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III

VERITÀ
E DISSIMULAZIONE
L’INFINITO DI GIORDANO BRUNO
TRA CACCIA FILOSOFICA
E RIFORMA RELIGIOSA

a cura di
Massimiliano Traversino

Opera pubblicata con il contributo della


Fondazione Parco Letterario Giordano Bruno - Nola
IV
Proprietà letteraria riservata.

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Giuseppe Piccinno.

ISBN 978-88-98264-50-6
V

SOMMARIO

M. Traversino, ............................................ IX

PARTE PRIMA
Percorsi del pensiero bruniano:
cosmologia, antropologia, etica, magia, cristianesimo

a. Bönker-vallon,
sul nesso tra cosmologia e antropologia in Giordano
Bruno ............................................................................. 3
M. a. Granada, Giordano Bruno. De immenso, I, 1-3, con
................. 17
M. CaMpanini,
confronto ....................................................................... 45
M. CaMBi, Magia e lullismo nel pensiero di Giordano
Bruno ............................................................................. 63
T. leinkauf,

................................................................. 85
a. sChüTz,
.. 125
M. Traversino,
Giordano Bruno: spunti dal De docta ignorantia di
.......................................................................... 155
VI soMMario

PARTE SECONDA
Elementi della semantica bruniana della natura:

immanenza e trascendenza

p. r. BluM, Giordano Bruno: l’Aristotele dissimulato ...... 173


a. Bönker-vallon,
eretica nel pensiero di Giordano Bruno ........................ 193
J.-f. MalherBe,
di Giordano Bruno ........................................................ 209
B. aMaTo, Naturalis philosophia e divina philosophia nel
Camoeracensis Acrotismus di Giordano Bruno ............ 223
a. MonTano,
...................................................... 247
d. knox, De
la causa, principio et uno ............................................... 277

PARTE TERZA
Religione, politica e diritto
nel tardo Cinquecento di Bruno e oltre

d. panizza, Il cosmopolitismo e le sue aporìe in Alberico


Gentili ........................................................................... 295
e. BluM, Religione e politica nel pensiero di Giordano
Bruno ............................................................................. 309
p. prodi, Giordano Bruno e il papato ................................ 331
B. sirks, ........ 343
G. GarneTT, La Francogallia di François Hotman: la storia
come diritto consuetudinario ........................................ 359
r. GiaCoMelli, L’immagine dell’Anticristo. Diffusione e
metamorfosi di un topos negli scritti degli esuli italiani
............................................................. 381
soMMario VII
M. Traversino,

americani ...................................................................... 411


Gli Autori ........................................................................... 507
Indice dei nomi .................................................................. 515
17

GIORDANO BRUNO. , I, 1-3,


CON ALCUNE RIFLESSIONI
SU BRUNO E SCHOPENHAUER
miguel a. granada

Alla memoria di Rita Sturlese e Alfonso Ingegno,


da cui tanto ho imparato su Bruno

In questo incontro bruniano, tenuto nella piccola pa-

speculazione, vorrei concentrarmi su quello che ritengo


sia il suo canto del cigno, il grande poema cosmologico
, pubblicato a Francofor-
te nell’autunno del 1591 insieme al e dopo
la pubblicazione in primavera del
. È noto che solo pochi mesi dopo, nel maggio
del 1592, sceso ormai a Padova e Venezia, Bruno sarebbe
stato denunciato all’Inquisizione veneziana. Da questo
momento, Bruno sarebbe stato, in grandissima misura e
per quanto riguarda la libera creazione e speculazione
-

terzo dei poemi francofortesi, intitolato appunto -


acquista un rilievo particolare
e può a buon diritto essere ritenuto il testamento non sol-
-
no teologico-religioso. Questa dimensione dell’opera si
18 miguel a. granada

impone ad un’attenta lettura sia nei primi capitoli che in

quel famoso «Perit ergo Peripateticum illud caelum pri-


mum rerum omnium quae natura constant principium et
1
, riprende non soltanto il grande e principale tema
dell’opera, ma anche le battute iniziali, ovvero i primi
capitoli del primo libro dopo la dedica al principe Enrico
Giulio di Braunschweig. Nell’impossibilità di occuparmi
della totalità di quest’opera ammirevole (anzi geniale),
mi limiterò ai primi tre capitoli, nella speranza di mostra-
re che in essi Bruno riesce a esprimere con la massima
lucidità: 1) i punti salienti della propria cosmologia in-
-
giosa e antropologica, senza dimenticare il ruolo storico
ed epocale di cui egli si ritiene investito; 2) il proprio
modo di operare, partendo non di rado da concezioni e
testi di autori precedenti, assunti letteralmente (senza in-

questo modo piegata a una concezione del tutto nuova,

vorrei analizzare il modo in cui, nell’uso sovversivo di


una di queste fonti (appunto il cristianissimo Marsilio Fi-
cino della -
), Bruno anticipa, per quanto riguarda il tema dell’at-
teggiamento davanti alla morte, il problema del timore di

con un’autentica conoscenza dell’essere e della sostan-


za. Queste posizioni saranno in seguito sostenute da uno
dei più grandi ammiratori del Nolano in epoca moderna,
Arthur Schopenhauer, nel suo capolavoro

1
g. Bruno, , VIII, 10, in
[da ora in poi OL], a cura di F. Fiorentino , Morano, Na-
poli-Firenze 1879-1891, vol. I, t. 2, p. 316. Vd. la traduzione italiana in g.
Bruno, :
, a cura di C. Monti, Utet, Torino
1980, p. 806: «Sono venuti meno ormai il cielo peripatetico, principio e
termine di tutti gli esseri naturali».
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 19
( -
).

1. , I, 3: IL CONCETTO DI SISTEMA
PLANETARIO ( )
COME STRUTTURA FONDAMENTALE
NELL’UNIVERSO INFINITO

Procederemo (per guadagnare in intensità) in ordine


inverso, partendo dal capitolo terzo del primo libro per
risalire al capitolo primo, dove Bruno ha già stabilito che

-
tolo, nella traduzione di Carlo Monti, «Disposizione dei
sistemi dei mondi nell’universo. Distinzione tra gli astri

sono visibili i pianeti che sono intorno agli altri soli»2.


