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INTRODUZIONE
Per esperienza, tutti sappiamo che è tanto importante camminare con una direzione
definita nella vita, cioè, avere una rotta, dirigere le nostre risorse materiali, fisiche,
psicologiche e spirituali verso una meta precisa. Quando ognuno di noi sa perchè vivere, a
cosa dare importanza, in cosa mettere il cuore e le doti, tutta la nostra vita diventa forte, tutto
si radica attorno ad una crescita e ad un progresso integrale. Diversamente, quando si
cammina senza rotta, quando non c’è progetto, le capacità si disperdono, si perde il cammino
e le motivazioni, rischiamo di trascurare quello che è importante nella nostra vita. Una
persona senza progetto ha una vita vuota ed è alla deriva. Il progetto personale, da un punto di
vista antropologico, è volontà di autenticità con se stessi: è conoscenza di sé e discernimento
per potersi aprire a ciò che uno sceglie di essere. Quel che fa un progetto esprime quello che
vuole fare con la propria vita.
La risposta all’appello che Dio ci ha fatto, il vivere nella radicalità la nostra bella
vocazione, è l’impegno più importante della nostra vita. Non dobbiamo improvvisare in un
punto tanto decisivo, non possiamo lasciare nella deriva quello che dovrebbe essere la cosa
più determinante della nostra vita. Nella maniera come rispondiamo ci sono tante cose da
determinare, che coinvolge noi stessi e tanti fratelli nostri, come destinatari della nostra
missione. Per questo il progetto personale è prendere con fermezza il timone della propria
libertà, è spiegare il cuore al vento dello Spirito. Ma questo non è facile, se è vero che un
progetto sostiene la vita, è anche vero che dà motivo di soffrire, di gioire, e alla fine dà motivo
di amare.
Nel primo capitolo, il cui titolo è La vita come progetto, inizieremo da una base
biblica e antropologica del mistero della vita come dono di Dio. Si tratta di vedere l’uomo da
un punto di vista materiale ad anche spirituale, per arrivare a una identità antropologica della
vita, arricchita dal magistero della Chiesa. Ma siccome ogni vita è un processo verso un
obiettivo, arriveremo a scoprire come l’uomo dev’essere libero, amabile, responsabile. Ma
non ci fermeremo soltanto sulla base antropologica, andando avanti vedremo quale è il senso
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della vita cristiana come cammino di fede e come una vocazione da realizzare nella
uguaglianza tra tutti i membri del popolo di Dio.
Nel secondo capitolo, emerge la base dottrinale della formazione sacerdotale come
progetto, partendo dello scopo della formazione nei fondamenti, significato, attori e mezzi.
Una delle prime espressioni è questa: “i presbiteri sono consacrati per predicare il vangelo,
pascere i fedeli e celebrare il culto divino quali veri sacerdoti del nuovo testamento”, una vera
e sostanziale sintesi dello scopo della formazione. Nel seguente punto troviamo il contenuto
della formazione sacerdotale nelle quattro aree classiche (umana, spirituale, intellettuale e
pastorale). Come ultimo punto di questo capitolo si sviluppa l’identità sacerdotale come
configurazione a Cristo Capo, Pastore e Sposo. Ma questo formare è qualcosa di specifico
perchè significa “proporre una forma, un modo di essere, nel quale il giovane possa
riconoscere la sua identità e vocazione”.
Nel terzo ed ultimo capitolo, il più pratico di questo lavoro, si mostrano le linee guida
per l’elaborazione di un progetto personale di vita. Questo capitolo incomincia dalla visione
generale, dalla natura e finalità di un progetto personale di vita che “si configura come un
senso per la vita che offre luce e direzione alle varie scelte, unifica la vita quotidiana
rendendola significativa in ordine a quel significato globale”. Nella formazione del presbitero,
come si può realizzare questo progetto? Questa è una domanda che trova risposta nel secondo
punto di questo capitolo attraverso l’analisi dei parametri essenziali di un progetto ed anche
nel vedere che la qualità di un progetto personale dipende dalla capacità di affrontare i temi
della autoconoscenza e del discernimento. Si mostrano anche le parti metodologiche per
concretizzare un progetto.
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CAPITOLO I
LA VITA COME PROGGETTO
1. 1. L’uomo materiale
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Questo vuol dire che l’uomo non è chiuso all’orizzonte della religiosità; il suo essere è sempre
orientato verso la spiritualità, cioè verso Dio. Si esperimenta anche nella vita sociale quando
vediamo che l’uomo non può vivere da solo, è sempre in contatto con gli altri perché la sua
natura profonda è fatta di tale maniera che deve condividere la vita con gli altri. Aristotele
diceva ancora che l’uomo è fondamentalmente un animale sociale, cioè capace di vivere
sempre in comunità.7 Essa suppone qualche caratteristiche particolare: nell’ambito della
psiche umana, c’è un livello psico-sociale dove riconosciamo i bisogni che spingono
all’azione, per esempio le inclinazioni ad aiutare gli altri, a creare rapporti di collaborazione e
reciprocità.8 Questo ha un rapporto stretto con un altro livello che è quello razionale-
spirituale, dove l’uomo diventa capace di percepire significati spirituali, di riconoscere valori
morali e religiosi, dando luogo alla conoscenza di Dio.9
Facendo la differenza con le altre realtà della vita, l’uomo è aperto alla
trascendenza per aprirsi alla realtà che dà senso alla sua esistenza. Il contesto in cui si realizza
questo incontro con Dio è per noi la religione cristiana incarnata e rivelata in Gesù Cristo, del
quale la Chiesa cattolica è custode e promotrice. Per l’uomo, Dio è all’inizio e alla fine della
sua esistenza intera dandogli tutto quello di cui ha bisogno per una vita migliore. Pascal che
era un grande filosofo cristiano, proponeva una grande differenza tra l’uomo senza Dio e
l’uomo felice con Dio.10 Ma per capire meglio questa antropologia cristiana, occorre
percorrere brevemente questa identità nella Bibbia e anche nella Chiesa come comunità di vita
dei credenti.
7
Cfr. Nota n. 4 in ARISTOTELE, Politica, J. Vrin, Parigi, 1989, p. 24.
8
Cfr. RAVAGLIOLI A. M., Op. cit., p. 31.
9
Cfr. Ibidem, p. 32.
10
L’uomo sfortunato senza Dio : qui è la doppia natura dell’uomo (miseria e grandezza). Ci scopriamo
una umanità del mondo che nasconde la sua corruzione fondamentale. L’uomo felice è con Dio: la
religione cristiana è vera. Dio si trova nella natura, nella Sacra Scrittura anche nella storia
dell’umanità. Cfr. PASCAL B. , Pensées, Paris, Flammarion, 1999, p. 46.
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1. 2. L’identità antropologica della vita umana nella Bibbia
Per i cristiani, la Bibbia è una fonte molto importante per poter capire tutto ciò che Dio
ha fatto per il suo popolo nei secoli passati. Questo ci dà anche oggi l’opportunità di vivere la
presenza di Dio in mezzo a noi per prepararci al futuro. Secondo il primo racconto della
creazione, l’uomo è una creatura divina a cui Dio ha dato la supremazia su tutte le altre
creature, lasciandogli la possibilità di comunicare con Lui. “E Dio disse: «Facciamo l’uomo a
nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo,
sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò
l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li
benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra»” (Gn 1, 26-28).
Questo atteggiamento lo incontriamo nella prima scena del secondo racconto della creazione
quando Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e
l’uomo divenne un essere vivente. (Gn 2, 7). Appare chiaramente che la creazione dell’uomo
è un dono di vita da parte di Dio, come si capisce nel primo libro della Bibbia. Dando la vita
all’uomo, Dio vuole che egli sia responsabile, camminando sotto la sua mano, cioè la sua
volontà. Il sacrificio del figlio d’Abramo è un esempio chiaro che la vita dell’uomo ha una
origine particolare, André Wénin parlando del sacrificio de Abramo, dice che quando offre
alla divinità la migliore parte di ciò che possiede, l’uomo religioso riconosce che tutto
appartiene alla divinità, che tutto è dato da essa.11 Pertanto, il dono della vita è allo stesso
tempo un dono di libertà. Perciò l’uomo ha fatto il male, in quanto non ha seguito il cammino
di Dio, cioè non ha voluto curare come si doveva la vita ricevuta come un dono. (Gn 3, 1-23).
Ma il dono della legge non è una chiusura ma un’apertura per una vita gioiosa.
Nonostante la colpa dell’uomo, Dio – Principio di non-contraddizione – non lo ha
lasciato al potere della morte. Perciò, ad esempio, Dio ha suscitato Mosè per liberare il popolo
che era nella schiavitù in Egitto per la nuova vita, dandogli il Decalogo, evento fondatore
dell’Alleanza (Es 20, 1-17).
Quando Dio chiama l’uomo dopo il primo peccato, non è per la morte ma per
dargli la stessa vita che non finisce mai. Dio ha creato l’uomo per la vita eterna chiamandolo a
condividere la sua vita divina. La missione dei profeti e di tutti i re, è stato quella di curare la
vita distrutta per l’uomo peccatore. Per il cristiano dunque, la vita sia soprannaturale che
11
Cfr. WENIN A., L’homme biblique. Lectures dans le premier Testament, Paris, Cerf, 2009, p. 66.
(Testo tradotto)
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naturale è un dono di Dio perché senza l’esistenza di Dio, l’uomo non esiste. Il libro
dall’Apocalisse dice: “Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e
che viene, l’Onnipotente!” (Ap 1, 8). Sapendolo, Gesù ha realizzato nella sua missione la
guarigione non soltanto spirituale ma anche fisica, perché tutte e due vanno insieme almeno
durante la vita sulla terra (Mc 5, 21–43). Egli lo ha fatto per dare di nuovo all’uomo la stessa
vita di Dio.
La vita spirituale e la vita fisica, ambedue andando insieme quando l’uomo vive
sulla terra, costituiscono la vita senza la quale non c’è niente. Il filosofo Platone diceva che il
corpo è come una busta che avvolge l’anima, e san Paolo ha parlato del corpo come tempio
dello Spirito Santo (1 Cor 3, 16). Nel vangelo Gesù dice la stessa realtà mostrando che la vera
vita è in Lui che si offre per tutti i popoli per l’eternità (Gv 11, 25). Questo vuol dire che la
vita che abbiamo non è una proprietà esclusiva dell’uomo, dunque la vita appartiene a una
realtà superiore che si trova all’inizio e alla fine di essa, cioè Dio per l’uomo spirituale.
Ma logicamente, si pone una domanda molto importante per capire meglio la
destinazione finale della vita, perché un essere creatura ha senso se si fa conoscere attraverso
il suo fine, cioè lo scopo dell’esistenza. Se lo scopo della vita umana è quella di raggiungere
Dio, è chiaro che dovrebbe avere un modo particolare di viverla. In questo senso, la vita
diventa un percorso d’amore tra Dio e l’uomo, un cammino di crescita che necessita allo
stesso tempo di un progetto sia personale che comunitario.
Il contesto nel quale si svolge la vita per tutti i cristiani è la Chiesa, considerata come
una famiglia degli uomini battezzati nel nome della Trinità. La vita non è un’idea ma una
realtà che si vive effettivamente nel quotidiano. Nel suo Magistero, la Chiesa dà
un’importanza molto grande alla vita per far comprendere che essa viene da Dio; non è una
proprietà esclusiva dell’uomo. Così la Rivelazione di Dio attraverso la storia della salvezza ci
dà l’opportunità di capire che Dio è un dono che si fa all’uomo. Il Concilio Vaticano II dice:
“Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della
sua volontà (Cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne,
hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (Cfr. Ef
2,18; 2 Pt 1,4)”.12 Dio è eterno e la sua vita non ha fine. Creando l’uomo per amore, egli ha
voluto comunicare questa eternità alle sue creature. Tale è il senso vero della Rivelazione di
12
DV, n. 2.
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Dio agli uomini: far partecipare l’uomo alla felicità eterna: “Con questa Rivelazione infatti
Dio invisibile (Cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad
amici (Cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (Cfr. Bar 3,38), per invitarli e
ammetterli alla comunione con sé.”13 La Congregazione per la Dottrina della Fede, ha scritto
una lettera molto importante per fare capire il pericolo della tecnica per quanto riguarda la vita
umana. Il documento afferma: “Il dono della vita, che Dio Creatore e Padre ha affidato
all'uomo, impone a questi di prendere coscienza del suo inestimabile valore e di assumerne la
responsabilità: questo principio fondamentale dev'essere posto al centro della riflessione, per
chiarire e risolvere i problemi morali sollevati dagli interventi artificiali sulla vita nascente e
sui processi della procreazione.”14
Questo vuol dire che la vita dell’uomo va insieme con quella di Dio che è
intoccabile per l’uomo sia intelligente che saggio. La vita ha piuttosto bisogno di un progetto.
Alla maniera dei filosofi che, per definire il senso della vita dell’uomo dicono: Da dove siamo
venuti e dove stiamo andando? Chi siamo? Esiste Dio? Se c’è Dio perché esiste il male? Che
cos’è il bene o il male? Siamo liberi?, così cercare di rispondere a queste domande da luogo
alla domande sullo scopo della vita dell’uomo credente. La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo
è stato creato « ad immagine di Dio » capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu
costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e
servirsene a gloria di Dio.15 Secondo la Chiesa, Gesù Cristo è l’unico paradigma capace di
verificare il fondamento e la veridicità di ciò che è o non è attuale oggi nella Chiesa. 16 Quindi
la Chiesa invita i suoi figli ad aderire alla vita di Gesù, per comprendere la loro vita e il suo
senso.
Parlando del ruolo di un progetto educativo nella vita dell’uomo, Franco Imoda riflette
che: “Ogni generazione deve mettere in atto un progetto educativo con cui soltanto far
sopravvivere la cultura e i valori ricevuti, ma anche preparare i propri membri ad ulteriori
scoperte e conquiste”.17 Questo perché la vita dell’uomo richiama sempre una linea di
condotta da seguire a causa del suo carattere particolare. Anche il Concilio Vaticano II lo ha
sottolineato: “Legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani
13
Ibid.
14
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sul rispetto della vita umana
nascente e la dignità della procreazione, Donum Vitae, 22 febbraio 1987, in AAS 80 (1988) 70, n° 1.
15
Cfr. GS, n. 12.
16
Cfr. SEPE C., « Attualità del celibato sacerdotale » in Solo per amore. Riflessioni sul celibato
sacerdotale, Cinisello Balsamo, Ed. Paoline, 1993, p. 60.
17
IMODA F., Sviluppo umano, psicologia e mistero, Bologna, EDB, 2005, p. 9.
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di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di
speranza”.18
Il discorso sull’uomo ha sempre generato il dibattito sulla finalità della sua vita non
soltanto nelle culture primitive, ma anche oggi nel mondo post-moderno. La visione
del’essere umano in questo nostro contesto sembra essere una costatazione radicale della
concezione cristiana dell’uomo come mistero, creato da Dio e come creatura più vicino a Lui
e in dialogo con Lui. Il non-senso della post-modernità è una proposta che nega
quest’antropologia cristiana dove Dio è il punto di partenza ed arrivo dell’uomo.
