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Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale

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Ginevra Panzarino

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Caterina Laganara, Ginevra Panzarino, Gianfranco Favia*

Un antico rimedio per i dolori articolari


in un malato di tubercolosi medievale

1. La robbia

Nota sin dall’Antichità, la robbia è una pianta selvatica, ubiquitaria,


diffusa anche nella Puglia settentrionale1 e sul litorale sipontino2. È de-
scritta per la prima volta nella Περὶ Φυτῶν ‘Ιστορίας del fi-
losofo e botanico greco Teofrasto che, oltre a classificare, distingue per
la prima volta nell’Antichità il valore terapeutico delle piante: la robbia,
inserita nei sottoarbusti, è identificata per la sua foglia rotonda come l’e-
dera e soprattutto per l’intenso colore rosso delle sue radici e sono anno-
verate le sue proprietà diuretiche e antinfiammatorie per i dolori lombari
e dell’anca3. Le sue caratteristiche sono riportate dettagliatamente anche
nella Naturalis Historia di Plinio, opera enciclopedica di riferimento per
tutto il Rinascimento, e nel De materia medica, erbario che ebbe una pro-
fonda influenza nella storia della medicina almeno fino al XVII secolo,
opera del medico, botanico e farmacista greco Dioscoride Pedanio. Di-
versi i lemmi in uso per indicare la pianta (ereutédanos, teucrio, darakano,
cinabro, rubia presso i Romani, bardana presso i Tusci e sofobo per gli Egi-
ziani); sostanzialmente coincidenti nei due autori antichi le descrizioni

* C. Laganara, direttore scientifico della ricerca archeologica; G. Panzarino, dottore


specializzato in Beni Archeologici, curriculum tardoantico e medievale, responsabile
dello scavo e dello studio tafonomico e antropologico delle sepolture; ha inoltre curato
lo studio delle fonti e l’Appendice; G. Favia, direttore dell’UOC Odontostomatologia
del Policlinico di Bari (Università degli Studi di Bari Aldo Moro), responsabile delle
analisi paleopatologiche.
1
M.C. Leporatti - P.M. Guarrera, Ethnobotanical remarks on Central and Southern
Italy, in «Journal of Ethnobiology and Ethnomedicine», 3, 1, 2007, pp. 23-11.
2
M.C. Leporatti - P.M. Guarrera, Ethnobotanical remarks in Capitanata and Salento
areas (Puglia, southern Italy), in «Etnobiologia», 5, 2007, pp. 51-64.
3
Teofrastro, Historia plantarum: VI, 1, 4; VII, 9, 3; IX, 13, 4-8.
250 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

della pianta (per Dioscoride i suoi steli sono quadrati, lunghi e ruvidi;
spinosi per Plinio; le foglie si dispongono a intervalli regolari, ciascun
giunto a forma di stella tutto intorno e Plinio ne conta cinque; il frutto ha
una colorazione mutevole nelle sue fasi di maturazione prima verde, poi
rosso, infine nero; la radice è sottile, lunga, rossa)4. Un realistico riscontro
figurativo della pianta è contenuto nel manoscritto medievale dell’ope-
ra di Dioscoride, conservato presso la Biblioteca Nazionale Austriaca di
Vienna5 (Fig. 1).

1.1 Proprietà tintorie e terapeutiche


La robbia era utilizzata per due scopi principali: il più noto, da cui
l’appellativo latino tinctorum, tuttora in uso, era quello riportato già nelle
‘Iστορίαι di Erodoto dove, con riferimento all’abbigliamento delle
donne della Libia, si descrive la guarnizione delle pelli di capra, indossate
sulle vesti, con frange tinte di robbia. A quest’uso fanno poi esplicito ri-
ferimento come colorante artificiale Vitruvio e Plinio nelle loro più note
opere: le stoffe di lana erano immerse nella miscela di creta, robbia e
isgino6 per raggiungere il colore purpurissimus. Plinio ne richiama anche
l’utilizzo per la concia delle pelli, il cui processo lavorativo è riferito anche
dal ricettario altomedievale del monaco Eraclio7. Pastorali di vescovi e di
abati e altri oggetti ricavati da ossi o corni potevano essere colorati per
immersione in un infuso ottenuto dalla radice della robbia seccata al sole,
schiacciata in un mortaio con un pestello, cosparsa con soda e riscaldata
fino all’ebollizione. A parlarne la Diversarum artium schedula di Teofilo, uno
dei più completi manuali sulle tecniche artistiche del Medioevo, risalente
al XII secolo8. Ed è ancora con la robbia che si ottiene il rosso inchiostro
imperiale, menzionato nella prima metà del XII secolo dal politico, sto-

4
Plinio, Naturalis Historia: XIX, 47; Dioscoride, De materia medica: IV, 116.
5
Dioscoride, op. cit., Ms. Med. gr. I, folio 111v, 112r. Altre illustrazioni di notevole
qualità e precisione sono contenute nella principale traduzione italiana dell’opera, I
discorsi nelli sei libri di Pedacio Dioscoride della materia medicinale, pubblicata a Venezia nel
1568 a cura del medico senese Pietro Andrea Mattioli.
6
Pigmento rossastro, annoverato da Plinio tra i colori artificiali (Plinio, op. cit.,
XXXV, 12), ottenuto da una miscela in parti uguali di sandaraca e rubrica.
7
Eraclio, De coloribus et artibus romanorum: III, 33.
8
Teofilo, Diversarum artium schedula: XCIV.
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 251

Fig. 1 - Dioscoride, De Materia Medica. Ms. Med. gr. I, folio 111v, 112r: rappre-
sentazione della rubia tinctorum.
252 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

rico e teologo bizantino Niceta Coniata9. Galeno10 e Plinio11 informano


del suo uso anche in cosmesi per tingere il viso e i capelli e Avicenna ne
sottolinea le proprietà detergenti soprattutto per il viso, da cui rimuove
punti neri e macchie12.
Già dalla medicina ippocratea13, trasmessa per tutto il Medioevo fino
ad Avicenna14 e oltre, le radici della pianta sono sfruttate per le proprietà
terapeutiche, atte a curare molte affezioni legate ai diversi apparati:
1. gastro-enterico: dissenteria, colopatie, itterizia (epatopatie con itte-
ro), gonfiore della milza (splenomegalia);
2. urinario: infezioni varie (nefriti, cistiti calcolotiche);
3. genitale femminile: patologie legate al ciclo mestruale (a-dismenor-
rea) e come induttore dell’aborto (antimetrorraggia);
4. muscolo-scheletrico: dolori articolari correlati alla sciatica (paralisi
e paresi) e alla gotta.
Le fonti attestano inoltre il suo uso per la cura nelle anomalie della
pigmentazione cutanea (vitiligini, efelidi e lentiggini), nei casi di eruzioni
e micosi cutanee anche del cuoio capelluto, come emostatico cicatrizzan-
te per la perdita di sangue dal naso (epistassi) e traumi, lesioni o cadute;
infine con effetto antiofidico contro il morso/veleno dei serpenti e con
effetto antiedemigeno e lenitivo nelle punture d’insetti.
Le ricette riportate dagli autori antichi e medievali (infra Appendice)
indicano, oltre a specificarne la posologia, la preparazione ottenuta me-
scolando la robbia con altre piante in una soluzione di acqua, idromele,
vino e, nelle cure dermatologiche, di aceto.

