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REGIONE PIEMONTE

Direzione Economia Montana e Foreste


Settore Idraulica Forestale e Tutela del Territorio

INDIRIZZI PER LA GESTIONE DEI BOSCHI RIPARI MONTANI E COLLINARI


DEL PIEMONTE

Torino, 1999
Realizzazione curata da I.P.L.A. S.p.A.

Coordinamento della ricerca, revisione del testo: Paolo Ferraris


Rilievi vegetazionali, inquadramento ecologico-dinamico: GianPaolo Mondino*
Rilievi vegetazionali, elaborazione dei dati, stesura del testo: Andrea Ebone*
Collaborazione ai rilievi di campagna: Giuseppe Bertetti
Rilievi di campagna: Paolo Camerano
Aspetti geomorfologici: Fabio Giannetti

* Collaboratori I.P.L.A. S.p.A.

Foto in copertina Foto-1 Torrente Ripa in Alta valle di Susa presso Cesana Torrente in piena (foto Ferraris)
INDICE

1. INTRODUZIONE. .................................................................................................................................................. 4
2. FUNZIONE MECCANICA. ................................................................................................................................... 6
3. FUNZIONE NATURALISTICO-AMBIENTALE. ................................................................................................ 9
3.1 La vegetazione ripariale come sorgente di nutrimento e sua importanza nel controllo del bilancio energetico del
corso d’acqua........................................................................................................................................................... 9
3.2 Influenza del bosco ripario sulla temperatura dell’acqua. ............................................................................... 10
3.3 Ruolo del bosco ripario nell’intercettazione e filtrazione degli inquinanti...................................................... 11
3.4 Condizionamento del bosco ripario sulla biodiversità dei popolamenti. ......................................................... 13
4. CRITERI GENERALI DI INTERVENTO. ................................................................................................................. 14
4. CRITERI GENERALI DI INTERVENTO. ................................................................................................................. 15
5. OPERAZIONI INOPPORTUNE. ......................................................................................................................... 24
6. CHIAVE DI IDENTIFICAZIONE DEI POPOLAMENTI RIPARI..................................................................... 26
7. SCHEDE DEI POPOLAMENTI RIPARI............................................................................................................. 28
7.1 Formazione lineare dell’Appennino calcareo. ................................................................................................. 28
7.2 Pioppeto di greto dell’Appennino.................................................................................................................... 29
7.3 Alneto di ontano bianco dell’Appennino calcareo. ......................................................................................... 31
7.4 Saliceto di salice bianco delle Langhe............................................................................................................. 33
7.5 Pineta di pino silvestre di greto delle Langhe.................................................................................................. 35
7.6 Pineta di greto alpino....................................................................................................................................... 37
7.7 Acero-tiglio frassineto di forra. ....................................................................................................................... 39
7.8 Alneto di ontano nero. ..................................................................................................................................... 41
7.9 Alneto di ontano bianco delle Alpi.................................................................................................................. 43
7.10 Formazione lineare delle Alpi. ...................................................................................................................... 45
7.11 Pioppeto delle valli alpine. ............................................................................................................................ 47
7.12 Saliceto arbustivo di greto Alpino e Appenninico......................................................................................... 49
7.13 Lariceto di greto. ........................................................................................................................................... 51
8. CONCLUSIONI.................................................................................................................................................... 53
9. ALLEGATI. .......................................................................................................................................................... 54
9.1. Elementi di riconoscimento delle specie. ....................................................................................................... 54
9.2 Caratteristiche biologiche delle specie. ........................................................................................................... 73
10. BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................... 85
1. INTRODUZIONE.

L’accrescimento della popolazione, l’urbanizzazione e l’aumento delle vie di comunicazione hanno


incrementato in modo considerevole l’impatto delle attività umane sul territorio, in particolare su quello
di origine alluvionale di fondovalle, delle zone collinari e montane dove per morfologia, localizzazione
e attitudini produttive, queste si sono concentrate.
Da una parte l’eliminazione, talvolta indiscriminata, delle formazioni legnose riparie per permettere
l’espansione dell’agricoltura di fondovalle ha contribuito a compromettere questi sistemi di paesaggio,
con la conseguenza di aumentare i fenomeni erosivi legati agli eventi alluvionali ed incrinare alcuni
delicati equilibri che regolano la dinamica fluviale; oggi d’altra parte il minor interesse attuale per la
produzione legnosa e riparia, oggi difficilmente collocabile sul mercato, ha generato negli ultimi
decenni l’abbandono delle utilizzazioni nei boschi ripari montani, spesso senza sostituirle con una
corretta gestione mirata a proteggere le sponde dall’erosione fluviale e a garantire il normale deflusso
delle acque.
Alla luce di una rinnovata volontà di meglio integrare gli interventi umani con il delicato ambiente
ripariale è stato riconosciuto al bosco anche un ruolo primario nell’ecologia e nella conservazione degli
ambienti fluviali: infatti la presenza o meno del bosco ripario è fondamentale per creare le condizioni di
vita adatte per molte specie animali acquatiche e terrestri. Infine appare ugualmente importante
sottolineare il peso che queste formazioni boschive possono acquisire nella valorizzazione del
paesaggio e nell’arricchimento del territorio.
In questo quadro generale, il presente documento intende facilitare il riconoscimento della vegetazione
riparia e sottolineare alcuni aspetti della gestione selvicolturale utili a migliorare le condizioni di
sicurezza idrogeologica dei corsi d’acqua montani e collinari.
Si sottolinea comunque che le proposte di gestione selvicolturale formulate nel presente documento
partono dal presupposto che, ogni 5-7 anni sia possibile, se ritenuto necessario, reintervenire sul
medesimo popolamento ripariale. Per garantire maggior sicurezza sarebbe in realtà necessario
verificare annualmente anche dopo ogni evento alluvionale il corso dei torrenti per capire se sono stati
alterati sensibilmente gli assetti spondali, cosa che può determinare la necessità di intervenire sulla
vegetazione ripariale. Tempi di ritorno degli interventi selvicolturali pari a 3-4 volte quello ipotizzato,
non permettono invece di adottare che in minima parte le indicazioni raccolte in questo documento.
La veste data a questo scritto permette di utilizzare la prima parte, cioè la relazione tecnica, per
un’informazione tecnicamente completa e scientificamente curata e la seconda, semplificata e di più
facile lettura, costituita dalle schede descrittive delle varie tipologie, per la formazione e
l’aggiornamento del personale impiegato negli interventi con particolare riferimento alle figure
professionali di capisquadra.
2. FUNZIONE MECCANICA.

Trascorsi gli anni in cui le operazioni di messa in sicurezza dei corsi d’acqua venivano per lo più
affidate ai sistemi di arginatura, senza tener nel dovuto conto il ruolo che poteva avere di volta in volta
il bosco ripario, oggi la vegetazione è considerata come strumento coadiuvante nel contenimento delle
acque in tutte quelle situazioni in cui l’argine non è strettamente necessario o la sua azione può essere
favorita da una fascia di vegetazione opportunamente gestita. Infatti, questa se presente lungo i corsi
d’acqua, può limitare gli effetti di un’onda di piena:
1. riducendo l’erosione spondale
2. rallentando la velocità della corrente
3. favorendo la deposizione del materiale fluitato (funzione filtro)
4. fungendo da serbatoio per lo stoccaggio temporaneo dell’acqua (limitato a fasce laterali di
territorio di una certa estensione) in aree che possono essere considerate delle “casse
d’espansione”.

Foto-2 Pineta di pino silvestre di greto lungo il Rio Fenils, tributario


della Dora Riparia (Alta Valle Susa). Il pino silvestre, dotato di un
profondo e robusto apparato radicale, è in grado di arrestare il
trasporto di massi anche di grandi dimensioni (foto Ferraris).

Un aspetto indubbiamente interessante, è l’effetto di questi popolamenti sulla protezione delle sponde
dall’erosione, legata all’abbassamento del letto dei corsi d’acqua talvolta indotto dall’estrazione degli
inerti e dagli interventi di rimodellazione degli alvei: le sponde, sempre più alte e scoscese, possono
venire a contatto, allo sbocco in pianura, con i campi arati e ai prati, aumentando il pericolo, in caso di
piene, di trasporto di materiali terrosi o ciottolosi da parte della corrente, con conseguente accumulo
più a valle di detriti in alveo e perdita di terre coltivabili.

Foto-3 Torrente Varaita. Apparato radicale di frassino maggiore, specie che presenta
una fitta rete di radici in grado di difendere egregiamente la sponda dall’erosione
(foto Ferraris).

Anche la sostituzione della vegetazione riparia naturale, messa in atto per consentire l’impianto di
arboreti specializzati (non solo in pianura ma anche nelle parti inferiori degli ampi fondovalle) ha, in
alcuni casi, innescato preoccupanti fenomeni erosivi: i pioppi ibridi, in particolare, sfavoriti
dall’apparato radicale superficiale, se esposti direttamente alla violenza delle acque possono venire
facilmente scalzati, creando i presupposti per nuovi processi erosivi e accumulo a valle del materiale
legnoso fluitato dalle piene.
Pertanto una gestione oculata della vegetazione riparia, orientata al mantenimento di un elevato grado
di stabilità del popolamento, può evitare buona parte dei problemi di gestione dei corsi d’acqua minori.
La stabilità viene soprattutto ottenuta dotando il bosco pluristratificata, con un sottobosco ricco di
specie arbustive e un piano arboreo composto da soggetti giovani poco rastremati1.

1
Nel linguaggio comune poco “filati”, ossia con un equilibrato rapporto tra diametro e altezza.
É comunque doveroso sottolineare che l’azione consolidatrice del bosco ripario può venire totalmente a
mancare nel caso di eventi del tutto eccezionali di piena in cui la corrente riesca ad erodere al piede il
versante o la sponda con conseguente scivolamento della vegetazione in alveo.
Durante gli eventi alluvionali il bosco ripario, qualora si estenda su superfici di un certo rilievo, svolge
l’importante funzione di rallentare l’ondata di piena e di ritardare il raggiungimento del suo massimo,
fungendo da bacino di espansione; pertanto, esso può divenire un serbatoio per lo stoccaggio delle
acque, trattenendone ingenti quantità e rilasciandole gradualmente in un secondo tempo, durante la fase
di abbassamento del livello di piena. L’effetto positivo è quello di regolare il deflusso ed attenuare
sensibilmente le brusche variazioni del livello delle acque.

Foto-4 Alneto di ontano bianco sul Torrente Varaita. Una fascia di vegetazione
sufficientemente densa e stratificata si pone come valido strumento nel rallentare la
velocità della corrente e nell’arrestare temporaneamente materiale vegetale fluitato
dall’alto (foto Ferraris).

Altro elemento estremamente importante è quello del contenimento della velocità della corrente: il
corso d’acqua, oltre che scorrere nell’asta principale, penetra anche nella zona golenale boscata
laterale, dove, grazie all’attrito offerto dai fusti degli alberi, ma soprattutto dagli arbusti, subisce un
sensibile rallentamento. Il temporaneo abbassamento della velocità favorisce anche la sedimentazione
dei materiali in sospensione.
3. FUNZIONE NATURALISTICO-AMBIENTALE.

Solo negli ultimi vent’anni è stato accettato il concetto di “river continuum” (Vanote et al. 1980) che
considera la struttura e il funzionamento dell’ecosistema acqua dipendente non solo dall’apporto di
materia organica attraverso il gradiente monte-valle ma anche dalle relazioni trasversali con la
vegetazione ripariale. Alla luce di queste considerazioni si è portati a ritenere l’acqua un sistema
aperto, strettamente legato alle formazioni boschive limitrofe, qualora esistano, con la quale si verifica
un flusso continuo di energia. La vegetazione ripariale, in particolare, condiziona la struttura, la
produttività e l’evoluzione degli ecosistemi, esercitando un controllo sull’ambiente “acqua” attraverso
differenti influenze:

1. Apporto di materiale organico, come risorsa di nutrimento per gli organismi acquatici e
condizionamento della biodiversità dei popolamenti acquatici.
2. Ombreggiamento, con riduzione del riscaldamento dell’acqua in estate.
3. Intercettazione e filtrazione delle sostanze inquinanti.

3.1 La vegetazione ripariale come sorgente di nutrimento e sua importanza nel controllo del
bilancio energetico del corso d’acqua.

I corsi d’acqua vengono generalmente divisi in due categorie in base alle sorgenti di energia dalle quali
ottengono la sostanza organica necessaria al loro bilancio energetico. Nella prima ricadono quelli
dipendenti dalla produzione autoctona rappresentata dalla vegetazione acquatica (alghe e macrofite2)
mentre nella seconda sono inclusi quelli che ricevono il nutrimento sotto forma di foglie e detriti
vegetali provenienti dalla vegetazione terrestre. Nel tratto montano, dove l’ombreggiamento degli
alberi, la velocità della corrente, la temperatura e l’oligotrofia delle acque concorrono ad impedire lo
sviluppo delle alghe, prevale il sistema eterotrofo (secondo caso). Scendendo verso valle aumenta
l’irraggiamento, a causa dell’ampliamento della superficie del corso d’acqua e il progressivo
distanziamento tra le chiome degli alberi, con il conseguente aumento della penetrazione della luce,
mentre l’apporto di sostanza organica esterna diminuisce così come le dimensioni dei detriti vegetali
trasportati dalla corrente. Si ha inoltre il rallentamento della corrente e l’abbassamento del livello

2
Piante cosiddette “superiori”.
dell’acqua con la deposizione di materiale, fatti che favoriscono l’ingresso della vegetazione acquatica;
le alghe diventano abbondanti mentre sulle rive radicano le macrofite. L’ecosistema acqua tende verso
l’autotrofia3.
Le comunità animali adattano la loro struttura e composizione ai cambiamenti che avvengono lungo il
gradiente longitudinale a causa delle variazioni di ossigenazione, temperatura e presenza di sostanza
organica nelle acque. Così diventano dominanti , nel tratto montano del corso d’acqua, gli invertebrati
che si cibano di sostanza organica composta da grandi particelle mentre verso valle aumentano gli
organismi consumatori di particelle fini, divenendo infine abbondanti nel tratto inferiore; nel tratto
medio i “brucatori” di alghe presentano il loro massimo sviluppo numerico.
L’ittiofauna segue un’evoluzione comparabile: si avranno gli insettivori (salmonidi) nel corso montano,
erbivori e carnivori nella parte media e i planctonofagi4 e limivori5 nel settore di valle in zone ormai
pianeggianti.
Risulta evidente l’importanza assunta dalla vegetazione ripariale nel bilancio trofico dell’idrosistema
ed appare altrettanto chiaro quanto possano essere devastanti le ripercussioni nel caso in cui esse
risultino mal gestite o addirittura assenti.

3.2 Influenza del bosco ripario sulla temperatura dell’acqua.

I boschi ripari, nei tratti montani, tendono ad acquisire una conformazione a “galleria”, ostacolando
l’ingresso della luce ed assumendo così una notevole importanza nella regolazione della temperatura
dell’acqua, specialmente nei tratti in cui la velocità della corrente è modesta. Numerosi sono gli studi
francesi che hanno evidenziato come la mancanza di copertura arborea sull’alveo sia responsabile di un
aumento del massimo termico annuale dell’acqua dell’ordine di 12° C.
Come confermato da alcune ricerche, gli eccessivi sbalzi di temperatura dovuti alla mancanza o alla
forte alterazione della vegetazione ripariale, determinano la scomparsa di alcuni invertebrati molto
sensibili (Plecotteri, Tricotteri e Efemerotteri), importanti nella catena alimentare della fauna ittica
(Berthelemy, 1973).

3
Situazione in cui il sistema riesce ad autoalimentarsi rendendosi indipendente dall’apporto di sostanze esterne.
4
Mangiatori di plancton.
5
Mangiatori di detriti fini di sostanza organica depositati sul fondo.
3.3 Ruolo del bosco ripario nell’intercettazione e filtrazione degli inquinanti.

Numerosi studi realizzati negli U.S.A. hanno evidenziato il ruolo determinante svolto dal bosco ripario
nel contenimento del processo di eutrofizzazione delle acque, dimostrandone l’elevata capacità di
filtrazione e depurazione dei nitrati e fosfati provenienti dalle attività antropiche.

Foto-5 Formazione lineare delle Alpi (Valle Varaita). Il rilascio


di alcuni polloni e soggetti ad alto fusto a ridosso del corso
d’acqua, nei tratti in cui esso non presenta pendenze e portate
notevoli, è importante per evitare sbalzi termici dannosi per la
catena alimentare (larve di insetti ecc.) che fanno capo alla
fauna ittica (foto Ferraris).
In particolare è emerso che una fascia boschiva di 20 m è in grado di asportare dalla falda superficiale
circa il 90% delle sostanze inquinanti (Peterjohn et Corell, 1984).
Analoghi studi francesi, partendo dal campionamento di 500 pozzi, situati nella valle della Garonna,
hanno sottolineato come una fascia boscata di 30 metri può essere sufficiente a depurare
completamente l’acqua dagli inquinanti di origine agricola (Pinay et Decamps, 1988).
3.4 Condizionamento del bosco ripario sulla biodiversità dei popolamenti.

Il bosco ripario è ormai riconosciuto da tutti come l’habitat ideale per un ampio spettro di specie
animali e vegetali in quanto caratterizzato da nicchie ecologiche estremamente diversificate a causa
della struttura dei sedimenti, della variabilità spaziale e temporale dell’idrosistema, della distribuzione
dei detriti e dello sviluppo della vegetazione acquatica. Esso è il luogo di sovrapposizione tra
l’ecosistema acqua e l’ecosistema terra; questa definizione corrisponde a quella di ecotono ovvero
luogo di transizione tra ecosistemi adiacenti di natura diversa. In quest’area sono presenti un numero ed
una densità di specie maggiore rispetto ai due ecosistemi separati. Risulta emblematico il risultato di
una ricerca realizzata in un tratto della valle del Rodano, a monte della città di Lione, in cui sono stati
censiti nell’alveo 118 specie di invertebrati contro i 170 trovati nell’ecotono spondale (Bournaud et
Cogèrino, 1986).
L’elemento che maggiormente concorre alla diversificazione dell’ambiente ripario è ovviamente
l’acqua, sia esercitando un’azione erosiva e di trasformazione continua, sia influenzando le fasce di
vegetazione mediante l’innalzamento e l’abbassamento della falda. Pertanto nelle aree maggiormente
interessate dai fenomeni meccanici saranno le specie pioniere erbacee (ad es. Typhoides arundinacea,
Agrostis stolonifera nei fondovalle collinari) e arbustive (prevalentemente salici) a prendere il
sopravvento mentre nelle aree meno disturbate si insedieranno le specie arboree, a carattere più o meno
igrofilo a seconda della loro collocazione rispetto al livello della falda.
I complessi fenomeni di successione dettati dalla dinamica fluviale sono riassumibili in 3 tipologie
(I.P.L.A.,1998):
1. Successione autogena. La dinamica del corso d’acqua non interviene ad influenzare la stazione. Si
assiste alla rinnovazione e allo sviluppo di altre latifoglie sotto la copertura o nelle chiarie dei
popolamenti ripariali costituiti specialmente da aggruppamenti di pioppo nero e salici bianchi al
riparo da eventi di piena stagionali per periodi decennali.
2. Successione allogena. La dinamica fluviale interviene in modo drastico a mutare le caratteristiche
stazionali (regressione o anticipazione). Si verifica la distruzione della vegetazione riparia con
ricostituzione delle fasi giovanili a struttura semplificata.
3. Successione auto-allogena. L’azione della dinamica fluviale interviene in modo moderato e
localizzato, modificando solo parzialmente la situazione preesistente.
Anche gli animali che vivono a stretto contatto con l’acqua traggono giovamento dalla diversità degli
ambienti ripari trovando luoghi idonei per nutrirsi, per trovare riparo e per completare il proprio ciclo
biologico (in particolare il fenomeno della nidificazione per l’ornitofauna acquatica).

4.