Ma al di là di questa immagine sbagliata del relativismo attuale l’uomo che nasce, fino
alla morte, si trova al centro dell’attività che comincia con il lavoro su se stesso e abbraccia
tutta la creazione e in qualche modo la vita umana non è vuota ma rappresenta un processo
verso un obiettivo da raggiungere. Nella società tradizionale, il bambino che nasceva in una
famiglia aveva un itinerario da seguire con meno scelte e poche possibilità di fare una attività
diversa di quella dei propri genitori o abbracciare una vocazione diversa dallo sposarsi. Ma
oggi il contesto sociale, l’economia, le religione o in altre parole il mondo globalizzato
propone una varietà di scelte e l’uomo non vive più nella chiusura di un semplice villaggio.
Questa attività umana non è fuori della sua esistenza, tutta la sua vita “è un’aspirazione a
essere felice, a vivere in pienezza”.19 Quando parliamo della vita come un processo verso un
obiettivo, intendiamo questa pienezza che per ognuno risulterà una sfida, perché non è facile
raggiungerla, poiché si presenta come una dimora ambigua nel senso che non “sappiamo
molto bene dove si trova e in che cosa consiste”.20 Questo enigma dell’aspirazione alla
pienezza della vita marca come un’impronta la nostra coscienza e costituisce “un affannoso
tentativo, frustrato o no, per trovarla”.21
Tuttavia nell’esperienza umana sappiamo che tutti gli uomini non percepiscono così la
vita e possiamo distinguere due categorie di persone a questo livello: da una parte “quelli che
vivono” e dall’altra “quelli che si lasciano vivere”.22 Significa che è possibile capire la propria
vita come un processo verso un obiettivo da raggiungere e di cercare i mezzi per attendere
18
GS, n. 31.
19
ILARDUIA J. M., Il progetto personale, ricerca di autenticità, Bologna, EDB, 2004, p. 25.
20
Ibid..
21
Ibid..
22
BERNARDINI M., Giovani e progetto di vita. Per una programmazione della Pastorale
vocazionale, Leumann, ELLEDICI, 1986, p. 15.
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questo obiettivo o vivere senza tenere conto di questo impegno vitale. Analizziamo ciò che
può essere di ostacolo a questa finalità della vita umana, per poi chiarire l’aspetto più
importante dello scegliere ciò che vogliamo fare di noi stessi.
Lasciarsi vivere è la prima condotta da evitare per l’uomo, che più di tutte le creature
ha la capacità “di prendere la propria vita tra le mani, di sentirsi padrone di sé [...] che ha la
capacità di vivere da dentro a fuori, che assume la vita come vocazione a farsi persona”. 23
L’uomo, come affermava Lonergan “è una artista. Il suo spirito si scrive nella drammatica di
una valorizzazione della sua vita».24 L’uomo non deve vivere senza chiedersi la domanda
come posso realizzarmi? o qual è la mia vera identità? In qualche modo rinunciare a questo
dovere è sottrarsi alla sua responsabilità di creatore di sé stesso. È senza dubbio la più grande
alienazione perché vive “senza vocazione, senza una chiamata che strutturi la sua esistenza,
orientandola e dando un significato alle sue scelte”.25 La vita come tale scorra senza nessun
progetto, perde l’impulso verso gli ideali, perde il dinamismo esistenziale, vive dei valori
stabiliti da altri perché altri decidono per lei e non ha una vera libertà. Questa situazione
sembra più corrente e caratteristica della post-modernità.
Un altro rischio e non meno pericolo è la difficoltà a fare una scelta. “Ci sono delle
persone che hanno, nella mente e nel cuore, mille progetti e altrettanti ideali, fanno molte
cose, ma non hanno un progetto chiaro di vita”.26 L’uomo ha ricevuto da Dio la libertà di
scegliere la figura che desidera creare con la sua capacità di amare, i valori determinano il suo
senso, il suo ideale, la sua finalità.
Con il linguaggio biblico possiamo dire che l’uomo creatura, ha ricevuto da Dio la sua
potenza di creatore come l’impronta creatrice. Al suo tornio l’uomo è creatore prima di tutto
di se stesso nel processo della vita. L’obiettivo della sua propria esistenza è “una scelta a
essere ciò che si vuole arrivare ad essere”.27 È nella sua libertà che l’uomo impara a fare le
scelte e dare risposte alle domande concrete e significative della e per la sua vita. L’essere
umano non può aspettare che il suo ambiente lo plasmi. Per creare e mantenere il suo proprio
scenario, la drammatica della sua vita ha solo bisogno degl’indici e dell’occasioni
necessarie.28 Inoltre l’uomo è chiamato a portare avanti «une vita-freccia, cioè progettata,
23
ILARDUIA J. M., Il progetto personale, ricerca di autenticità, p. 27.
24
LONERGAN B., L’insight, Etude de la compréhension humaine, Toronto, Édition Bellarmin, 1996,
p. 231.
25
ILARDUIA J. M., Il progetto personale, ricerca di autenticità, p. 28.
26
BERNARDINI M., Giovani e progetto di vita, 15.
27
ILARDUIA J. M., p. 25.
28
Cfr. LONERGAN B., p. 230.
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orientata, finalizzata ad un ideale chiaro ed attraente, diventa una persona monolitica,
interiormente unita, efficace».29
Questo obiettivo appare prima come un sogno, un’immagine o un’idea di sé stesso che
rallegra la persona. Si vede come un elemento costitutivo di sé e fuori di sé, un’attesa e un
punto d’arrivo che dà senso alla sua esistenza e fa di lui un uomo pienamente compiuto. La
vita non è separabile da questo obiettivo nonché anima ogni sua iniziativa come una motrice
rendendo una pietra nella costruzione di sé stesso ed è anche l’ultimo scopo di questa sua vita.
In generale un processo è una rete di cambiamenti, attività o azioni collegate tra loro.
Dire che la vita dell’uomo è un processo verso un obiettivo significa che c’è una continuità
(una rete) nel suo sviluppo, il suo essere e tutto quello fa, quello che diventa, costituiscono un
solo essere in molteplice attività o azioni collegate tra loro e sono in qualche modo una
dinamica di trasformazione, di cammino lento e progressivo per l’uomo che consente di
raggiungere la pienezza del suo essere o della sua vita. In altre parole, l’uomo per essere se
stesso ha un percorso verso questa finalità che chiede la volontà di realizzarsi nella scelta dei
valori significativi, un’orientazione di tutti gli sforzi a conseguire ciò che sogna. Ma, “la
persona non si possiede pienamente né si possiederà mai totalmente durante la sua vita
temporale; essa diviene”.30 Chiede inoltre una preparazione, sacrifici, decisione e superamento
di ogni mediocrità, della propria debolezza umana nelle tappe successive di crescita e di verità
su se stesso. Un tale processo non si fa senza una vera coscienza di se stesso e quello che
significa nella sua vita valori, felicità o pienezza di vita. Il processo verso l’obiettivo nel senso
umano non è come quello nel livello industriale o tecnico che sarebbe l’uso seriale e uniforme
dei materiali. Per gli uomini, non la struttura antropologica, psichica, intellettuale, etc., è
sempre specifica o ciascuno costituisce un mistero particolare come essere unico nel mondo e
diverso degli altri e così anche nel suo processo e nei suoi atteggiamenti, sfide, valori e
obiettivi. Questo “Prendere la vita nelle proprie mani” non è ancora un progetto personale di
vita, è quello che Franco Imoda chiama “Responsabilità”,31 per lui infatti “la responsabilità
introduce l’aspetto di impegno personale, attivo, con cui si prende l’iniziativa di assumere, di
andare alla realtà in presenza, verso una certa creazione di stati e situazioni nuove. È il
momento in cui il soggetto esplica la sua potenzialità di soggetto, senza attendere la spinta
dall’esterno”.32 In questa prospettiva , la persona conquista la sua libertà, si affida sulle
29
BERNARDINI M., p. 15.
30
IMODA F., Sviluppo umano, psicologia e mistero, Bologna, EDB, 2005, p. 165.
31
IMODA F., p. 114.
32
Ibid.
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proprie forze per raggiungere il fine. “Lo sviluppo, secondo questo atteggiamento, viene
allora concepito o vissuto come movimento di autorealizzazione che, nella libertà, costruisce
il proprio progetto di vita, lo esegue e si afferma”. 33 Tuttavia, Imoda non dimentica di
mostrare il rischio di una “semplice fantasia che sfugge dalla realtà concreta del dato, per
sognare e forse per crearsi un mondo di possibilità astratte” o quello di “realizzazione di un
disegno di potere soggettivo che, ponendo se stesso come fine, impone il proprio volere, la
propria realtà, frutto di una prospettiva inevitabilmente individuale, forse egoista, sugli
altri”.34 L’uomo così può essere ostacolo di se stesso sé si chiude nel trionfo del soggettivo e
cade la sua vita. “Lo sviluppo è quindi lotta (...) significa anche rivolgersi al proprio passato
per trasformarlo, da ‘altro’ che si oppone al presente, in una componente della propria vita: un
processo che richiede di affrontare il rischio e di superare ostacoli per cui è necessario
coraggio. Inoltre, svilupparsi vuol dire costruire, in un certo senso, il proprio futuro; ma il
futuro – si sa – è sempre incerto e affrontare questa sfida è una minaccia”.35
L’uomo deve dunque essere vigilante e valutare la sua vita oggettivamente, cercando
di raggiungere la pienezza di questa vita. Non possiamo presentare questo obiettivo come
perseguito da tutti gli uomini, perché dipende dell’aspirazione di ogni uomo. Ma quasi tutti si
confrontano con questa sfida della vita umana. Per arrivare a questo obiettivo, l’uomo non
deve pensare il suo essere, la sua esistenza nel mondo come ad un semplice dono della
volontà umana dei genitori. “Di per sé, l’uomo è un meraviglioso progetto; per il credente è
un meraviglioso progetto di Dio”.36 L’uomo come progetto significa che nel mistero della sua
vita, nel suo cuore, ha il germoglio della sua felicità, di quello che sarebbe la pienezza della
sua vita, del suo obiettivo.
33
Ibid., p.115.
34
Ibid., p. 115.
35
Ibid., p. 166.
36
BERNARDINI M., Giovani e progetto di vita, 21.
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La chiamata ad essere uomo libero, amabile, respons-abile è in fine l’obiettivo della
sua vita. La pienezza di vita che l’uomo ricerca in tutto questo processo autentico è realizzare
queste parole di Dio : “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini
sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i
rettili che strisciano sulla terra” (Gn 1,26). Cosciente o incosciente, l’uomo entra nella sua
vocazione voluta da Dio quando cammina e percepisce la sua vita come un processo
trascendentale verso un obiettivo più alto e più misterioso che si colloca tra la sua
partecipazione libera a realizzarsi e il volere piacevole di Dio.
Gesù cristo, l’uomo del Vangelo è il modello di vita cristiana. Egli propone di rifare
in noi, nei cristiani e in tutti gli uomini, l’immagine dei figli di Dio, e quindi di costituire dei
fratelli che vivano la comunione con Dio e tra di loro; uomini che s’impegnano, inoltre, a
creare un mondo di giustizia, di amore, di unità, di pace. L’obiettivo finale è la salvezza
dell’uomo e dell’universo dal male e dalla morte per costruire l’uomo integrale ed eterno. 37
Gesù diventa proposta di vita cristiana e per ogni uomo. È in lui che il cristiano deve porre la
sua speranza e può trovare un senso per la sua vita.
Al centro del progetto di vita cristiana c’è l’amore: l’amore verso Dio e verso i fratelli.
Perché “l’essenza della vita cristiana consiste nell’amore verso Dio e verso i fratelli. Nei
sacramenti del battesimo e della confermazione Dio si dona all’uomo e l’uomo è chiamato a
donarsi, in modo più maturo, a Dio e ai fratelli”.38 Quindi, il progetto di vita cristiana è un
progetto che richiede molto impegno: si tratta di impostare la propria vita secondo la logica
del Vangelo, la logica della Croce e della Risurrezione, che è la logica dell’amore. Amore che
è dono, che è a servizio nella fede e nella speranza in Colui che è l’Amore per eccellenza: Dio
Padre, il Dio di Gesù Cristo.
37
Cfr. Ibid., p.36.
38
Citato in BERNARDINI M., Giovanni e progetto di vita, p. 37.
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3.2 Varie forme di realizzazione del progetto cristiano
La vita sacerdotale riguarda i vescovi e i presbiteri. Essi sono chiamati nella Chiesa ad
essere ministri di Cristo profeta, sacerdote e pastore. La Costituzione dogmatica Lumen
Gentium dice: “I presbiteri […] in virtù del sacramento dell’ordine […] sono consacrati per
predicare il vangelo, pascere i fedele e celebrare il culto divino”. 39 Quindi, essere sacerdote
significa essenzialmente:
- “essere chiamati da Cristo a continuare la sua opera di mediazione tra Dio e l’uomo,
rendendo sacramentale visibile la mediazione stessa del Cristo profeta, sacerdote,
pastore;
- essere al servizio del popolo di Dio, cioè della Chiesa, per rendere possibile
l’espletamento del sacerdozio comune di tale popolo, per guidarlo, per suscitarne i
carismi, unificarlo;
- essere a servizio di tutti gli uomini per testimoniare loro l’esistenza di una realtà
soprannaturale e portare loro una vita che trascende quella terrena”.40
Vita consecrata è una Esortazione Apostolica Post-sinodale di Papa Giovanni Paolo II,
pubblicata il 28 Marzo 1996, nella quale viene presentata “una nuova sintesi della vita
consacrata nella Chiesa e nel mondo, un riferimento ispirativo che l’aiuterà a dare
testimonianza di Cristo con la vita, con le opere e con le parole nel terzo millennio”.41
39
LG, n. 28.
40
MONDELLO V., «Cosa significa essere sacerdote», in Rogate Ergo, 12, Dicembre 1976, p. 9 ss.
41
VC, n. 4.
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Il termine vita consacrata è più ampio di quello tradizionale di vita religiosa. Essa
include: la vita consacrata individuale42 e gli Istituti di vita consacrata (gli Istituti religiosi43;
gli Istituti secolari44; le Società di vita apostolica45). Il termine consacrazione e vita
consacrata sono intesi, qui, nel loro senso preciso teologico, quali vita consacrata per mezzo
dei consigli evangelici e come tale riconosciuti dalla Chiesa.46 Col termine persone
consacrate intendiamo riferirci a tutti coloro che vivono la vita consacrata in forma
individuale o comunitaria mentre di religiosi o religiose parliamo esclusivamente dei membri
degli Istituti religiosi.
La vita laicale è “lo stato di coloro che assicurano la presenza viva ed efficace della
Chiesa negli svariati settori del mondo e presentano alla chiesa gli appelli, i problemi, i
bisogni del mondo”.47
A volte la chiamata di Dio coincide con il progetto di vita che la persona ha intravisto;
altra volte no, perché propone una vita completamente diversa da quella progettata. Il
progetto di vita è una risposta ad una vocazione cristiana quando la scelta di un stato di vita è
dedicato all’amore e al servizio di Dio e dei fratelli.48
42
Cfr. CIC, can. 603 (sulla vita eremitica o anacoretica) ; can. 604 (sull’ordo virginum).
43
Cfr. Ibid., can. 607 (sugli Istituti religiosi).
44
Cfr. Ibid., can. 710 (sugli Istituti secolari).
45
Cfr. Ibid., can. 731 (sulle Società di vita apostolica).
46
Cfr. Ibid., can. 573.
47
CIC, «Introduzione al Libro II», (a cura di) Unione Editori Cattolici Italiana, Roma 1983, p.172.