“Sistemi dei mondi” traduce l’espressione latina “Syno-
dus ex mondis”, che è una voce coniata da Bruno per
designare quello che nel linguaggio d’oggi si direbbe un
“sistema planetario”3. Certo, il concetto di sistema pla-
netario era già presente nei dialoghi cosmologici pubbli-
cati nel 1584 a Londra, benché un equivalente in lingua
italiana non comparisse ne e nemmeno nel De
. L’espressione fa tuttavia la sua apparizione già
negli parigini contro i peripatetici del 1586 e in
modo più articolato nel del
1588. Ora, quando nel , stampato nel 1591,
Bruno inizia l’esposizione della sua concezione della
-
lo, ad essere avanzata è innanzitutto questa nozione di
-

2
cit., p. 426.
3
Vd. m. a. granada, , in e. canone - g. ernst
(edd.), , vol. II, Roma, coll. 142-
154.
20 miguel a. granada

tizione di sistemi planetari, ognuno dei quali è formato


da una stella o sole centrale e un numero più o meno

-
ti raramente visibili”. Il titolo del capitolo ci informa su
un ulteriore punto molto importante: i due elementi che
compongono il sistema o differiscono tra loro
nella misura in cui la stella centrale brilla di luce pro-
pria, avendo l’elemento fuoco come componente predo-

proprio sole. Nel corso del capitolo Bruno spiega anche


la ragione del terzo punto indicato nel titolo: perché i
pianeti che ruotano attorno ad altri soli (gli “esopiane-

e per la loro enorme distanza da noi.


Questa concezione implica che tra le stelle e il nostro
sole non sussiste alcuna differenza: ogni stella è un sole
intorno al quale devono ruotare, in virtù dell’omogeneità
della natura, altri pianeti, in modo analogo a come ap-
punto il Sole è circondato dalla nostra Terra e dagli altri
suoi pianeti. Ma ne deriva anche il fatto decisivo che le
-
stanti dalla Terra o dal Sole centrale, a seconda che si ac-
cetti la concezione geocentrica o copernicana. Anzi, ogni
stella si troverà rispetto alle stelle vicine a distanze simili
a quella che intercorre tra il nostro sole e le stelle / soli
ad esso più vicine / i.
Ad ogni modo, non è dalla semplice omogeneità del-
la natura e da quanto è dato constatare nella nostra re-
gione celeste che si inferisce l’esistenza necessaria di un
sistema planetario per ogni stella. Questo capitolo del
aggiunge anche una ragione detta “legge
-
tum sumere ab undis»4, cioè «è necessario, secondo una

4
OL, I, 1, p. 209.
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 21
nutrimento] dalle acque [i pianeti]»5, allo stesso modo in
cui i pianeti traggono dal loro sole la luce e il calore di
cui hanno bisogno. Il sistema planetario diverrà così una
struttura “perfetta”, nella misura in cui esso è la prima
-

grazie all’interscambio regolato di materia che ha luogo


tra i contrari di cui è costituito, con ciò evitando la perio-
dica o consunzione nel fuoco affermata dagli
Stoici. Non mi è possibile presentare in questa sede il

capitolo bruniano, per cui rinvio a quanto ho già altrove


segnalato6.
Mi soffermerò su altri due punti, certamente molto
importanti per comprendere la portata decisiva di questo
capitolo. Il primo attiene alla scelta del termine ,
e non per designare la struttura cosmologica
fondamentale. Se in antichità
-
tuale e se con l’avvento del cristianesimo il termine si
precisò nel senso di un’assemblea religiosa, molto pro-
babilmente Bruno lo avvertì invece come più che adat-

dové risultare al Bruno par-


ticolarmente funzionale a rappresentare la realtà cosmo-

dèi e numi), che con i loro movimenti celebrano in un

sé agli uomini eppure accessibile tramite la loro contem-


plazione intellettuale, come Bruno non aveva mancato di

5
cit., p. 426.
6
Vd. m. a. granada,
, 39, 469-495;
id., «Synodus ex mundis», cit.; id.,
-
, in H. HuFnagel - a. eusterscHulte (edd.),
, CEU Press,
Budapest-New York 2013, pp. 91-105.
22 miguel a. granada

capitolo primo7. designa dunque una


congregazione di dèi visibili che festeggiano la divinità
causa prima permettendoci di unirci ad essa attraverso
la contemplazione intellettuale della sua genitura unica.
Il secondo punto riguarda la conclusione del commen-
to in prosa, dove Bruno introduce un motivo molto im-
portante assente nei versi precedenti. Nel concludere que-
sta presentazione dei punti salienti della sua cosmologia,
il Nolano afferma che la dottrina dei
o sistemi planetari era affermata già nell’antichità prea-
ristotelica. La concezione dell’alimento che il sole trae
dalle esalazioni umide emesse dai pianeti nello spazio,
concezione ripresa dallo stoicismo antico e tramite esso
-
va già per lo stoicismo antico — attribuita a Omero, dove
è “silenicamente” (vale a dire, velatamente) esposta nel
mito del banchetto di Zeus e degli dèi olimpici tra i neri
Etiopi8. Si tratta dunque di una “sapientia” o vera cono-

7
OL, I, 1, p. 205: «in immenso aethereis spacio [...] unde tot astrorum,
mundorum inquam magnorumque animantium, et numinum uni altissimo

bonitas intellecta conspicitur, proque sua dignitate innumerabilium deo-


rum, mundorum dico adsistentia, concinentia, et gloriae ipsius enarratione,
-
cit., p. 422: «nell’immenso spazio dell’etere, [...] donde contemplia-
mo un così grande numero di astri, mondi, dico, e grandi esseri animati e
divinità che celebrano l’uno altissimo in una danza senza numero e senza

ed inefabile potenza delle cose visibili, si può comprendere e rimirare la


sempiterna, immensa maestà e bontà che, per la sua eccellenza, per l’armo-
nica presenza di innumerevoli dèi, di mondi, dico, e per la manifestazione
-
8
Cf. il passo in questione nella traduzione di Carlo Monti: «Si vedrà
chiaramente che siamo guadagnati non a favole, ma a quella sapienza che
si nasconde sotto i sileni, poiché un demone, cioè il furore omerico, in-
duce Giove, con gli altri Dei, cioè le stelle a libare ad Oceano presso gli
Etiopi. Gli Etiopi sono i corpi opachi dei pianeti, in cui domina l’elemento
dell’acqua, i quali sono celebrati anche per la loro qualità di numi ospitali.
E in verità, coloro che presero il nome di convitati divini, sono quei soli
che, tanto per ricordare qualche motivo, vengono denominati Dei per la
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 23
scenza del reale che, dopo le tenebre dell’età aristotelica,
ritorna alla luce con Bruno nella sua qualità di “Dux” e
“Vates”, secondo termini adoperati nel capitolo primo9.

