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Publications de l'École française

de Rome

L'attività caritativa dei vescovi egiziani


Ewa Wipszycka

Riassunto
Che il vescovo, nell'Egitto bizantino, avesse un ruolo importante come organizzatore dell'attività caritativa, non ha bisogno di
essere dimostrato : le fonti di cui disponiamo presentano la cura dei poveri, degli ammalati, degli orfani e delle vedove come uno
dei compiti principali del capo della diocesi. Più interessante è constatare che questo compito apparteneva solo al vescovo, e
non anche agli altri membri del clero. I chierici posti a capo delle chiese non episcopali dette katholikai non svolgevano attività
caritativa, probabilmente per mancanza di mezzi. Concorrenti del vescovo in questa attività potevano invece essere le comunità
monastiche, che ricevevano per questo scopo doni da parte dei laici.

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Wipszycka Ewa. L'attività caritativa dei vescovi egiziani. In: L'évêque dans la cité du IVe au Ve siècle. Image et autorité. Actes
de la table ronde de Rome (1er et 2 décembre 1995) Rome : École Française de Rome, 1998. pp. 71-80. (Publications de
l'École française de Rome, 248);

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EWA WIPSZYCKA

L'ATTIVITÀ CARITATIVADEI VESCOVI EGIZIANI

Prendendo la parola dopo la relazione di Annick Martin, che


aveva come base i Canoni di Atanasio - un testo ricchissimo di
informazioni su vari aspetti dell'attività del vescovo -, ritengo ragionevole
concentrare la mia attenzione su un solo aspetto di questa attività -
un aspetto importante e per lo studio del quale uno storico-papirolo-
go può trovare nella sua documentazione materiali degni di esser
presentati in questa sede. Desidero parlare dell'attività caritativa del
vescovo, la quale, agli occhi dei moralisti ecclesiastici, costituiva
forse il suo compito principale.
Punto di partenza delle mie considerazioni sarà un passo di
un'operetta estremamente interessante, conservata in lingua copta
(lingua che probabilmente non era quella dell'originale) da un unico
manoscritto (un codice papiraceo del VI ? VII secolo) e pubblicata
nel 1915 da W. E. Crum1. Questa operetta appartiene al noto genere
letterario delle erotapokriseis , ha cioè la forma di una serie di
domande e risposte. Presenta le domande come fatte da due diaconi,
Stephanos e Anthimos (a noi non noti), e le risposte come date da
Cirillo di Alessandria. Non credo che essa riproduca - come pensava
il suo commentatore A. Ehrhardt - una conversazione autentica;
certo è invece che deve essere stata composta parecchio tempo
prima della data del codice che ce l'ha conservata (forse nel V secolo?)
e che riflette il modo di pensare delle cerchie dirigenti della Chiesa
alessandrina.
Ecco il passo che m'interessa2 :
Anthimos - Qual è la più grande virtù del vescovo? È il dono
delle visioni (profetiche), ? che cosa altro?
Cirillo - Il dono delle visioni non gli sarà per niente utile in
confronto con il dare ai bisognosi.
Anthimos - Può egli dare perfino al di là di ciò che la chiesa
possiede?

1 W. E. Crum, Der Papyruscodex saec. VI-VII der Philippsbibliothek in


Cheltenham. Koptische theologische Schriften, mit einem Beitrag von A. Ehrhard,
Strasburgo, 1915.
2 P. 28 del testo copto, p. 61-62 della traduzione.
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Cirillo - Del Signore è la terra e ciò che la riempie. È mai


