimostrazione.

[ ]
L e at f ( t ) = ∫
0
+∞
e − st e at f ( t )dt = ∫
+∞

0
e − ( s − a ) t f ( t ) dt = F ( s − a ) .

Il risultato espresso dalla (3-1) è noto come “il primo teorema del ritardo”, e può essere
scritto in termini di trasformata inversa come

[F(s − a )] = e as f ( t )
-1
L

[F(s)] .
-1
Dove ovviamente è f(t)= L
Esempi :

1
1. Dato che L [1] = , si ha
s

1 1
L [ eat ] = ; L [ e-at ] =
s−a s+a

n!
2. Dato che L [ tn ] = , si ha
s n+1

n! n!
L [ eat tn] = n +1
; L [e-at tn] =
( s − a) ( s + a ) n+1

ω s
3. Dato che L [ sin ωt] = e L [ cos ωt ] = , si ha
s +ω 2
2
s +ω 2
2

ω ω
L [ eat sin ωt] = ; L [ e-at sin ωt] =
( s − a) + ω 2 2
( s + a) 2 + ω 2

s−a s+a
L [ eat cos ωt] = ; L [ e-at cos ωt] =
( s − a) 2 + ω 2 (s + a) 2 + ω 2

Prima di formulare il prossimo teorema premettiamo la definizione di funzione gradino


unitario u(t-a) definita dalla seguente relazione :

⎧ 0 t≤a
u(t - a) = ⎨
⎩ 1 t>a

dove, per il nostro scopo, supporremo a > 0. Questa funzione ci permette di scrivere la
funzione
11

⎧ 0 t≤a
g(t) = ⎨
⎩ f(t-a) t >a

nel modo seguente:

g(t) = u(t-a) f(t-a).

In altre parole la funzione g(t) definita precedentemente descrive la funzione ottenuta


traslando f(t) di a unità sulla destra e che vale zero in [0 , a].
Il prossimo teorema noto come “secondo teorema del ritardo” fornisce una formula per
la trasformata di Laplace di tali funzioni.
Teorema 4.3.
Sia f(t) una funzione continua a tratti di ordine esponenziale su [0 , +∞). Allora:

L [u(t - a) f(t - a)] = e - a s L [f(t)]

Dimostrazione.

L [u (t − a ) f (t − a )] = ∫ e − st u (t − a ) f (t − a )dt = ∫ e − st f (t − a )dt
+∞ +∞

0 a
+∞ +∞
= ∫ e−s(t+a) f (t )dt = e−as ∫ e−st f (t )dt = e−as L [ f ] = e − as F ( s )
0 0

In particolare è

1
L [u(t - a)] = e - a s .
s

Il fattore e - a s nelle precedenti formule, per ragioni fisiche, è detto fattore di ritardo.

Esempi :

Determinare la trasformata di Laplace delle seguenti funzioni.

1. Funzione di Heaviside traslata di a:

1
L [u(t - a)] = e - a s
s
12

2. Impulso rettangolare g(t) in figura:

Essendo g(t) = k [u(t - a) - u(t - b)] segue che

L [g (t )] = (
k −as
s
e − e −bs )
3. Funzione f(t) in figura:

Essendo

f (t ) = [u (t ) − u (t − 1)]− 2 [u (t − 1) − u (t − 2)]+ 3 [u (t − 2) − u (t − 3)]− 4 [u (t − 3) − u (t − 4)] + ... =


= u (t ) − 3 u (t − 1) + 5 u (t − 2) − 7u (t − 3) + ... =

= ∑ (−1)
n=0
n
(2n + 1) u (t − n)

risulta

∞ − ns
L [ f (t )] = ∑ (−1) n (2n + 1) e
n=0 s
13

4. f (t ) = et u (t − a)

[ ]
Da f (t ) = e a et − a u (t − a) segue che

[
L et u (t − a ) = e a] e − as
s −1
=
e − a ( s−1)
s −1

5. f (t ) = t u (t − a)

Da f (t ) = (t − a ) u (t − a) + a u (t − a) segue che

1 −as a −sa
L [t u (t − a )] = e + e
s2 s

Esempi :

Nota F ( s ) = L [ f (t )] determinare f (t ) = L -1
[F ( s)]

e −3s
1. F ( s ) = ; f (t ) = u (t − 3) (t − 3)
s2

e − ds 1
2. F ( s ) = ; f (t ) = u (t − d ) sin w (t − d )
s 2 + w2 w

s e − ds s ⎛ 3 2 ⎞
3. F ( s ) = = e − ds = e − ds ⎜ − ⎟;
s + 5s + 6
2
( s + 3) ( s + 2) ⎝ s +3 s + 2⎠
f (t ) = u (t − d ) (3 e −3( t − d ) − 2 e −2 ( t − d )
e − ds e − ds
4. F ( s ) = = ; f (t ) = u (t − d )
s 2 − 4s + 8 ( s − 2) 2 + 4
1
f (t ) = u (t − d ) e 2 ( t − d ) sin 2(t − d )
2

Teorema 4.4

Sia f continua su (0, ∞ ) e supponiamo che f ’ sia una funzione continua a tratti e di ordine
esponenziale su [0, ∞ ) . Allora

L [f ‘ ] = s L [f] - f(0+) (3-7)


14

Dove f(0+) = lim per t che tende a 0+ di f(t).


Più generalmente, se f , f ′ ,…… f (n−1) sono continue per t>0, e se f (n ) è continua a tratti
di ordine esponenziale su [0, ∞ ) , allora

L [ f ′′ ]=s2 L [ f ] - sf (0+) - f ′ (0+) (3-8)


…………………………….
L [ f ]= s n L [ f ] - s n −1 f (0+) - ………- f (n −1) ( 0+)
(n )
(3-9)

Dimostrazione.

Per stabilire la (3-7) integriamo per parti

[ f ' (t )] = ∫0
+∞ +∞
e − st f ' (t )dt = e − st f (t )
+∞
L 0
+ s ∫ e − st f (t )dt.
0
Per completare la dimostrazione dobbiamo dimostrare che

e − st f (t ) 0 = − f (0 + ) .
+∞

A tale scopo osserviamo che essendo f di ordine esponenziale

e − st f (t ) → 0 quando t → +∞
ogni volta che s è sufficientemente grande. Pertanto

e − st f (t )
+∞
0
= lim[−e − st f (t )] = − f (0 + )
t →0

dove si è tenuto conto del fatto che f in t=0 deve avere un salto qualora non fosse ivi
continua.

Teorema 4.5.

Sia f una funzione continua a tratti, di ordine esponenziale su [0 , +∞). Allora

1
L ⎡ ∫ f (u) du ⎤ = L [ f ] = 1 F (s) .
t
i)
⎢⎣ 0 ⎥⎦ s s

1 1
L ⎡ ∫ ∫ f (v) dv du ⎤ = 2 L [f ]=
t u
ii) F (s) .
⎢⎣ 0 0 ⎥⎦ s s2
15

Esempio :

Essendo
L [e2 t sin (3t)] = ( s − 23) 2 + 9
segue che
⎡ t

1 3
L ⎢⎢ ∫ e 2u
sin (3u) du⎥⎥ =
0 s (s - 2) 2 + 9
⎢⎣ ⎥⎦

⎡ t u

1 3
L ⎢⎢ ∫ ∫ e 2v
sin (3v) dv⎥⎥ = 2 .
0 0 s (s - 2) 2 + 9
⎢⎣ ⎥⎦

Dimostrazione.

Poniamo
t
h(t) = ∫ f (u)du
0

ovviamente è h(0)=0. Integrando per parti otteniamo

1 1 + ∞ − st
L ⎡ ∫ f (u )du ⎤ = ∫ e − st h(t )dt = − e − st h(t )
t +∞ +∞

s ∫0
+ e f (t )dt
⎢⎣ 0 ⎥⎦ 0 s 0

⎡ 1 ⎤ 1
= lim ⎢− e − st h(t )⎥ + L [ f (t)]
t → +∞
⎣ s ⎦ s

Poiché h(t) è di ordine esponenziale, il limite precedente tende a zero ammesso che s sia
sufficientemente grande, quindi la i).
Analogamente si dimostra che
1 1 a
L ⎡ ∫ f (u)du ⎤ = L [ f (t)] − ∫ f (t)dt.
t

⎢⎣ a ⎥⎦ s s 0

Per il calcolo delle trasformate inverse la i) ci fornisce

-1 ⎡ 1 ⎤ t
[F(s)]
-1
L ⎢⎣ s F ( s )⎥⎦ = ∫0 f (u )du dove f (u)= L
16

Per calcolare

-1 ⎡ 1 ⎤
L ⎢⎣ s 2 F ( s )⎥⎦

è opportuno procedere come segue:

Prima si calcola
-1
L [F(s)] = f(t) ;

Successivamente si calcola:

-1 ⎡ 1 ⎤ t
L ⎢⎣ s F ( s ) ⎥⎦ = ∫0 f (u )du = g(t) ;

infine si calcola

-1 ⎡ 1 ⎤ -1 ⎡ 1 ⎛1 ⎞⎤
⎢ s ⎜ s F ( s ) ⎟⎥ =
t
L ⎢⎣ s 2 F ( s )⎥⎦ = L
⎣ ⎝ ⎠⎦ ∫ g (u )du .
0

Ovviamente, per calcolare

-1 ⎡ 1 ⎤
L ⎢⎣ s n F ( s )⎥⎦

basta iterare il procedimento precedente.

Esempio:

Calcolare

-1 ⎡ 1 1 ⎤
L ⎢⎣ s 2 s + 2 ⎥⎦

essendo

-1 ⎡ 1 ⎤ −2 t
L ⎢⎣ s + 2 ⎥⎦ = e
segue che
17

-1 ⎡ 1 1 ⎤
L ⎢⎣ s s + 2 ⎥⎦ = ∫e
0
t
−2u
du =
1
2
(
1 − e −2t )

quindi

-1 ⎡ 1 1 ⎤ -1 ⎡ 1 ⎛ 1 1 ⎞⎤ 1 t
L ⎢⎣ s 2 s + 2 ⎥⎦ = L ⎢s


⎝ s s + 2 ⎠⎦ 2 0
1

2⎣ 2
1
( ⎥⎦)
⎟⎥ = ∫ 1 − e −2u du = ⎡t + e −2t − 1 ⎤ . ( )

Teorema : 4.6

Sia f una funzione continua a tratti di ordine esponenziale su [0 ,+∞). Allora

i) L [t f(t)] = − d
ds
F (s) ; ii) L [t n
]
f(t) = (−1) n
dn
ds n
F (s) .

Dimostrazione.

Essendo f di ordine esponenziale su [0 ,+∞), per qualche C > 0 esiste

h = inf { β ∈ ℜ : f(t) ≤ Ce β t ∀t ≥ 0 . }
Sia k ∈ (h , α), allora essendo α-k ≤ s-k per ogni s > k .

si evince che

e − s t F(t) ≤ M e − (s− k) t ≤ M e − (α − k) t ∀t ≥ 0
da cui
+∞ +∞
∫ b
t e −s t f(t) dt ≤ M ∫
0
t e −(α −k) t dt .

Essendo
+∞ ⎛ 1 b ⎞
∫ b
t e − (α − k) t dt = e-(α - k) b ⎜ + ⎟
⎝ (α - k) 2 (α - k) ⎠

segue che
18

∂ −st
−∫
0
+∞

∂s
[e f(t)] dt = ∫ e -s t t f(t) dt = L [t f(t)]
+∞

0 u

da cui, per il teorema di derivazione sotto il segno, si evince che

+∞ ∂
d +∞ - s t

ds 0
e f(t) dt = ∫
0 ∂ s
e −s t f(t) dt [ ]

e, quindi, la i). Per induzione su n si evince la ii).

Per il calcolo delle trasformate inverse ci fornisce L -1


[− F ' ( s)] = t f (t )
dove f (t ) = L -1
[F ( s)]

Esempi :

Calcoliamo la trasformata inversa di Laplace f (t ) = L -1


[ f ( s)] delle seguenti:
s ⎛2⎞
i) F ( s ) ; ii) F ( s ) = arctan⎜ 2 ⎟
(s 2
+w 2 2
) ⎝s ⎠

i) Osservato che

d ⎛1 1 ⎞
F (s) = − ⎜ ⎟ = L [t g (t )]
ds ⎝ 2 s + w2 ⎠
2

dove

-1 ⎡1 1 ⎤ 1
g (t ) = L ⎢⎣ 2 s 2 + w2 ⎥⎦ = 2w sin wt

si evince
f (t ) = L -1
[F ( s)] = t
sin wt0
2w

ii) Risulta

4s 4s 4s 1 1
− F ' (s) = = = 2 = 2 − 2 =
s +44 2
s + 2 − 4s
2 2
( )
s + 2 − 2s s + 2 + 2s
2
( )(
s − 2s + 2 s + 2s + 2 )
1 1
= −
(s − 1) +1 (s + 1) + 1
2
19

Da cui, tenuto presente che − F ' ( s ) = L [t f (t )] , si evince quanto segue


t f (t ) = et sin t − e − t sin t = (et − e − t ) sin t

quindi

2
L -1
[F (s)] = f (t ) = sin t sinh t
t

Teorema 4.7.

Sia f di ordine esponenziale e periodica con periodo T, allora

[f ]= ∫
e − st f (t )dt 1
L 0
− sT
= L [ f (t ) (u (t ) − u (t − T ) )]
1− e 1 − e − sT

in quanto

T
1
L [ f (t )] = ∫ e − sT f (t ) dt
1 − e − sT 0

dove

T +∞

∫ e − sT
f (t ) dt = ∫e
− sT
f (t ) [u (t ) − u (t − T )]dt
0 0

ovvero

∫ e − sT f (t ) dt = L [ f (t ) [u (t ) − u (t − T )] ]
0
RESTRIZIONE DI f(t) su [0,T]
Dimostrazione.

L [f ] = ∫0+ ∞ e − st f ( t )dt = ∫0T e − st f ( t )dt + ∫T2T e − st f ( t )dt + ∫23TT e − st f ( t )dt + .......

Tenuto presente che

b b−a
∫a
g ( t )dt =
0 ∫
g( t + a )dt
segue che
20

2T − st T T
∫T e f ( t )dt = e − s( t + T ) f ( t + T)dt = e − sT e − st f ( t )dt
∫ ∫
0 0
3T − st T − s ( t + 2T ) T
∫ e f ( t )dt = e ∫ f ( t + 2T)dt = e − 2sT e − st f ( t )dt ∫
2T 0 0
.....................................
quindi

+∞
[ f ] = (1 + e− sT + e − 2 sT + ....) ∫0 e− st f (t )dt = 1
e − sT [ f (t ) (u (t ) − u (t − T ) )]dt
T
L
1 − e − sT ∫
0

ovvero l’asserto.

Funzioni periodiche : f (t + T ) = f (t ) t≥0

Esempi :

1. Onda quadra

(T = 2)
Sia f(t) la funzione in figura, sia

f 0 (t ) = f (t ) [u (t ) − u (t − T )] = u (t ) − u (t − 1) − u (t − 1) + u (t − 2)

allora
−s
e −2 s 1
[ f 0 (t )] = 1 − 2 e = (1 − e − s )
2
L +
s s s s

quindi
1 1 − e− s 1
L [ f (t )] = 1
1− e −2s
1
s
(
1 − e− s )2
=
s 1+ e −s
= th
s
s
2
21

2. Onda a dente di sega

(T = 1)
Sia f(t) la funzione in figura, sia

f 0 (t ) = t [u (t ) − u (t − 1)] = t u (t ) − (t − 1) u (t − 1) − u (t − 1)

da cui
e− s
L [ f0 (t )] = 1

1 −s 1 −s 1
s2 s2
e −
s
e =
s2
1 − e −s

s
( )
quindi
⎡1 e− s ⎤ e− s
L [ f (t )] = 1
(
1 − e − s ⎢⎣ s 2
1 − e −s
−) s ⎥⎦
=
1

s 2 s (1 − e − s )

3. Onda triangolare

(T = 2)

Sia f(t) la funzione in figura, sia

f 0 (t ) = t [u (t ) − u (t − 1)] − (t − 2) [u (t − 1) − u (t − 2)] =
= t u (t ) − (t − 1) u (t − 1) − u (t − 1) − (t − 1) u (t − 1) + u (t − 1) + (t − 2) u (t − 2)

allora
1 2 − s e −2 s 1 − 2e − s + e −2 s
L [ f 0 (t )] = 2 − 2 e + 2 = =
1 − e− s ( ) 2

s s s s2 s2

quindi

L [ f (t )] =
1 (1 − e ) −s 2
=
1 1 − e− s 1
= 2 th
s
1 − e− 2 s s2 s 1+ e
2 −s
s 2
22

5. Convoluzione.

Siano f e g due funzioni continue a tratti su [0 ,+∞) e nulle su (-∞, o).