48
Cfr. BERNARDINI M., Giovanni e progetto di vita, p. 38-39.
77
La vocazione comune per tutti i cristiani è di seguire Cristo e vivere la fede. Tutti i
battezzati sono chiamati ad adeguare la propria vita al messaggio del Vangelo, cioè
impegnarsi a realizzare la sintesi del duplice comandamento dell’amore (amare Dio e amare il
prossimo, come noi stessi), di modo che l’azione salvifica di Cristo che consiste alla
riconciliazione dell’umanità e dell’universo con Dio sia concreto nel mondo49. Il cristiano è
chiamato a vivere l’ amore evangelico in un modo e stile diversi.
La vita cristiana dei fedeli trova la sua fonte e il suo diversificato modo di essere e di
esplicarsi nelle concrete circostanze, in cui ognuno è chiamato a lavorare nel campo di Dio
secondo la propria specifica vocazione. Nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium sono
stata indicati tre principali modi diversificati di vivere lo stesso mistero di santità e di
testimonianza cristiana: quello dei ministri ordinati, quello dei laici e quello delle diverse
forme di vita che rientrano nello stato dei consigli evangelici50, e a ognuna di queste tre
componenti ecclesiali venne dedicato un capitolo a se stante51, il cui contenuto fu poi ripreso e
sviluppato in altri documenti.52
Come insegna san Paolo, nella comunità ecclesiale vi sono diversità di carismi,
diversità di ministeri e diversità di operazioni (1Cor 12, 4-6). Sono varie espressioni di vita
cristiana e, quindi, modi diversi di vivere la propria vita spirituale (santità) e di attuare il
proprio apostolato.53 “Così, i battezzati sono chiamati e abilitati a vivere forme di vita
cristiana diversificate ed esperienze spirituali ed apostoliche differenziate, perché l’unico e
medesimo Spirito distribuisce ai membri della chiesa doni diversi e complementari in
rapporto alla vocazione particolare di ognuno e all’esercizio delle funzioni che deve svolgere
al servizio della comunità umana ed ecclesiale, animato dalla carità di Cristo” ( Cfr. 1Cor 12,
8-10.28-30; Rm 12, 6-8; Ef 4,11). Le diverse forme di vita cristiana ed esperienze spirituali ed
apostoliche differenziale sono la concretizzazione del progetto cristiano.54
49
Cfr. Ibid..
50
Cfr. LG, n. 31.
51
LG cap. III, nn.18-29 per i ministri ordinati; cap. IV, nn.30-38 per i laici, cap.VI, nn.43-47 per i
religiosi.
52
Il decreto Christus dominus per i vescovi; il decreto Presbyterorum Ordinis per i prebiteri; il decreto
Apostolicam Actuositatem per i laici; il decreto Prefectae Caritatis per i consacrati.
53
Cfr. BERNARDINI M., Giovanni e progetto di vita, p. 248.
54
Cfr. Ibid., p. 249.
77
Il Concilio Vaticano II dice :
“Tutti coloro che attraverso il battesimo sono stati rigenerati nello Spirito Santo
assumono e conservano, tutti egualmente, lo stesso identico status proprio dei membri del
Popolus Dei, cioè di una comunità sacerdotale, profetica e regale, avente uno stesso capo,
Cristo, una stessa dignità e libertà di figli di Dio, una stessa legge, il comandamento
dell’amore,, e uno stesso scopo, la «Communis aedicatio Corporis Christi»”.55
Abbiamo delle diversità secondo le funzioni e secondo le scelte di vita, ma tutte sono
risposte alle vocazione cristiana, ci porta alla santità, alla dignità e libertà di figli di Dio. Dio
chiama tutti i battezzati alla santità nella Chiesa56 perché questa esplichino la sua volontà: la
loro santificazione (Ts 4,3). La santità cristiana s’intende come la conversione, la fede (Mt
1,15) e la perfezione (Mt 5, 48). La santità57 si radica nei sacramenti dell’iniziazione cristiana
e presuppone un’esperienza personale vissuta in intimità con Cristo e l’adesione al suo
vangelo”.58
“Per mezzo del sacramento del sacramento del battessimo, Gesù Cristo comunica a
tutti i membri del suo corpo, che è la Chiesa, una partecipazione alla sua consacrazione e
missione. Per queste tutti i battezzati sono persone “consacrate”, cioè santificate dall’unzione
dello spirito Santo e unite a Cristo ; “partecipi” al suo sacerdozio profetico e regale; e inviate
come testimoni del suo messaggio di salvezza. 59 Tutto ciò pone nel Battessimo, anzitutto,
un’esigenza di carattere trascendente ed escatologico. Trascendente perché comporta, grazie
all’unione con Cristo, una tensione verso Dio quale fine soprannaturale in se stesso;
escatologico, perché sottolinea come nel cristiano siano già presenti i germi di vita eterna,
perché giungeremo a piena maturazione nell’incontro definitivo con Dio. Da questo punto di
vista ogni battezzato è una creatura nuova, perché la vita cristiana supera il puro ordine
naturale.
Il cristiano viene prescelto da Dio e santificato dallo spirito Santo per essere inviato in
mezzo agli uomini ad annunziare la buona novella del Regno. Perciò egli dovrà inserirsi nel
mondo come lievito che fa fermentare la pasta (Cfr. Mt 13,33). Questo aspetto di
55
Citato in BERNARDINI M., p. 39.
56
LG, n. 40.
57
FAVALE A., I presbiteri, Leumann, ELLEDICI, 1999, p. 248.
58
Cfr. FAVALE A., p. 256.
59
Cfr. LG, nn. 10-12.
77
incarnazione trova il suo fondamento specie nella grazia del sacramento della confermazione
e il suo alimento nell’Eucaristia e nella pratica delle virtù.60
In sintesi, la santità cristiana, la conversione, la fede (Mt 1,15 ) e la perfezione (Mt
5,48), germoglia dalle potenzialità dei sacramenti della iniziazione cristiana. 61 La figliolanza
divina adottiva, di fraternità e di sequela di Cristo, iscritte nel sacramento di battesimo;
l’apostolato (il mandato di testimoniare e incarnare la fede cristiana) è radicato nel sacramento
della confermazione; e la potenzialità della comunione scaturisce dal sacramento
dell’eucaristia.
Abbiamo delle diversità secondo le funzioni e secondo le scelte di vita cristiana. Ma,
ogni forma di vita spirituale è un cammino verso Dio, perché “si prefigge come meta la
ricerca di Dio e il rapporto comunionale con Lui, all’interno di un’esistenza”. Per i religiosi e
le religiose, per i consacrati, la vita in pienezza dei consigli evangelici di castità, di povertà e
di obbedienza sono itinerari per raggiungere Dio.62 Il presbitero63 raggiunge Dio mediante
l’annunzio della parola, le azioni liturgico-sacramentali, i rapporti interpersonali connessi
direttamente o indirettamente con l’esercizio delle sue funzioni. Per i laici 64, la strada
ordinario per andare verso Dio è la testimonianza delle vie comuni della vita cristiana nella
loro vita quotidiana.
Gesù è la realizzazione piena dell’uomo. È in lui che il cristiano deve porre la sua
speranza e può trovare il senso per la sua vita. La fede e la speranza chiedono al cristiano la
conversione, una vita nuova secondo il Vangelo. Il cristiano, quindi, accoglie Cristo vive in
lui l’immagine di figlio di Dio, entra nella comunità dei fratelli (il suo corpo) che vivono la
comunione con Dio e tra di loro, perciò è in cammino con lui verso Dio Padre. Inoltre,
lasciarsi trasformare e salvare da Gesù, vuol dire per il cristiano impegnarsi a creare un
60
FAVALE A., p. 256.
61
Cfr. Ibid., p. 256.
62
Cfr. BERNARDINI M., Giovani e progetto di vita, pp. 42-46.
63
Cfr. Ibid..
64
Ibid., p. 40.
77
mondo di giustizia, di amore, di unità, di pace.65 Quindi, l’essenza della vita cristiana consiste
nell’amore verso Dio e verso i fratelli.66 Questo comporta al cristiano una vita di preghiera,
l’accoglienza dei sacramenti che Dio dona all’uomo67 e l’esperienza profonda di Dio-Amore
che potrà scoprire il suo ruolo personale nella comunità dei credenti (la Chiesa) e nella vita
sociale per il progetto di salvezza di Dio. Tutto questo ci mostra che la vita cristiana è un
camino verso Dio.
Il formando, chiamato da Dio alla santità in forza del battesimo, tende alla perfezione
della carità verso Dio e il prossimo, vivendo la propria vocazione missionaria in comunità di
vita e nella pratica dei consigli evangelici, mediante i voti semplici di povertà, castità e
obbedienza. Nell’intima comunione con Cristo e con i fratelli, potrà raggiungere una più
completa maturità personale, umana e cristiana, e una più efficace azione apostolica.
A questo appello risponde con l’impegno di un’adeguata e continua formazione per la quale il
Signore dona ogni giorno la sua grazia. Nel rispondere fedelmente alla vocazione, ogni
formando trova in Cristo la via della sua piena realizzazione e il suo cammino di
santificazione. Gesù chiamò personalmente “quelli che egli volle” perché fossero suoi
Apostoli, perché stessero con Lui e per mandarli a proclamare il Vangelo (Cfr. Mc 3,13-15).
Li preparò con amore paziente e diede loro lo Spirito Santo che li guidasse alla pienezza della
Verità. L’esperienza che fecero i primi discepoli nell’incontro con Gesù, il cammino che
percorsero condividendo la sua vita, ascoltando la sua parola, accogliendo il suo mistero,
facendo propria la causa del Regno e assumendo lo stile evangelico da lui proposto
costituiscono anche l’esperienza e il cammino di ogni formando. Formazione è accogliere con
gioia il dono della vocazione e renderlo reale in ogni momento e situazione dell’esistenza.
65
Ibid., p. 36.
66
Ibid..
67
Ibid..
68
NVNE 33a.
77
Formazione è grazia dello Spirito, atteggiamento personale, pedagogia di vita, “fatica e lotta
per essere libero di accogliere il dono”. 69
Per rispondere agli obiettivi che si propone, la formazione oggi deve fare attenzione ad
alcuni punti di riferimento: il confronto con il contesto in cui si sviluppa la vocazione, la
capacità di camminare con la Chiesa e la docilità ai suoi orientamenti, la sintonia con
l’esperienza carismatica di un Istituto religioso o con la tradizione di un presbiterio diocesano
e la coerenza con la prassi formativa da essa proposta.
69
NVNE 33a.
70
PDV 5.
71
Cfr. Passione per Cristo. Passione per l’umanità, Atti del Convegno sul Congresso internazionale
della Vita Consacrata, Paoline, Milano 2005.
77
Tenendo presente la varietà delle situazioni nei diversi contesti socioculturali e ecclesiali, che
rende impossibile una presentazione unitaria, si possono evidenziare alcune sfide, che
provengono dai differenti contesti e toccano da vicino l’esperienza vocazionale:
b. cresce la coscienza della dignità della donna e del suo ruolo nella costruzione di una nuova
società, ma sono ancora molti gli ambienti in cui essa viene manipolata e sfruttata in varie
forme, creando ambiguità nei suoi confronti;
c. c’è una forte sottolineatura della dimensione della sessualità, ma spesso in forma ambigua o
distorta, cosa che richiede alla persona maggiore maturità e solidità;
d. il pluralismo, ormai diffuso in molti contesti, può costituire una ricchezza, ma sottolinea
anche la necessità di identità forti e di scelte consapevoli per non cadere nel relativismo e
nella debolezza di pensiero;
f. l’attuale complessità del mondo e della vita tende alla frammentazione e rende difficile
vivere una vita unificata;
77
Tutti si sentono coinvolti in questo quadro di elementi, di luce e di ombre insieme, e
questa realtà ha un particolare peso sulla formazione di coloro che scelgono la vocazione
consacrata, i giovani e anche i meno giovani candidati al sacerdozio. È doveroso chiedersi da
quale condizione giovanile provengano oggi le vocazioni e quale rapporto vi sia tra i criteri e
le forme di vita che essa propone e il progetto personale di vita. La risposta non può essere
univoca, perché le condizioni giovanili sono molteplici, e coloro che iniziano la prima
formazione portano con sé esperienze familiari, culturali, religiose, di lavoro, di studio e di
conoscenza della vita in genere molto diverse ed hanno compiuto percorsi vocazionali
differenti. Si possono rilevare alcuni tratti che interessano in particolare la prospettiva
formativa:
a. i giovani vogliono essere i protagonisti della loro vita, ma spesso mancano di grandi
orizzonti o trovano difficoltà nel fare scelte definitive, a lunga scadenza o per tutta la vita:
scelte che richiedono costanza e sacrificio; essi inoltre evidenziano difficoltà ad occuparsi
della propria vita psicologica e del proprio spazio interiore;
b. sono sensibili ai valori della persona umana, e allo stesso tempo sono affascinati dalla
società consumista;
d. particolarmente nel campo della sessualità sono influenzati dai comportamenti degli
ambienti in cui vivono; anche l’aspetto emotivo ha un forte peso;
e. derivano spesso le loro conoscenze, le loro percezioni della realtà e i loro valori dal mondo
della comunicazione sociale. Non hanno molto senso della storia, per cui sono portati a
sottolineare l’immediato;
f. nei rapporti quotidiani sanno essere accoglienti, sinceri e comunicativi. Sono flessibili,
adattabili alle nuove situazioni e tolleranti. In genere sono capaci di generosità e servizio ai
bisognosi, e parecchi si offrono per il volontariato; occorre però che queste esperienze
positive siano integrate con la loro vita e non rimangano una parentesi;
77
g. mentre l’impatto educativo ed evangelizzatore della famiglia e della scuola diminuisce,
l’odierna complessità della vita rende difficile l’unificazione personale e prolunga i processi
di maturazione e di auto-definizione;
h. i giovani sono sensibili al fatto religioso, alla ricerca di Dio e di quei valori che possono
dare senso alla loro vita. Sentono il bisogno di spiritualità e di preghiera, anche se non è
sempre facile per loro mettere insieme il seguire la moda e l’interiorizzazione del proprio
rapporto con Dio.
4.1.2. Fonti d’ispirazione della formazione: l’esperienza e gli orientamenti della Chiesa
In questa prospettiva:
a. ha stimolato una rinnovata coscienza della vocazione dei laici, invitando tutti ad una vita
cristiana di maggior qualità, più solida, personalizzata, capace di confrontarsi con la cultura;73
72
Cfr. PDV 12.
73
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Post-sinodale Christifideles Laici, 30 dicembre
1988 (Sinodo 1987).
74
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Post-sinodale Vita Consecrata, 25 marzo 1996
(Sinodo 1994).
77
c. ha ripensato il ministero dei presbiteri, mettendo in evidenza il loro servizio nel Popolo di
Dio e la necessità di rinnovare i rapporti e di qualificare la comunicazione nel lavoro
pastorale.75
La chiave del rinnovamento e della vitalità vocazionale dipende, per la Chiesa78 da una
formazione di qualità e adeguata ai tempi, e la propone come priorità strategica e impegno
costante, accentuando alcune attenzioni: l’importanza di una chiara identità vocazionale e
carismatica79, di una formazione personale e allo stesso tempo condivisa, di un itinerario
formativo che si metta in confronto con le caratteristiche dei nuovi candidati e con il contesto
umano e culturale in rapida evoluzione, e la necessità della formazione permanente che tenga
vivo lo slancio e la fedeltà vocazionale. Non pochi documenti recenti offrono criteri,
orientamenti e disposizioni al servizio della formazione; tra essi: Vita consecrata, Potissimum
institutioni o Direttive sulla formazione negli istituti religiosi, La collaborazione inter-istituti
per la formazione, Pastores dabo vobis, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis,
Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari.