pos ibile che Egli non conosca la situazione della Sua casa e dei Suoi poveri?
Stephanos - Non sarebbe dunque necessario mettere da parte
qualcosa per i poveri ? per una situazione di penuria?
Cirillo - Dico che nessuna situazione di penuria nascerà a causa
di colui che dà. Egli riceve nella fede, poi dà a sua volta nella speranza.
Anthimos - Se un uomo dà i suoi beni al vescovo, dicendo : 'Dalli
come elemosina, ? deponili nella chiesa' - nel caso che si tratti di beni
immobiliari, che i suoi parenti desiderino di portar via, che cosa
succederà allora?
Cirillo - La carità non cerca ciò che le appartiene.
Anthimos - Se fosse così, padre mio, tutti i beni della chiesa
verrebbero portati via.
Cirillo - Almeno Dio non potrà portare via ai poveri.
Anthimos - Se un uomo affida a qualcuno un voto dicendo :
'Dallo ai bisognosi', e se colui al quale egli lo ha affidato lo
distribuisce tra i bisognosi; e se poi, dopo che egli lo ha affidato, alcuni gli
vengono dietro dicendo che l'altro [cioè quello che ha fatto la
distribuzione] non ha dato loro niente, ? che egli non ha pensato a loro, che
cosa succederà allora?
Cirillo - Per il caso intorno al quale tu chiedi, esistono tre
possibilità. La prima : ? egli ha dato facendo distinzione tra le persone, ?
no. La seconda : egli non era (allora) proprietario della cosa
promes a come voto. La terza : egli non ha respinto nessuno.
Anthimos - E allora, mio signore, gli si chiederà conto della
differenza che ha fatto?
Cirillo - Non gli si chiederà conto, se egli avrà dato rapidamente
e senza furto.
Stephanos - Molti mormoreranno contro colui al quale è stata
fatta fiducia.
Cirillo - Proprio questa è la ricompensa di colui che ha assunto
l'amministrazione di un avere.
Anthimos - Se egli [l'amministratore] rinuncia [alla sua funzione]
e se poi l'uomo [// donatore] rimpiange la sua beneficenza, che cosa
succederà allora?
Cirillo - Egli cadrà presto in ciò che ha preparato. Ma tu salvati!
Stephanos - Chiunque si presenti, dunque, è doveroso dargli,
senza fare distinzione?
Cirillo - Se il voto appartiene a te, ti è lecito fare distinzione; se
invece il voto ti è stato affidato, non respingere nessuno che venga a
te. Infatti quando chiesi a mio padre : 'Perché date senza esame?', egli
mi disse : 'Perché la cosa non ci appartiene. Può darsi che egli sia
particolarmente bisognoso'. Disse inoltre : 'Essi hanno Dio, là dove si
trovano'.

Questo testo è molto istruttivo da vari punti di vista. Si notino in


particolare le realistiche considerazioni sulle difficoltà che sorgono
quando si distribuiscono aiuti tra i bisognosi : l'accusa di favorire
alcuni e di trascurare altri era, come si vede, un fenomeno frequente.
L'ATTIVITÀ CARITATIVA DEI VESCOVI EGIZIANI 73