2. , I, 2: LA VICISSITUDINE
NELLA STORIA, LA STRUTTURA SILENICA
DELLA REALTÀ E LA VERA SAPIENZA

Il capitolo secondo è un complemento all’introduzio-


ne svolta nel capitolo precedente, il cui altissimo livello
e intensità appaiono ora nettamente diminuiti. Cionono-
stante, esso offre al lettore alcuni motivi che chiarisco-

precedenti. Prendendo le mosse dal mito platonico della


caverna, quale era già stato mutuato all’inizio del De la
10
, Bruno insiste sulla propria particolare dimen-
sione storica di liberatore dell’animo umano incarce-
rato11: «La sacra mente mi ordina di portare a termine

tenebroso abisso cerca di innalzare gli animi prigioneri


con mistiche armonie verso la bellezza dei mondi splen-
denti intorno all’altissimo»12. Ora, però, viene precisato
in modo forse più chiaro che la differenza fra animali

loro posizione ragguardevole: ma spiegheremo, poi, più chiaramente, come


quelli si nutrano con l’acqua, con un altra argomentazione diversa da quella
del volgo». Su questo motivo vd. m. a. granada,
-
, «Bruniana & Campanelliana»
3 (1997), pp. 185-207.
9
OL, I, 1, p. 202.
10
, ed. (in seguito -
), vol. III, pp. 43-47. La caverna o carcere, però, è (come era stato

-
cere vere» (OL, I, 1, p. 201). Il motivo della caverna era già alla base dell’e-
logio del Nolano nel primo dialogo de ( , II, p. 47).
11
Cf. Cena, p. 47: «Il Nolano [...] ha disciolto l’animo umano e la co-
gnizione che era rinchiusa ne l’artissimo carcere de l’aria turbulento».
12
cit., p. 423.
24 miguel a. granada

“solari” e “notturni” non riguarda soltanto le specie, ma


si presenta anche all’interno della specie umana, di sorta
-
cettata e portata a termine da pochi («Perpaucique ho-
mines veri sunt, quique deorum / alta inter multos habi-
ti sunt indole digni»)13, ora che la ruota vicissitudinale
del tempo ha stabilito il ritorno «del sole de l’antiqua
14
. La maggioranza però preferirà rimane-
re «nell’antico cunicolo»15, o più precisamente: «vedrai
visibilmente turbato nel volto, allorché non potrà soppor-
tare i raggi fulgenti del Sole abbagliante, colui che, reso
pavido dall’abitudine ai fatui discorsi, è rimasto irretito
nei lacci della volgar philosophia»16. Abbiamo così con-
ferma dell’adesione bruniana all’idea di un’aristocrazia
dell’intelletto d’origine classica, giuntagli per il tramite
sia della tradizione platonica che dell’aristotelismo radi-

Il commento in prosa spiega comunque che l’atteg-


giamento volgare di resistenza alla verità ha come causa
la seduzione dell’apparenza, l’incapacità o resistenza ad
aprire la corteccia esterna delle cose per arrivare alla vera
essenza della realtà. Insomma, Bruno ritorna sulla strut-
tura silenica della realtà che già Erasmo aveva illustrato
in precedenza ed esorta ad aprire il sileno (positivo) per
scoprirvi la verità nascosta: «eccellenti castagne si na-
scondono sotto l’irtosità dei ricci, sostanze assai preziose
sotto i sileni [subque silenis preciosissimae quandoque
merces occultantur]»17.
In questo modo viene anticipato, come un tesoro pre-
zioso, il successivo richiamo già segnalato alla verità si-
lenicamente espressa e velata nel racconto omerico del

13
OL, I, 1, p. 207.
14
Riteniamo che il motivo del ritorno del sole dopo la notte abbia anche
Cena,
II p. 41.
15
cit., p. 423; OL, I, 1, p. 207: «tentabunt
veterem adremeare cavernam».
16
cit., p. 423; OL, I, 1, p. 208.
17
cit., p. 424.
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 25
banchetto degli dèi olimpici presso gli etiopi. Ma penso
che sia appunto la verità del “para-dosso” eliocentrico
o copernicano (paradosso che, come sappiamo, è la via
o condizione indefettibile per la riscoperta della vera

ripetizione di sistemi planetari) quel che Bruno invita a


prendere in considerazione, chiamando in seguito alla
prudenza nel giudizio, in un passo di portata generale,
ma che credo possiamo collegare con quanto era stato
detto nel quarto dialogo de a proposito del para-
dosso copernicano. Dice infatti il :

Est sententia, quam prima eminus fronte stultam, et contra-

de proximo vera comperta est, demumque penitius considera-


ta tum necessaria tum evidentissima comprobatur18.

In una prospettiva più chiaramente temporale,


ci aveva detto:
Io prima che avesse questa posizione [il moto della Terra] per
cosa certissima, alcuni anni a dietro la tenni semplicemente
vera. Quando ero più giovane e men savio, la stimai verisimi-
le. Quando ero più principiante nelle cose speculative, la tenni
sì fattamente falsa, che mi maravigliavo d’Aristotele che non
solo non si sdegnò di farne considerazione, ma anco spese più
della mittà del secondo libro Del cielo e mondo forzandosi
dimostrar che la terra non si muova. Quando ero putto et a
fatto senza intelletto speculativo, stimai che creder questo era
una pazzia19.

Per questa incapacità di vedere al di là delle apparenze


(Copernico aveva già detto nel non pubblicato -
18
OL, I, 1, p. 208; cit., p. 424. «Sono
parole che, ad una prima considerazione, ho giudicato stolte ed indegne

profondamente esaminate, appaiono sia necessarie che oltremodo eviden-


ti».
19
II, p. 217.
26 miguel a. granada

-
cano massimamente di stabilire l’immobilità della terra
si fondano principalmente sulle apparenze. Sono preci-
samente questi argomenti i primi che crollano dopo che
anche noi rovesciamo la detta immobilità appellandoci
alle apparenze»)20 il peripatetico ossoniense Torquato
-
so l’adagio erasmiano “Anticiram navigat”21. Allo stesso
modo, Bruno dirà più avanti nel , alludendo
all’atteggiamento spregiativo di Aristotele nei -
22
, che la dottrina delle esalazioni umide dei pianeti
(quindi il sileno omerico del banchetto degli dèi olim-

aggiungendo che quelle tesi «non sono ritenute degne


di alcuna contradizione dal volgo imperitissimo»23. Ma,
aggiunge subito Bruno, , adagio
con cui egli intende affermare la struttura vicissitudinale
del percorso storico, con l’eterna alternanza di periodi
di luce e tenebre e quindi la sua personale dimensione
storica di «ministro non mediocre e non volgare di un
secolo migliore che ora inizia»24, oppure (per riprendere
il passo successivo ne La Cena) che «il Nolano andava a
far provvisione d’elleboro per risaldar il cervello a questi
pazzi barbareschi»25.
Torniamo però al nostro secondo capitolo. Prendendo
le mosse dall’intellettualismo morale che egli condivide,
-