75
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Post-sinodale Pastores dabo vobis, 25 marzo
1992 (Sinodo 1990).
76
Cfr. CIVCSVA, Istruzione Ripartire da Cristo, 2002.
77
Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI,
Istruzione Erga migrantes caritas Christi (3 maggio 2004); Cfr. BENETTO XVI, Lettera Enciclica
Deus caritas est (25 dicembre 2005).
78
Cfr. VC, nn. 68-69.
79
Cfr. VC, n. 36.
77
CAPITOLO II
LA FORMAZIONE SACERDOTALE COME PROGETTO
Tutti siamo chiamati ad essere santi : questa è la vocazione comune di tutti i fedeli,80
perché siamo chiamati ad essere come Lui, a sua immagine e somiglianza. Dall’altra parte
però ognuno è chiamato a vivere questa chiamata in una strada o vocazione specifica che il
Signore indica. Così, anche la chiamata al sacerdozio, sul quale ci soffermeremo di più in
questo secondo capitolo, ha come scopo proprio di vedere come il Signore chiama e come
l’uomo nella sua libertà risponde a tale importante ministero. Ogni potere e ogni ministero
sacerdotale nella Chiesa cattolica trae l’origine dall’unico ed eterno sacerdozio di Cristo che
dal Padre è stato santificato e mandato nel mondo. A questo unico e medesimo sacerdozio di
Cristo partecipa il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale al quale tutti
insieme mediante il Battessimo e l’unzione dello Spirito Santo “vengono consacrati a formare
80
Cfr. LG, n. 5.
77
un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le opere del cristiano,
spirituali sacrifici”.81 Al sacerdozio di Cristo partecipano, in modo diverso dai fedeli, i
presbiteri in quanto collaboratori del vescovo e in virtù del Sacramento dell’Ordine, ad
immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote (Cfr. Ebr 5, 1-10), sono consacrati per
predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino quali veri sacerdoti della nuova
Alleanza.
Ecco, allora, che anche Giovanni Paolo II, contestualizzando questo brano del vangelo
dice che lo spirito che deve animare e sostenere la vocazione sacerdotale “è quello di portare
al sacerdozio solo coloro che sono stati chiamati e di portarli adeguatamente formati, ossia
con una risposta cosciente e libera di adesione e di coinvolgimento di tutta la loro persona a
Gesù Cristo che chiama all’intimità di vita con lui e alla condivisione di salvezza”. 82 In questo
senso, anche l’itinerario formativo del sacerdote deve essere un processo che miri sempre di
più ad interiorizzare i valori fondamentali del sacerdozio. Anche il seminario o la casa di
formazione dovrebbe essere “un luogo, uno spazio materiale, rappresenta uno spazio
spirituale, un itinerario di vita, un atmosfera che favorisce e assicura un processo formativo,
81
LG, n. 10.
82
PDV, n. 42.
77
così che colui che è chiamato da Dio al sacerdozio possa venire con il sacramento
dell’Ordine, un’immagine vivente di Gesù Cristo capo e pastore della chiesa”.83
83
Ibid..
77
pertanto, sono corresponsabili in modo solidale, dei molteplici aspetti della formazione,
ciascuno secondo il compito ricevuto. Analogamente, sarà impegno vivo dei seminaristi
maturare una solida sintesi di vita che componga in unità esperienza spirituale e maturità
umana, discernimento vocazionale e vita in comunità, sapere teologico ed esperienze
pastorali. A tal fine, il cardine cui si dovranno ricondurre i diversi aspetti della formazione
sarà l’esperienza viva di fede: essa sola rende percepibile e motivata la vocazione al ministero
presbiterale, insieme ad una possibile risposta generosa e radicale. Intorno a questo nucleo
vitale, sarà necessario articolare e armonizzare l’intero cammino verso il conseguimento
dell’idoneità richiesta per il presbiterato.84 Ogni formando nell’elaborare il suo progetto
personale di vita dovrà prestare un’attenzione speciale per le quattro dimensioni: umana,
spirituale, intellettuale e pastorale.
77
degli educatori che sono chiamati a favorire questo cammino e stimolarlo in ordine agli
obiettivi educativi intravisti come possibili. Una vera maturità in tal senso rimane l’obiettivo
da perseguire e mai raggiunto. Il percorso di una maturazione progressiva dà il senso a una
personalità compiuta. Il seminarista è chiamato a progettare la propria vita verso il ministero
presbiterale come una forma riuscita di esistenza umana nella fede.
Tutti gli aspetti della formazione umana sono da valutare in vista della specifica
vocazione al ministero nella Chiesa. Siccome il ministero presbiterale ha una dimensione in sé
comunionale, è indispensabile maturare la capacità di relazioni autentiche con le altre
persone. Luogo privilegiato di crescita e di verifica di questo aspetto è la vita comunitaria.
Un'esigenza comunitaria molto importante è l'obbedienza presbiterale che presenta non solo
l'obbedienza di un singolo che individualmente si rapporta con l'autorità, ma è invece
profondamente inserita nell'unità del presbiterio, che come tale è chiamato a vivere la
concorde collaborazione con l’Ordinario e, per suo tramite, con il successore di Pietro. 88
Occorre che il sacerdote plasmi la sua personalità umana in modo da renderla ponte e non
ostacolo per gli altri nell'incontro con Gesù Cristo, che sia capace di conoscere in profondità
l'animo umano, di intuire difficoltà e problemi, di facilitare l'incontro e il dialogo, di ottenere
fiducia e collaborazione, di esprimere giudizi sereni e oggettivi. Di particolare importanza è la
capacità di relazione con gli altri, elemento veramente essenziale per chi è chiamato ad essere
responsabile di una comunità e ad essere uomo di comunione. “Questo esige che il sacerdote
non sia né arrogante né litigioso, ma sia affabile, ospitale, sincero nelle parole e nel cuore,
prudente e discreto, generoso e disponibile al servizio, capace di offrire personalmente, e di
suscitar in tutti, rapporti schietti e fraterni, pronto a comprendere, perdonare e consolare”.89 Il
candidato al sacerdozio è chiamato ad imparare a stimare quelle virtù che sono tenute in gran
conto fra gli uomini e rendono accetto il ministro di Cristo quali la lealtà, il rispetto costante
della giustizia, la fedeltà alla parola data, la gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel
conversare.90 Lo spirito di sincerità è incarnato a diversi livelli. Alla base di tutto sta la
sincerità con se stessi. Di conseguenza si diventa capaci di autenticità nei rapporti con i
compagni, così pure il rapporto con gli educatori sarà tanto più fruttuoso quanto più sincero. Il
ruolo della comunità nel progettare la propria vita è indispensabile, perché serve alla
creazione dei legami più profondi di amicizia e fraternità.
88
Cfr. PDV, n. 28.
89
PDV, n. 43.
90
Cfr. OT, n. 11.
77
Segno di una maturità umana e predisposizione all’esercizio del ministero è una
capacità concreta di servizio nelle diverse situazioni della vita quotidiana. L’adozione di
questo stile è punto qualificante per dare vita ad una comunità che realmente sia educativa.
“Proprio l'incontro con Dio e con il suo amore di Padre di tutti, pone l'esigenza indeclinabile
dell'incontro con il prossimo, del dono di sé agli altri, nel servizio disinteressato che Gesù ha
proposto a tutti come programma di vita con la lavanda dei piedi agli apostoli”.91
Il momento della difficoltà è sempre occasione per attivare nuove capacità di rapporti
maturi. La disponibilità ad accettare i limiti reciproci, permette di ridurre le tensioni alla
disgregazione e le asperità di ogni personalità. Saper perdonare e lasciarsi perdonare sono
attitudini continuamente da rinnovare. Anche la capacità di dialogo con tutti, nel rispetto delle
diversità, permette di andare al di là di contrapposizioni e chiusure pregiudiziali nei confronti
di qualcuno nella comunità.
91
PDV, n. 49.
92
PDV, n. 44.
77
dedicare una riflessione pacata alla propria storia e alle dinamiche che sono legate alla propria
origine.
Una parte importante della formazione umana integrale accanto alla preghiera, allo
studio, agli incarichi e servizi che si devono svolgere nella comunità consiste nell’imparare la
disciplina del lavoro manuale. Oltre al principio generale di uno stile laborioso, ne deriva la
necessità di riservare almeno un po’ di tempo anche per quei lavori manuali che più
richiamano l’attenzione alle dimensioni umane della fatica, della quotidianità, degli
imprevisti, del continuo bisogno di pulizia, ordine. Non è perso quel tempo che viene
impiegato in questo genere di attività.
93
PDV, n. 44.
94
Cfr. SARAIVA MARTINS J., «Formazione al celibato sacerdotale», in SEPE C.– PIACENZA M.
(a cura di), Solo per amore, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1993, p. 180.
77
I punti che devono fare parte del P.P.V. sono gli elementi formativi della povertà,
sobrietà, gestione economica. Gestire con serietà, sobrietà, e generosità l’economia personale
di quanto si ha a disposizione è punto concreto, ma non secondario del percorso educativo.
“Solo chi contempla e vive il mistero di Dio quale unico e sommo bene, quale vera e
definitiva Ricchezza, può capire e realizzare la povertà, che non è certamente disprezzo e
rifiuto dei beni materiali, ma è uso grato e cordiale di questi beni e insieme lieta rinuncia a
essi con grande libertà interiore, ossia in ordine a Dio e ai suoi disegni”.95
Ci si aspetta dai sacerdoti che siano esperti in umanità. Debbono essere veramente e
autenticamente umani. Ecco perché i programmi di formazione ad ogni livello debbono
includere una crescita progressiva verso una maturità umana che deve essere integrale e
realizzata secondo l’età e lo sviluppo psicologico dell'individuo. Prima di tutto, la formazione
deve mirare a sviluppare negli studenti la capacità di compiere una scelta libera e autentica,
attraverso una crescita emozionale, sociale e spirituale. È importante considerare la persona
nella sua totalità, aperta al futuro in relazione a se stessa, con il mondo e con Dio. Per questo,
la collaborazione della comunità e il coinvolgimento dell'ambiente sociale ed ecclesiale dello
studente sono necessari. “L'ambiente della formazione deve essere aperto alla realtà dei
seminaristi, al mondo dei giovani, alla vita della Chiesa e ai problemi del nostro tempo”.96
Uno degli obiettivi principali della formazione umana è la capacità di compiere una
scelta libera e autentica “pertanto, per mezzo di un’educazione saggiamente proporzionata
alla loro età, si coltivi negli alunni anche la necessaria maturità umana. Questa si riconosce
principalmente in una certa fermezza d'animo, nel saper prendere decisioni ponderate e nel
retto modo di giudicare uomini ed eventi”.97 Senza libertà di scelta, non ci può essere alcun
processo di formazione, non ci può essere alcuna formazione integrale. La formazione non
può essere realizzata attraverso una severa disciplina o attraverso l'obbedienza alle regole, ma
solo attraverso il dialogo. La formazione è sempre dialogica: implica libertà, ricerca, stima,
conoscenza e comprensione reciproca tra i formatori e i seminaristi. Da questo punto di vista,
l’attuale situazione potrebbe richiedere un cambiamento.
95
PDV, n. 30.
96
RF, n. 21.
97
OT, n. 11.
77
preliminare riguardo alle loro motivazioni vocazionali. Bastava che fossero dei bravi ragazzi,
studiosi e obbedienti nei confronti dei superiori. Tuttavia, raramente erano consapevoli del
significato interiore della vita umana e cristiana, delle implicazioni e persino delle
motivazioni implicite della vocazione sacerdotale, nonché della missione a cui erano chiamati.
Questa prassi adesso non può andare avanti in questo modo. Queste azioni preliminari non
possono mancare.
98
Cfr. GS, n. 22 e PDV, n. 43, che elencano qualità e virtù da coltivare: amore per la verità, lealtà,
rispetto per ogni persona, senso della giustizia, fedeltà alla parola data, vera compassione, coerenza,
equilibrio di giudizio e di comportamento, e poi affabilità, ospitalità, sincerità, prudenza e discrezione,
generosità e disponibilità al servizio, capacità di offrire e di suscitare rapporti schietti e fraterni,
prontezza a comprendere, perdonare e consolare.
99
CCC, n. 27.
77
ancora possono essere immature. Essere sacerdote non implica soltanto vivere con
responsabilità la propria fede, ma tutta l'esistenza deve essere occupata dal Signore. Fedele a
tale dimensione della vita sacerdotale , il formando dovrà basarsi su un’autentica formazione
spirituale. Formazione spirituale: “Obiettivo centrale del cammino formativo è la
preparazione della persona alla totale consacrazione di sé a Dio nella sequela di Cristo, a
servizio della missione”.100 “Ogni uomo, creato da Dio e redento dal sangue di Cristo, è
chiamato ad essere rigenerato «dall'acqua e dallo Spirito» e a divenire figlio nel Figlio”.101
Con questa distinzione Papa Giovanni Paolo II offre una principale idea del suo programma
apostolico per la formazione spirituale dei candidati al sacerdozio. Possiamo costatare nella
Gaudiem et spes che “Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e
del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima
vocazione”.102 La formazione spirituale consiste in un’unica idea di donare “l’esigenza di
vivere intimamente uniti a Gesù Cristo. L'unione al Signore Gesù, fondata sul Battesimo e
alimentata con l'Eucaristia, domanda di esprimersi, rinnovandola radicalmente, nella vita di
ogni giorno”.103 Il concetto caratteristico della stretta relazione del seminarista con Gesù è
l’amicizia, aspetto fondamentale che si concretizza nella sequela di Cristo. La formazione
spirituale è il processo che rende atti ad essere conformi all'immagine di Cristo per il bene
degli altri. Per entrare nel mistero della Trinità l’Esortazione Apostolica Postsinodale
Pastores dabo vobis, ci ricorda che la dimensione pneumatologia non si annulla. Le coloriture
della Pastores dabo vobis vedono lo Spirito Santo come un dei grandi aiuti nella vita
spirituale dei seminaristi, ma specialmente dei sacerdoti. Il Seminario, sebbene sia composto
di persone provenienti da diversi luoghi della Diocesi, da differenti Paesi, avvolte con
tradizioni culturali, movimenti spirituali ed ecclesiali differenti, dovrebbe diventare il luogo
dove la spiritualità di ognuno diventi ricchezza comune. Il metodo di cercare e trovare,
un’amicizia per tutta la vita si presenta in una triplice comunicazione:
1. Nell’Eucaristia.
2. Nella parola “orante” (lectio divina).
3. Nella viva preghiera.
1. Restiamo ancora legati alla Pastores dabo vobis che spiega “l'importanza essenziale
dell'Eucaristia per la vita e per il ministero sacerdotale e, conseguentemente, nella formazione
100
VC, n. 65.
101
PDV, n. 49.
102
GS, n. 22.
103
PDV, n. 46.
