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SINODO DEI VESCOVI

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ASSEMBLEA SPECIALE PER IL MEDIO ORIENTE

La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente:


comunione e testimonianza

«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti


aveva un cuor solo e un’anima sola» (At 4, 32)

Lineamenta

Città del Vaticano


2009

INDICE

PREFAZIONE

INTRODUZIONE

A. Obiettivo del Sinodo


B. Riflessione guidata dalle Sacre Scritture

Domande

I. LA CHIESA CATTOLICA IN MEDIO ORIENTE

A. Situazione dei cristiani in Medio Oriente

1. Breve excursus storico: unità nella varietà


2. Apostolicità e vocazione missionaria
3. Ruolo dei cristiani nella società, nonostante il loro numero esiguo

B. Le sfide che i cristiani devono affrontare

1. I conflitti politici nella regione


2. Libertà di religione e di coscienza
3. I cristiani e l’evoluzione dell’Islam contemporaneo
4. L’emigrazione
5. L’immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente

C. Risposte dei cristiani nella loro vita quotidiana

Domande

II. LA COMUNIONE ECCLESIALE

A. Introduzione
B. Comunione nella Chiesa cattolica e tra le diverse Chiese
C. Comunione tra Vescovi, clero e fedeli

Domande

III. LA TESTIMONIANZA CRISTIANA

A. Testimoniare il Vangelo nella Chiesa stessa: catechesi ed opere


B. Testimoniare insieme con le altre Chiese e Comunità
C. Rapporti particolari con l’ebraismo
D. Rapporti con i musulmani
E. Contributo dei cristiani alla società

1. Due sfide ai nostri Paesi


2. I cristiani al servizio della società nei loro Paesi
3. Rapporti Stato-Chiesa

F. Conclusione: contributo specifico e insostituibile del cristiano

Domande

CONCLUSIONE GENERALE:
QUALE AVVENIRE PER I CRISTIANI DEL MEDIO ORIENTE?
“NON TEMERE, PICCOLO GREGGE!”

A. Quale avvenire per i cristiani del Medio Oriente?


B. La speranza

Domande
PREFAZIONE

Gli Atti degli Apostoli mettendo in risalto la comunione e la testimonianza dei


cristiani, discepoli di Gesù Cristo, sottolineano, in due sommari, la loro
comunanza dei beni. Nel primo si constata: “Erano assidui nell’ascoltare
l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e
nelle preghiere” (At 2, 42). Da tale profonda unità proveniva il loro modo di
vivere: “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano
ogni cosa in comune” (At 2, 44). Dal secondo brano è stato scelto il motto
dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi che avrà
luogo dal 10 al 24 ottobre 2010: La moltitudine di coloro che erano diventati
credenti aveva un cuore solo e un’anima sola (At 4, 32). Per quanto riguarda
l’applicazione di tale affermazione, San Luca presenta due esempi. Il primo,
edificante, di Giuseppe, soprannominato Barnaba, che vendette il campo che
possedeva “e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli”
(At 4, 37). L’altro esempio, negativo, racconta la vicenda dei coniugi Anania
e di sua moglie Saffìra che si misero d’accordo di consegnare solo una parte
del ricavato della vendita di un terreno, e di ritenerne l’altra per loro. Il loro
inganno fu scoperto e la punizione drammatica suscitò “grande timore” nella
comunità ecclesiale (cf. At 5, 1-11). Tali esempi insegnano che i cristiani
sono chiamati a vivere concretamente l’ideale di comunione e di
testimonianza, sforzandosi di realizzarlo non in modo parziale bensì pieno,
raggiungendo, appunto un cuore solo e un’anima sola (At 4, 32).

La stupenda trama di evangelizzazione raccontata dagli Atti degli Apostoli,


prende l’avvio dalla comunità cristiana in Terra Santa. A tale Terra,
benedetta dalla presenza del Signore Gesù, rivolgono lo sguardo tutti i
cristiani e gli uomini di buona volontà, in modo particolare in occasione della
preparazione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei
Vescovi che il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto il 19 settembre 2009, nel
corso della riunione con i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori delle Chiese
Orientali Cattoliche. Il Sommo Pontefice ha anche annunciato il tema
dell’Assise sinodale: La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e
testimonianza. “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un
cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32).

Il Santo Padre, che ha visitato la Terra Santa dall’8 al 15 maggio 2009, ha


prontamente accolto la richiesta di numerosi confratelli nell’episcopato di
convocare un’Assemblea sinodale per il Medio Oriente. Essa dovrebbe
approfondire l’insegnamento degli Atti degli Apostoli, per rivivere
l’esperienza della comunità primitiva ad un livello ancora più maturo, e per
rendere testimonianza con le parole e, soprattutto, con le opere di
un’autentica vita cristiana a gloria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, nella
complessa situazione odierna dei Paesi del Medio Oriente. Di tale fede deve
nutrirsi la speranza cristiana, salda “contro ogni speranza” (Rm 4, 18),
perché fondata non su progetti umani bensì sul potere di Dio. La fede e la
speranza devono sbocciare, poi, nella carità verso il prossimo. Nella Chiesa
Cattolica in Medio Oriente essa ha una particolare espressione nella
presenza ininterrotta dai tempi di Gesù dei cristiani in tale terra, che è la loro
patria. Ovviamente, essa si manifesta anche in numerose e preziose opere con
le quali i membri della Chiesa Cattolica rendono testimonianza della loro
fede e al contempo offrono un notevole contributo allo sviluppo integrale
dell’intera società.

Per svolgere in modo compiuto tale vocazione, il Santo Padre Benedetto


XVI ha disposto che sia seguito un iter regolare nella preparazione
dell’Assemblea sinodale. Pertanto, per incarico del Sommo Pontefice, è stato
formato un Consiglio Presinodale per il Medio Oriente composto da 7
Patriarchi, in rappresentanza di 6 Chiese Patriarcali e del Patriarcato Latino
di Gerusalemme, da 2 Presidenti delle Conferenze Episcopali, come pure da 4
Capi dei Dicasteri della Curia Romana, che ha redatto il testo
dei Lineamenta che ora viene pubblicato in 4 lingue: arabo, francese, inglese
ed italiano. Ogni capitolo del Documento è accompagnato da alcune
domande che hanno lo scopo di suscitare la discussione in tutte le Chiese del
Medio Oriente. Le rispettive risposte dovrebbero pervenire alla Segreteria
Generale del Sinodo dei Vescovi dopo la solennità di Pasqua, che quest’anno
tutti i cristiani celebrano nella stessa data il 4 aprile 2010. Come è noto,
riprendendo il contenuto di tali risposte sarà redatto l’Instrumentum laboris,
Documento di lavoro dell’Assise sinodale che il Santo Padre Benedetto XVI
consegnerà ai rappresentanti qualificati dell’episcopato cattolico del Medio
Oriente nel corso della Sua Visita Apostolica a Cipro nel mese di giugno
2010.

Affidiamo la preparazione all’Assemblea Speciale per il Medio Oriente


all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, fiore
purissimo della Terra Santa. Ha portato Gesù al mondo a Betlemme, lo ha
educato a Nazareth, accompagnandolo per le strade della Galilea e della
Giudea fino a Gerusalemme, città santa per Cristiani, Ebrei e Musulmani. In
forza della testimonianza dei cristiani, la celebrazione dell’Assise sinodale
diventi un’occasione propizia anche per incrementare il dialogo con il mondo
ebraico e quello musulmano, fino ad allargare i confini della comunione a
tutti gli uomini di buona volontà nel Medio Oriente.
Mons. Nikola Eterović
Arcivescovo titolare di Cibale
Segretario Generale

Dal Vaticano, 8 dicembre 2009.

INTRODUZIONE

1. A seguito del suo pellegrinaggio in Terra Santa (8-15.05.09), il 19


settembre 2009 il Santo Padre ha annunciato, nel corso di una riunione con i
Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori d’Oriente, la convocazione di
una Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che
si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010. Tale iniziativa scaturisce dalla
“preoccupazione” del Successore di Pietro “per tutte le chiese” (2 Cor 11, 28)
e costituisce un avvenimento importante, che denota l’interesse della Chiesa
universale nei confronti delle Chiese di Dio in Oriente. Queste stesse Chiese
sono invitate a vivere intensamente tale avvenimento, affinché esso sia un
evento di grazia nella vita dei cristiani d’Oriente.

I pellegrinaggi di Benedetto XVI in Terra Santa (Giordania, Israele e


Palestina), così come quello in Turchia (28.11-1.12.06), ci danno, con i loro
discorsi ricchi e circostanziati, una luce particolare per poter comprendere la
Parola di Dio, leggere i segni dei tempi e definire il comportamento cristiano e
la vocazione delle nostre Chiese.