Interessante anche il passo che accenna ai casi in cui i parenti di


defunti che hanno dato beni immobiliari alla Chiesa, si oppongono
all'esecuzione di tali disposizioni testamentarie3 : da questo passo
risulta che i casi di questo genere erano tanto frequenti che se la
Chiesa avesse rinunciato a tali legati, «tutti i beni della Chiesa sarebbero
stati portati via».
La risposta di Cirillo alla prima delle domande sopra riferite
riflette il punto di vista delle autorità della Chiesa, che dovevano aver
fatto esperienze non buone con certi vescovi ex asceti, troppo
lontani dai problemi e dai bisogni della gente comune.
La polemica contenuta nella risposta alla prima domanda ha un
bersaglio preciso : è diretta contro quei monaci che anteponevano i
doni carismatici alle qualità proprie di un buon amministratore
della comunità ecclesiastica. Per illustrare il modo in cui veniva difesa
l'opzione carismatica, mi permetterò di citare un testo molto chiaro
e, al di fuori della cerchia dei coptologi, poco noto. Tra gli apoftegmi
conservati solo nella versione saidica pubblicata da M. Chaîne, se ne
trovano alcuni riguardanti Bane4. Questo monaco era noto ai «capi
del distretto» (?) per la sua ascesi «spaventosa». A causa di questa
essi avevano per lui rispetto e venerazione grandissimi e «lo
costringevano a ricevere denaro da loro per distribuirlo ai poveri». Bane
camminava dunque di città in città e di villaggio in villaggio,
distribuendo il denaro, senza mangiare né bere, e poi ritornava alla sua
cella «per l'ascesi». Giunto alla soglia della vecchiaia, si chiuse
definitivamente nella sua cella, dandosi a pratiche di ascesi
rigorosissime. I «padri tra i fratelli» andavano a fargli visita ogni domenica e
gli chiedevano se la reclusione gli desse una soddisfazione maggiore
di quella che gli aveva dato la vita che aveva condotto prima, al
tempo in cui «nutriva i numerosi poveri»; lui allora rispondeva che tutto
ciò che aveva fatto prima - «sia l'ascesi, sia l'elemosina» - gli
sembrava ora «una profanazione» in confronto con la sua condizione
presente. Un giorno i monaci andarono da abba Abraam, un altro
asceta del luogo, e gli espressero il loro stupore per le parole di
Bane. Abba Abraam spiegò : quando Bane distribuiva l'elemosina,
non poteva nutrire un villaggio, una città, un paese; adesso invece «è
possibile a Bane alzare le sue due mani perché l'orzo cresca abbon-

3 Questa difficoltà è nota anche ad Agostino, Ep. 126, 9, ed. A. Goldbacher,


Vienna, 1904 (CSEL, 44). Cfr. H. Chadwick, The role of the Christian bishop in
ancient society, in Protocol of the thirty-fifth colloquy of the Center for Hermeneutical
Studies in Hellenistic and Modern Culture, Berkeley, 1980, p. 5.
4 M. Chaîne, Le manuscrit de la version copte en dialecte sahidique des
« Apophthegmata patrum», Il Cairo, 1960, p. 147-148 (Bibliothèque d'études
coptes, 6).
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dantemente nel mondo intero » ; gli è possibile anche « chiedere a Dio


di perdonare i peccati di tutta questa generazione».
È difficile dire che cosa pensassero sulla questione i cristiani
egiziani del tempo in cui furono composti entrambi i testi (molto
probabilmente V ? VI secolo). Non possediamo fonti che possano
informarci su questo. La maggior parte dei testi agiografici - che sono
la nostra fonte principale per lo studio dell'attività dei vescovi - è
nata in ambienti monastici e non si impegnava in discussioni sul
problema se «la principale virtù del vescovo» fosse «il dono delle
visioni» ? «il dare ai bisognosi»; tutt'al più cercavano di conciliare
entrambe le virtù5.
L'autore dei Canoni di Atanasio6 ha un atteggiamento simile a
quello espresso da «Cirillo» nel testo sopra citato. Se tutto il popolo
implora pane dal vescovo e non lo ottiene, che cosa vale la santità di
questo? Un vescovo che ami i poveri è ricco egli stesso, e alla sua
chiesa non mancherà nulla, perché sarà ricca. Un vescovo che sia un
padre per gli orfani e i poveri è un vero vescovo (canone 14). Il
vescovo deve ogni domenica, e ancor più a ogni grande festa, distribuire
l'elemosina, raccogliendo intorno a sé i poveri e gli orfani. Dio ha
istituito il vescovo perché sovvenga ai bisogni degli orfani e dei
poveri nei giorni di festa (canone 16). Tutto ciò che rimane al vescovo
dopo che abbia provveduto ai bisogni del clero e degli ammalati,
deve esser distribuito tra i poveri (canone 82).
I Canoni di Atanasio non solo esprimono la convinzione che
l'attività filantropica sia il compito principale del vescovo, ma
contengono anche echi di dispute in cui si criticavano i pastori santi, ma
poco attivi, e si giudicavano severamente le spese eccessive per la
costruzione di chiese (meglio fare l'elemosina ai poveri che innalzare
molti altari a Dio, canone 87).
Dell'attività caritativa del vescovo, i Canoni di Atanasio, il passo
dell'operetta che ho citato all'inizio, e molti testi agiografici i cui eroi
sono dei vescovi, parlano come se il vescovo fosse l'unico
organizzatore della beneficenza e come se la sorte dei poveri dipendesse solo
da lui7 (Naturalmente gli autori di questi testi presuppongono che il
vescovo non agisca in tutti i casi personalmente, bensì si serva del

