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QUESTIONARIO PER GLI STUDENTI

1) Che significa economia, cosa studia l’economia aziendale, cosa studia l’economia
generale?
L’economia è la disciplina che studia il soddisfacimento dei bisogni umani, di tipo materiale, attraverso
l’utilizzo di risorse scarse. Il suo obbiettivo è l’equilibrio economico: soddisfare il maggior numero di bisogni
per il maggior numero di persone.
L’economia si divide in economia generale: Il sistema economico, secondo la visione dell'economia di
mercato della moderna società occidentale, è la rete di interdipendenze ed interconnessioni tra operatori o
soggetti economici che svolgono le attività di produzione, consumo, scambio, lavoro, risparmio e
investimento per soddisfare i bisogni individuali e realizzare il massimo profitto, ottimizzando l'uso delle
risorse, evitando sprechi e aumentando la produttività individuale anche diminuendo il costo del lavoro. Essa
a sua volta si divide in economia pianificata (tutte le scelte relative alla produzione delle risorse è effettuata
dallo stato) ed economia di mercato (la produzione e la distribuzione dipende dall’incontro dei liberi soggetti
che fanno parte della collettività) e in economia aziendale: essa è più focalizzata sulla nascita, la crescita, lo
sviluppo e anche la crisi delle aziende. Le aziende sono il massimo produttore di risorse introdotte nel
mercato.

2) L’azienda (definizione e classificazione). Gli interlocutori aziendali e gli obiettivi.


Un’azienda è un’organizzazione di beni e capitale umano finalizzata alla soddisfazione di bisogni umani
attraverso la produzione, la distribuzione o il consumo di beni economici e servizi verso i clienti, strutturata
secondo una certa organizzazione aziendale e amministrata secondo una certa amministrazione aziendale da
parte del management aziendale. Le aziende si dividono in generale in: Imprese: che sono aziende che hanno
un orientamento al mercato sia a monte che a valle; No profit: che sono aziende che vende al mercato
oppure eroga il prodotto a categorie di soggetti che ritiene meritevoli di tutela (ONLUS); Pubblica: che sono
aziende che hanno un orientamento al mercato di tipo parziale ma rispondono ad una collettività.

Gli interlocutori aziendali, detti anche stakeholders sono tutti i soggetti, individui o organizzazioni
attivamente coinvolte in un’iniziativa economica il cui interesse è negativamente o positivamente influenzato
dall’andamento, e la cui azione o reazione a sua volta influenza le fasi di controllo e di completamente di un
progetto o addirittura il suo destino.

Vari possono essere gli obiettivi fissati dall’azienda. In particolare si distinguono gli obiettivi primari da quelli
secondari e da quelli collaterali. Gli obiettivi primari sono legati alla stessa sopravvivenza dell’impresa. Ad
esempio, in un’azienda di produzione, obiettivi primari sono quelli collegati ai processi produttivi e alla
vendita dei prodotti sul mercato. Gli obiettivi secondari sono degli obiettivi intermedi, il cui raggiungimento
permette di conseguire, nel modo più economico possibile, gli obiettivi primari. Gli obiettivi collaterali sono
obiettivi economici che vengono formulati in termini di redditività: l’azienda, cioè, si pone come obiettivo
quello di conseguire, in un certo lasso di tempo, una certa percentuale di rendimento del capitale proprio o
del capitale investito.

3) Il capitale e l’azienda. Aspetto quantitativo e qualitativo del capitale.


Per svolgere la propria attività l’azienda ha bisogno di beni (macchinari, impianti, capannoni, materie prime,
merci, prodotti finiti, ecc...). Questi beni formano il capitale dell’azienda detto anche patrimonio. Il capitale
quindi è l’insieme dei beni economici a disposizione dell’azienda per svolgere la sua attività in un dato
momento. Quindi quando parliamo del capitale dell’impresa dobbiamo fare riferimento sempre ad un preciso
istante e ciò perché il patrimonio è mutevole: la sua composizione cambia nel tempo. Il capitale di un’azienda
può essere visto sotto due aspetti l’aspetto qualitativo e l’aspetto quantitativo.

Sotto l’aspetto qualitativo il capitale è dato da un insieme di beni tra loro coordinati che, in un certo istante,
sono a disposizione del soggetto aziendali. Ogni bene dell’impresa ha una propria funzione e presenta delle
caratteristiche proprie. Ciò nonostante i beni dell’azienda formano un tutt’uno, un solo complesso, essendo
legati gli uni agli altri da un vincolo di complementarità e di interdipendenza. In altre parole essi sono tra loro
legati dal fine economico perseguito dall’imprenditore. L’aspetto qualitativo del capitale osserva le
caratteristiche dei beni che lo compongono.