La convoluzione di f e g si indica con f∗g ed è definita dalla seguente relazione:

t
(f ∗ g) (t) = ∫ f(t - u) g(u) du .
0

E’ facile verificare che la convoluzione è commutativa e distributiva:

i) f ∗g = g ∗f ; ii) f ∗ (g + H) = f ∗ g + f ∗ H

dove anche H è una funzione continua a tratti su [0 ,+∞).


Inoltre è associativa:

iii) (f ∗ g) ∗ H = f ∗ (g ∗ H) .

infatti è
(f ∗ g) ∗ H(t) = ∫ (f ∗ g )(t - u ) H(u ) du = ∫ H(u ) ∫ f (t - u - v ) g(v ) dvdu
t t t -u

0 0 0

e
f ∗ (g ∗ H)(t) = ∫ f (t - v )(g ∗ H )(v ) dv =
t

f (t - v ) ∫ g(v - u ) H(u ) dudv


t v
=∫
0 0

da cui, scambiando l’ordine di integrazione si ottiene

f ∗ (g ∗ H)(t) = ∫ H(u) ∫ g(v - u ) f(t - v) dv du =


t t

0 u
t −u
= ∫ H(u ) ∫
t
f(t - v - u) g(v) dv du = (f ∗ g) ∗ H(t) .
0 0

Le proprietà i), ii) ed iii) giustificano la terminologia secondo la quale f ∗g è detto prodotto
di convoluzione. Vale il seguente

Teorema di convoluzione :
Siano f e g due funzioni continue a tratti di ordine esponenziale su [0 ,+∞). Allora

L [f ∗ g ] L [f ] = L [g ]
ovvero
∫ [f(t − u) g(u) du ] = f(s) g(s).
t
L
0
23

Dimostrazione.
Per definizione è

L [f ∗ g ] = ∫
+∞ t
e - s t ∫ f(t - u) g(u) dudt = ∫∫ e - s t f(t - u) g(u) dudt
0 0
A

dove A = { (t , u): 0 ≤ t < ∞, 0 ≤ u ≤ t }.

Poiché l’insieme precedente può essere descritto come segue

A = { (t , u): u ≤ t < ∞, 0 ≤ u < t }.

Scambiando l’ordine di integrazione si ottiene

[f ∗ g ] = ∫ 0
+∞ ∞ +∞ +∞
L g(u) du ∫ e- s t f(t - u) dt = ∫ g(u) du ∫ e - s (t + u) f(t) dt =
0 0 0

+∞ +∞
=∫ e - s u g(u) du ∫ e - s t f(t) dt = g(s) f(s) =
0 0

[f ∗ g] = ∫ 0
+∞ ∞ +∞ +∞
L g(u) du ∫ e- s t f(t - u) dt = ∫ g(u) du ∫ e- s (t + u) f(t) dt =
0 0 0

+∞ +∞
=∫ e- s u g(u) du ∫ e- s t f(t) dt = g(s) f(s) = L [f]L [g]
0 0

Da cui

L −1
[f(s)g(s)] = f(t) ∗ g(t)
Si osservi che

t2
t t
1*1 = ∫
0
1 ⋅ 1du = t ; 1*1*1 = (1*1)*1 = ∫ u du =
0
2
;

u2 t3
t
1*1*1*1 = (1*1*1)*1 = ∫0 2 du =
3!
;

Iterando il procedimento (per induzione)

tn
1*1* … *1 =
n!

n+1 volte.
24

Esempi

1. Calcolare l’antitrasformata di Laplace delle seguenti funzioni

1 s s2
i) f (s) = ii) f (s) = iii) f (s) =
(s + 4) 2
2
(s + 1) 2
2
(s2 + 1) 2

I) Essendo
−1 ⎡ 1 ⎤ 1
L ⎢⎣ s 2 + 4 ⎥⎦ = 2 sin2t

dal teorema di convoluzione si evince che

−1 ⎡ 1 ⎤ −1 ⎡ 1 1 ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤
F(t) = L ⎢ (s 2 + 4) 2 ⎥ = L ⎢ (s 2 + 4) ⋅ (s 2 + 4) ⎥ = L ⎢ (s 2 + 4) ⎥ ∗ L ⎢ (s 2 + 4) ⎥
⎣ ⎦ ⎣ ⎦ ⎣ ⎦ ⎣ ⎦

cioè
1 t
F(t) =
4 0 ∫
sin 2(t - u)sin 2u du

da cui
1 t sin 2t - 2tcos 2t
F(t) = ∫
8 0
[cos 2(t - 2u) - cos 2t]du =
16

ii) Essendo
−1 ⎡ s ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤
L ⎢⎣ s 2 + 1⎥⎦ = cos t e L ⎢⎣ s 2 + 1⎥⎦ = sint

dal teorema della convoluzione si evince che

−1 ⎡ s ⎤ −1 ⎡ s 1 ⎤ −1 ⎡ s ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤
F(t) = L ⎢ (s 2 + 1) 2 ⎥ = L ⎢ (s 2 + 1) ⋅ (s 2 + 1) ⎥ = L ⎢ (s 2 + 1) ⎥ ∗ L ⎢ (s 2 + 1) ⎥
⎣ ⎦ ⎣ ⎦ ⎣ ⎦ ⎣ ⎦

cioè
t
F(t) = ∫ cos(t - u) sin u du
0

da cui
t
1 1
F(t) = ∫ [sint + sin(2u - t)]du = t sin t
2 0 2
25

iii) Da
s2 1 1
2 = 2 − 2
(s + 1)
2
s + 1 (s + 1) 2

e dalla linearità di L −1 segue che


⎡ s2 ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤
F(t) = L −1 ⎢ 2 2⎥
=L ⎢⎣ s 2 + 1⎥⎦ − L ⎢ (s 2 + 1) 2 ⎥ = sint - L ⎢ (s 2 + 1) 2 ⎥
⎣ (s + 1) ⎦ ⎣ ⎦ ⎣ ⎦

da cui, essendo per il teorema di convoluzione

+∞ b b +∞

∫ ∫
0 0
= ∫ ∫
0 0

−1 ⎡ 1 ⎤ −1 ⎡ 1 1 ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤ −1 ⎡ 1 ⎤
L ⎢ (s 2 + 1) 2 ⎥ = L ⎢ (s 2 + 1) ⋅ (s 2 + 1) ⎥ = L ⎢ (s 2 + 1) ⎥ ∗ L ⎢ (s 2 + 1) ⎥
⎣ ⎦ ⎣ ⎦ ⎣ ⎦ ⎣ ⎦

si evince che

t
sin t + t cos t
F(t) = sin t - ∫ sin(t - u) sin u du =
0
2

Funzione delta di Dirac


Consideriamo la funzione (impulso unitario di durata h)


⎪ 0 t<0 e t>0

δ h (t ) = ⎨
⎪ 1
⎪ 0<t <h
⎩ h
il cui grafico è
26

Essa rappresenta una quantità che agisce nell’intervallo (0,h) dove il suo valore è costante
1/h; il suo effetto totale è uguale a

+∞ h
1
∫δ
−∞
h (t ) dt = ∫
0
h
dt = 1

Ora supponiamo che h → 0 ; è chiaro che la famiglia di funzioni δ h (t ) diverge, ma noi


introduciamo una funzione convenzionale δ (t ) come il limite di questa famiglia:

δ (t ) = lim δ h (t )
h →0

La funzione δ (t ) è detta funzione impulso di ordine zero o funzione impulsiva di Dirac


o più semplicemente delta di Dirac. Risulta

⎧ 0 t ≠0

δ (t ) = ⎨
⎪ +∞ t =0

e malgrado tutto si suppone verificare che la relazione

+∞ +∞


−∞
δ (t ) dt = lim
h→0
−∞
∫δ h (t ) dt = 1

La funzione δ (t ) rappresenta un processo limite ben definito che si incontra spesso in


fisica: una quantità infinitamente grande che agisce in un intervallo infinitamente piccolo,
il cui effetto totale è uguale all’unità. Conviene considerare la trasformata di Laplace della
funzione δ (t ) come il limite per h → 0 della trasformata della funzione

1
δ h (t ) = [ u (t ) − u (t − h)]
h

ovvero

L [δ (t )] = lim L [δ h (t )]
h →0

segue che

L [δ (t )] = 1

La relazione precedente può essere dedotta anche nel modo seguente. Poniamo
27

⎧ 1
⎪ ht t ∈ [0, h]
t

uh (t ) = ∫ δ h (t ) dt = ⎨
0 ⎪ 1 t>h

uh (t )

Si vede che, quando h → 0 , uh (t ) → u (t ) , pertanto

∫ δ (t ) dt = u (t )
0

Allora δ (t ) = u ' (t ) e

L [δ (t )] = L [ u ' (t )] = s L [ u (t )] − u (0) = s ⋅ 1 = 1
s

Qui è
u (0) = lim uh (0) = 0
h→0

Sia f (t ) una funzione continua su [0,+∞ ) , allora per il teorema della media abbiamo

+∞

∫ f (t ) δ (t ) dt =
0
f (0)

(se la funzione f (t ) è discontinua per t = 0 , allora f (0) = f (0+) ).


Da quanto precede si evince (ancora una volta) che

+∞
L [δ (t )] = ∫e
− st
δ (t ) dt = 1
0

Per la proprietà del ritardo è

L [δ (t − a)] = e − as
28

Analogamente a quanto precede risulta

+∞

∫ f (t ) δ (t − a) dt =
0
f (a )

dove δ (t − a) è la traslata di δ (t ) , a > 0 e f è continua su [0, ∞ ) . Ovviamente

⎧ 0 t≠a

δ (t − a) = ⎨
⎪ +∞ t =a

In modo analogo si definiscono le funzioni impulso di ordine superiore. Consideriamo la


funzione
1
δ h (1) (t ) = 2 [ u (t ) − 2u (t − h) + u (t − 2h)]
h

il cui grafico è

⎧ 1
⎪ 0<t <h
h2

⎪ 1
δ h (1) (t ) = ⎨ − 2 h < t < 2h
⎪ h
⎪ 0 altrove

allora il suo “limite” per h → 0 è per definizione la funzione impulso di ordine uno:

lim δ h (t ) = δ1 (t )
(1)
h →0

Così come la funzione δ (t ) , la trasformata di Laplace della funzione δ1 (t ) è, per


definizione, il limite per h → 0 della trasformata di Laplace della funzione δ h (t ) :
(1)

h →0
[
L [δ1 (t )] = lim L δ h (t ) = lim
(1)
] h →0
1
sh 2
(
1 − e − hs )
2

da cui
L [δ1 (t )] = s
29

Sia f una funzione che abbia derivata di ordine n+1 generalmente continua e di ordine
esponenziale che soddisfa alle condizioni iniziali f ( k ) (0) = (0) k = 0,1…n+1. Allora

L [f ( n)
]
(t ) = s n L [ f (t )]
Poiché la trasformata di Laplace della funzione δ (t ) è 1 : L [δ (t )] = 1 , per quanto
precede, “è lecito” supporre

[ ]
s n = s n L [δ (t )] = L δ ( n ) (t ) = L [δ n (t )]

in altre parole è lecito definire sn come la trasformata di Laplace della funzione impulso di
ordine n, ovvero della derivata di ordine n+1 della funzione u (t ) di Heaviside.

Applicazioni:

1. Dimostriamo che:

t
∫J
0
0 (u ) J 0 (t − u )du = sen t (1)

A tale scopo, se poniamo:

t
h(t ) = ∫ J 0 (u ) J 0 (t − u )du = sen t
0

dalla definizione di convoluzione si evince che

h(t ) = J 0 (t ) ∗ J 0 (t )

Allora per il teorema della convoluzione, è

L [h(t)] = L [Jo(t)] · L [Jo(t)]

Da cui essendo

1
L [J 0 (t )] =
s +1
2

Segue che

1
L [h(t )] =
s +1
2

Antitrasformando l’equazione precedente si ottiene la (1).


30

2. Funzione Beta

La funzione beta è definita come segue:

n −1
β (m, n ) = ∫ u m−1 (1 − u ) du
1
m > 0, n > 0
0

Se poniamo

n −1
h(t ) = ∫ u m−1 (t − u ) du
1

Dalla definizione di convoluzione si evince che

h(t ) = (t m −1 )∗ (t n −1 )

Prendendo la trasformata di Laplace di entrambi i membri per il teorema di convoluzione si


ha:

[ ]
L [h(t )] =L t m−1 · L t n−1 [ ]
Ovvero

Γ(m ) Γ(n )
L [h(t )] = ⋅ n
sm s

Da cui, antitrasformando, si ottiene:

[h(t )] = Γ(m)Γ(n ) ⋅ t m+ n−1


Γ(m + n )

In particolare è:

[h(1)] = Γ(m)Γ(n )
Γ(m + n )

quindi

n −1
Γ(m )Γ(n )
∫0 (1 − u ) u m −1du = β (m, n ) =
1

Γ(m + n )
31

1. Equazioni integrali di Volterra

Si dice equazione integrale un’equazione che contiene la funzione incognita sotto il segno
di integrale. Se la funzione incognita y(t) entra nell’equazione in modo lineare, l’equazione
integrale è detta lineare.
Un equazione integrale del tipo

y (t ) = f (t ) + ∫ k (t , x )y ( x )dx
t

a
è detta equazione integrale lineare di Volterra di seconda specie.
Se la funzione incognita y(t)figura solo sotto il segno di integrale, ovvero un’equazione del
tipo:

∫ k (t , x )y(x )dx = f (t )
t

a
è detta equazione integrale lineare di Volterra di prima specie .Nelle equazioni precedenti
le funzioni K(t,x) e f(t) sono assegnate; la funzione K(t,x) si chiama nucleo dell’equazione .
Le equazioni del tipo

y (t ) = f (t ) + ∫ k (t − x )y ( x )dx
t
(1)
a

dove il nucleo K(t-x) dipende dalla differenza degli argomenti, appartengono ad un


importante classe di equazioni di Volterra che vengono chiamate equazioni integrali di tipo
convoluzionale e possono essere scritte nella forma:

y (t ) = f (t ) + k (t ) ∗ y (t )

Prendendo le trasformate di Laplace di entrambi i membri, ammesso che f(t) e K(t)siano


trasformabili si ha:

L [ y (t )] = L [ f (t )] + L [k (t )] L [ y(t )]
Ovvero

Y (s ) = F (s ) + K (s )Y (s )

da cui

F (s )
Y (s ) =
1 − K (s )

Quindi antitrasformando l’equazione precedente si ottiene la soluzione dell’equazione


integrale ( 1 ).
32

Esempi:

Per risolvere l’equazione integrale

y (t ) = t + ∫ y (t )J1 (t − u )du
t

scriviamo l’equazione integrale nella forma

y (t ) = t + y (t ) ∗ J1 (t )

Allora prendendo la trasformata di Laplace e usando il teorema di Convoluzione, abbiamo

1 ⎛ s ⎞
Y (s ) = 2
+ Y (s )⎜⎜1 − ⎟

s ⎝ s +1 ⎠
2

dove si è tenuto conto che

s2 +1 − s
L [J1 (t )] =
s
= 1−
s +1
2
s +12

Risolvendo l’equazione precedente otteniamo:

1 s2 +1
Y (s ) = s 2
+ 1 =
s3 s3 s 2 + 1

ovvero

1 1 1 1
Y (s ) = + 3
s s2 +1 s s2 +1

Antitrasformando l’equazione precedente risulta

y (t ) = ∫ J 0 (u )du + ∫
t (t − u)
2
t t2 t
J 0 (u )du = ∫ J 0 (u )du + ∫ J 0 (u )du − t ∫ u ⋅ J 0 (u )du + ∫
t t t u
2
J 0 (u )du
0 0 2! 0 0 2 0 0 2

da cui, essendo u ⋅ J 0 (u ) =
d
[u ⋅ J1 (u )], segue che
du

∫ u ⋅ J (u )du = ∫ du [u ⋅ J (u )]du = t ⋅ J (t )
t d t
0 1 1
0 0
33

∫ u ⋅ J (u )du = ∫ u ⋅ du [u ⋅ J (u )]du = t ⋅ J1 (t ) − ∫ u ⋅ J1 (u )du


t d t
2
t
0 1
0 0 0


= t 2 ⋅ J1 (t ) + ∫ u ⋅ J 0 (u )du = t 2 J1 (t ) + t ⋅ J 0 (t ) − ∫ J 0 (u )du
t t

0 0

quindi

y (t ) =
2
(
1 2 t

0
) t2
t + 1 ∫ J 0 (u )du − J1 (t ) + J 0 (t )
2
t
2

Per risolvere l’equazione integrale

∫ u ⋅ y(u )cos(t − u )du = t ⋅ e


t
−t
− sent
0

scriviamo l’equazione integrale nella forma:

(t ⋅ y(t )) ∗ cos t = t ⋅ e −t − sent


Allora prendendo la trasformata di Laplace e usando il teorema di Convoluzione, abbiamo

1 1 1
− Y ′(s )
s
= = − 2
s + 1 (s + 1)
2 2
(s + 1) s + 1
2

da cui

s2 +1 1 1 1 1
− Y ′(s ) =
s
− = + −
s(s + 1) s (s + 1) s (s + 1) s
2 2 2

ovvero

1 1 1 1 1
− Y ′(s ) =
− + −
s + 1 (s + 1) s (s + 1) s
2 2

antitrasformando l’equazione precedente abbiamo

t ⋅ y (t ) = e −t − t ⋅ e −t + ∫ u ⋅ e −u du − 1 = −2t ⋅ e −t
t

da cui

y (t ) = −2e − t
34

RISOLUZIONE DI E.D. TRAMITE LA TRASFORMATA DI LAPLACE

Vedremo ora come si determina la soluzione di un’equazione differenziale lineare a


coefficienti costanti con l’ausilio della trasformata di Laplace.
E’ naturale domandarsi: già si conoscono metodi per risolvere tali equazioni, perché allora
trovare un altro metodo?
La risposta è che quando si procede con i metodi standard si cerca prima la soluzione
generale, successivamente si devono fare ulteriori calcoli per determinare i valori che le
costanti arbitrarie devono assumere affinché la soluzione soddisfi le condizioni iniziali
assegnate.
Il metodo della trasformata di Laplace semplifica notevolmente tali difficoltà in quanto dà
direttamente la trasformata di Laplace della soluzione del problema di Cauchy. Utilizzando
poi una tavola di corrispondenza tra F(t) e L [F(t)] si ottiene la soluzione richiesta.