77
spirituale dei candidati al sacerdozio”.104 La celebrazione eucaristica è al centro della
formazione cristiana, ma deve necessariamente occupare la centralità stessa in ogni
programma del seminario e delle case di formazione per i futuri sacerdoti. L’Eucaristia
costituisce il centro della preghiera quotidiana comune, essa riflette il flusso e riflusso del
tempo liturgico nella vita della comunità. L’Eucaristia è la fonte e il culmine da cui nasce,
tende e si articola tutta la giornata in seminario o nella casa di formazione. Il futuro prete sarà
anzitutto il ministro dell’Eucaristia, formato alla pratica della riconciliazione e alla comunione
fra tutti coloro che devono essere considerati come fratelli in una sola e stessa famiglia di
Dio.105
2. Prima di definire cosa sia la lectio divina, è opportuno domandarci insieme al
cardinale Martini cos’è la Parola di Dio, come opera e come giunge a noi? “La parola di Dio è
dono dello Spirito. È lo Spirito di Dio che diffonde questa Parola, che la dà agli uomini e la dà
anche come Parola profetica da comunicare nella testimonianza”.106 Lectio divina è la
contemplativa preghiera delle Scritture. In un modo speciale questo metodo ci permette di
scoprire nella nostra vita quotidiana un sottostante ritmo spirituale. All'interno di questo
ritmo, scopriamo una capacità di offrire più per noi stessi e le nostre relazioni verso il Padre, e
di accettare l'abbraccio che Dio in continua estensione dona a noi nella persona di suo Figlio,
Gesù Cristo. Molto spesso le nostre preoccupazioni, le nostre relazioni, le nostre speranze e le
aspirazioni, si intrecciano con le nostre meditazioni sulla Scrittura, scaturite dai nostri ricordi
e dall’ascolto di Dio presente negli eventi della nostra vita. Con la lectio si sperimenta Cristo
che arriva a noi attraverso i nostri ricordi. La nostra storia personale diventa la storia della
salvezza. La lectio divina è una lettura della Scrittura che, avvenendo nella fede, nella
preghiera, nell'apertura allo Spirito, diviene un ascolto della Parola di Dio che tramite la
pagina biblica si rivolge “a noi, oggi”. I seminaristi hanno bisogno di essere aiutati nella vita
di preghiera, nel fare la meditazione, nell'introdursi nella lectio divina. La lectio divina è
un’occasione esemplare di formazione spirituale, valutata costantemente secondo, secondo le
direttive dei Direttori spirituali.
3. Il Cardinal Tomáš ŠPIDLÍK esaurientemente spiega il valore della preghiera: “ La
vita si vive, non viene definita. Ma in un certo modo si cerca di descriverla sotto i suoi vari
aspetti. Lo stesso è per la preghiera. La preghiera è una funzione vitale dell’uomo”. 107 La vita
104
Ibid., n. 48.
105
Cfr. FISHER W., «Anderes Sehen die Vorbereitung einer Eucharistiefeier», in Lebendig Seelsorge
48 (1997), p.189.
106
MARTINI C. M., Parola di Dio e vita quotidiana, Torino, Marietti, 1980, p. 20.
107
ŠPIDLÍK T., Pregare nel cuore. Iniziazione alla preghiera, Roma, Lipa, 1996, p. 9.
77
del seminarista deve essere programmata con la preghiera dal carattere incessante ed autentico
che, a poco a poco, darà sostanza anche all’esperienza della direzione spirituale, intesa come
uno degli elementi fondamentali della formazione al presbiterato. Henri J. M. Nouwen nel
quinto capitolo nel suo libro Intimità, che intitola «Depressione nel seminario»,108 trattava
degli effetti globali, psicologici e pedagogici circa la perdita di fiducia nella guida spirituale,
che dovrebbe essere percepita come “quella (persona) che evoca di più il rapporto
interpersonale e vitale che unisce la persona saggia e sperimentata a quello che chiamiamo
principiante nella vita spirituale”.109 La direzione spirituale nei seminari e case di formazione,
deve essere concentrata in tre punti importanti: conoscenza personale di se stesso,
appartenenza alla Chiesa, sequela di Cristo. Possiamo conoscere meglio noi stessi, se ci
lasciamo guidare da un fratello maggiore: “il direttore spirituale deve aiutare il seminarista
perché egli stesso giunga ad una decisione matura e libera, che sia fondata nella stima
dell'amicizia sacerdotale e dell'autodisciplina, come pure nell'accettazione della solitudine e in
un retto stato personale fisico e psicologico”.110 L’appartenenza alla Chiesa significa
un’appartenenza alla comunità – non siamo chiamati a vivere da soli, ma ad essere un parte
vitale di questo corpo ecclesiale. La Congregazione per l’Educazione cattolica affermava che
“la rinnovata liturgia delle ore ha aperto le ricchissime fonti spirituali della Chiesa orante
specialmente ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi obbligati al coro e anche a tutto il popolo
cristiano, che è vivamente invitato a parteciparvi. Perciò nel seminario si deve attribuire
grande onore alla liturgia delle ore da parte di coloro che hanno ricevuto l'ordine di celebrarla,
cioè i presbiteri e i diaconi, e da tutta la comunità degli alunni”.111 La liturgia delle ore è la
preghiera di comunità per la comunione, è possiamo definirla anche come “preghiera
universale”.
Possiamo enunciare quattro punti necessari alla formazione della vita spirituale nei
seminari e case di formazione:
1. Formare sacerdoti che accolgano e amino profondamente la Parola di Dio, perché
questa coltivi in essi innanzitutto il senso dell'autentico silenzio interiore. È il cammino
dell'orazione stimata, amata, voluta, nonostante tutte le sollecitazioni e tutti gli ostacoli. È
necessario che il futuro sacerdote possa essere, grazie ad un'autentica esperienza, un maestro
108
Cfr. NOUWEN H. J. M., Intimaci: pastoral psychological essays, San Francisco, Harper, 1969, pp.
79-109.
109
BERNARD C.-A., «La dinamica del colloquio di direzione spirituale», in Seminarium 4 (1999), p.
537.
110
PDV, n. 50.
111
SACRA CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Istruzione sulla formazione
liturgica nei Seminari, Roma 1979, n. 22.
77
di preghiera per coloro che si rivolgeranno a lui, o che egli andrà a cercare, e per tutti coloro
che tanti falsi profeti mettono oggi nel pericolo di smarrirsi.
2. Formare sacerdoti che riconoscano nel mistero pasquale, di cui essi saranno i
ministri, l'espressione suprema di questa Parola di Dio; per questo occorrerà insegnare loro la
comunione al mistero del Cristo morto e risorto. Si può dunque dire, senza esitazione e senza
esagerazione, che la vita di un seminario si giudica sulla comprensione che esso è capace di
dare al futuro sacerdote di questo mistero, e sul senso dell'inalienabile responsabilità
sacerdotale di farvi partecipare degnamente i fedeli.
3. Formare sacerdoti che non abbiano paura di accettare che la comunione reale con il
Cristo comporta un'ascesi. Un seminario che lasciasse un futuro sacerdote nell'ignoranza delle
lotte che l'attendono e dell'ascesi senza la quale la sua fedeltà, come del resto quella dei fedeli,
è impossibile, mancherebbe gravemente alla sua missione.
4. Infine, occorre fare del seminario una scuola d'amore filiale verso Colei che è
la «Madre di Gesù», e che il Cristo in croce ci ha dato come Madre. Il gusto della preghiera
alla Vergine, pertanto, la confidenza nella sua intercessione e le solide abitudini a questo
riguardo fanno parte integrante del programma del seminario.112
112
Cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE, Lettera circolare su alcuni aspetti più
urgenti della formazione spirituale nei seminari, Roma 1980.
113
OT, n. 13.
77
comunitario di vita in seminario e del progetto personale di ogni candidato. Una formazione
unitaria della persona richiede una stretta collaborazione tra seminario e studentato, fondata
sulla reciproca conoscenza e stima del lavoro svolto. Lo studio per il seminarista è in primo
luogo orientato alla maturazione della fede personale, prima ancora che essere accumulo di
nozioni per il servizio nei confronti di altri. Ognuno è provocato ad affinare sempre meglio la
propria consapevolezza della complessità ricca e articolata del mistero racchiuso nella storia
di Dio con gli uomini. La capacità di riconoscere le impronte del passaggio di Dio, richiede
come contrappeso la fatica di una ricerca costante e disciplinata, condotta sul solco di una
lunga tradizione di pensiero, ma anche aperta a nuovi strumenti e nuovi contributi.
È risaputo che si fa vera teologia e la si approfondisce quando essa prende l'avvio dalla
Parola di Dio, si colloca all'interno del dinamismo dell'atto di fede e si sviluppa in armonia
con il contenuto della Sacra Scrittura, come è stato trasmesso fino a noi dalla Tradizione ed è
autorevolmente interpretato dal magistero vivo della Chiesa, che si avvale anche dei frutti
migliori della recente esegesi biblica. La scienza del presbitero quindi “va attinta in primo
luogo dalla lettura e meditazione della Sacra Scrittura, ma suo fruttuoso alimento è anche lo
studio dei santi padri e dottori e degli altri documenti della tradizione. Inoltre, per poter dare
77
una risposta esauriente ai problemi sollevati dagli uomini d'oggi, è necessario che i presbiteri
conoscano bene i testi del magistero, specie quelli dei concili e dei romani pontefici, e
consultino le opere di teologi validi e di dottrina sicura”.114
Si deve tuttavia notare che intorno alla metà del XIX secolo alla teologia sistematica
neoscolastica legata alla perennità, sono state fatte le prime critiche da parte della «nouvelle
théologie», nata in Francia e attenta, oltre che alle fonti bibliche, patristiche e liturgiche,
anche al pensiero contemporaneo e agli interrogativi degli uomini, e da parte della teologia
kerigmatica, sorta in area tedesca con lo scopo di ricercare un equilibrio tra la conoscenza
teologica in senso stretto e la conoscenza della fede. Dopo il Concilio Vaticano II è avvenuta
la nascita delle teologie «contestuali», come la teologia indiana, la teologia africana, la
teologia della liberazione di matrice latino-americana, legate al fatto dell'incarnazione o
inculturazione della teologia nelle diverse culture e situazioni. Di fronte a questa
frammentazione del pensiero teologico, il seminarista deve essere preparato a discernere
quanto di valido, di discutibile e di provvisorio esiste in queste teologie contestuali, e a
vincere la tentazione di bandire la riflessione teologica in nome dell'agire. Il P.P.V. deve
essere aperto alla problematicità che scaturisce dalla disparità dei “saperi” del nostro tempo
(filologico, filosofico, politico, economico, etico, psicologico, antropologico, ecc, che si sono
resi epistemologicamente autonomi dalla tutela teologica) ed essere aiutato ad allenarsi a
stabilire con essi un confronto. Questo significa, tra l'altro, che i saperi della nostra epoca non
possono essere semplicemente l'altro, l'esterno, il diverso, da ignorare, ma un'istanza interna
all'elaborazione stessa del sapere teologico.
114
PO, n. 19.
115
PDV, n. 54.
77
Nei Paesi di antica cristianità ci si trova di fronte alla crescita dell'indifferenza
religiosa, alla diminuzione dei cristiani alla partecipazione delle celebrazioni liturgiche e alla
crescente esigenza di autodeterminazione della propria vita da parte delle persone in
riferimento alla religione, che tende ad essere concepita con le categorie dell'individualismo e
della «privatizzazione», quasi si trattasse di un bene da gestire soltanto in proprio. Vivo si fa
dunque sentire il bisogno di una nuova evangelizzazione.
Per il fatto stesso di appartenere a una Chiesa che è per sua natura missionaria, il
candidato al sacerdozio deve crescere in questa coscienza missionaria e imparare i metodi, il
linguaggio, lo stile, lo slancio creativo nell'annunzio del messaggio evangelico agli uomini e
alle donne del nostro tempo per indurli alla conversione del cuore. Il «chi annunziare» non è
in discussione: è Gesù Cristo l'unico Salvatore dell'uomo. Il «come annunziare» invece è
sempre in discussione in ogni epoca storica, in particolare in questo periodo di passaggio dal
Secondo al Terzo Millennio cristiano. I tempi e le culture cambiano, bisogna sapersi
«inculturare», ma senza alterare la sostanza del messaggio evangelico, destinato a lievitare,
purificare ed elevare le diverse culture.116 Alla diffusione di questo messaggio può giovare il
ricorso ai mezzi di comunicazione sociale. Si tratta di strumenti che non solo raggiungono un
grande numero di persone, credenti e non credenti, che diversamente non si potrebbero
raggiungere ma, in base ai contenuti che offrono, influiscono sui loro modi di pensare e di
comportarsi.
Davanti alla realtà della globalizzazione, il seminarista non prende solo coscienza
della vastità delle dimensioni del problema missionario, affidato alla Chiesa, ma è sollecitato
a studiarle per vedere come possa nell'ambito dell'esercizio del suo futuro ministero avviare
un dialogo con i non cattolici in vista di una migliore reciproca comprensione e
collaborazione, almeno su un insieme di valori umani condivisi da tutti.
La formazione intellettuale del presbitero non può prescindere dal confronto con la
Dottrina sociale della Chiesa. L'umanità dispone oggi di notevoli ricchezze e di potenza
economica. Si constata però che la grande maggioranza degli abitanti della terra continua a
vivere in condizioni precarie e, spesso, disumane a causa della fame, della miseria e dello
sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Questo capita anche nei paesi cristiani. Si parla di un terzo
dell'umanità che trascorre le sue giornate in una vergognosa situazione di sottosviluppo in
tutti i sensi e di un altro terzo che soffre ancora di denutrizione. Tre quarti delle ricchezze
116
PDV, n. 58.
77
della Terra sono possedute da un quarto degli uomini che la popolano. L'esasperato
consumismo dei Paesi soprattutto ricchi, esclude da un modesto benessere il settanta per cento
dell'umanità. 117
La teologia e il magistero della Chiesa si sono pronunciati sulla questione sociale, che
abbraccia ormai tutte le categorie meno abbienti, compresi i migrati in genere e i profughi. Il
presbitero deve conoscere, approfondire e diffondere la Dottrina sociale della Chiesa che
appartiene al campo della teologia e, specialmente della teologia morale e che è da
annoverarsi tra le componenti essenziali della nuova evangelizzazione di cui costituisce uno
strumento.118 Infatti l'impegno sociale cristiano trova la sua valida giustificazione nell'esempio
di Cristo e nella condivisione della sua carità verso i bisognosi.
77
senso del servizio rivolto agli altri, nella comune vocazione alla santità; “poiché l'azione
pastorale è destinata per sua natura ad animare la Chiesa, che è essenzialmente mistero,
comunione, missione, la formazione pastorale dovrà conoscere e vivere queste dimensioni
ecclesiali nell'esercizio del ministero”.120 Essere presenti nella Chiesa significa essere chiamati
al servizio pastorale. Il concetto di fede deve essere la forza e l’idea che deve in noi e in altri
formare un sana comunione con tutto il popolo di Dio. Papa Giovanni Paolo II scrisse: “il mio
pensiero è rivolto pure a quanti hanno la responsabilità della formazione sacerdotale, sia
accademica che pastorale, perché curino con particolare attenzione la preparazione filosofica
di chi dovrà annunciare il Vangelo all'uomo di oggi e, più ancora, di chi dovrà dedicarsi alla
ricerca e all'insegnamento della teologia. Si sforzino di condurre il loro lavoro alla luce delle
prescrizioni del Concilio Vaticano II e delle disposizioni successive, dalle quali emerge
l'inderogabile e urgente compito, a cui tutti siamo chiamati, di contribuire a una genuina e
profonda comunicazione delle verità di fede”.121 La formazione pastorale per i seminaristi
deve avere un ruolo molto importante, per poi acquisire la capacità di comunicare con
l’esempio della fede, con l’esempio della verità.
