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ai Fabbriceri (all’epoca Raffaele Gualterio, olo III dal 1534, e suo fratello Giovanni,
Francesco Aviamonzi e Camillo Saracinel- patriarca di Aquileia.
li) da cittadini orvietani presenti a Roma Fu quest’ultimo negli anni Cinquanta
e dallo scultore-architetto Raffaello da a inviare prima Salviati (1551) e poi due
Montelupo (FUMI, 1891, p. 411, nn. CLX- mosaicisti da Venezia (1558) per restauri ai
XII, CLXXIII; AODO, Riformanze, b. 26, mosaici della facciata (FUMI, 1891, pp. 110,
1554-1560, cc. 83v, 90r), il quale dal 1538 148-150; cfr. il saggio di Alessandra Canni-
al 1552 aveva sovrinteso ai lavori di ammo- strà in questo volume); nel 1558 il cantiere
dernamento della cattedrale ed era molto della cattedrale registrava la presenza dello
bene al corrente dell’ambiente artistico ro- schledense Giovanni de Mio, giunto anco-
mano (per il ruolo di Muziano al Duomo di ra su segnalazione del Grimani, sempre per
Orvieto e i quattro dipinti realizzati dall’ar- i restauri musivi (AVAGNINA, VILLA, 2006;
tista si veda TOSINI, 2008, in part. pp. 85- AODO, Riformanze, b. 26, 1554-1560,
92; 244-249; schede A 7, A 8, A 28, A 29, cc. 213rv).
con bibliografia precedente completa). Lo stesso patriarca dovette giocare
All’epoca “Hyeronimo de Patavio” (così senza dubbio un ruolo nella chiamata di
ricordato nei documenti della Fabbrica) Muziano, il quale aveva esordito a Roma
era un artista poco più che esordiente, ma nel 1550 con quel Battista Franco, uno
già noto agli “intendenti” romani grazie ad dei ‘creati’ di casa Grimani. Il pittore di
una grande tela, la Resurrezione di Lazza- Brescia, essendo però ai suoi albori pro-
ro (Roma, Pinacoteca Vaticana), eseguita fessionali, fu preventivamente messo alla
probabilmente nel 1555 per l’arcivescovo prova, con l’affidargli l’esecuzione di una
Francesco Colonna e grandemente lodata Pietà, destinata alla chiesa di S. Giacomo
dallo stesso Montelupo e da Michelange- dell’ospedale di S. Maria della Stella, in-
lo (TOSINI, 2008, scheda A 5, pp. 332-335). carico che fu poi sostituito dalla realizza-
Stando alle fonti, fu proprio in virtù di tale zione di un cartone preparatorio per la
dipinto che questo pittore, all’epoca se- futura pala del Duomo, da sottoporre ai
misconosciuto, giunto a Roma da Brescia soprastanti della Fabbrica (DELLA VALLE,
dopo un tirocinio tra Padova e Venezia, fu 1791, p. 327; AODO, Riformanze, b. 26,
prescelto per dare il via alla decorazione 1554-1560, cc. 90v-91). Il 17 novembre
del Duomo, divenendone il primo regista 1555 gli fu infine allogata una Resurrezio-
e – per certi aspetti che tenterò di illustrare ne di Lazzaro (fig. 1) per la cattedrale, con-
più avanti – il protagonista. clusa entro il giugno 1556 (TOSINI, 2008,
La significativa presenza di artisti veneti scheda A 7): la pala, collocata il 5 ottobre
– o di educazione lagunare – alla cattedrale 1556 nella quarta cappella della navata
di Orvieto è questione ancora da approfon- sinistra, adiacente quella dei S. Egidio e
dire: dopo la presenza del veronese Sanmi- Ansano (FUMI, 1891, p. 411, n. CLXXV;
cheli come architetto del Duomo nella pri- AODO, Riformanze, b. 26, 1554-1560,
ma metà del Cinquecento, è certo che alla cc. 124rv), risultò particolarmente gradi-
metà del secolo il veicolo di introduzione ta ai committenti, i quali ingaggiarono di
della cultura figurativa veneziana in Orvie- nuovo l’artista per eseguire altri dipinti
to furono il cardinale Marino Grimani, che (11 giugno 1556; AODO, Riformanze, b.