Quando si parla si aspetto quantitativo del capitale ci si riferisce al valore che il capitale di un’azienda assume
in un determinato momento. In altre parole si tratta di determinare la consistenza del capitale ad una certa
data. Per far ciò occorre attribuire ad ogni componente del capitale un valore monetario. Chiaramente,
poiché la composizione del patrimonio aziendale può variare da un momento all’altro, a variare sarà anche il
suo valore. Di conseguenza il valore del patrimonio di un’impresa deve essere riferito ad una certa data.
Alcuni elementi del patrimonio sono già espressi i in moneta ad esempio: (il denaro in cassa, il denaro
depositato presso un c/c bancario, il credito verso un certo cliente, un debito verso un dato fornitore). Altri
elementi, per poter essere espressi in moneta, hanno bisogno di una stima o valutazione. Possiamo quindi
dire che, nell’ aspetto quantitativo, il capitale è rappresentato dai valori dei beni a disposizione del soggetto
aziendale, in un dato istante, espressi in moneta di conto (euro).

4) Creatività e razionalità in economia aziendale.


La creatività e la razionalità rappresentano le 2 caratteristiche principali che un inmprenditore deve
possedere; Secondo lo studioso di marketing e strategia Abel, il quale ne suo libro “la strategia duale”
sostiene che per gestire un’impresa occorrono 2 “teste”, contemporaneamente presenti e in funzione, di cui
una, quella più razionale, “gestisce” il presente (combatte i concorrenti, contratta con i fornitori, fidelizza i
clienti, migliora i prodotti e i servizi) l’altra, quella più sognatrice, “immagina” un futuro (cerca opportunità
remote, valuta possibilità di un ruolo sul mercato diverso da quello attuale). Quindi la figura
dell’imprenditore, secondo Abel, deve coesistere in misura equilibrata sia lo spirito imprenditoriale, più
innovativo, creatore, sognatore, sia quello manageriale, più razionale, professionale.

5) Appartengono al capitale dell’azienda i beni di proprietà della stessa ma che siano stati
rubati?
Sul piano giuridico, tali beni appartengono ugualmente al capitale dell’azienda, in quanto la titolarità del
diritto della proprietà non si modifica, anche nel caso in cui se ne perde la disponibilità. Sul piano economico,
invece, essi non appartengono al capitale, in quanto non essendo più disponibili, non contribuiscono più alla
gestione e alla formazione del reddito come tutte le altre risorse/elementi positivi del capitale stesso.

6) Quando il capitale è finanziariamente equilibrato? Cosa succede nelle imprese italiane, in


particolare nel mezzogiorno?
Il capitale è finanziariamente equilibrato e, quindi un’impresa può definirsi solida se le fonti di finanziamento
sono temporalmente correlate con gli investimenti. In Italia, in particolare nel mezzogiorno accade che le
diverse tipologie di fonti di finanziamento sono molto più legate al breve termine che non al lungo termine e
al capitale permanente: infatti c’è poco mercato azionario e poco mercato obbligazionario, fonti molto
importanti nell’ambito delle passività consolidate. Di conseguenza, essendoci per lo più fonti correnti, le
imprese riescono ad effettuare investimenti a bassa intensità di capitale, ossia quelli in cui ci sono poche
immobilizzazioni; Questo comporta da un lato la minor presenza sul titolo italiano delle attività industriali,
che avrebbero bisogno di più immobilizzazioni e, quindi, di più capitale proprio e passività consolidate,
dall’altro lato comporta la maggior presenza di attività commerciali e di servizi. Un ulteriore conseguenza di
tutto questo è rappresentata dal rischio macroeconomico dell’area, rischio di gran lunga maggiore rispetto a
quello che si correrebbe se ci fossero un paniere di attività variegate: infatti, in condizioni di difficoltà, così
come di espansione, non tutti i settori reagiscono allo stesso modo, motivo per il quale, perché un territorio
sia più tutelato rispetto alle sue condizioni di sviluppo economico, è necessario che ci siano più settori o
attività diversificate possibile.

7) Valori storici, di mercato, nominali, di realizzo diretto ed indiretto, di sostituzione, di


riproduzione.
Il costo storico è il valore originario della risorsa, al netto del consumo che ha già ricevuto: esso però non è un
valore strumentale né razionale, perché guardando al passato, e quindi al momento in cui il bene è stato
acquistato, non si sofferma sulla destinazione che il bene ha ricevuto, ma guarda al contributo che ha fornito
all’azienda, valutandone anche il grado d’usura, risultando pertanto anche un valore oggettivo, relativamente
semplice da calcolare e facilmente verificabile dell’esterno.