Foto-6 Greto del Po all’altezza di Martiniana. Fase


immediatamente successiva ad un evento di piena (primavera
2000) in cui la vegetazione arborea (pioppo nero) si afferma
prontamente sulle superfici di apporto sabbioso-ciottolose
(successione allogena) (foto Ferraris).
CRITERI GENERALI DI INTERVENTO.

Nelle pagine seguenti verranno fornite alcune indicazioni sui criteri da adottare durante le fasi di
intervento e sulle operazioni inopportune. Tali prescrizioni derivano: da esperienze maturate mediante i
rilievi sul campo e durante le fasi di ricerca bibliografica (Criteri generali di intervento, punti
2,4,5,6,7,8,10,11,14,15- Operazioni inopportune (cap. 5), punti 1,3,4,5,6), dall’acquisizione di norme
contenute nelle P.M.P.F. (Criteri generali di intervento, punti 3,9- Operazioni inopportune (cap.5),
punto 2), dagli indirizzi tecnici forniti dalla Circolare P.G.R. 8/EDE 15/5/1996 (Criteri generali di
intervento,punto 1) e dalla Circolare, 99 “Indirizzi tecnici proceduali in materia di manutenzioni
idraulico-forestali” (Criteri generali di intervento, punto 12), e dalle leggi dello stato in materia di
sicurezza sul lavoro (Criteri generali di intervento, punto 13).
Gli interventi selvicolturali sulla vegetazione riparia devono tenere conto di molteplici criteri tecnici ed
ecologici nell’ambito di disposizioni legislative specifiche.
1. Interventi (taglio e sgombero) da eseguirsi sulla vegetazione che è di impedimento al regolare
deflusso delle piene ricorrenti con periodo di ritorno orientativamente trentennale (Circolare
P.G.R. 8/EDE 15/5/1996)
2. Continuità di finanziamenti per la realizzazione di interventi periodici (ogni 5-7 anni)
É necessario intervenire con scadenze regolari e ravvicinate; gli interventi, ciclici e mirati, consentono
di dotare gradualmente il bosco della struttura e della stabilità necessaria ad espletare tutte le sue
funzioni, di eliminare tempestivamente le eventuali cause di accumulo di biomassa in alveo ( alberi
scalzati, tronchi morti ecc..), senza eccedere con l’intensità dei tagli troppo distanziati tra loro nel
tempo.
3. Realizzazione degli interventi nei periodi previsti dalle PMPF6 (art 5) per le utilizzazioni dei
cedui, evitando di arrecare disturbo all’avifauna e all’ittiofauna durante le fasi di
riproduzione
Compatibilmente con il regime idrologico locale (evitare i periodi di piena statisticamente accertati) e
con le condizioni meteorologiche (neve, ghiaccio), le operazioni di gestione devono essere eseguite il
più lontano possibile dai periodi di deposizione delle uova dei pesci (novembre) e di nidificazione degli
uccelli (aprile- maggio).
4. Pianificazione degli interventi mediante sopralluoghi preliminari effettuati da personale
qualificato (le piante da abbattere devono essere martellate o segnate in modo indelebile)

6
Prescrizioni di Massima di Polizia Forestale
La delicatezza degli interventi e la fragilità dell’ecosistema ripariale richiedono, per la realizzazione dei
piani d’intervento, l’impiego di personale specializzato. L’applicazione delle misure di gestione allo
specifico caso deve essere preliminarmente valutata dal personale tecnico il quale evidenzierà sul
campo, con segno indelebile, i soggetti che dovranno essere eliminati.
5. I progetti di massima dovranno prevedere interventi differenziati per ogni settore del corso
d’acqua (letto maggiore, letto minore, casse di espansione)
In fase di progettazione si pianificheranno interventi differenziati in ognuno di questi tre settori
eventualmente presenti. In modo particolare nell’alveo principale, in cui la vegetazione viene
interessata con maggior frequenza dalle piene stagionali, dovrà essere garantito il regolare deflusso
delle acque rimuovendo la vegetazione che ne è di impedimento, con tagli frequenti e relativamente
intensi. Gli interventi nel letto secondario saranno più distanziati nel tempo (all’incirca ogni 10 anni) e
limitati all’asportazione della vegetazione arborea eventualmente cresciuta nell’alveo al fine di
preservarne la funzionalità impedendo ulteriori divagazioni del corso d’acqua; infine, per quanto
riguarda le casse di espansione, si consiglia di destinarle alla libera evoluzione della vegetazione.
6. Nei tratti a monte dei centri abitati e delle infrastrutture (ponti, captazioni d’acqua irrigua
ecc.), devono prevalere gli interventi volti ad eliminare i potenziali pericoli per la stabilità
spondale derivanti dalla vegetazione (eliminazione dei detriti vegetali, alberi piegati ed alberi
di grandi dimensioni erosi al piede dalla corrente)
I settori dei corsi d’acqua a monte dei centri abitati e delle infrastrutture devono essere gestiti con
estrema attenzione privilegiando gli interventi finalizzati ad ottimizzare la funzione meccanica; si
procederà adottando misure preventive (abbattimento dei soggetti in precarie condizioni di stabilità,
stramaturi, con evidenti segni di deperimento, scalzati al piede, ecc.) e misure curative (eliminazione
sistematica dei detriti accumulati in alveo).
Foto-7 Torrente Gesso tra Andonno e Valdieri. Durante gli eventi alluvionali vengono
fluitati grandi quantità di legname che vengono depositati lungo il greto. Tali cataste se
presenti a monte di infrastrutture (ponti, prese d’acqua, ecc..,) devono essere
prontamente asportate (foto Ebone).

7. Effettuazione di interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante
L’estrema fragilità delle cenosi riparie impone l’esecuzione di interventi leggeri, ragionati e
commisurati in base alla densità e struttura del popolamento. Si dovranno privilegiare i tagli a scelta
rispetto ai tagli sistematici e, qualora l’esiguità della superficie boscata lo renda consigliabile, destinare
temporaneamente tali cenosi alla libera evoluzione.
Foto-8 Acero-tiglio-frassineto di impluvio laterale della valle Angrogna (Val
Pellice). Un intervento troppo intenso a carico del piano dominante sui pendii
ha causato lo schianto o l’incurvamento (a sinistra) di numerosi soggetti;
l’isolamento improvviso di individui filati, cresciuti in un popolamento fitto, in
concorrenza con le piante limitrofe, ne ha causato l’instabilità favorendo, in
occasione di eventi meteorici di una certa intensità, la possibile caduta di fusti
in alveo (foto Ferraris).
8. Gestione degli interventi in modo da conferire al popolamento una struttura densa,
irregolare e con la maggiore biodiversità possibile
La necessità di conservare un popolamento denso(1000-1200 p/ha), ma non chiuso, in modo da
consentire la presenza di un ricco strato arbustivo e pluristratificato nelle aree golenali, è giustificata
dal ruolo che il bosco ripario può svolgere nel rallentare la velocità della corrente dissipando l’energia
del corso d’acqua; la stratificazione verticale della vegetazione consente di avere un freno ad ogni
livello raggiunto dalla piena.
9. Adozione delle buone pratiche di utilizzazione, secondo quanto previsto dalle PMPF per
l’abbattimento dei cedui (art. 50 e segg.)
10. Utilizzazione della trazione animale, ove possibile e necessario, da privilegiare nelle
operazioni di esbosco
Questa è consigliabile in quanto permette di operare in spazi ristretti, non necessita di allestire accessi
specifici e limita al minimo l’impatto sull’ambiente circostante; consente inoltre di intervenire in
presenza di acqua e in terreni ancora saturi.
11. Adozione come struttura finale, ove necessario, il regime a ceduo per le specie idonee7
Nella fascia posta a diretto contatto con il corso d’acqua, il trattamento preferibile da applicare è quello
a ceduo; i motivi principali per cui si è propensi ad utilizzare tale governo è la possibilità di ottenere
soggetti con una maggior vigoria (almeno nel breve periodo), con maggior velocità di crescita, un più
rapido sviluppo dell’apparato radicale e una maggiore stabilità a causa di un minor sviluppo in altezza e
quindi minor peso. Il taglio di utilizzazione deve prevedere il rilascio di almeno un pollone, scelto
come tirasucchio tra quelli meno sviluppati, per evitare l’esaurimento delle ceppaie.
Viceversa, nel margine più elevato dove la corrente influisce con minore impatto e soprattutto
frequenza, è possibile il governo ad alto fusto rado; si consiglia a tal proposito di favorire le latifoglie
nobili per la produzione di legname di pregio (querce, tigli, ciliegio, frassino, olmo montano e aceri).

7
Da evitare per pioppi, salici, oltre i 15 anni di età, salicone e acero di monte di grandi dimensioni.
Foto-9 Corso d’acqua secondario in Valle Grande (Val
Vermenagna). Esempio di intervento equilibrato in cui si è ceduato
a raso solo la fascia prossima al corso d’acqua, preservando in
quella superiore numerosi polloni e soggetti ad alto fusto (foto
Ferraris).
12. Accastatamento immediato del legname di risulta dei tagli in luoghi sicuri “non raggiungibili
dagli eventi di piena straordinaria calcolata con tempi di ritorno pari a 200 anni” (Regione
Piemonte, 1999 “Indirizzi tecnici procedurali in materia di manutenzioni idraulico-forestali”).

Foto-11 Val Grande (Val Vermenagna). Cataste di legname derivato


dall’utilizzazione posto a distanza di sicurezza dal corso d’acqua. Nel caso
in cui non sia possibile allontanare immediatamente il legname derivato
dall’intervento, risulta estremamente importante accatastarlo in un luogo
che non sia raggiungibile dalle acque in caso di piena (foto Ferraris).
13. Adozione delle norme inerenti la sicurezza nei cantieri
Le utilizzazioni in ambito ripario possono richiedere l’esecuzione di operazioni difficili e pericolose.
Le difficoltà maggiori sono dovute alla pendenza delle sponde, alla presenza di acqua, ai substrati
cedevoli e all’ubicazione dei fusti in luoghi spesso poco accessibili. Pertanto è indispensabile adottare
tutte le precauzioni previste dalle leggi in materia di sicurezza della mano d’opera: dall’utilizzo delle
protezioni individuali (caschi, tute antitaglio, guanti e calzature rinforzate), all’organizzazione del
cantiere (supervisione costante da parte di un responsabile, divisione dei compiti secondo le capacità e
rispetto delle distanze di sicurezza durante le fasi di abbattimento).
14. Eliminazione graduale delle specie esotiche al fine di favorire le specie locali
Si dovrà procedere, se possibile, alla rinaturalizzazione delle cenosi riparie eliminando gradualmente le
specie esotiche (robinia, buddleja, reynoutria, ecc.) in favore di quelle locali. Inizialmente si potrà
sfruttare la naturale tendenza di alcune di queste specie a colonizzare e consolidare rapidamente le zone
denudate, per operare , in un secondo tempo, un taglio selettivo per favorire l’ingresso e lo sviluppo
della vegetazione autoctona.

Foto-10 Fiume Sesia nei pressi del ponte per Rassa. Alcune specie esotiche
localmente possono risultare particolarmente aggressive in ambito ripario. In
particolare la Reynoutria japonica (a sinistra della foto) tende a colonizzare
abbondantemente i greti del fiume Sesia impedendo la rinnovazione della
vegetazione autoctona. Dell’opportunità e dell’intensità degli interventi si
dovranno considerare le caratteristiche invasive di questa specie. Sulla sponda
opposta fitti arbusteti di salice; in fondo salici bianchi e pioppi neri (foto
Ebone).
15. Favorire mediante l’alleggerimento del piano arboreo dominante, la costituzione di un fitto
strato erbaceo e arbustivo sulle lenti ghiaiose e gli isolotti
La presenza di una buona copertura erbacea ed arbustiva del suolo può in parte arrestare l’azione
erosiva dell’acqua; si noti ad esempio che su suoli a granulometria fine (sabbia-limo) per innescare
fenomeni erosivi è sufficiente una velocità della corrente pari a 0,75-1,00 m/s; tale valore può essere
innalzato a 1,8 m/s (Autorità di bacino del fiume Po, 1996) grazie alla presenza di un fitto strato
erbaceo. Pertanto in tali zone, nelle parti in cui risulta deficitaria la componente erbacea ed arbustiva è
necessario interrompere la copertura arborea effettuando dei diradamenti (Fizaine, 1999).

Foto-12 Torrente Varaita. Anche nelle aree interessate solo saltuariamente


dal passaggio dell’acqua, poiché poste ad un livello tale da poter essere
raggiunte esclusivamente dalle piene straordinarie, è importante mantenere,
mediante diradamenti, una quantità di luce al suolo sufficiente allo sviluppo
di un fitto strato erbaceo e arbustivo per contenere l’erosione del suolo (foto
Ferraris).
5. OPERAZIONI INOPPORTUNE.

1. Evitare interventi sistematici dove non sussistano reali condizioni di pericolo


Fatto salvo il caso ricordato al punto 4. dei criteri di intervento, gli interventi stessi non dovrebbero
possibilmente intaccare gli elementi naturalistici ed estetici del bosco ripario; pertanto non si devono
eliminare senza una reale giustificazione (apparato radicale compromesso, impedimento al deflusso
delle acque) gli alberi che presentano le seguenti caratteristiche:
• ceppaie protendentesi sul corso d’acqua (ceppaie pensili ma stabili), habitat ideali per il rifugio
dell’ittiofauna
• soggetti pendenti sul corso d’acqua, se non instabili, in quanto possono rappresentare un certo
interesse estetico
• individui deperienti o morti, luogo di rifugio e nutrimento per gli insetti e gli uccelli

Foto-13 Valle Grande (Val Vermenagna). Tratto di torrente sottoposto a taglio irrazionale dove
l’intero soprassuolo è stato asportato. É assolutamente indispensabile evitare interventi di tale
intensità salvo a monte dei ponti e altri manufatti; è importante, specialmente nelle formazioni
lineari com’era questa, rilasciare almeno un pollone per ceppaia a difesa delle sponde (foto
Ferraris).
Foto-14 Valle Grana. Seconda stagione vegetativa successiva ad un taglio raso sulle
basse sponde. Si noti l’abbondante emissione di polloni da parte delle ceppaie di
ontano bianco. Nonostante la buona facoltà pollonifera di queste specie non
pregiudichi la pronta ricostituzione del soprassuolo, la necessità di preservare alcuni
polloni sarebbe imposta da motivi di carattere naturalistico ed estetico (foto
Mondino).

2. Sradicamento delle ceppaie (P.M.P.F. art. 2)


Al fine di evitare l’innesco di nuovi fenomeni erosivi è assolutamente vietato sradicare le ceppaie
3. Danneggiamento della vegetazione circostante durante le fasi di intervento
4. Eliminazione degli arbusti
Gli arbusti (sanguinello, pruni, biancospino, evonimo, corniolo, sambuco, ecc.), oltre a svolgere
un’importante funzione meccanica contrastando i fenomeni erosivi, sono fonte di nutrimento per
numerose specie animali.
5. Utilizzo di mezzi meccanici pesanti
Si consiglia di adottare mezzi meccanici leggeri al fine di evitare il compattamento del suolo, la
necessità di aprire accessi specifici, il danneggiamento della vegetazione circostante, la
destabilizzazione delle sponde e possibili incidenti (ribaltamento, slittamento in acqua, ecc.).
6. Tagli a buche da evitarsi, sostituiti da una distribuzione degli interventi in modo uniforme su
tutta la superficie boscata
É importante effettuare gli interventi in modo omogeneo su tutta la superficie, compatibilmente con le
esigenze di rinnovazione delle specie, per evitare di creare discontinuità nella copertura del suolo.
6. CHIAVE DI IDENTIFICAZIONE DEI POPOLAMENTI RIPARI.
La netta suddivisione dei popolamenti ripari che è stata realizzata in questo manoscritto, non è sempre
riscontrabile in natura; infatti, lungo i corsi d’acqua, sono molto frequenti i casi in cui non sia un unico
popolamento ripario ed edificare il soprassuolo ma un mosaico fra essi, con diverse fasi di transizione
tra l’uno e l’altro.
Tale situazione è spiegabile con l’esistenza di ambienti morfologicamente differenti (caratterizzati dalla
pendenza dell’alveo, dalla tessitura dei suoli e dall’altezza della falda ecc.) su superfici relativamente
piccole, che offrono la possibilità a diverse specie di insediarsi.

Con queste avvertenze preliminari segue una chiave d’identificazione dei popolamenti ripari singoli
riconosciuti sul terreno nelle Alpi, Appennini e Colline interne piemontesi.

1. Formazione a salici arbustivi di greto in tutte le aree studiate con salice ripaiolo e salice rosso
dominanti, talvolta con la presenza di altre latifoglie nelle porzioni meno esposte all’influenza
delle piene.
Saliceto arbustivo di greto alpino e appenninico.
1. Formazioni con composizione del piano dominante a prevalenza di specie arboree.
2. Formazione della dorsale alpina.
3. Formazione arborea a sviluppo lineare composta in prevalenza da latifoglie (frassino maggiore,
ontano bianco e nero, tiglio selvatico, ciliegio e acero di monte) posta a ridosso del corso d’acqua
con ampiezza non superiore ai 5 m.
Formazione lineare delle Alpi.
3. Formazioni a sviluppo non lineare ovvero formanti una fascia arborata con ampiezza normalmente
superiore ai 5 m.
4. Quote comprese tra i 400 e gli 800 m.
5. Popolamento su corso d’acqua ad alveo non incassato a prevalenza di specie pioniere: pioppo nero
misto ad altre specie arboree (pioppo bianco, pioppo tremolo, frassino maggiore e betulla) e salici
arbustivi.
Pioppeto di greto delle Alpi.
5. Formazione di impluvio e di corsi d’acqua ad alveo incassato con frassino maggiore a prevalenza di
specie del bosco più maturo (talvolta dominante su altre specie), come subordinate specie ontano
bianco e ontano nero (solo alle quote inferiori) e tiglio selvatico.
Acero-tiglio-frassineti.
4. Quote superiori agli 800 m.
6. Formazione a latifoglie con dominanza quasi assoluta di ontano bianco, talvolta con salice ripaiolo
nella fascia più prossima al corso d’acqua.
Alneto di ontano bianco.
6. Bosco ripario con piano arboreo composto in prevalenza da conifere.
7. Bosco ripario a netta dominanza di pino silvestre.
Pineta di greto di pino silvestre.
7. Bosco ripario a larice europeo su greti con massi di grosse dimensioni.
Lariceto di greto.
2. Altri rilievi collinari o montuosi.
8. Altre formazioni riparie dell’Alta Langa.
9. Formazioni a latifoglie con netta dominanza di salice bianco riscontrabili sulle barre di meandro
all’interno delle arginature fluviali.
Saliceto di salice bianco delle Langhe.
9. Popolamento rade a pino silvestre dei depositi alluvionali consolidati.
Pineta di pino silvestre delle Langhe.
8. Altre formazioni riparie della dorsale appenninica.
10. Formazione arborea a sviluppo lineare di pioppo ibrido e pioppo bianco misti a ontano nero e
robinia con ampiezza non superiore ai 5 m.
(Formazione lineare dell’Appennino).
10. Formazioni a sviluppo non lineari.
11. Popolamento a prevalenza di pioppo nero e ibrido, talvolta con pioppo bianco, salice bianco, ontano
nero e ontano bianco nella fascia prossima al corso d’acqua.
Pioppeto di greto dell’Appennino calcareo.
11. Formazioni a ceduo con dominanza di ontano bianco.
Alneto di ontano bianco.
7. SCHEDE DEI POPOLAMENTI RIPARI.

7.1 Formazione lineare dell’Appennino calcareo.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione.


Queste formazioni si collocano anche lungo i corsi d’acqua minori e secondari dei fondovalle
appenninici fino ad una quota di 600 m. Di parziale origine antropica, talvolta con l’uso saltuario di
pioppi ibridi frammisti alle specie spontanee, si pone come barriera tra le coltivazioni e i corsi d’acqua
con la prevalente funzione di limitare l’erosione spondale. Si tratta di formazioni lineari, in cui si
susseguono tratti di vegetazione ad alto fusto ad altri governati a ceduo; i soggetti dominanti
raggiungono facilmente i 20 m di altezza. Le specie presenti sono: pioppo ibrido, pioppo nero, pioppo
bianco, talvolta noce, salice bianco, pino silvestre (raro), ontano nero, e robinia; le due ultime si
trovano generalmente allo stato di ceduo.
Le rive, nelle zone di maggiore profondità (3-5 m) della fascia arborata, possono essere parzialmente
colonizzate da salice bianco, in forma arbustiva o arborea allo stadio di spessina.
Evoluzione naturale assente.