“frequentemente usava in Orvieto” (FUMI, 26, 1554-1560, c. 115); l’opera fu saldata
1891, p. 110), e vi morì nel 1546, essendo l’anno seguente (30 aprile 1557), insieme
legato pontificio a Perugia per conto di Pa- alla seconda pala per il Duomo eseguita
Il Duomo di Orvieto nella seconda metà del Cinquecento 465
veva con ogni probabilità figurare lo stesso controriformati, incentrati sulla figura sal-
cardinale Simoncelli, ma un ruolo non del vifica di Cristo.
466 Patrizia Tosini
Fig. 3 – Duomo di
Orvieto: il ciclo delle
pale d’altare di secondo
Cinquecento.
468 Patrizia Tosini
testimoni dell’accordo con Muziano per il cc. 232v, 236), l’Opera si risolse a interpel-
lavori di stucco, rafforza l’ipotesi non tanto lare colui che al tempo di Paolo IV Carafa
di una sostituzione di un artista con l’al- era davvero considerato il primo pittore
tro, come ipotizzato dalla Valone, quanto di Roma dopo Michelangelo, quel Taddeo
piuttosto di un affiancamento del brescia- Zuccari, al massimo della sua brillante car-
no allo scalpellino toscano per dare un più riera di pittore pontificio, il quale si recò a
rapido impulso al procedere dei lavori. La Orvieto accompagnato dall’allora giovane
collaborazione tra Muziano e Dosio non tirocinante fratello Federico (ACIDINI LU-
si fermerà infatti con l’attività orvietana, CHINAT, 1998, I, pp. 108-109).
ma proseguirà fino agli anni Ottanta sul- Alcuni documenti relativi a Taddeo
lo scenario romano, che li vedrà più volte tra giugno e settembre 1559 (FUMI, 1891,
all’opera insieme. p. 411, nn. CLXXVII, CLXXVIII; AODO,
L’apprezzamento dell’operato di Muzia- Riformanze, b. 26, 1554-1560, cc. 245rv-
no nel Duomo di Orvieto fu immediato: 246rv) ci informano che l’artista aveva
negli anni 1557-1558 il cardinale Simon- iniziato lavori di stucco e affresco nell’ul-
celli coinvolse il pittore anche per la deco- tima cappella a sinistra e che gli erano
razione del suo grandioso palazzo di Torre state commissionate delle pale d’altare da
S. Severo (TOSINI, 2008, pp. 92-104, sche- realizzare su lavagna. Vasari (ed. G. Mila-
da A 9, con bibliografia precedente; vedi i nesi, VII, pp. 86-87) riporta come eseguite
contributi della scrivente e di Carla Benoc- dagli Zuccari: “due figurone grandi; una
ci in questo stesso volume). Dopo il 1558 per la Vita attiva, e l’altra per la contem-
il bresciano dovette però abbandonare plativa… e mentre che Taddeo lavorava
Orvieto alla volta di Foligno, senza più queste, dipinse Federigo nella nicchia della
far ritorno al Duomo, chiamato a Roma al medesima cappella tre storiette di S. Pao-
servizio esclusivo del cardinale Ippolito II lo”). I lavori orvietani dei fratelli vadensi si
d’Este. dovettero limitare a questo, visto che una
Il temporaneo allontanamento di Mu- malattia (ricordata sempre dal Vasari) li co-
ziano dallo scenario orvietano costrinse i strinse dopo pochi mesi a tornare a Roma
Fabbriceri a rimettersi in moto, alla ricerca senza aver posto mano alla pala d’altare
di artisti adatti a completare il ciclo delle concordata.
pale d’altare: nel dicembre del 1558 Tri- Dopo l’abbandono degli Zuccari, la scel-
vulzio Gualterio era comunque del parere ta di realizzare la tavola e gli affreschi della
“che per fare la tavola della cappella, quale cappella “presso la ferrata del Corporale”
si deve fare di pittura, che si debbia cercar (5 ottobre 1561, LUZI, 1866, p. 497; FUMI,
d’havere il più eccellente mastro che si pos- 1891, p. 412, n. CLXXXIII) – ovvero quel-
sa havere” (FUMI, 1891, p. 411, n. CLXXVI; la lasciata incompleta da Taddeo Zuccari
CAMBARERI, 1986-1987, p. 248); nello stes- – cadde sul fiammingo Hendrick van den
so mese si stabiliva di proseguire i lavori Broeck di Malines, detto Arrigo Fiammin-
in stucco delle cappelle rimaste in sospeso go, a lungo attivo tra l’Umbria e Roma (SA-
ad opera di maestro Giovan Domenico da PORI, 1996; 2002; EAD., 2007, pp. 57-60).