Il valore di mercato è il valore che la risorsa assume nel momento in cui deve essere acquistata/venduta:
esso è basato soprattutto sulle condizioni in cui si trova la risorsa, nel senso che è tenuto in gran
considerazione il suo stato di usura (che è pari a zero se la risorsa è nuova), ma non è un valore strumentale,
poiché non guarda al contributo che l’impianto sta dando all’attività dell’azienda, ma d’altro canto risulta
semplice da calcolare, soprattutto se la risorsa ha il riferimento esterno del mercato.

Il valore nominale rappresenta il valore per il quale è stato contratto un credito e resta sempre uguale,
anche se il credito stesso viene riscosso per un valore inferiore o superiore.

Il valore diretto o indiretto: diretto, quando il bene si trasforma direttamente in denaro (per esempio il
prodotto finito dalla cui vendita si ricava denaro); indiretto, se il vantaggio non avviene attraverso la vendita o
la realizzazione, con un immediato introito finanziario, ma quando il contributo alla vendita è indiretto (per
esempio l’impianto che contribuisce alla realizzazione dei prodotti, dalla cui vendita poi si ricava denaro).

Il valore (o costo) di sostituzione rappresenta il costo da sostenere per ottenere una risorsa che svolge
esattamente la stessa funzione: esso risulta elaborato da calcolare, poiché bisogna vedere come soddisfare
un determinato bisogno anche in maniera alternativa, ed è altrettanto difficile verificarlo dall’esterno.

Il valore (o costo) di riproduzione è il costo che l’azienda deve sostenere nel momento in cui decide di
produrre autonomamente una risorsa anziché acquistarla.

8) Perché ci interessa soprattutto l’aspetto quantitativo del capitale?


Si predilige l’aspetto quantitativo del capitale, poiché esso non riguarda l’analisi dei caratteri specifici di ogni
risorsa o vincolo, bensì esso tiene conto della funzione che tali risorse e tali vincoli assumono rispetto
all’attività aziendale (qualità strumentale), riuscendo così a dare una visione d’insieme dell’azienda: in
questo modo è anche rispettato il cosiddetto principio di unitarietà ed inframmentabilità della gestione.

9) Che significa parti ideali del netto?


Il capitale netto di funzionamento è composto da più “voci” o parti, ma tali parti sono ideali, non reali, in
quanto la loro “segmentazione” è dovuta ad un puro motivo di carattere informativo che ottempera a
determinate norme giuridiche: infatti, nonostante questa divisione fittizia, il capitale netto di funzionamento
è pur sempre una grandezza unitaria, in quanto rappresenta la ricchezza netta che un’azienda ha a
disposizione in un momento di normale (quindi non particolare) funzionamento.

10) La gestione. I circuiti.


La gestione rappresenta l’insieme di operazioni compiute dal fattore umano sul capitale, attraverso le quali si
esplica la funzione di creazione di utilità, propria di un’azienda. Essa è articolata in tre fasi principali:
L’acquisizione (o approvvigionamento) dei fattori della produzione, che riguarda il momento in cui l’azienda
si dota delle risorse necessarie per operare, compreso il denaro. La trasformazione/combinazione dei fattori
della produzione, da intendersi quale creazione di utilità economica. Lo scambio del risultato (output)
ottenuto attraverso la combinazione, che riguarda quindi il rapporto tra azienda e cliente.
Nell’ambito della gestione possono poi riconoscersi quattro circuiti principali, utili per comprendere il
funzionamento delle imprese: 1) circuito della produzione, che riguarda la trasformazione dei fattori
produttivi in prodotti; 2) circuito dei finanziamenti attinti a titolo di capitale di proprietà, che riguardano il
reperimento delle risorse monetarie; 3) circuito dei finanziamenti attinti a titolo di capitale di credito;
4) circuito dei finanziamenti concessi. I quattro circuiti, inoltre, possono essere raggruppati in due circuiti
principali: il circuito degli investimenti, che comprende quelli della produzione e dei finanziamenti concessi e
il circuito dei finanziamenti, che comprende invece quelli dei finanziamenti attinti a titolo di capitale di
proprietà e di capitale di credito (o di terzi).
11) Perché la gestione è unitaria ed inframmentabile?
La gestione è unitaria ed inframmentabile poiché tutte le operazioni di gestione sono tutte collegate
direttamente tra loro nel tempo e nello spazio: nel tempo, poiché la gestione ha un andamento ciclico; nello
spazio poiché nello stesso momento vengono attivate simultaneamente diverse operazioni di gestione legate
tra loro da qualche interdipendenza. Ogni operazione, quindi, assume significato nella misura in cui integra le
altre operazioni che l’impresa ha compiuto o intende compiere, per questo motivo, la gestione fluisce
ininterrottamente nel tempo e, volendo fermarla e frammentarla, ci saranno inevitabilmente dei processi
iniziati ma non ancora conclusi con lo scambio dell’output.