A. Obiettivo del Sinodo

2. L’obiettivo dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei


Vescovi è duplice: confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità
mediante la Parola di Dio e i Sacramenti, e ravvivare la comunione ecclesiale
tra le Chiese particolari, affinché possano offrire una testimonianza di vita
cristiana autentica, gioiosa e attraente. Le nostre Chiese cattoliche non sono
sole in Medio Oriente, perché ci sono anche quelle Ortodosse e le comunità
protestanti. La dimensione ecumenica è fondamentale affinché la
testimonianza cristiana sia autentica e credibile. “Perché tutti siano una sola
cosa perché il mondo creda” (Gv 17, 21).
3. È necessario, pertanto, rafforzare la comunione a tutti i livelli: all’interno di
ciascuna Chiesa cattolica d’Oriente, tra tutte le Chiese cattoliche e con le altre
Chiese cristiane. Occorre, nel contempo, fortificare la testimonianza che
diamo agli ebrei, ai musulmani e agli altri credenti o non credenti.

4. Il Sinodo ci offre altresì l’occasione di fare il punto della situazione


religiosa e sociale, per dare ai cristiani una visione chiara del senso della loro
presenza nelle loro società musulmane (araba, israeliana, turca o iraniana), del
loro ruolo e della loro missione in ciascun Paese, preparandoli, così, ad
essere testimoni autentici di Cristo. Si tratta, dunque, di una riflessione sulla
situazione presente, situazione che non è facile in quanto di conflitto,
instabilità e maturazione politica e sociale nella maggior parte dei nostri Paesi.

B. Riflessione guidata dalle Sacre Scritture

5. La nostra riflessione sarà guidata dalle Sacre Scritture, che sono state
redatte nelle nostre terre, nelle nostre lingue (ebraico, aramaico o greco), in
ambiti ed espressioni culturali e letterali che sentiamo nostri. La Parola di Dio
è letta nella Chiesa. Queste Scritture ci sono pervenute attraverso le comunità
ecclesiali, sono state trasmesse e meditate nelle nostre sacre Liturgie e sono un
riferimento indispensabile per scoprire il senso della nostra presenza,
comunione e testimonianza nel contesto attuale delle nostre Nazioni.

6. Cosa dice la Parola di Dio, qui ed ora, ad ogni Chiesa in ciascuno dei nostri
Paesi? Come si manifesta la Provvidenza benevola di Dio attraverso tutti gli
avvenimenti facili o difficili della nostra vita quotidiana? Cosa ci domanda
Dio in questi giorni? Restare, per impegnarci nel corso degli avvenimenti, che
è poi quello della Provvidenza e della grazia divina? Oppure emigrare?

7. Si tratta dunque – ed è uno degli obiettivi di questa Assemblea Speciale – di


riscoprire la Parola di Dio nelle Scritture che si rivolgono a noi oggi, che ci
parlano oggi e non solo nel passato, e ci spiegano, come ai due discepoli di
Emmaus, quanto accade attorno a noi. Questa scoperta ha luogo anzitutto
nella lettura meditata delle Sacre Scritture, personalmente, in famiglia e nella
comunità viva. Ma la cosa essenziale è che essa guidi le nostre scelte
quotidiane nella vita personale, familiare, sociale e politica.

Domande

1. Leggete le Sacre Scritture personalmente, in famiglia o nella comunità


viva?
2. Esse ispirano le vostre scelte nella vita familiare, professionale o
politica?

I. LA CHIESA CATTOLICA IN MEDIO ORIENTE

A. Situazione dei cristiani in Medio Oriente

1. Breve excursus storico: unità nella varietà

8. Tutte le Chiese cattoliche in Medio Oriente, così come ciascuna comunità


cristiana nel mondo, risalgono alla prima Chiesa cristiana di Gerusalemme,
unita dallo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste. Esse si divisero nel V
secolo, dopo i Concili di Efeso e Calcedonia, principalmente per questioni
cristologiche. Questa prima divisione diede vita alle Chiese conosciute oggi
con il nome di “Chiesa Apostolica Assira d’Oriente” (che veniva chiamata
nestoriana) e “Chiese Ortodosse Orientali”, cioè le Chiese copte, siriane ed
armene, che venivano chiamate monofisite. Spesso tali divisioni ebbero luogo
anche per motivi politico-culturali, come mostrano i teologi medievali
d’Oriente appartenenti alle tre grandi tradizioni denominate “melchite”,
“giacobite” e “nestoriane”. Tutti loro hanno sottolineato che alla base di tale
divisione non c’era alcun motivo dogmatico. Ci fu, in seguito, il grande
scisma dell’XI secolo, che separò Costantinopoli da Roma e, successivamente,
l’Oriente Ortodosso dall’Occidente Cattolico. Tutte queste divisioni esistono
ancor’oggi nelle varie Chiese del Medio Oriente.

9. Dopo le divisioni e le separazioni, furono intrapresi periodicamente degli


sforzi per ricostituire l’unità del Corpo di Cristo. In questo sforzo
d’ecumenismo si formarono le Chiese cattoliche orientali: armena, caldea,
melchita, siriaca e copta. All’inizio tali Chiese furono tentate dalla polemica
con le Chiese ortodosse sorelle, ma spesso furono anche ardenti difensori
dell’Oriente cristiano.

10. La Chiesa maronita ha mantenuto la propria unità in seno alla Chiesa


universale e non ha conosciuto, nel corso della sua storia, una divisione
ecclesiale interna. Il Patriarcato Latino di Gerusalemme, istituito con le
Crociate, fu ristabilito nel XIX secolo, grazie alla presenza continua dei Padri
Francescani, specialmente in Terra Santa, dall’inizio del XIII secolo.
11. Oggi le Chiese cattoliche d’Oriente sono sette, in maggioranza arabe o
arabizzate. Alcune di loro sono presenti anche in Turchia e Iran. Provengono
da tradizioni culturali, e dunque anche liturgiche, differenti: greca, siriaca,
copta, armena o latina, il che costituisce la loro ammirabile ricchezza e
complementarietà. Esse sono unite nella stessa comunione con la Chiesa
universale attorno al Vescovo di Roma, successore di Pietro, corifeo degli
apostoli (hâmat ar-rusul). La loro ricchezza deriva dalla loro stessa diversità,
ma l’attaccamento eccessivo al rito e alla cultura può impoverirle. La
collaborazione tra i fedeli è abituale e naturale, a tutti i livelli.

2. Apostolicità e vocazione missionaria

12. Le nostre Chiese, del resto, sono d’origine apostolica e i nostri Paesi sono
stati la culla del Cristianesimo. Come ha detto il Santo Padre Benedetto XVI il
9 giugno 2007, esse sono custodi viventi delle origini cristiane[1]. Sono terre
benedette dalla presenza di Cristo stesso e delle prime generazioni cristiane.
Sarebbe una perdita per la Chiesa universale se il Cristianesimo dovesse
sparire o affievolirsi proprio là dove è nato. Abbiamo qui una grave
responsabilità: non soltanto mantenere la fede cristiana in queste terre sante,
ma più ancora mantenere lo spirito del Vangelo in queste popolazioni cristiane
e nei loro rapporti con quelle non cristiane, e conservare la memoria delle
origini.

13. In quanto apostoliche, le nostre Chiese hanno la missione particolare di


portare il Vangelo in tutto il mondo. Nel corso della storia, questo slancio ha
stimolato diverse nostre Chiese: in Nubia ed Etiopia, nella Penisola Arabica,
in Persia, in India, fino in Cina. Oggi dobbiamo constatare che tale slancio
evangelico è spesso frenato e la fiamma dello Spirito sembra essersi
affievolita.

14. Ora, per la nostra storia e la nostra cultura, noi siamo vicini a milioni di
persone, tanto culturalmente quanto spiritualmente. Spetta a noi, perciò,
condividere con loro il messaggio d’amore del Vangelo che abbiamo ricevuto.
In questo momento in cui intere popolazioni sono disorientate e cercano un
barlume di speranza, noi possiamo dare loro la speranza che è in noi per lo
Spirito che è stato diffuso nei nostri cuori (cf. Rm 5, 5).

3. Ruolo dei cristiani nella società, nonostante il loro numero esiguo

15. A dispetto delle loro differenze, le nostre società arabe, turche ed iraniane
hanno caratteristiche comuni. La tradizione e il modo di vita tradizionale
prevalgono, in particolare per quel che riguarda la famiglia e l’educazione. Il
confessionalismo segna i rapporti tra i cristiani come con i non cristiani e si
riflette profondamente nelle mentalità e nei comportamenti. La religione è un
elemento d’identificazione che può separare dall’altro.

16. La modernità penetra sempre più nella società: l’accesso alle reti televisive
del mondo e a Internet ha introdotto, nella società civile e tra i cristiani, nuovi
valori ma anche una perdita di valori. Come risposta, si diffondono sempre più
i gruppi fondamentalisti islamici. Il potere reagisce con l’autoritarismo, il
controllo della stampa e dei media, mentre la maggioranza aspira a una vera
democrazia.