Carrara scultore e Giovanni da Montepul- Nel 1561 però Federigo Albano da Roma
ciano, su disegni del Montelupo (AODO, scriveva a Orvieto al Camerlengo Nerino
Riformanze, b. 26, 1554-1560, cc. 218v- Vaschienzi, informandolo che il pittore
219; cc. 220v-221rv). Nel giugno 1559 d’oltralpe “è inbriaco la magior parte del
(AODO, Riformanze, b. 26, 1554-1560, tempo” e che Muziano si era nuovamente
Il Duomo di Orvieto nella seconda metà del Cinquecento 469
proposto per eseguire il dipinto al posto (14 gennaio 1565; FUMI, 1891, p. 411) ese-
suo (CAMBARERI, 1986-1987, p. 253; TOSINI, guissero l’altra tavola, realizzandola presso
2008, p. 539, doc. 202). di loro e venendo poi a sistemarla in Or-
Nell’ottobre 1561, nonostante la poca vieto.
affidabilità del Van den Broeck, la Fab- Nell’attesa dell’agognato dipinto (che
brica insisteva nel commissionargli la pala si era concesso di eseguire in tavola, inve-
d’altare; nel 1562 Cesare Nebbia, rivendi- ce che in tela), nel luglio 1565 il Circigna-
cando la cittadinanza orvietana, si offriva a ni era investito degli affreschi della terza
sua volta di realizzarla al suo posto (FUMI, cappella a sinistra (dove comparivano le
1891, p. 412, n. CLXXXIII). sibille Samia e Cumana), allo stesso prezzo
L’istanza di Nebbia, seppur non ac- e con gli stessi accordi a suo tempo stabi-
colta in ordine all’esecuzione del dipin- liti con Muziano (FUMI, 1891, pp. 411-412,
to, produsse comunque un effetto positi- n. CLXXXVIII, CLXXXIX). Infine, il Po-
vo per l’orvietano, che si vide incaricato, marancio si aggiudicava, nel novembre di
nel 1563, di eseguire cinque dipinti con quell’anno, anche l’esecuzione della pala
Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento con il miracolo della Probatica Piscina (Il
e sei piccoli pannelli con Profeti e Sibille risanamento dello storpio) (fig. 4), per il me-
ad ornamento del nuovo tabernacolo li- desimo vano (LUZI, 1866, p. 500). Anche
gneo del Sacramento per l’altare maggio- per quest’ultima si specificava che il termi-
re, appena completato da Ippolito Scalza ne di paragone qualitativo ed economico
su disegni del Montelupo (FUMI pp. 410- dovesse essere l’opera di Muziano, ovvero
411, n. CLXXXIV; CAMBARERI, 1992; EAD., la Resurrezione di Lazzaro, posta nella cap-
2002; EITEL-PORTER, 2009, pp. 35-36). pella a fianco.
Nel frattempo Van den Broeck stipulava La Probatica piscina venne portata avan-
nel 1564 una società artistica con il giovane ti dal Circignani sino al 1566, anno in cui
Niccolò Circignani proprio per realizzare l’Opera assegnava a Cesare Nebbia il pri-
le due pale d’altare richiestegli dall’Opera mo lavoro di grande impegno in cattedrale,
del Duomo. La commissione però, in mano gli affreschi della prima cappella a sinistra,
al fiammingo all’epoca residente nell’Urbe, dedicata ai SS. Pietro, Paolo, Giacomo,
languiva: così il 30 luglio 1565 (CAMBARERI, Cristoforo e Gregorio (FUMI, 1891, p. 415,
1986-1987, p. 254) l’artista, trovandosi im- n. CXCIV).