9
N i c e ta C o n i ata , Χρονικὴ διήγησις: IV, 5,5 (=ReignMan1, pt3,
112,21); V, 6,8 (=ReignMan1, pt4, 141, 12); XI, 3,3 (= ReignAndron1, pt2, 326, 27).
10
Galeno, De remediis parabilibus: XIV, 392, 423-424.
11
Plinio, op. cit., XXIV, 94.
12
Avicenna, Canone della medicina: II, 17.
13
Ippocrate, De morbis mulierum: I-III, 91, 7; De sterilitate mulierum: 224 ; Peri diaites
oxeon nota: II, 250, 1.
14
A seguire da Ippocrate altre menzioni della pianta per scopo medicale si ritrovano
in: Bolus, Physica et mystica: II, 42. Dioscoride, op. cit., III, 143. Anonimi Medici De
morbis acutis et chroniis: 27, 3. Archigenes, Fragmenta: 13; 16. Galeno, De simplicium medi-
camentorum facultatibus: XI, 878; De succedaneis: XIX, 734. Zosimus, Excerptum de partibus
alchimiae: II, 220. Oribasius, Collectiones medicae: XI, ε, 18; XIV, 49, 3,4; XVI, 1:5, 33;
Eclogae medicamentorum: 30,1; 48, 12; 50, 3; 50, 4; 50, 11; Synopsis ad Eustathium filium:
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 253

Studi recenti hanno confermato le sue applicazioni tintorie15 e medi-


che16, ma ne hanno anche evidenziato l’elevata tossicità17.

2. L’area cimiteriale

Nell’ambito della ricerca archeologica sulla città di Siponto, antica


colonia romana dedotta nel II sec. a.C., precoce diocesi della II regio Apu-
lia et Calabria e fiorente porto sull’Adriatico fino all’epoca dell’abbando-

II, 35, 1; Libri ad Eunapium: II, 16, 1. Aetius, Iatricorum: I, P; I, 148; III, 111; III, 136;
III, 150; III, 153; VI, 95; VIII, 12; XI, 5; XII, 1; XII, 67. Alexander, Therapeutica:
VIII, 395, 25; XII, 529, 31. Paulus, Epitomae medicae: III, 25, 7; III, 50, 2; IV, 57, 8;
VII, 3, 5; VII, 11, 37; VII, 11, 59; VII, 25, 11. Avicenna, op. cit., II, 17.
15
C. Clementi, W. Nowik, A. Romani, F. Cibin, G. Favaro, A spectrometric and
chromatographic approach to the study of ageing of madder (Rubia tinctorum L.) dyestuff on
wool, in «Analytica Chimica Acta», 596 (1), 2007, pp. 46-54; I. Karapanagiotis, Y.
Chryssoulakis, Investigation of red natural dyes used in historical objects by HPLC-DAD-MS,
in «Annali di Chimica», 96 (1-2), 2006, pp. 75-84; N. Cücer, N. Guler, H. Demir-
tas, N. Imamoğlu, Staining human lymphocytes and onion root cell nuclei with madder root, in
«Biotechnic & Histochemistry», 80 (1), 2005, pp. 15-20.
16
Per le proprietà terapeutiche in generale B. Verhille, Tinctorial plants, their
therapeutic applications in ancient times. The particular case of Isatis, in «History of  Scien-
ce Technology & Medicine», 43 (4), 2009, pp. 357-367. Per le proprietà antibiotiche
I. Formanek, G. Rácz, The antibiotic effect of the madder root (Rubia tinctorium), in «Phar-
mazie», 30 (9), 1975, p. 617; F. Kalyoncu, B. Cetin, H. Saglam, Antimicrobial activity
of common madder (Rubia tinctorum L.), in «Phytotherapy Research», 20 (6), 2006, pp.
490-492. Per le proprietà diuretiche J. Keller, Madder root in the therapy of nephrolithia-
sis, in «Pharmazie», 6 (12), 1951, pp. 675-680; H. Barthelemy, Madder root for small
urinary calculi, in «International Urology and Nephrology», 67, 1961, pp. 538-539; D.
Lorenz, P.W. Lücker, G. Krumbiegel, W.H. Mennicke, N. Wetzelsberger, Pharma-
cokinetic studies of alizarin in man, in «Methods & Findings in Experimental & Clinical
Pharmacology», 7 (12), 1985, pp. 637-643; S.A. Norton, Useful plants of dermatology.
IV. Alizarin red and madder, in «Journal of the American Academy of  Dermatology»,
39 (3), 1998, pp. 484-485.
17
I. Jäger, C. Hafner, C. Welsch, K. Schneider, H. Iznaguen, J. Westen-
dorf, The mutagenic potential of madder root in dyeing processes in the textile industry, in «Mu-
tation  Research/Fundamental and Molecular Mechanisms of Mutagenesis», 16,
605(1-2), 2006, pp. 22-29; K. Inoue, M. Yoshida, M. Takahashi, H. Fujimoto, M.
Shibutani, M. Hirose, A. Nishikawa, Carcinogenic potential of alizarin and rubiadin, com-
ponents of madder color, in a rat medium-term multi-organ bioassay, in «Cancer Science», 100
(12), 2009, pp. 2261-2267.
254 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

no, decretato dal sovrano svevo Manfredi nel 126318, a ridosso del tratto
settentrionale delle mura urbiche, e quindi in un comparto periferico
della città, lo scavo ha messo in luce una serie di strutture attribuite a un
piccolo edificio di culto monoaulato, con probabile terminazione triab-
sidata (edificio XII, Fig. 2). Indizi cronologici sono forniti dagli elementi
decorativi ritrovati nello strato di crollo, che rinviano alla koinè culturale
della Puglia romanica, e dai rinvenimenti monetali19 (Fig. 3).
Intorno alla chiesetta e in contiguità con altri due edifici (VIII e X –
quest’ultimo un’abitazione –) si sviluppa un’ampia zona sepolcrale20, di
cui ancora minima è la parte scavata. Già la superficie regolare e com-
patta del deposito sottoumifero (550) mostra una diffusione di numerose
ossa e una concentrazione intenzionale di crani e ossa lunghe (551, 553,
554, 729, 731 e 767), come nel vicolo cieco tra gli edifici XII e X in cui,
tra l’altro, lo strato di terra mista a pietre e ciottoli di piccole dimensioni
è ricco di numerosi frammenti di anfore.
Si evidenziano 14 sepolture in connessione e in discreto stato di con-
servazione21, di cui alcune sono a stretto contatto con i perimetrali degli

18
P. Corsi, Siponto nel Medioevo: vicende di una città portuale, in C. Laganara, Siponto.
Archeologia di una città abbandonata nel Medioevo, Foggia 2011, pp. 22- 28.
19
C. Laganara, Siponto. Archeologia di una città abbandonata nel Medioevo, cit., pp. 52-
53 anche per bibliografia; C. Laganara C., P. Albrizio, G. Panzarino, Recenti scavi
a Siponto: un nuovo edificio religioso presso il tratto settentrionale delle mura, in Martiri, santi,
patroni: per una archeologia della devozione, in Atti X Congresso Nazionale di Archeologia
Cristiana (Università della Calabria, Aula Magna, 15-18 settembre 2010), a cura di
A. Coscarella, P. De Santis, Rossano Calabro 2012, pp. 743-751. Lo studio delle
monete è stato effettuato dal dott. Sarcinelli dell’Università del Salento.
20
I dati di 6 sepolture, scavate nelle campagne 2008 e 2009, sono stati pubblicati
in C. Laganara, G. Panzarino, G. Favia, Lo spazio funerario nella Siponto medievale: il
contributo archeologico, antropologico e paleopatologico in Atti del VIII Congresso Nazionale di
Archeologia Medievale della Società degli Archeologi Medievisti Italiani, a cura di F. Redi, A.
Forgione, Firenze 2012, pp. 540-543. In questa sede si aggiungono i risultati dello
studio delle sepolture rinvenute nella campagna 2011 (G. Panzarino, Paleobiologia di
un campione scheletrico bassomedievale da Siponto (Manfredonia, FG), Tesi di laurea magistra-
le in Archeologia Medievale, A.A. 2011-2012).
21
Lo stato di conservazione è legato alla deposizione in piena terra, alla diage-
nesi nel terreno argilloso e sabbioso (A. Canci, S. Minozzi, Archeologia dei resti umani:
dallo scavo al laboratorio, Roma 2005, p. 63), alle manomissioni intenzionali per la
pluristratificazione e accidentali per le attività postdeposizionali fino a tempi recenti,
documentate nel sito.
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 255