Esempi

1. Determinare la soluzione del problema di Cauchy

y''-y'-6y = 3t 2 + t -1 y(0)=-1 y' (0) = 6

Applicando la trasformata di Laplace all’equazione precedente si ottiene un’equazione


algebrica la cui incognita è L [y]:
6 1 1
(s 2 - s - 6) L [y] m 7 - s + 3 + 2 −
s s s
da cui
7-s 1 ⎛ 6 1 1⎞
L [y] = 2 + 2 ⎜ + − ⎟
s - s - 6 s - s - 6 ⎝ s3 s 2 s ⎠

dove il secondo membro è la trasformata di Laplace del problema di Cauchy assegnato.


Pertanto tale soluzione è:

−1 ⎡ 7-s 1 ⎛ 6 1 1 ⎞⎤
y =L ⎢ s 2 - s - 6 + s 2 - s - 6 ⎜ s 3 + s 2 − s ⎟⎥
⎣ ⎝ ⎠⎦

−1
Infine dalla linearità di L e da

−1 ⎡ 7-s ⎤ −1 ⎡ 4 1 9 1 ⎤ 4 3t 9 − 2 t
L ⎢⎣ s 2 - s - 6 ⎥⎦ = L ⎢⎣ 5 s - 3 − 5 s + 2 ⎥⎦ = 5 e − 5 e

⎡1 ⎛ 1 1 ⎞ ⎤ 1 3t
L −1 ⎡ 1 ⎤
⎢⎣ s 2 - s - 6 ⎥⎦ = L
−1
(
⎢ 5 ⎜ s - 3 − s + 2 ⎟⎥ = 5 e − e
− 2t
)
⎣ ⎝ ⎠⎦

1 ⎛ e3t e −2t 5 ⎞
L −1 ⎡1 1 ⎤
=
t1
⎢⎣ s s 2 - s - 6 ⎥⎦ ∫0 5
⋅ (e 3u
− e − 2u
)du = ⎜
5 ⎜⎝ 3
+
2
− ⎟⎟
6⎠
35

⎡1 1 ⎤ 1 t ⎛ e3u e −2u 5 ⎞ 1 ⎛ e 3 t e −2 t 5 5 ⎞
⎢⎣ s 2 s 2 - s - 6 ⎥⎦ 5 ∫0 ⎜ 3
⎜ ⎟ ⎜⎜ − t + ⎟⎟
−1
L = + − ⎟ du = +
⎝ 2 6⎠ 5⎝ 9 4 6 36 ⎠

⎡1 1 ⎤ 1 t ⎛ e3u e −2u 5 5 ⎞ 1 ⎛ e3t e −2t 5 2 5 35 ⎞


⎢⎣ s3 s 2 - s - 6 ⎥⎦ 5 ∫0 ⎜ 9
⎜ ⎟ ⎜⎜ ⎟
−1
L = + − u + ⎟ du = + − t + t-
⎝ 4 6 36 ⎠ 5 ⎝ 27 8 12 36 216 ⎟⎠

si evince che
1 3t 1
y=
5
( 4e − 9e − 2 t ) − t 2
2

2.
y' '+4y'+4y = t 2 e −2 t y(0) = 0 , y'(0) = 0

L [F' (t)] = s L [F(t)] - F(0)

2
s L [y'(t)] - y'(0) + 4s L [y(t)] - 4y(0) + 4 L [y(t)] =
(s + 2)3
2
s 2 L [y(t)] - sy(0)
{-{ y' (0) + 4s L [y(t)] - 4y(0) + 4 L [y(t)] =
0 0
123
0
(s + 2)3

2
(s 2 + 4s + 4) L [y(t)] =
(s + 2)3
2 2 4!
L [y(t)] = =
(s + 2) 4! (s + 2)5
5

1 4 − 2t
y(t) = t e
12

3.
y' '+4y = sin2t y(0) = 10 , y'(0) = 0

2
s L [y'(t)] + 4 L [y(t)] =
s +4
2

2
s 2 L [y(t)] - 10s + 4[y(t)] =
s +4
2
36

10s 2 1
L [y(t)] = + 2 ⋅ 2
s +4 s +4 s +4
2

1 t 1 t
y(t) = 10cos2t + ∫
2 0
sin2(t - u)sin2u du = 10cos2t + ∫ [cos2(t - 2u) - cos2t]du =
4 0
1
= 10cos2t + (sin2t − 2tcos2t)
8
UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE

FACOLTA’ DI INGEGNERIA

Serie di Fourier

1
Introduzione

Alcune notazioni e terminologie

Sia E un insieme lineare, se a ciascuno degli elementi x ∈ E si fa corrispondere il numero x


soddisfacente alle tre proprietà seguenti:

1. x ≥ 0 ; x = 0 se e solo se x = θ dove θ è l’elemento nullo dell’insieme lineare E.

2. α ⋅ x = α ⋅ x per x ∈ E e per ogni numero α (reale o complesso a seconda che E sia


reale o complesso).

3. x + y ≤ x + y qualunque siano x, y ∈ E ; si dice che E è uno spazio normato e il numero


x si chiama norma dell’elemento x .
La (3) si chiama disuguaglianza triangolare ed implica la (4).

4. x− y ≥ x − y in particolare x − y ≥ x − y .

In uno spazio normato E si può definire la nozione di limite:

lim xn = x se e solo se lim xn − x = 0


n →∞ n →∞

Dalla disuguaglianza (4): x n − x ≤ x n − x si evince che

lim xn − x = 0 ⇒ lim xn = x
n →∞ n →∞

Inoltre: se la successione di elementi x n ∈ E converge ad un elemento x ∈ E , essa soddisfa la


condizione di Cauchy secondo la quale

∀ ε > 0, ∃ N = N(ε ) tale che x n − xm < ε se n, m > N

L’inverso, in generale, non è vero; esistono spazi lineari normati in cui si possono trovare
successioni di elementi che soddisfano la condizione di Cauchy, ma non convergono a nessun
elemento di E.
Uno spazio lineare normato E, per definizione, si dice completo se ogni successione di elementi
x n ∈ E e soddisfacente la condizione di Cauchy converge ad un elemento x ∈ E .
Uno spazio lineare completo si dice anche spazio di Banach.
L’insieme dei numeri reali è uno spazio di Banach con x = x .

2
1. Indicheremo con C (a, b) lo spazio lineare normato delle funzioni continue sull’intervallo
chiuso [a, b] con norma

f C ( a ,b )
= max f ( x) (1)
a ≤ x ≤b

C* è lo spazio lineare normato delle funzioni continue sull’asse reale, periodiche di periodo 2π
ed aventi norma

f = max f ( x) = max f ( x) (2)


C* 0≤ x ≤ 2π a ≤ x ≤ a + 2π

dove a è un numero reale qualsiasi.


Ovviamente la restrizione di f ∈ C* sull’intervallo [0, 2π ] appartiene a C (0, 2π ) ; il viceversa
non vale in quanto f ∈ C* implica f (0) = f (2π ) .
Una funzione f ∈ C (0, 2π ) soddisfacente la condizione f (0) = f (2π ) , dopo un
prolungamento periodico di periodo 2π , si trasforma in una funzione di C* .

2. Sia Ω un intervallo aperto, eventualmente non limitato.


Indichiamo con L ' = L '(Ω) l’insieme delle funzioni reali o complesse assolutamente integrabili
(in senso improprio) in Ω .
Se si suppone che le funzioni siano integrabili nel senso di Lebesgue, tale insieme si indica con
L(Ω) .
Le proprietà che otterremo per le funzioni f ∈ L ' sono valide, con piccole modifiche, anche per
le funzioni f ∈ L .
Il simbolo f ∈ L '(L) significa che f ∈ L ' o f ∈ L .
La norma di f ∈ L '(L) è definita come segue

f L
= ∫ f ( x) dx (3)

Se f è una funzione complessa: f ( x) = u ( x) + jv( x) , allora

f L
= ∫ f ( x) dx = ∫ u 2 ( x) + v 2 ( x) dx
Ω Ω

L’elemento nullo è una qualsiasi funzione θ = θ (x) per la quale

∫ θ ( x) dx = 0

Pertanto in L '(L) due funzioni f e g che non sono identicamente uguali in Ω vengono
considerate equivalenti se differiscono di θ ( x) .

3
Tenuto presente ciò, non è difficile verificare che la (3) soddisfa le proprietà caratteristiche di
una norma:

i) f L
≥ 0; f L
= 0 implica f = θ ;

ii) α ⋅ f L
=α⋅ f L
per ogni numero α ;

iii) Se f , g ∈ L '(L) , allora f + g ∈ L '(L) e

f +g L
≤ f L
+ g L

Se f , f1 , f 2 ,K ∈ L '(L) allora

f n − f = ∫ f ( x) − f n ( x) dx (4)

e la convergenza di f n ad f nella metrica di L '(L) è equivalente al tendere a zero


dell’integrale a secondo membro della (4).
In questo caso si dice che f n converge a f in media su Ω .

3. Con L '2 = L '2 (Ω) indichiamo l’insieme delle funzioni f reali o complesse definite su Ω tali
che:

i) i loro integrali su Ω abbiano al più un numero finito di singolarità;

ii) siano a quadrato integrabile, nel senso che

2


f ( x) dx < ∞

Se Ω è limitato allora f ∈ L '2 (Ω) se il suo integrale ∫ f ( x) dx esiste nel senso di Riemann o se

ha un numero finito di singolarità, allora il quadrato del suo modulo è integrabile in senso
improprio.
Lo spazio L '2 (L 2 ) è uno spazio normato con

1
  2
=  ∫ f ( x) dx 
2
f L2
Ω 

Se f , f1 , f 2 ,K ∈ L '2 (L2 ) allora

1
  2
fn − f =  ∫ f n ( x) − f ( x) dx 
2
L2
Ω 

4
La successione di funzione f n ∈ L '2 (L 2 ) converge a f , in Ω , nel senso della media quadratica
se l’integrale a secondo membro tende a zero.

Osservazioni

1. Se f ∈ L '2 (L 2 ) e Ω è limitato risulta L '2 (Ω) ⊂ L '(Ω) .


Infatti si dimostra che

1
1  2

∫ f ( x) dx ≤ Ω 2  ∫ f ( x) dx 
2

Ω Ω 

dove Ω denota la lunghezza dell’intervallo di integrazione.


Per esempio se Ω = [0,1] allora

1 1 1
α
∈ L '(Ω) se α < 1 ; α ∈ L '2 (Ω) se α < ⇒ 2α < 1
x x 2

1 1 1
Se ≤ α < 1 allora 1 ≤ 2α e quindi α ∉ L '2 (Ω) mentre α ∈ L '(Ω) .
2 x x

1 1 1
Se α > allora α ∈ L '2 (1, +∞ ) mentre α ∈ L '(1, +∞) solo se α > 1 :
2 x x

1 1
34
∈ L '2 (1, +∞ ) ; 3 4 ∉ L '(1, +∞ )
x x

2. Si dimostra che L '2 (Ω) non è completo ( L 2 (Ω) è completo).

5
Serie di Fourier

Questo capitolo è dedicato allo studio dello sviluppo in serie di Fourier, l'esposizione della teoria
sarà concisa ma sufficiente per le applicazioni a molti problemi della fisica matematica.
La ragione per cui la teoria di Fourier relativa allo sviluppo in serie di funzioni trigonometriche è
molto importante nella pratica è che certi tipi di funzioni discontinue che non possono essere
sviluppate in serie di potenze possono essere sviluppate in serie di Fourier.
Inoltre tale serie è divenuta uno strumento indispensabile per l’analisi di una vasta classe di
problemi (fisici ed ingegneristici) relativi a fenomeni vibratori e periodici.

Serie di Fourier (L’ ESSENZIALE)

Assegnato un segnale x(t) di periodo T, il segnale definito nel seguente modo

T T
x(t ) − <t<
2 2

x0 (t ) =

T T
0 t<− , x(t ) >
2 2

è detto “segnale base”. Si osservi che

  T   T 
x0 (t ) = − x(t ) u  t +  − u  t −  = χ (-T/2, T/2) (t )
  2   2 

Un segnale periodico x(t), di periodo T si può esprimere come somma di traslate del
“segnale base” :

+∞
x(t ) = ∑ x0 (t − nT ) .
−∞

Se T è il periodo di x(t ) , sono periodici di x(t ) anche i multipli interi di T : 2T, 3T, … , nT, … .
Il più piccolo numero positivo T per cui x(t ) = x(t − T ) è detto periodo fondamentale o lunghezza
d’onda.
1
Se T indica il periodo fondamentale, = f è detta frequenza fondamentale
T

( misurata in periodi ( cicli ) = Hz ) ω = = 2π f è la frequenza angolare
T
rad
( pulsazioni al sec.) .
sec

6
La serie di FOURIER per x(t ) E’ DEFINITA DALLA RELAZIONE

a0 ∞
 kπt kπt 
x(t ) ≈ + ∑  ak cos + bk sin 
2 k =1  l l 

dove

l
1
l −∫l
a0 = x(t )dt ;

kπt
l
1
ak = ∫
l −l
x(t ) cos
l
dt ;

kπt
l
1
bk = ∫ x(t ) sin dt .
l −l l

Se nelle espressioni precedenti si pone l = T 2 , risulta

kπ t 2π 2π
= k t = kωt ω=
l T T

Pertanto


+ ∑ (ak cos kωt + bk sin kωt )
a0
x(t ) ≈
2 k =1

T 2 T 2
2 2
x(t ) cos kωtdt ; x(t ) sin kωtdt
T −T∫ 2 T −T∫ 2
ak = bk =

oppure

T T
2 2
x(t ) cos kωtdt ; x(t ) sin kωtdt
T ∫0 T ∫0
ak = bk =

7
La forma complessa della serie di Fourier è data da

+∞
a0 ak − jbk 2π
x(t ) ≈ ∑ ck e jkωt , c0 = , ck = , ω= = 2πf
−∞ 2 2 T

ovviamente

1 2  1 T2
T 2

c k =  ∫ x(t )(cos kωt − j sin kωt )dt  = ∫ x(t )e − jkωt dt


2  T −T 2  T −T 2

Se T = 2π è ω = 1 , quindi


+∞
a0 ak − jbk 1
x(t ) ≈ ∑ ck e jkt , c0 = , ck = = ∫π x(t )e
− jkt
dt
−∞ 2 2 2π −

RIASSUMENDO
Un generico segnale periodico x(t ) , reale e complesso, è uguale alla somma di infiniti segnali
esponenziali complessi xk (t ) con

xk (t ) = ck e jkωt k = 0, ± 1, ± 2, ...

Detti COMPONENTI ARMONICHE o ARMONICHE ELEMENTARI DEL SEGNALE


PERIODICO x(t ) le cui frequenze sono multipli interi della frequenza fondamentale 1 T :
1
f k = k = kf
T
Si osservi che le funzioni

e jkωt = cos kωt + j sin kωt

2π 1 2π 1 1 1
Sono periodiche di periodo = = T =
kω k ω k k f

Se esprimiamo i coefficienti delle componenti armoniche (armoniche elementari) in coordinate


polari, si ottiene

ck = ck e − jϕ k
1 2 bk bk
ck = ak + bk2 tan ϕ k = − ϕ k = arctan ±π
2 ak ak

8
− bk
Se ak = 0 si ha sin ϕ k = da cui
bk

ϕk = π 2 se bk < 0

ϕk = − π 2 se bk > 0

Quindi

+∞
x(t ) ≈ ∑ ck e j ( kωt −ϕ k )
−∞

da cui

x(t ) + x(t ) = 2 Re x(t ) = 2 ck cos(kωt − ϕ k ) = ak2 + bk2 cos(kωt − ϕ k )

Analoghe considerazioni sono valide per le armoniche elementari

x(t ) = ak cos kωt + bk sin kωt

Infatti si ha

 ak bk 
xk (t ) = ak2 + bk2  cos kωt + sin kωt  = Ak cos(kωt − ϕ k )
 a 2 + b2 ak2 + bk2 
 k k 

dove

ak bk
Ak = ak2 + bk2 , cosϕ k = , sinϕ k =
a +b
2
k
2
k a + bk2
2
k

da cui

bk bk
tan ϕ k = e quindi ϕ k = arctan ±π
ak ak

Se si pone

ak bk
sinϕ k = , cosϕ k =
ak2 + bk2 ak2 + bk2

9
si ottiene

x(t ) = sin (kωt + ϕ k ).