possibilitato ad andare a Orvieto per ese- All’epoca l’orvietano – che nel frattempo
guire la cappella a lui assegnata, suggeriva era già uno stretto collaboratore di Muzia-
di affidare gli affreschi a “m. Nicolao pittor no a Roma – cercava in ogni modo di otte-
fiorentino, avendo visto de molte belle cose nere anch’egli l’ambita commissione di una
in bel vedere [sic] di sua mano a frescho”, tavola per la cattedrale: nel gennaio 1567
mentre chiedeva di fargli arrivare la tela supplicava il Numero di affidargli un dipin-
per la pala d’altare a Roma, in modo “che to dietro il minuscolo compenso di quattro
si la facesse là da noi per che voglio che in scudi al mese, mettendolo poi al paragone
anche che esca di Roma la veda ogniun de con quello del Circignani, appena conclu-
l’arte de valent’omini”. so (FUMI, 1891, p. 415, n. CXCVI; SATOLLI,
I Fabbriceri intanto, resisi conto della 1987, p. 75). Finalmente, il mese seguente
lentezza di Arrigo, facevano una ricognizio- gli fu concesso di realizzare la pala con le
ne per ottenere che “m. Giorgino [Vasari], Nozze di Cana (fig. 5) per la prima cappel-
o m. Bronsino, o Daniello [da Volterra]” la a sinistra (juspatronato dei Bianchelli),
470 Patrizia Tosini
EAD., 2009, p. 90; cfr. Alessandra Cannistrà da Monaldo Monaldeschi nei suoi Comen-
in questo stesso volume), forte dell’espe- tari Historici (1584, p. 61). In basso, sulla
rienza condotta in questo campo sui pon- sinistra del dipinto vi è il ritratto di Sforza
teggi della cappella Gregoriana, a fianco di Monaldeschi in armatura, accompagnato
Muziano; inoltre stava eseguendo la pala da una figura femminile sulla destra rico-
con la Natività della Vergine (fig. 10), com- nosciuta in sua moglie Dianira Baglioni
missionatagli da Sforza Monaldeschi della (SATOLLI, 1987, p. 96) (ma secondo MAJO-
Cervara per il suo altare in cattedrale, po- LI, 1828, trascritto in SATOLLI, 1978, p. 142,
sto in controfacciata a destra dell’ingresso sarebbero la madre di Sforza, Costanza,
principale (EITEL-PORTER, 2004, pp. 138- alle cui spalle comparirebbe la sorella di
141; EAD., 2009, pp. 151-152). In una let- Sforza, Faustina).
tera del 16 marzo 1582 l’orvietano affer- Proprio in questi anni il successo di Ce-
mava: “ho le mane alla tavola del s. Sforza sare Nebbia è ai suoi vertici: nelle lettere
et o fatto molte fatighe per questa… et si scritte al Camerlengo l’artista fa addirittura
assicuri che la darò finita al tempo promes- menzione di una sua chiamata da parte di
so…” (AODO, Lettere originali, b. 70b, Filippo II di Spagna (TOSINI, 2008, p. 541,
1566-1597, fasc. 3 [1582-84], n. 453). Il 10 doc. 215), invito che però, in seguito, non
maggio successivo scriveva ancora che “La si sentirà di accettare. Nelle stesse missive
tavola del sig. Sforza è a un termine che al del 1582 l’orvietano ricorda più volte la ta-
sicuro sarà finita al tempo che io promisi e vola di “madonna Girolima”, che procede
pensarò farmi onore per che è stata vista da di pari passo con quella di Monaldeschi,
molti uomini di giudizio et è piaciuta gran- ma non è chiaro a quale opera egli faccia
demente sia tutto a gloria di Dio, limba- riferimento.