La Pastores dabo vobis, tuttavia, pone l’accento sulla formazione pastorale che non
dovrebbe essere vissuta con leggerezza. Nel ministero pastorale i seminaristi devono imparare
a diventare “uomini di comunione”. I sacerdoti sono uomini della comunione ecclesiale, il
messaggio che devono proclamare e insegnare non è proprietà privata, e il ministero in cui
sono impegnati è condiviso con gli altri. Il seminarista deve imparare a conformarsi a questa
mentalità, perché quando entra a far parte di un presbiterio si unisce con gli altri confratelli, si
unisce con il Vescovo, e poi eserciterà un ministero collegiale con gli altri ministri della
Chiesa, specialmente con i diaconi e ministri laici. Tutti sono parte del popolo sacerdotale di
Dio, e il ministero sacerdotale è una partecipazione a questa identità. Il sacerdozio non è un
lavoro per l'occupazione personale, è una vocazione, una chiamata di Dio, fatta discernere
dalla Chiesa. Per questo siamo chiamati a capire che la formazione pastorale “non può certo
ridursi ad un semplice apprendistato, rivolto a familiarizzarsi con qualche tecnica pastorale.
La proposta educativa del seminario si fa carico di una vera e propria iniziazione alla
sensibilità del pastore, all'assunzione consapevole e matura delle sue responsabilità,
all'abitudine interiore di valutare i problemi e di stabilire le priorità e i mezzi di soluzione,
sempre in base a limpide motivazioni di fede e secondo le esigenze teologiche della pastorale
stessa”.122
120
PDV, n. 59.
121
FR, n. 105.
122
PDV, n. 58.
77
La caritas pastoralis è quel concetto teologico che racchiude in sé la valenza
intrinseca dell’essere pastore; insegna Giovanni Paolo II che la carità pastorale è “il principio
interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a
Cristo, Capo e Pastore”.123 Ci può essere il grande problema di considerare la carità pastorale
come un punto conclusivo tipicamente ecclesiologico, ma deve essere la relazione o la
configurazione a Cristo e la configurazione alla sua identità la ragione fondante del ministero
ordinato. La carità pastorale come dice Maurizio Costa è “fonte, criterio, misura e impulso
dell’amore e del servizio del sacerdote alla Chiesa e di tutte le sue azioni”.124 Queste due
citazioni possono aiutare a comprendere l’identità del sacerdozio. La vita spirituale del
sacerdote deve essere la sua identità non soltanto da portare come un atto da fare, ma anzi
come un essere del sacerdote. Se l'identità sacerdotale si definisce come il dono da costruire,
esso si crea specialmente nella carità pastorale, quando sta in relazione con la spiritualità. Ma
non soltanto con la formazione spirituale, bensì con la formazione umana e intellettuale.
In psicologia con il termine identità si intende l’identità personale, ossia il senso del
proprio essere continuo attraverso il tempo e distinto, come entità, da tutte le altre.125 Secondo
Erikson, l’identità si definisce come relazione tra il sé e gli altri, “essa connota sia la
persistenza dell’identitario nello stesso, che la condivisione di qualche caratteristica essenziale
con altri”.126 Nel senso religioso possiamo vedere l’identità come un dono da costruire o da
ricevere da Dio e da conquistarsi perché dato da Dio e da Lui come promessa. L’identità è un
punto di arrivo, inconoscibile perfettamente, verso il quale marciare.127
123
PDV, n. 23.
124
Cfr. COSTA M., Tra identità e formazione, Roma, Edizione Adp, 2003, p. 107.
125
Cfr. GALIMBERTI U., Enciclopedia di Psicologia, Milano, Garzanti, Milano, 2005, p. 502.
126
ERIKSON E., «The Problem of Identity», in STEIN M. R. (a cura di), Identity and Anxiety :
survival of the person in mass society, Glencoe, IL., Free Press New York, 1960, p. 60.
127
COSTA M., Tra identità e formazione, La spiritualità sacerdotale, Roma, Edizioni ADP, 2003, p.
25.
77
chiesa. Ha un determinato dono e carisma da sviluppare. Risponde a questa vocazione
particolare. L’essere prete significa una determinazione particolare all’interno della vocazione
cristiana;
b) quello che differenzia il prete dal laico o dal consacrato, il suo sacerdozio
ministeriale dal sacerdozio comune, la differenza specifica, lo specifico dell’essere prete.
L’identità si trova in correlazione di differenza e di opposizione rispetto a quelli che non sono
preti.128
Circa la specifica identità del sacerdote e del suo ministero possiamo esprimere le
seguenti tesi:
a) essa si colloca “in una molteplice e ricca trama di rapporti che sgorgano dalla SS.
Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa, come segno e strumento, in Cristo,
dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”129 al quale il prete è mandato. La
sua identità ha un carattere essenzialmente relazionale: con le tre Persone divine, con Cristo
Verbo incarnato, con la Chiesa e, all’interno di essa, con il Vescovo e con gli altri presbiteri,
per servire tutto il popolo di Dio e aiutarlo, ad attrarre tutti gli uomini al Padre, e, pertanto,
con tutto il genere umano;
b) “In questo contesto l’ecclesiologia di comunione diventa decisiva per cogliere
l’identità del presbitero” e “il riferimento alla Chiesa è necessario anche se non prioritario
nella definizione dell’identità del presbitero. In quanto mistero, infatti, la Chiesa è es-
senzialmente relativa a Gesù Cristo”;130
c) “Il presbitero trova la verità piena della sua identità nell’essere una derivazione, una
partecipazione specifica e una continuazione di Cristo stesso, sommo ed unico sacerdote della
nuova ed eterna alleanza: egli è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote”;131
d) ma se “il sacerdozio di Cristo (...) costituisce la fonte unica e il paradigma
insostituibile del sacerdozio cristiano” e se “il riferimento a Cristo è la chiave assolutamente
necessaria per la comprensione delle realtà sacerdotali”,132 è doveroso domandarsi quale sia la
specifica configurazione a Cristo che deriva dal sacramento dell’ordine e che giustifica che i
presbiteri a nuovo titolo siano insigniti del nome di «sacerdoti». L’elemento caratterizzante il
ministro ordinato, il sacerdote ministeriale, deve consistere in una particolare maniera di
riflettere il volto di Cristo nella Chiesa e nel mondo;133
128
Cfr. Ibid., pp. 27-28.
129
PDV, n. 12.
130
Ibid..
131
PDV, n. 12.
132
Ibid..
133
CITRINI T., Discorso sul sacramento dell’ordine, Padova-Milano, Edizioni Daverio, 1975, p. 27.
77
e) questo elemento caratterizzante in concreto è quello per cui egli, pur restando
"dentro" la Chiesa, viene posto dal sacramento dell’ordine "di fronte" alla comunità ecclesiale
come lo è Cristo capo, pastore e sposo della sua Chiesa;
f) nel nucleo più centrale dell’identità del ministro ordinato, della consacrazione
sacerdotale ricevuta mediante il sacramento dell’ordine, c’è la configurazione a Cristo capo,
pastore e sposo.134
La configurazione a Cristo un tempo era espressa con la formula che vedeva il prete
come alter Christus. Ora, dopo il Concilio Vaticano II, si preferisce parlare di lui come di
colui che agisce "in persona Christi". Questo aiuta a capire sempre meglio come non si possa
definire la conformità propria e specifica del presbitero a Cristo prima e indipendentemente
dal riferimento all’esercizio del ministero, alla sua azione apostolica nella chiesa. La
questione del ministero è decisiva per l’identità stessa della figura del prete. Agire "in
persona Christi" ricorda, inoltre, al sacerdote che egli si santifica non solo se opera per
Cristo, ma se compie l’opera di Cristo, se si consegna a Cristo come suo strumento vivo.137
La Pastores dabo vobis esplicita in modo chiaro il significato di ciascuno dei tre
aspetti dell’unica e specifica configurazione a Cristo capo, pastore e sposo della chiesa
134
COSTA M., Tra identità e formazione, pp. 43-44.
135
Cfr. PO, nn.12.14; PDV, nn. 20-22; Direttorio, nn. 38-42.
136
COSTA M., Tra identità e formazione, p. 93.
137
Cfr. Ibid., pp. 95-96.
77
derivante dal sacramento dell’ordine.138 La configurazione a Cristo pastore sembra essere
stata più sviluppata soprattutto a partire dai testi biblici Ez 34, Sal 22(23), Gv 10 e 21, e 1Pt 5.
Questo si è talora verificato non senza grossi equivoci e con il pericolo di "bypassare" il
livello propriamente spirituale della vita del sacerdote per portarsi subito al piano pastorale,
arrivando addirittura ad affermare la perfetta identità tra pastorale e spiritualità per il prete e a
negarne non solo la separazione (il che è giusto), ma anche la distinzione (il che è sbagliato).
Molto meno trattata è stata la configurazione con Cristo sposo e quella con Cristo capo. Per
questo fermeremo la nostra attenzione solo su questi due aspetti.
Riguardando la configurazione a Gesù Cristo sposo, ci sembra che i testi biblici del
Nuovo Testamento139, che – insieme ai testi di Gen 1-2, di Os 1, 2 e del Cantico dei Cantici –
offrono i fondamenti più espliciti per una spiritualità nuziale, siano stati letti solo nell’ambito
del matrimonio oppure come validi per l’alta mistica della vita contemplativa. Ci sono voluti
l’approfondimento della ecclesiologia e, alla sua luce, della teologia del matrimonio con il
Concilio Vaticano II, la rilettura in luce teologica, operata soprattutto dal magistero post-
conciliare di Giovanni Paolo II, di riflessioni sulla sessualità e sulla sponsalità maturate in
campo più propriamente antropologico, e il dibattito negli ultimi decenni sul celibato
ecclesiastico, per fare risaltare in una luce ecclesiologica più viva il significato di questi testi
anche per il ministro ordinato. Oggi la lettura dei testi biblici che hanno riferimento ad una
spiritualità nuziale viene a sottolineare anche i risvolti affettivi che devono marcare
l’esperienza spirituale del presbitero nelle sue relazioni di amore per Cristo e, soprattutto, in
Cristo per la Chiesa e per le persone a lui affidate. Egli si pone di fronte ad esse come
testimone dell’amore tenero, fedele e geloso di Cristo per la sua sposa, in concreto per la
Chiesa e per ogni membro di essa.
138
Cfr. PDV, nn. 21-22.
139
Cfr. soprattutto Mt 9,15; 22, 1-14; 25, 1-13; Gv 2, 1-11; 3, 29; 2Cor 11, 2; Ef 5, 23-32; Ap 19, 7-8;
21, 2.
77
interiore e spirituale che sola rende capace di penetrare il significato più profondo della
dimensione sponsale della vita cristiana considerata nel suo sviluppo normale e quotidiano.
Si può credere che molti problemi a riguardo del celibato siano originati da una scarsa
e debole assunzione da parte del presbitero circa l’aspetto della sua identità e che siano stati
favoriti nei seminari, durante la formazione dei candidati al sacerdozio, troppi silenzi a
proposito di questo positivo aspetto della vita spirituale del presbitero, al quale, invece, i
candidati al sacerdozio devono essere accuratamente educati.
Una retta impostazione della presidenza da parte del presbitero – oltre che aiutarlo a
conformarsi sempre più a Cristo servo141 e a praticare le virtù che favoriscono la maturazione
della carità e stroncano la superbia, origine di ogni male – lo rende modello al gregge più
efficace perché questi, nel suo servizio al mondo, sappia assumere l’autentico atteggiamento
sacerdotale di chi non vuol spadroneggiare sull’uomo, ma promuoverne, con buon animo
secondo Dio e volentieri, la liberazione integrale.142 La presidenza del presbitero nella
comunità va vista in funzione della missione e a partire dalla missione. La presidenza in
chiave di missione va coniugata con la sua presidenza liturgica. L’una rinvia all’altra e l’una
non può essere pienamente compresa indipendentemente dall’altra. C’è un’unità intrinseca per
il sacerdote tra missione ed Eucaristia: il misconoscendo può favorire nel presbitero la forza
della tentazione di pensarsi fonte delle direttive per i fedeli, delle quali egli è solamente
140
Cfr. COSTA M., Tra identità e formazione, pp. 97-98.
141
Cfr. Mc 10, 41-45; Mt 22, 24ss; Lc 22, 24-27.
142
Cfr. 1Pt 5, 2-3.
77
interprete. La direttività e la presidenza del presbitero vanno collocate nella luce dell’episodio
della lavanda dei piedi143 e delle parole di Gesù rivolte agli apostoli immediatamente dopo
l’istituzione dell’Eucaristia sull’autorità e su chi sia il più grande nella Chiesa nel Vangelo di
Luca144. Le direttive nella Chiesa possono provenire solo dal Vangelo e da Cristo: egli è
l’unico vero Signore.
Tra gli atteggiamenti che sono richiesti al presbitero per esercitare bene il ministero
della presidenza, a proposito della configurazione a Cristo capo, sembra particolarmente
importante quella disposizione del cuore che è adombrata nelle parole della prima Lettera di
Pietro: “Pascete il gregge che vi è affidato, non per forza, ma volentieri secondo Dio”.145
“Non per forza, ma volentieri”: si tratta di compiere 1’opera di presidenza senza farla pesare,
senza atteggiamenti da vittima o da martiri; di agire per e con amore, con gioia, con
misericordia e dolcezza; di agire e di presiedere in virtù e attraverso una forza che nasce
dall’interno, dall’obbedienza al comando di Cristo: presiedere non è una scelta del presbitero,
ma un mandato. È una missione da esercitare con gioia: “non per vile interesse, ma di buon
animo”.146 È la gioia e la serenità di spirito della persona umile che sa di essere mandata e che
si sente in dipendenza da Cristo per aiutare gli altri ad accoglierne la presidenza, il primato e
la signoria, e ad entrare in questa situazione di obbedienza a Cristo che trae fuori dalla propria
soggettività.147 L’agire "in persona Christi capitis" ha per il presbitero stesso sia per coloro ai
quali egli è inviato, una valenza di purificazione di quello spirito soggettivista che porta a
chiudersi in se stessi e a costruirsi una propria fede.
La conformità a Cristo capo esige, in particolare, da parte del presbitero una capacità a
stare con la gente, non sopra di essa, ma in mezzo ad essa: “Pascete il gregge di Dio (...) non
spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modello del gregge”. 148 Stare con
la gente significa anche portare i loro problemi assumendoli nella fede e nella speranza,
143
Gv 13, 2-16.
144
Lc 22, 25-27.
145
1Pt 5, 2.
146
1Pt 5, 3.
147
«...facendovi modello del gregge», 1Pt 5, 3.
148
1Pt 5, 2-3.
77
interpretandoli e facendo luce sul loro cammino. Stare con la gente è anche frutto di un amore
geloso come ha fatto S. Paolo con i Corinzi149; e genera una certa osmosi nella fede,
facilitando quella insostituibile evangelizzazione per osmosi di cui ha tanto bisogno la nostra
città secolare.