17. Benché in Medio Oriente i cristiani siano quasi ovunque una scarsa
minoranza (ad eccezione del Libano), che va da meno dell’1% (Iran, Turchia)
al 10% (Egitto), essi tuttavia irradiano attivo dinamismo. Il pericolo sta nel
ripiegamento su di sé e nella paura dell’altro. È necessario perciò che
rafforziamo la fede e la spiritualità dei nostri fedeli e, allo stesso tempo,
rinsaldiamo il legame sociale e la solidarietà tra di loro, senza cadere in un
atteggiamento ghettizzante. L’educazione, d’altronde, è l’investimento
maggiore. Le nostre Chiese e le nostre scuole potrebbero aiutare di più i meno
fortunati.

B. Le sfide che i cristiani devono affrontare

1. I conflitti politici nella regione

18. I conflitti politici in corso nella regione hanno un’influenza diretta sulla
vita dei cristiani, in quanto cittadini e in quanto cristiani. L’occupazione
israeliana dei Territori Palestinesi rende difficile la vita quotidiana per la
libertà di movimento, l’economia e la vita religiosa (accesso ai Luoghi Santi
condizionato da permessi militari concessi agli uni e agli altri, per motivi di
sicurezza). Inoltre, alcune teologie cristiane fondamentaliste giustificano,
basandosi sulle Sacre Scritture, l’occupazione della Palestina da parte di
Israele, il che rende ancor più delicata la posizione dei cristiani arabi.

19. In Iraq, la guerra ha scatenato le forze del male nel Paese, nelle
confessioni religiose e nelle correnti politiche. Essa ha mietuto vittime tra tutti
gli iracheni, ma i cristiani sono stati tra le vittime principali in quanto
rappresentano la comunità irachena più esigua e debole, e la politica mondiale
non ne tiene alcun conto.

20. In Libano, i cristiani sono profondamente divisi sul piano politico e


confessionale e nessuno ha un progetto che possa essere accettato da tutti. In
Egitto, la crescita dell’Islam politico, da una parte, e il disimpegno dei
cristiani nei confronti della società civile, dall’altra, rendono la loro vita
esposta all’intolleranza, alla disuguaglianza e all’ingiustizia. Inoltre, questa
islamizzazione penetra nelle famiglie anche mediante i mass media e la
scuola, modificando le mentalità che, inconsapevolmente, si islamizzano. In
numerosi Paesi, l’autoritarismo, cioè la dittatura, spinge la popolazione,
compresi i cristiani, a sopportare tutto in silenzio per salvare l’essenziale. In
Turchia, il concetto attuale di laicità pone ancora dei problemi alla piena
libertà religiosa del Paese.

21. Questa situazione dei cristiani nei Paesi arabi è stata descritta al § 13 della
10a Lettera Pastorale dei Patriarchi cattolici (del 2009). La conclusione
stigmatizza l’atteggiamento disfattista: “Di fronte a queste diverse realtà, gli
uni restano fermi nella loro fede e nel loro impegno nella società,
condividendo tutti i sacrifici e contribuendo al progetto sociale comune. Gli
altri, al contrario, si scoraggiano e non hanno più fiducia nella società e nella
sua capacità di garantire l’uguaglianza tra tutti i cittadini. Per questo
abbandonano ogni impegno e si ritirano nella loro Chiesa e nelle sue
istituzioni, vivendo in nuclei isolati, senza interagire con il corpo sociale”[2].

2. Libertà di religione e di coscienza

22. In Oriente, libertà di religione vuol dire, di solito, libertà di culto. Non si
tratta, dunque, di libertà di coscienza, cioè della libertà di rinunciare alla
propria religione o di credere in un’altra. In Oriente, la religione è, in
generale, una scelta sociale e perfino nazionale, non individuale. Cambiare
religione è ritenuto un tradimento alla società, alla cultura e alla nazione
costruita principalmente su una tradizione religiosa.

23. La conversione è vista come il frutto di un proselitismo interessato, non di


una convinzione religiosa autentica. Per l’ebreo e il musulmano, essa è spesso
vietata dalle leggi dello Stato. Anche il cristiano sperimenta una pressione e
un’opposizione, benché molto più lieve, da parte della famiglia o della tribù a
cui appartiene, ma resta libero di farlo. Spesso, la conversione non avviene per
convinzione religiosa, ma per interessi personali, o sotto la pressione del
proselitismo musulmano, specialmente per potersi liberare dei propri obblighi
di fronte a difficoltà di tipo familiare.

3. I cristiani e l’evoluzione dell’Islam contemporaneo

24. Nella loro ultima lettera pastorale, i Patriarchi cattolici d’Oriente


affermano: “La crescita dell’Islam politico, a partire dagli anni ’70, è un
fenomeno saliente che si ripercuote sulla regione e sulla situazione dei
cristiani nel mondo arabo. Questo Islam politico comprende differenti correnti
religiose che vorrebbero imporre un modo di vita islamico alle società arabe,
turche o iraniane e a tutti coloro che vi vivono, musulmani e non musulmani.
Per loro, la causa di tutti i mali è l’allontanamento dall’Islam. La soluzione,
quindi, è il ritorno all’Islam delle origini. Di qui lo slogan: l’Islam è la
soluzione. […] A questo scopo, alcuni non esitano a ricorrere alla
violenza”[3].

Tale atteggiamento riguarda anzitutto la società musulmana, ma ha


conseguenze anche sulla presenza cristiana in Oriente. Tali correnti estremiste
sono quindi una minaccia per tutti, cristiani e musulmani, e noi dobbiamo
affrontarle insieme.

4. L’emigrazione

25. L’emigrazione dei cristiani e dei non cristiani del Medio Oriente è iniziata
verso la fine del XIX secolo. Le due cause principali erano politica ed
economica. I rapporti religiosi non erano dei migliori, ma il sistema dei
“millet” (comunità etnico-religiose) aveva assicurato una certa protezione ai
cristiani in seno alle loro comunità, il che impediva sempre i conflitti di
carattere religioso e tribale allo stesso tempo. Questa emigrazione si è
accentuata oggi con il conflitto israelo-palestinese e l’instabilità che ha
causato in tutta la regione, per finire con la guerra dell’Iraq e la precarietà
politica del Libano.

26. Nel gioco delle politiche internazionali, poi, si ignora spesso l’esistenza
dei cristiani, ed anche questa è una delle cause principali dell’emigrazione.
Ora, nella situazione politica attuale del Medio Oriente, è difficile creare
un’economia che possa procurare un livello di vita degno per tutta la società.
Si possono prendere alcune misure per ridurre l’emigrazione, ma alla base ci
sono le realtà politiche esistenti. È qui che bisognerebbe agire, e la Chiesa è
invitata ad impegnarsi in questo senso.

27. Un altro aspetto potrebbe aiutare a limitare l’emigrazione: rendere i


cristiani più consapevoli del senso della loro presenza. Ciascuno, nel proprio
Paese, è portatore del messaggio di Cristo alla sua società e ancora di più nelle
difficoltà e nella persecuzione. È ciò che Cristo ci annuncia nel Vangelo:
“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno ... Rallegratevi ed
esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5, 11-12). È a
questo livello che bisogna elevarsi con l’aiuto di Cristo.

5. L’immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente


28. I Paesi del Medio Oriente ricevono, come lavoratori immigrati, centinaia
di migliaia di africani dell’Etiopia e soprattutto del Sudan, e di asiatici,
principalmente delle Filippine, dello Sri Lanka, del Bangladesh, del Nepal, del
Pakistan e dell’India. Si tratta, il più delle volte, di donne che lavorano come
domestiche per permettere ai propri figli un’educazione e una vita più
dignitose. Queste donne (e uomini) sono spesso oggetto di ingiustizie sociali,
sfruttamento e abusi sessuali, tanto da parte degli Stati che le accolgono e
delle agenzie che le fanno venire, quanto dei datori di lavoro.

29. Ciò richiama ad una responsabilità pastorale per accompagnare queste


persone, tanto sul piano religioso che sociale. Tali immigrati devono spesso
far fronte a dei drammi, e la Chiesa non può fare molto. Parallelamente, è
urgente e indispensabile un’educazione dei nostri cristiani alla dottrina sociale
della Chiesa e alla giustizia sociale, per evitare ogni atteggiamento di
superiorità, cioè di disprezzo. Inoltre, le leggi e le convenzioni internazionali
non sono rispettate.

C. Risposte dei cristiani nella loro vita quotidiana

30. Il comportamento dei cristiani nelle nostre Chiese e società, di fronte alle
sfide menzionate sopra, è vario e differente:

- C’è il cristiano credente e impegnato, che accetta e vive con fedeltà la


propria fede nella vita privata e pubblica.

- C’è anche il cristiano “laico”, che abbiamo visto, nei nostri Paesi,
specialmente nel corso della storia contemporanea, impegnarsi a fondo nella
vita pubblica, fondare partiti politici, soprattutto di sinistra, o diventarne
membro, spesso sacrificando la sua fede.