Infine si osservi che la posizione precedente relativa a sinϕ k e cosϕ k sono suggerite dal fatto che

2 2
 ak   bk 
  +  = 1.
 a + b2
2   a + b2
2 
 k k   k k 

Le armoniche elementari con l’indicazione esplicita della frequenza si ottengono


sostituendo ω con 2πf .
È utile rappresentare un segnale complesso

x(t ) = A exp[ j (2πft + ϕ )]

come un vettore che ruota intorno all’origine nel piano complesso, con velocità angolare costante:
. rad
ϑ = 2πf = ω
sec
ϕ è detta fase iniziale, rappresenta l’angolo che il vettore forma con l’asse reale al tempo t = 0.

10
Le espressioni

T T
1
x(t ) = ∫ x(t ) dt P = ∫ x(t ) dt
2 2
e
0
T0

Sono rispettivamente dette energia e potenza del segnale x(t ) calcolate sul periodo T.
Nel caso di un’armonica elementare espressa in forma complessa si ha

T T
jkωt 2 jkωt 2
= ck e = ∫ cke dt = ∫ c k dt = T c k
2 2 2
x(t )
0 0

da cui P = c k
2

Nel casa di un’armonica elementare

x(t ) = ak cos kωt + bk sin kωt

si ha

( )
T
1
= ∫ ak cos kωt + bk sin kωt dt = ak + bk T
2 2 2 2
x(t )
0
2

e P=
1
2
(
ak + bk
2 2
).

11
Cominceremo il nostro studio con i concetti di base relativi alle definizioni di alcune proprietà delle
funzioni a valori reali.

1. Funzioni continue a tratti

Definiamo il limite sinistro di una funzione ad una sola variabile f ( x) in x0 come il limite finito di

f ( x) se esiste, per x che tende a x0 da sinistra, ed è denotato da f ( x0 ) :

f ( x0 − ) = lim f ( x0 − h) con h > 0 (1.1)


h →0

Analogamente, il limite destro è definito come

f ( x0 + ) = lim f ( x0 + h) con h > 0 (1.2)


h →0

(Questo è mostrato in Fig. 1).


Notiamo che se f ( x) è continua in x0 , allora

f ( x0 − ) = f ( x0 + ) = f ( x0 )

Così, per esempio, la funzione (in Fig. 2)

x 0 ≤ x <1

f ( x) =  2 1
 x − 2 1< x ≤ 2

1
ha il limite sinistro f (1− ) = 1 e ha il limite destro f (1+ ) =
.
2
L’ampiezza del salto (discontinuità di prima specie) che accade in x = 1 è:

f (1− ) − f (1+ ) =
1
2

12
Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

Una funzione di una sola variabile f ( x) è detta continua a tratti (piecewise continuous ) in un
intervallo [a, b] se esiste un numero finito di punti a = x1 < x2 < ... < xn = b tale che la f ( x) sia

13
continua nel intervallo x j < x < x j +1 e i limiti unilaterali f ( x j + ) e f ( x j +1− ) esistono per ogni
j = 1, 2,3,K , n − 1 .
Una funzione continua a tratti è mostrata nella Fig. 3.
Le funzioni come 1 x e sin (1 x) non sono continue a tratti nell'intervallo chiuso [0,1] perché il
limite unilaterale f (0+ ) non esiste in ambo i casi.
Se f è continua a tratti in un intervallo [a, b] , allora è necessariamente limitata ed integrabile su
[ a, b] .
È facile verificare che il prodotto di due funzioni continue a tratti è una funzione continua a tratti
sull’intervallo comune.
Definiamo la derivata sinistra della funzione f ( x) in x0 come:

− f ( x0 − ) − f ( x0 − h)
f '( x0 ) = lim (1.3)
h →0 h

e la derivata destra della funzione f ( x) in x0 come

f ( x0 + h) − f ( x0 + )
f '( x0 + ) = lim (1.4)
h →0 h

dove h è un incremento positivo .


È chiaro che se f ha la derivata f '( x) in x0 , allora la derivata sinistra e destra esistono e hanno il
valore f '( x0 ) . L'opposto non è vero.

Per esempio, la funzione

x x≤0
f ( x) = 
cos x x ≥ 0

possiede la derivata sinistra e destra in x = 0 , i cui valori sono rispettivamente 1 e 0, anche se f '(0)
non esiste.
Se f è continua a tratti in un intervallo [a, b] e se in più, la derivata prima f ' è continua in ognuno
degli intervalli x j < x < x j +1 , ed i limiti f '( x j + ) e f '( x j − ) esistono, allora f è detta liscia a tratti
(piecewise smooth); se, in più, la derivata seconda f '' è continua in ognuno degli intervalli
x j < x < x j +1 , ed i limiti f ''( x j + ) e f ''( x j − ) esistono, allora f è detta molto liscia a tratti.

2. Funzioni pari e dispari

Una funzione f ( x) è detta pari (even) se, per ogni x ,

f (− x) = f ( x) (2.1)

14
È detta dispari (odd) se, per ogni x ,

f ( − x ) = − f ( x) (2.2)

In altre parole, una funzione pari ha il grafico simmetrico rispetto all’asse y, una funzione dispari ha
il grafico simmetrico rispetto all'origine (Fig. 4).

Fig. 4

Funzione pari Funzione dispari

Per esempio, x 2 e cos x sono funzioni pari mentre x e sin x sono funzioni dispari.

Comunque, qualunque funzione può essere scritta come la somma di una funzione pari e dispari:

1 1
f ( x) = [ f ( x) + f (− x) ] + [ f ( x) − f (− x)] = f e ( x) + f 0 ( x) (2.3)
2 2

Dove f e e f 0 denotano rispettivamente funzioni pari e dispari.


Per esempio, la funzione e x non è ne pari e ne dispari dal momento che f (− x) = e− x , ma può essere
scritta come

e x + e− x e x − e − x
ex = + = cosh x + sinh x
2 2

Un’applicazione dove la proprietà di simmetria delle funzioni pari e dispari è importante è quella
relativa al calcolo degli integrali.
Se f ( x) è una funzione integrabile su [− a, a ] allora:

a a


−a
f ( x) dx = 2∫ f ( x) dx
0
quando f ( x) è pari (2.4)

15
a


−a
f ( x) dx = 0 quando f ( x) è dispari (2.5)

Graficamente, come mostrato in fig. 5 l’integrale rappresenta l’area sotto la curva e così per la
funzione pari l’intera area è 2 volte l’area sotto la curva che va da 0 ad a , mentre nel caso di
funzione dispari l’area negativa sotto la curva da −a a 0 si annulla con l’area sotto la curva da 0 ad
a cosicché l’intera area è 0.

Fig. 5

3. Funzioni periodiche

Una funzione continua a tratti f ( x) in ogni intervallo [a, b] è detta periodica, se esiste un numero
positivo p tale che

f ( x + p) = f ( x) (3.1)

per ogni x .
p è chiamato periodo di f , ed il più piccolo valore di p è chiamato periodo fondamentale.

16
Fig. 6

Se f è periodica con periodo p , allora

f ( x + p ) = f ( x)
f ( x + 2 p) = f ( x + p + p) = f ( x + p)
f ( x + 3 p) = f ( x + 2 p + p) = f ( x + 2 p)
M
f ( x + np ) = f ( x + (n − 1) p + p ) = f ( x + (n − 1) p ) = f ( x)

per qualunque numero intero n .


Quindi, per ogni intero n

f ( x + np ) = f ( x) (3.2)

Si può facilmente dimostrare che se f1 , f 2 ,K , f k hanno il periodo p e ck sono delle costanti, allora

f = c1 f1 + c2 f 2 + ... + ck f k (3.3)

ha periodo p .
Noti esempi di funzioni periodiche sono le funzioni seno e coseno.
Come caso particolare: una funzione costante è una funzione periodica con periodo arbitrario p .

Così, dalla relazione (3.3), la serie

a0 + a1 cos x + a2 cos 2 x + ... + b1 sin x + b2 sin 2 x + ...

se converge, evidentemente ha periodo 2π .


Questa serie, che frequentemente si incontrano nei problemi di fisica matematica, saranno studiate
successivamente.

Quanto segue figurerà spesso senza ulteriori spiegazioni.

i) Sia f ( x) una funzione periodica di periodo p .


Se, per tale funzione, esiste l’integrale (proprio o improprio)

17
p

∫ f ( x) dx
0

allora per ogni numero reale a

a+ p p


a
f ( x) dx = ∫ f ( x) dx
0
Ovviamente si ha

a+ p p a+ p p a+ p


a
f ( x) dx = ∫ f ( x) dx +
a
∫ p
f ( x) dx = ∫ f ( x) dx +
a

p
f ( x − p ) dx =

p a p

= ∫ f ( x) dx + ∫ f ( x) dx = ∫ f ( x) dx
a 0 0

p p

ii) ∫ f (t − x) dt = ∫ f (t ) dt
0 0

dove x è un qualsiasi numero reale.


Usando la i) abbiamo:

p − x+ p p

∫ f (t − x) dt = ∫
0 −x
f (t ) dt = ∫ f (t ) dt
0

4. Ortogonalità

Una successione di funzioni {φn ( x)} è detta ortogonale rispetto alla funzione peso
q ( x) sull'intervallo [a, b] se

∫φ
a
m ( x)φn ( x)q ( x) dx = 0 m≠n (4.1)

Se poi m = n , abbiamo

1
b  2
|| φn ( x) ||=  ∫ φn2 q dx  (4.2)
a 

La quale è stata chiamata norma del sistema ortogonale {φn } .

18
Un sistema ortonormale φ1 , φ2 ,K , φn dove n può essere finito o infinito, che soddisfi la relazione

b
0 se m ≠ n
∫ φm ( x)φn ( x)q( x) dx = 
a 1 se m = n
= Sm,n (4.3)

è detto ortonormale in [a, b] .(Dove il simbolo Sm,n , è detto Delta di Kroneker).


È evidente che un sistema ortonormale può essere ottenuto da un sistema ortogonale dividendo ogni
funzione per la sua norma in [a, b] .

Esempio 4.2.
La successione di funzioni

1, cos x,sin x,K , cos nx,sin nx,K

forma un sistema ortogonale nell’intervallo [−π , π ] poiché

π
0 se m ≠ n
∫π sin mx sin nx dx = π

se m = n

∫ sin mx cos nx dx = 0
−π
∀ m, n (4.4)

π
0 se m ≠ n
∫π cos mx cos nx dx = π

se m = n

per m ed n interi positivi.


Per normalizzare questo sistema, dobbiamo dividere gli elementi del sistema ortogonale originale
per la sua norma.
Quindi

1 cos x sin x cos nx sin nx


, , ,K , , ,K
2π π π π π

forma un sistema ortonormale.


Una delle più importanti proprietà di un sistema ortogonale è che ognuno è linearmente
indipendente.
Ovviamente la stessa proprietà è valida anche per sistemi ortonormali.

5. Serie di Fourier

Noi già abbiamo visto che le funzioni

1, cos x,sin x, cos 2 x,sin 2 x,K

sono mutuamente ortogonali nell'intervallo[−π , π ] e che sono linearmente indipendenti.


19
Formiamo una serie che formalmente rappresenti la f ( x) .
Quindi scriviamo

a0 ∞
f ( x) = + ∑ (ak cos kx + bk sin kx) (5.1)
2 k =1

dove il simbolo indica che i coefficienti a0 , ak e bk dipendono in qualche maniera da f .


La serie può essere convergente oppure no.
Sia f ( x) una funzione definita ed integrabile secondo Riemann sull'intervallo[−π , π ] .
Consideriamo la somma parziale n-esima

a0 ∞
sn ( x) = + ∑ (ak cos kx + bk sin kx) (5.2)
2 k =1

e proponiamoci di determinare i coefficienti a0 , ak e bk in modo che sn ( x) rappresenti la migliore


approssimazione della f ( x) su [−π , π ] nel senso della media quadratica.
A tale scopo cerchiamo di minimizzare l’integrale

π
I (a0 , ak , bk ) = ∫π [ f ( x) − s ( x)] dx
2
n (5.3)

Una condizione necessaria affinché a0 , ak e bk minimizzino il funzionale I è che le derivate


parziali prime di I rispetto a questi coefficienti si annullino.
Così, sostituendo l’equazione (5.2) in (5.3) e derivando rispetto ai coefficienti a0 , ak e bk
otteniamo:

π
∂I a n

= − ∫  0 − ∑ (a j cos jx + b j sin jx)  dx (5.4)
∂a0 −π 
2 j =1 
π
∂I  a n

= −2 ∫  f ( x) − 0 − ∑ (a j cos jx + b j sin jx)  cos kx dx (5.5)
∂ak −π 
2 j =1 
π
∂I  a n

= −2 ∫  f ( x) − 0 − ∑ (a j cos jx + b j sin jx)  sin kx dx (5.6)
∂bk −π 
2 j =1 

Usando la relazione di ortogonalità della funzione trigonometriche (4.4) e notando che

π π

∫ cos mx dx = ∫π sin mx dx = 0
−π −
(5.7)

dove m e n sono numeri interi positivi, le equazioni (5.4), (5.5) e (5.6) diventano

20
π
∂I
= π a0 − ∫ f ( x) dx (5.8)
∂a0 −π
π
∂I
= 2π ak − 2 ∫ f ( x) cos kx dx (5.9)
∂ak −π
π
∂I
= 2π bk − 2 ∫ f ( x) sin kx dx (5.10)
∂bk −π

Poiché questi si devono annullare per avere un valore di estremo, si evince che deve essere

π
1
a0 =
π ∫
−π
f ( x) dx (5.11)
π
1
ak =
π −π
∫ f ( x) cos kx dx (5.12)
π
1
bk =
π ∫
−π
f ( x) sin kx dx (5.13)

Si osservi che a0 è un caso particolare di ak .


Dalle equazioni (5.8), (5.9) e (5.10) segue che

∂2 I
=π (5.14)
∂a02
∂2 I ∂2 I
= = 2π (5.15)
∂ak2 ∂bk2

Da cui le derivate miste del secondo ordine e tutte le derivate di ordine superiore si annullano.
Consideriamo la matrice Hessiana associata al funzionale I (a0 , ak , bk ) :

π 0 0
H ( I ) =  0 2π 0  (5.16)
 0 0 2π 

Essendo gli autovalori della matrice H ( I ) positivi (λ1 = π , λ2 = λ3 = 2π ) si evince che la matrice
H ( I ) è definita positiva, quindi il funzionale I (a0 , ak , bk ) assume un valore minimo quando i
coefficienti a0 , ak e bk vengono dati rispettivamente dalle equazioni 5.11-5.13.
Questi sono chiamati coefficienti di Fourier di f ( x) e la serie in (5.1) è detta serie di Fourier di
f ( x) .
Si osservi che la possibilità di rappresentare una data funzione f ( x) in serie di Fourier non implica
che la serie converga a f ( x) .
Le funzioni

a0
, a1 cos x + b1 sin x, a2 cos 2 x + b2 sin 2 x,K
2

21
Che figurano al secondo membro della formula (5.1) e verificano le condizioni (5.11)-(5.13) si
dicono termini della serie di Fourier per la funzioni f (armoniche di f ).
L’insieme dei coefficienti di Fourier di una funzione f si chiama spettro.

Osservazione 1

I coefficienti di Fourier (5.11), (5.12) e (5.13) possono essere ottenuti in un modo diverso.
Supponiamo che la funzione f ( x) di periodo 2π sia sviluppabile in serie di Fourier

a0 ∞
f ( x) = + ∑ (ak cos kx + bk sin kx) (5.17)
2 k =1

Se supponiamo che la serie sia integrabile termine a termine (per fissare le idee supponiamo che la
convergenza della serie sia uniforme), allora

π π
 a0 n 

−π
f ( x) dx = ∫−π  2 + ∑
k =1
(ak cos kx + bk sin kx)  dx = π a0

da cui

π
a0 = ∫
−π
f ( x) dx (5.18)

Se moltiplichiamo ambo i termini dell’equazione (5.17) con cos nx e integriamo da −π a π ,


otteniamo

π π
 a0 n 

−π
f ( x) cos nx dx = ∫−π  2 + ∑
k =1
(ak cos kx + bk sin kx)  cos nx dx = π ak

ovvero

π
1
ak =
π ∫π f ( x) cos kx dx

(5.19)

In un modo simile troviamo che

π
1
bk =
π ∫
−π
f ( x) sin kx dx (5.20)

I coefficienti a0 , ak e bk che sono stati trovati sono precisamente gli stessi ottenuti prima.