Presiedere nella comunità dei fedeli comporta anche la cura della capacità di ricevere
dalla gente: per il presbitero, oggi più che mai, si tratta anche di imparare ad essere aiutati da
coloro che si è chiamati ad aiutare; di imparare ad essere servito da coloro che si è chiamati a
servire. Per il legame tra missione ed Eucaristia la configurazione a Cristo capo richiede una
profonda sapienza celebrativa nella Liturgia. L’agire "in persona Christi capitis" comporta
l’accettazione "cordiale" del livello istituzionale-giuridico dell’ordinamento liturgico. Per
questo mai sufficientemente sarà indicata come necessaria un’educazione affettiva positiva al
senso della dimensione istituzionale della chiesa.150
La presidenza del presbitero in seno alla comunità presuppone una passione per l’unità
e per la comunione. Essa gli è da Cristo affidata non solo per custodire e propagare la verità,
ma anche e soprattutto per promuovere sempre più l’unità.151 Presiedere in ordine all’unità è
radicalmente per il presbitero, come è stato ed è per Cristo, presiedere nella, per la e alla
carità. Per questo la configurazione a Cristo capo, pastore e sposo esige la carità pastorale.
Per mettere in atto queste disposizioni e attitudini spirituali interiori ci vuole, prima di
tutto ascesi e preghiera, non solo previe, ma anche concomitanti. Per collaborare alla grazia
del sacramento dell’ordine e all’azione dello Spirito che ci vuole configurare a Cristo pastore,
capo e sposo, oltre la pratica quotidiana dell’Eucaristia e quella frequente del Sacramento
della Riconciliazione, è soprattutto necessaria la preghiera di contemplazione evangelica, cioè
meditare e contemplare il volto di Gesù quale ci è rivelato nei santi Vangeli, rivivendo i
misteri mettendoci nei panni dei suoi discepoli e ancor più in Gesù stesso.152
3.3. Formare
Secondo Amedeo Cencini "formare" significa “proporre una forma, un modo di essere,
nel quale il giovane possa riconoscere la sua identità e vocazione”. 153 Per dire semplicemente,
149
Cfr. 2Cor 11, 1.
150
Cfr. COSTA M., Tra identità e formazione, pp. 99-101.
151
Cfr. Gv 17.
152
Cfr. COSTA M., Tra identità e formazione, pp. 101-102.
153
CENCINI A., «Formazione», in CENTRO INTERNAZIONE VOCAZIONALE ROGATE (a cura
di), Dizionario di Pastorale Vocazionale, Roma, Rogate, 2002, p. 524.
77
significa formare secondo il cuore di Cristo e fare tutto perché i giovani in formazione ed, in
generale, i preti, assumano la forma di Cristo pastore. Per formazione spirituale intendiamo
strettamente la formazione alla vita interiore, anzi la formazione alla vita interiore praticata
nel campo della scelta sacerdotale. Questo campo può essere quello dell’avviamento al
sacerdozio o quello della formazione permanente.
Con la formazione spirituale, la Chiesa non intende facilitare la vita apostolica dei
sacerdoti, quanto piuttosto adeguarla alla bellezza della loro vocazione e della loro missione,
la quale reclama la donazione totale e l’esclusivo orientamento della vita a Dio ed alle anime.
La formazione spirituale consiste nel formare la persona alla sfida di assumere una
vita completamente nuova, aperta allo Spirito del Signore, che si comunica mediante il Suo
Spirito Santo e ci permette di conformarci a Cristo, come Capo, Pastore e Sposo della Chiesa.
Si tratta di formare l’uomo nuovo con un atteggiamento centrale, che consiste nella
contemplazione attenta e continuata della vita e missione di Gesù ed il modo come Lui l’ha
vissuta a beneficia dei fratelli. Uno degli obiettivi fondamentali di questa formazione consiste
nel vivere il nostro inseguire con il desiderio di riprodurre autenticamente in noi i sentimenti
di Gesù e di fare e dire le stesse cose che Lui disse e fece. Crediamo che il primato di tutta la
formazione sia unicamente quello della grazia che “è opera dello Spirito ed impegna la
persona nella sua totalità. Introduce nella comunione profonda con Gesù Cristo, buon Pastore,
conduce ad una sottomissione di tutta la vita allo Spirito, in un atteggiamento filiale nei
confronti del Padre ed in un attaccamento fiducioso alla Chiesa. Essa si radica nell’esperienza
della croce per poter introdurre, in una comunione profonda, alla totalità del mistero
pasquale”.154 Di qui la convinzione della Chiesa che “la formazione spirituale costituisce il
cuore che unifica e vivifica il suo essere prete ed il suo fare il prete”.155
La sfida del sacerdote, come quella di ogni cristiano, è formare ed imparare dal Padre,
che è amore e che comunica la vita. La sfida della formazione spirituale è preparare a
realizzare il progetto del Padre sullo stile di Gesù. Questo e quello che dobbiamo fare come
suoi discepoli: ci realizzeremo come figli di Dio, saremo cristiani, amando come Gesù, che è
l’unica via che bisogna percorrere. Il sacerdote imparerà soprattutto il senso vero dell’amore,
che consiste nel dare la vita, a coloro che non hanno la vita. Consegnando la vita per i fratelli
è l’unica via con cui realizzeremo il progetto del Padre come Gesù. È così che la formazione
spirituale implica assumere la conformazione con Cristo come qualcosa di dinamico, in
154
PDV, n. 45.
155
Ibid..
77
un’attività costante,in una disponibilità continua a lasciarsi portare dallo Spirito di Dio, che è
amore ed è consegna incondizionata. Formarsi spiritualmente implica, anche, rinunciare ad
ogni ambizione ed ideale di potere, forza e gloria umana. È ascoltare la voce di Dio,
avvicinarsi a Colui che è la via, la verità e la vita. È averlo come unico ideale davvero
possibile da raggiungere. È aspirare a conoscerlo come l’unico modello, che può orientare la
nostra vita, come è, ed in sintesi, identificarsi pienamente e progressivamente con Lui, che è il
Figlio, l’inviato del Padre, l’unico e sommo sacerdote.
Formare spiritualmente significa mettere la nostra speranza solo nel Signore. Una
formazione spirituale adeguata ai nostri tempi deve sottolineare una vita intensa di preghiera
come “la prima e fondamentale forma di risposta alla Parola..., che costituisce senz’alcun
dubbio un valore ed un’esigenza primaria della formazione spirituale”.156 Il sacerdote deve
essere formato come maestro di preghiera, “un aspetto non certo secondario della missione
del sacerdote è quello di essere “educatore di preghiera”. Ma solo se il sacerdote è stato
formato e continua a formarsi alla scuola di Gesù orante, potrà formare gli altri a questa stessa
scuola. Questo chiedono gli uomini al sacerdote: “Il sacerdote è l’uomo di Dio”, colui che
appartiene a Dio e fa pensare a Dio”.157 In una società del rumore, della fretta, dell’attivismo,
il sacerdote deve essere formato in un silenzio esterno, che può favorire il silenzio interno e,
pertanto, la contemplazione, la meditazione e il discernimento.158 La preghiera ed il silenzio
sono le migliori vie, che possono portare il seminarista ed il sacerdote a cercare l’Eucaristia
come il centro della propria vita e del proprio ministero ed il vertice della preghiera cristiana.
Nessuna altra attività deve stare al di sopra della celebrazione, che deve essere sempre il
momento più importante della giornata.159 Anche se ai nostri giorni, il sacramento della
riconciliazione non è del tutto stimato – e forse proprio per questo – la formazione spirituale
deve insistere nel suo valore ed urgente necessità. Così ci indica il Magistero della Chiesa: “In
una cultura che, con rinnovate e più sottili forme di autogiustificazione, rischia di perdere
fatalmente il “senso del peccato” e, di conseguenza, la gioia consolante della richiesta di
perdono e dell’incontro con Dio “ricco di misericordia”, urge educare i futuri presbiteri alla
virtù della penitenza, che è sapientemente alimentata dalla Chiesa nelle sue celebrazioni e nei
tempi dell’anno liturgico e che trova la sua pienezza nel Sacramento della Riconciliazione”.160
156
PDV, n. 47,4.
157
PDV, n. 47,4.
158
PDV, n. 47,5.
159
PDV, n. 48,3.
160
PDV, n. 48,4.
77
In una società come la nostra, dove, insieme alla perdita del senso del peccato, si vive
un individualismo feroce, è conveniente, inoltre, formare nella disponibilità alla consegna
della propria vita. Il sacerdote di oggi deve considerare che è chiamato ad avvicinarsi alla
povertà, alla generosità, all’umiltà ed al servizio come lo ha fatto il samaritano della parabola
evangelica. Il sacerdote deve prepararsi addirittura per essere vicino al dolore, alla malattia e
alla morte. Allo stesso modo di Cristo, che si spogliò liberamente della sua condizione divina
per essere servo, e non temere il contatto col lebbroso, i peccatori, le donne o i bambini. La
formazione spirituale deve creare un sacerdote secondo lo stile di Gesù, perché: “infatti, non
abbiamo un sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato Lui stesso
provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” o “perciò doveva rendersi in
tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose
che riguardano Dio allo scopo di espiare i peccati del popolo”.161
È vero che in una società come la nostra non è facile assumere e vivere con allegria
una chiara identità sacerdotale. Tuttavia, questa è precisamente la nostra principale sfida. In
mezzo a situazioni di oscurità, ed addirittura di morte, i sacerdoti sono chiamati ad essere
segni di luce e di speranza. Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote, ci invita ad essere
precisamente fermento di una vita nuova, perché le ombre ci avvolgono e, molte volte, ci
fanno vedere la realtà differente, senza Dio. Non bisogna temere di domandarci che cosa
161
Eb 4,15; 2,17.
162
PDV, n. 48,4.
77
pensa la gente di noi, allo stesso modo in cui Gesù domanda ai suoi discepoli: “Chi dice la
gente che io sia?”.163 In questa domanda Gesù ci pone l’importanza di una formazione, che
assicura la questione dell’identità come tutto quello che caratterizza ciascuno di noi come
individuo singolo ed inconfondibile. Ciò che impedisce gli altri di scambiarci per qualcun
altro.
163
Mc 8,27; Mt 16,13; Lc 9,18.
164
Lc 2,51.
165
RAVAGLIOLI A. M., Psicologia, Bologna, EDB, 2006, pp. 169-174.
166
Fil 2,5-8.
77
speranza trasformata dall’unica certezza reale, che possiamo avere nella vita sacerdotale: se
siamo stati discepoli dell’unico Signore, alla fine della nostra missione, troveremo la croce
come Lui, e come Lui resusciteremo ad una vita piena in Lui.167
CAPITOLO III
Nei nostri giorni, perché qualcosa funzioni, è necessario pianificare. Allo stesso modo
possiamo asserire per la vita spirituale: perché non fermarci a fare un piano per la vita dello
spirito? Diversamente ci sarebbe anarchia, sforzi inutili, disorientamento, abbattimento. Per
fare un piano si deve avere una meta chiara insieme ai migliori mezzi per raggiungerla.
C’è grande confusione nel definire quale sia la meta della vita spirituale: in genere
sono idee incerte e confuse. La vera meta è essere Cristo. Per convincerci che dobbiamo
essere Cristo devono essere sufficienti le parole di san Paolo: “quelli che egli da sempre ha
conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm
8,29); “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”
(Gal 2,20).168
E se la vita come progetto è la configurazione con Cristo, sappiamo che soltanto Dio è
colui che conosce il nostro cammino perché è Lui che ci ha creato, è Lui che sin dal principio
167
GONZÁLEZ MAGAÑA J. E., «La formazione spirituale: il cuore che unifica e vivifica l’essere
prete», in Spiritualità e teologia,SZENTMÁRTONI M. e PIERI F. (a cura di), Roma, Gregorian &
Biblical Press, 2010, pp. 125-147.
168
Cfr. ASENCIO J., Espíritu, México, Escuela de la Cruz, 1989, p. 52.
77
ha avuto un progetto per la nostra vita. È questo progetto che mi offre la opportunità di
verificare la direzione della mia vita e di confrontarla e conformarla con quella di Cristo.
Natura
Il P.P.V. è volontà di autenticità. Chi fa un progetto esprime quello che vuole fare con
la propria vita. La risposta all’appello che Dio ci ha fatto, il vivere con radicalità la nostra
vocazione, è l’impegno più importante della nostra vita, per questo non si può improvvisare in
un punto tanto decisivo, non si può trascurare quello che dovrebbe essere il nostro impegno
più determinante nella nostra vita. “Il progetto di vita si configura come un “senso per la
vita” che offre luce e direzione alle varie scelte, unifica la vita quotidiana rendendola
significativa in ordine a quel significato globale».169
BERNARDINI M., Giovani e progetto di vita, Leumann, Elle Di Ci, 986, p. 16.
169
BRESCIANI C., «Il “progetto di vita” secondo la visione cristiana e la cultura consumistica», in
170
77
Un progetto deve considerare l’elemento importantissimo del mistero della
Incarnazione perché dal punto di vista pedagogico, si deve comprendere che la nostra umanità
è il luogo epifanico della divinità, cioè, la nostra umanità, il nostro corpo, la nostra psiche, la
nostra affettività e tutta la nostra persona sono il luogo della piena manifestazione di nostro
Signore Gesù Cristo, per questo senza cadere nel rischio di sottolineare troppo l’umanità ma
neppure fare una spiritualizzazione dimenticando l’umanità. Il formatore ed il formando
debbono avere chiaro questa esperienza per scoprire che più ci si incontra con Cristo, più si
scoprirà la propria umanità. È per questo che vivere in questo modo il mistero della
Incarnazione, è in fondo la più grande difficoltà, nel senso di trovare l’equilibrio per poter fare
un P.P.V. dove si cerca la unità senza confusione e la distinzione senza separazione.
Finalità
Prima di tutto si deve dire che un progetto di vita serve per avere una certa padronanza
di se stessi. Ognuno di noi deve cercare di essere protagonista della propria esistenza, deve
cercare di conoscersi, possedere la propria identità. “Il fattore che contribuisce maggiormente
a dare un senso alla propria vita è, senza dubbio, il progetto di vita, il quale non è qualcosa di
già fatto, ma è qualcosa che si delinea poco alla volta. Naturalmente, non si parte mai di zero,
poiché esso poggia sul concetto che la persona ha di sé, cioè su quello che essa pensa di se
stessa”.171
c) Infine, costituisce per la persona che lo vive un principio de autonomia e libertà interiore,
e insieme un impegno alla sua realizzazione, nella fedeltà alle proprie capacità e alla
situazione fisica, sociale ed esistenziale in cui la persona si trova.
171
BERNARDINI M., Giovani e progetto di vita, Leumann, Elle Di Ci, 1986, p. 23.
77
La funzione più rilevante di un progetto di vita la possiamo cogliere nel momento in
cui la persona si trova di fronte a delle scelte. Di fatto, chi ha un progetto di vita non fa le sue
scelte a caso, specialmente se importanti, ma le mette a confronto con esso, le vaglia, e sceglie
quelle che sono corrispondenti al proprio progetto.
Dopo aver ponderato gli elementi teorici del P.P.V., é importante concentrarsi sugli
elementi concreti per poter mettere in pratica tale piano, che a questo punto possiamo
chiamare programma di vita.173
Insieme agli obiettivi e a tutti i passi metodologici di un P.P.V., devono essere tenuti
presenti i parametri che guidano l’elaborazione concreta del suddetto progetto. Attingendo
dalla proposta della Conferenza Episcopale Italiana174 sulla formazione dei presbiteri
presentiamo i seguenti spunti:
172
Ibid., p. 24.
