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Testi sulla volontà in San Tommaso

1. «Principio di qualsiasi operazione è la forma mediante la quale una cosa è in atto: poiché ogni essere agisce in
quanto è in atto. Perciò è necessario che il modo dell’operazione proveniente da una forma sia proporzionale al modo
della forma stessa. La forma quindi che non deriva dalla stessa causa agente che opera servendosi di essa, causa
un’operazione di cui l’agente non ha il dominio. Se invece c’è una forma che deriva da colui che opera servendosi di
essa, colui che opera avrà anche il dominio dell’operazione che ne deriva. – Ora, le forme di ordine fisico, dalle quali
derivano i moti e le operazioni fisiche, non provengono dagli esseri di cui sono forme, bensì da agenti del tutto esterni,
poiché mediante la forma fisica ciascuna cosa riceve di essere nella propria natura, e d’altra parte niente può essere
causa a se stesso della propria esistenza. Perciò le cose che si muovono fisicamente non muovono se stesse; infatti un
corpo grave è mosso verso il basso non da se stesso, bensì dalla causa che lo ha prodotto imprimendogli la sua forma. –
Anche negli animali bruti le forme della sensazione e dell’immaginazione che li muovono non sono inventate dagli
animali stessi ma sono ricevute dalle cose sensibili esterne, che agiscono nei sensi e vengono giudicate dalla naturale
facoltà dell’estimativa. Perciò sebbene si dica che in qualche modo gli animali muovono se stessi, in quanto in essi c’è
una parte che muove e una parte che è mossa, tuttavia la mozione stessa non deriva da loro, bensì in parte dai sensibili
esterni e in parte dalla natura. Infatti in quanto il loro appetito, elevandosi al di sopra degli esseri inanimati e delle
piante, muove le membra si dice che muovono se stessi; ma in quanto l’appetizione stessa segue in essi necessariamente
dalle forme ricevute dai sensi e dal giudizio dell’estimativa naturale, non sono causa del proprio movimento. – Invece
la forma di ordine intellettivo, mediante la quale opera una sostanza intelligente, deriva dall’intelletto
medesimo, in quanto è da esso concepita e in qualche modo inventata: come è evidente per le forme dell’arte, che
l’artefice concepisce, inventa e con le quali opera. Perciò le sostanze intelligenti applicano se stesse all’azione,
come padrone dei loro atti. Dunque esse hanno la volontà» (SCG, II, 47, n. 3).

2. «Il principio attivo deve essere proporzionato a quello passivo, e il principio motore al corpo mobile. Ma negli
esseri dotati di conoscenza la potenza conoscitiva sta a quella appetitivi come il motore al mobile, poiché è l’oggetto
conosciuto dal senso, o dall’immaginazione, o dall’intelletto a muovere l’appetito intellettivo o quello animale. Ora, la
conoscenza intellettiva non è delimitata a certi oggetti, ma abbraccia ogni cosa; cosicché dell’intelletto possibile il
Filosofo afferma che ha «la capacità di diventare ogni cosa». Perciò l’appetito di una sostanza intelligente è rivolto a
tutte le cose. Ma è proprio della volontà essere rivolta a tutte le cose; cosicché nell’ Etica il Filosofo afferma che essa è
“sia delle cose possibili che delle impossibili”. Dunque le sostanze intelligenti sono dotate di volontà» (SCG, II, 47, n.
4).

3. «Per rendere dunque manifesta la verità sulla presente questione bisogna considerare innanzitutto che come nelle
altre cose c’è qualche principio dei propri atti, così anche negli uomini. Ora, questo principio attivo e motivo negli
uomini è propriamente l’intelletto e la volontà, come dice Aristotele (L’anima, 3, 10). E questo principio in parte
conviene col principio attivo nelle realtà naturali, in parte differisce da esso. Conviene certamente poiché come nelle
realtà naturali si trova la forma, che è il principio dell’azione, e l’inclinazione conseguente alla forma, che è questo
appetito naturale, dalle quali cose segue l’azione, così nell’uomo si trova la forma intellettiva e l’inclinazione della
volontà conseguente alla forma appresa, alle quali cose segue l’azione esterna. Ma c’è una differenza in questo : la
forma di una realtà naturale è una forma individuata dalla materia, per cui, anche l’inclinazione che la consegue è
determinata a una cosa sola, mentre la forma intesa è universale, e sotto di essa possono essere comprese molte cose.
Per cui, dato che gli atti sono nei singolari, nei quali non c’è nulla che adegui la potenza dell’universale, l’inclinazione
della volontà rimane indeterminata verso molte cose: come se un artefice concepisce la forma della casa in universale,
sotto la quale sono comprese diverse figure di casa, la sua volontà può inclinarsi a fare una casa quadrata o rotonda o di
un’altra figura» (QDM, q. 6, a. un., c).

4. «Homo vero per virtuem rationis iudicans de agendis potest etiam de suo arbitrio iudicare in quantum cognoscit
rationem finis et eius quod est ad finem, et habitudinem et ordinem unius ad alterum; et ideo non est solum causa sui
ipsius in movendo sed etiam in iudicando. Et ideo est liberi arbitrii ac si diceretur liberi iudicii de agendo vel non
agendo» (QDV, q. 24, a. 1, r).