Criteri di gestione e interventi


Tali cenosi sono importanti sia per la funzione meccanica, che esplicano mediante il consolidamento
delle sponde, sia per la funzione paesaggistica, ponendosi come elemento di ornamento del territorio e
di ombreggiamento dei piccoli corsi d’acqua (funzione ecologica).
Pertanto gli interventi devono essere mirati alla messa in sicurezza delle rive evitando, qualora le
condizioni non lo richiedano, interventi sistematici di eliminazione dello strato vegetale.
Interventi proposti:
1. Taglio degli alberi di grandi dimensioni nell’alveo.
2. Taglio delle piante inclinate e degli alberi di grandi dimensioni che presentano segni evidenti di
erosione al piede in un tratto di 100 m a monte dei ponti.
3. Eliminazione dei detriti e dei cumuli di materiali vegetali (ceppaie, fusti sradicati, ramaglie, ecc.)
nell’alveo almeno per un tratto di 100 m a monte dei ponti.
4. Asportazione degli alberi caduti o morti lungo la riva.
Localizzazione dei rilievi.
Val Borbera, Molo Borbera (da estendere al resto della vale Valle Curone, localmente alla Valle
Scrivia).
7.2 Pioppeto di greto dell’Appennino.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione.


Questa formazione boschiva, diffusa nei tratti iniziali e medi delle vallate appenniniche (300-500 m), si
insedia sui coni di deiezione degli affluenti dei corsi d’acqua maggiori e sui greti ciottolosi posti nelle
immediate vicinanze. Le formazioni di maggiore estensione si trovano sui depositi alluvionali recenti
(golena), posti a circa m 1-1,5 sul livello medio della falda, nelle zone in cui le piene stagionali, per il
mutato andamento del corso d’acqua (larghezza del greto a livello di magra, scarsa pendenza), hanno
ormai una modesta azione erosiva.
I suoli sono ricchi di ciottoli, con tessitura sabbiosa, a drenaggio molto rapido e disturbati ciclicamente
dall’apporto di materiale solido. I substrati contengono in prevalenza o esclusivamente elementi
calcarei duri (calcari marnosi).
Si tratta di cenosi a struttura coetanea biplana, poco estese e diffuse a piccoli gruppi lungo il corso dei
fiumi e dei torrenti ; gli alberi hanno rapida crescita e altrettanto rapido declino (40-50 anni) ma i
soggetti dominanti possono raggiungere e superare i 25 m di altezza e i 40 cm di diametro.
La vegetazione arborea e arbustiva è composta in prevalenza da specie pioniere tipiche: eliofile, frugali,
con accrescimento rapido, a notevole capacità di rigenerazione gamica, scarsa o nulla (nei pioppi)
propensione alla ceduazione, legno tenero e modesta longevità.
La flora di sottobosco può essere costituita da specie cosiddette infestanti di origine alloctona, cioè
ruderali e nitrofile, che trovano substrati idonei alla loro diffusione per la presenza localizzata di nitrati
trasportati dall’acqua.
Il piano arboreo è composto da soggetti di notevoli dimensioni di pioppo nero, pioppo bianco e pioppo
ibrido introdotto, con qualche ciliegio nelle parti meno interessate dagli eventi alluvionali. Il piano
dominato è formato da ontano nero (sulle zone più depresse) e giovani soggetti di olmo campestre,
ciliegio, robinia, orniello e da arbusti di biancospino, sanguinello, fusaggine (Euonymus europaeus),
nocciolo oltre a spincervino (Rhamnus catharticus). Nello strato erbaceo si trovano Brachypodium
sylvaticum, Solidago gigantea, Rubus sp., Pulmonaria officinalis, Helleborus foetidus, Clematis
vitalba, Hedera helix, ecc.
Nelle aree soggette a forte drenaggio idrico, per la presenza superficiale di ciottoli, si insediano il
pioppo nero, anche se in forma stentata, robinie e arbusti di Rosa canina; nello strato erbaceo dominano
Brachypodium rupestre e Solidago gigantea.
Si tratta di popolamenti relativamente stabili, nei quali le fasi di evoluzione verso formazioni boschive
più evolute sono arrestate dalla concomitanza di diversi fattori quali la povertà del substrato, il forte
drenaggio e i processi di erosione (non gravi) e deposizione provocati dagli eventi alluvionali. Nelle
aree interessate in modo marginale dagli eventi alluvionali, sono stati rilevati i quattro arbusti citati per
ultimi, Prunus avium, Pulmonaria officinalis ed Helleborus foetidus e altre specie riconducibili a
cenosi più evolute il che testimonia un fenomeno di transizione da una vegetazione pioniera ad una più
stabile che però, come già detto, non giunge alla maturità.

Criteri di gestione e interventi.


Tali popolamenti, pur non assumendo un ruolo prioritario nella difesa spondale a causa della scarsa
capacità di radicamento del pioppo, divengono estremamente importanti sotto l’aspetto naturalistico e
paesaggistico. Non è raro, infatti, che la chioma degli alberi dominanti venga occupata da garzaie.
Pertanto, per il loro mantenimento, si consiglia la libera evoluzione, effettuando esclusivamente gli
interventi necessari, affinché lo strato arboreo mantenga la propria funzione meccanica ma non
costituisca un impedimento al deflusso delle acque; si deve evitare l’eliminazione sistematica degli
alberi dominanti e degli arbusti.
Interventi proposti:
1. Abbattimento dei pioppi neri e bianchi appena giunti a maturità in una fascia di 10 m dal bordo
dell’acqua al momento delle magre invernali.
2. Taglio fitosanitario e di messa in sicurezza dei soggetti inclinati, schiantati o morti.
3. Ceduazione parziale degli ontani che hanno raggiunto le dimensioni idonee all’utilizzazione.
4. Contenimento delle piante rampicanti (vitalba e edera).

Localizzazione dei rilievi.


Val Borbera, (Vignole Borbera, frazione Gerassa), Val Curone.
7.3 Alneto di ontano bianco dell’Appennino calcareo8.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione.


Cenosi boschiva presente ai bordi dei ruscelli affluenti dei torrenti principali (Borbera, Curone) intorno
ai 400-500 m, nelle vallate appenniniche su substrato calcareo (calcareo-marnoso). Sono popolamenti a
sviluppo quasi lineare e frammentati lungo corsi d’acqua di portata molto modesta dove il basso livello
della falda non consente un’ulteriore affermazione laterale delle specie riparie.
L’ontano bianco nelle vallate appenniniche, in particolare in Val Curone, si diffonde inoltre
ampiamente, anche se sempre sporadico, misto al pioppeto di greto, anche alle quote più basse fin quasi
allo sbocco in pianura.
Quest’alneto si trova poco sotto il livello estivo di magra del ruscello su suoli alluvionali ciottolosi-
terrosi, con drenaggio normale e discreto orizzonte organico superficiale.
Si tratta di cenosi in prevalenza cedue dove la specie principale è l’ontano bianco (Alnus incana) quasi
puro con qualche esemplare di Salix eleagnos, sanguinello, frangola e nocciolo; la vitalba è presente ai
bordi. Il sottobosco è mesofilo con sfumature nitrofile.
Il piano arbustivo ed erbaceo sono generalmente resi frammentari dalla notevole copertura esercitata
dall’ontano bianco; sono comunque da rilevare: sanguinello, lantana, biancospino, frangola comune,
carpino nero, Coronilla emerus, Peucedanum verticillatum, Aegopodium podagraria, Knautia drymeia,
Brachypodium rupestre, Primula vulgaris e Stachys sylvatica.
La portata dei ruscelli è, come s’è detto, modesta, data la brevità del loro corso e la limitata ampiezza
dei bacini idrografici interessati.
Più in alto, con un dislivello limitato, (m 1.50 o poco più ) la cenosi talvolta sfuma in un bosco misto
dove prevale il carpino nero, con qualche esemplare di orniello ad alto fusto, pioppo nero e pino
silvestre, sicuramente spontaneo, con giovani esemplari. Anche gli arbusti indicano un ambiente più
secco essendo presenti ginepro comune, ciavardello, lantana, Coronilla emerus, Cytisus sessilifolius
benché sia ancora presente qualche elemento mesofilo (Cornus sanguinea, Peucedanum verticillatum).
Lo strato erbaceo è formato quasi unicamente da un tappeto di Brachypodium rupestre. Si cita questo
passaggio per far notare come l’influenza della falda qui è ormai nulla o quasi e non si abbiano
probabilmente esondazioni in questo ambito forestale.

8
Nel tratto di Appennino a substrato non calcareo (serpentinoso e conglomerato-arenaceo) sono praticamente assenti le
cenose riparie.
Criteri di gestione ed interventi.
L’ontano bianco esplica un’efficace azione di contenimento dell’erosione delle sponde sebbene il suo
apparato radicale venga in parte scoperto ma non sottoescavato. Gli interventi in queste condizioni
sono semplici e si possono limitare alla ceduazione ogni 10-15 anni dell’ontano, lasciando comunque
1-2 polloni per ceppaia al fine di assicurarne la vitalità. Inoltre dovranno essere effettuati tagli
fitosanitari e di ripulitura dell’alveo con asportazione dei detriti vegetali eventualmente presenti in una
fascia di 100 m a monte dei ponti.
Il bosco di carpino nero con pino silvestre, prima accennato, posto all’esterno dell’alneto, non può più
considerarsi facente parte del bosco ripario in quanto non interviene nella dinamica idraulica del
fondovalle.
Interventi proposti:
1. Ceduazione delle ceppaie nella fascia a ridosso del corso d’acqua.
2. Tagli fitosanitari.
3. Asportazione dei detriti in alveo nei tratti prossimi ai ponti.

Localizzazione dei rilievi.


Val Curone, (Fabbrica Curone e Celle di Varzi).
7.4 Saliceto di salice bianco delle Langhe9.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione.


Le formazioni di maggiore estensione sono presenti lungo i fiumi ed i corsi d’acqua principali dei
fondovalle dell’Alta Langa; si collocano in media a circa m 0,5 sul livello della falda sui depositi
sabbiosi di recente formazione che si originano nell’alveo ed in prossimità delle sponde.
I suoli sono delle alluvioni attuali e recenti, ben drenati, aridi in superficie ma con falda facilmente
utilizzabile a livello di rizosfera, con una frazione ciottolosa arenacea modesta rispetto a quella
sabbiosa e con scarsa presenza di sostanza organica. Il substrato è derivato da arenarie e marne,
entrambe con una componente calcarea, che danno luogo a suoli sabbioso-limosi.
Si tratta di popolamenti coetanei, a struttura biplana e a rapido accrescimento, in cui i soggetti
dominanti possono raggiungere i 15 m di altezza. La vegetazione, come in altre formazioni riparie, è
composta in prevalenza da specie a spiccato carattere pioniero, in cui frequentemente si inseriscono
specie alloctone, nitrofile e infestanti.
Il piano arboreo è formato da soggetti ad alto fusto, generalmente giovani, di salice bianco, unitamente
a sporadici individui di ontano nero, ontano bianco (raro) e pioppo bianco; nello strato arbustivo
prevalgono salice ripaiolo, salice da ceste, salicone, sanguinello e, nelle aree sopraelevate e marginali
rispetto al normale corso delle acque, rinnovazione di ontano nero, ontano bianco, carpino nero e
robinia.
Nello strato erbaceo domina il rovo tipico dei suoli umidi (Rubus caesius), con Solidago gigantea,
Typhoides arundinacea, ortica, e nelle zone prossime all’acqua, cannuccia di palude; lungo la riva, a
contatto con l’acqua, si trovano Scirpus sylvaticus e Typha latifolia. Le altre specie maggiormente
diffuse sono: Galium sp., Alliaria petiolata, Ranunculus ficaria, Equisetum arvense e Symphytum
officinale.
Sono formazioni boschive di origine recente e generalmente stabili, in cui le fasi di transizione verso
cenosi più evolute sono arrestate dalle periodiche perturbazioni indotte dalla corrente fluviale, peraltro
non molto rapida.

9
Sia sulle Alpi che negli Appennini il salice bianco è presente solo sporadicamente nell’interno delle valli.
Criteri di gestione e interventi.
I boschi ripari a salice bianco esplicano una ottima funzione di difesa contro l’erosione spondale;
sebbene il salice non disponga di un apparato radicale particolarmente profondo, esso risulta comunque
ampio, notevolmente ramificato e quindi adatto a trattenere il suolo. É necessario tuttavia intervenire
periodicamente al fine di rinnovare il soprassuolo, eliminando quei soggetti che hanno raggiunto
dimensioni tali da essere più facilmente soggetti allo sradicamento da parte della corrente anche perché,
oltre una certa età, le ceppaie di salice non emettono più polloni.
Interventi proposti:
1. Taglio dei salici bianchi, prima che raggiungano i 15 anni di età, e dei pioppi con altezze superiori
a 15-20 m.
2. Eliminazione delle piante sradicate presenti in alveo.

Localizzazione dei rilievi.


A tratti in Valle Bormida di Millesimo da Cengio a Cortemilia, Valle Bellotta, Rocchetta Belbo e S.
Stefano Belbo, in forme più o meno estese ed evolute in conseguenza di opere di rettifica delle aste
fluviali.
7.5 Pineta di pino silvestre di greto delle Langhe.

Descrizione del popolamento-Struttura e vegetazione.


Questa formazione riparia, sporadica e localizzata su modeste superfici lungo i corsi d’acqua dell’Alta
Langa e talvolta nel vicino Acquese, si insedia sui depositi alluvionali consolidati, un tempo in parte
coltivati, a circa 2 m sul livello della falda, nelle zone in cui l’influenza delle piene ordinarie è ormai
divenuta modesta o nulla.
I suoli sono ricchi di ciottoli, a tessitura sabbiosa, privi di struttura, ben drenati e con debole strato
superficiale di sostanza organica.
Si tratta di formazioni aperte, composte da soggetti isolati o a gruppi, di pino silvestre con roverella,
coprenti intorno al 30-70 % della superficie, intervallati, da arbusteti a Prunus spinosa e da
xerogramineti. Talvolta su terreni già coltivati il popolamento è chiuso, o quasi, e il sottobosco
relativamente mesofilo.
Tra le specie arboree dominanti nelle pinete rade ricordiamo, altre ai già citati pino silvestre e roverella,
il pioppo nero il pioppo bianco e, nella fascia prossima al corso d’acqua, l’ontano nero; nello strato
arbustivo si segnalano orniello, biancospino, roverella, pioppo nero, ciliegio, salice ripaiolo, cerro,
olmo campestre, carpino nero, ligustro, Viburnum lantana e Spartium junceum. Lo strato erbaceo è
composto, in prevalenza, da specie caratteristiche delle zone aride, tra le quali: Potentilla
tabernaemontani, Euphorbia cyparissias, Sanguisorba minor, Helianthemum nummularium, Coronilla
emerus, Hypericum perforatum, Echium vulgare, Artemisia alba ed Eryngium campestre; nelle zone
più fresche, sono state osservate: Symphytum tuberosum, Helleborus foetidus, Brachypodium sylvestris,
Carex digitata, Angelica sylvestris Dove la copertura del pino è più elevata le specie prevalenti sono:
sanguinello del tutto dominante con nocciolo e biancospino meno rappresentati con vitalba presente e
vegetazione erbacea mesofila.
Tali cenosi riparie risultano relativamente stabili a causa della povertà del substrato e delle periodiche
condizioni di aridità, che si verificano soprattutto nel periodo estivo; nonostante le forti limitazioni
stazionali, vi sono comunque accenni di evoluzione verso formazioni arboree a roverella e orniello con
sottobosco tipico dei prati aridi. La quasi totale assenza di rinnovazione di pino silvestre sembra
preludere ad una fase di regressione del popolamento che comunque, per ora, è stabile.
Criteri di gestione e interventi.
Queste formazioni boschive, di elevato valore naturalistico e che presentano scarsi pericoli nei riguardi
delle piene, devono essere conservate; per assicurarne il mantenimento non si prevedono, nel breve
periodo, interventi di gestione attiva e pertanto si consiglia di destinare tali aree alla libera evoluzione;
potrà rendersi necessaria una periodica asportazione, dall’alveo e dal greto, dei detriti vegetali trascinati
dalla corrente.
Interventi proposti:
1. Asportazione della biomassa rilasciata dalla corrente.

Localizzazione dei rilievi.


Val Bormida di Millesimo, localmente tra Gorzegno e Cortemilia, Val Bormida di Spigno lungo un
ruscello confluente presso Mombaldone, Acquese.
7.6 Pineta di greto alpino.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione.


Questa formazione a pino silvestre, rappresentata nelle parti interne delle vallate alpine con clima
continentale, alle quote comprese tra 1000-1500 m, è riscontrabile sulle conoidi dei corsi d’acqua
secondari nei tratti prossimi alla confluenza con le aste fluviali maggiori. Le cenosi riparie a pino
silvestre si collocano sui depositi alluvionali recenti, dalla fascia a diretto contatto con il corso d’acqua
fino a circa 1-3 m sul livello medio della falda, mostrando una spiccata propensione a rinnovarsi, anche
se talvolta in modo effimero, sui banchi ciottolosi del torrente, in ambienti in cui le piene stagionali
operano una periodica azione erosiva.
I suoli, ciottoloso-sabbiosi e forte drenaggio, risultano periodicamente disturbati dall’apporto di
materiale solido. I substrati possono contenere elementi calcarei.
Si vengono a costituire fasce boscate composte da nuclei coetanei, anche di pochi individui, di pino
silvestre a struttura tendenzialmente monoplana, intervallati da latifoglie miste (frassino maggiore,
ontano bianco, betulla, acero di monte, ciliegio, ciliegio a grappoli) e da sporadici larici, generalmente
collocati nelle zone meno esposte all’influenza delle acque; le altezze medie raggiunte ai popolamenti
si aggirano intorno ai 15 m (alcuni soggetti possono superare i 20 m).
Lo strato arbustivo, generalmente relegato nelle zone marginali è composto da frassino, salicone, salice
da ceste, Salix daphnoides , sorbo degli uccellatori, lantana, Amelanchier ovalis, ciliegio di Santa
Lucia, salice rosso, crespino e biancospino mentre nella valle di Bardonecchia vi si aggiungono diverse
specie più mesofile (Mondino, 1963), con localizzate mescolanze del pino con l’ontano bianco.
Tali popolamenti non evidenziano fasi di successione verso cenosi più evolute; le forti limitazioni
stazionali, dovute prevalentemente all’arresto dell’evoluzione del suolo, precludono la possibilità ad
altre specie di affermarsi, favorendo la permanenza del pino silvestre.

Criteri di gestione e interventi.


Particolare attenzione deve essere posta alla gestione delle formazioni a pino silvestre. Tale specie,
disponendo di un profondo apparato radicale, risulta estremamente efficace nel limitare l’erosione
spondale su substrati quasi esclusivamente ciottolosi e nel trattenere il trasporto solido di massi anche
di grosse dimensioni. Pertanto gli interventi dovranno essere limitati esclusivamente all’eliminazione
degli individui, morti, deperienti o in precarie condizioni di stabilità, preservando quelli sani e stabili,
anche se a ridosso del corso d’acqua, in quanto ampiamente idonei a svolgere la funzione
consolidatrice.
La vegetazione eventualmente presente in alveo dovrà essere eliminata; la ceduazione dovrà
risparmiare almeno un pollone per ceppaia di latifoglie, con funzione di tirasucchio, e gli arbusti ben
radicati di altezza non superiore a 1-1,5 m.
Interventi proposti:
1. Taglio degli alberi deperienti o in condizioni precarie di stabilità in alveo e sulle sponde.
2. Asportazione dei detriti vegetali in alveo e sulle sponde.
3. Ceduazione delle specie presenti in alveo, fatti salvi i polloni tirasucchio e gli arbusti inferiori a 1,5 m.

