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M.

HEIDEGGER – “ESSERE E TEMPO”

Citazione dal Sofista:

Lo Straniero di Elea, portavoce della posizione di Parmenide, dichiara che un tempo comprendeva il
significato della parola “ente” e ora si trova in grande imbarazzo poiché non sa più quale sia. Lo scopo della
citazione viene subito chiarito. Non solo la questione dell’essere dell’ente attende ancora risposta, ma
occorre ridestare quella perplessità che pare assorbita e dimenticata dal pensiero filosofico successivo. Lo
scopo dell’opera è elaborare il problema del senso dell’essere, dell’orizzonte all’interno del quale l’essere si
rende comprensibile, reperendolo nel tempo, distinto dalla temporalità, la quale rende invece
comprensibile l’essere del Dasein.

INTRODUZIONE

Capitolo primo: - Necessità, struttura e primato del problema dell’essere –

§1 – Necessità di una ripetizione esplicita del problema dell’essere

La ricerca sul senso dell’essere non è più tematizzata dai tempi di Platone e Aristotele. Quanto acquisito da
dai greci è ormai diventato definitivo e si ritrova, senza variazioni rilevanti, nella “Scienza della Logica” di
Hegel. Non solo. Dai Greci, in particolare dalla logica aristotelica, è derivata quella posizione secondo cui
l’essere, essendo indefinibile poiché si trova al di là dei generi e delle specie, non può diventare oggetto di
un pensiero che si muove soltanto attraverso concetti e definizioni. Il fatto che ognuno impieghi la parola
essere nei suoi discorsi e continui a intendersi con gli altri, la comprensione che ciascuno pretende di
averne, ecc., paiono rendere superflua qualsiasi ricerca sull’essere. In particolare, nel corso della storia
della metafisica occidentale si sono delineati tre pregiudizi strettamente intrecciati tra loro. Il primo
stabilisce che l’essere è quanto vi è di più generico, collocandosi al di là, come si è detto, dei generi e delle
specie che formano le varie regioni degli enti. Trovandosi al di là del molteplice genere/specie, occorre
chiedersi in che cosa consista la sua unità. Aristotele l’aveva concepita come unità dell’analogia. Il filosofo
riteneva che essere si dicesse in molti modi e che tali modi si riassumessero nei generi supremi, le
categorie. Esse esaurivano tutte le possibilità di predicazione, di ciò che si poteva affermare e pensare
attorno all’ente. Vi era però una categoria fondamentale a cui rimandavano tutte: quella di sostanza.
L’analogia è il riferirsi alla sostanza come loro fondamento di tutte le altre categorie, l’avere nella sostanza
il modello del riferirsi in quanto tale. Hegel si mantiene all’ombra dei greci nel cogliere l’essere come
l’”immediato indeterminato”, con l’importante differenza che non affronta nemmeno il problema dell’unità
dell’essere contrapposta alla molteplicità dei generi e delle specie. A questo punto, Heidegger taglia corto
sostenendo che l’assoluta genericità dell’essere non significa per nulla che esso sia chiaro. Al contrario,
proprio perché esso si colloca al di là delle consuete modalità di cogliere concettualmente l’ente, risulta
quanto vi è di più oscuro. Strettamente legato al primo è il secondo pregiudizio: l’essere è indefinibile. Per
definire un ente Aristotele sostiene che occorra collocarlo nel genere di appartenenza e individuarne la
differenza specifica, cioè la specie. Ovviamente, per quanto visto, ciò nel caso dell’essere non è possibile. La
conseguenza che va tratta da questa indefinibilità non consiste nel ridurre l’essere a una questione ovvia,
bensì nel mostrare che esso non coincide con gli enti e pertanto coglierne il senso significa collocarsi in un
percorso di ricerca ben diverso da quello intrapreso per rapportarsi ai vari enti. Ultimo pregiudizio: tutti
abbiamo una comprensione media dell’essere, pertanto è inutile chiedersi che cosa significhi essere: in
qualche modo, lo sappiamo già. Per Heidegger le cose non stanno affatto così. Certo, abbiamo una
comprensione media dell’essere, eppure non si sa dire quale ne sia il senso. La stessa definizione risulta
problematica, la sua genericità esorbitante. Proprio questa comprensione media va problematizzata in
relazione all’oscurità del senso dell’essere.

§ 2 – La struttura formale del problema dell’essere

Quella dell’essere è la Grundfrage, la domanda fondamentale. Affinché il problema dell’essere emerga