Fig. 2 - Siponto (Manfredonia, FG, Sud Italia). L’edificio religioso (XII) e l’area
cimiteriale annessa: la gradazione del tono, dal più intenso a scalare, indica la
successione stratigrafica delle sepolture, dalle più superficiali alle più antiche.
256 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

Fig. 3 – Siponto, edificio religioso. Elementi decorativi: frammenti di intonaco


dipinto policromo (a); frammento di elemento architettonico con motivo vege-
tale (b). Elementi numismatici: denaro di Corrado I detto il Salico (1027-1039),
follaro di Ruggero II (1150-1151); quarta tercenari di Guglielmo II (1166-1189) e
denaro di Corrado I (1250-1254) (c).
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 257

edifici: le deposizioni 552, 557, 672, 708, 710, 694-695 si appoggiano al


fianco orientale della chiesa e altre due (555, 556) si appoggiano al muro
occidentale dell’edificio VIII. Le deposizioni sono disposte in direzione
Sud/Ovest-Nord/Est a seguire l’orientamento della chiesetta. Sono tutte
fosse terragne semplici22. Vanno segnalate le tracce di una probabile siste-
mazione dei bordi nella sepoltura 694 (per la descrizione dettagliata vedi
infra 2.2) e la presenza di un blocco calcareo in testata con funzione di
cuscino nella sepoltura 55723. Le fosse sono poco profonde e con fondo ir-
regolare, i tagli difficilmente individuabili. La posizione degli arti, il persi-
stere delle articolazioni labili e la loro connessione stretta o poco allentata
indicano la giacitura primaria dei corpi, decomposti nella quasi totalità
dei casi in spazio pieno. Dal punto di vista della giacitura, i corpi sono
sempre deposti in decubito dorsale con le braccia piegate sull’addome o
con un braccio poggiato sul pube; le gambe sono distese, ma non ravvi-
cinate o sovrapposte, dato che, oltre ai mancati segni di compressione dei
cinti, indica l’assenza di una fasciatura. Fa probabilmente eccezione una
sola sepoltura (infra 2.2. La sepoltura 694). Dalla zona sepolcrale pro-
vengono alcuni oggetti dell’abbigliamento24, come la piccola fluorite da
castone25; un anello circolare in lega di rame con castone ovale e pietra
blu26; un bottone in lega di rame, di forma globulare con occhiello di fis-
saggio (Ø: 0,8 cm), simile agli esemplari di XIII e XIV secolo rinvenuti in

22
Le semplici fosse scavate nel terreno sono la tipologia tombale più diffusa nel
Medioevo (S. Gelichi, Introduzione all’archeologia medievale: storia e ricerca in Italia, Roma
1997, p. 164).
23
Sepolture «con pareti di pietre oblunghe poste di taglio oppure a fossa terra-
gna, sempre senza corredo, con deposizioni sia monosome che polisome di adulti e
bambini» furono rinvenute negli scavi degli anni Sessanta (F. Tinè Bertocchi, Gli
scavi 1965-1966, in Siponto antica, a cura di M. Mazzei, Foggia 1999, pp. 353, 359).
24
L’uso di deporre il defunto abbigliato torna a farsi abbastanza comune nel
Tardo Medioevo e a partire dal XIII secolo sono sempre più frequenti le segnalazioni
di elementi dell’abbigliamento archeologicamente documentabili, come le fibbie da
cintura e da calzatura, bottoni, anelli e collane (S. Gelichi, Introduzione all’archeologia
medievale: storia e ricerca in Italia, cit., p. 168 e bibliografia).
25
G. Panzarino, Il profilo biologico degli inumati e il contributo paleopatologico, in C. La-
ganara, Case e cose nella Siponto medievale. Da una ricerca archeologica, cit., p. 143.
26
A. Busto, Le tracce del quotidiano: produrre, distribuire, consumare, divertirsi, in C. La-
ganara, Case e cose nella Siponto medievale. Da una ricerca archeologica, cit., p.112.
258 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

Toscana a Castel di Pietra e Montarrenti27 e sulla spalla sinistra dell’inu-


mato 694 un bottone in osso, di forma emisferica con foro passante nella
parte centrale, integro (Ø esterno: 2 cm; Ø interno: 0,5 cm), tipologia già
riscontrata a Siponto28 (Fig. 4). L’assenza di una distribuzione delle se-
polture in base al sesso e all’età, anche se rilevate in un campione esiguo,
depongono per una pratica deposizionale non differenziata.
Lo spazio funerario risulta utilizzato con continuità. Le sepolture sono
pluristratificate e in alcuni casi lo scheletro precedente è tagliato (708)
o ridotto tramite l’asportazione di un lato (552, 556) oppure il cranio è
ricollocato tra le caviglie (709)29. La presenza nello strato di riempimen-
to della fossa di piccole ossa non appartenenti all’inumato conferma la
pratica di riutilizzare sempre la stessa terra nelle fasi di seppellimento30.
L’inquadramento cronologico al periodo bassomedievale è avvalorato
dalla documentazione materiale rinvenuta in associazione con gli scheletri
più antichi. I frammenti ceramici – tra cui si segnalano alcuni anforacei
“da acqua” senza rivestimento con larghe anse a nastro e una scodellina
con rivestimento vetroso dipinta monocroma – sono databili entro la se-
conda metà del XIII secolo.
Il gruppo di inumati è composto dai resti di 8 adulti generici tra i 25
e i 40 anni (3 maschi, 3 femmine e 2 non identificati), 2 giovani adulti

27
C. Citter, M. Belli, C. Cicali, M. Goracci, A. Magazzini, M. Pistolesi,
H. Salvadori, A. Sebastiani, E. Vaccaio, Castel di Pietra (Gavorrano-GR): relazione pre-
liminare della campagna 2001 e revisione dei dati precedenti, in «Archeologia Medievale»,
XXIX, 2002, p.153, tav. 14, tipo 1; F. Cantini, Il castello di Montarrenti: lo scavo archeo-
logico (1982-1987): per la storia della formazione del villaggio medievale in Toscana (secc. VII-
XV), Firenze 2003, pp. 174-176, tav. 41, n. 23.
28
A. Busto, Reperti in metallo e altri materiali e Catalogo, in C. Laganara, Case e cose
nella Siponto medievale. Da una ricerca archeologica, cit., p. 185, nn. 99-100. Il rinvenimento
di esemplari secenteschi, ancora inediti, nello scavo delle camere mortuarie della catte-
drale di Acquaviva (Bari) consente la ricostruzione del rivestimento con filo intrecciato
(cotone, lino o lana) del nucleo (comunicazione personale del dott. Austacio Busto).
29
L’alta densità delle inumazioni è un fenomeno tipico dei cimiteri bassomedievali:
i corpi precedenti venivano non di rado intercettati - spesso, rimossi (totalmente o par-
zialmente) - e gli stessi contenitori possono accogliere più corpi (S. Gelichi, Funeraria,
archeologia, s.v., in Dizionario di Archeologia, a cura di R. Francovich, D. Manacorda,
Bari 2000, pp. 152, 164, 167).
30
Dal punto di vista stratigrafico nelle sepolture vi è una sostanziale coincidenza
del bacino di origine (terra asportata) con quello di deposizione (terra di riempimento)
(T. Mannoni, E. Giannichedda, Archeologia della produzione, Torino 2003, p.118).
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 259