12) Cosa è il costo? E il ricavo?


Il costo è l’onere, il sacrificio, lo svantaggio connesso all’utilizzo di un fattore della produzione, esso comporta
anche un elemento negativo rispetto al capitale a disposizione, che quindi si riduce. Il ricavo è, invece, in
beneficio, un vantaggio connesso alla produzione, vendita e cessione di prodotti e servizi, grazie ad esso, il
capitale può crescere. I costi e i ricavi sono delle grandezze che diceva Gino Zappa, “fluiscono nel tempo”,
cioè sviluppano il proprio decorso in un arco temporale senza limiti definiti.

13) Che significa che costi, ricavi, redditi, sono grandezze astratte?
I costi, ricavi, redditi, sono grandezze astratte nel senso che non sono oggettivamente quantificabili. A
differenza delle entrate e delle uscite, infatti, costi e ricavi non avvengono istantaneamente, in un momento
ben definito, ma “fluiscono nel tempo”, e del resto anche il reddito è il flusso di ricchezza che si va ad
aggiungere o a sottrarre al capitale conferito dalla proprietà, per effetto della gestione.

14) A che servono entrate ed uscite? Che significa originario e derivato?


Le entrate e le uscite servono per capire quali variazioni hanno determinato sul denaro, sui crediti e sui debiti
le singole operazioni. Esse indicano rispettivamente gli incrementi e decrementi dei mezzi finanziari. Entrate
ed uscite, quali valori finanziari, sono detti originari, poiché, attraverso una convenzione, è possibile utilizzarli
per misurare e, quindi, quantificare i valori economici (costi e ricavi) che, invece, sono detti derivati e che
informano sugli effetti che le singole operazioni producono sulla ricchezza conferita alla proprietà.

15) Debiti e crediti di funzionamento. Debiti e crediti di finanziamento.


I debiti/crediti di funzionamento rappresentano uscite/ entrate differite nel tempo, nel senso che
sostituiscono temporaneamente incassi/pagamenti monetari. I debiti/crediti di finanziamento, invece, sono
operazioni di scambio in cui l’oggetto della “compravendita” è il denaro, nel senso che essi sorgono per
effetto di autonome negoziazioni di denaro, difatti è un operazione di scambio, poiché si scambia una
disponibilità immediata di denaro con una disponibilità d’intesa, ossia la restituzione del prestito con i relativi
interessi, risultando oneroso per l’azienda che chiede il finanziamento, poiché sostiene dei cost, ma
vantaggioso per l’azienda (o la banca) che concede il finanziamento stesso, poiché consegue dei ricavi.

16) Quale è la funzione del debito di funzionamento?


Il debito di funzionamento sostituisce temporaneamente un pagamento che ancora non è avvenuto, ma che
avverrà entro una data utile di scadenza.

17) I crediti di finanziamento sostituiscono movimenti numerari d’incasso?


La funzione di sostituire moventi numerari d’incasso è pertinente ai crediti di funzionamento, non a quelli di
finanziamento, che insorgono invece nel momento in cui l’azienda concede un finanziamento.

18) Perché l’insorgere di crediti o debiti di finanziamento non comporta una compensazione,
ma viene misurato?
I crediti/debiti di finanziamento sono delle operazioni di scambio in cui l’oggetto della negoziazione è il
denaro, motivo per il quale non ci sono costi e ricavi da misurare. Essi, dunque, nel momento in cui
insorgono, vengono misurati da debiti/crediti di funzionamento, i quali quantificano appunto l’entità del
finanziamento che deve essere concesso.
19) Perché studiamo le compensazioni (permutazioni) numerarie?
Le permutazioni numerarie sono le compensazioni tra entrate ed uscite e indicano che non esiste, nel caso in
cui si manifestano, un rapporto di misurazione, ma che quei fenomeni, ossia entrate ed uscite, sono entrambi
originari, cioè entrambi legati ad una misurazione finanziaria che avviene per uno scambio sul mercato o
comunque per un rapporto con terzi.

20) Perché analizziamo le variazioni del capitale netto?