173
Dice Juan Mari Ilarduia che “il progetto personale e il piano di vita annuale (o programmazione di
vita) no sono del tutto identici, né interscambiabili, ma complementari. Il progetto personale nasce,
prima di tutto, dalla conoscenza di sé, dal discernimiento nell´interioritá della persona e da una lettura
lucida e riconciliata de la propia storia umana e cristiana. Esso cerca di illuminare quello o quei punti
fondamentali nei quali ci troviamo bloccati o disorientati rispetto alla nostra crescita vocazionale....il
priano di vita o programmazione applica queste illuminazione all´esperienza: cerca di ordinare la
globalitá dell´esistenza tracciando una strategia di obiettivi e mediazioni nati alla luce di quel
discernimento che resta il punto nodale”, in ILARDUIA J. M., Il progetto personale. Ricerca di
autenticitá, Bologna, EDB, 2003, pp. 32-33.
174
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, « La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana.
Orientamenti e norme per i seminari”, in Notiziario della C.E.I., 10 (15 novembre 2006), n. 79, pp.
137-138.
77
1) Un’esperienza di fede viva, motivata e personalizzata:
– Il motivo dominante
3) La maturità spirituale:
– Iniziale fedeltà alla vita di preghiera: ascolto della Parola di Dio, partecipazione
quotidiana all’Eucaristia, recita di una parte della Liturgia delle ore (Lodi, Vespri,
Compieta), esercizio dell’esame di coscienza e assiduità al sacramento della
Riconciliazione
4) La maturità umana:
– Sufficiente conoscenza di sé
77
– Accettazione sostanzialmente serena degli aspetti positivi e negativi della
propria persona
– Buone prospettive per quanto riguarda le virtù umane: senso della giustizia,
fedeltà alla parola data, amore per la verità, rispetto per la persona, coerenza,
equilibrio di giudizio e di comportamento, ecc.
5) La maturità intellettuale:
6) La formazione pastorale:
77
– Sufficiente determinazione della figura del presbitero diocesano
A partire da questi parametri, e di altri che i formatori possono fornire a seconda della
propria realtà formativa (Paese, cultura, comunità religiosa, seminario diocesano), vediamo i
passi per fare un P.P.V.
175
Cfr. ILARDUIA J. M., Il progetto personale, pp. 97-105.
77
Discernere é valutare la vita sulla base dei criteri del Vangelo per vedere ciò che passa e ciò
che non passa. Il discernimento é quell’esercizio nello Spirito per cui una persona o un gruppo
si sforza di conoscere la volontà di Dio davanti a una situazione nella quale si devono
prendere delle decisioni. In questo esercizio si analizzano i pro e i contro di una data cosa o da
interessi narcisisti o analisi e calcoli puramente umani.
In ultima istanza, l’oggetto del “progetto persona” é scoprire qual é questa difficoltà centrale,
questa ignoranza o trappola consciamente o inconsciamente autorizzata con la quale non
desideriamo confrontarci e che blocca la nostra crescita personale e lo sviluppo della nostra
vocazione. Se non ci spingiamo fino a questo livello, il progetto personale non sarà altro che
un fervorino momentaneo e passeggero.
Dato che questo modo di intendere il progetto presuppone che si discenda nelle
profondità oscure di se stessi, ognuno deve conoscere la vertigine che di solito produce
quest’avventura. In sostanza, le persone che hanno la tendenza ad angosciarsi o ad essere
ossessive, nello stabilire il progetto personale devono sapere che bisogna passare per un
processo lento e sofferto.
77
Tale processo é quello della autoconoscenza. Ciò significa avere il coraggio di
guardarmi dentro e dirmi serenamente chi sono. É la capacità di arrivare a vederci in
profondità, la disponibilità alla conversione, la forza delle motivazioni umano-teologali,
l’autostima o la mancanza di essa, le dimensioni bloccate della personalità, le inconsistenze
psicologiche, la fiducia in Dio e nei fratelli. Il segreto del progetto é affrontare questi temi con
autenticità e in profondità.
Conoscere se stessi a questo livello richiede tempo e non é importante essere abituati a
indagare le proprie profondità. Chi non lo é dovrà prendersi tempo sufficiente per l’analisi
delle proprie realtà e dei propri processi. É opportuno che si dia una continuità a questa
analisi: si possono dedicare due momenti alla settimana e cercare di mettere per iscritto nel
quaderno il risultato. Con il tempo si vedrà l’illuminazione.
Da questa indagine del proprio mondo interiore occorre selezionare quel problema
centrale, quella scoperta di fondo e concreta che si avvicina di più alla nostra verità. É la
autoconoscenza e il discernimento che porta a definire questo problema centrale con la
massima chiarezza per cercare di leggere la nostra vita alla luce di esso e per vedere come
siano condizionate tutte le nostre dimensioni: umana, spirituale, di relazione, di missione.
Una volta identificato il tema centrale, ovvero la parte piú impegnativa del progetto
personale, si tratta di dare una forma orgánica a questo discernimento, applicando una
semplice metodologia che, come in tutti i progetti, consta nel suo insieme delle seguenti parti:
1) Compiere l’analisi della situazione, 2) Determinare la priorità o il tema centrale, 3)
Definire gli obiettivi generali, 4) Definire gli obiettivi specifici, 5) Indicare le attività, i tempi
e i luoghi della loro realizzazione, 6) Indicare le persone alle quali chiedere aiuto, 7) Fissare la
data per la valutazione, 8) Mettere per iscritto il progetto in modo chiaro e semplici.
77
la priorità. Del primo selezioneremo due o tre degli aspetti positivi e negativi più importanti
per definirlo con precisione. In un secondo momento si può rileggere o paragonare i risultati
che emergono dalle altre aree alla luce del tema centrale o priorità. Si può constatare
l’influenza del tema centrale nelle diverse aree.
Una volta fatta l’analisi della realtà, il passo seguente é cercare di vedere con realismo
e senza sterili sforzi di volontà dove é necessario andare e che cosa ci suggerisca lo Spirito.
Non si tratta di forzare i processi, né niente altro, ma di aprirci pazientemente a ciò che ci
chiedono la vita stessa e lo Spirito rinnovatore. Gli obiettivi generali ci indicano la direzione
verso la quale dobbiamo avanzare: per esempio, migliorare la nostra autoconoscenza, la
nostra relazione di fiducia con Dio, illuminare una determinata inconsistenza psicologica
abituale che abbiamo scoperto nella nostra vita, migliorare le relazione umane, dedicarci di
più alla missione, dare maggiore significato alla nostra vita. Si tratta di fondare il progetto
nell’autoconoscenza per non cadere in percorsi ingannevoli.
3) Obiettivi specifici
Una volta fatta l’analisi della propria realtà e definiti il tema centrale (o priorità) e gli
obiettivi generali a partire dalle proprie motivazioni, si tratta di determinare gli obiettivi
specifici e le mediazioni, per finire di tracciare il cammino concreto e per avanzare verso la
verità che si rivela nello Spirito. Gli obiettivi specifici devono rispondere direttamente al
problema che si é visto nell’analisi della situazione. Questi obiettivi devono essere quanto più
possibile realistici, pratici, concreti, verificabili e ben definiti. Non si tratta, qui, di tornare a
enunciare i grandi ideali della vita: seguire Gesú con fedeltà oppure recuperare la dimensione
contemplativa. Si tratta piuttosto di rispondere al problema centrale emerso nell’analisi della
situazione attraverso pochi obiettivi molto concreti e ben definiti. La differenza tra un
obiettivo generale e un obiettivo specifico é che mentre un obiettivo generale si riferisce a
desideri generali, ad atteggiamenti, a valori essenziali o direttrici della vita difficilmente
valutabili in se, gli obiettivi specifici si riferiscono agli aspetti concreti della vita sui quali si
potrà poi stabilire se si é progredito o no, se si é lavorato o no.
4) Attività o mediazione
77
Le mediazioni sono quei mezzi o quel cammino concreto che io traccio per passare
dalla situazione nella quale sono alla situazione che io desidero raggiungere. Il discernimento
delle mediazioni suppone che io abbia una chiara coscienza del problema che sto vivendo e
dell’obiettivo specifico o nuova situazione che mi propongo di raggiungere, vale a dire
suppone il discernimento precedente. Le mediazioni si illuminano con la presa di coscienza
chiara di dove sono e dove voglio arrivare. Le attività devono essere funzionali per
raggiungere gli obiettivi proposti. In questa fase si dovrà aver cura di non cadere nello sforzo
di volontà perfezionista che non tiene conto della realtà, ne del conformismo che si accontenta
passivamente di quello che vive. Perciò queste mediazioni o attività devono essere concrete
(non desideri vaghi ma impegni molto concreti e precisi); realistiche (non mete troppo elevate
o difficili di raggiungere e da sostenere); verificabili ( valutare con facilità se si sta compiendo
o no ciò che ci si era proposto).
Questo é un passo legato al precedente. Si tratta di precisare ancor di più alcuni aspetti
che si riferiscono alle mediazioni o attività: bisogna assicurare a queste mediazioni un tempo
e un luogo concreti, che siano i più adeguati perché abbiamo le maggiori probabilità di
successo, in modo da poter praticare quell’attività scelta. Così posso decidere di studiare due
ore alla settimana il libro sulle immagini di Dio: il martedì e il venerdì, dalle 7 alle 8 della
sera. A volte, può essere importante decidere il luogo più idoneo che mi possa aiutare in
questo. A seconda dell’argomento potrò decidere la persona dalla quale intendo farmi
consigliare.
6) Valutazione
La valutazione é una parte essenziale del progetto. Tutto progetto che no si valuta, si
svaluta. Nel progetto si devono segnalare i tempi o le date concrete per le quali si deve
completare la valutazione e rimanervi fedeli. É importante scegliere un tempo adeguato e
sufficientemente ampio da dedicare alla valutazione: un giorno di ritiro oppure un giorno
libero. É meglio fare bene poche valutazioni che farne molte superficiali. Nel valutare il
progetto, considero la mia dinamica di crescita o di stasi, di coraggio o di abbattimento, di
costanza o di volubilità, e il calo delle mie motivazioni. La valutazione si deve focalizzare sul
tema principale. In primo luogo, bisogna valutare se si sono eseguite o no le mediazioni o
attività e come si sono eseguite: bene, male, discretamente. Se non sono eseguite, si deve
77
analizzare il perché. Bisogna analizzare gli obiettivi: se si sono raggiunti o no e in quale
misura. Per verificare se si é progrediti o no, é necessario tenere in considerazione uno spazio
di vita sufficientemente ampio. Questa proposta metodologica non é unica. Esistono molte
altre proposte. Ma prendiamo questa perché più semplice e organica. L’elaborazione di un
P.P.V. é un processo che dura tutta la vita ed é un’opera specifica dello Spirito Santo. Però le
mediazioni metodologiche non si devono disprezzare giacché lo Spirito agisce attraverso
queste mediazioni.
“La ragione principale di ogni progetto, sia esso comunitario o personale, non può
essere altra che la volontà di camminare nella verità, di prendere seriamente la propria vita: il
desiderio di vivere la propria volontà. E questo concetto, o si basa sulla propria libertà, o
l'invenzione non serve a nulla. I progetti non possono essere imposti. Il progetto è molto più
di un orario all'interno del quale viene ordinata la vita di una fraternità o di una persona, è
vivere in continua discernita ed in dinamica di crescita nello Spirito.
Vivere secondo il progetto, significa che le persone e il gruppo vogliono mettere in gioco la
propria volontà, le proprie dinamiche più intime, i propri atteggiamenti e le scelte più
autentiche. L'idea del progetto, soprattutto quello personale, implica la volontà di voler
arrivare a conoscersi e ad accettarsi così come si è e a discernere tra i fondi del proprio cuore:
chi sono e quali sono le mie capacità e i miei limiti; che opinione e che valutazione ho di me
stesso; su che cosa si fonda la mia vita; che cosa desidero davvero; che immagine vivo di Dio;
quali sono le trappole nelle quali, consapevolmente o inconsapevolmente, trincero il mio
narcisismo. Lì dove si mette in gioco la propria vita, sia il volontarismo sia l'autoritarismo
sono destinati al fallimento. La cultura attuale, con il suo enorme potere manipolatore, non ci
chiama a una maggiore definizione della nostra identità, ma bensì a vivere dispersi, decentrati
ed in uno stato provvisorio, permanente. Una vera identità vocazionale può mettere radici
soltanto quando cresce nella terra fertile delle proprie esperienze vissute, nei rapporti
77
interpersonali di qualità, nel proprio desiderio di verità e in esperienze di radicazione
consolidate nella linea della propria storia personale”.176
CONCLUSIONE
L’elaborato scritto del progetto personale di vita ha una sua importanza non solo per il
contenuto formativo, ma anche per il modo in cui questo contenuto è stato riflettuto, pensato e
condiviso in un gruppo di lavoro, mostrando cosi una buona partecipazione di tutti e una
buona volontà di operare tutti per la formazione dell’uomo chiamato da Dio a rispondere nella
sua vita e con la sua vita.
Abbiamo pensato di dare un contributo nostro, anche come frutto del nostro studio,
trattando un argomento molto importante come è il progetto personale di vita.
Nel primo capitolo abbiamo trattato della vita come dono di Dio che deve essere
vissuta in pienezza e come l’uomo è chiamato a saper mettere ordine per poter vivere in
maniera degna questo grande dono che Dio ci ha dato. La responsabilità e la libertà dell’uomo
nel rispondere al Signore per questo dono, diventa poi anche un compito che chiede una
organizzazione della vita stessa, in questo senso il progetto personale di vita vuol orientare
l’uomo nel dare una risposta libera e cosciente a Dio ed a vivere in pienezza la sua vita.
Nel secondo capitolo abbiamo cercato di capire come l’uomo nella sua vita può
diventare capace di rispondere alla chiamata del Signore facendo così della sua vita uno
scambio di doni. La vita come dono offerto dal Signore che ritorna al Signore come dono. È
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ILARDUIA J. M., El proyecto personal como voluntad de autenticidad, Vitoria-Gasteiz, Instituto
Teológico de Vida Religiosa, 1994, pp. 9-10.
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questa la vocazione sacerdotale che abbiamo sviluppato insieme con la responsabilità che
comporta, cioè la sua formazione integrale : umana, spirituale, intellettuale e pastorale. Tutto
questo per raggiungere la configurazione a Cristo Capo, Pastore e Sposo della Chiesa.
Alla fine rimane solo la condivisione della gioia e anche della fatica di questo lavoro,
però sempre contenti e arricchiti della diversità delle nostre persone e delle nostre capacità nel
lavorare come servi del Signore nel suo Regno, pregando Dio stesso che mandi operai santi
nella sua vigna.
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INDICE
INTRODUZIONE Pag. 2
CAPITOLO I
1.3. Il punto di vista della Chiesa sul dono della vita Pag. 7
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3.1.1. L’amore è al centro del progetto di vita cristiana Pag. 14
CAPITOLO II
1.1. Fondamenti, significato, attori e mezzi della formazione del presbitero Pag.
26
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2. Il contenuto della formazione sacerdotale Pag. 28
CAPITOLO III
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2.3. Parti metodologiche Pag. 64
CONCLUSIONE Pag. 68
BIBLIOGRAFIA Pag. 70
INDICE Pag. 75
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