Fig. 4 – Siponto, area cimiteriale. Elementi dell’abbigliamento: pietra di fluorite


per castone, rinvenuta nei pressi dell’inumato 556 (a); anello con castone ovale
e pietra blu (b) e bottone in lega di rame (c), provenienti dallo strato superficiale
dell’area; bottone in osso rinvenuto sulla spalla dell’individuo 694 (d).
260 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

maschi e 1 infante II di probabile sesso maschile e 3 infanti I di sesso non


identificabile.
L’esiguità del campione limita ogni considerazione statistica sulla
mortalità e sulle generali condizioni di vita. Ci si limita ad osservare che
nella serie “Adulti e Giovani Adulti” prevale la mortalità negli individui
di sesso maschile.
Il grado di usura delle superfici occlusali dei denti è elevato, talora
fino alla frattura31 e deriva dalla masticazione di elementi duri e fibrosi,
come farinacei poco abburattati e vegetali ricchi di fibre; brevi momenti
di stress durante l’amelogenesi hanno causato una lieve ipoplasia dello
smalto in un unico campione32. Da segnalare l’assenza di stati anemici
legati alla carenza di ferro: a livello di suggestione è possibile pensare
al consumo di carne nell’alimentazione. Si incrocia con questa ipotesi
la presenza nel sito di resti di animali giovani macellati, sintomo o della
necessità di procurarsi cibo in momenti di emergenza o dello stato agiato
della popolazione33.
Gli indicatori scheletrici di stress, valutati sugli inumati più completi
e di sesso maschile, rimandano ad attività implicanti soprattutto l’eserci-
zio degli arti inferiori e la frequente deambulazione su terreni dissodati,
come indicano l’osteoartrosi della testa femorale (709) e la forte impronta
del tendine d’Achille (709, 694).
L’analisi macroscopica, radiografica e istologica di alcuni reperti ossei
ha evidenziato una serie di patologie, tra cui spicca l’esostosi del meato
acustico esterno (552)34.

2.1. La sepoltura 694


A focalizzare l’analisi sul 694 sono le buone condizioni di conserva-
zione e i caratteri della sepoltura che si diversifica per più elementi dalle
altre rinvenute nell’area cimiteriale (Fig. 5a). Una serie di tracce circolari

31
C. Laganara, G. Panzarino, G. Favia, Lo spazio funerario nella Siponto medievale: il
contributo archeologico, antropologico e paleopatologico, cit., p. 541 e fig. 4.
32
Ivi, p. 541 e fig. 3.
33
P. Albrizio, I reperti archeozoologici, in C. Laganara, Siponto. Archeologia di una città
abbandonata nel Medioevo, cit., pp. 211-216.
34
C. Laganara, G. Panzarino, G. Favia, Lo spazio funerario nella Siponto medievale: il
contributo archeologico, antropologico e paleopatologico, cit., p. 541 e fig. 5; G. Panzarino, Il profilo
biologico degli inumati e il contributo paleopatologico, cit., pp. 143-145 anche per bibliografia.
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 261

in negativo, evidenziate per le accidentali condizioni di forte umidità del


terreno, sono disposte ad intervalli regolari parallelamente al lato destro
del corpo, delineato a sinistra dal perimetrale dell’edificio religioso. È
possibile ipotizzare un’originaria sistemazione del bordo con pietre di
medie dimensioni, verosimilmente asportate a seguito delle attività
postdeposizionali che hanno altresì provocato la dislocazione dei distretti
più superficiali (cranio e braccio destro)35. La compressione riscontrata
sulla cintura scapolare e a livello degli arti inferiori indica la presenza
di una probabile fasciatura che ha mantenuto strette le connessioni. In-
fine, sul suo torace, in pessime condizioni di conservazione36 è deposto
in decubito dorsale un bambino (695) di circa quattro anni37 (Fig. 5b,
in grigio). Il mantenimento delle articolazioni più labili e la sostanzia-
le assenza dello strato deposizionale tra i due corpi supportano l’ipotesi
della simultaneità della deposizione38. La sepoltura è pertanto definibile
“bisoma” o “doppia”39.

2.2. L’individuo 694


Lo studio antropologico40 indica il sesso maschile, un’età di 20-25 anni

35
Nelle tracce circolari non si legge l’interfaccia netta di un taglio: ciò induce ad
escludere l’interpretazione quali buchi di palo.
36
Le ossa degli infanti sono solitamente più fragili e più piccole di quelle degli
adulti e sono pertanto maggiormente sottoposte ad una naturale selezione.
37
A causa delle cattive condizioni di conservazione delle ossa (vedi nota preceden-
te) l’età è stata calcolata sulla base della lunghezza della diafisi delle sue ossa lunghe
(M. Stloukal, H. Hanakova, Die länge der längsknochen altslawisher bevölkerungen - Unter
besonderer berücksichtigung von wachstumsfragen, in «Homo», 29(1), 1978, pp. 53-69).
38
A. Canci, S. Minozzi, Archeologia dei resti umani: dallo scavo al laboratorio, cit., p. 87.
39
Duday, citando J. Leclerc e Tarrete (Leclerc, La notion de sépolture, in «Bulletins
et mémoirs de la Société d’anthropolgie de Paris», n.s., 2 (3-4), 1990, pp. 13-19; J.
Leclerc, J. Tarrete, Sépolture, s.v. in Dictionnaire de la Préhistoire, a cura di A. Leroi
Gourhan, Parigi 1988, pp. 963-964), afferma che «generalmente questo può essere
la testimonianza di un avvenimento catastrofico che ha coinvolto gli individui se-
polti» (H. Duday, Lezioni di archeotanatologia. Archeologia funeraria e antropologia sul campo,
Roma, 2006, p. 34). Tuttavia la simultaneità della deposizione non implica necessa-
riamente la contemporaneità della morte (A. Canci, S. Minozzi, Archeologia dei resti
umani: dallo scavo al laboratorio, cit., p. 85).
40
I resti scheletrici sono stati sottoposti ad indagine antropologica per verificare il
sesso (G. Açsàdi, J. Nemeskéri, History of human life span and mortality, Budapest 1970),
262 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

