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Etiopico
di Nicola Gori
Un'enclave di rito orientale in Vaticano. È la comunità formata dai preti etiopi ed eritrei ospitati nel
Pontificio Collegio Etiopico, erede dell'antico monastero di santo Stefano degli abissini. Grazie a
questa realtà, il legame tra la Sede di Pietro e le antiche terre e i popoli dell'Abissinia non si è mai
interrotto. Un vincolo che è stato alimentato anche da grandi testimoni della fede, a cominciare dal
vescovo vincenziano san Giustino De Jacobis, del quale è stata celebrata la memoria liturgica lo
scorso 31 luglio. Ne abbiamo parlato in questa intervista con il nuovo rettore del Pontificio Collegio
Etiopico, il lazzarista padre Teclezghi Bahta.
Esse risalgono all'arrivo in Roma dei pellegrini provenienti dall'Abissinia nel xv secolo. I cristiani
di quelle terre, attuali Etiopia ed Eritrea, sono legati spiritualmente alla sede di san Marco, cioè
Alessandria di Egitto. L'inizio del cristianesimo in Etiopia risale alla prima metà del iv secolo,
quando fu convertito il regno di Aksum. Il primo vescovo Frumenzio venne consacrato da
sant'Atanasio nella prima metà del 300. Frumenzio è molto venerato dalla nostra gente. Viene
chiamato anche abba Salama ("padre di pace") e con l'appellativo Chesatiè Brhan ("rivelatore della
luce"). Dopo l'annuncio evangelico nel regno di Aksum, si instaurò la tradizione di compiere un
pellegrinaggio alla sede marciana sfidando avversità e disagi e perfino il temibile deserto. Giunti ad
Alessandria d'Egitto, i pellegrini poi si spostavano a Gerusalemme e, infine, a Roma. A questi fedeli
coraggiosi, alcuni dei quali monaci, Sisto iv nel 1481 concesse la chiesa di santo Stefano
protomartire con gli edifici adiacenti, che si trovavano proprio dietro la basilica di san Pietro. Da
allora la chiesa prese il nome di santo Stefano degli abissini.
Ben presto i locali del monastero di santo Stefano si rivelarono troppo piccoli per ospitare gli
studenti. Inoltre, a causa dell'umidità, molti giovani si ammalavano. Fu così che Pio xi decise di
costruire una dimora più ampia e più salubre. Egli stesso scelse il luogo nei Giardini vaticani dove
edificare il nuovo collegio e il 31 maggio 1929 alla presenza di dodici cardinali e numerosi membri
della Curia romana pose la prima pietra. Era presente anche abba Kidanemariam Kassa, pro-vicario
apostolico di Eritrea che tempo dopo venne consacrato vescovo proprio nella cappella del nuovo
collegio. I Pontefici hanno sempre dimostrato la loro benevolenza nei confronti del collegio
etiopico. Quando vennero firmati i patti lateranensi, i collegi che si trovavano all'interno del
Vaticano vennero spostati in altri luoghi della città. Pio xi volle che quello etiopico restasse in
Vaticano, perché diceva che il nero sta bene sul bianco, come la pupilla nera si accorda con il
bianco dell'occhio.
Giovanni XXIII poi definì il complesso "nostro seminario", mentre Paolo VI vi presiedette
personalmente alcune celebrazioni. Anche Benedetto XVI è venuto in visita al nostro collegio nel
2005, per celebrare i settantacinque anni di fondazione.
Il collegio era nato per dare ospitalità ai seminaristi etiopi che venivano a Roma per curare la loro
formazione sacerdotale. Come già detto, i primi nove seminaristi giunsero nel settembre 1919.
Questa tradizione si mantenne fino al 1980, quando venne introdotta una novità: il collegio non
ospita più seminaristi, ma preti diocesani provenienti dall'Etiopia e dall'Eritrea, che vengono a
Roma per perfezionare gli studi. Attualmente, ci sono quindici sacerdoti, dei quali tredici etiopi e
due eritrei. Grazie a questa presenza binazionale, nella struttura si parlano due lingue: l'amarico,
diffuso in Etiopia, e il tigrino, usato in nord Etiopia e in Eritrea.
Dal 2003 il Pontificio Collegio è stato affidato alla congregazione della missione o lazzaristi. Io
sono arrivato lo scorso anno e appartengo alla provincia dei preti della missione san Giustino di
Jacobis d'Eritrea. La nomina del rettore dipende dalla Congregazione per le Chiese Orientali, dalle
Conferenze episcopali etiopica ed eritrea e dalla congregazione dei lazzaristi. Vige la regola che se
il rettore è eritreo, il vice rettore deve essere etiope e viceversa. Il vice rettore, attualmente, è infatti
l'etiope lazzarista Memmru Mekonnen.
Il legame non si è mai interrotto. Il collegio è diventato, infatti, un punto di riferimento per l'Etiopia
e l'Eritrea. Infatti, quando il re veniva a Roma faceva sempre una tappa qui da noi per visitare gli
studenti. La struttura ospita anche le riunioni delle Conferenze episcopali di Etiopia ed Eritrea.
Esiste, infatti, una sola sede arcivescovile metropolitana per le due nazioni, che si trova ad Addis
Abeba e che ha giurisdizione sulle tre eparchie etiopiche e sulle tre eritree. Per la nostra natura di
comunità aperta all'accoglienza e formata da sacerdoti di varie regioni, siamo diventati anche un
luogo di incontro tra vescovi cattolici e ortodossi.
(©L'Osservatore Romano - 2-3 agosto 2010)