20
coPernico, nostra traduzione. Cf. il testo latino in
n. koPernikus, -
,
nach den Handschriften herausgegeben, übersetzt und erläutert von Fritz
Rossmann, Darmstadt, 1948, p. 12: «Etenim quibus Physiologi stabilitatem
eius [Terrae] potissime conantur, apparentiis plerumque innituntur; quae
omnia hic in primis corruunt, cum etiam propter apparentiam versemus
eandem».
21
II, p. 213.
22
, I, 6-7; II, 2, 354b 33-34.
23
OL I, 2, pp. 229 sgg.; cit., p. 745.
24
OL I, 1, p. 381; cit., p. 563.
25
II, p. 213.
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 27
lega, Bruno denota il destino parallelo di “sapienza” e

inferno) sono legate consequenzialmente a conoscenza e


ignoranza. Per questo motivo, una volta che nella società

ne conseguono cercano il lucro ( ). L’esito di un


simile percorso fatale è — come già enucleatosi nello
e ribadito nel
tanto da costituirne uno degli assi portanti — non sol-
-

falsa religione che sottopone il potere politico alla cre-


dulità (“stolta e vana fede”) da essa amministrata. Non
v’è dubbio che Bruno ha in mente lo spettacolo offerto
dall’Europa contemporanea, lacerata dalle guerre civili
-

Stati, i regni e gli imperi sono sconvolti, rovinati, banditi,


assieme ai saggi, ai prìncipi e ai popoli»26.
Ora, come premessa della restaurazione della vera

argomento dell’opera appena iniziata il recupero della

è che insieme ricerca e coltura della verità, una attività

-
dagnarsi il pane» ( ), ma «si procurano
le cose necessarie alla vita senza sottomettere a cose più
vili la maestà della verità, che deve essere coltivata per
se stessa»27. Ovviamente, Bruno fa sua quella concezio-

e trasmessa dagli autori del periodo ellenistico e impe-


-
ca del vero e del buono, praticando un atteggiamento di

26
cit., p. 425; OL, I, 1, p. 208.
27
.
28 miguel a. granada

per conformarsi ad esso28. Fedele a una tale concezione,


Bruno cita, per sovvertirlo, l’adagio comune «Primum
ditari oportet, et philosophari postea» («Prima è neces-
-
ne alla sapienza classica, che è veramente ricco «colui

disprezza tutte queste cose»29. Di conseguenza, il vero

sé le sue ricchezze» («portat quas habet divitias diviatia-


rum amator»)30
ha», cioè per quella sapienza o conoscenza che ancora
non ha conquistato. In questo senso, conclude Bruno il
capitolo, dobbiamo interpretare gli aneddoti riguardanti
le enormi ricchezze spese da Platone e Aristotele per pro-
curarsi rispettivamente i libri di Filolao e di Speusippo:

un mezzo «per l’acquisto della vera sapienza», giammai


l’inverso31.

28
Vd. gli studi ormai classici di P. Hadot, -
, Einaudi, Torino 2010; , Einaudi,
Torino 2005.
29
cit., p. 425; OL I, 1, p. 209. Bruno
aveva già sostenuto questa tesi nello , sem-
pre sulla scorta di Seneca; vd. , V, pp. 239 sgg. e per il debito nei
confronti di Seneca, m. a. granada,
, Herder, Barcelona 2005, pp. 259-277.
30
L’espressione è attribuita da Cicerone a
Bias di Priene, uno dei sette sapienti (vd. , I, 1, 8).
Seneca invece la attribuisce a Stilpone di Megara; cf. , 9,
18-19 e , 5, 6-7. Bruno aveva tratto l’aneddoto dalla
lettera a Lucilio nello ; cf. , V p. 379.
31
cit., p. 425; OL I, 1, p. 209. Gli ane-
ddoti provengono, per quanto riguarda Platone, da Diogene Laerzio,
, III, 9 (Vita di Platone) e VIII, 85 (Vita di Filolao) e IV, 5 (Vita
di Spesusippo) per Aristotele. Non si dimentichi che queste rapide battute
riguardanti la vera sapienza saranno poi riprese e sviluppate in modo più
articolato nel libro conclusivo del . Cf. OL I, 2, pp. 286 sgg.
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 29
3. , I, 1: UNIVERSO INFINITO E UNO;
PERMANENZA NELL’ESSERE.
FICINO, BRUNO E SCHOPENHAUER

Arriviamo così, in questo percorso contro corrente, al


primo e importantissimo capitolo. Come negli altri due
capitoli, anche in questo Bruno riprende motivi e temi
già svolti nei dialoghi italiani. Ora però è nel De l’in-
(e anche nel ) che
troviamo i precedenti di questo capitolo. Il breve esordio
in versi si ricollega al terzo e ultimo sonetto aggiunto a
l’epistola proemiale al . Sono versi, come è
noto, dove Bruno contrappone la sorte del volgo “atto-
nito” ai “pochi” che riescono con la forza della “mente”
-

“falso principio” del geocentrismo. Bruno non si limita


-

e la maggioranza che rimane prigioniera dell’opinione


erronea. Fiero della sua dimensione storica, presenta se
stesso come «Guida, Legge, Luce, Vate, Padre, Autore e
Via»32, in una tacita contrapposizione (resa palese nella
conclusione del commento in prosa) alla dimensione sal-

egli indica un cammino che ognuno deve intraprende-


re da sé, con le forze della propria mente. Gli “attoniti”
incapaci di questo sforzo restano in attesa di una rivela-
zione e legge religiosa che offra loro l’unione con il divi-

dell’intelletto e della volontà, di raggiungere, tema peral-


tro argomentato in modo esteso già negli .
-
-

32
cit., p. 418; OL I, 1, p. 202: «Reddor
Dux, Lex, Lux, Vates, Pater, Author, Iterque».
30 miguel a. granada

miale al , affronta le implicazioni teologiche


-
stanziale dell’universo e della sua relazione con la cau-
sa divina, che si presenta e rivela nella sua creazione in
-
ne d’un percorso intellettuale e dell’autentica comunione
con la divinità che avviene attraverso la contemplazione

stato fatto nel dialogo italiano — “perfezione dell’uo-


mo” («gravissimam perfectoque homine dignissimam
-
racolo” esaltato nell’ ermetico e nella sua cri-
stianizzazione ad opera del Ficino33.
Lasciamo però questi motivi conclusivi riguardanti

unisce motivi della tradizione peripatetica averroista con


l’assimilazione alla divinità propria della tradizione pla-
34
, ed esaminiamone le premesse. Bruno

al riconoscimento di una capacità inesausta della materia


di ricevere forme sempre nuove; dai sensi egli deriva la
realtà che situa l’uomo al centro variabile di un univer-
so il cui orizzonte è sempre diverso35