5 Un esempio eccellente è fornito dalla Vita di Pisenthios : l'attività caritativa


su grande scala (non solo nella propria diocesi) e il dono profetico vanno insieme
(The arabic life of s. Pisentius, ed. E. de Lacy ?' Leary, Parigi, 1930 (Patrologia
orientalis, 22), p. 317-448).
6 W. Riedel, W. E. Crum, The Canons of Athanasius of Alexandria. The Arabic
and Coptic versions, Londra, 1904.
7 Nei Canoni di Atanasio una sola volta si menziona il presbitero a proposito
dell'attività caritativa : nel canone 47 (versione copta, p. 120-121) è detto che un
chierico che trovi degli ammalati per la strada deve cercare informazioni su di
loro e dar loro ciò di cui hanno bisogno. Per l'autore è chiaro che il chierico in
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clero che dipende direttamente da lui, specialmente dei diaconi e


dell'economo ? degli economi). Questo modo di rappresentare il
ruolo del vescovo è conforme a quello che sappiamo della Chiesa del
II e del III secolo, quando il culto era celebrato esclusivamente dal
vescovo e i collaboratori del vescovo erano in grado di prendere cura
di tutti i fedeli bisognosi. Chiediamoci se questa immagine valga
anche per il periodo posteriore.
Nell'Egitto del periodo in cui furono scritti i Canoni di Atanasio
e il dialogo tra Cirillo e due diaconi, la situazione della Chiesa era
profondamente diversa rispetto al III secolo8. Si era sviluppata una
densa rete di chiese, il cui numero andava rapidamente
aumentando. Una parte di queste, dette katholikai, si era assunto il compito di
assicurare il culto ai fedeli che abitavano fuori della città in cui
risiedeva il vescovo : possiamo chiamarle, sebbene un po'
impropriamente, chiese parrocchiali. Oltre alle katholikai, esistevano
numerose chiese e cappelle che venivano aperte sporadicamente e che, in
certi casi, non avevano un loro clero. In questo paese densamente
popolato, dove esistevano molti grossi centri, che non avevano lo
status di città, ma contavano alcune migliaia di abitanti (a volte più
di diecimila), la maggioranza degli abitanti di una diocesi
partecipava raramente (e molti non partecipavano mai) alla messa celebrata
dal vescovo nella chiesa vescovile. E il vescovo e i suoi collaboratori
non potevano entrare in contatto con tutti coloro che avevano
bisogno di aiuto.
Sembrerebbe dunque naturale pensare che l'immagine del
vescovo come unico organizzatore dell'attività caritativa - immagine
che troviamo nei testi poco fa menzionati - riproduca un'immagine
fissata dalla tradizione letteraria anteriore al IV secolo. Credo
tuttavia che tale idea sarebbe errata. Uno dei risultati per me stessa più
'parrocchiali'
sorprendenti delle mie ricerche sulle chiese in Egitto è
stata la constatazione che tali chiese non svolgevano normalmente
attività caritativa.
Purtroppo posso fondarmi soltanto suW argumentum ex silentio ;
ma nel caso in questione esso mi sembra valido. La nostra
documentazione sull'attività pastorale della Chiesa nell'Egitto tardo-antico è