come il problema fondamentale si deve discutere la struttura stessa della problematicità. La Grundfrage
deve ritagliarsi il proprio spazio sullo sfondo di una problematicità resa trasparente. Porre un problema o
una domanda implica un cercare, un adoperarsi a trovare, in direzione di qualcosa, il cercato. Il cercato
deve orientare sempre il cercare. Vale a dire: il domandare autentico intacca il dominio della risposta. Se il
cercare tematizza sé stesso, indicando esplicitamente ciò attorno cui verte il problema, si ha una ricerca. Il
cercato che da lontano fa sorgere il problema, in quanto termine della ricerca, punto di arrivo, è il ricercato.
Il ricercato è il cercato che deve venir determinato e portato a livello concettuale, ossia il cercato che la
ricerca esige per compiersi. La ricerca è condotta da un ente che interroga e si interroga, l’interrogato.
L’essere del problema si raggiunge quando diviene manifesta la presenza a un tempo del cercato, del
ricercato e dell’interrogato. Il problema del senso dell’essere mette in gioco l’essere del
problema/questione con tutti i suoi costituenti. I movimenti compiuti attorno all’essere richiamano il
celebre paradosso degli eristi discusso nel Menone platonico: “Come si può conoscere ciò che non si sa? E
se si sa, a che serve conoscerlo?”. Ora, l’essere è per noi in parte noto e in parte ignoto. E’ noto poiché ne
abbiamo una comprensione media, cioè per noi espressioni come “Il cielo è azzurro”, “Che cosa è essere?”,
ecc., non sono affatto problematiche. E’ ignoto dal momento che tale comprensione non ci è
completamente chiara ed occorre elaborarla a livello concettuale. Come Heidegger specificherà nel corso
dell’opera, la condizione affinché qualcosa sia comprensibile è il suo senso. Il senso dell’essere è ciò che ci
orienta nella ricerca, il suo carattere vago e fluttuante, anche a causa dell’influenza delle dottrine
filosofiche del passato, quel che va spiegato elaborando il concetto di essere. Portando questi risultati
all’interno della struttura dal problema si ha che il cercato, ciò verso cui si muove la ricerca, è l’essere, che
differisce dall’ente. L’essere dell’ente, infatti, non è esso stesso un ente. Come si è visto, l’essere non è
pensabile attraverso la concettualità e la logica che riguardano gli enti, né si colloca all’interno delle regioni
in cui si collocano gli oggetti della conoscenza. Il ricercato, quel che si vuole esplicitamente raggiungere
nella ricerca, è il senso dell’essere. L’interrogato, invece, coincide con l’ente. Riguardo all’ultimo punto, si
può osservare che ente si dice in molti modi. Sono enti la pietra, l’albero, l’animale e l’uomo, per esempio.
Quale ente è interrogato? Vi è qualche ente che solo possa porsi il problema dell’essere, abbia, cioè, il
primato della domanda? Domandare, cercare, ecc., sono tutte possibilità di essere di quell’ente che noi
sempre siamo. Heidegger definisce l’ente che noi sempre siamo Dasein. Se porre il problema dell’essere è
una possibilità dell’essere del Dasein ne consegue che l’adeguata esplicitazione di tale problema, ai fini
della ricerca, esige la preliminare esposizione dell’essere del Dasien. Dal punto di vista delle scienze,
sorgerebbe ora una obiezione. Infatti, la determinazione dell’essere del Dasein è soltanto il presupposto
per giungere al senso dell’essere. Tuttavia, così procedendo si giungerebbe all’inizio a ciò che invece si
dovrebbe arrivare alla fine. Il senso dell’essere sarebbe già contenuto nell’essere del Dasein. Si cadrebbe
così in un circolo vizioso. Per Heidegger non è affatto così. La ricerca ontologica non ha un’impostazione
deduttiva. Non parte da dei principi indimostrabili per dedurne tutte le conseguenze. Essa è semmai un
mostrare, un far vedere, sempre più penetrante. L’essere è presupposto in ogni ontologia, non come
concetto, ma come colpo d’occhio, come precomprensione, che si incontra a partire dal mondo quotidiano.
La domanda ha sempre il primato sulla risposta. Il cercare è guidato a distanza dall’essere e questo, la
precomprensione dell’essere, è un fatto che riguarda l’Esserci. Giunti a questo punto abbiamo soltanto
mostrato che il problema dell’essere può venir posto dal Dasein, che fa parte delle possibilità del suo essere
e pertanto tale essere va preliminarmente discusso, affrontato. Non abbiamo invece dimostrato il primato
ontologico del Dasein fra tutti gli enti.

§ 3 – Il primato ontologico del problema dell’essere

La riproposizione della domanda sull’essere è stata finora giustificata rifacendosi alla legittimità della sua
origine, ossia l’importanza della filosofie di Platone e Aristotele per l’Occidente, e al fatto che essa non ha
ancora trovato soluzione. Vi sono però altre ragioni per cui essa è il più fondamentale e concreto dei
problemi. Le scienze attraversano ormai un crisi dei fondamenti. Una scienza è tanto più sviluppata quanto
più può mettere in discussione i propri fondamenti e reimpostare su nuove basi la ricerca. Una crisi dei
fondamenti attraversa, dopo Goedl, la matematica. Lo stesso si dica per la fisica, che, dopo la teoria della
relatività in cui la relatività delle distanze e dei tempi comporta, da un lato, una estensione del
determinismo delle leggi naturali, dall’altro una interrogazione su quella materia su cui si applicano tali
leggi. La biologia si è liberata dall’impostazione meccanicista dietro i suoi concetti fondamentali, come
quello di organismo e materia. La storiografia e le scienze dello spirito in genere ormai identificano la realtà
storica con la tradizione e i mezzi per la sua trasmissione. La teologia sta recuperando un’esperienza
originaria della fede liberandosi dai concetti dogmatici e dagli apparati concettuali della Scolastica. Ogni
scienza presuppone che sia già trattato l’essere del proprio oggetto, implica una ontologia. L’ontologia è in
grado di supportare una nuova logica. Non un metodo su cui basare la correttezza delle proposizioni, ma
l’apertura di un ambito preliminare a partire dal quale la scienza può procedere, come la “Critica della
ragion pura” kantiana elabora le possibilità e i limiti della scienza della natura. Tuttavia, la rifondazione
delle scienze non è completa. L’essere dell’ oggetto di ciascuna scienza, richiama la determinazione
dell’essere come tale, le ontologie particolari l’ontologia generale.