- C’è poi il cristiano che ha una fede tradizionale, fatta di devozioni e pratiche
esteriori, che non ha influenza sulla sua vita concreta o sulla scala dei valori.
Egli condivide invece i criteri e i valori pragmatici della sua società, a volte
anche in contraddizione con il Vangelo. Adotta gli atteggiamenti di lotta della
società e si differenzia dagli altri soltanto per le sue pratiche religiose
esteriori, le sue feste o il suo nome di cristiano.

- C’è, infine, il cristiano che si considera una persona debole. È complessato


per il numero ridotto della sua comunità in una società a maggioranza
musulmana, ha paura, è pieno di ansie ed è preoccupato di vedere i propri
diritti violati.

31. La maniera di vivere la propria fede si riflette direttamente


sull’appartenenza del cristiano alla Chiesa. Una fede profonda porta ad
un’appartenenza solida e impegnata. Una fede superficiale equivale ad
un’appartenenza superficiale. Nel primo caso, l’appartenenza è autentica e
vera e il credente partecipa alla vita della Chiesa e vi impegna tutta la sua
fede. Nel secondo, l’appartenenza è soltanto confessionale[4]. In questo caso,
il fedele esige che la sua Chiesa si prenda cura di tutti gli aspetti della sua vita
materiale e sociale, il che porta all’“assistenzialismo” e alla passività[5].

32. Ciò richiede una conversione personale dei cristiani, ad iniziare dai
Pastori, mediante un ritorno allo spirito del Vangelo, affinché la nostra vita
divenga una testimonianza dell’amore di Dio, che si esprime nell’amore
concreto verso tutti e ciascuno. Essere testimone di Cristo risorto: (“Con
grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del
Signore Gesù …” [At 4, 33]), per superare il nostro egoismo, le nostre rivalità
e le nostre debolezze personali.

33. Nei nostri Paesi la vita consacrata è presente a vari livelli. Là dove manca
la dimensione contemplativa, sarebbe auspicabile sollecitarla. La prima
missione dei monaci e delle monache è la preghiera e l’intercessione per la
società: per più giustizia nella politica e nell’economia, più solidarietà e
rispetto nei rapporti familiari, più coraggio per denunciare le ingiustizie, più
onestà per non lasciarsi trascinare nelle dispute della civitas o nella ricerca
degli interessi personali. Così è l’etica che pastori, monaci, monache, religiosi,
educatori, devono proporre nelle nostre istituzioni (scuole, università, centri
sociali, ospedali, ecc.), affinché i nostri fedeli siano anch’essi testimoni
autentici della Resurrezione nella società.

34. La formazione del nostro clero e dei fedeli, le omelie e la catechesi,


devono dare al credente un senso autentico della sua fede, e la coscienza del
proprio ruolo nella società in nome di questa stessa fede. Egli deve imparare a
cercare e vedere Dio in ogni cosa e in ogni persona, sforzandosi di renderLo
presente nella nostra società, nel nostro mondo, mediante la pratica delle virtù
personali e sociali: giustizia, onestà, rettitudine, accoglienza, solidarietà,
apertura del cuore, purezza di costumi, fedeltà, ecc.

35. A questo scopo, deve essere fatto uno sforzo particolare per scoprire e
formare i “quadri” necessari, sacerdoti, religiosi, religiose, laici – uomini e
donne –, affinché siano, nella nostra società, veri testimoni di Dio Padre e di
Gesù Risorto, e dello Spirito Santo che Egli ha inviato alla sua Chiesa, per
confortare i loro fratelli e sorelle in questi tempi difficili e contribuire
all’edificazione della civitas.

Domande
3. Che fanno le nostre Chiese per suscitare e incoraggiare le vocazioni alla
vita religiosa e contemplativa?

4. Come contribuire a migliorare l’ambiente sociale nei vari Paesi?

5. Quale ruolo svolge la vostra Chiesa per aiutare a integrare la


modernità nelle vostre società, con il necessario sguardo critico?

6. Come far crescere il rispetto della libertà di religione e della libertà di


coscienza?

7. Cosa si può fare per arrestare o rallentare l’emigrazione dei cristiani


del Medio Oriente?

8. Come seguire e restare in rapporto con i cristiani emigrati?

9. Cosa dovrebbero fare le nostre Chiese per insegnare ai fedeli il rispetto


degli immigrati e il loro diritto ad essere trattati con giustizia e carità?

10. Cosa fa la vostra Chiesa per assicurare la cura pastorale agli


immigrati cattolici e per proteggerli dagli abusi e dallo sfruttamento da
parte dello Stato (polizia e personale carcerario), delle agenzie e dei
datori di lavoro?

11. Le nostre Chiese si adoperano per formare “quadri” cristiani che


possano contribuire alla vita sociale e politica dei nostri Paesi? Cosa
potrebbero fare?

II. LA COMUNIONE ECCLESIALE

A. Introduzione

36. La comunione cristiana ha per fondamento il modello della vita divina nel
mistero della Santissima Trinità. Dio è amore (cf. 1 Gv 4, 8), e i rapporti tra le
persone divine sono rapporti d’amore. Così la comunione nella Chiesa tra tutte
le membra del Corpo di Cristo è fondata su rapporti d’amore: “Come tu,
Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola” (Gv 17, 21). È
necessario che, in seno a ciascuna Chiesa, viviamo tra di noi la comunione
stessa della Santissima Trinità. La vita della Chiesa e delle Chiese d’Oriente
deve essere comunione di vita nell’amore, sul modello dell’unione del Figlio
con il Padre e lo Spirito.

37. Gesù ci ha raccomandato questa unità di vita nell’esempio della vigna e


dei tralci (cf. Gv15, 1-7). San Paolo sviluppò questa realtà di vita cristiana con
l’esempio dell’unità di vita nel corpo con la pluralità delle membra (cf. 1
Cor 12, 12-21). Tutta la Chiesa fonda, dunque, la sua comunione di vita sul
fatto reale che ciascun membro della Chiesa è, mediante il battesimo, membro
del Corpo di Cristo che ne è il capo. La comunione tra le Chiese o in seno alla
Chiesa stessa consiste, pertanto, nel prendere consapevolezza del fatto che
ogni persona è membro di un Corpo il cui capo è Cristo. Ogni membro,
perciò, deve essere degno del capo a cui è intimamente legato.

B. Comunione nella Chiesa cattolica e tra le diverse Chiese

38. Questa comunione in seno alla Chiesa universale si manifesta mediante


due segni principali: il primo, la comunione nell’Eucaristia e, il secondo, la
comunione con il Vescovo di Roma, Successore di Pietro e capo di tutta la
Chiesa. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali ha codificato, sul piano
della legge, questa comunione di vita nell’unica Chiesa di Cristo. Al servizio
di questa comunione sono anche la Congregazione per le Chiese Orientali e i
vari Dicasteri della Curia Romana.

39. A livello dei fedeli, le nostre scuole e gli istituti d’istruzione superiore, ma
anche le istituzioni caritative quali ospedali, orfanotrofi e case di riposo,
accolgono tutti i cristiani indistintamente. Nelle città, i fedeli cattolici di
Chiese diverse praticano spesso nella chiesa più vicina, pur restando fedeli
alla propria comunità confessionale, nella quale ricevono i Sacramenti
(battesimo, confermazione, matrimonio ...).

C. Comunione tra Vescovi, clero e fedeli

40. La comunione, nella stessa Chiesa o Patriarcato, tra i vari membri avviene
sul modello della comunione con la Chiesa universale e con il Successore di
Pietro, il Vescovo di Roma. A livello della Chiesa Patriarcale, la comunione si
esprime mediante il sinodo che riunisce i Vescovi di tutta una comunità
attorno al Patriarca, Padre e capo della sua Chiesa. Al livello dell’eparchia, è
attorno al Vescovo che avviene la comunione del clero, dei religiosi e delle
religiose, come pure dei laici. La preghiera, la presenza eucaristica e l’ascolto
della Parola di Dio, sono i momenti che unificano la Chiesa e la riconducono
all’essenziale, al Vangelo. Spetta al Vescovo preoccuparsi di armonizzare il
tutto, nonostante i momenti di debolezza.
41. Questa grazia dal Vescovo viene comunicata ad ogni pastore di una
parrocchia o assemblea di credenti, nella quale ci saranno membri forti ed altri
meno forti. Malgrado i loro limiti, essi restano strumenti tra le mani di Dio il
quale ha affidato loro un tesoro contenuto in vasi d’argilla (cf. 2 Cor 4, 7).
Egli fa di loro lo strumento della sua grazia. “Quando sono debole, è allora
che sono forte”(2 Cor 12, 10).

42. Ma ciò significa che le membra del Corpo di Cristo e coloro che cercano
di seguirlo più da vicino, hanno una grave responsabilità nella comunità, non
soltanto per gestire la Chiesa di Dio a livello locale[6], ma più ancora sul
piano spirituale e morale: essi sono modello ed esempio per gli altri. La
comunità attende da loro che vivano concretamente, e in maniera esemplare, i
valori del Vangelo. Non ci si stupirà del fatto che i fedeli attendano da
Vescovi, sacerdoti, monaci e religiose una maggiore semplicità di vita, un
reale distacco in rapporto al denaro e alle comodità del mondo, una pratica
edificante della castità e una purezza di costumi trasparente. Non sempre è
così e ciò scandalizza profondamente i fedeli.