questo caso agirà a nome suo e farà l'elemosina coi suoi propri mezzi (se egli è
povero - aggiunge l'autore -, dovrà cercare aiuto presso altri).
8 Sui cambiamenti della struttura della Chiesa egiziana ho scritto più
ampiamente in due degli articoli raccolti nel mio libro Etudes sur le christianisme dans
l'Égypte de l'Antiquité tardive, Roma, 1996, e cioè negli articoli : La Chiesa
nell'Egitto del IV secolo : le strutture ecclesiastiche, e Katholike et les autres épithètes
qualifiant le nom ekklesia. Contribution à l'étude de l'ordre hiérarchique des Églises
dans l'Égypte byzantine.
76 EWA WIPSZYCKA

infatti molto ampia e si compone di testi appartenenti a varie


categorie e che si possono sottoporre a un esame incrociato.
Particolarmente significativo è ciò che constatiamo esaminando la
documentazione papirologica (nel senso ampio di questo termine), in primo
luogo due insiemi di testi prodotti in due cancellerie vescovili, quella
di Abraam, vescovo di Hermonthis, e quella di Pisenthios, vescovo di
Koptos (prima metà del VII secolo)9. In questi insiemi troviamo tra
l'altro atti di nomina di nuovi membri del clero, contenenti
indicazioni dettagliate sui futuri compiti di questi; inoltre lettere
appartenenti alla corrispondenza tra membri del clero e Abraam ?
Pisenthios (entrambi questi vescovi risiedevano in monasteri situati fuori
della zona coltivata). Questi documenti ci consentono di stabilire in
modo abbastanza sicuro in che cosa consistessero i doveri del clero
di campagna : si trattava soprattutto di celebrare il culto, di aver
cura della chiesa e di sorvegliare la condotta morale dei fedeli per
poter informare sollecitamente il vescovo sugli scandali10. Di attività
caritativa non si parla. Le stesse conclusioni si possono trarre da
documenti che non costituiscono degli insiemi, specialmente dalle
lettere. E al silenzio delle fonti documentarie corrisponde quello delle
fonti letterarie.
Il fatto che nessun testo accenni a un qualsiasi ruolo dei diaconi
di villaggio nell'attività caritativa del vescovo, si rivela ancora più
significativo se lo confrontiamo con ciò che il canone 5 dei Canoni di
Ippolito" dice dei doveri del diacono al servizio di un vescovo. Il
diacono, secondo questo testo, serve il vescovo e i presbiteri in tutto, e
non solo durante la liturgia : si occupa dei malati privi di assistenza,

9 E. Revillout, Textes coptes extraits de la correspondance de saint Pésunthios,


évêque de Coptos, et de plusieurs documents analogues , dans Revue égyptologique,
9, 1900, p. 133-137; 10, 1902, p. 37-47; 14, 1914, p. 22-32. Inoltre : M. Krause, ??a
Abraham von Hermonthis. Ein oberägyptischer Bischof um 600, diss. Berlino
(Humboldt-Universität) 1956 (dissertazione inedita, almeno nel momento in cui
scrivo; si può ottenerla attraverso il prestito tra biblioteche); in questo lavoro
M. Krause ha dato una nuova edizione di testi già pubblicati da altri (soprattutto
da W. E. Crum, Coptic Ostraca, Londra, 1902), e ha pubblicato per la prima volta
parecchi documenti molto importanti.
10 Per ulteriori informazioni su questo tema, cfr. il mio libro citato qui sopra
(nota 8), p. 186-188.
11 Les Canons d'Hippolyte. Edition critique de la version arabe, introduction et
traduction française, ed. R.-G. Coquin, Parigi, 1966 (Patrologia orientalis, 33),
p. 357. Il canone in questione è stato chiaramente allargato dal redattore dei
Canoni di Ippolito (intorno all'anno 340) rispetto agli altri testimoni della Tradizione
apostolica (cfr. Der koptische Text der Kirchenordnung Hippolyts, herausgegeben
und übersetzt, ed. W. Till e J. Leipoldt, Berlino, 1954, p. 4-5; e Traditionis aposto-
licae versio Latina, Didascaliae apostolorum, Canonum ecclesiasticorum,
Traditionis apostolicae versiones latinae, ed. E. Tidner, Berlino, 1963, p. 129-130).
L'ATTIVITÀ CARITATIVA DEI VESCOVI EGIZIANI 77