Fig. 5 – Siponto, area cimiteriale. Il giovane 694 e l’infante 695: foto da Sud Est
dopo l’asporto di 695 (a); grafico di 694 (in nero) e 695 (in grigio) (b).
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 263

e una statura medio-alta di circa 1,70 m. Dagli indicatori scheletrici di at-


tività si deduce che gli arti inferiori sono stati sottoposti in maniera con-
tinuativa a stress biomeccanici, con coinvolgimento dei muscoli preposti
alla deambulazione e alla flessione della colonna lombare solitamente più
stressata nelle attività lavorative degli individui maschili41. Analoga condi-
zione si osserva negli arti superiori per i movimenti di estensione e addu-
zione. Il quadro generale rivela un uso combinato di tutti gli arti. L’esame
dell’emiarcata destra della mandibola rivela l’assenza del terzo molare e
la malposizione del primo canino; praticamente nulli i dati desumibili dai

l’età (D.R. Brothwell, Digging up bones, Oxford 1981; H.V. Vallois, Vital statistics in
prehistoric population as determined from archaeological data in The Application of Quantitative
Methods in Archaeology, a cura di Heizer R. F., Cook S. F, Chicago 1960, pp. 186-222;
D.H. Ubelaker, Human Skeletal Remains: excavation, analysis, interpretation, Washington
1999), la statura (M. Trotter, G.C. Gleser, Estimation of stature from long limb bones of
American White and Negroes, in «American Journal of Physical Anthropology», 10 (4),
1952, pp. 463-514; Trotter, Gleser, Corrigenda to “Estimation of stature from long bones
of American whites and negroes”, in «American Journal of Physical Anthropology», 47 (2),
1977, pp. 355-356), gli indicatori scheletrici di attività (R. Martin, K. Saller, Lehrbuch
der Anthropologie in systematischer Darstellung, Stuttgart 1956-59; S.M. Borgognini Tarli,
E. Repetto, Skeletal indicators of 121ubsistence patterns and activity regime in the Mesolithic
sample from Grotta dell’Uzzo (Trapani, Sicily): a case of study, in «Human Evolution», I,
1986, pp. 331-352; V. Mariotti, F. Facchini, M.G. Belcastro, Enthesopathies: proposal
of a standardised scoring method and applications, in «Collegium Antropologicum», 28 (1),
2004, pp. 145-159) e quelli dentari (S. Molnar, Human tooth wear, tooth function and cul-
tural variability, in «American Journal of Physical Anthropology», 34(2), 1971, pp. 175-
186; Smith B. H., Patterns of molar wear in Hunter-gatherers and Agriculturalist, in «America
Journal of Physical Anthropology», 63 (1), 1984, pp. 39-54; C.O. Lovejoy, Dental wear
in the Libben population: its functional pattern and role in the determination of adult skeletal age
at death, in «American Journal of Physical Anthropolgy», 68, 1985, pp. 47-56; A.H.
Goodman, J.C. Rose, Assessment of systemic physiological perturbations from dental enamel
hypoplasias and associated histological structures, in «Yearbook of Physical Anthropology»,
33, 1990, pp. 59-110; M. A. Kelley, C. S. Larsen, Advances in Dental Anthropology, New
York 1991) e infine le patologie (R. T. Steinbock, Paleopathological Diagnosis and Interpre-
tation: Bone Diseases in Ancient Human Populations, Springfield 1976; D. M. Stothers, J. F.
Metress, A system for the description and analysis of pathological changes in prehistoric skeletons,
in «Ossa», 2(1), 1975, pp. 3-9; D.J. Ortner, Identification of Pathological Conditions in
Human Skeletal Remains, New York 2003).
41
S. Jiménez-Brobeil, M. Roca-Rodríguez, I. Al Oumaoui, P. du Souich, Vertebral
pathologies and related activity patterns in two mediaeval populations from Spain, in «Collegium
Antropologicum», 36 (2), 2012, pp. 521-527.
264 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

pochi denti mascellari, rinvenuti sparsi in fase di scavo, a conferma dell’ori-


ginaria presenza del cranio, poi dislocato. Le superfici occlusali, in generale
quelle dell’emiarcata destra e in particolare quelle dei primi molari, sono
mediamente appiattite, indicando un’usura dentaria di secondo grado, le-
gata al consumo frequente di cibi coriacei. Il mancato riscontro, all’esame
autoptico, di linee o pozzetti indica l’assenza di episodi infantili di stress
(nutrizionali o morbosi). Tra le patologie dentoalveolari spiccano le forti
tracce di tartaro, messo in relazione all’elevato consumo di proteine, ad una
bassa igiene orale, ad un pH della saliva e all’età.

2.3. La malattia
Una serie di indizi inducono ad ipotizzare che l’individuo sia affetto
da malattia tubercolare post-primaria diffusa, con interessamento osteo-
articolare multifocale (vertebre, omero, tibie, femore). Già a livello ma-
croscopico l’affezione sarebbe indicata dai segni di periostite con lesioni
iperplastiche e di riassorbimento, diffusi in maniera più grave sulle ossa
lunghe (scapola, omero, ulna, femore e tibia) e dalla degenerazione dei
corpi vertebrali (neoformazioni di tessuto osseo, porosità e bordi irregola-
ri, sporgenti e sopraelevati)42. È noto dalla letteratura che, in particolare,
il distretto della colonna vertebrale è quello maggiormente interessato
(40% dei casi) dalle alterazioni ossee da tubercolosi43, come dimostrato
nello studio di alcune serie scheletriche di età medievale44.
A livello radiografico emerge un quadro di osteomielite tubercolare45.

42
E.I. Radin, I.I. Paul, R.M. Rose, Role of mechanical factors in pathogenesis of primary
osteoarthritis, in «Lancet», 1(7749), 1972, pp. 519-522; C.A. Roberts, J.E. Buikstra,
The Bioarchaeology of Tuberculosis: A Global View on a Reemerging Disease, Florida 2003, p.
110; S. Sabbatani, S. Fiorino, Contribution of paleopathology to defining the pathocoenosis of
infectious diseases, in «Le Infezioni in Medicina», 16(4), 2008, pp. 236-250; A. C. Sto-
ne, A.K. Wilbur, J.E. Buikstra, C.A. Roberts, Tuberculosis and leprosy in perspective, in
«American Journal of Physical Anthropology», 140, 49, 2009, pp. 66-94.
43
A.C. Aufderheide, C. Rodriguez-Martin, The Cambridge Encyclopedia of Human
Paleopathology, Cambridge 1998, p. 121.
44
A. Marcsik, E. Molnár, L. Szathmáry, The antiquity of tuberculosis in Hungary: the
skeletal evidence, in «Memórias do Instituto Oswaldo Cruz», 5, 101 Suppl. 2, 2006, pp.
67-71; M.I. Hofmann, T. Böni, K.W. Alt, U. Woitek, F.J. Rühli, Paleopathologies of the
vertebral column in medieval skeletons, in «Anthropologischer Anzeiger», 66 (1), 2008, pp. 1-17.
45
C.J.P. Thijn, J.T. Steensma, Tuberculosis of the Skeleton: Focus on Radiology, New
York 1990.
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 265

L’evoluzione della patologia si osserva sull’omero sinistro (Fig. 6a), che


nella sua estremità distale mostra una tipica lesione mista osteolitica46
(Fig. 6b), tramite fistoloso per cui la malattia tubercolare ha perforato la
corticale ossea e si è propagata ai tessuti molli (muscoli, vasi, nervi, cute)
e all’articolazione del gomito, determinando un’artrite acuta tubercolare
che lascia pensare in un’avanzata ipotesi ricostruttiva ad una impotenza
funzionale o addirittura alla paralisi del braccio.
L’esame istologico delle ossa patologiche - metodo nella maggior par-
te dei casi di studio praticato sui tessuti molli e sui resti mummificati47 e
in un solo caso su un tessuto duro48 – fornisce l’ulteriore conferma dell’i-
potesi diagnostica.