Localizzazione dei rilievi.


Tra Oulx e Cesana Torinese lungo il torrente Dora Riparia alla confluenza con il Rio Fenils ed altri
tributari, Valle di Bardonecchia da Oulx sin oltre Beaulard ,Val Maira, Val Chisone.
7.7 Acero-tiglio frassineto di forra.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione.


Queste formazioni già più evolute si collocano nei fondovalle delle vallate alpine nei loro tratti medi e
bassi ad elevate precipitazioni e ad una quota compresa tra i 500 e i 1000 m. Questi boschi misti
interessano bassi versanti umidi, con prevalente esposizione nord, fino, in certi casi, a lambire i corsi
d’acqua. I suoli sono generalmente superficiali, poco evoluti, ben drenati ma freschi, ricchi di humus
mull, ciottolosi, con locali affioramenti rocciosi.
Si tratta di fustaie coetanee a struttura tendenzialmente monoplana, intervallate da nuclei di cedui
generalmente invecchiati e ormai avviati spontaneamente all’alto fusto, con diametri medi di 25-30 cm e
altezze tra 20 e 25 m. La presenza di cedui, normalmente localizzati, hanno due possibili cause: la
prima dovuta ad utilizzazioni passate a fini economici, la seconda, di origine più recente, riguardante
gli interventi di ripulitura degli alvei.
Il piano arboreo è composto in prevalenza da frassino maggiore, acero di monte, acero riccio (solo in
Val Pesio), olmo montano e tiglio cordato, dove le specie più frequenti, a seconda delle stazioni, sono
spesso la prima e l’ultima. La fascia prossima al corso d’acqua viene generalmente occupata, con
termini di transizione, alle quote inferiori dall’ontano nero e dal bianco poco più in quota, i quali si
mescolano progressivamente alle altre specie fino a costituire un formazione monospecifica (ontaneto o
alneto) a ridosso dell’alveo.
Nel piano arbustivo, piuttosto rado a causa del forte ombreggiamento, sono presenti nocciolo e
sambuco.
Il piano erbaceo è assai ricco soprattutto di specie mesofile, mesoigroifile, più o meno nitrofile e
caratteristiche dei boschi misti di impluvio e delle faggete eutrofiche quali: Aruncus dioicus,
Lysimachia nemorum, Stellaria nemorum, Salvia glutinosa, Petasites albus, Cardamine impatiens, C.
bulbifera, Veronica urticifolia, Aegopodium podagraria, Impatiens noli-tangere Pulmonaria
officinalis, Oxalis acetosella, Athyrium filix-foemina, Trochiscanthes nodiflora e Geranium nodosum
(le ultime due non nel Piemonte settentrionale).
Questi popolamenti sono dotati di una certa stabilità; la fertilità del suolo e le elevate precipitazioni
definiscono l’optimum per queste specie insieme ad una falda talvolta utilizzabile. Nel tempo potrà
verificarsi un cambiamento nella composizione specifica a favore del frassino che sembra rinnovarsi
con maggiore facilità rispetto alle altre specie.
Criteri di gestione e interventi.
In queste formazioni riparie, in particolare quelle di forra, è frequente l’insediamento della vegetazione
arborea direttamente in alveo; pertanto i tagli di ripulitura riguarderanno tutto il soprassuolo; si
asporteranno tutti i soggetti con diametro superiore a 5 cm, previa verifica delle loro condizioni di
stabilità, ad esclusione delle specie arbustive (altezza minore o uguale a m1-1,5).
Nella fascia a ridosso del corso d’acqua, le ceppaie dovranno essere ceduate mentre gli interventi a
carico dei soggetti ad alto fusto dovranno essere valutati in base alla loro stabilità e alla densità della
vegetazione circostante. L’apertura di chiarie in seguito all’eliminazione indiscriminata e diffusa di
individui del piano dominante, può generare degli squilibri all’interno dei popolamenti che spesso
portano a fenomeni di collasso; sono stati osservati numerosi schianti in seguito ad interventi di
ripulitura con caduta di alberi in alveo (v. foto Angrogna).
Qualora si operi su grosse ceppaie di acero e salicone, specie che notoriamente perdono parte della
facoltà pollonifera in tempi relativamente brevi, sarà necessario rilasciare un pollone con la funzione di
tirasucchio per evitarne l’esaurimento.
La presenza di alvei incassati con versanti a forte pendenza impone un intervento su una fascia più
ampia rispetto a quella strettamente riparia, al fine di evitare la caduta di materiale legnoso dalle zone
superiori del versante; pertanto si ritiene necessario eliminare i soggetti in precarie condizioni di
stabilità ( soggetti filati, pendenti, deperienti o morti) fino ad una quota di circa 20 m sul livello del
corso d’acqua.
Interventi proposti:
1. Eliminazione della vegetazione in alveo, ad esclusione degli arbusti inferiori ad 1-1,5 m.
2. Ceduazione con rilascio di polloni con funzione di tirasucchio sulle ceppaie più grosse.
3. Eliminazione in una fascia di 20 m sovrastante il corso d’acqua ( livello di magra) dei soggetti
potenzialmente pericolosi per il regolare deflusso delle acque.

Localizzazione dei rilievi.


Valle Pellice (Valle Angrogna , Comune di Angrogna) Luserna S. Giovanni, loc. Maddalena, Rorà,
Comba di Rorà; Val Sesia; Val Pesio tra Certosa di Pesio e Pian delle Gorre (zona dov’è
completamente assente l’ontano bianco).
7.8 Alneto di ontano nero.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione.


Gli alneti di ontano nero sono relativamente frequenti lungo le acque fluviali principali all’imboccatura
delle vallate alpine e appenniniche nelle loro parti inferiori, nelle aree in cui, per il mutato corso del
fiume, l’influenza delle piene è divenuta ormai scarsa o nulla; essi sono piuttosto frequenti anche nei
piccoli impluvi laterali lungo e nei corsi d’acqua secondari, per lo più in formazioni lineari.
La specie si diffonde abbondantemente fino ad una quota di 800-1000 m, dove viene gradualmente
sostituita dall’ontano bianco(nelle vallate appenniniche la mescolanza tra le due specie di ontano è
riscontrabile anche a quote inferiori).
I suoli sono idromorfi, a tessitura fine, spesso con falda affiorante, priva di ciottoli superficiali.
Si tratta nella maggioranza dei casi di cedui semplici invecchiati a struttura biplana per la presenza di
un denso strato arbustivo; diametri di 20-25 cm e altezze di 20 m sono abbastanza frequenti; in taluni
casi i popolamenti sono da considerarsi ormai delle fustaie.
Il piano arboreo è costituito in prevalenza da ontano nero; nelle porzioni marginali meno umide e più
soleggiate è frequente il frassino maggiore. In alcune formazioni di più recente insediamento sono
ancora presenti alcune specie a evidente carattere pioniero come salice bianco e pioppo bianco. Il piano
arbustivo è quasi sempre ben rappresentato; tra le entità tipiche si ricorda: la palla di neve (Viburnum
opulus), il raro e localizzato Prunus padus (presente almeno in alcune stazioni di bassa quota), la
frangola (Frangula alnus) e Salix cinerea. Sono abbondanti anche altre specie, meno caratteristiche di
questi boschi e a più ampia distribuzione quali: sambuco nero, sanguinello, biancospino, fusaggine e
nocciolo. In alneti di recente insediamento, lo strato erbaceo risulta sporadico e scarsamente
rappresentato; sono infatti presenti specie poco indicative a carattere ruderale e nitrofilo (ortica,
parietaria, rovi e Duchesnea indica). In particolari condizioni di scarso disturbo antropico sono
riscontrabili entità tipiche degli alneti paludosi come: Carex elata, Poa palustris, Valeriana officinalis,
Lycopus europeus, Thelypteris palustris, Juncus effusus e Iris pseudoacorus.
Rappresenta il climax edafico causa l’elevata umidità (vegetazione azonale) in cui non sono possibili,
per evidenti limiti dovuti all’eccesso d’acqua, fasi di ulteriore evoluzione.
Criteri di gestione e interventi.
Per le formazioni di fondovalle gli interventi dovranno prevedere diradamenti selettivi volti a
preservare i soggetti più vigorosi e ad asportare quelli che presentano evidenti segni di instabilità
(deperienti, filati, morti o incurvati). Negli impluvi, in situazioni di alveo incassato, le ripuliture
riguarderanno anche gli individui presenti nel corso d’acqua ( ad eccezione degli arbusti con altezza
non superiore a m 1-1,5), i quali saranno ceduati, con rilascio di pollone tirasucchio.
Sulle pendici gli interventi saranno meno forti; potranno essere preservati gli arbusti, alcuni polloni e i
soggetti ad alto fusto dotati di buona stabilità.
Interventi proposti:
1. Nelle formazioni planiziali effettuare diradamenti selettivi volti ad asportare gli individui
deperienti, filati, morti o incurvati.
2. Negli impluvi i tagli dovranno riguardare anche l’eventuale vegetazione cresciuta in alveo ad
eccezione delle specie arbustive.

Localizzazione dei rilievi.


Valle Colla lungo il torrente omonimo sopra Boves (CN).
7.9 Alneto di ontano bianco delle Alpi.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione.


Le formazioni di ontano bianco sono presenti nei fondovalle di numerose vallate alpine in posizione
mesalpica ed endalpica, ad una quota generalmente compresa tra i 700 e i 1400 m.
I suoli, poco evoluti ed idromorfi per la presenza costante della falda, hanno tessitura generalmente
ghiaiosa-sabbiosa, salvo nelle aree meno disturbate dagli eventi alluvionali in cui può essere presente
una modesta frazione limosa. I substrati sono decisamente eterogenei in quanto composti da vari tipi di
rocce sia calcaree che cristalline.
Sono formazioni generalmente governate a ceduo ormai invecchiato, anche se non sono rari nuclei
coetanei di origine gamica, con altezze variabili tra 12 e 15 m e disposte lungo i corsi d’acqua con
sviluppo prevalentemente lineare.
Il piano arboreo è costituito quasi esclusivamente da ontano bianco misto a sporadici individui di
ontano nero; nella porzione prospiciente il corso d’acqua possono essere presenti (come lungo il
Varaita) soggetti di salice ripaiolo a portamento arboreo (zone con corrente veloce), salici rosso e
bianco (quest’ultimo limitato alle quote inferiori). Nelle porzioni esterne non è raro l’ingresso di
pioppo bianco, nero e frassino maggiore. L’ontano bianco è allo stato puro nelle parti del fondovalle
principale dove la corrente è più lenta.
Nello strato erbaceo sono presenti: Rubus caesius (dominante), Impatiens noli-tangere, Geum
urbanum, Humulus lupulus e Urtica dioica.
Si tratta di cenosi stabili in cui le peculiari condizioni edafiche bloccano la successione verso
formazioni più evolute; nelle porzioni interne dei popolamenti più lontani dalle rive possono essere
presenti frassini e aceri di monte, indicatori di un lento passaggio verso popolamenti più evoluti.

Criteri di gestione ed interventi.


La naturale propensione dell’ontano bianco a colonizzare i greti e le basse sponde dei corsi d’acqua,
pone tali formazioni in una posizione di primaria importanza nel consolidamento spondale; pertanto gli
interventi devono essere volti ad assicurare il mantenimento di tale specie, rinnovando le ceppaie nella
fascia a ridosso del corso d’acqua ed avviando all’alto fusto e diradando le giovani fustaie nelle
porzioni marginali. Inoltre dovranno essere effettuati tagli fitosanitari e di ripulitura dell’alveo con
asportazione dei detriti vegetali eventualmente presenti in una fascia di 100 m a monte dei ponti.
Interventi proposti:
1. Ceduazione delle ceppaie nella fascia a ridosso del corso d’acqua con mantenimento d’un
tirasucchio.
2. Avviamento all’alto fusto o diradamento delle giovani fustaie nella fascia superiore a 1,5 m.
3. Tagli fitosanitari.
4. Asportazione dei detriti in alveo nei tratti prossimi ai ponti.

Localizzazione dei rilievi.


Val Sesia (Alagna), Valle Gesso (Andonno-S. Anna di Valdieri), Val Varaita, Valle Stura (Vinadio).
7.10 Formazione lineare delle Alpi.

Descrizione del popolamento- Struttura e vegetazione


Queste formazioni sono riscontrabili lungo i corsi d’acqua minori e secondari dei fondovalle alpini fra
500- 1000 m.
Di parziale origine antropica, talvolta con l’infiltrazione di noci e di ciliegi frammisti alle specie
spontanee, si interpone tra i prati e i corsi d’acqua con la prevalente funzione di salvaguardare le
sponde dell’erosione e, secondariamente, di fornire legna da ardere ed eventualmente da lavoro. Si
tratta di popolamenti generalmente disposti su stretti filari, in cui si susseguono tratti di vegetazione a
ceduo ad altri sporadici ad alto fusto; i soggetti dominanti raggiungono generalmente i 15 m di altezza.
Le specie caratterizzanti tali cenosi, oltre ai già citati ciliegio e noce, sono: frassino maggiore, presente
in notevole numero sia a ceduo che ad alto fusto, associato, in funzione delle caratteristiche stazionali,
ad acero di monte, tiglio cordato, robinia (limitatamente alle quote inferiori), castagno, ontano bianco e
ontano nero; queste ultime specie sono generalmente allo stato di ceduo.
Il piano arbustivo è composto da nocciolo, talvolta dominante sulle altre specie, salici (tra i quali
ricordiamo salicone e salice ripaiolo), sorbo degli uccellatori, sorbo montano e sanguinello. La
copertura dello strato erbaceo è resa frammentaria dal notevole ombreggiamento prodotto dai piani
vegetali superiori; è comunque interessante segnalare la presenza di Rubus caesius , Athyrium filix-
foemina, Crepis paludosa, Symphytum tuberosum, Geranium nodosum, Listera ovata e Caltha
palustris.

Criteri di gestione e interventi.


Tali cenosi sono importanti sia per la funzione meccanica che esplicano consolidando le sponde, sia per
la funzione paesaggistica, ponendosi come elemento di ornamento del territorio.
Pertanto gli interventi devono essere mirati alla messa in sicurezza delle rive evitando, qualora le
condizioni non lo richiedano, interventi sistematici di eliminazione dello strato vegetale. I tagli
dovranno essere moderati in relazione alla densità della vegetazione circostante, evitando di
interrompere la copertura dell’alveo, e rilasciando integralmente il piano arbustivo.
Interventi proposti:
1. Taglio degli alberi di grandi dimensioni nell’alveo.
2. Taglio delle piante inclinate e degli alberi di grandi dimensioni che presentano segni evidenti di
erosione al piede in un tratto di 100 m a monte dei ponti.
3. Asportazione dei detriti e dei cumuli vegetali nell’alveo in un tratto di 100 m a monte dei ponti.
4. Asportazione degli alberi caduti o morti che costituiscono un ostacolo al deflusso delle acque.
Localizzazione dei rilievi.
Valle Vermenagna, (Limone Piemonte) Valle Grande (Vernante, Tetti Castel), Valle Colla (Boves),
Valle Gesso (Roaschia, Entracque-Trinità).
7.11 Pioppeto delle valli alpine.

Descrizione del popolamento-Struttura e vegetazione.


Questa formazione boschiva, presente nei tratti medi delle vallate alpine fino ad una quota di 1000-
1200 m, si insedia sui coni di deiezione degli affluenti dei corsi d’acqua maggiori e sui greti ciottolosi,
di una certa ampiezza, posti nelle immediate vicinanze. I popolamenti maggiormente estesi si collocano
sui depositi fluviali recenti, posti a circa 1,5-2 m sul livello medio della falda, nelle aree in cui gli
eventi alluvionali, per la mutata morfologia del corso d’acqua, hanno una modesta influenza.
I suoli sono ricchi di ciottoli, con drenaggio molto rapido e modestissimo orizzonte organico
superficiale. I substrati possono contenere elementi calcarei.
Sono popolamenti a struttura biplana, poco estesi e diffusi in piccoli gruppi, generalmente coetanei,
lungo il corso dei fiumi principali. A causa delle più difficili condizioni climatiche ed edafiche, il
portamento delle specie arboree risulta generalmente peggiore rispetto a quello osservato nei
popolamenti situati alle quote inferiori; anche la presenza di specie infestanti ed esotiche, per analoghe
ragioni, risulta notevolmente ridotta.
Il piano dominante è composto da soggetti di discrete dimensioni di pioppo nero (pioppo bianco e
pioppo tremolo in alcune stazioni), con altezza variabile intorno ai 15 m, sporadici ciliegi e frassini
nella parti meno esposte agli eventi di piena. Il piano dominato è formato da frassino, ciliegio, betulla,
quello arbustivo da Lonicera xylosteum, biancospino, sanguinello, ginepro, salice ripaiolo e salice
rosso.
Nello strato erbaceo si hanno: Artemisia vulgaris, Fragaria vesca, Bromus tectorum, B. sterilis,
Sanguisorba minor, Saponaria officinalis, S. ocymoides, Clematis vitalba, Lathyrus sylvestris, L.
latifolius, mentre nelle aree più fresche si trovano Myrrhis odorata e Melica nutans.
La fascia, a diretto contatto con il corso d’acqua, viene generalmente colonizzata da una fitta
formazione di salici arbustivi, in prevalenza salice rosso e salice ripaiolo, con pino silvestre e ontano
bianco; nello strato erbaceo, reso frammentario dalla scarsa disponibilità di luce, si insediano Galium
mollugo, Rubus caesius e Humulus lupulus. Si hanno quindi dei termini di passaggio all’Alneto di
ontano bianco e al Saliceto di greto.
Nelle aree caratterizzate da una forte aridità superficiale, per la presenza di ciottoli affioranti, è
frequente la colonizzazione, anche se in forma stentata, della betulla associata a grossi cespi di
Achnatherum calamagrostis.
Tali popolamenti si affermano e si sviluppano rapidamente, ma a causa della scarsa longevità delle
specie, sono soggetti a una rapida regressione. Sotto l’aspetto evolutivo si tratta di formazioni
relativamente stabili in cui le forti limitazioni stazionali impediscono la successione verso cenosi più
evolute.

Criteri di gestione ed interventi


I pioppeti di greto alpini, allo stato attuale, evidenziano in generale una struttura idonea ad esplicare la
funzione meccanica e pertanto non richiedono particolari interventi di gestione. Il piano arboreo,
generalmente collocato sulla fascia alta delle arginature ad un livello superiore di quello raggiunto dalle
piene ordinarie, dimostra una stabilità maggiore rispetto a quello appenninico; tale prerogativa non è
solo imputabile a differenze di carattere morfologico e pedologico ma anche alla presenza di soggetti
meno sviluppati in altezza.
Pertanto si consiglia di destinare tali aree ad una evoluzione controllata. Saranno sicuramente necessari
tagli fitosanitari localizzati accanto ad interventi di ripulitura da realizzarsi eliminando i detriti vegetali
trasportati dalla corrente ed accumulatisi alla base dei fusti di maggiori dimensioni.
Interventi proposti:
1. Taglio fitosanitario e di messa in sicurezza dei soggetti inclinati, schiantati o morti.
2. Asportazione dei detriti vegetali.
3. Contenimento delle piante rampicanti (vitalba).

Localizzazione.dei rilievi
Valle Stura di Demonte (tra Demonte e Vinadio).
7.12 Saliceto arbustivo di greto Alpino e Appenninico.