informa il vescovo perché questi preghi per loro e dia loro ciò di cui
hanno bisogno. Anche su altre persone bisognose di aiuto il diacono
informa il vescovo.
Se le chiese 'parrocchiali' non si impegnavano regolarmente in
attività caritativa (il che non vuol dire che non lo facessero mai),
questo era dovuto alla loro situazione materiale tutt'altro che
florida. (Non parliamo poi delle chiese che non erano sede di un culto
stabile e che non portavano l'epiteto katholike). La base economica
principale della loro esistenza erano le offerte che i fedeli facevano
in occasione delle messe - sia delle messe a cui partecipava la
comunità tutta intera (cioè delle messe della domenica e delle altre feste),
sia di quelle per le anime dei defunti, celebrate prima del
quarantesimo giorno dal momento della morte. La maggior parte delle
offerte serviva ai bisogni del culto e al mantenimento del clero e delle
chiese. Durante la messa tutti i presenti (tranne i catecumeni, già
allora molto rari, e tranne le persone punite con l'allontanamento
dall'eucaristia) ricevevano gli eulogia. Questi piccoli pani, la cui
confezione comportava una spesa notevole per una chiesa non ricca,
non potevano ovviamente costituire un aiuto importante per i
poveri. Certo, quando il clero di una data chiesa riceveva offerte più
ricche del solito (ciò poteva accadere specialmente in occasione delle
messe per le anime dei defunti), poteva distribuirne una parte ai
poveri; tuttavia una fonte di entrate cosi incerta non era una base
solida per l'attività caritativa. Tra i documenti papirologici compaiono
testimonianze sull'appartenenza di terre ? case a singole chiese
nonvescovili; tuttavia esse non ci consentono di rispondere a domande
che per lo storico sono fondamentali : quanto frequenti erano questi
casi? Quali entrate le chiese ottenevano da tali proprietà? Come
erano amministrati questi beni?
I grandi proprietari - a giudicare dai documenti delle grandi
proprietà - non donavano terre alle chiese di villaggio, bensì
istituivano sovvenzioni regolari, non molto grandi, per i bisogni del culto.
Se le chiese non-vescovili avevano entrate che superassero il
minimo indispensabile per i bisogni del culto, trasmettevano le
eccedenze al vescovo (così facevano anche i monasteri, almeno a partire
dal V secolo). Se invece le chiese erano troppo povere per sostenere
le spese indispensabili, il vescovo era tenuto a fornire loro i mezzi
necessari12.

12 L'usanza che obbligava le chiese a trasmettere le eccedenze delle loro


entrate al vescovo, e obbligava il vescovo a sopperire ai bisogni delle chiese più
povere, è già solidamente radicata al tempo in cui furono redatti i Canoni di
Atanasio : si veda il canone 65 della versione copta (p. 129-130) : «And if there be
revenue in the church or the offering [to suffice] for the life of the clergy and the oil
for the light of the lamps, they may not trouble the bishop in anything. But if
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Il vescovo disponeva di notevoli mezzi economici di varia