43. Inoltre, lo spirito dei due apostoli Giacomo e Giovanni, che chiedevano a
Gesù di concedere loro il primo posto alla Sua destra e alla Sua sinistra[7],
persiste ancora e provoca turbamenti tra i fedeli. Invece di ritrovarci assieme
per far fronte alle difficoltà, ci disputiamo a volte tra di noi e contiamo il
numero dei nostri fedeli, come per sapere quale è il più grande. Lo spirito di
rivalità ci distrugge; l’emulazione spirituale e pastorale, al contrario, può
stimolare la nostra creatività al servizio di tutti. È questa emulazione, per
servire, che bisogna incoraggiare e, come tutte le Chiese del mondo, le nostre
Chiese devono continuamente purificarsi. Questo Sinodo desidera aiutare a
compiere un esame di coscienza sincera per scoprire i punti forti, allo scopo di
promuoverli e svilupparli, e i punti deboli, per avere il coraggio di correggerli.

44. Dobbiamo ritrovare il modello della comunità primitiva: “La moltitudine


di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e
nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era
fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della
risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia.
Nessuno infatti tra loro era bisognoso” (At 4, 32-34).

45. Le Associazioni e i movimenti apostolici, d’origine locale o


internazionale, provenienti da ogni Paese, devono adeguarsi alla mentalità e
all’ambiente di vita offerti loro dalla tradizione ecclesiale e da quella del
Paese che li accoglie. È indispensabile uno spirito di umiltà per obbedire al
Vescovo e per informarsi delle tradizioni, della cultura e soprattutto della
lingua del Paese. Alcuni movimenti internazionali, che pur svolgono un lavoro
degno di lode, devono incarnarsi maggiormente nelle nostre società, senza
però perdere il loro carisma specifico.

Domande

12. Cosa vuol dire vivere la comunione nella Chiesa?

13. Come si manifesta la comunione tra le varie Chiese d’Oriente con il


Santo Padre?

14. Come possono migliorare i rapporti tra le varie Chiese negli ambiti
dell’azione religiosa, caritativa e culturale?

15. L’atteggiamento della “gente di Chiesa” nei confronti del denaro vi


pone problemi?

16. La partecipazione dei vostri fedeli a celebrazioni di altre Chiese


cattoliche rappresenta un problema?

17. Come migliorare i rapporti di comunione tra le varie persone nella


Chiesa: tra Vescovi e sacerdoti, persone di vita consacrata, laici?

III. LA TESTIMONIANZA CRISTIANA

46. La fede vissuta porta frutti abbondanti: una fede senza opere è una fede
morta (cf. Gc 2, 17). Le nostre Chiese sono attive: numerosi sono i progetti,
molti i movimenti di giovani, molte le istituzioni educative e caritative, ecc. A
volte queste attività sono professionalmente efficaci, ma non sempre sono una
testimonianza d’amore disinteressato che invita a conoscerne la fonte
evangelica.

A. Testimoniare il Vangelo nella Chiesa stessa: catechesi ed opere

47. L’evangelizzazione ordinaria è fatta mediante le omelie in occasione della


celebrazione eucaristica o dell’amministrazione dei Sacramenti. È fatta anche
nella catechesi nelle scuole, nelle parrocchie o nelle “scuole della domenica”
per gli studenti degli istituti statali che non hanno corsi d’educazione religiosa
cristiana. È necessario far sì che i catechisti siano ben formati e siano modelli
vivi per i giovani (gli stessi parroci fanno sempre meno la catechesi).
L’evangelizzazione si fa anche attraverso le riviste, i libri e Internet. Esistono
altresì centri di formazione biblica e teologica ovunque, per non parlare delle
università e dei centri internazionali presenti a Gerusalemme o altrove.

48. Nei nostri Paesi, più ancora che in altre parti nel mondo, le Sacre Scritture
devono occupare il posto principale, ed è importante saperne a memoria molti
passaggi. È essenziale, altresì, conoscere bene la propria tradizione ecclesiale
così come è importante conoscere, lungi da ogni pregiudizio negativo, coloro
con cui viviamo, musulmani o ebrei, e sapere quali sono le obiezioni rivolte al
Cristianesimo, al fine di essere capaci di presentare meglio la fede cristiana.

49. È essenziale che su tutti gli argomenti che preoccupano la società civile, il
punto di vista cristiano sia chiaramente, solidamente e intelligentemente
esposto. Occorre formare i giovani e i fedeli al lavoro in équipe, alla
solidarietà con i più poveri e all’amore sincero verso tutti, cristiani e non,
formarli ad operare per il bene comune di tutta la società.

50. I nuovi mezzi di comunicazione sono molto efficaci per testimoniare il


Vangelo: Internet (in particolare per i giovani), radio e televisione, ma da noi
sono ancora troppo poco utilizzati. Segnaliamo due media cattolici libanesi:
«La Voix de la Charité» (Sawt al-Mahabba) e TéléLumière/Noursat, diffusi in
tutto il Medio Oriente e anche nel resto del mondo. Esse meriterebbero di
essere maggiormente sostenute, al pari degli altri centri d’informazione
cattolici nei nostri Paesi.

51. Vivendo in società in cui numerosi sono i conflitti di ogni tipo, la


catechesi deve poter preparare i giovani ad impegnarvisi, forti della loro fede
e della luce del comandamento dell’amore. Cosa vuol dire l’amore per il
nemico? Come viverlo? Come vincere il male con il bene? Occorre insistere
sull’impegno nella vita pubblica come cristiani, con la luce, la forza e la
dolcezza della propria fede. Viste le numerose divisioni fondate sulla
religione, sui clan familiari o su quelli politici, i giovani devono essere formati
a superare queste barriere e ostilità interne, e a vedere il volto di Dio in ogni
essere umano, per collaborare insieme e edificare una città comune
accogliente. Tutto ciò deve essere messo in risalto nella catechesi, soprattutto
nelle nostre scuole cattoliche, che preparano i giovani a costruire un avvenire
fatto non di conflitti e instabilità, ma di collaborazione e pace.

52. D’altra parte, l’azione della Chiesa si manifesta con un gran numero di
opere sociali: cliniche, ospedali, orfanotrofi, case per anziani e per disabili,
ecc. Anche qui i laici giocano un ruolo essenziale e non subalterno. Il pericolo
è che queste opere sociali si possano trasformare in rivalità confessionale. È
assolutamente necessario, allora, un coordinamento tra le Chiese per evitare
ripetizioni non necessarie in certi settori e dei vuoti in altri.

B. Testimoniare insieme con le altre Chiese e Comunità

53. I legami di comunione, reale benché imperfetta, tra la Chiesa cattolica e le


altre Chiese e comunità cristiane si fondano sulla fede in Cristo crocifisso e
glorificato e sul Sacramento del battesimo[8]. I rapporti, generalmente buoni e
amichevoli, sono di due tipi:

- sul piano individuale o tra Chiese, o tra Vescovi, parroci o fedeli laici, in
segno d’amicizia o di collaborazione;

- sul piano comunitario, quando i Vescovi di una grande città si incontrano su


base regolare, per trattare questioni pastorali, sociali o politiche.

54. A livello delle parrocchie, in generale i rapporti tra i parroci sono


amichevoli anche se, a volte, suscitano rivalità o critiche. A livello delle
Chiese, si devono rilevare due difficoltà.

Una d’ordine pastorale: alcune Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche


esigono, in caso di matrimonio misto, un nuovo battesimo del coniuge
cattolico. Un’altra difficoltà sempre d’ordine pastorale proviene da sette
“evangeliche” che fanno del proselitismo e aumentano la divisione tra i
cristiani.

L’altra difficoltà, d’ordine storico, riguarda la Terra Santa ove lo statuto dei
Luoghi Santi è sottoposto al regime dello statu quo. I rapporti sono a volte
difficili[9] nei due grandi santuari della cristianità, cioè il Santo Sepolcro e la
Basilica della Natività.

55. Il dialogo ecumenico viene condotto nel quadro del Consiglio delle Chiese
del Medio Oriente, (commissione “fede e unità”), che raggruppa tutte le
Chiese in quattro famiglie: la famiglia greco ortodossa, la famiglia ortodossa
orientale (le Chiese copta, siriaca ed armena), la famiglia cattolica con le sei
Chiese patriarcali e la Chiesa latina, e la famiglia protestante (anglicani,
luterani, presbiteriani e altre denominazioni). Questo Consiglio rappresenta
praticamente tutti i cristiani del mondo arabo e, con le sue molteplici
commissioni (fede, istituti teologici e seminari, giustizia e pace, gioventù,
ecc.), compie un lavoro ecumenico che apporta alle Chiese un soffio nuovo e
una capacità di frequentare e rispettare gli altri.