33
OL I, 1, p. 206: «Hinc miraculum magnum a Trismegisto appella-
bitur homo, qui in Deum transeat quasi ipse sit deus, qui conatur omnia
cit., p. 422.
Cf. , § 6 e Marsilio Ficino,
, XIV, 3, vol. II, p. 256 (ed. R. Marcel, Les Belles Lettres, Paris
1964).
34
Vd. m.a. granada, -
, in id., El

, Herder, Barcelona 2000, pp. 193-259, in particolare


230-259; m. a. granada, , in id.,
-
bre, Herder, Barcelona 2002, pp. 297-329.
35
Questo motivo si ricollega ovviamente al principio dell’omnicentra-

-
bi”. Il tema viene sviluppato inizialmente in , I, 4. Vd. a. del
Prete,
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 31
dà ragione della capacità dell’imaginazione e dell’intel-
leto di oltrepassare ogni numero e ogni grandezza, sia
36
. Il
motivo però che viene presentato in modo più diffuso è

dal discorso di Ficino in XIV, 2-5, e


alterandolo sensibilmente, il Nolano sostiene che il biso-
37
av-

Ficino giudicato impossibile e quindi inidoneo a soddi-

umana, portando piuttosto ad ammettere l’esistenza di


-

sussistenza. Ecco i passi paralleli di Bruno e Ficino, che


daranno la misura d’un simile stravolgimento:

, in F. tinguely (ed.),

, Droz, Ginevra 2008, pp. 33-47.


36
cit., p. 420; OL I, 1, p. 204.
37
OL

appetit semper esse quidquid aliquando est; ubique videre, quidquid alicubi
videt; [...] toto frui qui parte fruitur; [...] et consequutis non est contentum,
ubi aliquid ulterius remanserit assequendum». Cf. Ficino, -

Deus est omnia? Conatur mirum in modum. [...] Cum intellectus querat
res omnes intelligere et intelligendo formis earum penitur vestiatur, con-

affevtat bonis omnibus perfrui. Fruendo autem rebus, seipsam rebus quibus
fruitur unit (ed. Marcel, cit., vol. II, pp. 256, 258); ., XIV, 5: «Huma-
nus animus, et is quidem omnis, vitam aliquam cogitat sempiternam, quam
statim cogitatam affectat, semperque cupit esse. [...] Appetit noster animus
esse. Sed numquid naturalis est huiusmodi appetitus? Est absque dubio non
minus naturalis animo nostro quam caeteris rebus appetitus essendi. At
enim appetit esse semper. Num haec semper essendi cupiditas ita naturalis
est, sicut essendi? Est plane» ( ., pp. 262 sgg.).
32 miguel a. granada

Ficino, , XIV, 2, ed. Marcel, vol.


II, pp. 250 sgg.:
Cognita una quadam alicuius rei veritate non quiescimus, sed
aliam inquirimus rursusque aliam, quamdiu putamus verita-
tem aliquam superesse noscendam. Idem in bonis comparan-
dis inspicitur. Omne autem verum et omne bonum Deus ipse
est, qui primum verum est primumque bonum. Ergo Deum
ipsum appetimus. [...] Finis ergo noster est per intellectum
Deum videre, per voluntatem viso Deo frui, quia summum
bonum nostrum est summae potentiae nostrae obiectum sum-
mum sive actus perfectissimus circa ipsum. [...] Quare in sola
-
nus, quae naturalem sola terminit appetitum;

Bruno, , I, 1, pp. 203 sgg.:


Hic [homo] dum omnia curat atque facit, illud praecipuum
esse ducit, ut mens in primo vero, et voluntas in primo bono
conquiescat quandoquidem in conquirenda bonitate, adipi-
scendisque bonis humanus nunquam intellectus et affectus
expletur; unde evidentissime constat non ad particularia bona
atque vera, quae ultra semper aliud et aliud attendant et con-
cupiscant; sed universale bonum, atque verum, extra et ul-
tra quod nullum queat verum reperiri, atque bonum. Quoties
enim aliquam superesse noscendam veritatem, et quamdiu

semper inquirimus, aliud semper appetimus. Non igitur in


-

-
quando est; ubique videre, quidquid alicubi videt; [...] toto
frui qui parte fruitur; [...] et consequutis non est contentum,
ubi aliquid ulterius remanserit assequendum.

-
to Diana dove si rispecchia l’inaccessibile Apollo, per
usare la terminologia del dialogo 38
. In
38
VII, dialoghi II, 2 e 3.
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 33
questo modo, l’unione con Dio può attuarsi in questa vita
attraverso la contemplazione intellettuale dell’universo
-
pitolo, riprendendo i motivi dell’epistola proemiale al De
, «divinitatis naturaeque splendorem, fusionem
et communicationem [...] perquirimus [...] in augusta
omnipotentis regia, in immenso aetheris spacio, in in-

potentia»39.

-
no non sia realizzabile. Si tratta del desiderio naturale,
secondo Ficino, di immortalità dell’anima individuale.
Nelle parole di Ficino,

Omnino appetitus essendi naturalis est, quoniam rebus statim


natis inest cunctis atque continuus. [...] -
. Sed numquid naturalis est huiusmodi appetitus? Est
absque dubio non minus naturalis animo nostro quam caeteris
rebus appetitus essendi. At enim . Num
haec semper essendi cupiditas ita naturalis est, sicut essen-

sempiternum esse cognoscit et naturaliter appetit. [...] Praete-


rea, cum non sit frustra desiderium naturale, consequens est
ut naturaliter
exoptatum.
[...]. Vitam vero sem-
piternam omnes cupimus atque semper, etiam dum non ad-
vertimus cupere. Itaque non est huius assecutio impossibilis.40

39
OL I, 1, p. 205; cit., pp. 421 sgg.:
«ricerchiamo lo splendore, l’effondersi e la partecipazione della divinità
[...] nell’augusta regia dell’onnipotente, nell’immenso spazio dell’etere,
.
, IV, pp. 37-47; VII, pp.
417-423.
40
, XIV, 5, ed. Marcel, vol. II, pp. 262-265 (corsivo
nostro).
34 miguel a. granada

Ora, secondo Bruno, bisogna distinguere tra -


ed ora, in questo momento.
-
tà un unico desiderio: essere sempre. Inteso nel secondo

vita presente nella sua attuale individualità, è quello che


Bruno chiama la o amore di sé, che il Nolano
studia nelle opere magiche come strumento utilissimo al
mago per vincolare a sé gli altri essere umani: «La prima
ragione per la quale ogni realtà è suscettibile di vinco-
lo deriva in parte dal fatto che essa -
, e in parte
dal fatto che essa desidera essere condotta a perfezione
secondo tale condizione e all’interno di essa. In questo

sé»41. La ragione è che «tutte le cose desiderano mante-


nersi nel loro essere presente, perché
-
; così, vi è una sorta di generale
vincolo d’amore, reciprocamente dell’anima rispetto al
proprio corpo e — a suo modo — del proprio corpo ri-
spetto all’anima»42 -
manenza dell’essere presente, però, non è realizzabile e
benché fondato sulla natura degli enti particolari e su un
livello di conoscenza limitato e particolare (che altro non
è che nei confronti della totalità), va contro la
natura universale. Ecco le parole di Bruno, che sono una
smentita implicita delle parole precedenti di Ficino:

41
, in g. Bruno, , edizione diretta
da M. Ciliberto, a cura di S. Bassi, E. Scapparone, N. Tirinnanzi, Adelphi,
Milano 2000, par. 43, pp. 468-469: «Ratio prima, qua -

servari
philautia in genere» (corsivo nostro).
42
, ed. ., par. 48, pp. 230-233:
«universa in praesenti esse consistere cupiunt, quandoquidem -
; ideo generale quoddam
vinculum est amoris, reciproce animae ad proprium corpus et — modo suo
— proprii corporis ad animam» (corsivo nostro).
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 35
Neque nos ab istius lucis apprehensione [la necessità dell’u-
-
tae (sicut omnia particularia in praesenti forma perpeturari
desiderant) defraudatur: inde enim istud evenit, quod, cum
materia particularis universos simul actus comprehendere ne-
queat, successive comprehendit atque sigillatim43, ita, quod
praesens est tantum cognoscit atque desiderat: Per naturae
ergo dictamen , (quae est a con-
tractione formae ad hanc materiam, et limitatione materiae ab
hac forma) ; nescit
enim aliud unde venit et quo vadat.44

Il desiderio, dunque, di un eterno prolongamento della


nostra individualità risponde a una “legge naturale” (così
traduce Monti), ma questa o questo conato (per
usare il termine spinoziano) naturale viene perturbato e
incanalato in una direzione sbagliata dall’ , ri-
sultante del nostro attaccamento o vincolo con la nostra
particolare “individuazione”: desideriamo non soltanto
essere, ma essere sempre quello che siamo ora. La man-

sempre con l’essere quello che siamo in questo momento


è all’origine del timore davanti alla morte, come aveva

43
La materia non può ricevere simultaneamente tutte le forme. Per que-

forme che aspirino anch’esse, come possibili o in potenza, all’esistenza.


Bruno non cita l’eloquente prosopopea della natura in lucrezio,
, III, 870-977, con l’esortazione ad accettare la morte all’individuo
che resiste alla dissoluzione. Non v’è dubbio però che il Nolano la cono-
sceva perfettamente. Vd. , nota 49.
44
OL, I, 1, pp. 204 sgg. (corsivo nostro). Cf. -
cit., p. 421: «E non ci deve distogliere dal cogliere la luce di tal
principio il fatto che anche il desiderio della vita presente (poiché ogni
cosa tende a perpetuarsi nella forma presente) sembri essere smentito: ciò
deriva dal fatto che, non potendo la materia comprendere assieme tutti gli
atti, li comprende solo volta per volta e separatamente, per cui desidera e
conosce solamente ciò che è presente: secondo una legge naturale

(che deriva dal contrarsi della forma nella materia, e dalla con-
seguente limitazione che la materia subisce da quella forma); non conosce,
infatti, donde viene e dove va» (corsivo nostro).
36 miguel a. granada

detto chiaramente il 45
. L’ignoranza della
differenza tra essere e essere individuale (tra la vera so-

erronea del desiderio di perpetuità, perché la nostra co-


noscenza è irrimediabilmente limitata: conosciamo quel-
lo che siamo adesso e ci vincoliamo ad esso, ignorando
da dove veniamo e dove andiamo. Attribuendo valenza
singolare all’essere universale che siamo, ignoriamo le
individuazioni che ci hanno preceduto e quelle future
che verranno dopo come succesive singolarità dell’esse-
re. È appunto l’ignoranza che nelle opere magiche viene
posta, come abbiamo visto, all’origine de la ,
dell’amore di sé, cioè del desiderio delle cose partico-
lari di «mantenersi nel loro essere presente, perché non
comprendono o rimangono dubbiose di fronte all’essere
di una diversa e nuova condizione; così, vi è una sorta
di generale vincolo d’amore, reciprocamente dell’anima
rispetto al proprio corpo e — a suo modo — del proprio
corpo rispetto all’anima»46.
Per questo motivo, aggiunge Bruno, se ci fossero note
le forme individuali nelle quali prenderà forma in futuro
l’anima universale, che ora è individuata in noi, non ci
sarebbe motivo per rattristarsi:
Ideo si anima, cui instrumenta corporis equini sunt compara-
ta, sciret eam manere corporis humani et omnium reliquorum
instrumenta seriatim, vel confuso ordine quodam, neque de-
functionem praesentium instrumentorum ad futuram deinceps
(secundum innumerabiles species) vitam pertinere quippiam,
non tristaretur. , immo inter-

45
, IV, p. 275: «

. Perché non son pervenuti ad intendere che il


principio vitale non consiste negli accidenti che resultano dalla compo-
sizione, ma in
-
Vd. anche M. A. granada,
, cit., pp. 220 sgg.
46
Cit. , nota 42.
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 37
dum illam ultro appetit, illi ultro occurrit47. Manet ergo sub-
stantiam omnem pro duratione aeternitas, pro loco immensi-
tas, pro actu omniformitas48.

-
nità e onniformità (possesso di tutte le forme) della so-
stanza quale Uno non soltanto ci libera dalla confusione
in cui era caduto Ficino, vale a dire dall’aspirazione ir-
-
nito, semplice modo della sostanza universale49. Si tratta

47
, III, pp. 279-281 aveva attribuito questa sapien-
za a Pitagora: «Non è mutazione che cerca altro essere, ma altro modo di
essere. E questa è la differenza tra l’universo e le cose de l’universo: perché
quello comprende tutto l’essere e tutti modi di essere; di queste ciascuna ha
tutto l’essere, ma non tutti i modi di essere. [...] ogni produzzione di qual-
sivoglia sorte che la sia è una alterazione; rimanendo la sustanza sempre
medesima, perché non è che una, uno ente divino, immortale. Questo lo
ha possuto intendere Pitagora, che non teme la morte ma aspetta la muta-
zione. [...] Ecco come non doviamo travagliarci il spirto, ecco come cosa
non è per cui sgomentar ne doviamo: perché questa unità è sola e stabile,
e sempre rimane: questo uno è eterno; ogni volto, ogni faccia, ogn’altra

a «esser spogliato dall’umana perfezzione e giustizia» ( , ,


VI, p. 473) dove c’è la ripresa di un noto passo del commento di Averroè
alla di Aristotele, vd. quanto abbiamo detto in m. a. granada,