22
Osservazione 2

Numerosi processi vibratori in fisica e in discipline tecniche sono descritti mediante funzioni
periodiche, di periodo (fondamentale) T ; allora t è il tempo, y = f (t ) è l’ordinata di un punto
oscillante.
Se f è un polinomio trigonometrico, si dice che: il processo vibratorio y = f (t ) si scinde in
processi elementari, ossia in oscillazioni armoniche:

a0 n a n
f (t ) = + ∑ (ak cos kωt + bk sin kωt ) = 0 + ∑ Ak cos(kωt − ϕk )
2 k =1 2 k =1

dove Ak = ak 2 + bk 2 e le ϕk sono definite dalle equazioni

bk = sin ϕk , ak = cos ϕk 0 ≤ ϕk ≤ 2π


Il parametro ω = viene detto pulsazione e si misura in radianti al secondo; la frequenza
T
ω 1
f = = si misura in periodi (cicli) al secondo o Hertz (Hz).
2π T
L’armonica

Ak cos(kωt − ϕ k )

1
ha ampiezza Ak , fase iniziale ϕk e frequenza k volte la frequenza fondamentale .
T

6. Convergenza in media della serie di Fourier. Completezza.

Sia f ( x) una funzione continua a tratti e periodica con periodo 2π .


E’ ovvio che

∫π [ f ( x) − s ( x)] dx ≥ 0
2
n (6.1)

dove

a0 n
sn ( x) = + ∑ (ak cos kx + bk sin kx)
2 k =1

23
Sviluppando il quadrato si ottiene

π π π π

∫π [ f ( x) − s ( x)] dx = ∫π [ f ( x)] dx − 2 ∫π f ( x) s ( x)dx + ∫π [s ( x)] dx


2 2 2
n n n
- − − −

Ma, dalle definizioni dei coefficienti di Fourier (5.11), (5.12) e (5.13) e le relazioni di ortogonalità
(4.4) relative alle successione trigonometrica dell’esempio (4.2) si evince

π π
πa02
 a0 n 
( )
n

∫ f ( x) sn ( x)dx = ∫−π  2 ∑
f ( x ) + (a k cos kx + bk sin kx )dx = + π ∑ ak2 + bk2 (6.2)
−π k =1  2 k =1

π π
π a02
2
 a0 n  n

∫−π = ∫−π  2 ∑
+ + = + π ∑ (ak2 + bk2 )
2
s (
n x ) dx ( a k cos kx bk sin kx )  dx
k =1  2 k =1
(6.3)

di conseguenza

π π
π a2 n

∫ [ f ( x) − sn ( x)] dx = ∫ f 2 ( x) dx −  0 + π ∑ (ak2 + bk2 )  ≥ 0
2

−π −π  2 k =1  (6.4)

Allora segue che

π
a02 n 2 1
+ ∑ (ak + bk2 ) ≤ ∫ f 2 ( x) dx (6.5)
2 k =1 π −π

per tutti i valori di n.

Poiché il membro a destra dell’equazione (6.5) è indipendente da n, otteniamo

π
a02 ∞ 2 1
+ ∑ (ak + bk2 ) ≤ ∫ f 2 ( x) dx (6.6)
2 k =1 π −π

nota come disuguaglianza di Parseval.


La serie (a termini positivi)

a02 ∞ 2
+ ∑ (ak + bk2 ) (6.7)
2 k =1

essendo crescente e limitata superiormente, è convergente.


La condizione necessaria per la convergenza della serie (6.7) è che

lim ak = 0 e lim bk = 0 (6.8)


k →∞ k →∞

24
Si dimostra che la serie di Fourier converga in media quadratica a f ( x) , cioè

π 2
 a n

lim ∫  f ( x) −  0 + ∑ (ak cos kx + bk sin kx ) dx = 0 (6.9)
n →∞
−π   2 k =1 

Poichè la serie di Fourier converge in media quadratica a f ( x) , dalla (6.4) segue che

π
a02 n 2
2 k =1
(
+ ∑ ak + bk2 =
1
π
) ∫π f
2
( x)dx (6.10)

L’uguaglianza precedente è nota come identità di Parseval.

Inoltre, se la relazione (6.9) è vera, in quanto l’insieme delle funzioni trigonometriche

1, cos x, sin x, cos 2 x, sin 2 x,...


è detto completo in L (−π , π ) . (vedi appendice)
'
2

7. Serie di coseno e seno

Sia f ( x) una funzione pari definita nell'intervallo [ −π , π ] .


Siccome cos kx è una funzione pari, e sin kx è una funzione dispari, la funzione f ( x) cos kx è una
funzione pari e la funzione f ( x) sin kx è una funzione dispari.
Così, tenuto conto delle equazioni (2.4) e (2.5) troviamo che i coefficienti di Fourier della f ( x)
sono:

π π
1 2
ak =
π ∫
−π
f ( x) cos kx dx =
π ∫ f ( x) cos kx dx
0
k = 0,1, 2,....

π
(7.1)
1
bk =
π ∫
−π
f ( x) sin kx dx = 0 k = 0,1, 2,....

Allora la serie di Fourier di una funzione pari può essere scritta come

a0 ∞
f ( x) = + ∑ ak cos kx (7.2)
2 k =1

dove i coefficienti ak sono dati dalla formula (7.1).


In maniera simile, se f ( x) è una funzione dispari, la funzione f ( x) cos kx è una funzione dispari e
la funzione f ( x) sin kx è una funzione pari, pertanto, i coefficienti di Fourier di f ( x) , in questo
caso sono:

25
π
1
ak =
π ∫
−π
f ( x) cos kx dx = 0 k = 0,1, 2,K

π π
(7.3)
1 2
bk =
π ∫
−π
f ( x) sin kx dx =
π ∫ f ( x) sin kx dx

k = 0,1, 2,K

Perciò, la serie di Fourier di una funzione dispari può essere scritta come

n
f ( x) = ∑ bk sin kx (7.4)
k =1

dove i coefficienti bk sono dati dalla formula (7.3).

8. Esempi

Esempio 8.1.
Trovare lo sviluppo in serie di Fourier per la funzione periodica mostrata in figura 7.

f ( x) = x + x 2 −π ≤ x ≤ π

Fig. 7

In questo caso è

π π
1 1 2π 2
a0 = ∫ f ( x) dx = ∫ ( x + x ) dx =
2

π −π
π −π
3

π π
1 1 4
ak = ∫π f ( x) cos kx dx = π ∫π ( x + x ) cos kx dx = k (−1) k
2

π − −
2

26
π π
1 1 2
bk = ∫π f ( x) sin kx dx = π ∫π ( x + x ) sin kx dx = − k (−1)
2 k

π − −

Quindi lo sviluppo in serie di Fourier per f è

π2 ∞
4 2 π2
f ( x) = +∑ 2
( −1) k
cos kx − ( − 1) k
sin kx = − 4 cos x + 2sin x + cos 2 x − sin 2 x − K
3 k =1 k k 3

Le prime due somme parziali sono

π2
s1 = − 4 cos x + 2 sin x
3
π2
s2 = − 4 cos x + 2 sin x + cos 2 x − sin 2 x
3

Queste sono rappresentate in figura 8.

Fig. 8

Si vede che i primi termini forniscono già una buona approssimazione di f nell’intervallo
−π ≤ x ≤ π .
L’approssimazione migliora con il numero dei termini presi per una x fissata in −π ≤ x ≤ π , ma
non per x = ± π .
I comportamenti delle approssimazioni nei punti di discontinuità saranno discussi successivamente.

Esempio 8.2.
Consideriamo la funzione periodica mostrata in figura 9.

27
−π se −π < x < 0
f ( x) = 
x se 0< x <π

Fig. 9

In questo caso abbiamo

π π
1 1
0
 π
a0 = ∫ f ( x) dx = ∫ −π dx + ∫ x dx  = −
π −π
π  −π 0  2

π π
1 
0
1 1 1
ak = ∫ f ( x) cos kx dx =  ∫ −π cos kx dx + ∫ x cos kx dx  = 2 (cos kπ − 1) = 2 (−1) k − 1
π −π
π  −π 0  kπ kπ

π π
1  1
0
1 1
bk = ∫ f ( x) sin kx dx = ∫ −π sin kx dx + ∫ x sin kx dx  = (1 − 2 cos kπ ) = 1 − 2(−1) k 
π −π
π  −π 0  k k

Quindi la serie di Fourier è

π ∞
1 1
f ( x) = − +∑ (−1)k − 1 cos kx + 1 − 2(−1)k  sin kx
k =1 k π
2
4 k

28
Esempio 8.3.
Consideriamo la funzione f ( x) = x nell’intervallo −π ≤ x ≤ π , in figura 10.

Fig. 10

In questo caso è

π π
1 1
a0 =
π −π
∫ f ( x)dx =
π ∫ xdx = 0
−π

π π
1 1
ak =
π −
∫π f ( x) cos kx dx =
π −
∫π x cos kx dx = 0 con k = 1, 2,3,K

π π
1 1 2 k +1
bk =
π ∫π f ( x) sin kx dx = π ∫π x sin kx dx = k (−1)
− −
con k = 1, 2,3,K

Allora


sin kx
f ( x) = 2∑ (−1) k +1
k =1 k

Esempio 8.4.
Calcoliamo la serie di Fourier della funzione, detta onda quadra, mostrata in figura 11.

 −1 se −π < x < 0
f ( x) = 
 +1 se 0< x <π

29
Fig. 11

In questo caso f è una funzione dispari così che ak = 0 per k = 0,1, 2,3,K e

π π
2 2 2
π∫ π∫
bk = f ( x) sin kx dx = sin kx dx = 1 − (−1) k
 con k = 1, 2,3,K
0 0
kπ 

Così b2 k = 0 e b2 k −1 = [ 4 π (2k − 1)] .


Quindi la serie di Fourier della funzione f ( x) è

4 ∞
sin(2k − 1) x
f ( x) =
π
∑ k =1 (2k − 1)

Esempio 8.5
Sviluppiamo sin x in serie di Fourier. Visto che sin x è una funzione pari come mostrato in figura
12, bk = 0 per k = 1, 2,K e

Fig. 12

30
π π
2 2
ak =
π ∫ f ( x) cos kx dx = π ∫ sin x cos kx dx =
0 0

1
π 2 1 + (−1) k 
=
π ∫ [sin(1 + k ) x + sin(1 − k ) x ] dx =
0
π (1 − k 2 )
per k = 0, 2,3,K

π
2
Per k = 1 , a1 =
π ∫ sin x cos x dx = 0 .
0

Allora la serie di Fourier di f ( x) è


2 4 cos 2kx
f ( x) =
π
+
π
∑ (1 − 4k
k =1
2
)

In un paragrafo precedente abbiamo definito la funzione f ( x) nell’intervallo (−π , π ) ed assunto


f ( x) periodica con periodo 2π nell’intero intervallo (−∞, ∞) .
In pratica, frequentemente incontriamo problemi in cui una funzione è definita solamente
nell’intervallo (−π , π ) .
In questo caso estendiamo la funzione periodicamente con periodo 2π, come in figura 13.

Fig. 13

In questo modo possiamo rappresentare la funzione f ( x) con lo sviluppo in serie di Fourier,


sebbene siamo interessati solamente all’intervallo (−π , π ) .
Se una funzione f è definita solo nell’intervallo (0, π ) , possiamo estenderla in due modi.
Il primo è l’estensione pari di f , denotata e definita da (vedi figura 14)

 f ( x) se 0< x <π
Fe ( x) = 
 f (− x) se −π < x < 0

31
Fig. 14

mentre il secondo è l’espansione dispari di f , denotata e definita da (vedi figura 15)

 f ( x) se 0< x <π
Fo ( x) = 
− f (− x) se −π < x < 0

Fig. 15

Visto che Fe ( x) e F0 ( x) sono rispettivamente funzioni pari e dispari con periodo 2π , gli sviluppi
in serie di Fourier di Fe ( x) e F0 ( x) sono

∞ π
a 2
Fe ( x) = 0 + ∑ (ak cos kx) dove ak = ∫ f ( x) cos kx dx
2 k =1 π 0

∞ π
2
F0 ( x) = ∑ (bk sin kx) dove bk = ∫ f ( x) sin kx dx
k =1 π 0

32
9. Serie di Fourier complessa

È conveniente qualche volta rappresentare lo sviluppo in serie di Fourier di una funzione f ( x) in


forma complessa.
Questo sviluppo può essere dedotto facilmente sostituendo nella serie di Fourier

a0 ∞
f ( x) = + ∑ (ak cos kx + bk sin kx)
2 k =1

le formule

e jx − e − jx e jx + e − jx
sin x = e cos x =
2j 2
Si ottiene

a0 ∞   e jkx + e − jkx   e jkx − e − jkx 


f ( x) = + ∑ ak   + bk   =
2 k =1   2   2j 
a0 ∞  ak − jbk  jkx  ak + jbk  − jkx 
= +∑  e +  e  =
2 k =1  2   2  

( )

= c0 + ∑ ck e jkx + c− k e − jkx
k =1

dove

π
a 1
c0 = 0 =
2 2π ∫
−π
f ( x) dx

π π
ak − jbk 1 1
∫ [ f ( x)(cos kx − j sin kx)] dx =
− jkx
ck =
2
=
2π −π
2π ∫π f ( x)e

dx

π π
a + jbk 1 1
c− k = k = ∫−π [ f ( x)(cos kx + j sin kx)] dx = 2π ∫π f ( x)e
jkx
dx
2 2π −

Quindi lo sviluppo in serie di Fourier in forma complessa è


f ( x) = ∑ce
k =−∞
k
jkx
−π < x < π (9.1)

dove

π
1 − jkx
ck =
2π ∫π f ( x)e

dx (9.2)

33
È importante notare che se f è una funzione reale, allora ak e bk sono anch’essi reali e i numeri
ck e c− k benché siano in generale complessi sono reciprocamente coniugati:

c− k = ck

Viceversa, la coniugazione complessa a due a due di ck e c− k implica, semplicemente, che i


coefficienti di Fourier ak e bk della funzione f siano reali, e se ciò ha luogo per tutti i k = 0,1,K
la funzione f diventa anch’essa reale.
Evidentemente, l’n-esima somma della serie di Fourier di f

a0 ∞
sn ( x) = + ∑ (ak cos kx + bk sin kx)
2 k =1

può essere scritta nella forma

n
sn ( x) = ∑ce
k =− n
k
jkx

Se, per un dato valore x esiste il limite

n
lim
n →∞
∑ce
k =− n
k
jkx

si dice che la serie converge nel senso del valore principale.


Se, per un dato valore di x , esiste il limite

n
lim
n , m →∞
∑ce
k =− m
k
jkx

si dice che la serie converge (in questo caso m e n crescono indefinitamente l’uno
indipendentemente dall’altro).

Le funzioni complesse

1
e jkx k = 0, ±1, ±2,K (9.3)

formano un sistema ortonormale in [0, 2π ] in quanto


 1 1 − jhx  1 se k = h
∫0  2π e
jkx
e dx = δ = 
2π  0 se k ≠ h

34
Poiché le funzioni cos kx e sin kx (k = 0,1, 2,K) formano un sistema completo in C* e quindi in
L 2 * , della stessa proprietà gode anche il sistema e jkx (k = 0, ±1, ±2,K) in quanto

e jkx − e − jkx e jkx + e − jkx


sin kx = e cos kx =
2j 2

I numeri ck definiti dalla (9.2) sono i coefficienti di Fourier relativi alle funzioni e jkx .
In virtù della completezza del sistema (9.3) in L 2 * , per ogni funzione f ∈ L 2 * si verifica
l’uguaglianza di Parseval:

2π ∞
1
∫ f ( x) dx = ∑
2 2
ck
2π 0 k =−∞

Esempio 9.1.
Determiniamo lo sviluppo in serie di Fourier per f ( x) in forma complessa con

f ( x) = e x −π < x < π

Abbiamo

π π
1 1 (1 + jk )(−1)k
ck = ∫ f ( x )e − jkx
dx = ∫ee
x − jkx
dx = sinh π
2π −π
2π −π
π (1 + k 2 )

Pertanto la serie di Fourier richiesta è


(1 + jk )(−1) k
f ( x) = ∑
k =−∞ π (1 + k 2
)
sinh π e jkx

Esempio 9.2
Determinare lo sviluppo in serie di Fourier per l’onda quadra in forma complessa.

I coefficienti della serie di Fourier in forma complessa (vedi esempio 8.4) sono:

c 0 = a0 = 0 c k = (ak − jbk ) = − j
1 (− 1) − 1 [ k
]
2 kπ

Pertanto lo sviluppo in serie di Fourier in forma esponenziale, per l’onda quadra è:

f ( x) = ∑ j
+∞
(− 1)k − 1e jkx k≠0
−∞ kπ

35
10. Cambio di intervallo

Precedentemente ci siamo interessati alle funzioni definite nell’intervallo [−π , π ] .


