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QUALE DEMOCRAZIA?
che governano, saggiamente, la città, altrimenti «lo Stato non avrà tregua dai
mali e, credo, neppure il genere umano»2.
In altre parole “uomini giusti” danno vita ad uno “Stato giusto”; “uomini
ingiusti” possono dar vita solo ad uno “Stato ingiusto” perché il microcosmo
individuale (etica, rettitudine, onestà…) si riflette nel macrocosmo dello Stato
per il “buon governo” che assicura il bene comune.
Un politico deve essere competente, di una vasta cultura e conoscenza,
ecc… ecc… ma, per prima cosa deve essere «una brava persona», perché –
riprendendo Platone – c’è una correlazione «persona, cittadino, politico: dal
microcosmo al macrocosmo, dall’individuo alla collettività, dalla giustizia
dell’anima alla giustizia dello Stato. Un modello lineare abbastanza semplice
da comprendere, ma che la complessità della vita reale relega inesorabilmente
alla sfera dell’utopia»3.
Oggi c’è una politica non per “servizio” ma per “censo”, non nel vecchio
significato, ma per i propri interessi economici, per favorire i poteri finanziari i
quali, del resto, permettono la “vittoria”; è sufficiente pensare al potere delle
lobby nell’elezione del presidente degli Stati Uniti e alle conseguenze a livello
globale che ciò comporta.
La politica, per essere veramente al servizio della collettività e non di
interessi privati o partitici, dovrebbe essere l’arte del confronto, del dialogo,
della dialettica per aprire orizzonti sempre più vasti e non arroccarsi nelle
proprie visioni, posizioni, a difesa di vantaggi e privilegi.
Ma ciò appare sempre più lontano dalla scena politica italiana, dove non
esistono più confronto e dialogo, ma accuse, invettive, ingiurie reciproche… è
l’unico modo per camuffare l’abuso che si fa del mandato politico; l’insulto è un
escamotage a cui si ricorre per nascondere la mancanza di un reale progetto per
il paese, per attivare un reale processo democratico aperto ad ogni contributo,
nel rispetto della società in cui agisce, libero da pastoie partitiche e da
opportunismo.
Platone dice che il potere politico deve essere gestito dai “sapienti”… e fin
qui va bene, ma può lasciar perplessi l’affermazione quando si riferisce a coloro
che “sanno” e hanno le necessarie competenze… logico, e giusto, ma pericoloso
se si intende con questo i famosi “esperti” di cui è pieno il percorso dei governi
italiani degli ultimi anni.
La società, un popolo non possono essere retti da una “classe scelta” e
ristretta di individui con un potere che va ben oltre le loro capacità e
2
Platone, La Repubblica, in Opere Complete vol. VI, UNIVERSALE LATERZA 1973
3
Duccio Rossi, Perché leggere i classici, www.toscanalibri.it 23-03-2011
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competenze.
Ma qui entra in campo un altro fattore determinante per la vita democratica
di una nazione: “i cittadini”.
L’attuale crisi della democrazia è legata al fatto che esiste una massa di
“elettori” poco o nulla informati, quando non “disinformati”, privi di una cultura
politica almeno basilare e assolutamente inconsapevoli di cosa significa “andare
a votare”.
Non si interessano affatto della “cosa pubblica”, non sanno nulla di politica,
non si rendono conto che le parole urlate in televisione o nelle piazze li
riguardano in prima persona e sono determinanti per il loro presente e futuro, si
lasciano convincere dall’ultimo personaggio che ascoltano, si lasciano scegliere
da chi accende le loro reazioni più istintive (e degli istinti peggiori), non sanno
ben dire perché votano uno schieramento o una persona piuttosto che un’altra…
Sono i “cittadini”, la “gente comune”, la “maggioranza silenziosa”…
disinteressati degli affari civili, dell’operato del governo, dei grandi problemi
sociali, soprattutto se non li toccano direttamente; si fanno abbindolare
dall’ultimo slogan che vien loro propinato, lasciando da parte ogni dubbio, un
perché, l’uso di un po’ di ragione…
Si lasciano scegliere, e sono loro che conferiscono ad una minoranza di eletti
(spesso incompetenti quando non corrotti) il potere di governare, di fare leggi, di
decidere sull’oggi e il domani del paese.