2.4. La terapia
L’analisi al microscopio confocale laser di una ground section dello smal-
to del secondo molare inferiore di destra (Fig. 7 dell’Appendice, tav. III)
mostra una serie di striature multiple fluorescenti nella banda del rosso
con morfologia assimilabile alla fluorescenza da alizarina (C14H8O4)49.
Questo composto organico si lega naturalmente con il Ca+, pertanto è

46
M. Martini , M.R. Hannachi,  A. Boudjemaa , Tuberculosis of bone. Tuberculous
osteomyelitis, in «Acta Orthopaedica Belgica», 47 (1), 1981, pp. 95-103; M. Martini , A.
Adjrad,  A. Boudjemaa, Tuberculous osteomyelitis. A review of 125 cases, in «Internatio-
nal Orthopaedics», 10 (3), 1986, pp. 201-207; M. Martini, A. Boudjemaa, Tuberculous
osteomyelitis in Tuberculosis of the Bones and Joints, a cura di M. Martini, New York 1988,
pp. 52-79.
47
G. Fornaciari, R. Ciranni, C.A. Busoni, S. Gamba, E. Benedetti, F. Malle-
gni, S. Nelli, F. Rollo F., Santa Zita di Lucca: malattie, ambiente e società dallo studio di
una mummia naturale del XIII secolo, in I Congresso Nazionale di Archeologia Medie-
vale (Pisa, 29-31 maggio 1997), a cura di S. Gelichi, Firenze 1997, pp. 280-285; L.
Ventura, C. Mercurio, C. Guidotti, G. Fornaciari, Tissue identification and histologic
findings in four specimens from Egyptian canopic jars, in «Journal of Biological Research»,
80, 2005, pp. 355-356; L. Ventura, C. Mercurio, F. Ciocca, M. Sarra, S. Di Ler-
nia, G. Manzi, G. Fornaciari, Paleoistologia dei resti mummificati del Tadrart Acacus, Libia
sud-occidentale (IV millennio a.C.), in «Pathologica», 99, 2007, p.188.
48
J.E. Aaron, J. Rogers, J.A. Kanis, Paleohistology of Paget’s disease in two medieval
skeletons, in «American Journal of Physical Anthropology», 89 (3), 1992, pp. 325-331.
49
Le medesime tracce del glicoside si notano anche su altri campioni di tessuto
osseo prelevati dal femore, in corso di studio. Sono state programmate, allargando il
confronto interdisciplinare, ulteriori indagini archeometriche a supporto della somi-
glianza morfologica finora riscontrata.
266 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

Fig. 6 – Siponto, individuo 694. Omero sinistro, estremità distale: lesione mista
osteolitica e fenestrazione: referto fotografico (a); referto RX (b).
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 267

utilizzato tuttora come marker nello studio fisiologico delle ossa50. L’aliza-
rina è la componente principale delle radici della robbia che, proprio in
virtù dei suoi effetti lenitivi contro le affezioni muscolo-scheletrico (vedi
supra) in cui credeva l’antica medicina, è stata assunta ripetutamente
dall’individuo.

3. Conclusioni

Lo studio dello spazio funerario che si organizza e si pianifica gerar-


chicamente intorno all’edificio religioso, come indicano in particolare le
sepolture localizzate a ridosso del suo perimetrale, offre così esiti inte-
ressanti e inediti per molteplici aspetti sia contestuali che di più ampio
respiro. Il giovane sipontino di costituzione forte, robusta e marcata dai
segni di un’intensa e precoce attività lavorativa, è affetto da tubercolo-
si cronica diffusa con localizzazioni multifocali, fortemente invalidante.
Nella Puglia settentrionale la diagnosi è rara in un contesto bassome-
dievale, laddove gli esempi riportati in letteratura sono di età neolitica51
e tardoantica52. Il dato continua a confermare l’ampia diffusione della
malattia presso le popolazioni antiche, in un lungo arco cronologico che
va dall’era preistorica fino agli albori dell’epoca moderna53.
Suggestiva l’ipotesi che viene da formulare sulla terapia: il malato ha

50
D. Richter, Vital staining of bones with madder, in «Biochemical Journal», 31(4),
1937, pp. 591-595; H. Puchtler, S. N. Meloan, M. S. Terry, On the History and
Mechanism of Alizarin Red S Stains for Calcium, in «The Journal of Histochemistry and
Cytochemistry», 17 (2), 1969, pp. 110-124. 
51
Una sintesi in C.A. Roberts, J.E. Buikstra, op. cit., pp. 173-174.
52
S. Sublimi Saponetti, Relazione tra morte e aree sacre: paleopatologia di un campione
scheletrico dal sito tardoantico di San Pietro a Canosa, in Paesaggi e insediamenti urbani in Italia
meridionale fra Tardoantico e Altomedioevo. II Seminario sul Tardoantico Altomedioevo in Italia
meridionale (Foggia-Monte Sant’Angelo 27-28 maggio 2006), a cura di G. Volpe, R.
Giuliani, Bari 2006, pp. 167-174.
53
H.D. Donoghue, Human tuberculosis - an ancient disease, as elucidated by ancient
microbial biomolecules, in «Microbes and Infection», 11(14-15), 2009, pp. 1156-1162;
Id., Insights gained from palaeomicrobiology into ancient and modern tuberculosis, in «Clinical
Microbiology and Infection», 17 (6), 2011, pp. 821-829; T. Hajdu, H.D. Donoghue, Z.
Bernert, E. Fóthi, I. Kővári, A. Marcsik, A Case of Spinal Tuberculosis From the Middle
Ages in Transylvania (Romania), in «Spine (Phila Pa 1976)», 37(25), 2012, E1598-E1601.
268 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

assunto ciclicamente e per via orale la robbia per alleviare gli acuti dolori
articolari. È probabile supporre che raccogliesse la pianta selvatica sul
litorale sipontino, dove ancora oggi cresce spontanea, oppure che se la
procurasse in una di quelle tintorie, molto probabilmente esistenti nella
città portuale, nota proprio dalle fonti scritte54 e materiali55 per il com-
mercio del lino e della lana e per la lavorazione delle pelli. Tra l’altro
secondo la letteratura la tubercolosi si contrae sì per il consumo del lat-
te e dei suoi derivati56, ma anche in contesti lavorativi come concerie
e tintorie57. Anche sul piano prettamente metodologico, oltre al riscon-
tro positivo dell’interazione pluridisciplinare, innovativa è l’applicazione
dell’indagine istologica sul tessuto duro.

Ringraziamenti

Si rivolge un sentito ringraziamento al prof. Massimo Pinto e al dott.


Claudio Schiano per i consigli sulle fonti; al dott. Paolo Fioretti per aver
fornito la rappresentazione della robbia dal Dioscoride di Vienna; alla
prof.ssa Caterina Lavarra per alcune indicazioni e alla dott.ssa Elena
Ciani per le referenze botaniche.

Appendice

Di seguito in ordine cronologico alcune ricette.