Le variazioni del capitale netto sono misurate da variazioni finanziarie. Presupposto il fatto che l’incognita
dalla quale si parte è il reddito, il quale è la differenza tra ricavi e costi, ma questi ultimi non sono
direttamente conoscibili, a meno di non considerarle quali variazioni derivate rispetto alle originarie, cioè
entrate e alle uscite, e presupposto anche che in tal modo l’analisi si sposta dalla dinamica economica a
quella finanziaria, pur sempre con l’obiettivo di conoscere la prima, nel momento in cui si analizza la dinamica
finanziaria, vanno prese in considerazione non solo le entrate e le uscite che servono a misurare costi e ricavi,
ma anche quelle che si compensano tra loro, che si misurano tra di esse (crediti e debiti di finanziamento), o
che misurano variazioni del capitale netto, indicate con Δ+ e Δ-, anche se ai fini della conoscenza del reddito
non hanno alcuna utilità.

21) Vie del calcolo del reddito totale d’impresa e relative precisazioni.
Il calcolo del reddito totale d’impresa può essere effettuato attraverso tre metodologie. Una prima
metodologia è quella reddituale, nella quale l’attenzione si focalizza direttamente sul processo di creazione o
distruzione della ricchezza, in questo caso il reddito totale d’impresa è dato dalla somma algebrica di tutti i
costi (che riflettono la ricchezza consumata) e i ricavi (che riflettono la ricchezza creata) misurati
finanziariamente nel corso dell’intera vita aziendale, ossia, in formula RT = R – C.
Con la metodologia patrimoniale, il reddito totale d’impresa è dato dalla differenza tra il valore che il capitale
della proprietà assume al termine della sua esistenza (capitale finale) e quello che esso presenta in fase di
costituzione (capitale iniziale), ossia in formula RT = Cf – Ci. Tuttavia, perché la misura non sia influenzata da
valori non rappresentativi delle utilità consumate e create dallo svolgimento della gestione, è necessario
escludere: a) i valori degli ulteriori conferimenti effettuati dai soci in momenti successivi a quello di
costituzione; b) i valori dei prelievi di capitale e di reddito disposti a favore degli stessi soci nel corso della sua
intera vita.
La terza metodologia è quella finanziaria, che deriva il reddito totale d’impresa dalla differenza tra le
complessive entrate e uscite monetarie intervenute nel corso della vita dell’impresa, ossia, ridotto in formula
RT = E – U. Tuttavia, anche in questo caso, per avere un risultato coincidente con quelli ottenuti dalle altre
due metodologie, ai fini del calcolo vanno considerate le sole risorse monetarie affluite e defluite
dall’impresa attraverso i disinvestimenti e gli investimenti, ossia le entrate e le uscite finanziarie misuratrici di
ricavi e costi, escludendo pertanto: a) i valori delle entrate dovute ai conferimenti iniziali e successivi dei soci,
b) i valori delle uscite disposte a favore degli stessi soci a titolo di rimborso di capitale, inclusa la restituzione
del capitale finale e di reddito.

22) Caso Luxottica (non fatto)


23) Fabbisogno finanziario complessivo e residuale: il ruolo dei ricavi.
Il fabbisogno finanziario è l’ammontare delle risorse finanziarie necessarie per far fronte agli impegni assunti
dall’azienda. Premesso che l’equilibrio finanziario si determina sempre in funzione del tempo, non ci si può
mai limitare ad analizzare le variazioni finanziarie quale massa di malori, poiché ne risulterebbe un’analisi
scorretta, bensì è necessario valutare anche la cadenza dei queste variazioni, ossia come si manifestano
temporalmente: risulta chiaro che se avviene prima un’entrata, poi un’uscita di minore o pari entità, sussiste
una condizione di equilibrio finanziario, diversamente, se l’uscita è di entità superiore, e/o addirittura
precede l’entrata, si crea invece una condizione di squilibrio, meglio nota come fabbisogno finanziario.
Il fabbisogno complessivo rappresenta l’entità dei mezzi monetari necessari per finanziare il totale degli
investimenti programmati, in un definito arco temporale (definito in un dato intervallo di tempo, per un dato
programma di investimenti).
Il fabbisogno residuale rappresenta l’entità dei mezzi monetari necessari per finanziare gli investimenti
programmati al netto dei mezzi monetari che il circuito degli investimenti riconsegna alla disponibilità
dell’impresa tramite il conseguimento dei ricavi e/o restituzione dei crediti di finanziamento: considerata la
dotazione iniziale di risorsa finanziaria (quindi gli eventuali costi da sostenere all’inizio dell’esercizio) si
analizza la modalità con la quale si susseguono su questo stock iniziale le entrate e le uscite o, più
semplicemente, il tele fabbisogno finanziario complessivo (FFC) e la copertura naturale degli investimenti
(CNI), quindi: FFC – CNI = FFR. Il fabbisogno finanziario residuale rappresenta pertanto l’entità delle risorse
monetarie che l’impresa deve reperire dall’esterno tramite finanziamenti sotto forma di capitale di proprietà
e/o di prestito.