§ 4 – Il primato ontico del problema dell’essere

Le varie scienze sono anch’esse delle possibilità d’essere del Dasein, seppur non le uniche o le più
immediate. L’Esserci è quell’ente nel cui essere ne va di questo stesso essere. In altre parole: l’Esserci
rapportandosi al proprio essere, comprendendolo, realizza una determinazione, un modo d’essere, del suo
essere stesso. Il Dasein è un essere ontologico. Daccapo: la comprensione dell’essere realizza un possibilità
d’essere del Dasein. Essere ontologico non significa formulare ontologie. L’ontologia è il risultato di una
ricerca, di una comprensione sistematica e articolata. L’essere ontologico sta più in fondo. Proviene da
quella comprensione vaga e media dell’essere che il Dasein possiede. Questa comprensione fluttuante si
dovrebbe propriamente chiamare precomprensione e l’essere ontologico che da questa deriva essere pre-
ontologico. L’essere dell’Esserci, continua Heidegger, è l’esistenza. Non è possibile stabilire un quid
dell’esistenza, un’essenza, in quanto l’Essere è avendo da essere, non essendo mai una sostanza o un
essere stabile, ma proiettandosi verso la determinazione del proprio essere. Tale determinazione è una
delle possibilità che il Dasien ha scelto, in cui è incappato casualmente o che lo accompagnano da sempre.
L’esistenza compresa mediante le singole possibilità cui il Dasein si rapporta, l’esistenza come affare del
Dasein, metta a capo a una comprensione esistentiva. Viceversa, l’esistenza compresa dalle sue strutture,
chiamate esistenziali, realizza una comprensione esistenziale. In tutti i casi è in questione l’essere del
Dasein, il quale presuppone il senso dell’essere in generale. Pertanto, l’Analitica esistenziale è guidata dal
senso dell’essere. Le scienze, altre possibilità d’essere del Dasein, sono invece indirizzate, prosegue il
filosofo, da un rapporto all’ente difforme, altro, dall’Esserci. La condizione di questo rapportarsi è l’”essere-
nel-mondo”: nel mondo l’Esserci incontra l’ente difforme da sé. La comprensione del mondo appartiene
all’essere dell’Esserci, così come quella degli enti che si trovano in esso. L’ontologia fondamentale su cui si
basano tutte le ontologie regionali implica l’Analitica esistenziale, ovvero l’analisi dell’esistenza intesa come
essere del Dasein. Abbiamo così raggiunto il primato dell’Esserci sugli altri enti. E’ innanzitutto un primato
ontico poiché solo l’Esserci può rapportarsi al proprio essere, l’esistenza. Quindi un primato ontologico:
disponendo di una precomprensione dell’essere in generale e potendo rapportarsi al proprio essere,
soltanto il Dasein può elaborare un’ontologia. Vale a dire: solo il Dasein è un essere ontologico. L’Esserci ha
poi un terzo primato: quello ontico-ontologico, nel senso che potendo comprendere l’essere dell’ente
mondano può di qui definire le varie ontologie particolari. Ad interrogarsi sull’esistenza è sempre un
determinato Esserci che lo fa a partire dalle singole possibilità che la intessono e la costituiscono –
possibilità esistentive. L’analitica esistenziale ha radici esistentive e si apre all’esistenzialità, diventa tale,
solo quando queste possibilità sono riconosciute come proprie dell’essere dell’Esserci. Abbiamo di nuovo
una prova del primato ontico dell’Esserci. Il primato ontico-ontologico è stato già notato nell’antichità da
Aristotele, sostenendo che l’anima è in un certo senso tutti gli enti, in quanto comprendendoli si mimetizza
in essi e da Tommaso D’Aquino, il quale sottolinea che l’anima può convenire, cioè coincidere, con qualsiasi
cosa. L’analitica esistenziale coincide con l’ontologia fondamentale. Non hanno più significato quelle
critiche che parlavano del circolo vizioso nello scoprimento dell’essere a partire dall’essere del Dasein.
L’Esserci funge da primo ente che deve essere interrogato attorno all’essere. Il problema dell’essere si
risolve in una radicalizzazione e chiarificazione della precomprensione che egli ha dell’essere,
precomprensione che costituisce un fatto dell’esis

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