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de Rome
Riassunto
Che il vescovo, nell'Egitto bizantino, avesse un ruolo importante come organizzatore dell'attività caritativa, non ha bisogno di
essere dimostrato : le fonti di cui disponiamo presentano la cura dei poveri, degli ammalati, degli orfani e delle vedove come uno
dei compiti principali del capo della diocesi. Più interessante è constatare che questo compito apparteneva solo al vescovo, e
non anche agli altri membri del clero. I chierici posti a capo delle chiese non episcopali dette katholikai non svolgevano attività
caritativa, probabilmente per mancanza di mezzi. Concorrenti del vescovo in questa attività potevano invece essere le comunità
monastiche, che ricevevano per questo scopo doni da parte dei laici.
Wipszycka Ewa. L'attività caritativa dei vescovi egiziani. In: L'évêque dans la cité du IVe au Ve siècle. Image et autorité. Actes
de la table ronde de Rome (1er et 2 décembre 1995) Rome : École Française de Rome, 1998. pp. 71-80. (Publications de
l'École française de Rome, 248);
https://www.persee.fr/doc/efr_0223-5099_1998_act_248_1_5345
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questo caso agirà a nome suo e farà l'elemosina coi suoi propri mezzi (se egli è
povero - aggiunge l'autore -, dovrà cercare aiuto presso altri).
8 Sui cambiamenti della struttura della Chiesa egiziana ho scritto più
ampiamente in due degli articoli raccolti nel mio libro Etudes sur le christianisme dans
l'Égypte de l'Antiquité tardive, Roma, 1996, e cioè negli articoli : La Chiesa
nell'Egitto del IV secolo : le strutture ecclesiastiche, e Katholike et les autres épithètes
qualifiant le nom ekklesia. Contribution à l'étude de l'ordre hiérarchique des Églises
dans l'Égypte byzantine.
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informa il vescovo perché questi preghi per loro e dia loro ciò di cui
hanno bisogno. Anche su altre persone bisognose di aiuto il diacono
informa il vescovo.
Se le chiese 'parrocchiali' non si impegnavano regolarmente in
attività caritativa (il che non vuol dire che non lo facessero mai),
questo era dovuto alla loro situazione materiale tutt'altro che
florida. (Non parliamo poi delle chiese che non erano sede di un culto
stabile e che non portavano l'epiteto katholike). La base economica
principale della loro esistenza erano le offerte che i fedeli facevano
in occasione delle messe - sia delle messe a cui partecipava la
comunità tutta intera (cioè delle messe della domenica e delle altre feste),
sia di quelle per le anime dei defunti, celebrate prima del
quarantesimo giorno dal momento della morte. La maggior parte delle
offerte serviva ai bisogni del culto e al mantenimento del clero e delle
chiese. Durante la messa tutti i presenti (tranne i catecumeni, già
allora molto rari, e tranne le persone punite con l'allontanamento
dall'eucaristia) ricevevano gli eulogia. Questi piccoli pani, la cui
confezione comportava una spesa notevole per una chiesa non ricca,
non potevano ovviamente costituire un aiuto importante per i
poveri. Certo, quando il clero di una data chiesa riceveva offerte più
ricche del solito (ciò poteva accadere specialmente in occasione delle
messe per le anime dei defunti), poteva distribuirne una parte ai
poveri; tuttavia una fonte di entrate cosi incerta non era una base
solida per l'attività caritativa. Tra i documenti papirologici compaiono
testimonianze sull'appartenenza di terre ? case a singole chiese
nonvescovili; tuttavia esse non ci consentono di rispondere a domande
che per lo storico sono fondamentali : quanto frequenti erano questi
casi? Quali entrate le chiese ottenevano da tali proprietà? Come
erano amministrati questi beni?
I grandi proprietari - a giudicare dai documenti delle grandi
proprietà - non donavano terre alle chiese di villaggio, bensì
istituivano sovvenzioni regolari, non molto grandi, per i bisogni del culto.
Se le chiese non-vescovili avevano entrate che superassero il
minimo indispensabile per i bisogni del culto, trasmettevano le
eccedenze al vescovo (così facevano anche i monasteri, almeno a partire
dal V secolo). Se invece le chiese erano troppo povere per sostenere
le spese indispensabili, il vescovo era tenuto a fornire loro i mezzi
necessari12.
there be not revenue therein, so as to suffice for the offering and the life of the
clergy and the oil of the lamps, then the bishop giveth unto them for these needs.
But if again there be revenue therein, so as to be more than these three needs, the
bishop shall take them and use them, according to the love of God; for the whole
will of God is in compassion toward the poor. Yet let him not forget one that is
needy beyond another, but let equality be among them all. For if Paul sought to
make the cities equal one with another, how much the more the churches which
are in a single city? As he saith in the (Epistle) to the Corinthians, 'that your
abundance may be for the want of those, that there may be equality for us'. Some
thou shalt find that are drunken, whilst others are anhungered. But as a good
governor, let there be equality for all the clergy which are good. And everything that
shall be over and above for them, let it serve for the needs of the poor». - Su
questa specie di tassa interna della Chiesa ho scritto più ampiamente nel mio libro
Les ressources et les activités économiques des églises en Egypte du IVe au VIIIe
siècle, Bruxelles, 1972, p. 121-130.
13 Cfr. la Vita di Pisentios, p. 375.
L'ATTIVITÀ CARITATIVADEI VESCOVI EGIZIANI 79
14 Dossier pubblicato da A. A. Schiller, Ten Coptic legal texts, New York, 1932,
nr. 1-3.
15 Le informazioni delle fonti sono raccolte nel mio articolo Donation of
children, in The Coptic Encyclopedia, New York, 1991, p. 918-919.
16 Vite di monaci copti, tr. A. Campagnano e T. Orlandi, Roma, 1984, p. 144-
145.
17 Vita, p. 374-375 : «And all they brought him every year from the
monasteries, according to what was obligatory by the usages of the episcopate, he sent
privately to godly men who feared the Lord, that they might spend it all on the
needs of the poor».
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Ewa Wipszycka