,
«Bruniana & Campanelliana» 5 (1999), pp. 305-331.
48
OL, I, 1, p. 205. cit., p. 421: «Perciò,
se l’anima, a cui sono preparati gli strumenti del corpo equino, sapesse che
le aspettano successivamente gli strumenti del corpo umano e tutti gli altri,
magari in un ordine confuso, e che la morte degli strumenti presenti non
concerne affatto la vita futura (secondo innumerabili specie) non avrebbe
motivo per rattristarsi. , anzi, talvolta,
spontaneamente ad essa tende, a lei spontaneamente va incontro. Ad ogni
sostanza aspetta l’eternità per quanto concerne la durata, l’immensità per
quanto concerne il luogo, la totalità delle forme per quanto concerne l’atto»
(traduzione con mie correzioni).
49
Nel ( , III, p. 207) Bruno aveva già affermato

-
che e negli astri. A questo livello l’universo «è tutto quel che può essere»
( ). Al livello però degli individui particolari, l’universo «non è già
38 miguel a. granada

certamente della Sapienza alla quale Bruno rinvia nel se-


condo capitolo e che costituisce la perfezione dell’uomo
e il .
Per concludere il percorso della nostra analisi, diremo
che non è diversa (a nostro parere) la saggezza presen-
tata da Schopenhauer nel suo
. Non v’è dubbio che Bruno è, con Spi-

la Volontà come principio e struttura assoluta dell’essere


universale, come Sostanza, introduce una frattura decisi-
va nel pensiero occidentale, dal momento che la volontà
non è più uno strumento dell’intelletto dotato di premi-
nenza ontologica, ma è piuttosto il contrario: l’intelletto
è il semplice strumento della Volontà e della sua cieca
autoaffermazione. Ferma restando questa differenza fon-
damentale, anche Schopenhauer riconduce ed interpreta
il desiderio individuale di essere sempre come l’afferma-
zione della Volontà legata alla sua oggettivazione o in-
dividuazione empirica nel mondo della Rappresentazio-
ne. Come Bruno, anche Schopenhauer ritiene illusoria, e
frutto della mancata conoscenza della vera dimensione
universale dell’Essere, questa aspirazione all’immortali-

tutto quel che può essere» ( ), perché resta ancora l’attualizarsi degli
innumerevoli individui che possono essere e necessariamente saranno nel
,
IV, pp. 265-269) deve “rigettare” le forme individuali per dare esistenza
(sempre fugace) a sempre nuovi particolari. Non c’è dubbio che Bruno fa-
-
parire (cf. Lucrezio, , III, 870-977). È quanto si evince,
dopo la domanda irrazionale del pedante («Non credete che se la materia
si contentasse con la forma presente, nulla alterazione o passione arrebe
domìno sopra di noi, non moriremmo, sarrebemo incorrottibili et eterni»,
, IV, p. 229), dalla risposta di Gervasio: «E se la si fosse
contentata di quella forma che avea cinquanta anni addietro, che direste?
Sareste tu Polihimnio? [...] Come dumque ti piace che le altre forme abbia-
no ceduto a questa, cossì è in volontà de la natura che ordina l’universo,
che tutte le forme cedano a tutte. Lascio che è maggior dignità di questa
nostra sostanza, di farsi ogni cosa ricevendo tutte le forme, che ritenendone
una sola, et essere parziale. Cossì al suo possibile ha la similitudine di chi è
tutto in tutto» ( ., pp. 229-231). Si noti che qui la nostra sostanza viene
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 39
tà personale50 e il timore davanti alla morte. È infatti nel
supplemento numero 41 alla seconda edizione del -
, intitolato «Über den Tod und die Unzerstörbarkeit
unseres Wesens an sich» (
)51, che Scho-
penhauer, come già Bruno in precedenza, cerca di scon-
giurare il timore nei confronti della morte, con un discor-
so, dove non rinveniamo certamente riferimenti espliciti
a Bruno, ma che Bruno avrebbe potuto perfettamente
-
zione della sostanza universale con la Volontà:
Se dunque considerazioni di questa specie sono certo appro-
priate a suscitare la convinzione che c’è in noi qualcosa che
la morte non può distruggere; ciò accade comunque se ci in-
nalziamo a un punto di vista, guardando dal quale la nasci-
ta non è l’inizio della nostra esistenza. Ma da ciò segue che
ciò che viene provato come indistruttibile dalla morte, non è
propriamente l’individuo, che [...] come tale però può essere

ha nessun ricordo della sua esistenza prima della sua nascita,


così esso non ne potrà avere alcuno della sua esistenza attuale
dopo la morte. Ma è nella che ognuno pone il suo
Io: questo gli appare dunque come legato all’individualità,
con la quale perisce senz’altro tutto ciò che a lui, come indi-
viduo, è particolare e lo distingue dagli altri. La sua sopravvi-
venza senza l’individualità diviene quindi per lui indistingui-
bile dal perdurare degli altri esseri, ed egli vede sprofondare il
proprio Io. Ma chi così congiunge la sua esistenza all’identità
della e pretende perciò per quest’ultima una durata

50
Anche Schopenhauer distingue, in modo simile a Bruno (cf. nota 49),
le specie, per lui le prime oggettivazioni della Volontà, collegate alle idee
platoniche («Nel secondo libro ho spiegato che l’oggettità adeguata del-
la volontà come cosa in sé, in ognuno dei suoi gradi è l’idea platonica»,

costante successione, attraverso le quali la specie prosegue la sua vita im-


mortale. Come Bruno, anche Schopenhauer (morto nel 1860, subito dopo
la pubblicazione di di Darwin nel 1859) resta fedele
-
cie.
51
Come è noto, questo supplemento fu preso da Thomas Mann nel suo
romanzo (1901) per dar luogo alla consolazione e riconci-
liazione con la vita del suo personaggio Thomas Buddenbrook.
40 miguel a. granada

in ogni caso ottenere solo a prezzo di un passato altrettanto

morte lascia intatta è altra da quella della coscienza individua-


le, allora essa dev’essere indipendente, come dalla morte, così
anche dalla nascita, e quindi in rapporto ad essa dev’essere
ugualmente vero il dire: «Io sarò sempre» e il dire «Io sono

nella parola Io si annida il più grande equivoco, come vedrà


senz’altro colui che terrà presente il contenuto del secondo
libro e la separazione fatta in esso della parte volente dalla
parte conoscente del nostro essere. A seconda di come intendo

del mondo, questo mio fenomeno personale è una parte altret-


tanto piccola del mio vero essere». [...] Per ciò ognuno sa di
sé soltanto come di quell’individuo quale si presenta nell’in-
tuizione esterna. Se egli potesse invece aver coscienza di quel
che è ancora oltre a ciò e all’infuori di ciò, lascerebbe perdere
volentieri la sua individualità, riderebbe della tenacia del suo
attaccamento ad essa e direbbe: «

?» [...] Invece, man-


tenendo appunto quella distinzione tra fenomeno e cosa in sé
[Volontà, Wille], si può affermare che l’uomo è bensì come
fenomeno transitorio, ma che il suo essere in sé non segue la
stessa sorte, che esso è dunque indistruttibile [...] Che essa
[la Volontà] tema in noi la morte, proviene da ciò, che qui la
conoscenza le fa vedere il suo essere solo nel fenomeno in-
dividuale, donde sorge per essa l’illusione di scomparire con
quello [...]. Nascita e morte sono il continuo rinnovellarsi del-

che è essa sola per così dire la sostanza dell’esistenza52.