54
J. M. Martin, La città di Siponto nei secoli XI-XIII, in San Leonardo di Siponto. Cella
monastica, canonica, domus Theutonicorum, Atti del Convegno Internazionale (Manfredonia,
18-19 marzo 2005), a cura di H. Houben, Galatina 2006, pp. 15-32.
55
A. Busto, Reperti in metallo e altri materiali e Catalogo, cit., pp.161-188; ID., Le tracce
del quotidiano: produrre, distribuire, consumare, divertirsi, cit., pp. 93-114.
56
J. Rogers, T. Waldron, Infections in paleopathology: the basis of classification according
to most probable cause, in «Journal of Archaeological Science», 16, 1989, pp. 611-625;
I. Hershkovitz, A. Gopher, Is tuberculosis associated with early domestication of cattle?
Evidence from the Levant, in Tuberculosis: Past and present, a cura di G. Palfi, O. Dutour,
J. Deak, I. Hutas, Budapest/Szeged 1999, p. 447; C.A. Roberts, J.E. Buikstra, op.
cit., pp.119-120.
57
C.A. Roberts, J.E. Buikstra, op. cit., pp. 72-74.
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 269

«Dopo che il feto è stato espulso. Sminuzzare una foglia di robbia e


pezzetti di cedro, versare dell’acqua, tenere all’aria aperta, poi al mattino
cospargerla sulle parti doloranti oppure mescolare il silfio quando una
dracma [1 dracma è circa 3-5 grammi] o quando un ossibafo [1 ossibafo
è ¼ di una coppa, circa una scoldella] di porro/alga marina»58.

«Un trattamento dell’infertilità, fissato giorno per giorno, tra due cicli
mestruali. Foglie di marrubio [robbio], abbastanza da riempire per bene
la mano, mettere in un angio attico [in generale un vaso] e versare quattro
bicchieri attici di acqua potabile. Far macerare il tutto per nove giorni; la
donna berrà questa durante altri nove giorni di digiuno, dopo un bagno,
due ciazi della bevanda di marrubio tagliato con vino bianco in quantità
uguali. Quando è il terzo giorno di questa bevanda, la donna applica una
fumigazione con foglie di cicuta riscaldate sul fuoco, per nove giorni. Dopo
la fumigazione, ci vorrà un bagno e, in questo modo, berrà la sua bevanda.
E quando la donna ha preso le sue fumigazioni per tre giorni, pone nel
pessario anche il marrubio, ben lavorato, per tre giorni, o il mercuriale,
ben lavorato con del miele attico, durante il giorno. Far inoltre macerare in
un congio [un congio è 1/8 di anfora] di feccia [sedimento che si deposita
sul fondo dei recipienti di fermentazione e di primo stoccaggio] di vino,
radice di ippomaratro e di finocchio, rami di pino grassi il più possibile, un
quarto di robbia, semi di finocchio, e molte radici di verbena. Questa ma-
cerazione non deve essere inferiore a nove giorni. Poi, dopo aver ricevuto
le aspersioni sulla testa, si beve un giorno, durante il bagno, una tazza di
questa macerazione pura. Poi, sdraiatasi e riscaldatasi, la donna si metterà
il pessario. Così, di tre giorni in tre giorni, con la bevanda, il pessario di
bile durante il giorno e per sei giorni. Quando il cambiamento è riuscito,
lei deve andare con il marito, deve bollire le foglie e le radici di giusquia-
mo nell’acqua, e fomentatolo con questo decotto, più caldo possibile, deve
avere degli approcci nella notte per tre giorni. La donna si fa il bagno e va
con suo marito. Dopo questo impacco, deve somministrare in fumigazione
il pene di cervo; quando sarà secco, deve raschiare in un bicchiere di vino
bianco dell’acqua, che dovrà bere per tre giorni; si da nuovamente per i
dolori del parto; perché è un mezzo per affrettare il parto»59.

58
Ippocrate, De mulierum affectibus, III, 91.7.
59
Id., De sterilitate mulierum: 224.
270 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

«Prendete un quarto di tazza di semi puliti e due rami di robbia, me-


scolate regolarmente, cuocete e somministrate con grasso nell’elettuario
[uno sciroppo di zucchero e miele]»60.

«La radice […] si fa bere ai malati di itterizia con idromele, per curare
la sciatica e la paralisi. Cura l’orina eccessiva e densa, talora sanguino-
lenta. Però è necessario lavarsi ogni giorno per coloro che ne bevono il
decotto. Lo stelo delle foglie serve a chi è morso da un serpente. Il frutto,
bevuto con oxymele, diminuisce la milza. La radice, applicata, provoca
le mestruazioni e l’aborto, elimina le chiazze bianche della pelle se unte
con aceto»61.

«Meravigliarsi dei malati di fegato, il botanico Farnace malato. Usare


zafferano, finocchio montano, di nardo selvatico [gli antichi greci chia-
mavano nard la  lavanda  in seguito conosciuta anche come nardus, dal
nome della città siriana Naarda], valeriana del Ponto, carota, prezzemo-
lo, mirra, singolarmente, nardo dell’India e della Gallia, entrambi una
dracma, costo, cannella, giunchi profumati, ognuno un obolo [un obolo
è circa 0,5 grammi], frutto dell’albero balsamo, una dracma di robbia,
una dracma di succo di radice dolce, foglie di erba mula, una dracma di
polio, succhi balsamici, tritato di unguenti odorosi, miele quanto necessa-
rio. È efficace per ogni dolore, con vino addolcito con una gran quantità
di noce del Ponto»62.

«Antidoto epatico lodato da Nearco. Prendere radici di panacea, di


robbia, di eringio [comunemente nota come calcatreppole], di agrimo-
nia, di elenio, di polio, di costo, di aristolachia, di pepe, di scolopendria
[comunemente note come lingua cervina], semi di cocomero, di canepi-
zio, radici di genziana, terra di Sinope rossa, bile di orso, spighe di nardo,
bacche di ginepro, semi di cavolo, semi di ruchetta, in uguale misura, con
del vino attico cotto e usare»63.

60
Id., Peri diaites oxeon nota: II, 250, 1.
61
Dioscoride, op. cit., III, 143, 1.
62
Galeno, De compositione medicamentorum: XIII, 204.
63
Ibidem.
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 271

«Antidoto per espellere l’orina, medicamento idoneo alle malattie


ostinate del fegato. Prendere del canepizio, marrubio, semi di prezze-
molo, di genziana, semi della vetrice, bile d’orso, terra di Sinope, semi di
cocomero, scolopendria [comunemente note come lingua cervina], pa-
nacea, terra rossa di Lemno, robbia, semi di cavolo, aristolochia, pepe,
nardo dell’India, costo, semi di sedano, semi di ruchetta, eringio, polio,
erba viperina, agrimonia, bacche di ginepro, singolarmente, pestato e
setacciato con miele. Dare due bicchieri di vino addolcito con una gran
quantità di noce avellana»64.

«Quelle medicine che Archigene prescrisse ai malati di itterizia nel


secondo libro dei medicamenti in base al genere. Per i malati di itterizia
conviene seguire la dieta, fare frequenti passeggiate e spalmare frequen-
temente gli unguenti, (prendere) i fomenti più importanti e i medicinali
prescritti. Dicono che questi, che durante le febbri contraggono la gotta,
giovano da subito nel mangiare il frutto rosso della rosa canina. Aiuta
anche il succo di chelidonia con vino o bevuta con acqua dolce o il ca-
pelvenere o un obolo di radici di robbia con acqua dolce. Si sua anche la
saponaria [il nome fa riferimento alle proprietà detergenti e medicinali
della pianta, ben note fin dall’antichità] con miele. Viene anche sommi-
nistrato un ciato [circa a 0,05 litri, traducibile anche con “bicchiere”] di
bile d’orso. Si dà da bere anche iperico con vino dolce o con un ciato
di acqua dolce. Anche un decotto di helxine al giorno, con vino dolce.
Bisogna bere ogni tre giorni anche un sesto di sterco di cane bianco e un
quarto di miele. Prendere i licheni che crescono sulle rocce con acqua
dolce o i licheni che crescono sulle tegole o sulle pietre, così puri. Si dà
da bere anche il nasturzio con un ciato di olio e la radice si applica sulle
narici. Date alcuni cucchiaini di assenzio, alcuni di anice con oxymele. Se
non ha la febbre, date le radici tritate di ossilapato o di lapazio [o romice]
con acqua dolce, vino o vino dolce. Cuocere nell’acqua il capelvenere, la
menta e la robbia in ugual misura e dare da bere un’emina [1 emina è
mezzo sestario, circa 0,27 litri], si espone (il malato) a lungo al sole, che
sia assetato e ansimante, così che, dopo aver ricevuto la bevanda, sudi e
subito cambi colore»65.