Descrizione del popolamento-Struttura e vegetazione


Si colloca sui greti ciottolosi relativamente stabili dal settore pedemontano fino a quello montano, delle
Alpi (talvolta anche sino a 1700 m), oltre che, alle quote inferiori, della zona appenninica. Le più estese
formazioni si distribuiscono nell’alveo attivo e ai bordi dei torrenti, a debole pendenza e soggetti a
piene stagionali annuali con forti trasporti di materiale ciottoloso, nelle zone in cui la velocità delle
acque risulta maggiore. Si installano sui litosuoli delle alluvioni attuali e recenti, praticamente privi di
sostanza organica, aridi in superficie ma, soprattutto nelle Alpi, con falda ancora utilizzabile da una
parte delle specie costituenti la vegetazione.
Sono cenosi a struttura irregolare composte da soggetti arbustivi policormici con altezza media intorno
ai 2 m e, in stazioni con buona disponibilità idrica, da sporadici individui a portamento arboreo ( salice
ripaiolo 5-6 m) . Le specie dominanti sono il salice rosso (Salix purpurea) e il salice ripaiolo (Salix
eleagnos), con alcuni soggetti alle quote inferiori di pioppo nero di bassa statura e salice bianco allo
stato arbustivo; esclusivamente in ambito alpino, accanto alle specie precedentemente ricordate, sono
riscontrabili la betulla, l’ontano bianco e, nelle vallate continentali, pino silvestre; non vengono
elencate specie dello strato erbaceo in quanto estremamente variabili e scarsamente indicative circa
l’ecologia del popolamento forestale ripariale. A queste specie nella parte interna delle vallate alpine a
clima continentale può accompagnarsi Salix daphnoides; si tratta di un salice a portamento alto-
arbustivo che può diventare abbondante o prevalente tra 1500 e 1800 m.
Il saliceto arbustivo è una formazione permanente anche se erratica, in quanto, distrutta dagli eventi
alluvionali, si riforma altrove per il trasporto da parte della corrente di soggetti sradicati; pertanto il
ciclo si compie in tempi brevi, scandito dalle piene che modificano la struttura e la composizione della
vegetazione. L’evoluzione verso formazioni arboree più stabili può avvenire esclusivamente quando
vengono a cessare i fenomeni perturbativi per il mutato corso del torrente.
Nell’alveo attivo, in zone appenniniche, nelle aree in cui il passaggio delle acque avviene meno
frequentemente e con minore intensità, si assiste al progressivo anche se isolato sviluppo di specie
appartenenti a cenosi più evolute, quali: carpino nero, orniello, cerro, roverella, ginepro comune (40-50
anni di età), melo selvatico, ciliegio e corniolo. Soprattutto orniello e carpino nero, il cui apparato
radicale risulta fittonante e profondo, assumono localmente un ruolo primario nella funzione di
consolidamento delle lenti ghiaiose.
Anche lungo i corsi d‘acqua alpini, nella parte sommitale delle sponde, sono riscontrabili le fasi di
successione verso cenosi più evolute evidenziate dal progressivo ingresso di latifoglie mesofile quali:
acero di monte, frassino maggiore e ciliegio selvatico.
Criteri di gestione e interventi
Queste cenosi, essendo elementi fondamentali nel sistema della dinamica fluviale e non generando
rischi, per il modesto sviluppo della specie devono essere conservate come tali; il mantenimento è
garantito dalla libera evoluzione e pertanto non è previsto nessun tipo d’intervento a scopo gestionale.
Possono essere fonte per il reperimento di materiale vegetale da utilizzare nelle opere di ingegneria
naturalistica.
Solo le formazioni a salice ripaiolo arboreo presenti in alvei incassati o ad ampiezza ridotta, saranno
soggette ad interventi di ripulitura al fine di eliminare gli individui di maggiori dimensioni responsabili
di limitare il deflusso delle acque.
Gli interventi sulla vegetazione in alveo dovranno prevedere l’asportazione di tutto il soprassuolo ad
esclusione degli arbusti con altezza inferiore a 1,5 m, dei soggetti con diametro inferiore ai 5 cm e dei
polloni con funzione di tirasucchio.
Sulle sponde, in una fascia orientativamente di 3 m sul livello del corso d’acqua, andranno eseguiti
tagli fitosanitari (eliminazione dei soggetti deperienti o morti) ed interventi di diradamento volti ad
eliminare i soggetti in precarie condizioni di stabilità (filati, pendenti) e le specie dotate di apparato
scarsamente sviluppato (betulla).
Interventi proposti:
1. Esclusivamente nei saliceti a portamento arboreo, eliminazione della vegetazione in alveo ad
esclusione degli arbusti con altezza inferiore ad 1,5 m.
2. Tagli fitosanitari sulla sponda in una fascia orientativamente di 3 m sul livello medio del corso
d’acqua.

Localizzazione dei rilievi


Val Borbera, (Cabella Ligure e Rocchetta Ligure), Val Pellice (Bobbio Pellice, rio Imeut e località
Malpertus ) , Valle Gesso (Entracque, S. Giacomo); stazioni con o a Salix daphnoides: Alta Valle
Varaita, Alta Val Maira, Valle del Torrente Ripa (Valle di Susa), Val Troncea (Val Chisone).
7.13 Lariceto di greto.

Descrizione del popolamento-Struttura vegetazione.


Questi popolamenti radi sono riscontrabili nei tratti medio-alti e alti delle vallate alpine a quote
superiori ai 1100-1200 m, in condizioni di clima continentale. Le formazioni pure, di una certa
estensione, si distribuiscono sui greti dei corsi d’acqua principali e sulle conoidi dei tributari ad
un’altezza rispetto al livello medio della falda mai inferiore ad 1 m; i lariceti di greto sono fortemente
legati alla presenza di materiali litoidi di grossa pezzatura, in cui i volumi di un singolo masso possono
facilmente superare il metro cubo.
I suoli sono poveri, poco profondi , ricchi di scheletro e continuamente rimescolati dall’apporto di
materiale alluvionale, ma con tasche di materiale fine. I substrati sono composti prevalentemente da
rocce cristalline.
Si tratta di fustaie rade, monoplane, coetaneizzate dalla periodica azione distruttrice dell’acqua, e
pertanto composte in maggioranza da soggetti giovani, generalmente mal conformati, con altezze che
raramente superano i 10-12 m.
Il piano dominante è costituito da larice, salvo sporadici individui di betulla e, nelle aree meno esposte
delle quote inferiori, acero di monte e frassino. Il piano dominato, composto per la maggior parte da
specie arbustive e alto-arbustive, risulta rado e assai poco rappresentato; in esso sono stati rilevati:
sorbo degli uccellatori, salicone, sambuco rosso e, alle quote superiori, ontano verde e maggiociondolo
alpino (1400-1600 m).
Il popolamento è reso assai stabile dalle forti limitazioni stazionali che precludono la possibilità ad altre
specie di rinnovarsi; in alcune vallate (Valle Gesso) si assiste, con l’abbassamento della quota, ad un
lento e graduale passaggio dal lariceto al betuleto quasi puro; ad esso sono attribuibili assetti e
dinamiche evolutive simili al popolamento precedentemente descritto.

Criteri di gestione e interventi.


Nonostante il larice evidenzi un’elevata resistenza all’azione erosiva dell’acqua, grazie al suo profondo
e fittonante apparato radicale, fattori quali lo scarso numero di soggetti costituenti il popolamento e la
discontinuità della copertura, in contrasto con la velocità delle acque talvolta devastante, concorrono a
compromette fortemente le funzione prottettiva di tali formazioni riparie soprattutto se colte in stadi
giovanili. Pertanto si consiglia di destinare tali aree alla libera evoluzione , salvo intervenire nelle aree
limitrofe alle infrastrutture con tagli fitosanitari e asportazione dei detriti vegetali.
Interventi proposti (limitatamente alle aree contigue alle infrastrutture):
1. Tagli fitosanitari.
2. Sgombero dei detriti vegetali.

Localizzazione dei rilievi.


Valle Gesso (tra S. Anna di Valdieri e le Terme di Valdieri e Vallone della Valletta), Alta Valle Susa,
Val Chisone ,Val Maira.
8. CONCLUSIONI
Questo documento è stato realizzato con l’intento di fornire uno strumento di facile consultazione,
privilegiando gli aspetti pratici rispetto a quelli scientifico-descrittivi, e di immediata applicazione alle
diverse situazioni che si presentano di volta in volta agli operatori all’atto della realizzazione degli
interventi.
Pertanto, nell’ipotesi della presentazione di questo testo nella forma di pubblicazione, sarà meglio
privilegiare la parte divulgativa costituita dalle schede di popolamento, inserendo allora una più
semplice introduzione generale al tema.
Sulla base delle conoscenze acquisite sui popolamenti ripari si ritiene inoltre auspicabile
l’organizzazione di momenti formativi sul terreno per il personale che esegue gli interventi; sarà così
possibile rendere più coerenti il passaggio tra la progettazione degli interventi e la loro realizzazione,
recando indubbi vantaggi alla qualità del lavoro.

Le tredici tipologie di popolamenti ripari qui descritti sicuramente compendiano la maggior parte di
quelle esistenti lungo i corsi d’acqua piemontesi; ulteriori informazioni in merito potrebbero emergere
dall’analisi della vegetazione sviluppata nella realizzazione dei Piani Territoriali Forestali.

Si ritiene opportuno nuovamente sottolineare come le indicazioni contenute in questo testo potrebbero
essere vanificate nel caso in cui gli interventi non fossero eseguiti con periodicità (ogni 5-7 anni); così
infatti, è più facile sviluppare in modo graduale nel bosco una struttura idonea ad espletare tutte le e
funzioni, cosa impossibile quando si deve ricorrere solo a tagli condotti in condizioni di emergenza,
che spesso si rivelano di intensità troppo elevata. Appare altrettanto importante sottolineare la necessità
di effettuare dei sopralluoghi lungo le aste fluviali periodicamente e ogni qual volta si verifichino
eventi alluvionali di una certa importanza. Infatti l’eventuale asportazione della vegetazione, i
cambiamenti della morfologia fluviale e l’accumulo di biomassa in alveo rendono necessari interventi
immediati per rimuovere gli ostacoli al regolare deflusso delle acque e ripristinare la funzionalità
dell’alveo.
Infine si auspica la creazione di una base di dati a livello regionale, nella quale inserire anche le
informazioni inerenti gli interventi eseguiti a carico della vegetazione riparia; tale strumento potrà
essere particolarmente utile nella pianificazione degli interventi di gestione dei popolamenti ripari su
scala regionale.
9. ALLEGATI.

9.1. Elementi di riconoscimento delle specie.

Vengono di seguito descritte le specie arboree e arbustive dell’ambiente studiato. In corsivo sono
indicati i caratteri più importanti per il riconoscimento delle specie arboree che sono inserite nelle
schede dei popolamenti.

Acero di monte (Acer pseudoplatanus)


Albero alto fino a 25 m, è caratterizzato da una chioma densa e di colore verde scuro; il fusto è
diritto, coperto da una corteccia sottile e grigiastra, inizialmente liscia, che poi si fessura in placche
irregolari. Le foglie, opposte, con lungo picciolo, hanno un’ampia lamina palmata con 3-5 lobi, con
lati ad apici acuti e grossolanamente dentati, un po’ azzurrognole di sotto. I fiori, minuti,
verdognoli, sono riuniti in pannocchie pendule (racemi10) che compaiono unitamente alle foglie. Il
frutto è una disamara11 con semi globosi e ali sottili e venose, formanti tra loro un angolo prossimo
ai 90°.
Specie tipica dei boschi freschi del piano montano sia sulle Alpi che sugli Appennini fino a 1500
(1900) m, e comunque presente, anche se in modo sporadico, dall’alta pianura alle zone collinari,
indica nei boschi ripari dov’è sporadico, una tendenza alla maturazione del bosco.

10
Infiorescenze formate da un asse principale ramificato.
11
Frutto composto da due semi saldati ciascuno dei quali porta un’ala espansa per la disseminazione tramite il vento.
Betulla (Betula pendula).
Si tratta di un albero alto fino a 25 m con chioma rada, ovale-cilindrica espansa soprattutto nella
parte alta. Il fusto è diritto con scorza sottile, bianca, desquamantesi in foglietti sottili di
consistenza cartacea. Le foglie sono piccole di forma romboidale, alterne, picciolate e caduche;
hanno apice acuto, base arrotondata e margine doppiamente dentato. I fiori maschili sono portati in
amenti12 pendenti, quelli femminili sono eretti, brevi e sottili; la fioritura avviene all’inizio della
primavera.
Specie eliofila e frugale, predilige suoli anche poco profondi soprattutto acidi, sui quali si comporta
da pioniera e consolidatrice oppure come invadente di aree già a coltura o pascolate; è diffusa sulle
Alpi fino ad una quota di 1500 (1800) m. Non è molto frequente nei boschi ripari.
Biancospino (Crataegus monogyna).
É un arbusto (talvolta alberetto) alto fino a 6 m, con corteccia compatta, grigio-bruna; alla base dei
rami portanti le infiorescenze sono presenti spine acute. Le piccole foglie, lungamente picciolate,
hanno forma ovale con alcune profonde incisioni e sono dentellate solo nella parte terminale. I fiori,
con petali bianchi, sono portati in gruppi di 4-5dopo l’emissione delle foglie; i frutti sono dei pomi13
assai piccoli e rossi contenenti un solo seme. Il biancospino è una specie rustica e pioniera presente
all’interno e ai bordi dei boschi di latifoglie e, ancora, negli arbusteti di invasione dei pascoli
collinari e montani soprattutto sui suoli calcarei. É presente fin oltre 1200 m su Alpi e Appennino. É
sporadico nelle boscaglie riparie.

12
Infiorescenza in forma di spiga a fiori privi di petali e di peduncolo.
13
Frutti simili a piccole mele.
Carpino nero (Ostrya carpinifolia).
Albero di norma alto10-15 m circa, governato sempre a ceduo non matricinato, possiede una
corteccia bruno rossiccia, da giovane con evidenti lenticelle che si screpola abbastanza
profondamente con l’età; i rami sono ascendenti. Le foglie sono ovali, acuminate14, seghettate e
simmetriche alla base; la fioritura avviene in aprile, i fiori maschili sono portati in amenti15
allungati, di colore giallo-verde; i frutti, rigonfi per la disseminazione tramite il vento, sono raccolti
in grappoli simili all’infiorescenza del luppolo.
In ambiente ripario s’incontra di rado (salvo nelle vallette secondarie dove può formare cedui puri o
quasi) e solo sull’Appennino e le Langhe; di rado è presente oltre gli 800 m.

Cerro (Quercus cerris).


Quercia di 20-25 m di altezza con corteccia rugosa con sfumature rossastre nelle screpolature; i
rami giovani sono pubescenti16 . Le foglie sono allungate od ellittiche, molto variamente incisa (da
dentate a profondamente lobate), molto ruvide su entrambe le facce e con stipole17 persistenti ; le
foglie, durante l’inverno, permangono secche sulla pianta assumendo una colorazione rossastra. Il
frutto è una ghianda, avvolta per circa metà dalla cupula ricoperta di squame allungate e contorte.
É una specie che si adatta ad un ampio spettro di condizioni edafiche pur prediligendo i suoli
subacidi rispetto a quelli basici; è presente di rado sulle Alpi, più nelle Langhe e sugli Appennini e
gli impluvi secondari. Di rado diffuso nei boschi ripari.

14
Appuntite.
15
Vedi nota 12.
16
Coperte da peluria fine.
17
Piccole appendici in numero di due poste alla base del picciolo fogliare che in questa quercia si mantiene tutto l’anno.
Ciliegio a grappoli (Prunus padus).
Piccolo albero o arbusto, generalmente con fusto policormico18, alto 2-10 (15) m, ha una corteccia
bruna che emette un odore decisamente sgradevole. I rami si espandono quasi perpendicolarmente
al fusto principale. Le foglie, alterne e picciolate, hanno forma ovata con apice acuto e base
allargata o cordata; la pagina superiore è glabra mentre quella inferiore è glaucescente. I fiori sono
bianchi, profumati, portati in racemi penduli. I frutti, piccoli e sferici, sono lucidi, di colore rosso
scuro, con polpa succosa, appetiti dagli uccelli.
Si diffonde talvolta nelle formazioni ripariali non interessate da frequenti piene su suoli umidi (in
specie con gli ontani) con discesa sino al piano basale; è presente sulle Alpi sporadicamente sino a
1500 m.

Ciliegio selvatico (Prunus avium).


É un albero di 20 m, con tronco eretto, cilindrico; la chioma è piramidale, sorretta da rami robusti e
ascendenti, all’inizio quasi verticillati19. La scorza è liscia, con lenticelle evidenti, rossastra e
lucida da giovane ma negli esemplari adulti presenta screpolature anulari intorno al fusto; le foglie
sono ovali, acute, dentellate ed alterne. I fiori sono bianchi, vistosi, riuniti in fascetti e sorretti da
lunghi peduncoli; i frutti sono appetiti dagli uccelli. Si colloca generalmente in aree calde e
soleggiate, prediligendo i suoli profondi e calcarei. É presente sporadicamente con altre latifoglie
spingendosi fino ad altitudini superiori a 1200 m, a partire dalla pianura sia nelle colline che nelle
catene montuose; raro nei boschi ripari.

Corniolo (Cornus mas).


Arbusto di 2-6 m, con corteccia grigia a screpolature rossastre, presenta foglie opposte, ovate, a
margine intero con breve punta acuta, verdi su entrambe le pagine e con nervature parallele ai bordi;
i fiori gialli, piccoli, ma molto abbondanti, compaiono in piccoli ciuffi in marzo-aprile, prima della
emissione delle foglie. I frutti sono rossi e ovali (drupe20). Presente nei boschi misti di latifoglie, in
zone più o meno asciutte, fino ad una quota di 1000 m, talvolta sui suoli ciottolosi dei greti
appenninici.

18
Pianta con molti fusti
19
Disposti intorno al fusto principale più o meno alla stessa altezza.
20
Frutto con parte esterna carnosa e nocciolo legnoso.
Frangola comune (Frangula alnus).
Arbusto di piccole dimensioni alto 1-3 m, ha un fusto con scorza grigio-violetta chiara e rami eretti,
rosso-pubescenti nel primo anno. Le foglie sono alterne, ovali, prive di peli, con picciolo rossastro e
margine intero; hanno lamina leggermente acuminata all’apice e arrotondata alla base. I fiori, molto
piccoli,verdognoli, sono portati in fascetti di 2-9 all’ascella delle foglie. Il frutto è una bacca
subrotonda di colore nero delle dimensioni di un pisello.
Specie abbastanza frequente nelle cenosi riparie, si stanzia nelle stazioni più umide, su suoli
idromorfi21 anche molto acidi.
É presente dalla pianura fino ad una quota di 1100 m circa.

Frassino maggiore (Fraxinus excelsior).


Albero alto fino a 30 m, con chioma espansa in senso verticale e rami ascendenti e diritti; le grosse
gemme invernali all’apice dei rametti, disposte a tre all’apice del ramo, hanno un tipico colore
nero. Il tronco diritto e slanciato, presenta una corteccia inizialmente grigia e liscia poi percorsa da
solcature profonde, ondulate e anostomosate a formare un reticolo irregolare. Le foglie, opposte,
picciolate, sono lunghe e imparipennate22, composte da 7-13 foglioline sessili23, ellittico-lanceolate,
acuminate all’apice e dentellate. I fiori, portati in ciuffi assai poco vistosi mancando di petali,
sbocciano prima dell’emissione delle foglie e sono bruni o verdastri. Il frutto è un samara24 tipica
con un’ala.
Specie eliofila, è presente sia nei boschi misti di latifoglie in stazioni umide e fresche dal piano
basale a quello montano sia come specie pioniera colonizzatrice di coltivi abbandonati dove si è
diffusa dalle piante coltivate un tempo nei prati per raccoglierne la frasca; è molto diffuso nel
settore alpino fino ad una quota di 1500 (1900) m .