24) Vie di calcolo del reddito di esercizio con varie metodologie.


Per calcolare il reddito di esercizio è possibile applicare tre metodologie usate anche pe il reddito totale
d’impresa, tuttavia quelle patrimoniale e finanziaria non rappresentano strade percorribili. Infatti, nel caso
della metodologia patrimoniale, è impossibile calcolare il reddito quale semplice differenza tra capitale finale
e capitale iniziale, in quanto l’uno risulta esatto e certo solo nell’ultimo anno di attività dell’impresa, l’altro
risulta altrettanto esatto e certo solo al primo anno di attività: dunque, per quanto questa sia la metodologia
più sintetica e, forse più semplice, almeno per il calcolo del reddito totale, esso non è certo la più adatta.
D’altro canto neanche la metodologia finanziaria può risultare adatta, in quanto prendendo in
considerazione entrate ed uscite che misurano i costi supportati e ricavi conseguiti, nello stesso arco
temporale, considerato che non ci sono solo processi terminati, ma anche quelli che attendono ancora la
conclusione: proprio tra queste due “tipologie” di processi sussiste lo sfasamento temporale, e dunque, nel
calcolare il reddito d’esercizio, sarà necessario decidere quale trattamento riservare ai costi già
finanziariamente sostenuti o ai ricavi finanziariamente conseguiti prima della cessione dei prodotti, e se sia
addirittura il caso di “aggiungere”, dopo averli stimati, i costi che deriverebbero dalle fasi di lavorazioni
ancora ancora da compiere e i ricavi delle vendite ancora da realizzare. L’unica metodologia applicabile per il
reddito di esercizio e la metodologia reddituale: tuttavia, è bene ricordare che costi e ricavi rappresentano
pur sempre delle grandezze astratte e che vanno misurate attraverso la convenzione di entrate ed uscite, il
che complica l’analisi per la necessità di selezionare, tra le operazioni che generano variazioni finanziarie, solo
quelle che misurano costi e ricavi, e di verificare che questi stessi costi e ricavi siano effettivamente maturati.

25) Competenze, teorie e critiche.


Le teorie della competenza economica hanno la funzione di individuare quando un costo o un ricavo è
maturato e, quindi, contribuisce a formare il reddito oppure, viceversa, quando ancora devono maturare e,
quindi, contribuiscono a formare il capitale.

La Teoria funzionale (De Minico, anni 20-30) collega la maturazione del fenomeno economico all’andamento
dei servizi sottostanti: un costo è di competenza quando si è utilizzato il servizio, mentre un ricavo è di
competenza quando il servizio si è ceduto. Quindi, con la teoria funzionale, si guarda alla fase interna della
gestione, ossia quella della combinazione (o trasformazione) delle risorse e si privilegia un aspetto qualitativo
della gestione, perché si esamina quello che sta avvenendo risorsa per risorsa, isolandolo dal contesto.
Tuttavia, questa teoria, se da un lato fornisce una spiegazione interessante per la dinamica negativa,
distinguendo il fenomeno dell’uscita da quello del costo sul piano dello svolgimento temporale, non fa
altrettanto per quella positiva, poiché spesso la cessione del servizio, ossia il ricavo collegato alla produzione,
coincide anche con lo scambio e con il fenomeno finanziario dell’entrata.

La teoria dei cicli economici o della correlazione (Zappa, anni 20-30) divide la gestione in cicli e indica che un
costo è di competenza quando ha trovato a sé correlato il ricavo e viceversa: per esempio, se si acquista la
materia prima, fin quando non si vende il prodotto finito, essa non rappresenta un costo di competenza.
Quindi, con la teoria dei cicli economici, guarda alle fasi esterne, perché collega l’approvvigionamento iniziale
con lo scambio finale, e privilegia un aspetto più di carattere quantitativo. Tuttavia, questa teoria frammenta
l’unitarietà e l’inframmentabilità della gestione, nel momento in cui separa la gestione in cicli economici: la
gestione, essendo unitaria, dovrebbe essere invece un unico grande ciclo economico che comincia con
l’acquisto della risorsa e finisce con la liquidazione di quest’ultima.
La teoria residuale (Amodeo, anni 40-50) altro non è che una combinazione delle altre due teorie, modifica la
prospettiva d’immagine, focalizzando l’attenzione non sul costo o ricavo di competenza in quanto sostenuto
o conseguito, ma sul costo e ricavo di differita imputazione, quindi costi e ricavi sospesi, risconti, rimanenze.
Questa teoria offre il vantaggio di collegare la competenza a ciò che succederà nel futuro, e quindi di non
frammentare la vita dell’azienda in compartimenti stagni, violando il principio di unitarietà e
dell’inframmentabilità della gestione come le precedenti teorie: tale teoria permette dunque di individuare la
competenza aprendo una finestra sul futuro e di rendere coerente il reddito d’esercizio con le prospettive
economiche dell’impresa, collegando anche, in qualche modo, il reddito d’esercizio al reddito totale
d’impresa, unica grandezza calcolabile con precisione.