Esiste una cinica manipolazione della società, una continua aggressione
mediatica per formare un’opinione pubblica consenziente al potere di turno,
anche quando va contro i più elementari interessi della maggioranza.
Oggi forze politiche e bene comune sono sempre più distanti.
La democrazia non è solo un diritto ma un dovere che va ben oltre il voto,
che impegna a costruire quella “città dell’uomo” di cui ognuno è soggetto e
responsabile, andando oltre e denunciando un’informazione, o meglio
disinformazione, che anestetizza la ragione e la coscienza.
I cittadini devono (ri)prendere il ruolo di protagonisti nella società in cui
vivono, non devono cedere alla manipolazione mediatica e scegliere persone,
partiti, schieramenti, realtà adeguate agli interessi della collettività.
Le delusioni non si superano con la ricerca del nuovo ad ogni costo, da
qualunque parte venga, qualsiasi idea segua o proponga, con il rischio di cadere
nella più becera anti-politica o, peggio, a-politica.
La vera politica non è una “cosa sporca” da cui tenersi lontani; il “governo
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a governarsi da sé»4.
Logicamente le diverse organizzazioni si basavano su valori diversi e basi
culturali diverse, strutture e dinamiche interne differenti; ognuna “insegnava” il
proprio pensiero, con una particolare ottica e lettura, con metodologie e mezzi
diversi… eppure sono state definite “prove di democrazia dal basso”.
Un alto numero di giovani e meno giovani, uomini e donne di differenti
strati sociali, provenienti da ambienti e situazioni più disparate s’incontravano,
si confrontavano, si preparavano ad agire nella loro realtà, pronti al dissenso e
alla denuncia, alla partecipazione cosciente e consapevole nella vita sociale;
sapevano cosa volevano raggiungere e imparavano a capire con più facilità cosa
si nascondeva dietro il “politichese”. Al di là di differenze, contrasti,
interpretazioni distanti si espandeva una cultura di parte, ma diffusa e cosciente
che preparava persone responsabili e impegnate.
Con il tempo si chiusero (o per lo meno si svuotarono di significato) anche i
luoghi d’incontro e discussione delle varie forze, presenti in agni angolo d’Italia,
l’ossatura di base a difesa e garanzia della democrazia. E poco a poco si
diluirono sino a tacere le discussioni, la passione, la presenza, l’impegno…
Anche ai tavolini dei bar non si parlava solo di calcio ma di politica, non
quella di oggi fatta di slogan e di irrazionalità, ma di “ragioni”, di
partecipazione; un discorso continuo che faceva crescere tutti nella
consapevolezza del proprio pensiero; si scavava più a fondo, si definivano
meglio i problemi e la ricerca di soluzioni… si realizzava nella quotidianità il
pensiero di don Milani: «Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti
insieme è la politica», infatti, come scrisse Vittorio Foa: «l’identità collettiva
non parte dall’omogeneità ma dalla diversità»5.
Alcune sue osservazioni aiutano a comprendere il clima del periodo
«La protesta operaia era anche una linea teorica e pratica che collegava le
rivendicazioni immediate alle strategie di trasformazione, saldava tempo
presente e tempo futuro, unificava il soggetto della lotta per la trasformazione
con quello della gestione della società futura. […] Lo sciopero era affermazione
di identità, non era un tempo negativo, un vuoto di lavoro: era un tempo pieno,
una presa di parola, la rottura del silenzio della disciplina industriale»6.
Con la chiusura dei centri di formazione, il “potere” di ogni istituzione ebbe
le mani più libere perché il controllo della base si diluiva sempre più, i
programmi politici sempre più evanescenti, la propaganda sempre più vuota di
4
Vittorio Foa, La Gerusalemme rimandata, EINAUDI 1985
5
Vittorio Foa, Idem
6
Idem
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Renato Piccini
ottobre 2018
7
Isaac Asimov, “Un culto dell’ignoranza”, Newsweek – 21 gennaio 1980
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