21
Sempre saturi d’acqua.
22
Foglia composta da foglioline ovali non seghettate disposte in numero dispari lungo la nervatura centrale.
23
Senza peduncolo.
24
Frutto composto da un singolo seme alato.
Fusaggine (Euonymus europaeus).
Si tratta di un arbusto alto 1-5 m, in cui i fusti presentano una corteccia rossastra che lascia
trasparire macchie verdi. Le foglie, opposte, picciolate e dentellate, hanno forma ellittica e sono
portate da rametti quadrangolari verdi; le foglie sono glabre, ovato-acute con pagina inferiore verde
più chiara. I fiori, molto piccoli, riuniti a 4-5, piccoli e verdastri, a 4 petali, sono sorretti da un
peduncolo ascellare. I frutti vistosi e rossi sono composti da 4 segmenti rotondeggianti che a
maturità si aprono assumendo le sembianze del copricapo del sacerdote (altro nome: berretta da
prete) mettendo in mostra i semi aranciati. Specie diffusa nei boschi ombrosi fino ad una quota di
800 m, è presente nei boschi ripari solo se in evoluzione.

Ginepro comune (Juniperus communis).


Arbusto di 1-3 m, con corteccia grigio-rossastra desquamante in strisce longitudinali, a foglie
aghiformi e pungenti, a sezione triangolare. I semi sono contenuti in una falsa bacca di colore scuro
coperta da una cerosità azzurra. Specie eliofila e frugale, si stanzia nelle stazioni aride ed esposte di
Alpi e Appennino fino ad una quota di 1800 m, talvolta anche sui greti appenninici.

Lantana (Viburnum lantana).


Arbusto di 1-3 m, con fusti eretti, flessibili e poco ramificati; la foglie sono grandi, opposte, ovate e
con il margine dentato; in fase giovanile presentano una fitta peluria su entrambe le facce; poi
divengono di colore verde scuro sulla pagina superiore e con nervature venose ben incise su quella
inferiore, violacee verso la fine dell’estate. I fiori, bianchi, piccoli, sono portati in vistose cime
ombrelliformi. I frutti sono delle drupe appiattite prima rosse e poi nere. Si trova associata a boschi
di latifoglie (roverella) e pino silvestre fino ad una quota di 1000 m, con particolare frequenza sui
versanti solatii con suoli calcarei; è diffusa nell’Appennino, nelle Langhe, in Val Susa, nelle Alpi
Cozie e Marittime. Solo occasionalmente fa parte delle boscaglie riparie nel settore appenninico in
zone ciottolose e drenate.
Larice (Larix decidua).
Albero alto fino a 30 (40) m, con chioma piramidale, a tronco generalmente diritto, a crescita rapida
in giovane età, con corteccia molto spessa e profondamente solcata verticalmente. I rami primari
sono orizzontali mentre quelli laterali sono spesso penduli. Le foglie aghiformi, tenere e non
pungenti, sono portate a spirale sui macroblasti25 in ciuffi di 20-40; sono di colore verde chiaro che
in autunno vira al giallo oro prima di cadere. I conetti maschili sono piccoli e gialli mentre quelli
femminili sono inizialmente rossi, ovoidali, dopo l’impollinazione si trasformano in piccole pigne a
squame cuoiose, bruno-chiare.
Specie eliofila e pioniera, molto longeva, spesso ha vita breve in ambiente ripario e si rinnova con
estrema facilità sui suoli minerali; predilige stazioni soleggiate in vallate a clima continentale. É
abbondantemente diffusa su tutto l’arco alpino piemontese, tra gli (800) 1500 (2200) m, talvolta allo
stato puro nei boschi ripari.

Melo selvatico (Malus sylvestris).


Piccolo albero (alto non più di 10 m), con chioma espansa e rotondeggiante, che presenta un fusto
diritto con corteccia opaca, grigio-brunastra, rugosa e screpolata a maturità. I rami all’estremità
tendono a diventare spinescenti. Le foglie alterne , picciolate e dentellate, hanno forma ovata con
apice acuto e base arrotondata; glabre sulla pagina superiore, presentano in quella inferiore una
leggera pelosità sulle nervature che scompare con il procedere della stagione. I fiori sono portati in
corimbi26 in un numero variabile di 3-7; i petali sono rosa internamente e bianchi esternamente. Il
frutto è un piccolo pomo (mela), non commestibile per l’uomo, inizialmente verde ma che assume
una colorazione rossastra con la maturazione. Questa rosacea è presente in modo sporadico nei
boschi di latifoglie fino ad una quota di 800 m mentre si incontra talvolta anche nelle boscaglie
riparie dell’Appennino, zona dov’è più frequente che non altrove in Piemonte.

25
Brevissimi rami laterali portanti le foglie, inseriti sui normali rami di allungamento (normoblasti).
26
Infiorescenza appiattita composta da peduncoli che portano i fiori tutti alla stessa altezza.
Nocciolo (Corylus avellana).
Pianta a portamento alto-arbustivo, alta (5-6 m) , con corteccia grigio bruna e lucida, dapprima con
numerose lenticelle27, nei polloni più vecchi con lunghe fessure longitudinali. I rami dell’anno sono
ricoperti, nella parte distale, da una fitta peluria; le foglie hanno picciolo breve, lamina ellittica o
subrotonda, base cuoriforme, apice acuto e doppia dentatura. I fiori maschili sono portati in
amenti28 penduli di colore giallo-oro (periodo fine-invernale, emessi prima delle foglie); i frutti
(nocciole) sono riuniti in gruppi di 2-5 e avvolti ognuna da due brattee29 erbacee pubescenti. Specie
tollerante l’ombreggiamento ed esigente in umidità; si adatta a tutti i tipi di terreno anche quelli
acidi; è diffusa dalla pianura fino ad una quota di 1500 m su Alpi e Appennino. Sporadico nei
boschi ripari ( più frequente in quelli già in evoluzione).

Olmo campestre (Ulmus minor).


Albero che un tempo raggiungeva nei boschi presso le acque altezze di anche 30 m; oggi è diffuso
per lo più allo stato di piccolo albero o addirittura allo stato arbustivo ( rigetti dalle radici) a causa
della grafiosi30.Il tronco è diritto, molto ramoso, con corteccia grigia e solcata longitudinalmente; in
alcuni esemplari, sui rami più giovani, si presentano creste suberificate e sporgenti. Le foglie sono
piccole, alterne, ellittiche, con margine acuto, base asimmetrica e margine finemente seghettato,
molto rugose al tatto. Il frutto, che compare precocemente in primavera, prima della fogliazione, è
una samara31 con un’unica ala. Specie esigente in fatto di luce, è presente sia nelle formazioni
boschive ripariali più fresche accanto alla farnia ed altre specie planiziali, sia nei coltivi
abbandonati come entità pioniera; è presente dalla pianura fino ad una quota di 800-1000 m. Oggi
sporadico nei boschi ripari alle quote inferiori delle valli collinari e alpine.

27
Aperture nella corteccia per lo scambio gassoso dei tessuti con l’esterno.
28
Vedi nota 12.
29
Espansione a forma di linguetta o ala che sorregge l’infiorescenza.
30
Malattia di origine fungina microscopica.
31
Vedi nota 24.
Olmo montano (Ulmus glabra).
Albero alto sino a 20 m, con rami in fase giovanile pubescenti, presenta foglie piuttosto grandi
scabre32 su entrambe le facce, con lamina asimmetrica alla base, margine acutamente denticolato e
picciolo cosparso di peli. Sulla pagina inferiore sono molto evidenti le nervature alla cui
biforcazione sono presenti ciuffi di peli bianchi. La fioritura avviene prima dell’emissione delle
foglie; i fiori sono piccoli, numerosi, poco vistosi, riuniti in ombrellette e peduncolati. Il frutto è una
samara33 ellittica, brevemente peduncolata.
Specie sporadica nei boschi misti di latifoglie ad una quota compresa tra 400-1300 m. É presente
nelle fasce riparie associato ad altre latifoglie mesofile, limitatamente però alle porzioni di bosco
più evolute.

Ontano bianco (Alnus incana).


Albero alto fino a 15 (20) m, presenta una chioma slanciata e densa di un verde più chiaro rispetto
all’ontano nero; la scorza, grigia, piuttosto liscia e un po' lucida all’inizio diventa un po' opaca ma
poco rugosa. Le gemme, a differenza dell’ontano nero, non sono mai appiccicose; le foglie, alterne,
picciolate, pubescenti da giovani come i rametti, presentano una forma ovato-lanceolata, con apice
acuto, base cuneata e margine doppiamente seghettato. I fiori, assai precoci, sono emessi prima
delle foglie; quelli maschili sono riuniti in amenti allungati, mentre quelli femminili sono portati in
piccoli amenti di forma ovoidale o subrotonda che si trasformano alla fine in una specie di piccola
pigna un po' legnosa nel frutto.
É presente sulle Alpi e sull’Appennino lungo i corsi d’acqua ( di rado dove questa ristagna, come
nella zona di Oulx), gli impluvi e in tutte le zone ricche di umidità da 800 m circa a 1500 m (500 m
nell’Appennino) mentre è raro più in basso.

32
Ruvida.
33
Vedi nota 24.
Ontano nero (Alnus glutinosa).
Pianta arborea a portamento conico, con fusto diritto che può oltrepassare i 25 m di altezza. Le
branche sono inserite ad angolo retto nella parte inferiore e media del fusto mentre verso la cima
formano con quello un angolo acuto; la chioma è molto densa, di colore verde scuro. La corteccia è
grigio scura, con grosse lenticelle da giovane; negli esemplari adulti presenta placche di forma
rotondeggiante e irregolare. Le foglie sono ovali/arrotondate, ottuse o retuse34 all’apice, con
denticolatura irregolare non molto evidente. I fiori precocissimi, sono portati separatamente sullo
stesso individuo; quelli maschili sono in amenti35 penduli, mentre quelli femminili, molto più piccoli
e brevi, danno luogo a infruttescenze simili a piccole pigne un po' legnose. Specie esigente di luce e
acqua anche stagnante; forma boschetti puri nelle paludi , torbiere e lungo i corsi d’acqua.
É presente in Piemonte a partire dalla pianura fino ad una quota di 800-1000 m.

Orniello (Fraxinus ornus).


É un albero di piccole dimensioni (10-15 m), con fusto eretto e chioma rotondeggiante; la corteccia
è liscia, chiara e non desquama. Le gemme invernali, nel periodo di riposo vegetativo, sono ben
visibili e di colore bruno chiaro36; le foglie sono composte, imparipennate, con 5-9 foglioline a
margine intero, picciolate, ovali appuntite.37.I fiori, bianchi e vistosi, addensati in pannocchie
erette, spuntano all’estremità del ramo dell’anno, appena dopo la fogliazione (fine aprile-maggio); il
frutto è una samara38 fornita di un’ala. Specie frugale, eliofila e termofila, cresce su terreni poveri e
calcarei. In Piemonte l’areale di diffusione va dall’Appennino ligure- piemontese e Langhe alle
Colline del Po non lontano da Torino, mentre è rara nelle Alpi Cozie meridionali e Marittime; può
raggiungere anche i 1000 m di quota.

34
Rientranti all’apice.
35
Vedi nota 12.
36
Non nere come nel frassino maggiore.
37
Non lanceolate come nel frassino maggiore.
38
Vedi nota 24.
Palle di neve (Viburnum opulus).
Arbusto caducifoglio alto 2-5 m, con rami prima verdi poi brunastri a sezione esagonale. Le foglie
sono opposte, picciolate, palmate , con margine profondamente dentato verso l’apice e intero verso
la base; la pagina superiore è verde chiaro e vellutata, quella inferiore ruvida e tomentosa39. I fiori
sono portati in infiorescenze ad ombrella; i fiori periferici, sterili e vistosi, hanno maggiori
dimensioni e colore bianco; per contro, quelli interni, fertili, sono molto più piccoli e di colore
crema talvolta sfumato di rosa. I frutti sono delle drupe, lucide e rosse, delle dimensioni di un
pisello. Specie poco esigente in fatto di luce, è legata alle formazioni riparie nelle quali si colloca
nelle stazioni più umide (sovente con l’ontano nero). É presente nelle Alpi fino ad una quota di
1000 m circa.

Pino silvestre (Pinus sylvestris).


Albero alto fino a 25-30 m, presenta una chioma leggera, grigio-verde, dapprima piramidale quindi
espansa o quasi ombrelliforme. Il fusto, diritto, presenta, nella parte superiore, una corteccia roseo-
aranciata, che si desquama in fogliette sottili cartacee, mentre nella parte bassa diventa spessa,
scura, rugosa e solcata. Gli aghi, a coppie, sono lunghi fino a 5 cm, verde-grigi, contorti, rigidi e
pungenti. I coni fiorali maschili sono piccoli , gialli, posti alla base dei germogli; quelli femminili
sono lunghi fino a 5 cm, isolati e privi di peduncolo all’apice dei rametti.
Specie eliofila, frugale, indifferente al substrato, sopporta le basse temperature e l’aridità; è
presente, oltre che in boschi puri e misti nelle valli steppiche come colonizzatrice dei greti di
parecchie valli alpine e di alcuni impluvi delle Langhe, Acquese e, raramente, Appennino.

39
Coperta da peli fini molto corti e fittissimi a formare una specie di feltro.
Pioppo bianco (Populus alba).
Albero di grandi dimensioni (35 m) con chioma ampia e irregolare. Il fusto, dapprima un po’
tortuoso, diventa diritto e colonnare con diametri notevoli e grosse ramificazioni portate in alto
sulla chioma. La corteccia in età giovanile è biancastra e liscia poi diventa rugosa, scura e
screpolata nella parte inferiore del fusto. Le foglie sono palmate, con 5 lobi, candide e tomentose40
nella pagina inferiore; la fioritura avviene in primavera più o meno avanzata a seconda delle quote;
i fiori sono portati in amenti41 pelosi. Esigente in fatto di luce, lo è meno per quanto riguarda
l’acqua del pioppo nero non sopportando la sommersione tanto che può invadere coltivi
abbandonati anche se in modo transitorio; predilige suoli con tessitura meno grossolana rispetto al
pioppo nero. É sporadico lungo fiumi e torrenti alpini mentre è più frequente e anche gregario
nell’Appennino fino da una quota di 800-1000 m.

Pioppo nero (Populus nigra).


É un albero di prima grandezza ( può raggiungere i 25-30 m) a chioma espansa, fusto slanciato e
rami principali grossi e ascendenti. Le foglie sono piccole, glabre, di forma romboidale. La
fioritura avviene in marzo-aprile, prima dell’emissione delle foglie (come tutti i pioppi con piante
maschili e femminili separate); i fiori sono costituiti da amenti privi di peluria. É una specie
esigente in fatto di luce e di acqua ma non sopporta il ristagno idrico, pertanto si colloca su suoli
ben drenati ma forniti di falda poco profonda. É presente nei fondovalle alpini e appenninici fino ad
una quota di 1000 m. Può essere confuso con le cultivar ibride fra il pioppo nero e i pioppi di
origine nordamericana dalle quali differisce per le foglie più piccole, per l’assenza di ghiandole
nella zona di inserzione del picciolo con la lamina fogliare che non è cuoriforme e mai rossiccia
all’inizio della fogliazione.

40
Vedi nota 39.
41
Vedi nota 12.
Pioppo tremolo (Populus tremula).
Albero alto fino a 20 m, con fusto diritto e chioma raccolta in alto, ha una scorza liscia grigio-
verdastra che si screpola a partire dalla base nei soggetti adulti. Le foglie presenti sui rami di
allungamento sono ovato-triangolari, lisce sulla pagina superiore, pelose su quella inferiore; i rami
laterali hanno foglie più piccole e arrotondate e margine grossolanamente dentato; entrambi i tipi di
foglie hanno un lungo picciolo appiattito lateralmente che stormiscono anche sotto l’azione di un
vento leggero, da cui il nome dell’albero. I fiori sia maschili che femminili sono portati in amenti
pelosi lunghi 10-12 cm, prima dell’emissione delle foglie. Specie eliofila e pioniera , colonizza ex-
coltivi, prati-pascoli abbandonati e aree denudate dando origine talvolta a boschetti puri. É una
specie caratteristica del piano montano delle Alpi anche se è diffusa in modo abbastanza localizzato
in pianura (sino a 1600 m raramente); entra sporadicamente a far parte anche delle cenosi riparie.

Prugnolo (Prunus spinosa).


Arbusto spinoso di 2-3 m, con chioma densa, rami spinescenti e corteccia liscia; i rami dell’anno
sono spesso ricoperti da pruina42. Le foglie sono, piccole, alterne, di forma ovale, con peduncolo
sottile, margine doppiamente dentato e ripiegate a V; la pagina superiore è verde scura, mentre su
quella inferiore è presente una fitta peluria. I fiori, precoci in quanto compaiono prima della
fogliazione, sono abbondantissimi, bianchi e portati isolatamente o in gruppi di 4-5. I frutti sono
delle drupe sferiche, del diametro di 1-2 cm, di colore nero-bluastro, pruinosi, con polpa succosa
molto aspra. Specie esigente in fatto di luce, si incontra al margine dei boschi, lungo le siepi,
invadente sui coltivi abbandonati, nella fascia collinare e montana fino ad una quota di 1000 (1600)
m; è presente sulle Alpi e sugli Appennini. Solo occasionalmente fa parte delle boscaglie riparie.

42
Sostanza cerosa biancastra.
Robinia (Robinia pseudoacacia).
Specie arborea esotica di origine nordamericana (15-20 m), spinescente per aculei abbinati molto
robusti posti alla base delle foglie sui fusti giovani; ha chioma leggera, ampia, arrotondata, con
ramificazione rada e irregolare. Le foglie sono composte e imparipennate43formate da foglioline
ovali. Ha la caratteristica di crescere molto rapidamente e di espandersi facilmente a macchia d’olio,
su terreni scoperti, per la notevole produzione di polloni radicali.
I fiori sono papilionacei44, bianchi, portati in grappoli e hanno un profumo gradevole. Il frutto è un
legume45 coriaceo, appiattito e nerastro che, durante l’inverno, persiste sulla chioma e contiene
semi duri, rotondi e appiattiti.
È una specie frugale, eliofila e ubiquitaria; è in grado di spingersi dalla pianura fino ad una quota di
700 (1000) m. Può far parte della vegetazione riparia solo alle quote inferiori (non oltre i 500-600 m),
in zone particolarmente disturbate dall’uomo.

Roverella (Quercus pubescens).


Quercia generalmente di ridotte dimensioni (15 m), a fusto spesso contorto, con rametti dell’anno
ricoperti da una fitta peluria; possiede foglie lobate,cuoiose, ricoperte da peli in fase adulta solo
sulla pagina inferiore. Le foglie persistono secche per tutto il periodo invernale; il frutto è una
ghianda priva di peduncolo. É una specie eliofila e frugale che vive su suoli superficiali soprattutto
calcarei; è presente nelle valli calde delle Alpi e, più estesamente, nelle Langhe e nell’Appennino
calcareo. Normalmente non fa parte della vegetazione riparia.

43
Vedi nota 22.
44
Paragonati a farfalle, simili a quelli del fagiolo della fava e del pisello, tipici della famiglia delle fabacee (leguminose).
45
Frutto simile a quello del fagiolo.
Salice bianco (Salix alba).
Il salice bianco è una specie arborea (sino a 20-25 m di altezza), con foglie lanceolate46 a margine
finemente seghettato e fitta peluria setosa da adulte sulla pagina inferiore (pelosità su entrambe le
pagine in quelle giovani). I fiori (maschili e femminili su piante diverse), sono raccolti in amenti47,
compaiono unitamente alle foglie in primavera. Specie ad areale molto ampio è comune in tutte le
zone umide fino da una quota di 1000 m, meno frequente, rispetto agli altri salici, nei boschi ripari
dei fondovalle alpini.

Salice da ceste (Salix triandra).


Arbusto policormico o alberetto di piccole dimensioni (sino a 5 m), a chioma espansa, presenta una
corteccia liscia che negli esemplari adulti si stacca in piccole placche irregolari. I rami sono opachi,
glabri48 quelli secondari fragili all’inserzione sul fusto. Le foglie sono lanceolate, simmetriche,
finemente dentellate, verde scuro nella pagina superiore e opache e glauche nella pagina inferiore;
alla base del picciolo stanno stipole49 reniformi o cordate50. I fiori sono portati in amenti lunghi fino
a 5 cm.
Abita stazioni caldo-umide solo in pianura, su terreni alluvionali limoso-sabbiosi, lungo i corsi
d’acqua fino al piano montano (massimo 1000 m); è presente in tutta Italia escluse le isole,
associato qua e là al salice bianco.