origine. Poteva distribuirne una parte ai bisognosi per mezzo del clero
dei villaggi13, ma l'iniziativa apparteneva a lui.
Sebbene sia vero che il vescovo era praticamente l'unico
organizzatore dell'attività caritativa della Chiesa, sarebbe un errore
vedere in lui l'unico organizzatore dell'attività caritativa in generale. Al di
fuori dell'apparato ecclesiastico c'erano altri che la esercitavano. Di
essi bisogna ora parlare.
Opere di beneficenza venivano a volte intraprese da ricchi ?
ricchissimi membri di questa ? quella comunità locale. Se tali
iniziative conducevano alla fondazione di piae causae, il vescovo aveva il
controllo su queste, dentro e fuori dei limiti indicati dalla legge e
dalle usanze.
Esisteva però anche un'ampia sfera di opere di beneficenza che
non era affatto soggetta al controllo del vescovo : si tratta
del 'at ività caritativa esercitata sia dalle comunità monastiche, sia da
persone «del mondo» per mezzo delle comunità monastiche. Per capire
quanto questa attività fosse indipendente dal vescovo, bisogna tener
presente la forma propria del movimento monastico in Egitto in
tutta l'età bizantina, fino al tempo della conquista araba. La grande
dispersione dei centri monastici, la forte posizione delle piccole laurai
(piccoli centri semi-anacoretici, molto diffusi, presenti in tutto
l'Egitto), le modeste dimensioni delle comunità cenobitiche (la
congregazione pacomiana era in Egitto un'eccezione, non la regola; del
resto si mantenne come congregazione soltanto durante i primi
decenni del V secolo) - tutto ciò faceva del mondo monastico una
realtà fluida, difficile da controllare.
Non intendo suggerire che i rapporti tra il vescovo e i centri
monastici fossero per lo più caratterizzati da tensioni e conflitti. Questi
a volte nascevano, ma non erano, almeno a partire dal V secolo, la

there be not revenue therein, so as to suffice for the offering and the life of the
clergy and the oil of the lamps, then the bishop giveth unto them for these needs.
But if again there be revenue therein, so as to be more than these three needs, the
bishop shall take them and use them, according to the love of God; for the whole
will of God is in compassion toward the poor. Yet let him not forget one that is
needy beyond another, but let equality be among them all. For if Paul sought to
make the cities equal one with another, how much the more the churches which
are in a single city? As he saith in the (Epistle) to the Corinthians, 'that your
abundance may be for the want of those, that there may be equality for us'. Some
thou shalt find that are drunken, whilst others are anhungered. But as a good
governor, let there be equality for all the clergy which are good. And everything that
shall be over and above for them, let it serve for the needs of the poor». - Su
questa specie di tassa interna della Chiesa ho scritto più ampiamente nel mio libro
Les ressources et les activités économiques des églises en Egypte du IVe au VIIIe
siècle, Bruxelles, 1972, p. 121-130.
13 Cfr. la Vita di Pisentios, p. 375.
L'ATTIVITÀ CARITATIVADEI VESCOVI EGIZIANI 79

regola. Però, anche avendo i migliori rapporti con l'ambiente


monastico, il vescovo, per le ragioni che ho indicato, non era in grado di
controllarlo strettamente. Aggiungiamo che la maggior parte dei
monasteri e delle laurai si trovava nel gabal, fuori della zona
abitata : questo non facilitava il compito a un vescovo che volesse
osservare attentamente il modo in cui i monaci distribuivano gli aiuti tra
i poveri.
La beneficenza monastica assumeva due forme. Anzitutto, nelle
comunità maggiori, più vicine al modello cenobitico che a quello
della laura, vivevano, accanto ai monaci, uomini «del mondo»
malati e vecchi (conosciamo da un ampio dossier il caso di un uomo che
si era rifugiato in un monastero in attesa della morte, che credeva
vicina : non era affatto un uomo privo di mezzi per vivere e per farsi
curare, ma voleva morire in un luogo santo14). In pratica, dunque,
sebbene i monaci cercassero di difendersi da tali persone, i
monasteri, purché disponessero di mezzi, sia pur minimi, funzionavano
come ospizi e ospedali. Funzionavano anche come orfanotrofi, perché
ai monaci si affidavano bambini da allevare; questi poi diventavano
(se non si facevano monaci) servitori dipendenti dal monastero15.
Ancora più importante era molto probabilmente il ruolo di
singoli monaci ? di monasteri nel distribuire tra i poveri le offerte fatte
da persone ricche. Ricordiamo il caso, che ho citato prima, di Bane,
il quale distribuiva somme ingenti, fornitegli dai capi della regione
in cui viveva. Un'informazione simile troviamo in un passo della
Vita di Shenute : un abitante di Oxyrhynchos avrebbe detto : «Voglio
dare un po' di elemosina al monastero di apa Shenute in modo che
facciano della carità per la mia salvezza16». Nella documentazione
monastica egiziana troviamo parecchi casi di questo genere. Coloro
che volevano distribuire ai poveri denaro ? viveri, li affidavano ai
monaci non solo perché pensavano che questi fossero più onesti
degli altri, ma anche e soprattutto perché erano convinti che il merito
della beneficenza aumentava se i beni da distribuire passavano
attraverso le mani di un uomo santo. Sappiamo che in questo modo
agiva il vescovo Pisenthios17; non possiamo, per mancanza di fonti,
dire se molti altri vescovi agissero così.