In alcune applicazioni comunque questo intervallo è restrittivo, e l’intervallo d’interesse potrebbe
essere arbitrario, diciamo [a, b] .
Se introduciamo una nuova variabile t con la trasformazione

(b + a ) (b − a )
x= + t (10.1)
2 2π

allora l’intervallo a ≤ x ≤ b diviene −π ≤ t ≤ π e la funzione

 (b + a ) (b − a ) 
f + t ≡ F (t )
 2 2π 

ovviamente ha periodo 2π .
Sviluppando questa funzione in serie di Fourier, otteniamo

a0 ∞
F (t ) = + ∑ (ak cos kt + bk sin kt ) (10.2)
2 k =1

dove

π
1
ak =
π ∫ F (t ) cos kt dt
−π
k = 0, 2,3,K

π
1
bk =
π ∫ F (t ) sin kt dt
−π
k = 1, 2,3,K

Cambiando t in x , troviamo lo sviluppo per f ( x) in [a, b]

a0 ∞  kπ (2 x − b − a ) kπ (2 x − b − a ) 
f ( x) = + ∑  ak cos + bk sin  (10.3)
2 k =1  (b − a ) (b − a ) 

dove

2  kπ (2 x − b − a) 
b
ak = ∫ 
b−a a 
f ( x) cos
(b − a )  dx

(10.4)

 kπ (2 x − b − a ) 
b
2
bk = ∫ 
b−a a 
f ( x) sin
(b − a)  dx

(10.5)

per ogni k .

36
Qualche volta è conveniente prendere l’intervallo nel quale la funzione f è definita come [−l , l ] .
Segue dal risultato appena ottenuto che ponendo a = −l e b = l , lo sviluppo per f in [−l , l ] ,
prende la forma

a0 ∞  kπ x kπ x 
f ( x) = + ∑  ak cos + bk sin  (10.6)
2 k =1  l l 

dove

kπ x 
l
1 
ak = ∫  f ( x) cos dx (10.7)
l −l  l 

kπ x 
l
1 
bk = ∫  f ( x) sin dx (10.8)
l −l  l 

per ogni k
Se f è una funzione pari di periodo 2l , dall’equazione 10.6 possiamo facilmente determinare che

a0 ∞ kπ x
f ( x) = + ∑ ak cos (10.9)
2 k =1 l

dove

kπ x 
l
2 
ak = ∫
l 0 
f ( x ) cos
l 
dx (10.10)

per ogni k .
Se f è una funzione dispari di periodo 2l , dall’equazione 10.6 lo sviluppo per f è


kπ x
f ( x) = ∑ bk sin (10.11)
k =1 l

dove

kπ x 
l
2 
bk = ∫
l 0 f ( x) sin
l 
dx (10.12)

37
Esempio 10.1.
Consideriamo la funzione periodica dispari f

f ( x) = x −2 < x < 2

come mostrato in figura 16.

Fig. 16

Qui l = 2 .
Visto che f è dispari, ak = 0 , e

kπ x  kπ x 
l 2
2  2  4
bk = ∫
l 0 f ( x) sin
l   dx = ∫  x sin
20 2   dx = −

(−1) k per k = 1, 2,3,K

Quindi, la serie di Fourier di f è


 4 kπ x 
f ( x) = ∑  (−1) k +1 sin
k =1  kπ 2 

38
Esempio 10.2.
È data la funzione

 1
1 se 0<x<
2
f ( x) = 
0 1
se < x <1
 2

In questo caso il periodo è 2l = 2 o l = 1 .


Sviluppiamo f come mostrato in figura 17.

Fig. 17

Visto che lo sviluppo è pari, abbiamo bk = 0 e

l 1
2 2
a0 = ∫ f ( x) dx = ∫ f ( x) dx = 1
l 0 10

kπ x  kπ
l 1
2  2 2
ak = ∫  f ( x) cos  dx = ∫ [ f ( x) cos kπ x ] dx = sin
l 0 l  10 kπ 2

Quindi

1 ∞  2 
f ( x) = +∑ π
(−1) k −1 cos(2k − 1)π x 
2 k =1  (2k − 1) 

La funzione data (così come quella dell’esempio 8.4) è detta onda quadra.

39
11. Convergenza puntuale della serie di Fourier

Abbiamo precedentemente affermato che se f ( x) è continua a tratti sull'intervallo [−π , π ] , allora


esiste uno sviluppo in serie di Fourier che converge in media quadratica a f ( x) .
In questo paragrafo studieremo la convergenza puntuale.
Iniziamo considerando

a0 ∞
f ( x) ~ + ∑ (ak cos kx + bk sin kx)
2 k =1

dove

π
1
ak =
π ∫π f ( x) cos kx dx

π
1
bk =
π ∫
−π
f ( x)sin kx dx

per ogni k.
Sia sn ( x) la somma parziale n-esima della serie di Fourier della f ( x) ,

a0 n
sn ( x) = + ∑ (ak cos kx + bk sin kx)
2 k =1

Sostituendo ak e bk in sn ( x) , otteniamo

π
1 1 n   π  π  
sn ( x ) =
2π ∫ f (t ) dt + ∑  ∫
π k =1   −π
f (t ) cos kt dt  cos kx +  ∫ f (t ) sin kt dt  sin kx 
−π   −π  
π
1 1 n 
= ∫π f (t )  + ∑ cos kt cos kx + sin kt sin kx  dt (11.1)
π −  2 k =1 
π
1 1 n 
= ∫ f (t )  + ∑ cos k (t − x)  dt
π −π  2 k =1 

40
Sommando l'identità trigonometrica

α  1  1
2 sin cos ka = sin  k +  α − sin  k +  a
2  2  2

da k = 1 a k = n , otteniamo

α 1 n
 α  3α α   1  1 
2 sin  + ∑
2  2 k =1
cos ka  = sin + sin
 2  2
− sin  + K + sin  n +  α − sin  n −  α 
2   2  2 
(11.2)
 1
= sin  n +  α
 2

Poi usando la (11.2) nella (11.1) otteniamo

 
1
π sin(n + 1/ 2)(t − x) 
sn ( x) = ∫  f (t )  dt
π −π  t−x  (11.3)
2 sin  
  2  

Introducendo una nuova variabile s = t − x abbiamo

 
1
π −x  sin(n + 1/ 2) s 
π −π∫− x 
sn ( x ) =  f ( s + x )  ds
s  (11.4)
2 sin  
  2  

Ora, se f ( x) è continua a tratti e periodica con periodo 2π , allora anche sn ( x) è periodica con
periodo 2π .
Così

 
1
π sin(n + 1/ 2) s 
sn ( x) = ∫  f ( s + x)  ds
π −π  s  (11.5)
2sin  
  2  

La (11.5) è nota come formula di Dirichlet per sn .

41
Il nucleo

sin(n + 1/ 2) s
(11.6)
s
2sin  
2

è detto nucleo di Dirichlet, che è periodico con periodo 2π ed inoltre

 
1
π  sin(n + 1/ 2) s  1
π
1 n 
∫ 
π −π  s
 ds =
π ∫−π  2 + ∑ cos kx  ds = 1
(11.7)
2sin    k =1 
  2  

LEMMA 11.1 (Riemann-Lebesgue Lemma).

Se g ( x) è continua a tratti sull'intervallo [a, b] , allora

b
lim ∫ g ( x) sin λ x dx = 0 (11.8)
λ →∞
a

TEOREMA 11.1 (Teorema di Convergenza Puntuale).

Se f ( x) è liscia a tratti e periodica con periodo 2π in [−π , π ] , per qualsiasi x

a0 ∞ 1
+ ∑ (ak cos kx + bk sin kx) =  f ( x + ) + f ( x − )  (11.9)
2 k =1 2

dove

π
1
ak =
π ∫
−π
f ( x) cos kx dx

π
1
bk =
π ∫π f ( x)sin kx dx

per k = 0, 1, 2, …

42
APPENDICE

Sia H un insieme lineare complesso

αϕ + βψ ∈ H ∀ α , β ∈C e ∀ ϕ ,ψ ∈ H ,

Per prodotto scalare su H si intende un’applicazione che ad ogni coppia di elementi ϕ e ψ


appartenenti ad H fa corrispondere il numero complesso ϕ ,ψ , che soddisfa le seguenti proprietà:

1) ϕ ,ψ = ϕ ,ψ ;

2) α1ϕ1 + α 2ϕ 2 ,ψ = α1 ϕ1 ,ψ + α 2 ϕ 2 ,ψ ;

3) ϕ ,ψ ≥ 0 , ϕ ,ψ = 0 se e solo se ϕ = ϑ

Con ϑ elemento nullo di H.

Dalla 1) e 2) si evince che

i) αϕ ,ψ = α ϕ ,ψ ii) ϕ , βψ = β ϕ ,ψ

Non è difficile dimostrare che l’applicazione su H così definita

ϕ
→ ϕ , ϕ

è una norma ( la norma definita dal prodotto scalare ). Si dimostra che

1 1
ϕ ,ψ ≤ ϕ , ϕ 2
ψ ,ψ 2

ovvero

ϕ ,ψ ≤ ϕ ψ

43
Esempio 1.
Indichiamo con C[a,b] l’insieme lineare delle funzioni continue

x(t ) = x1 (t ) + jx2 (t ) t ∈ [a, b].

Non è difficile verificare che l’applicazione definita nel seguente modo

b
x(t ), y (t ) = ∫ x(t ) y (t )dt
a

è un prodotto scalare su C[a,b]; inoltre

b b
x(t ), x (t ) = ∫ x(t ) x(t )dt = ∫ x(t ) dt = x(t )
2 2
i)
a a
1 1
b  2
b  2
x(t ), y (t ) ≤  ∫ x(t ) dt   ∫ y (t ) 2 dt  .
2
ii )  
0  0 

Un insieme (finito o infinito) di elementi di H:

ϕ1 , ϕ 2 , .... , ϕ k , ..... ϕk ∈ H

è detto ortogonale se per k ≠ h risulta

ϕk ,ϕh = 0

Se gli elementi di un insieme ortogonale hanno norma unitaria:

ϕk = ϕk ,ϕk = 1 k = 1, 2, ....

si dice che l’insieme è ortonormale.

Si ha la seguente definizione:
Definizione 1. Un insieme (finito o infinito)

ϕ1 , ϕ 2 , ....

di elementi di H si dice ortonormale se

1 h=k
ϕ k , ϕ h = δ hk = 
0 h≠k

δ hk è detto Delta di Kronecker.


Non è difficile verificare che: Ogni insieme ortonormale (in particolare ortonormale) è linearmente
indipendente.

44
Ovviamente se un insieme

ϕ1 , ϕ 2 , ....

di elementi di H è ortogonale ( ϕ k , ϕ h = 0 con k ≠ h ), l’insieme

ϕ1 ϕ2
, , .....
ϕ1 ϕ2

è ortonormale.

Esempio 2.

Gli insiemi

{1, cos kt, sin kt, k = 1, 2, ... }

 1 cos kt sin kt 
 , , k = 1, 2, ... 
 2π π π 

sono rispettivamente, ortogonale ed ortonormale in C[− π , π ].

Esempio 3.

L’insieme ψ k = e jkt k = 0, ± 1, ± 2, ... è ortogonale in C[− π , π ]. Infatti risulta

π π π
ψ k ,ψ h = ∫ e jkt e − jkt dt = ∫ e j ( k −h )t dt = 2∫ cos k (k − h)t dt
−π −π 0

da cui

0 k≠h
ψ k ,ψ h = 
2π k=h

1
ovviamente l’insieme ϕ k = e jkt con k = 0, ± 1, ± 2, ... è ortonormale.

45
Conveniamo che: una serie di elementi di H

u1 + u 2 + .... + uk + ...

converge nella metrica di H, ad un elemento f ∈ H se, per l’n-esima somma

sn = u1 + u 2 + .... + u n n = 1, 2, ...

si verifica la relazione

lim f − sn = 0
n →∞

In questo caso si dice che f è la somma di una serie convergente a f nella metrica di H e si scrive

∑u
k =1
k = f in H.

Dimostriamo l’importante lemma

Lemma. Se

∑u
k =1
k ,ϕ = f ,ϕ ∀ϕ ∈ H.

Dimostrazione. L’asserto è una conseguenza della disuguaglianza seguente

n n n


1
uk ,ϕ − f ,ϕ = ∑ uk − f , ϕ ≤
k =1
∑u
k =1
k −f ⋅ϕ

Dal lemma precedente si evince


i ) se ∑α ϕ
1
k k =f in H, allora α k = f , ϕk .

ii ) se


k =1
f ,ϕk ϕk = f in H

allora

∑k =1
f ,ϕk ϕk ,ϕ = f ,ϕ ∀ϕ ∈ H

46
In particolare, se ϕ = f si ha


k =1
f ,ϕk f ,ϕk = f , f

ovvero


2
f ,ϕk = f
2

k =1

Esempio 4. L’applicazione che ad ogni coppia di elementi ϕ e ψ di L' 2 (Ω ) fa corrispondere il


numero complesso

ϕ ,ψ = ∫ ϕ ( x)ψ ( x)dx

dove l’integrale è inteso nel senso di Riemann, integrale improprio assolutamente convergente, è un
prodotto scalare su L' 2 (Ω ) .

Definizione. Se

1
 
= [ fn − f , fn − f ]
2
1
fn − f =  ∫ f n ( x) − f ( x) dx  
→ 0
2
2
L'2
Ω 

si dice che f n converge ad f in media quadratica in L'2 (Ω ) .

47
Se f ∈ H è un elemento qualsiasi, la serie


k =1
f ,ϕk ϕk ≈ f

è, per definizione, la serie di Fourier di f rispetto al sistema ortonormale ϕ1 , ϕ 2 , .... ; in numeri

ak = f , ϕ k

sono detti coefficienti di Fourier.

Se il sistema è ortogonale allora la serie di Fourier di f e i corrispondenti coefficienti di Fourier si


scrivono rispettivamente nel modo seguente


1 1
f ≈∑ f ,ϕk ϕk ak = f ,ϕk
ϕk ϕk
2 2
k =1

Assegnato un elemento f ∈ H , poniamoci il seguente problema:


fra tutti i numeri possibili α1 , α 2 , ..., α N , determinare quelli per i quali il funzionale

N
F(α1 , α 2 , ..., α N ) = f − ∑ α kϕ k
k =1

sia minimo.

Dimostriamo che i numeri α1 , α 2 , ..., α N , per i quali la norma

N
f − ∑ α kϕ k
k =1

sia minima, sono i coefficienti di Fourier di f . In altre parole si ha

N N
f − ∑ f , ϕ k ϕ k ≤ f − ∑ α kϕ k
k =1 k =1

48
per ogni N-pla di numeri (α1 , α 2 , ..., α N ) . Infatti si ha

N 2 N N N N N N
f − ∑ α iϕi = f − ∑ α iϕi , f − ∑ α iϕi = f , f − f , ∑ α iϕi − ∑ α iϕi , f + ∑ α iϕi , ∑ α iϕi =
1 1 1 1 1 1 1

[ ]
N
= f − ∑ α i f , ϕi + α i ϕi , f − α i α i
2

si osservi che essendo ϕ k , ϕ h = 0 h = k è

α1ϕ1 + α 2ϕ 2 + .... + α N ϕ N , α1ϕ1 + α 2ϕ 2 + .... + α N ϕ N = α1α1 + .... + α N α N .

Pertanto

[ ]
N 2 N
f − ∑ α iϕi = f − ∑ α i f , ϕi + α i ϕi , f − α i α i − f , ϕi f , ϕi + f , ϕi f , ϕi =
2

1 1

[
− ∑ α i ( f , ϕi − α i ) + f , ϕi (α i − f , ϕ i )]− ∑
N N
2
= f f , ϕi =
2

1 1

− ∑ (α i − f , ϕi )( f ,ϕ )
N N
− α i − ∑ f , ϕi
2
= f =
2
i
1 1

N N N
+ ∑ α i − f , ϕi − ∑ f , ϕi − ∑ f , ϕi
2 2 2
= f ≥ f
2 2

1 1 1

RIASSUMENDO, risulta

N 2 N
f − ∑ α iϕi − ∑ f , ϕi
2
≥ f
2

1 1

inoltre è

1
 N N
 2
0 ≤ min f − ∑ α iϕi =  f − ∑ f , ϕi
2 2

αi
1  1 

se e solo se α i = f , ϕi cioè se e solo se le α i (i = 1, ...., N) sono i coefficienti di Fourier di f .


Da quanto precede, si evince che


2
f , ϕi ≤ f
2

da cui:

49
la serie composta dai quadrati dei moduli dei coefficienti di Fourier dell’elemento f ∈ H è
convergente e verifica la seguente disuguaglianza

∑ ( f ,ϕ ) ≤ f =(f, f )
2 2
k
k =1

ffff
HHHH
nota come disuguaglianza di Parseval per ∈ .