46
In forma di lancia.
47
Vedi nota 12.
48
Liscio privo di peli.
49
Vedi nota 17.
50
A forma di cuore.
Salice delle capre (Salix caprea).
Arbusto o piccolo albero, alto al massimo 15 m, presenta una scorza verdastra da giovane e poi
grigia e fessurata in maglie romboidali; i rami sono glabri51e grigio-verdi da giovani, in fase adulta
diventano rossastri; il legno dei rami giovani sotto la corteccia è liscio.
Le foglie hanno forma variabile dall’ovale all’ellittica, con margine più o meno dentellato; la pagina
superiore è verde, sparsamente pelosa, specialmente lungo la nervatura centrale; la pagina inferiore
è densamente e brevemente pelosa. Il picciolo è abbastanza lungo; i fiori sono portati in amenti52,
ovali, eretti e peduncolati. La fioritura è molto precoce e precede la fogliazione.
Specie ad ampio areale, evidenzia caratteristiche pioniere; predilige i terreni umidi o anche
moderatamente asciutti, dalla pianura fino ad una quota di 1000 (1500) m; sporadico nei
popolamenti ripari.
Salice nero (Salix daphnoides).
Piccolo albero o arbusto bene sviluppato (3-10 m), possiede rami inizialmente pelosi (1° anno) e
fragili all’inserzione, poi glabri e con corteccia bruno-rossastra salvo i giovani getti più vigorosi che
si riconoscono facilmente per una vistosa cerosità di colore azzurrognolo. Le foglie sono lanceolate,
con la parte più larga posta poco sopra la metà della foglia; l’apice è cuneato, la base allargata e il
margine finemente seghettato. Alla base delle foglie presenti sui rami di allungamento sono presenti
le stipole53. Sia i fiori maschili che quelli femminili sono portati in amenti54 brevemente
peduncolati.
Specie esclusiva del piano montano delle Alpi nelle vallate continentali in un intervallo di quota
compresa fra 1000 e 1600 m, si insedia puro o misto nelle formazioni riparie; predilige suoli
ciottolosi a falda quasi affiorante.

51
Vedi nota 48.
52
Vedi nota 12.
53
Vedi nota 17.
54
Vedi nota 12.
Salice ripaiolo ( Salix eleagnos).
Arbusto di 3-4 m (raramente alberello sino a 10-15 m d’altezza, ma solo nelle aree a migliore
alimentazione idrica), è caratterizzato da rami tenaci, quelli giovani giallo-rossastri e tomentosi55 da
giovani poi lucenti. Le foglie sono più strette e allungate rispetto al salice rosso, ondulato-
denticolate al margine; in fase giovanile si presentano interamente bianche e tomentose, da adulte
mantengono tale caratteristica solo sulla pagina inferiore. Più spesso è presente su greti ciottolosi
con falda non superficiale; è molto diffuso in questi ambienti su Alpi e Appennino fino ad una
quota di 1800 m.

Salice rosso ( Salix purpurea).


É un arbusto di 1-4 m, con fusto grigio-verde e rami tenaci, glabri56e spesso rossastri in fase
giovanile; le foglie sono lanceolato-lineari , a margine poco dentellato, verde scuro sulla pagina
superiore, verde-azzurri su quella inferiore, prive di peli , con larghezza massima ad ¼ dall’apice;
gli amenti compaiono prima delle foglie. Piuttosto esigente in fatto di luce e di acqua, è frequente
negli Appennini e nelle Alpi lungo i torrenti e i fiumi nei greti e ai bordi dei boschi ripari dalla
pianura fino ad una quota di circa 1800 m.

Sambuco nero (Sambucus nigra).


Arbusto o piccolo albero alto mediamente 3-5 m, ha rami grigi, lisci, ricchi di lenticelle e quelli
giovani cavi e con midollo bianco. Le foglie sono opposte e composte da 3-7 elementi, pubescenti e
di forma ovato-acuminata; se stropicciate emanano un odore sgradevole. I fiori bianchi, ermafroditi
e odorosi, sono portati in una infiorescenza corimbosa57 di 10-20 cm di diametro. I piccoli frutti
sono di colore nero-violaceo di 4-5 mm e contengono un succo di colore rosso. Predilige suoli
freschi e ricchi di azoto; è riscontrabile con una certa frequenza in saliceti e ontaneti ripari. É
ampiamente diffuso a partire dalla pianura fino a 1000 (1300) m.

55
Vedi nota 39.
56
Vedi nota 48.
57
Vedi nota 26.
Sambuco rosso (Sambucus racemosa).
Arbusto alto 1-5 m, estremamente ramificato, ha una corteccia bruno-violetta con lenticelle
biancastre disposte longitudinalmente. Le foglie sono imparipennate, composte da 3-7 segmenti
lanceolati, acuminati nella parte apicale, seghettati e lucidi nella pagina inferiore. I fiori bianco-
giallastri, di ridotte dimensioni, sono portati in infiorescenze a grappolo. Il frutto è una drupa
subsferica di colore rosso. Specie presente in tutto il Piemonte sulle Alpi, entra sporadicamente a far
parte delle cenosi riparie; può essere presente con una certa frequenza negli alneti di ontano bianco
ad una quota compresa tra i 900 e i 1300 m.

Sanguinello (Cornus sanguinea).


É un arbusto di 2-6 m , con rami pubescenti e rossastri, molto vistosi nel periodo invernale. Le
foglie sono opposte, ellittiche, con 3-4 nervature laterali molto visibili che seguono il margine
fogliare; in autunno assumono una colorazione rosso-porpora scuro. I fiori, numerosi e bianchi,
sono portati in corimbi58 di 4-5 cm di diametro; i frutti sono drupe59 sferiche di colore purpureo-
nerastro, non commestibili. Specie presente su Alpi e Appennino a partire dalla pianura, nei boschi
di latifoglie anche ombrosi e nelle siepi fino ad una quota di 1100 m. Nelle boscaglie riparie può
essere abbastanza frequente, soprattutto in quelle in evoluzione.

Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia).


Piccolo albero o arbusto policormico alto fino a 10-15 m, ha una scorza grigia e liscia. Le foglie
sono imparipennate60, composte da 5-9 foglioline sessili61, con margine dentato all’apice e intero
alla base. I fiori sono bianchi portati in infiorescenze ombrelliformi. Il frutto è un piccolo pomo di
colore rosso, liscio delle dimensioni di un pisello.
Specie pioniera si associa alle formazioni arbustive, come quelle ad ontano alpino, sulle quali può
formare uno strato dominante rado; è altrettanto frequente ai margini dei boschi di conifere e
latifoglie, sporadico nelle cenosi riparie. L’areale di diffusione comprende Alpi e Appennino tra gli
800 e i 2000 m. Non fa parte, a rigore, dei boschi ripari salvo eccezioni alle quote superiori.

58
Vedi nota 26.
59
Vedi nota 20.
60
Vedi nota 22.
61
Vedi nota 23.
Spincervino (Rhamnus catharticus).
É un arbusto di altezza variabile tra 1 e 5 m, con corteccia bruno-rossastra e rami spinescenti
all’apice. Le foglie sono ellittiche o subrotonde, dentellate sul bordo e portate da peduncoli più
lunghi delle stipole62. I fiori sono molto piccoli, di colore giallo–verde, in gruppi di 2-8; il frutto è
una bacca nerastra. Specie eliofila, è diffusa soprattutto sulle Alpi, prevalentemente su substrati
calcarei, fino ad una quota di 800-1000 m su suoli asciutti e ciottolosi.
Può essere presente nelle radure delle boscaglie riparie tendenzialmente xerofile.

Tiglio selvatico (Tilia cordata).


Pianta a portamento arboreo alta fino a 25 m, con chioma piramidale-arrotondata; fusto diritto e
corteccia inizialmente liscia e grigia poi percorsa da solcature fitte e longitudinali. Le foglie
alterne, picciolate, sono costituite da una lamina relativamente piccola, cuoriforme, percorsa da
nervature coperte, sulle biforcazioni della pagina inferiore, da peluria rossiccia chiara. I fiori, che
compaiono in giugno, sono giallognoli, profumati, portati a 4-15, sorretti da una brattea63 aliforme
a forma di linguetta. Il frutto, piccolo e coriaceo, è sferico. Specie sporadica nei boschi misti di
latifoglie mesofile e sui bassi versanti montani, predilige le stazioni caratterizzate da un clima
continentale a buone precipitazioni su suoli debolmente acidi e relativamente poco evoluti; è
presente dalla pianura (raro) fino ad una quota di 1200 m.

62
Vedi nota 17.
63
Vedi nota 29.
9.2 Caratteristiche biologiche delle specie.

Si riportano, per comodità di confronto, alcune caratteristiche biologiche delle specie prese in
considerazione perché aventi particolare influenza sulle tecniche di gestione selvicolturale da
applicarsi.

Acero di monte.
Radicamento: apparato radicale relativamente profondo e folto.
Rigenerazione: buona capacità pollonifera (limitatamente alle fasi giovanili) e buona capacità
rigenerativa per via agamica; anemocora.64
Accrescimento: rapido in fase giovanile.
Longevità: media o elevata (superiore a 100 anni).
Posizione ciclo evolutivo: specie stabilizzatrice delle alluvioni nelle valli incassate, susseguente allo
stanziamento dell’ontano bianco, con altre latifoglie nobili.

Betulla.
Radicamento: radicamento superficiale, non fittonante , ma ben ramificato.
Rigenerazione: buona moltiplicazione sia gamica che agamica.
Accrescimento: rapido.
Longevità: media (di poco superiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: come il larice.

Biancospino.
Radicamento: profondo e ramificato.
Rigenerazione: polloni radicali; disseminazione tramite gli uccelli (endozoocora65).
Accrescimento: lento.
Longevità: inferiore al secolo.
Posizione ciclo evolutivo: specie sporadica nei boschi ripari con inizi di evoluzione.

64
Disseminazione tramite vento.
65
Attraverso il tubo digerente degli animali.
Carpino nero.
Radicamento: profondo, fittonante (su substrato ciottoloso).
Rigenerazione: ottima capacità pollonifera.
Accrescimento: abbastanza rapido in giovane età (polloni.).
Longevità: non molto longevo ( difficilmente supera i 100 anni, è praticamente ovunque governato
a ceduo su cicli brevi, 15-20 anni).
Posizione ciclo evolutivo: nei boschi ripari appenninici con inizi di evoluzione, è sporadico e per lo
più marginale, salvo negli impluvi minori privi di acqua per gran parte
dell’anno dove può formare cedui puri o con l’orniello.

Cerro.
Radicamento: profondo, fittonante.
Rigenerazione: buona capacità pollonifera.
Accrescimento: medio.
Longevità: elevata (alcuni secoli).
Posizione ciclo evolutivo: nei boschi ripari appenninici con inizi di evoluzione è accidentale o
marginale.

Ciliegio a grappoli.
Radicamento: apparato radicale profondo.
Rigenerazione: abbondante emissione di polloni radicali.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (alcuni decenni).
Posizione ciclo evolutivo: specie accompagnatrice dell’ontano nero nei suoi boschi stabili in
ambienti paludosi.

Ciliegio selvatico.
Radicamento: profondo.
Rigenerazione: abbondante emissione di polloni radicali e facile disseminazione endozoocora.66
Accrescimento: medio.
Longevità: intorno ai 100 anni.
Posizione ciclo evolutivo: come il cerro, ma talvolta anche presente sulle Alpi.

66
Vedi nota 64.
Corniolo.
Radicamento: apparato radicale espanso.
Rigenerazione: buona capacità pollonifera e possibilità di riproduzione per talea.
Accrescimento: medio.
Longevità: qualche decennio.
Posizione ciclo evolutivo: rara e marginale nei boschi ripari appenninici con inizi di evoluzione.

Frangola comune.
Radicamento: apparato radicale espanso, profondo e ben ramificato.
Rigenerazione: buona sia gamica che agamica per polloni radicali.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (alcuni decenni).
Posizione ciclo evolutivo: poco frequente nei boschi ripari dove invade suoli scoperti paludosi e
acidi.

Frassino maggiore.
Radicamento: apparato radicale profondo e fittonante ma molto ramificato.
Rigenerazione: buona capacità rigenerativa sia agamica che gamica.
Accrescimento: rapido in fase giovanile.
Longevità: media (superiore a 100 anni).
Posizione ciclo evolutivo: come l’acero di monte

Fusaggine.
Radicamento: abbastanza superficiale.
Rigenerazione: modesta per via agamica; rinnovazione uccelli.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: specie sporadica nei boschi ripari con inizi di evoluzione.
Ginepro.
Radicamento: apparato radicale fittonante e profondo.
Rigenerazione: possibile per talea prelevata in inverno.
Accrescimento: lento.
Longevità: qualche decennio.
Posizione ciclo evolutivo: raro nelle radure delle boscaglie nei greti appenninici.

Lantana.
Radicamento: relativamente profondo ed espanso.
Rigenerazione: facile sia gamica che gamica; rinnovazione tramite uccelli.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: sporadico nei boschi ripari di pino silvestre delle Langhe e nelle radure
dei greti appenninici.

Larice.
Radicamento: apparato radicale fittonante e profondo.
Rigenerazione: anemocora.67
Accrescimento: rapido nelle fasi giovanili.
Longevità: molto longeva (plurisecolare).
Posizione ciclo evolutivo: pioniero e relativamente stabile nei greti se non soggetto all’azione di
inghiaiamento o erosiva delle alluvioni.

Melo selvatico.
Radicamento: profondo e allargato.
Rigenerazione: discreta capacità pollonifera; disseminazione tramite animali (zoocoria).
Accrescimento: lento.
Longevità: superiore al secolo.
Posizione ciclo evolutivo: sporadico e marginale nei greti appenninici.

67
Vedi nota 63.
Nocciolo.
Radicamento: profondo e ramificato.
Rigenerazione: buona propagazione per talea ed eventuale ceduazione; rinnovazione da seme
tramite roditori.
Accrescimento: inizialmente rapido.
Longevità: ceppaia con vitalità in genere inferiore al secolo con ricambio dei polloni ogni 15-20
anni.
Posizione ciclo evolutivo: specie piuttosto esigente, sporadica nei boschi ripari con inizi di
evoluzione.
Olmo campestre.
Radicamento: apparato radicale profondo e “tracciante”, allargato.
Rigenerazione: abbondante emissione di polloni radicali; anemocora.
Accrescimento: medio.
Longevità: oggi poco longevo (pochi decenni o anche meno) a causa degli attacchi di grafiosi; un
tempo era specie molto longeva (più secoli).
Posizione ciclo evolutivo: un tempo specie d’accompagnamento nei boschi planiziali umidi, a
contatto esterno con quelli ripari, oggi qui del tutto sporadico.

Olmo montano.
Radicamento: profondo e ramificato.
Rigenerazione: discreta facoltà pollonifera da ceppaia.
Accrescimento: medio.
Longevità: oggi poco longevo (pochi decenni o anche meno) a causa degli attacchi di grafiosi; un
tempo era specie molto longeva (più secoli).
Posizione ciclo evolutivo: specie stabilizzatrici delle alluvioni nelle valli incassate, susseguente allo
stanziamento dell’ontano bianco, con altre latifoglie nobili.
Ontano bianco.
Radicamento: profondo e ramificato, resistente all’apporto di materiale ciottoloso (ottima azione
antierosiva).
Rigenerazione: buona facoltà pollonifera da ceppaia; facile rinnovazione tramite vento
68
(anemocora ).
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longeva (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: pioniera e spesso stabile nei greti con falda elevata (talvolta anche in
Appennino).
Ontano nero.
Radicamento: profondo e fascicolato.
Rigenerazione: ottima capacità pollonifera e capacità di affrancamento dei polloni; diffusione
anemocora69.
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longeva (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: stabile lungo i torrenti, misto ad altre latifoglie o puro nelle zone
paludose.
Orniello.
Radicamento: apparato radicale fittonante e profondo.
Rigenerazione: ottima capacità pollonifera e buona disseminazione anemocora.
Accrescimento: medio.
Longevità: poco longevo (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: invadente zone scoperte (sporadico nei greti appenninici).

68
Vedi nota 63.
69
Vedi nota 63.
Palla di neve.
Radicamento: apparato espanso ma poco profondo.
Rigenerazione: buona per via agamica (polloni radicali e per talee); disseminazione per via
endozoocora.70
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: specie non frequente, d’accompagnamento nel sottobosco dei boschi
paludosi di ontano nero

Pino silvestre.
Radicamento: apparato radicale fittonante e profondo.
Rigenerazione: rinnovazione tramite vento (anemocora).
Accrescimento: rapido da giovane.
Longevità: media o elevata(superiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: pioniero sui greti ciottolosi dove può comportarsi come specie stabile
(salvo alluvioni) nelle valli alpine continentali e, talvolta, nelle Langhe.

Pioppo bianco.
Radicamento apparato radicale poco profondo.
Rigenerazione: discreta facoltà pollonifera (abbondante emissione di polloni radicali) e
riproduzione per talea più o meno buona a seconda degli individui.
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longevo (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: come il pioppo nero.

70
Vedi nota 64.
Pioppo nero.
Radicamento: apparato radicale poco profondo.
Rigenerazione: modesta facoltà pollonifera in giovani esemplari e ottima riproduzione per talea.
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longevo (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: specie pioniera e stabile sui greti, mista ad altre specie riparie, negli
Appennini e sulle Alpi.

Pioppo tremolo.
Radicamento: apparato radicale profondo e ben sviluppato.
Rigenerazione: buona facoltà pollonifera (abbondante emissione di polloni radicali).
Accrescimento: rapido (inizialmente).
Longevità: poco longevo (inferiore al secolo).

Prugnolo.
Radicamento: apparato radicale tenace e ben sviluppato anche se non profondo.
Rigenerazione: abbondante emissione di polloni radicali; rinnovazione tramite uccelli.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: specie di bordo, del tutto sporadica nei boschi ripari.

Robinia.
Radicamento: apparato radicale molto ampio e profondo con elevato potere consolidante.
Rigenerazione: elevata capacità pollonifera e abbondante emissione di polloni radicali (si riproduce
soprattutto agamicamente tramite ceduazione).
Accrescimento: inizialmente rapido.
Longevità: poco longevo come pollone.
Posizione ciclo evolutivo: invadente zone scoperte (anche greti ma solo a bassa quota), stabile e in
ulteriore diffusione se ceduata.
Roverella.
Radicamento: profondo, fittonante.
Rigenerazione: buona capacità pollonifera.
Accrescimento: lento.
Longevità: molto longevo (alcuni secoli).
Posizione ciclo evolutivo: come il cerro.

Salice bianco.
Radicamento: apparato radicale poco profondo, limitato dall’altezza della falda.
Rigenerazione: ottima capacità rigenerativa per via agamica (talea) e buona capacità pollonifera
fino a circa 15 anni.
Accrescimento: modesto.
Longevità: scarsa (non superiore a 100 anni).
Posizione ciclo evolutivo: tipica specie riparia che si dissemina rapidamente sulle alluvioni recenti
formando boschetti puri o quasi a bassa quota, relativamente stabili
(salvo l’azione delle alluvioni).

Salice da ceste.
Radicamento: apparato radicale poco profondo ma folto(con ottima azione antierosiva).
Rigenerazione: buona capacità rigenerativa per via agamica (talee); diffusione del seme tramite il
vento ma del tutto subordinata a quella del salice bianco.
Accrescimento: medio.
Longevità: modesta (alcuni decenni).
Posizione ciclo evolutivo: pioniero delle alluvioni sabbiose con il salice bianco (vedi), ma con
presenze sporadiche.
Salice delle capre.
Radicamento: apparato radicale poco profondo ma folto (con ottima azione antierosiva almeno
superficiale).
Rigenerazione: buona capacità rigenerativa per via agamica (talee), buona facoltà pollonifera
(limitata alle fase giovanile).
Accrescimento: rapido.
Longevità: poco longevo (alcuni decenni).
Posizione ciclo evolutivo: invadente suoli scoperti e di riporto, freschi, quale specie preparatoria;
poco frequente nei boschi ripari.
Salice nero.
Radicamento: apparato radicale profondo e ben sviluppato.
Rigenerazione: buona riproduzione per talee caulinari a radicali da raccogliere durante la fioritura.
Accrescimento: rapido nelle fasi giovanili.
Longevità: scarsa (inferiore al secolo).