Credo che Bruno sottoscriverebbe per intero una simi-


le posizione. Ad ogni modo, vediamo confermata la più
o meno grande connessione bruniana di queste tesi scho-
-
to a Bruno, dal paragrafo 54 della prima edizione de Il
(1818), vale a dire il paragrafo che il supplemento
52
a. scHoPenHauer, , a cura
di S. Giametta, Rizzoli, Milano 2002, pp. 687-689, 692, 699, 701.
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 41
pretende completare nella seconda edizio-
ne (1844). Secondo della quarta e ultima parte dell’o-
pera (“Libro quarto: Il mondo come volontà. Seconda
considerazione: Col raggiungimento della conoscenza
di sé, affermazione e negazione della volontà di vive-
re”), il paragrafo in questione segue il breve paragrafo
53. Infatti, questo paragrafo si era aperto indicando che
l’opera entrava nella parte «più seria, giacché riguarda...
l’intero suo contenuto»53. Il paragrafo 54 afferma che la
morte riguarda unicamente il fenomeno, vale a dire l’in-
dividuo singolare, rimanendo invece imperituro perché
eterno il suo vero essere, la volontà universale: «Infatti
è vero che ognuno è perituro solo come fenomeno, men-
tre come cosa in sé è senza tempo e quindi anche senza

dalle altre cose del mondo, come cosa in sé è la volontà


che appare in tutto, e la morte sopprime l’illusione che
separa la sua coscienza da quella degli altri: questa è la
sopravvivenza»54.

l’individuo «la stessa volontà di vivere in una singola


oggettivazione, tutto il suo essere si ribella alla morte»55.
Arrivato a questo punto, Schopenhauer ci pone davanti

del mondo» che sia capace di «superare i terrori della

nell’individuo dato, sul sentimento immediato»56. Allo-


-
be niente da temere che noi gli conferiamo, aspetterebbe
con indifferenza la morte appressantesi veloce sulle ali
del tempo, considerandola un’apparenza mendace, un
fantasma impotente, capace di spaventare i deboli, ma
senza alcun potere su colui che sa di essere egli stesso
quella volontà di cui tutto il mondo è oggettivazione o

53
., p. 507.
54
., pp. 523 sgg.
55
., p. 525.
56
.
42 miguel a. granada

. La posizione espressa da Bruno nei


57

passi citati del 58


e del 59
, come
pure altrove, nella epistola proemiale al 60
o
nello in relazione alla costellazione della Lepre,
non ci appare affatto diversa61. Riteniamo sia non im-
possibile, ma anzi molto probabile, che Schopenhauer,
buon conoscitore dell’opera italiana di Bruno62, avesse
presenti questi passi, o altri simili nelle opere del Nola-
no, nel presentare nel modo ora visto la capacità della
57
., pp. 525 sgg.
58
Vd. , nota 45.
59
Vd. , nota 47.
60
, IV, p. 41.
61
, V, p. 471-473: «il cieco Spavento de la morte [...] non già
(se non con vane forze) s’accoste dove

in alto, dove è aperta la verità, dove è chiara la necessitade de l’eternità


d’ogni sostanza; dove non si dee temer d’altro che d’esser spogliato dall’u-
mana perfezione e giustizia che consiste nella conformità con la natura
superiore e non errante». Cf. , nota 47, il riferimento a questo passo
dello .
62
Vd. la nota aggiunta alla seconda edizione de (
, p. 722) dove, oltre a segnalare l’assoluta
-
re un passo del , Schopenhauer prosegue nei seguenti termini:
«Chi legge questo suo scritto capitale, come anche gli altri suoi scritti ital-
iani, prima cossì rari, ora accessibili a tutti grazie a una edizione tedesca
[quella curata da Adolf Wagner, Leipzig 1830], troverà con me che egli

-
-
ma drammatica. Si immagini il delicato, spirituale, pensoso essere, quale
ci viene incontro da questo suo scritto, tra le mani di rozzi preti infuriati

un secolo più illuminato e più mite, sicché la posterità, la cui maledizione


doveva colpire quei diabolici fanatici, è ora già la contemporaneità». Sulla
fortuna di Bruno nell’Ottocento, vd. -
, a cura di Eugenio Canone, Pisa-Roma 1998,
dove pure manca un contributo sulla fortuna del Nolano in Germania. La
lacuna è in qualche modo colmata dall’ del curatore, che men-
ziona non soltanto l’intenzione di Schopenhauer nel primi anni venti di
tradurre in tedesco il (p. xx), ma anche la presenza dell’edi-
zione Wagner nella biblioteca di Schopenhauer e la sua conoscenza degli
scritti bruniani già negli anni 1814-1817 trascorsi a Dresda, il che spiega la
presenza del Nolano già nella prima edizione de
.
giordano Bruno. De immenso, i, 1-3 43
-
tamente a un «coraggio di vivere tanto grande da fargli
accettare volentieri e di buon grado, per i godimenti della
vita, ogni fastidio e pena a cui questa è soggetta»63. Ma
ecco lo stesso Schopenhauer affermare subito dopo che
«a questa posizione potrebbe essere condotto [l’indivi-
64
. Per Scho-

illusione», lucida davanti alla morte e nonostante quanto


sembra evincersi dai passi commentati del primo capito-
lo del , «è, per la conoscenza, la posizione
dell’ 65
.

63
, cit., p. 525.
64
., p. 527.
65
; vd. , nota 50. Ci ha colpito fortemente non aver trovato
nessun accenno alla vicinanza concettuale tra Bruno e Schopenhauer, per
quanto riguarda i temi pressi in considerazione, nell’opera postuma di i.
VeccHiotti, , Urbino 2000.
Ci pare tanto più sorprendente per quanto Vecchiotti fu uno dei più grandi
conoscitori di Schopenhauer e del pensiero indiano. Non ci è stato possibile
-
mente la questione.

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