Definizione. Un sistema α1 , α 2 , .... di elementi di H si dice completo in H se per f ∈ H e ∀ ε > 0 si


possono trovare N numeri α1 , α 2 , ..., α N tali che

N
f − ∑ α kϕ k < ε
1

Enunciamo un importante teorema:


Teorema. Affinchè un sistema ortonormale di elementi α1 , α 2 , .... sia completo in H è necessario e
sufficiente che sia soddisfatta una delle seguenti condizioni:

i ) La serie di Fourier di un elemento qualsiasi f ∈ H converge a f nella metrica di H;

ii ) Per ogni elemento f ∈ H si verifica l’uguaglianza di Parseval


= ∑ f ,ϕk
2
f, f = f
2
.
k =1

Si osservi che la i ) implica la ii ) , vedi conseguenze del lemma.

Completiamo questa parte introducendo una definizione ed enunciando un importante teorema


relativo ad essa.

Definizione. Un sistema ortonormale è chiuso se, per ψ ∈ H , si verifica che

ψ ,ϕk = 0 (k = 1,2, ...) ⇒ ψ = ϑ (elemento nullo di H).

Esempio. Un sistema ortonormale completo è chiuso. Infatti sia f ∈ H , se il sistema α1 , α 2 , .... è


completo in H allora, per il teorema precedente è


= ∑ f ,ϕk
2 2
f
k =1

da cui se risulta f , ϕ k = 0 per k = 1, 2, ... segue = 0 ovvero f = ϑ .


2
f

50
Teorema. Se H è uno spazio lineare completo con prodotto scalare, ossia è uno spazio di Hilbert,
allora dalla chiusura del sistema ortonormale α1 , α 2 , .... ne segue la completezza.
In altre parole:
In uno spazio di Hilbert un sistema ortonormale è chiuso se e solo se è completo.

51
Proprietà della trasformata di Fourier

1.Linearità della trasformata di Fourier. Se F (ω ) e G (ω ) sono le trasformate di Fourier delle

funzioni f (t ) e g (t ) rispettivamente, per qualsiasi costante α e β , la funzione αF (ω ) + β G (ω ) è la

trasformata di Fourier della funzione α f (t ) + β g (t ) . Quindi la trasformata di Fourier è un

operatore lineare. Indicando questo operatore con ℑ , si scrive

f (t ) ℑ
→ F (ω ) oppure ℑ[ f ] = F (ω ) .
2. Se F (ω ) è la trasformata di Fourier di una data funzione f (t ) assolutamente integrabile su tutto

l’asse numerico, allora

i) F (ω ) è continua in (-∞, +∞);

ii) F (ω ) tende a zero per ω → +∞ :

lim F (ω ) = 0 ;
ω →∞

iii) F (ω ) è limitata:

F (ω ) ≤ M , − ∞ < ω < +∞ .

Dimostrazione

i) La funzione e − jω t f (t ) è, ovviamente, continua in ω , perciò tenuto presente (vedi osservazione

1) che
+∞

∫e
− jω t
f (t ) dt = F (ω ) ω ∈ [a, b]
u
−∞

su ogni intervallo chiuso [a, b] , si evince che F (ω ) è continua su ogni intervallo chiuso dell’asse

reale e quindi è continua per ogni ω .

ii) Essendo per ipotesi

+∞

∫ f (t )
−∞
dt < +∞

segue che fissato arbitrariamente ε > 0, possiamo fissare A > 0 tale che

52
−A +∞
ε
∫ f (t ) dt + ∫ f (t ) dt
−∞ A
<
3

quindi (per la disuguaglianza triangolare) è

+∞ +A
ε
∫e
− jω t
f (t ) dt ≤ ∫e
− jω t
f (t ) dt + .
−∞ −A
3

Per completare la dimostrazione, dimostriamo che risulta

+A
f (t ) dt
− jω t 2
∫e < ε definitiva mente rispetto a ω
−A
3

In virtù dell’integrabilità di f in [− A, A] , possiamo fissare una suddivisione T di [− A, A] , per

esempio

T = {− A = t0 < t1 < K < tn = A} (tk − tk −1 ) < 1


in corrispondenza della quale la funzione

M = sup{ f (t ); t ∈ (t k −1 , t k )} k = 1,2,..., n
f T (t ) =  k
 0 t = tk k = 0,1,..., n

soddisfa la disuguaglianza

A
ε
0≤ ∫ [ f (t ) − f (t )] dt < 3
−A
T

D’altra parte essendo

A n tk n
2
∫e
− jω t
f T (t ) dt = ∑M ∫e
k =1
k
− jω t
dt ≤ ∑
k =1
Mk
ω
−A t k −1

si evince che

A A
ε n

∫ e [ f (t ) − fT (t ) + fT (t ) ] dt ≤
2 2
∫e
− jω t
f (t ) dt = − jω t

3
+
ω
∑M
k =1
k <
3
ε
−A −A

se

53
n
6
ω >
ε
∑M
k =1
k .

il che comporta la dimostrazione della ii).

iii) segue facilmente da

+∞
F (ω ) ≤ ∫ f (t ) dt = M -∞ < ω < +∞
−∞

3. Sia f (t ) una funzione definita e derivabile m volte su (-∞,+∞): f ∈ D ( m ) (− ∞,+∞ ).

Se si suppone che f (t ) e f (k ) (t ) k = 1,2,..., m siano assolutamente integrabili su (-∞,+∞) e che f (t )

e f (k ) (t ) k = 1,2,..., m − 1 tendono a zero per t → +∞ , allora

[ ]
ℑ f ( k ) = ( jω ) ℑ [ f ]
k
k = 1,2, K , m

Dimostrazione. Per semplicità supponiamo k = 1 . Integrando per parti si ottiene

η η η

∫ e f ' (t ) dt = e f (t )
− jω t − jω t
+ jω ∫ e − jω t f (t ) dt
−η −η −η

da cui passando al limite per η → ∞ e tenuto presente che

lim e − jωη f (η ) = lim e jωη f (−η ) = 0 ,


η →+∞ η →+∞

si evince che

ℑ[ f '] = ( jω ) ℑ[ f ] .

Da cui

[ ] [ ]
ℑ f ( k ) = ( jω ) ℑ f (k −1) = ........... = ( jω ) k ℑ[ f ]

Osservazione 3. In virtù della ii) della proprietà 2, la trasformata di Fourier di f (k ) tende a zero per

ω → +∞ , pertanto dalla proprietà precedente, segue che

F (ω )
lim ω F (ω ) = lim =0
k
−k
ω → +∞ ω → +∞
ω

54
ovvero

−k
F (ω ) = o( ω ) ω → +∞ .

Quindi se

+∞


−∞
f ( k ) (t ) dt < +∞ k = 0,1,2, K , m

e
lim f ( k ) (t ) = 0 k = 0,1,2, K , m − 1
t → +∞

allora, per qualche costante c > 0, si ha

F (ω ) ≤ c ( 1 + ω ) − k - ∞ < ω < +∞.

Infatti da F (ω ) ω → 0 quando ω → +∞ , segue che


k

F (ω ) ω F (ω ) ω
1
k −h
= k
→ 0 per ω → +∞ e con h = 0 ,1, K , k ,
ω
h

da cui

F (ω ) (1 + ω ) k
→0 per ω → +∞ .

Pertanto, in corrispondenza di ε = 1 esiste a > 0 tale che

F (ω ) (1 + ω ) k
<1 per ω > a .

Poiché per ω ≤ a la funzione F (ω )(1 + ω ) k


è limitata, per qualche M > 0 risulta

F (ω ) (1 + ω ) k
<M per ω ≤ a .

Se c = min(1, M ) si ha

F (ω ) (1 + ω ) k
<c − ∞ < ω < +∞

ovvero

55
F (ω ) <
c
− ∞ < ω < +∞
(1 + ω ) k

4. Supponiamo che per qualche intero positivo m la funzione (1 + t ) m f (t ) sia assolutamente


integrabile su (-∞, +∞):

+∞

∫ (1 + t ) f (t ) dt < + ∞
m
(1)
−∞

Allora la trasformata di Fourier di f (t ) ovvero

+∞
F (ω ) = ∫ e − jω t f (t ) dt
−∞

è derivabile m volte e risulta

+∞ +∞
dk − jω t ∂k − jω t
F (k )
(ω ) = ∫e f (t ) dt = ∫−∞ ∂ω k (e f (t )) dt (2)
dω k −∞

ovvero
+∞
F ( k ) (ω ) = (− j ) k ∫ e − jω t t k f (t ) dt = (− j ) k ℑ t k f (t ) [ ] (3)
−∞
con k = 1,2,…,m

Ovviamente la condizione (1) è verificata se le funzioni f, t f,…, t k f sono assolutamente

integrabili. E’ vero anche il viceversa.

In particolare:

Se t k f (t ) ∈ L1 (−∞,+∞) ∀k ∈ N allora ℑ[ f ]∈ C ∞ (ℜ )

Dimostrazione. Dalla disuguaglianza

∂ k − jω t
∂ω k
e( f (t ) ) ≤ t k
f (t )

(vera per ogni k) e dalla (1) segue, per il criterio di Weierstrass, che l’integrale a destra

nella (2) converge uniformemente rispetto ad ω ∈ [a, b] (per ogni intervallo chiuso [a, b] ).
In virtù del teorema di derivazione sotto il segno, si evince la veridicità della (2) ovvero della (3).

Si osservi che dalla (3) segue che

[ ]
ℑ t k f (t ) = j k ℑ(k ) [ f (t )] k = 1,2, K , m

56
Nell’osservazione 3 è stato evidenziato che l’uguaglianza

[ ]
ℑ f ( k ) = ( jω ) ℑ [ f ]
k

implica

ℑ[ f ]
−k
[ ]
= ℑ f (k ) → 0 ω → +∞ .
ω

Pertanto, più l’ordine di derivabilità di f su L1 è grande, più la decrescenza della

corrispondente trasformata di Fourier è rapida. Dalla proprietà 4 si evince che la proposizione

duale è ugualmente vera: più la decrescenza di f all’infinito è rapida, più la corrispondente

trasformata di Fourier è liscia.

Da quanto precede si evince che quando si passa da una funzione f alla corrispondente trasformata

di Fourier F (ω ) , le proprietà di derivabilità e di decrescenza all’infinito della funzione f si

scambiano.

5. Se f , f 'e f '' sono assolutamente integrabili in (-∞, +∞):

+∞

∫ f (k ) (t ) dt < + ∞ k = 0,1,2
−∞

e se f , f ' tendono a zero per t → ∞ :

lim f ( k ) (t ) = 0 k = 0,1
t → +∞

allora, per ogni funzione g assolutamente integrabile in (-∞, +∞) si ha

+∞ +∞
1
f (t ) g ∗ (t ) dt = ∫ F (ω ) G (ω ) dω


−∞
2π −∞
(4)

dove F (ω ) = ℑ[ f ] , G (ω ) = ℑ[g ] , g ∗ (t ) e G ∗ (ω ) denotano rispettivamente il complesso coniugato

di g (t ) e G (ω ) .

L’uguaglianza (4) è nota come equazione di Plancherel. In particolare se g (t ) = f (t ) si ha

57
+∞ +∞
1
∫ f (t ) dt = ∫ F (ω ) dω
2 2
(5)
−∞
2π −∞

la (5) è nota come identità di Parseval.

Dimostrazione. Per ogni t ∈ (− ∞,+∞ ) abbiamo

+∞
1 jω t
f (t ) = ∫e F (ω ) dω
2π −∞

Moltiplicando ambo i membri dell’uguaglianza precedente per g ∗ (t ) e integrando rispetto a t tra

− λ e + λ si ottiene

λ λ
1  +∞ jω t 
∫ f (t ) g ∗ (t ) dt = ∫−λ  ∫ e F (ω ) dω  dt =

g (t )
−λ
2π  −∞ 
+∞
 λ jω t ∗ 
=
1
∫−∞ F (ω )  ∫ e g (t ) dt  dω =
2π  −λ 

1
+∞
 λ − jω t 
= ∫−∞ F (ω ) ∫e g (t ) dt  dω ( 6)
2π  −λ 

dove [ ]∗ denota il complesso coniugato dell’espressione in parentesi; il cambio dell’ordine

d’integrazione è lecito in quanto l’integrale

+∞
jω t
∫e F (ω ) dω
−∞

converge per il criterio di Weierstrass, uniformemente e assolutamente rispetto a t ∈ (− ∞,+∞ ) .

Infatti in virtù delle ipotesi fatte su f , f 'e f '' (vedi osservazione 3) risulta

F (ω ) ≤ c ( 1 + ω ) −2
-∞ < ω <+∞

+∞ +∞
1 dω
∫ (1 + ω ) dω = 2 ∫ = 2.
0 (1 + ω )
2 2
−∞

In virtù della disuguaglianza

58

 λ − jω  +∞
F (ω )  ∫ e g (t ) dt  ≤ ( 1 + ω ) ∫
−2
g (t ) dt
 −λ  −∞

l’integrale alla destra della (6) converge, per il criterio di Weierstrass, uniformemente rispetto a

λ ∈ (− ∞,+∞ ) , pertanto

∗ ∗
+∞
λ  +∞ +∞
  +∞
lim ∫  ∫ e − jω t g (t ) dt  F (ω ) dω = ∫  ∫ e − jω t g (t ) dt  F (ω ) dω = ∫ G ∗ (ω ) F (ω ) dω
λ →∞
−∞  −λ  −∞  −∞  −∞

Infine passando al limite per λ → +∞ nella (6), si ottiene la (4).

6. Traslazione nel tempo: Se F (ω ) = ℑ[ f (t )] allora

ℑ[ f (t − t o )] = e − jω t0 ℑ[ f (t )] .

Esempio. Sia T un numero reale assegnato, allora

ℑ[u (t ) − u (t − T )] = ℑ[I T (t − T 2 )] = e − jω 2 ℑ[I T (t )] = e − jω


2 T
ω
T T
i) 2
sin
ω 2

ii) Sia
 π  π
x0 (t ) = I π  t −  − I π  t + 
 2  2

allora

 − jω π π
 π 2 π
 ℑ[I π (t )]=  − 2 j sin ω  sin ω

X 0 (ω ) =  e 2 − e 2  ω ≠0
   2 ω 2

da cui

π
X 0 (ω ) = − j
4
sin 2 ω ω ≠0
ω 2
X 0 (0 ) = lim X 0 (ω ) = 0
ω →0

iii) Sia
x0 (t ) = t I 2 (t − 1) = (t − 1) I 2 (t − 1) + I 2 (t − 1)

59
allora

X 0 (ω ) = e − jω ℑ[t I 2 (t )] + e − jω ℑ[I 2 (t )] = e − jω j ℑ[I 2 (t )] + e − jω sin ω


d 2
dω ω
 2ω cos ω − 2 sin ω 2 
= e − jω  j + sin ω  ω ≠0
 ω 2
ω 
X 0 (0 ) = lim X 0 (ω ) = 2 .
ω →0

iv) Sia

 π 2  π 2 π  π  1  π
x0 (t ) =
2
t I π t −  − t I π t +  = t −  I π t −  + I π t − 
π 2 4 π 2 4 π  4 2 4 2 2 4
2 π   π  1  π 
− t +  I π t +  + I π t + 
π  4 2 4 2 2 4

allora

π π
π π jω − jω
2  − jω jω  d   e 4 +e 4  
X 0 (ω ) =  e 4 − e 4  j ℑ I π (t ) + ℑ I π (t )
π  dω  2  2  2 
4 π d 2 π  π2 π
= sin ω  sin ω  +  cos ω  sin ω
π 4 dω  ω 4  4 ω 4
2 π  π  1
=  ω sin ω − 41 − cos ω  ω ≠0
π 2  2  πω 2
π
X 0 (0 ) = lim X 0 (ω ) = .
ω →0 2

7. Traslazione in frequenza: Se F (ω ) = ℑ[ f (t )] allora

[ ]
ℑ e jω0 t f (t ) = F (ω − ω0 ) .

Esempi

i) [ ]
ℑ e j t I T (t ) =
2
ω −1
sin (ω − 1)
T
2

ii) [ ]
ℑ e − j t I T (t ) =
2
ω +1
sin (ω + 1)
T
2

60
 e j t − e− j t  1 1 
iii) ℑ[I T (t ) sin t ] = ℑ  sin (ω − 1) −
T 1 T
I T (t ) =  sin (ω + 1) .
 2j  j ω − 1 2 ω +1 2 

In particolare per T = 2π :

1  sin π (ω − 1) sin π (ω + 1) 
ℑ[I 2π (t ) sin t ] = − .
j  ω − 1 ω + 1 

Se la trasformata di Fourier è pensata come la risposta in frequenza del segnale x(t ) , le proprietà di

traslazione ci dicono che:

una traslazione nei tempi comporta una moltiplicazione per un’esponenziale complesso nelle

frequenze:

ℑ[x(t − t 0 )] = e − j 2π f t0 X ( f ) .

Dualmente una traslazione in frequenza comporta una moltiplicazione per un esponenziale

complesso nei tempi:

ℑ−1 [ X ( f − f 0 )] = x(t ) e j 2π f0 t .

8. Scalatura: L’operazione di scalatura consiste nel moltiplicare la variabile t per un numero reale

a. Il segnale x(at ) risulta dilatato per a < 1, contratto per a > 1.