64
Ivi, 214.
65
Ivi, 234-235.
272 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

«Medicamenti da bere prescritti in breve da Andromaco ai malati di


milza. Medicina di Antipatro per gli splenici come Nilo: una dracma di
polpa di mirobalano, di erba mula, che qualcuno dice l’asplenio, qual-
cuno una dracma di scolopendria, una dracma di corteccia di radice di
cappero, una dracma di costo, una di camedrio, tre di polio, di radice di
cotyledon, chicchi di corimbo di edera nigra, una dracma di ammoniaca
di incenso, una dracma di semi di iperico, una dracma di galbano [re-
sina di pianta ombrellifera della Siria], una di semi di caprifoglio o una
di radice, di nasturzio nero, una dracma di succo del frutto della scilla.
Dare due oboli con oxymele. Ancora: una dracma di essenza di ghianda,
semi di edera bianca, una dracma di costo, una di semi di caprifoglio,
una di iperico, uno di aglio, uno di galbano, un obolo, una dracma di
nasturzio, dare con succo di scilla cotto; somministrare una tazza greca
con oxymele. Ancora: somministrare la polpa del mirobolano, l’iperico, i
semi del caprifoglio, le radici della carota, la robbia, il calamo aromatico,
la valeriana del Ponto, lo zafferano, singolarmente, una dracma di finoc-
chio montano, di nasturzio, di camepizio, le radici del cappero, ognuno
una dracma, una di polio, una di aglio, una di ammoniaca di incenso con
oxymele, formare le pastiglie dal peso di due oboli e dare una con oxyme-
le. Fate così anche per gli epatici e gli idropici [termine non più in uso per
designare la presenza di liquido nelle cavità sierose]. Ancora per i malati
di milza: una dracma di camedrio, di polio, di camepizio, di robbia, di
ammoniaca di incenso, di artemisia, di mirobolano, di corteccia di radice
di cappero, di aristolochia, due dracme di dragante, ridotte in pastiglie
dal peso di tre oboli e somministrati con oxymele.Un altro rimedio per il
mal di stomaco, da usare anche per qualsiasi dolore alla milza e ai dolori,
ai gonfiori e ai malanni femminili. Mescolare una dracma di mirra, di
nardo dell’India, di corteccia di radice di cappero, di costo, di radice di
panacea, di radice di finocchio porcino, di dittamo [comunemente noto
come frassinella o limonella], due dracme di polio, di corteccia di radice
di caprifoglio, di robbia, di ammoniaca di incenso, con oxymele, altri
aggiungono anche una dracma e mezza di iris, e somministrare due oboli
in oxymele»66.

«Al malato di fegato e di ostruzioni. Prendere dell’amigdala amara

66
Ivi, 240-241.
Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 273

con comino, semi di sedano, dare un cucchiaio con del vino. Ancora:
prendere una radice di panacea, una dracma di robbia, una di sedano,
una di pepe, una di aristolochia, un cucchiaio di genziana tritata per
bene, dare con del vino»67.

«Al malato di milza. Per questa bevanda dare da bere il decotto di ca-
medrio o di canepizio o di polio o di robbia, o da sola o con dell’oxymele,
non a coloro che hanno la febbre»68.

«Per le vitiligini, le efelidi, le lentiggini e altre malattie simili del viso.


La robbia ha azione positiva per le macchie provocate dal sole e le vitili-
gini, se questa viene tritata e si cosparge il viso con l’olio»69.

«Semplice rimedio per il fegato: per l’indurimento e la costipazione


del fegato sono salutari i semi di agnocasto, così come anche la linfa della
piccola centaurea minore che è bevuta o esternamente frizionata; inoltre
le radici, le foglie e ancor più i semi del millefoglio secco, gli asparagi del
pungitopo, in particolare le sue radici, i semi e le radici della peonia, il li-
bro [in botanica il secondo strato del tronco è chiamato libro] delle radici
di alloro bevuto in vino odoroso; in più le pigne del pino, i ceci, le radici
della robbia e dell’agrimonia eupatoria [già nota per le sue proprietà
medicinali già ai tempi di Plinio per le affezioni al fegato] che allo stesso
tempo rafforzano l’organo stesso. È consigliabile inoltre il decotto di lu-
pini bianchi amari bevuto con la ruta e il pepe e applicato esternamente.
Anche gli iris, il frutto del pistacchio, il marrubio, la mandorla e le radici
del gigaro scuro depurano le viscere e assottigliano i succhi inspessiti e
densi. Il carpesio [simile alla valeriana per gusto ed efficacia], il camedrio
polio e quello comune migliorano la costipazione ed eliminano il caratte-
re denso dei succhi. Il porro così come l’anthemis e la camomilla sono in
genere un rimedio molto salutari per il basso ventre»70.

67
Id., De remediis parabilibus: XIV, 374- 375.
68
Ivi, 377.
69
Ivi, 420-421.
70
Alessandro, op. cit., VIII, 395, 25.
274 LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

«Il rimedio di Agapeto per la gotta che è stimato e che ha già curato
qualcuno: 2 once è [1 oncia è circa 30 grammi] di nardo; 2 once di iris;
2 once di mirra; 2 once di anagallide [primulacea rinomata contro l’idro-
pisia e l’idrofobia] dai fiori azzurri; 2 once di radici di peonia; 1 oncia di
cassiae cannella; 1 oncia di zafferano; 1 oncia di meo atamantico; 1 oncia
di foglie di malabatro; 1 oncia di resina di lentisco; 1 oncia di radici di
asarabacca [una specie di ginger selvatico]; 1 oncia di robbia; 4 once di
alisma acquatica; 4 once di aristolochia cretica lunga; 4 once di aristolo-
chia pallida tonda; ½ oncia di chiodi di garofano; ½ oncia di valeriana;
3 once di aloe epatica. Le dosi ammontano a una dracma. Il malato deve
assumere la medicina per un anno intero»71.

«Si applica con aceto per curare la pitiriasi alba. Pulisce anche la pelle
e rimuove tutti i tipi di punti e macchie. Se assunto con idromele si rivela
utile per sciatica, paralisi con difetto della sensibilità tattile; quando 3,5
grammi di robbia tintori è presa con 7 grammi di rabarbaro dell’Hima-
laya, diventa utile nel trattamento di lesioni e caduta: a questo scopo,
si prende con una tazza di nabidh [un tipo di vino]. Il suo frutto viene
assunto insieme all’oxymele nelle infezioni della milza; purifica il fegato e
la milza e rimuove le ostruzioni; questa è la sua caratteristica principale.
É altamente diuretico e causa a volte ematuria; è necessario fare il bagno
giornalmente durante il suo utilizzo; il suo uso come pessario può causare
mestruazioni eccessive ed espelle il feto. L’uso dei suoi rami con foglie
contrasta gli effetti velenosi delle punture d’insetti»72.

71
Ivi, XII, 529.
72
Avicenna, op. cit., II, 17.

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