56. La Santa Sede, inoltre, prosegue il dialogo teologico fecondo e fruttuoso


con le Chiese Ortodosse nel loro insieme e un dialogo separato con tutta la
famiglia delle Chiese Ortodosse Orientali, al quale prendono parte attivamente
le Chiese Orientali Cattoliche. La Fondazione pro Oriente di Vienna riunisce
saltuariamente le Chiese cattoliche ed ortodosse della regione per incontri di
riflessione teologica ed ecumenica.

57. Le scuole cattoliche accolgono tutti i cristiani. Se i genitori sono


d’accordo, gli studenti ortodossi possono avvicinarsi ai Sacramenti della
Penitenza e dell’Eucaristia. Ogni proselitismo deve essere respinto. Gli
studenti ortodossi sono invitati a conoscere la loro Chiesa e a restarle fedeli.
Esistono, inoltre, numerosi progetti sociali comuni, iniziati e gestiti dagli
stessi fedeli.

58. Non mancano, poi, progetti pastorali comuni elaborati nel Consiglio dei
Patriarchi Cattolici riuniti con i Patriarchi Ortodossi di Libano e Siria. Essi
riguardano quattro punti: i matrimoni misti tra diverse confessioni cristiane, la
prima comunione, un catechismo comune e una data comune per il Natale e la
Pasqua. Sono stati raggiunti degli accordi per quanto riguarda i primi tre
argomenti. Il catechismo comune è arrivato al 6° libro per la 6aelementare. La
questione dell’unificazione della data del Natale e della Pasqua, trattata dal
Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, incontra difficoltà insormontabili
(di disciplina, tradizione, ecc.). È tuttavia grande desiderio dei fedeli in tutti i
Paesi del Medio Oriente, poter celebrare un giorno queste due feste insieme.

59. Sul piano accademico, le università, le facoltà o gli istituti di teologia


collaborano tra di loro. Lo studio del patrimonio religioso, siriaco ed arabo,
suscita un reale interesse presso le istituzioni accademiche e anche le
gerarchie. Si tratta di un settore molto promettente che potrebbe essere fonte
di arricchimento spirituale: il ritorno alla Tradizione comune può essere un
mezzo eccellente di riavvicinamento teologico. Inoltre, il patrimonio cristiano
di lingua araba, accademicamente valorizzato, favorisce un vero dialogo
culturale e religioso tra i cristiani e con i musulmani.

60. C’è un ambito che meriterebbe una collaborazione su base regolare tra
cattolici ed ortodossi: è quello della liturgia. Sarebbe auspicabile uno sforzo di
rinnovamento, radicato nella tradizione e che tenga conto della sensibilità
moderna e dei bisogni spirituali e pastorali attuali. Tale lavoro dovrebbe
essere realizzato, per quanto possibile, congiuntamente.

C. Rapporti particolari con l’ebraismo

61. Vista la situazione politica conflittuale tra Palestinesi e mondo arabo da un


lato, e Stato d’Israele dall’altro, il dialogo è poco sviluppato nelle Chiese della
regione. I rapporti con l’ebraismo sono la peculiarità delle Chiese di
Gerusalemme[10]. In Palestina e Israele, esistono molteplici associazioni di
dialogo ebraico-cristiano. Allo stesso modo, esistono iniziative di dialogo tra
ebrei, cristiani e musulmani. La più importante è quella del “Consiglio
interreligioso delle Istituzioni religiose”, le cui origini risalgono all’anno 2001
(esso comprende il grande rabbinato, il grande qādi e il ministro dei Waqf, e i
tredici Patriarchi o capi di Chiesa di Gerusalemme). Il dialogo più importante
è quello che si produce a livello di Santa Sede (e che include anche
partecipanti delle Chiese locali) con il Grande Rabbinato d’Israele.

62. Il Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente menziona i rapporti con


l’ebraismo già nella sua 2a Lettera Pastorale (1992). Nella 10a ed ultima
Lettera (2009), si afferma: “Queste relazioni sono una questione che riguarda
tanto i cristiani arabi, quanto tutto il mondo arabo. Per questo sono da
considerare a tre livelli: umano, religioso e politico.

Sul piano umano, ogni persona umana è creatura di Dio. A questo livello di
incontro, ognuno di noi vede il volto di Dio nell’altro, ne riconosce la dignità
e lo rispetta qualunque sia la sua religione o nazionalità.

Sul piano religioso, le religioni sono invitate all’incontro e al dialogo e ad


essere operatori di riavvicinamento tra le genti, soprattutto in tempo di crisi e
di guerra [...]. Il ruolo del capo religioso, in ogni religione, è difficile,
soprattutto quando l’ostilità continua tra due parti [...]. Le nostre società hanno
bisogno di capi religiosi sinceri, servitori del loro popolo e dell’umanità, che
vedano che l’essenziale della religione, in ogni circostanza, consiste
nell’adorare Dio e nel rispettare ogni Sua creatura.

63. Sul piano politico, questa relazione è ancora segnata da una situazione
d’ostilità tra Palestinesi e mondo arabo da un lato, e Stato d’Israele dall’altro
[aggravata da concezioni religiose]. Causa di questa ostilità è l’occupazione
da parte d’Israele dei Territori Palestinesi e di qualche territorio libanese e
siriano”[11]. A questo livello, spetta ai capi politici coinvolti, con l’aiuto della
comunità internazionale, prendere le decisioni necessarie in accordo con le
risoluzioni delle Nazioni Unite.

64. Lo ha giustamente affermato il Santo Padre Benedetto XVI durante


la Visita Apostolica in Terra Santa, nelle due Cerimonie di Benvenuto. A
Betlemme, il 13 maggio 2009, diceva: “Signor Presidente, la Santa Sede
appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra
dei Suoi antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini
internazionalmente riconosciuti”[12]. E nel discorso all’aeroporto Ben
Gurion, di Tel Aviv, l’11 maggio 2009, auspicava “che ambedue i popoli
possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri
ed internazionalmente riconosciuti”[13].

65. Spetta a noi, come cristiani, incoraggiare ogni pacifico mezzo che possa
condurre alla pace attraverso la giustizia. Rientra altresì nella nostra missione
rammentare sempre la distinzione tra piano religioso e piano politico. E, come
ricordava il compianto Giovanni Paolo II, “non c’è pace senza giustizia, non
c’è giustizia senza perdono”[14]. Dobbiamo imparare a perdonare, pur non
accettando mai l’ingiustizia.

66. Adoperarsi per creare gruppi d’amicizia e di riflessione in vista della pace
tra ebrei, musulmani e cristiani, è compito essenzialmente ed eminentemente
cristiano. Come Cristo ha distrutto il muro che separava Ebrei e Greci,
assumendo il male su di sé, sulla propria carne (cf. Ef 2, 13-14), così noi
dovremo far cadere il muro di paura, diffidenza e odio, con la nostra amicizia
con ebrei e musulmani, israeliti e palestinesi.

67. Sul piano teologico, secondo l’insegnamento di Nostra aetate, n° 4, è


opportuno spiegare ai nostri fedeli il legame religioso esistente tra Giudaismo
e Cristianesimo, fondato sul legame tra Antico e Nuovo Testamento, per
evitare che le ideologie politiche arrivino ad intaccare questo rapporto. È
essenziale distinguere bene i piani politico e teologico: non utilizzare la
Bibbia a scopi politici, né la politica a scopi teologici.

D. Rapporti con i musulmani

68. Il rapporto tra cristiani e musulmani va compreso a partire da due principi:


da una parte, come cittadini di uno stesso Paese e di una stessa patria che
condividono lingua e cultura, come gioie e dolori dei nostri Paesi; dall’altra,
noi siamo cristiani nelle e per le nostre società, testimoni di Cristo e del
Vangelo. Le relazioni sono, più o meno spesso, difficili, soprattutto per il fatto
che i musulmani generalmente non fanno distinzione tra religione e politica, il
che mette i cristiani nella situazione delicata di non-cittadini.

69. Durante il Concilio Vaticano II, il 28 ottobre 1965, la Chiesa ha


proclamato di fronte al mondo la sua posizione in rapporto all’Islam: “La
Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente
e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che
ha parlato agli uomini”[15].

70. Tocca a noi, perciò, lavorare, con spirito d’amore e lealtà, per creare
un’uguaglianza totale tra i cittadini a tutti i livelli: politico, economico,
sociale, culturale e religioso, e questo conformemente alla maggioranza delle
Costituzioni dei nostri Paesi. Con questa lealtà alla patria, e in questo spirito
cristiano, noi facciamo fronte alla realtà vissuta, che potrebbe essere irta di
difficoltà quotidiane, cioè di dichiarazioni e minacce da parte di certi
movimenti. Constatiamo, in molti Paesi, la crescita del fondamentalismo, ma
anche la disponibilità di un gran numero di musulmani a lottare contro questo
estremismo religioso crescente.