Se risulta a < 0 il segnale oltre a essere dilatato è anche ribaltato nel tempo.

Inoltre la contrazione dell’asse dei tempi corrisponde a una dilatazione dell’asse delle frequenze e

viceversa, in quanto

1 f 
ℑ[x(at )] = X 
a a

In particolare è

ℑ[x(− t )] = X (− f ) .

Infatti nel caso in cui è a < 0 si ha

+∞ −∞ τ +∞

f
− j 2π f − j 2π τ 1 f 
ℑ[x(at )] = ∫ e − j 2π f t x(at ) dt = x(τ ) x(τ ) dτ =
1
−∞
∫e
+∞
a
a
=
a ∫e
−∞
a
X 
a a

61
Nel caso in cui a > 0 si ha

+∞

f
− j 2π τ 1 f 1 f
ℑ[x(at )] = ∫ e a
x(τ ) = X  = X 
−∞
a a a a a

Esempio

Utilizzeremo la proprietà di scalatura per determinare la trasformata di Fourier del segnale

 t2 
x(t ) = exp − 
2 
σ >0
 2σ 

noto come segnale gaussiano. A tale scopo riscriviamo il segnale nel modo seguente

 t2 
x(t ) = exp − π
1
 = e −π ( at )
2

2 
con a 2 =
 2πσ  2πσ 2

Da cui, tenuto presente che


[ ]
ℑ e −π t = e −π f
2 2

applicando la proprietà di scalatura si ottiene

[ ]
2
 f 
1 −π  
ℑ e −π (at )
2
= e a
a

quindi
 − t 2
2

ℑ e 2σ  = σ 2π e −2π σ f .
2 2 2

 

9. Dualità. Dal fatto che le definizioni di trasformata e antitrasformata di Fourier differiscono per

un segno all’esponente sotto il segno d’integrale, si evince che

ℑ[x(t )] = X ( f ) ⇒ ℑ[X (t )] = x(− f )

oppure

ℑ[ f (t )] = F (ω ) ⇒ ℑ[F (t )] = 2π f (− ω ) .

Infatti scambiando t con ω in

62
+∞
f (t ) = F (ω ) dω
1 jω t

2π ∫e
−∞
si ottiene
+∞
f (ω ) = F (t ) dt
1 jω t

2π −∞
∫e
da cui

+∞
f (− ω ) = F (t ) dt = ℑ[F (t )]
1 − jω t 1
2π ∫e
−∞

ovvero l’asserto.

Esempio.

i) Essendo

1  sin ω
ℑ  I 2 (t ) =
2  ω

segue che

 sin t 
I 2 (− ω ) = π I 2 (ω ) = π [u (ω + 1) − u (ω − 1)] .
1
ℑ = 2π
 t  2

ii) Calcolare la trasformata di Fourier del segnale

sin π t
x(t ) = .
πt

Ricordando che

sin (π f T )
= X ( f ) = ℑ[I T (t )]
π f

e quindi

sin (π f ) = ℑ[I (t )]
π f
1

dalla proprietà di dualità si evince che

 sin π t   1  1
ℑ  = I1 (− f ) = I1 ( f ) = u f +  − u  f −  .
 πt   2  2

63
sin π t
In altre parole la trasformata di Fourier del segnale x(t ) = è l’impulso rettangolare unitario
πt
1 1
nell’intervallo di frequenza che va da f = − a f = .
2 2

10. convoluzione

Applichiamo il teorema di convoluzione alle funzioni

ϕ 1 (t ) = f (t ) e − jω t e ϕ 2 (t ) = g (t ) e − jω t .
In virtù del fatto che la convoluzione di queste funzioni vale

+∞ +∞
ϕ 1 (t ) *ϕ 2 (t ) = ∫ f (u ) e − jω u g (t − u ) e − jω (t −u ) du = e − jω t ∫ f (u ) g (t − u ) du = e
− jω t
f (t )* g (t )
−∞ −∞

l’uguaglianza
+∞ +∞ +∞

∫ ϕ 1 (t ) ∗ ϕ 2 (t ) dt = ∫ ϕ 1 (t ) dt ∫ ϕ 2 (t ) dt
−∞ −∞ −∞

fornisce
+∞ +∞ +∞

∫e
− jω t
( f (t ) * g (t )) dt = ∫ e − jω t
f (t ) dt ∫e
− jω t
g (t ) dt
−∞ −∞ −∞

ovvero
ℑ[ f (t ) ∗ g (t )] = ℑ[ f (t )] ℑ[g (t )] .

In altre parole: la trasformata di Fourier della convoluzione di due funzioni f (t ) e g (t ) (dove

f (t ) e g (t ) soddisfano le ipotesi del teorema di convoluzione) è uguale al prodotto delle rispettive

trasformate di Fourier.

11. Prodotto. Se F (ω ) = ℑ[ f (t )] e G (ω ) = ℑ[g (t )] allora

ℑ[ f (t ) g (t )] = F (ω ) ∗ G (ω )
1

ovvero
+∞
ℑ[ f (t ) g (t )] = ∫ F (ω − u ) G(u ) du
1
2π −∞

Infatti, per il teorema di convoluzione e per la proprietà di dualità, risulta

ℑ[F (− t ) * G (− t )] = ℑ[F (− t )] ℑ[G (− t )] = 2π f (ω ) 2π g (ω ) .

64
Da cui, applicando la proprietà di dualità, si ottiene

[ ]
ℑ 4π 2 f (t ) g (t ) = 2π F (ω ) ∗ G (ω )

da cui l’asserto.

Osservazione

Quando un segnale x(t ) viene moltiplicato per un altro segnale y (t ) si dice che uno dei due segnali

modula l’ampiezza dell’altro. Inoltre se

X ( f ) = ℑ[x(t )] e Y ( f ) = ℑ[ y(t )]

allora, procedendo come sopra, abbiamo

+∞
ℑ[x(t ) y (t )] = X ( f ) * Y ( f ) = ∫ X ( f − η ) Y (η ) dη
−∞

a parole: La trasformata del prodotto di due segnali è data dalla convoluzione delle loro trasformate

(intese come risposte in frequenza).

Questa proprietà viene spesso indicata come proprietà di modulazione della trasformata di
Fourier.

Se poniamo z (t ) = x(t ) y (t ) , ponendo f = 0 in

+∞ +∞
Z( f ) = ∫ e − j 2π f t
z (t ) dt e Z( f ) = ∫ X ( f − η ) Y (η ) dη
−∞ −∞

si ottiene
+∞ +∞

∫ x(t ) y(t ) dt = ∫ X (− η ) Y (η ) dη
−∞ −∞

Da cui, tenuto presente che

ℑ[ y * (t )] = Y * (− f )

si ottiene

+∞ +∞

∫ x(t ) y * (t ) dt = ∫ X (η )Y * (η ) dη
−∞ −∞

in particolare se x(t ) = y (t ) si ha

65
+∞ +∞

∫ x(t ) dt = ∫ X(f )
2 2
df
−∞ −∞
La relazione precedente, ovvero l’ identità di Parseval ci dice che:

L’energia del segnale x(t ) può essere calcolata integrando, indifferentemente, l’energia per unità

di tempo o l’energia per unità di frequenza.

Per questo motivo X ( f ) viene detto densità spettrale di energia del segnale x(t ) .
2

12. Se la successione { f n } di funzioni assolutamente integrabili in (− ∞,+∞ ) converge alla funzione

f assolutamente integrabile in (− ∞,+∞ ) , nel senso che

+∞

∫ f (t ) − f (t ) dt → 0
−∞
n n→∞

allora la successione delle loro trasformate di Fourier

Fn (ω ) = ℑ[ f n (t )]

converge uniformemente su tutta la retta reale alla trasformata di Fourier F (ω ) di f (t ) cioè

Fn (ω ) 
→
u
F (ω ) − ∞ < ω < +∞ .

Dimostrazione. Segue immediatamente dall’evidente disuguaglianza

+∞
Fn (ω ) − F (ω ) ≤ ∫ f (t ) − f (t ) dt .
n
−∞

Altri esempi

4. Sia k > 0 e

 e−k t t >0

f (t ) =  0 t =0
− e k t t<0

allora

ℑ[ f (t )] = − j  → 0
k + ω 2 ω →−∞
2

Infatti, essendo f (t ) dispari è − f (− t ) = f (t ) , si ha


+∞ +∞

ℑ[ f (t )] = ∫ e − jω t f (t ) dt = 2 ∫ − j e −k t sin ω t dt = − j .
−∞ 0
k + ω2
2

66
Inoltre risulta

+∞
 e−k t +∞
t >0
 2ω  2 ω sin ω t 
f (t ) =
1
∫ e jω t  − j 2 2 
dω = ∫ 2 dω =  0 t =0
2π −∞  k +ω  π 0 k +ω 2
− e − k t
 t<0

In virtù dell’identità di Parseval si ottiene

+∞
ω2 1 π
∫ (ω dω = .
0
2
+k )
2 2 k 4
Infatti è

+∞ +∞
f (t ) dt = 2 ∫ e −2 k t dt =
1

2

−∞ 0
k

quindi

+∞ +∞
ω2
F (ω ) dω =
1 4 1
∫ ∫ (ω dω =
2

2π −∞
π 0
2
+k 2
) k
.

Si osservi che

+∞
ω2
2π j Re s F ( jk ) = 4 j
2 2 1 1
∫ (ω dω = =
π −∞
2
+k )
2 2 π 4 jk k

Dove

d  ω2  ω2
Re s F ( jk ) = lim ( ) d 1
ω − = =
ω → j k dω
 ω2 + k2
 ( j k lim
)
 ω → j k dω 2
 ω + k2 ( ) 2
4 jk
.

5. Sia f (t ) = e
−k t
k >0.

Allora
ℑe [ ] = k 2+kω
−k t
2 2
.

Infatti

[ ]= ∫ e
+∞ +∞
−k t − jω t −k t 2k
ℑe e dt = 2 ∫ e −k t cos ω t dt = .
−∞ 0
k + ω2
2

Inoltre risulta
+∞ +∞
−k t 1 jω t 2k 2 k
e = ∫e dω = ∫k cos ω t dω
2π −∞
k +ω
2 2
π 0
2
+ ω2

67
da cui

+∞
cos ω t π −k
∫k dω = t ∈ (− ∞,+∞ ) e k > 0 .
t
e
0
2
+ω 2
2k

Segue che

+∞
dω π
∫ (k
0
2
+ω 2
= 3
4k ) k > 0.

Si osservi che
+∞
dω π
∫ (k = 2π j Re s F ( j k ) =
−∞
2
+ω 2 2
) 2k 3

Re s ( j k ) = lim
d 1 2
=+
ω → j k dω (ω + j k )2
8 jk3

6. Sia

1 − t 2 t <1

f (t ) = 
 0 t >1

allora
+∞
 2 sin ω t

( ) ( )
1 1
ℑ[ f (t )] = F (ω ) = ∫ e f ( t ) dt = 2∫ 1 − t cos ω t dt = 2 1 − t
− jω t 2
2
+ ∫ t sin ω t dt  =
−∞ 0  ω ω0 

4  cos ω t 1 sin ω t  4
1 1
= − t +  = 3 (sin ω − ω cos ω ) .
ω  ω 0
ω ω  ω
0

Inoltre da
+∞ +∞
cos ω t
f (t ) = ∫ e F (ω ) dω = (sin ω − ω cos ω ) dω
1 jω t 4
2π −∞
π ∫
0
ω3

segue che
+∞
sin ω − cos ω ω π 3 3
∫ cos dω = = π
0
ω 3
2 44 16

Infine l’identità di Parseval fornisce la relazione seguente

1
(
2∫ 1 − t 2
) dt = π 8
2∫
(ω cos ω − sin ω ) 2
+∞

0 0
6
ω

68
da cui

+∞
(ω cos ω − sin ω ) 2 dω = π

0
6
ω 15
.

TRASFORMATA DI FOURIER DI SEGNALI DISCRETI

Quando all’ingresso di un sistema discreto si applica la sequenza di esponenziali complessi

xn = x(nT ) = e j 2π f nT

la risposta (l’uscita) yn del sistema è data dalla somma di convoluzione tra il segnale

d’ingresso xn e la risposta all’impulso hn :

+∞
f T (n− k )
y n = x n ∗ hu = ∑h
k = −∞
k e j 2π

da cui

+∞
yn = y (nT ) = e j 2π f n T ∑h k e − j 2π fTk

k = −∞

a parole: La risposta del sistema è data dal prodotto del segnale d’ingresso per il numero

complesso

+∞
H(f )= ∑h k e − j 2π fTk

k = −∞

Da cui: L’uscita è un esponenziale complesso con la stessa frequenza f dell’ingresso ma con fase

iniziale ϕ ed ampiezza A differente; è

y n = x n A e j ϕ = A e j ( 2π f Tn + ϕ )

Al variare di f tra − ∞ e + ∞ , la funzione complessa

+∞
H(f )= ∑h n e − j 2π fTn

n = −∞

che caratterizza il sistema nel dominio delle frequenze prende il nome di trasformata di Fourier

della sequenza h n .

69
In generale

+∞
X(f )= ∑x n e − j 2π fTn

n = −∞

prende il nome di trasformata di Fourier della sequenza xn = x(nT ) .


La trasformata di Fourier di un segnale discreto è una funzione continua e periodica di periodo 1 T

in f . Inoltre ha la stessa forma dello sviluppo in serie di Fourier del segnale continuo X ( f )

periodico e di periodo 1 T in f . Pertanto i campioni xn della sequenza non sono altro che i

coefficienti di Fourier definiti dalla relazione

1 2T

∫ X(f ) e
j 2π f T n
xn = T df
−1 2 T

La relazione precedente è detta trasformata inversa di Fourier oppure antitrasformata di Fourier

di una sequenza, essa esprime la sequenza in funzione della sua trasformata.

Proprietà
1. Valore nell’origine.

i) La trasformata in f = 0 è uguale alla somma dei campioni della sequenza:

+∞
X (0 ) = ∑x n
n = −∞

ii) Il valore del campione in n = 0 , cioè x0 è dato dal prodotto di T per l’integrale della trasformata
calcolata su un periodo :

1 2T

x0 = T ∫ X ( f ) df
−1 2 T

2. Traslazione.

[ ]
i) ℑ xn−n0 = e − j 2π f T n0
X(f )

[
ii) ℑ e j 2π f0 T n
]
x(n ) = X ( f − f 0 )

70
i) Una traslazione nei tempi comporta una moltiplicazione per un esponenziale complesso nelle

frequenze.

ii) Una traslazione nelle frequenze comporta una moltiplicazione per un esponenziale complesso

nei tempi.

3. Modulazione.

La trasformata del prodotto di due sequenze z n = xn yn è data dalla convoluzione, calcolata su un

solo periodo, delle trasformate X ( f ) e Y ( f ) :

1 2T

Z( f ) = T ∫ X (ϕ ) Y ( f − ϕ ) dϕ
−1 2 T

Infatti, si ha

+∞
+∞ +∞ 1 2T 1 2T
X (ϕ ) ∑ yn e − j 2π ( f −ϕ ) T n dϕ =
ℑ[xn yn ] = ∑x n yn e − j 2π fTn
= ∑ T ∫ X (ϕ ) e j 2π ϕ T n
dϕ yn e − j 2π fTn
=T ∫ n = −∞
n = −∞ n = −∞ −1 2 T −1 2 T

1 2T

=T ∫ X (ϕ ) Y ( f − ϕ ) dϕ
−1 2 T

L’espressione
1 2T

Z( f ) = T ∫ X (ϕ ) Y ( f − ϕ ) dϕ
−1 2 T

è detta convoluzione circolare o periodica e sarà indicata con il simbolo ⊗ :

Z ( f ) = X ( f ) ⊗ Y ( f ).

4. Densità spettrale di energia.

Se X ( f ) = ℑ[xn ] allora l’energia della sequenza xn si può calcolare sia sommando i quadrati dei

moduli dei campioni della sequenza sia moltiplicando per T l’integrale del quadrato del modulo

della trasformata calcolata su un solo periodo. In altre parole sussiste la relazione

+∞ 1 2T

∑ =T ∫ X ( f ) df .
2 2
xn
n = −∞ −1 2 T

Per dimostrare ciò, poniamo z n = xn yn . Allora

71
+∞
i) Z ( f ) = ℑ[z n ] = ∑x n yn e − j 2π fTn

n = −∞

1 2T

ii) Z ( f ) = ℑ[xn yn ] = T ∫ X (ϕ )Y ( f − ϕ ) dϕ
−1 2 T

+∞ 1 2T

da cui ponendo f = 0 si ottiene ∑x


n = −∞
n yn = T ∫ X ( f )Y (− f ) df .
−1 2 T

[ ]
Tenuto presente che ℑ yn = Y * (− f ) , la relazione precedente assume la forma
*

+∞ 1 2T

∑ xn y n = T ∫ X ( f )Y ( f ) df
* *

n = −∞ −1 2 T

da cui, se yn = xn segue l’asserto.

72

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