26) Perché è meglio cercare prima i costi e ricavi sospesi e poi, per differenza, quelli di
competenza?
Procedere in questo modo è preferibile anche in ottempanza alla teoria residuale, considerata la via più
valida delle teorie della competenza: così facendo, infatti, si crea un collegamento tra l’esercizio in corso e
quelli futuri, valutando quindi la gestione nel suo complesso, e non solo quella relativa all’anno dell’esercizio,
ricordando, quindi, che la gestione stessa è difatti unitaria ed inframmentabile.

27) Perché il reddito si “assegna” e non si “determina”?


Presupposto che l’unico reddito che si determina è quello totale d’impresa, poiché è una grandezza certa, il
reddito d’esercizio, è invece una grandezza incerta, poiché esso è relativo ad un arco temporale molto più
breve, ossia un anno, al cui termine si deve tener conto di tutta una massa di operazioni in corso, massa che
comporterà degli oneri e dei benefici per l’azienda che ancora non sono perfettamente definiti. In realtà
quindi, di tali oneri e benefici, si fanno delle stime, congetture, che in qualche modo riguardano anche il
futuro. Dunque, sulla base di questa incertezza, si assegna all’esercizio, un reddito che sia in qualche modo
coerente con queste stime, queste aspettative per il futuro: il reddito quindi non si determina con precisione
ma si assegna ad un esercizio, tenendo conto del fluire della gestione non solo in quei 365 giorni, ma anche
per quello che succederà successivamente, il che ribadisce il concetto di unitarietà ed inframmentabilità della
gestione.

28) Costi di differita imputazione, perché sono attività?


I costi di differita imputazione rappresentano delle attività non in qualità di benefici, ma semplicemente
come rettifiche di oneri non ancora sostenuti: essi indicano che le risorse alle quali si riferiscono, come veri e
propri “serbatoi di utilità”, potranno ancora contribuire a cicli economici di esercizi successivi cedendo servizi
appunto d’utilità alla gestione affinché possa conseguire i sui obiettivi.

29) Ricavi di differita imputazione, perché sono passività?


I ricavi di differita imputazione rappresentano delle passività non in quanto oneri o sacrifici, ma
semplicemente come rettifiche di benefici non ancora conseguiti: essi rappresentano debiti di prestazione
che devono essere ancora onorati.

30) I risconti in senso stretto ed in senso ampio.


La differenza tra risconti in senso stretto e risconti in senso ampio è collegata al tempo, nel senso che i primi
sono quelli calcolati in stretta proporzionalità rispetto al tempo, come nel caso dei fitti attivi e dei fitti passivi,
che rappresentano rispettivamente risconti passivi e risconti attivi e che sono calcolati appunto in stretta
proporzionalità rispetto al tempo, per il periodo che deve ancora maturare. I risconti in senso ampio sono
invece tutti i costi e ricavi di differita imputazione, nonché tutte le rimanenze finali attive e passive.

31) I problemi del ricorso a valori finanziari


I problemi del ricorso a valori finanziari sono connessi al fatto che, dal momento in cui le entrate e le uscite
sono valori originari, è necessario analizzare tutta una serie di operazioni che non hanno alcun impatto sul
reddito, che rappresenta la vera incognita: ad esempio le operazioni di regolamento, dove entrate ed uscite si
compensano, quelle extra gestionali, in cui entrate ed uscite misurano variazioni di capitale netto Δ+ e Δ-.
Quindi fondamentalmente si tratta di un problema di complessità, dato che, pur essendo il reddito l’unico
centro d’interesse, si analizzano anche le operazioni che con esso non hanno nulla a che vedere.

32) I ratei. Quale è la funzione svolta dai valori numerari presunti?


I ratei sono delle grandezze finanziarie (crediti e debiti presunti) che servono a misurare, integrandone la
rilevazione, rispettivamente ricavi e costi non finanziari, che altrimenti resterebbero dimenticati, ma non
insorgono a dronte di un titolo, bensì rappresentano uno strumento il cui compito esclusivo, come si è
appena detto, è quello d’integrare il reddito di costi e ricavi a manifestazione finanziaria differita.

33) Il significato del capitale al termine dell’esercizio e le operazioni in corso.