71. A motivo di questa situazione generale, le relazioni tra cristiani e


musulmani non sono sempre facili. È certo che va fatto tutto ciò che possa
contribuire a risanare e a placare la situazione, quali che siano le difficoltà.
L’iniziativa, il più delle volte, viene dai cristiani: essa deve essere
perseverante. Queste relazioni (che possono evolversi verso il dialogo) vanno
dal buon vicinato alla collaborazione più franca, al livello di individui e
gruppi delle due religioni. I centri di dialogo tra musulmani e cristiani, ove
esistono, sono molto utili, soprattutto in periodi di crisi. Il Pontificio Consiglio
per il Dialogo Interreligioso ha un ruolo importante in ragione della sua
posizione di organismo ufficiale della Santa Sede.

72. Le nostre scuole e istituzioni svolgono un ruolo importante


nell’approfondimento di queste relazioni. Esse sono aperte a tutti, musulmani
e cristiani, e sono un’occasione per conoscersi meglio reciprocamente, per
allontanare taluni pregiudizi ed avere idee più esatte su ciò che è un cristiano e
il Cristianesimo. L’educazione ai diritti dell’uomo e alla libertà di coscienza fa
parte della formazione religiosa e umana generale: essa è vitale per le nostre
società e deve essere sviluppata.

73. Conoscersi reciprocamente è la base di ogni dialogo. Per questo deve


essere fatta quanto prima, assieme agli altri cristiani della regione, una
presentazione semplice del Vangelo e di Cristo, in lingua locale, basata
essenzialmente sul Nuovo Testamento e accessibile alla mentalità degli
uomini delle nostre società; essa sarebbe benefica tanto per cristiani quanto
per i musulmani, nel dialogo come nella vita quotidiana.

74. Esistono oggi numerose catene televisive cristiane o musulmane, in lingua


araba o in altri idiomi, che permettono, a chi lo vuole, di conoscere l’altro.
Sarebbe auspicabile, a questo riguardo, una collaborazione con tutte le Chiese.
È essenziale rimanere obiettivi nell’informazione fornita, e rispettosi dell’altro
nel dialogo, affinché la grazia del Vangelo possa essere veramente condivisa.

E. Contributo dei cristiani alla società


1. Due sfide ai nostri Paesi

75. Le sfide che oggi i nostri Paesi devono affrontare riguardano tutti:
cristiani, ebrei e musulmani, contemporaneamente. Di fronte ai conflitti e alle
ingerenze militari, le sfide della pace e della violenza hanno una grande
rilevanza. Parlare di pace e operare per la pace, mentre la guerra e la violenza
ci sono praticamente imposte, è una sfida. La soluzione dei conflitti è nelle
mani del Paese forte che occupa un Paese o gli impone la guerra. La violenza
è nelle mani del forte ma anche del debole, che, per liberarsi, può ugualmente
ricorrere alla violenza a portata di mano. Diversi nostri Paesi (Palestina, Iraq)
vivono la guerra e tutta la regione ne soffre direttamente, da generazioni.
Questa situazione è sfruttata dal terrorismo mondiale più radicale.

76. Troppo spesso i nostri Paesi identificano l’Occidente con il Cristianesimo.


Se è vero che l’Occidente (Europa e America) ha una tradizione cristiana e se
è vero che le sue radici sono cristiane, è certo che questi Paesi hanno oggi un
regime e governi laici e sono lungi dall’ispirarsi, nella loro politica, alla fede
cristiana. Tale confusione, che si spiega con il fatto che il mondo musulmano
non distingue facilmente tra aspetto politico e religioso, nuoce grandemente
alle Chiese della regione. In effetti, le scelte politiche degli Stati occidentali
sono addebitate alla fede cristiana. È importante spiegare il senso della laicità,
e ricordare ai nostri Paesi che non esiste una “Lega degli Stati cristiani” simile
all’Organizzazione della Conferenza islamica (OCI).

77. In queste circostanze, il contributo del cristiano consiste nel presentare e


nel vivere secondo i valori evangelici, ma anche nel dire la parola di verità di
fronte ai forti che opprimono o seguono politiche che vanno contro gli
interessi del Paese, e di coloro che rispondono all’oppressione con la violenza.
La pedagogia della pace è la più realistica, anche se è respinta dalla maggior
parte; essa ha anche più possibilità di essere accolta, visto che la violenza
tanto dei forti quanto dei deboli ha condotto, nella regione del Medio Oriente,
unicamente a fallimenti e a un’impasse generale. Il nostro contributo, che
esige molto coraggio, è indispensabile.

78. La modernità si presenta come una realtà ambigua. Da un lato, ha un volto


attraente, che promette confort e benessere nella vita materiale, perfino una
liberazione da tradizioni culturali o spirituali opprimenti. La modernità, del
resto, è anche lotta per la giustizia e l’uguaglianza, difesa dei diritti dei più
deboli, parità tra tutti gli uomini e le donne, credenti e non credenti, ecc. In
poche parole, è tutto ciò che è stato apportato dai Diritti dell’Uomo, immenso
progresso per l’umanità. Dall’altro lato, per il musulmano credente essa si
presenta con un volto ateo e immorale. Egli la vive come un’invasione
culturale che lo minaccia, rovinando il suo sistema di valori. Non sa come
farvi fronte: alcuni lottano contro di essa con tutte le loro forze. La modernità
attira e respinge allo stesso tempo. Il nostro ruolo, nelle nostre scuole come
attraverso i media, è quello di formare persone capaci di discernere il positivo
dal negativo, per prendere solo il meglio.

79. La modernità è anche un rischio per i cristiani. Le nostre società sono allo
stesso modo minacciate dall’assenza di Dio, dall’ateismo e dal materialismo, e
più ancora dal relativismo e dall’indifferentismo. È necessario che ricordiamo
il posto di Dio nella vita civile e in quella personale, e che diventiamo sempre
più uomini di preghiera, testimoni dello Spirito, che edifica e unisce. Tali
rischi, al pari dell’estremismo, possono facilmente distruggere le nostre
famiglie, società e Chiese. Da questo punto di vista, musulmani e cristiani
devono percorrere una strada comune.

2. I cristiani al servizio della società nei loro Paesi

80. Noi apparteniamo al Medio Oriente e con esso ci identifichiamo. Ne siamo


una componente essenziale. Come cittadini, condividiamo le responsabilità
per costruire e risanare. Inoltre, come cristiani, ciò è per noi un impegno. Di
qui l’obbligo a doppio titolo di condividere la lotta contro i mali delle nostre
società, che siano d’ordine politico, giuridico, economico, sociale o morale, e
di contribuire a edificare una società più giusta, solidale e umana.

81. Così facendo, seguiamo le tracce delle generazioni dei cristiani che ci
hanno preceduto: il loro apporto alla società è stato immenso, al livello
dell’educazione, della cultura e delle opere sociali, e ciò da numerose
generazioni. Essi hanno svolto un ruolo essenziale nella vita culturale,
economica e politica dei loro Paesi. Sono stati i pionieri della rinascita della
nazione araba.

82. Oggi la loro presenza nella politica, a parte il Libano, è più limitata,
soprattutto a motivo del loro numero ridotto. Pur tuttavia, il loro ruolo è
riconosciuto nella società. La Chiesa è presente nella società grazie alle
numerose istituzioni tenute dalle Chiese e dalle Congregazioni religiose, e
questa presenza è generalmente apprezzata. È auspicabile che i laici cristiani
si impegnino sempre più nella società.

3. Rapporti Stato-Chiesa

83. Nell’Islam non c’è laicità, ad eccezione della Turchia: l’Islam è, in


generale, religione di Stato, principale fonte della legislazione, ispirata
dalla charia. Per lo statuto personale (famiglia ed eredità in alcuni Paesi),
esistono statuti particolari per le comunità cristiane i cui tribunali ecclesiastici
sono riconosciuti e le loro decisioni applicate. Tutte le Costituzioni affermano
l’uguaglianza dei cittadini di fronte allo Stato. L’educazione religiosa è
obbligatoria nelle scuole private e pubbliche, ma non sempre è garantita ai
cristiani.

84. Alcuni Paesi sono Stati islamici, ove la charia è applicata non soltanto
nella vita privata, ma anche in quella sociale, anche per i non musulmani. Ciò
è sempre discriminatorio e, pertanto, contrario ai diritti dell’uomo.

Quanto alla libertà religiosa e a quella di coscienza, esse sono sconosciute


nella mentalità musulmana, che riconosce la libertà di culto, ma non quella di
proclamare una religione diversa dall’Islam e meno ancora di abbandonare
l’Islam. Inoltre, con la crescita dell’integralismo islamico, aumentano un po’
ovunque gli attacchi contro i cristiani.

F. Conclusione: contributo specifico e insostituibile del cristiano

85. Il cristiano ha un contributo specifico e insostituibile in seno alla società in


cui vive, per arricchirla dei valori del Vangelo. Egli è testimone di Cristo e dei
valori nuovi da Lui apportati all’umanità. È per questo che la nostra catechesi
deve formare, nel contempo, credenti e cittadini che operano nei vari settori
della società. Un impegno politico privo dei valori del Vangelo è una contro-
testimonianza e arreca più male che bene. Su più di un punto, questi valori, in
particolare i diritti dell’uomo, si uniscono con quelli del musulmano, e c’è
dunque interesse a promuoverli insieme.