Salice ripaiolo.
Radicamento: apparato radicale poco profondo ma folto (con ottima azione antierosiva).
Rigenerazione: ottima capacità rigenerativa per via agamica (talee) legata però al periodo di riposo
vegetativo.
Accrescimento: rapido.
Longevità: modesta (qualche decennio).
Posizione ciclo evolutivo: lungo i torrenti alpini ripariolo può costituire boschetti misti con l’ontano
bianco..

Salice rosso.
Radicamento: apparato radicale poco profondo ma folto (con ottima azione antierosiva).
Rigenerazione: ottima capacità rigenerativa per via agamica (talee), anche se in vegetazione.
Accrescimento: rapido.
Longevità: modesta (qualche decennio).
Posizione ciclo evolutivo: tipica pioniera con il salice ripaiolo.
Sambuco nero.
Radicamento: superficiale.
Rigenerazione: buona propagazione per talea.
Accrescimento: lento.
Longevità: scarsa (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: specie d’accompagnamento nitrofila (soprattutto nei robinieti).

Sambuco rosso.
Radicamento: superficiale.
Rigenerazione: buona propagazione per talea.
Accrescimento: lento.
Longevità: scarsa (inferiore al secolo).

Sanguinello.
Radicamento: non molto profondo.
Rigenerazione: per seme dopo macerazione dei frutti o per via endozoocora.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (pochi decenni).
Posizione ciclo evolutivo: talvolta frequente nei boschi ripari umidi.

Sorbo degli uccellatori.


Radicamento: apparato radicale profondo.
Rigenerazione: zoocora.71
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (inferiore al secolo).
Posizione ciclo evolutivo: del tutto sporadico in ambiente ripario alpino.

71
Vedi nota 63.
Spincervino.
Radicamento: profondo nei terreni ciottolosi.
Rigenerazione: disseminazione tramite uccelli.
Accrescimento: lento.
Longevità: modesta (qualche decennio).
Posizione ciclo evolutivo: sporadico nelle aree scoperte dei greti.

Tiglio selvatico.
Radicamento: apparato radicale fittonante e robusto.
Rigenerazione: buona facoltà pollonifera.
Accrescimento: rapido in fase giovanile.
Longevità: elevata (plurisecolare).
Posizione ciclo evolutivo: come l’acero di monte.
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STROFFEK S., PIÉGAY H., BOSC N., POUSSARD G., 1999 – Favoriser une bande naturelle entre lit
des rivierès et terres agricoles. Forêt-enterprise, 129.
THEVENOT A.,1995 - Amenagement et gestion de la ripisylve de l’Argens. “Gestion des rivières et
des Ripisylves en région méditerranéenne”. Maison Régional de l’eau, Barjols (Var) 28 sept.
FORMAZIONI LINEARI DELL’APPENNINO

Foto-1 Valle Curone. Formazione lineare dell’Appennino a pioppo bianco e pino silvestre. Si tratta di popolamenti
importanti sotto l’aspetto protettivo e di elevato valore estetico-paesaggistico; pertanto devono essere evitati interventi
sistematici di eliminazione dello strato vegetale qualora non siano strettamente necessari (foto Ferraris).

Localizzazione.
Questa formazione si colloca lungo i corsi d’acqua minori e secondari dei fondovalle appenninici
fino ad una quota di 400-600 m.
Formazioni diffuse in Val Borbera, Val Curone e localmente nella Valle
Scrivia.

Struttura e vegetazione
Si tratta di formazioni lineari, di parziale origine antropica talvolta ottenute inserendo
pioppi ibridi frammenti alle specie spontanee, in cui si susseguono gruppi di alberi
governati ad alto fusto con altri governati a ceduo; i soggetti dominanti raggiungono
facilmente i 20 m di altezza. Le specie presenti sono pioppo ibrido, pioppo nero,
pioppo bianco, noce, salice bianco, pino silvestre (raro) ontano nero e robinia; queste
ultime si trovano generalmente allo stato di ceduo.
L’alveo, nelle zone di maggiore ampiezza (3-5 m), può essere parzialmente
colonizzato da salice bianco, in forma arbustiva o arborea allo stadio di spessina.
Foto-2 Formazione lineare della bassa Valle Borbera. Tratto di corso d’acqua secondario in cui sono visibili alcuni
salici bianchi capitozzati ed un esemplare di pioppo ibrido. E’ assolutamente necessario asportare prontamente i pioppi
giunti a maturità per scongiurare, in caso di piene, una loro eventuale caduta in alveo (foto Ferraris).

INTERVENTI.

1. Taglio degli alberi di grandi dimensioni nell’alveo.


2. Taglio delle piante inclinate e degli alberi di grandi dimensioni che
presentano segni evidenti di erosione al piede in un tratto di 30 m a
monte dei ponti.
3. Asportazione dei detriti e dei cumuli vegetali nell’alveo in un tratto di 30
m a monte dei ponti.
4. Asportazione degli alberi caduti o morti.
Prima dell’intervento. Dopo l’intervento.

ALCUNE NORME DA RISPETTARE.

• Effettuare interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante.
• Accatastare il legname in luoghi sicuri o allontanarlo immediatamente.
• Adottare le buone pratiche di utilizzazione.
• Adottare le norme inerenti la sicurezza nei cantieri.
• Evitare interventi sistematici dove non sussistono reali condizioni di pericolo.
• Evitare sradicamento delle ceppaie.
• Evitare danneggiamenti alla vegetazione circostante durante le fasi di intervento.
ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE
Ontano nero.
• Albero che può oltrepassare i 25m.
• Chioma molto densa di colore verde scuro.
• Corteccia grigio-scura, con grosse lenticelle e placche rotondeggianti.
• Foglie rotondeggianti ottuse o rientranti all’apice con denticolatura
poco evidente.
• Fiori separati; maschili in infiorescenze pendule a forma di spiga,
femminili simili a piccole pigne.

Pioppo bianco.
• Albero di grandi dimensioni (35 m).
• Chioma ampia e irregolare sorretta da grosse ramificazioni.
• Corteccia in età giovanile biancastra e liscia poi rugosa, scura e
profondamente screpolata nella parte inferiore del fusto.
• Foglie palmate con 5 lobi e con fitta peluria bianca nella pagina
inferiore.

Pioppo nero.
• Albero di prima grandezza di 25-30 m.
• Chioma espansa.
• Foglie piccole, lisce e di forma romboidale.
• Fiori maschili e femminili separati, costituiti da amenti privi di
peluria.
• Fioritura in marzo-aprile, prima dell’emissione delle foglie.

Salice bianco.
• Albero alto sino a 20-25 m.
• Foglie lanceolate a margine finemente seghettato e fitta peluria setosa
sulla pagina inferiore.
• Fiori maschili e femminili su piante diverse, raccolti in amenti.
Robinia.
• Albero alto fino a 15-20 m.
• Chioma leggera, ampia.
• Presenza di aculei abbinati alla base delle foglie.
• Foglie divise in foglioline ovali in numero dispari lungo la nervatura
centrale.
• Fiori bianchi, portati in grappoli : hanno un profumo gradevole.
• Frutto coriaceo, appiattito e nerastro.
PIOPPETO DI GRETO DELL’APPENNINO

Foto-1 Pioppeto di pioppo nero misto a salice bianco e pioppo bianco tra Volpedo e S. Sebastiano
Curone in Valle Curone. I pioppeti di greto presenti nella Val Curone pur avendo una struttura
simile a quella osservata nei popolamenti della vicina Valle Borbera, ne differiscono per non essere
mai in purezza ma misti ad altre specie quali: salice bianco, pioppo bianco, ontano nero e ontano
bianco (foto Mondino).

Localizzazione.
Questa formazione boschiva, diffusa nei tratti iniziali e medi delle vallate
appenniniche, si insedia lungo i corsi d’acqua minori, soprattutto alla
confluenza con i torrenti, e sui greti ciottolosi posti nelle immediate
vicinanze. Le formazioni di maggiore estensione si trovano sui depositi
alluvionali recenti , posti a circa 1-1,5 m sul livello medio della falda, nelle
zone in cui le piene stagionali hanno una modesta azione erosiva.
Formazioni diffuse in Val Borbera e Val Curone.
Struttura e vegetazione
Sono boschi in gran parte coetanei, a struttura biplana (a due piani verticale), poco
estesi e diffusi in piccoli gruppi lungo i fiumi e i torrenti; i soggetti dominanti
possono raggiungere e superare 25 m di altezza e 40 cm di diametro. L’alto fusto è
composto in prevalenza da pioppo nero, pioppo bianco e pioppo ibrido. Nel
sottobosco si trovano ontano nero, olmo campestre, ciliegio, robinia, orniello e
arbusti di biancospino, sanguinello, fusaggine e nocciolo.

Foto-2 Interno di pioppeto di pioppo bianco tra Volpedo e S. Sebastiano Curone in Valle Curone.
Qualora i pioppi spontanei o ibridi posti a ridosso della sponda abbiano raggiunto la maturità,
devono essere utilizzati, in quanto la loro presenza in alveo, date le grandi dimensioni che essi
possono raggiungere, costituisce un notevole impedimento al regolare deflusso delle acque in caso
di piene che ne provochino lo sradicamento(foto Mondino).

INTERVENTI.

5. Abbattimento dei pioppi neri e bianchi ormai giunti a maturità in una


fascia di 10 m dal bordo dell’alveo.
6. Taglio fitosanitario e di messa in sicurezza dei soggetti inclinati,
schiantati o morti.
7. Ceduazione degli ontani che hanno raggiunto le dimensioni idonee
all’utilizzazione.
8. Contenimento delle piante rampicanti: vitalba e edera.
Prima dell’intervento. Dopo l’intervento.
ALCUNE NORME DA RISPETTARE.

• Effettuare interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante.
• Accatastare il legname in luoghi sicuri o allontanarlo immediatamente.
• Adottare le buone pratiche di utilizzazione.
• Adottare le norme inerenti la sicurezza nei cantieri.
• Evitare interventi sistematici dove non sussistono reali condizioni di pericolo.
• Evitare sradicamento delle ceppaie.
• Evitare danneggiamenti alla vegetazione circostante durante le fasi di intervento.
ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE

Pioppo nero.
• Albero di prima grandezza di 25-30 m.
• Chioma espansa.
• Foglie piccole, lisce e di forma romboidale.
• Fiori maschili e femminili separati, costituiti da amenti privi di
peluria.
• Fioritura in marzo-aprile, prima dell’emissione delle foglie.

Pioppo bianco.

• Albero di grandi dimensioni (35 m).


• Chioma ampia e irregolare sorretta da grosse ramificazioni.
• Corteccia in età giovanile biancastra e liscia poi rugosa, scura e
screpolata nella parte inferiore del fusto.
• Foglie palmate con 5 lobi e con peluria bianca nella pagina inferiore.

Ontano nero.

• Albero che può oltrepassare i 25m.


• Chioma molto densa di colore verde scuro.
• Corteccia grigio-scura, con grosse lenticelle da giovane e placche
rotondeggianti.
• Foglie rotondeggianti ottuse o rientranti all’apice con denticolatura
poco evidente.
• Fiori separati; maschili in infiorescenze pendule a forma di spiga,
femminili simili a piccole pigne.

Ciliegio.
• Albero di 20 m, con tronco eretto, cilindrico.
• Rami robusti e ascendenti, all’inizio quasi verticillati.
• Corteccia liscia, con lenticelle evidenti, rossastra e lucida da giovane
negli adulti con screpolataure anulari intorno al tronco.
• Fiori bianchi, vistosi, riuniti in fascetti.
ALNETO DI ONTANO BIANCO DELL’APPENNINO

Foto-1 Alneto di ontano bianco dell’Appennino nei pressi di Fabbrica Curone lungo torrente confluente nella Val Curone.
Formazione a ceduo, con sviluppo tendenzialmente lineare, costituita da soggetti di piccolo diametro ed altezze inferiori ai 10 m (foto
Mondino).
Localizzazione.
Cenosi boschiva presente ai bordi dei ruscelli affluenti dei torrenti
principali intorno a 400-500 m, nelle vallate appenniniche su substrato
calcareo (calcareo-marnoso). Sono popolamenti a sviluppo quasi lineare e
frammentati lungo corsi d’acqua di portata molto modesta dove il basso
livello della falda non consente un’ulteriore affermazione laterale delle
specie riparie.
Formazioni presenti in Val Curone.
Struttura e vegetazione

Si tratta di cedui dove la specie principale è l’ontano bianco quasi puro con qualche
esemplare di Salix eleagnos, sanguinello, frangola e nocciolo; la vitalba è presente ai
bordi.
Il piano arbustivo è generalmente reso frammentario dalla notevole copertura
esercitata dall’ontano bianco; sono comunque da rilevare: sanguinello, lantana,
biancospino, frangola comune e carpino nero.

Foto-2 Alneto di ontano bianco dell’Appennino nei pressi di Fabbrica Curone lungo torrente confluente nellaVal Curone.
Nella foto presa in esame risulta evidente la necessità di intervenire in tempi brevi per asportare i soggetti instabili e per ceduare le
ceppaie di ontano, preservando almeno un pollone per ceppaia con funzione di tirasucchio (foto Mondino).
INTERVENTI.

1. Ceduazione delle ceppaie nella fascia a ridosso del corso d’acqua con
rilascio di almeno 1 pollone con funzione di tirasucchio.
2. Tagli fitosanitari.
3. Asportazione dei detriti in alveo in un tratto di 100 m a monte dei ponti.

Prima dell’intervento. Dopo l’intervento.

ALCUNE NORME DA RISPETTARE.

• Effettuare interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante.
• Accatastare il legname in luoghi sicuri o allontanarlo immediatamente.
• Adottare le buone pratiche di utilizzazione.
• Adottare le norme inerenti la sicurezza nei cantieri.
• Evitare interventi sistematici dove non sussistono reali condizioni di pericolo.
• Evitare sradicamento delle ceppaie.
• Evitare danneggiamenti alla vegetazione circostante durante le fasi di intervento.
ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE
Ontano bianco.

• Albero alto fino a 15 (20) m.


• Corteccia grigia, piuttosto liscia e un po’ lucida all’inizio diventa un po’
opaca ma poco rugosa.
• Gemme a differenza dell’ontano nero, mai appiccicose.
• Foglie alterne, picciolate, pubescenti da giovani come i rametti , di forma
ovato-lanceolata, con apice acuto, base cuneata e margine doppiamente
seghettato.
• Fiori maschili riuniti in amenti allungati, quelli femminili in piccoli amenti
di forma ovoidale o subrotonda che si trasformano in una piccola pigna un
po’ legnosa nel frutto.

Salice ripaiolo.

• Arbusto di 3-4 m (anche alberello sino a 10-15 m d’altezza).


• Rami tenaci, giallo- rossastri poi lucenti.
• Foglie più strette e allungate rispetto al salice rosso, denticolate al margine
da giovani si presentano interamente bianche e tomentose, da adulte solo
sulla pagina inferiore.

Nocciolo.

• Pianta a portamento alto-arbustivo, alta 5-6 m.


• Corteccia grigio bruna, lucida, con lunghe fessure longitudinali .
• Rami giovani ricoperti, nella parte distale, da una fitta peluria.
• Foglie con picciolo breve, lamina a forma quasi ovale, base cuoriforme,
apice acuto e doppia dentatura.
• Fiori maschili in amenti giallo-oro assai precoci.
• Frutti (nocciole) riuniti in gruppi di 2-5.

Carpino nero.
• Albero di 10-15 m circa.
• Corteccia bruno-rossiccia, liscia da giovane, si screpola con l’età.
• Foglie ovali, acuminate, seghettate e simmetriche alla base.
• Fiori maschili portati in lunghi amenti penduli di colore giallo-verde.
• Frutti raccolti in grappoli simili all’infiorescenza femminile del luppolo.
SALICETO DI SALICE BIANCO

Foto1-Valle Belbo. Si tratta di giovani e pure perticaie di salice bianco interessate periodicamente
dalle piene ordinarie che impediscono processi di ulteriore evoluzione.
Localizzazione.
Le formazioni di maggiore estensione sono presenti lungo i fiumi ed i corsi
d’acqua dei fondovalle dell’Alta Langa; si collocano a circa 0,5 m sul
livello della falda sui depositi sabbiosi di recente formazione che si
originano nell’alveo ed in prossimità delle sponde.
Popolamenti diffusi in Valle Bormida di Millesimo e in Valle Belbo.
Struttura e vegetazione
Si tratta di popolamenti coetanei, a struttura biplana e a rapido accrescimento in cui i
soggetti dominanti possono raggiungere 15 m di altezza.
Il piano arboreo è formato da soggetti ad alto fusto, generalmente giovani, di salice
bianco unitamente a sporadici individui di ontano nero, ontano bianco e pioppo
bianco; nello strato arbustivo prevalgono salice ripaiolo, salice da ceste, salice delle
capre, sanguinello e, nelle aree sopraelevate e marginali rispetto al normale corso
delle acque, rinnovazione di ontano nero, ontano bianco, carpino nero e robinia.

Foto 2- Valle Belbo. Visione interna di giovane fustaia di salice bianco in cui lo strato erbaceo composto da alte erbe
nitrofile indica la presenza di notevole sostanza organica nel suolo.
INTERVENTI.

1. Taglio dei salici bianchi e dei pioppi con altezze superiori a 15-20 m.
2. Eliminazione dei detriti vegetali presenti in alveo
3. Tagli fitosanitari e di messa in sicurezza dei soggetti inclinati, schiantati o
morti.
Prima dell’intervento. Dopo l’intervento.

ALCUNE NORME DA RISPETTARE.

• Effettuare interventi tanto più leggeri quanto più è rada la vegetazione circostante.
• Accatastare il legname in luoghi sicuri o allontanarlo immediatamente.
• Adottare le buone pratiche di utilizzazione.
• Adottare le norme inerenti la sicurezza nei cantieri.
• Evitare interventi sistematici dove non sussistono reali condizioni di pericolo.
• Evitare sradicamento delle ceppaie.
• Evitare danneggiamenti alla vegetazione circostante durante le fasi di intervento.
ELEMENTI DI IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE

Salice bianco.
• Albero alto sino a 20-25 m.
• Foglie lanceolate a margine finemente seghettato e fitta peluria setosa sulla
pagina inferiore.
• Fiori maschili e femminili su piante diverse, raccolti in amenti.

Ontano nero.

• Albero che può oltrepassare i 25m.


• Chioma molto densa di colore verde scuro.
• Corteccia grigio-scura, con grosse lenticelle e placche rotondeggianti.
• Foglie rotondeggianti ottuse o rientranti all’apice, con denticolatura poco
evidente.
• Fiori separati; maschili in infiorescenze pendule a forma di spiga, femminili
simili a piccole pigne.

Ontano bianco.

• Albero alto fino a 15 (20) m.


• Corteccia, grigia, piuttosto liscia e un po’ lucida all’inizio diventa un po’
opaca, ma poco rugosa.
• Gemme, a differenza dell’ontano nero, mai appiccicose.
• Foglie alterne, picciolate, pubescenti da giovani come i rametti, di forma
ovato-lanceolata, con apice acuto, base cuneata e margine doppiamente
seghettato.
• Fiori maschili riuniti in amenti allungati, quelli femminili in piccoli amenti
di forma ovoidale o subrotonda che si trasformano in una piccola pigna un
po’ legnosa nel frutto.

Pioppo bianco.
• Albero di grandi dimensioni (35 m).
• Chioma ampia e irregolare sorretta da grosse ramificazioni.
• Corteccia in età giovanile biancastra e liscia poi rugosa, scura e screpolata
nella parte inferiore del fusto.
• Foglie palmate con 5 lobi e con peluria bianca nella pagina inferiore.

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