Secondo la teoria classica, quella relativa al reddito, il capitale al termine dell’esercizio rappresenta non un
elenco di risorse e vincoli, ma una massa di operazioni in corso che, quando si concluderanno, formeranno il
reddito: in quest’ottica, il reddito è la vera incognita, mentre il capitale è strumentale rispetto alla sua
formazione.

34) I valori ragionevoli


Presupposto che, per calcolare il capitale di funzionamento, è necessario prendere in considerazione, uno ad
uno, tutti gli elementi positivi e negativi, per tali elementi si ha a disposizione tutta una serie di criteri di
valutazione, tra cui poter scegliere per attribuire ad essi un valore: è possibile dunque optare per criteri più
orientati al futuro ma più incerti (valori di realizzo), oppure criteri più ancorati al passato (costo storico),
oppure valori più ancorati al mercato e al presente (costo di sostituzione, valore di riproduzione, valore
corrente di mercato, ecc…). Quindi, potendo attribuire una vasta gamma di valori, potrebbero esserci
potenzialmente infiniti capitali di funzionamento calcolabili. Tuttavia, nel momento in cui si effettua la
valutazione, è necessario tener presente innanzitutto che il vero valore dell’impresa è rappresentato dal
capitale economico e, dunque, l’impresa stessa è valutata non per gli strumenti che ha a disposizione, ma per
i risultati che è in grado di ottenere: quindi il valore reale dell’azienda è il valore attuale dei suoi redditi futuri.
In secondo luogo bisogna ricordare che, tra le tante possibili valorizzazioni del capitale di funzionamento, non
sarà mai possibile prenderne una che supera il capitale economico, poiché sarebbe irragionevole attribuire al
capitale un valore superiore al valore dell’azienda, il che difatti non avrebbe senso. Va dunque considerato
uno spazio di valori ragionevoli che offrono una valutazione del capitale di funzionamento inferiore rispetto
al capitale economico: tuttavia, tra tali valori ragionevoli, è bene scegliere quelli che s’ispirano al cosiddetto
principio della prudenza, secondo cui è preferibile scegliere il minore tra il valore di realizzo e il costo,
(sottovalutando il capitale) e che, pertanto, sono definiti valori prudenti.

35) Gli schemi del capitale e del reddito.


Sono relativi al capitale e al reddito rispettivamente lo stato patrimoniale e il conto economico: nel primo
confluiscono valori finanziari ed economici (gestionali ed extra gestionali), le secondo confluiscono tutti i costi
e tutti i ricavi.

Nello stato patrimoniale, vi sono innanzitutto: i valori finanziari certi, assimilati attivi e passivi, presunti attivi
e passivi e i crediti e debiti di finanziamento; i valori economici gestionali, ossia i costi (immobilizzazioni,
scorte, risconti, attivi propri, titoli azionari e partecipazioni) e i ricavi di differita imputazione (risconti passivi
propri e altre rimanenza finali passive);i valori economici extra gestionali, ossia il netto che comprende
capitale sociale, le riserve e gli utili (o le perdite).

Nel conto economico vi sono invece: i costi e ricavi sospesi all’inizio dell’esercizio (rimanenze iniziali attive e
passive); costi e ricavi misurati nell’esercizio; costi e ricavi di competenza a manifestazione finanziaria
differita; ricavi e costi sospesi al termine dell’esercizio (rimanenze finali passive ed attive); l’utile o la perdita
netto o di esercizio.
36) Relazione tra capitale di funzionamento e capitale economico e sue conseguenze.
Il capitale economica, rappresentando il valore reale ed effettivo che l’azienda assume in un momento
determinato della vita dell’azienda, assume una funzione di controllo del capitale di funzionamento, ossia
grazie ad esso è possibile verificare che il capitale di funzionamento non venga sopravvalutato: esso è quindi
il limite massimo oltre il quale nessuna valutazione è ragionevole. Chiaro dunque che il capitale di
funzionamento non può superare quello economico, per il semplice fatto che un’azienda non può valere per i
suoi redditi e guadagni: se così fosse, ci sarebbe una sopravalutazione dell’azienda stessa.

37) Gli obiettivi della stima del capitale economico.


Oltre alla funzione di controllo del capitale di funzionamento, il capitale economico viene stimato anche per
una valutazione strategica, poiché esso si dimostra un valido strumento selettivo tra scenari (o investimenti)
alternativi (ad esempio l’azienda si trova a dover scegliere se entrare nel mercato francese o in quello
tedesco) e dà all’imprenditore la possibilità di capire quale investimento, almeno potenzialmente, può
apportare maggiori vantaggi e guadagni. Esso inoltre viene di solito stimato anche in ipotesi di cessione,
fusione, scissione, apertura a nuovi, rivelandosi utile per stimare il valore dell’azienda, dato importante nelle
suddette operazioni.

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