86. In Medio Oriente esistono diversi conflitti nati a partire dal focolaio
principale che è il conflitto israelo-palestinese. Il cristiano ha un contributo
speciale da apportare nell’ambito della giustizia e della pace. È nostro dovere,
pertanto, denunciare con coraggio la violenza da qualunque parte essa
provenga, e suggerire un soluzione, che non può passare che per il dialogo.
Inoltre, mentre, da una parte, si esige giustizia per l’oppresso, è necessario,
dall’altra, introdurre il messaggio della riconciliazione basata sul perdono
reciproco. La forza dello Spirito Santo ci rende capaci di perdonare e chiedere
perdono. Solo questo atteggiamento può creare un’umanità nuova. I poteri
pubblici hanno bisogno di questa apertura spirituale che può procurare loro un
apporto cristiano umile e disinteressato. Permettere allo Spirito di penetrare i
cuori degli uomini e delle donne che soffrono nella nostra regione situazioni
conflittuali, ecco un contributo specifico del cristiano e il servizio migliore
che egli può rendere alla sua società.
Domande

18. La catechesi prepara i nostri giovani a comprendere e a vivere la


fede?

19. Le omelie rispondono alle attese dei fedeli? Li aiutano a comprendere


e a vivere la fede?

20. I programmi radiofonici e televisivi cristiani sono soddisfacenti?


Vorreste qualcosa di diverso nel vostro Paese? Quali programmi vi
sembrano mancare?

21. Come promuovere concretamente i rapporti ecumenici?

22. La riscoperta del patrimonio comune (siriaco, arabo, ecc.) ha una


qualche importanza?

23. Ritenete che la Liturgia avrebbe bisogno di essere riformulata?

24. Come testimoniare la fede cristiana nei nostri Paesi del Medio
Oriente?

25. Come migliorare i rapporti con gli altri cristiani?

26. Come interpretare i rapporti con l’ebraismo come religione, e come


promuovere la pace e la fine del conflitto politico?

27. Quali sono gli ambiti in cui può avvenire la collaborazione con i
musulmani?

CONCLUSIONE GENERALE:
QUALE AVVENIRE PER I CRISTIANI NEL MEDIO ORIENTE?
“NON TEMERE, PICCOLO GREGGE!”

A. Quale avvenire per i cristiani del Medio Oriente?

87. La nostra situazione attuale, di presenza piuttosto ridotta, è una


conseguenza della storia. Ma noi, con il nostro comportamento, possiamo
migliorare il nostro presente e anche il futuro. Da una parte, le politiche
mondiali sono un fattore che influirà sulla nostra decisione di restare nei nostri
Paesi o di emigrare. Dall’altra, l’accettazione della nostra vocazione di
cristiani nelle e per le nostre società sarà un fattore principale della nostra
presenza e testimonianza nei nostri Paesi. Si tratta, al tempo stesso, di una
questione di politica e di una questione di fede.

88. Per il momento, questa fede è vacillante e perplessa. I nostri atteggiamenti


vanno dalla paura allo sconforto, perfino tra alcuni pastori. Questa fede deve
diventare più adulta e fiduciosa mentre noi stessi dobbiamo prendere in mano
il nostro avvenire. Dipenderà dalla maniera con cui sapremo trattare e
stringere alleanze con gli uomini di buona volontà della nostra società.
Abbiamo bisogno di una fede impegnata nella vita della società, che ricordi ai
cristiani del Medio Oriente queste parole sempre attuali: “Non temere, piccolo
gregge” (Lc12, 32). Tu hai una missione, tu l’adempirai e aiuterai la tua
Chiesa e il tuo Paese a crescere e a svilupparsi nella pace, nella giustizia e
nell’uguaglianza di tutti i suoi cittadini.

B. La speranza

89. La speranza, nata in Terra Santa, anima tutti i popoli e le persone in


difficoltà del mondo da 2000 anni. Nel mezzo delle difficoltà e delle sfide,
essa resta una fonte inesauribile di fede, carità e gioia per formare i testimoni
del Signore risorto, sempre presente tra la comunità dei suoi discepoli. In tutti
i nostri Paesi, questa speranza ci sostiene, con la parola di Gesù: “Non temere,
piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”
(Lc 12, 32).

90. Ma la speranza significa, da un lato, riporre la propria fiducia in Dio e


nella Provvidenza divina che veglia sul corso della storia di tutti i popoli;
dall’altro, vuol dire agire con Dio, essere “collaboratori di Dio” (1 Cor 3, 9),
fare il possibile per contribuire a questa evoluzione in cammino. La nostra
catechesi ha bisogno di una maggiore apertura, sulla misura dell’amore di Dio
per tutti, e di una di catechesi che faccia dei nostri fedeli veri collaboratori,
con la grazia di Dio, in tutti gli aspetti della vita pubblica nelle nostre società.

91. Il nostro abbandono alla Provvidenza di Dio significa anche, da parte


nostra, una maggiore comunione. Ciò vuol dire un più grande distacco dai
punti di vista terreni, più liberazione dalle spine che soffocano la parola di
Dio[16] e la Sua grazia in noi. Come raccomanda San Paolo: “Amatevi gli uni
gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate
pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti
nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm12,
10-12). E Cristo ci dice: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa,
potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente
vi sarà impossibile” (Mt 17, 20; cf. Mt 21, 21).

92. Questi sono i credenti di cui abbiamo bisogno, tanto al livello dei nostri
capi e padri, quanto a quello dei nostri fedeli. Ci aiuti la Vergine Maria,
presente con gli Apostoli nella Pentecoste, ad essere uomini e donne pronti a
ricevere lo Spirito e ad agire con la Sua forza.

Domande

28. Perché abbiamo paura dell’avvenire?

29. Come incarniamo la nostra fede nel lavoro?

30. Come incarniamo la nostra fede nella politica, nella società?

31. Crediamo di avere una vocazione specifica in Medio Oriente?

32. Eventuali altri suggerimenti.

[1] Cf. Benedetto XVI, Discorso di Benedetto XVI in occasione della visita
alla Congregazione per le Chiese Orientali: L’Osservatore
Romano (10.6.2007), p. 6.

[2] Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient, 10e Lettre Pastorale sur le
chrétien arabe face aux défis contemporains « ‘L’amour de Dieu a été
répandu dans nos coeurs par l’Esprit Saint qui nous’ (Rm 5, 5)», Édition du
Secrétariat Général, Bkerké 2009, § 13 f.

[3] Ibid., § 7.

[4] Cf. Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient, 4e Lettre Pastorale sur le
mystère de l’Église «Je suis la vigne, vous, les sarments (Jn 15,5) » Édition du
Secrétariat Général, Bkerké 1996, § 5-16.

[5] Cf. Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient, 10e Lettre Pastorale sur
le chrétien arabe face aux défis contemporains « ‘L’amour de Dieu a été
répandu dans nos coeurs par l’Esprit Saint qui nous’ (Rm 5,5)», Édition du
Secrétariat Général, Bkerké 2009, § 11.

[6] San Paolo parla due volte de “la Chiesa di Dio che è in Corinto” (cf. 1
Cor 1,1 e 2 Cor1,2).

[7] Cf. Mc 10, 35-37. In Mt 20, 20-21 è la loro madre che rivolge la domanda
a Gesù.

[8] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Unitatis redintegratio, 3; 22.

[9] Nei due Luoghi Santi, uno statu quo regola i rapporti tra le tre confessioni
che custodiscono i luoghi: Latini (rappresentati dalla Custodia di Terra Santa,
cioè i padri francescani), Armeni e Greci. Si verificano a volte opposizioni o
scandali, immediatamente esacerbati dai mass media, a grande discapito della
Chiesa.

[10] 5 Chiese ortodosse, 6 cattoliche e 2 protestanti.

[11] Conseil des Patriarches Catholiques d’Orient, 10e Lettre Pastorale sur le
chrétien arabe face aux défis contemporains « ‘L’amour de Dieu a été
répandu dans nos coeurs par l’Esprit Saint qui nous’ (Rm 5,5)», Édition du
Secrétariat Général, Bkerké 2009, § 27.

[12] Benedetto XVI, Visita Apostolica in Terra Santa, Cerimonia di


benvenuto nei Territori palestinesi (13.05.09): L’Osservatore
Romano (14.05.09), p. 5.

[13] Benedetto XVI, Visita Apostolica in Terra Santa, Discorso all’aeroporto


Ben Gurion de Tel Aviv (11.05.09): L’Osservatore Romano (11-12.05.09), p.
12.

[14] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace “Non
c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza
perdono” (08.12.2001): AAS 94 (2002) 132.

[15] Concilio Ecumenico Vaticano II, Nostra aetate, 3.

[16] Cf. la parabola del seminatore, per esempio in Mt 13, 7 e paralleli.

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