14 Dossier pubblicato da A. A. Schiller, Ten Coptic legal texts, New York, 1932,
nr. 1-3.
15 Le informazioni delle fonti sono raccolte nel mio articolo Donation of
children, in The Coptic Encyclopedia, New York, 1991, p. 918-919.
16 Vite di monaci copti, tr. A. Campagnano e T. Orlandi, Roma, 1984, p. 144-
145.
17 Vita, p. 374-375 : «And all they brought him every year from the
monasteries, according to what was obligatory by the usages of the episcopate, he sent
privately to godly men who feared the Lord, that they might spend it all on the
needs of the poor».
80 EWA WIPSZYCKA

Se teniamo presente il ruolo dei vescovi, da un lato, e dei


monaci, dall'altro, nell'attività caritativa, potremo capire perché proprio a
vescovi e a monaci siano indirizzate gran parte delle lettere
contenenti domande di aiuto, che si trovano tra i papiri greci e copti di
tutta l'antichità tarda, dal IV secolo in poi18.
Dalla rassegna delle fonti ora compiuta risulta che i vescovi
egiziani riuscirono in grande misura a limitare le conseguenze dei
cambiamenti avvenuti nella struttura della Chiesa. Quelle chiese che
agivano al di fuori del controllo diretto e quotidiano del vescovo e
godevano di una notevole autonomia, svolgevano soltanto una parte dei
compiti che, fin dagli inizi del cristianesimo, spettavano ai capi delle
comunità. Le chiese katholikai organizzavano la vita cultuale dei
fedeli del luogo, ma fuori di questa sfera i loro chierici avevano
soltanto la funzione di informare il vescovo, che conservava gran parte del
suo potere originario. Alle chiese autonome il vescovo lasciava solo
quei mezzi economici che erano indispensabili per pagare i chierici,
per le offerte della messa e per l'olio delle lampade. Tutte le altre
spese richiedevano il suo intervento.

Ewa Wipszycka

18 Un esempio di una lettera a un vescovo : J. Drescher, A widow's petition, in


Bulletin de la Société d'archéologie copte, 10, 1944, p. 93-95. Un esempio di una
lettera a un monaco : PSI XIII 1342, ripubblicata da M. Naldini, // cristianesimo in
Egitto. Lettere private nei papiri dei secoli II-V, Firenze, 1968, nr. 86 (cito la
traduzione di M. Naldini) : «Al reverendissimo e piissimo nostro padre apa Sabino
anacoreta, da parte di Hymios (figlio) di Horos e Origene (figlio) di Hatres sitolo-
gi del 'villaggio' Alabastrine. - Prima di ogni altro scritto salutiamo tanto la tua
santità. Si degni la tua magnanimità di inviarci la piccola somma di denaro per le
tasse del fabbro Vittore, perché qui siamo sollecitati da parte dell'ausiliario del
'villaggio'. E cioè : io Hymios 2500 talenti d'argento, ed io Origene per 3 arure
18900 talenti d'argento, sì da costituire complessivamente 21400 talenti d'argento
netti. Per questo abbiamo esposto (ciò) alla tua pietà per mezzo del diacono Pae-
sios».

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