5. «Benché il giudizio appartenga alla ragione, la libertà di giudicare dipende direttamente dalla volontà» (QDV, q.
24, a. 6, ad 3).

6. «Ratio est causa libertatis» (S. Th., q. 17, a. 1 ad 2).

7. «Homo per rationem determinat se ad volendum hoc vel illud» (Ibid, I-II, q. 9, a. 6 ad 3).

8. «Ipsa enim potentia voluntatis, quantum est de se, indifferens est ad plura; sed quod determinate exeat in hunc
actum vel in illum non est ab alio determinante, sed ab ipsa voluntate» (In II Sent., d. 39, q. 1, a. 1).
9. «L’agente stabilisce per sé, attraverso la volontà, il fine per cui agisce» (Compendium Theologiae, c. 174). Questa
stessa idea si può trovare quando Tommaso, riferendosi ai dannati, afferma che il fine della loro volontà è diverso dal
Sommo Bene: «per hoc quod voluntas remanet fixa in proprio bono non tendendo ulterius in summum bonum, quod est
ultimus finis» (ibid., c. 113).

10. «Quindi dopo la boulêsis, la ricerca (zêtêsis) è l’esame (skepsis). Dopo di che, se si tratta di cose alla nostra
portata, viene il consiglio (boulê), vale a dire la deliberazione (bouleusis). Il consiglio è una sentenza inquisitiva, che si
esercita sulle cose in nostro potere, poiché uno delibera per sapere se bisogna eseguire l’operazione o no; quindi si
giudica ciò che è il meglio, e codesto atto si denomina giudizio (krisis). Quindi si ha l’attrattiva (diatithesis), e si ama
ciò che è stato apprezzato in seguito alla deliberazione, e questo si chiama consenso (gnôme); poiché se si apprezza
senza essere attratti dall’oggetto apprezzato, cioè senza amarlo, non si parla di consenso. Quindi, dopo l’attrattiva si fa
la scelta (proairesis), cioè a dire l’elezione (epiloghê): scegliere o preferire è prendere o eleggere tra due partiti proposti
uno piuttosto che l’altro. Quindi ci si porta all’azione, e codesto si chiama l’impulso ( ormê). Poi si usa, e codesto si
chiama uso (krêsis). Finalmente si cessa di tendere dopo l’uso (pauetai)» (SAN GIOVANNI DAMASCENO, De Fide
Ortodoxa, II, c. 22; PG, XC, 943).

11. «L’intenzione è un atto della volontà relativo al fine. Ma la volontà dice rapporto al fine in tre maniere. Primo, in
modo assoluto: e allora si denomina volere, in quanto vogliamo la guarigione, o altre cose del genere. Secondo, si
considera il fine come oggetto in cui la volontà si riposa; e in questo caso il rapporto col fine è fruizione. Terzo si
considera il fine come termine di cose ad esso ordinate: e allora dice rapporto al fine l’intenzione. Infatti diciamo di
tendere alla guarigione non solo perché la vogliamo, ma perché vogliamo raggiungerla con qualche mezzo» (S. Th., I-II,
q. 12, a. 1).

12. «Ora, nelle azioni da compiere si riscontra molta incertezza: poiché le azioni riguardano cose singolari
contingenti, che per la loro variabilità sono incerte. Ma nelle cose dubbie e incerte la ragione non proferisce il suo
giudizio senza una previa ricerca. Perciò è necessaria una ricerca della ragione prima del giudizio sulle azioni da
compiere; e questa ricerca viene chiamata consiglio, o deliberazione» (S. Th., I-II, q. 14, a. 1).

13. La scelta si riferisce a «particularia bona quae non habent necessariam connexionem ad beatitudinem» (S. Th., I,
q. 12, a. 2). «Homo per rationem determinat se ad volendum hoc vel illud» (ibid., I-II, q. 9, a. 6 ad 3). «Ratio est causa
libertatis» (ibid., q. 17, a. 1 ad 2).

14. «Benché il giudizio appartenga alla ragione, la libertà di giudicare dipende direttamente dalla volontà» ( De
Veritate, q. 24, a. 6, ad 3).

15. «L’uomo in virtù della ragione che giudica su ciò che si deve fare, può giudicare sul suo arbitrio, in quanto
conosce la ragione del fine e di ciò che si riferisce al fine, e l’abito e l’ordine di uno riguardo l’altro: è perciò non è solo
causa  sui (di se stesso) nel muoversi, ma anche nel giudicare» (De Veritate, q. 24, a. 1).

16. «Potest etiam dici quod intellectus assentit, in quantum a voluntate movetur» (S. Th., I-II, q. 15, a. 1, ad 3).

17. «Consensus nominat applicationem appetitivi motus ad aliquid praeexistens in potestate applicantis» (S. Th., I-
II, q. 15, a. 3).

18. «Per hoc quod voluntas remanet fixa in proprio bono non tendendo ulterius in summum bonum, quod est
ultimus finis» (Compendium Theologiae, c. 113).

19. «vediamo che si può avere l’intenzione del fine, prima di determinare i mezzi, che sono oggetto dell’elezione»
(S. Th., I-II, q. 12, a. 4).

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