sciatore del duca di savoia vorrebbe da me Tre disegni di grandi dimensioni, già se-
un quadro simile di grandezza ma ci vole la gnalati da Perali (1919, p. 198), con stem-
nontiata et li o già fatto la incisione copiosa mi dell’Opera del Duomo e del cardinale
con un paradiso con assai figure…” (TO- Simoncelli, attestano inoltre la commissio-
SINI, 2008, pp. 540-541, doc. 214; cfr. an- ne a Nebbia di una nuova decorazione, mai
che FUMI, 1891, p. 419). A ottobre Nebbia realizzata, per l’abside della chiesa con sce-
promette ancora che “la tavola con l’aiu- ne della Vita della Vergine (EITEL-PORTER,
to di Dio al natale prossimo sarà in opera 2004, pp. 94-103).
e cerco di farmi onore et quando porterò Con la consegna delle ultime pale di
la tavola del signore Sforza portaro anco Muziano e Nebbia nel 1584, la decorazione
quella di Ms Girolima…” (TOSINI, 2008, degli altari del Duomo volgeva a conclusio-
p. 542, doc. 224). Il 25 novembre, Nebbia ne: negli spazi all’esterno tra una cappella e
si scusa di nuovo per il ritardo nella con- l’altra, sotto i finestroni delle navate laterali
segna (AODO, Lettere originali, b. 70b, gli stessi artisti dei dipinti d’altare avevano
1566-1597, fasc. 3 [1582-1584], n. 502), eseguito affreschi con storie della Vita di
ma ancora un anno dopo, il 4 ottobre 1583, Cristo (Gesù e l’Adultera, Gesù e la Mad-
la tavola Monaldeschi non è ancora al suo dalena in casa del Fariseo, La lavanda dei
posto e il pittore assicura che ciò avverrà piedi, Gesù di fronte a Pilato, Pilato mostra
entro il prossimo Natale (AODO, Lettere Gesù al popolo, Gesù spogliato delle vesti,
originali, b. 70b, 1566-1597, fasc. 3 [1582- Gesù morto portato al sepolcro) a comple-
1584], n. 546). Il dipinto è infine ricordato tare un ciclo pittorico che illustrasse tutti
sull’altare di famiglia dedicato a S. Brizio i maggiori episodi del Nuovo Testamento
Il Duomo di Orvieto nella seconda metà del Cinquecento 477
Gonfalone, agli affreschi vaticani di Gre- ne raccolse ben presto il testimone, prose-
gorio XIII, a quelli di Sisto V, sino a opere guendo sin dentro al Seicento una stagione
ecclesiastiche dello scorcio del Cinque- artistica molto importante e duratura.
cento, come la decorazione della navata di
S. Maria Maggiore voluta dal cardinal Pi-
nelli e gli affreschi di Nebbia e compagni Echi della pittura del Duomo nelle chiese
nella chiesa di S. Susanna. orvietane
Va però messo in luce come il linguaggio
espresso nelle pale del Duomo, di solenne In questo paragrafo, senza pretese di
magniloquenza, di essenziale chiarezza della completezza e approfondimento, si inten-
narrazione, concentrato in una costruzione de dare conto di quanto la produzione del-
verticale e pausata degli elementi compo- le pale del Duomo avviata dalla seconda
sitivi, adottato poi senza esitazioni da tutti metà del Cinquecento abbia riecheggiato
gli artisti attivi nella navata, è un’eredità nelle chiese orvietane della città e del con-
che rimonta senza dubbio alle ancone più tado, soprattutto grazie all’attività della
antiche eseguite da Muziano in cattedrale, bottega di Cesare Nebbia, costituendo una
opere innovative e molto inconsuete per il sorta di amplificazione di temi e motivi di
territorio centroitaliano, nella loro potente stampo muzianesco messi a punto nel can-
miscela di venetismo e michelangiolismo tiere della cattedrale. Le deroghe a questo
sebastianesco. Ugualmente, le scelte tema- filone sono veramente poche e – seppur se-
tiche dei dipinti orvietani, incentrati nella gnalate in questo breve testo – rimangono
navata destra sulla Passione, e nella sinistra ancora materia da indagare più a fondo in
sui Miracoli di Cristo – a onta della dedica altra sede.
mariana della cattedrale – se è vero che fu- I primi censimenti di queste opere si de-
rono verosimilmente dettate dall’esigenza vono ancora una volta a Satolli (1987), sulla
controriformista dei committenti di ottene- scorta delle indicazioni fornite a suo tempo
re la massima efficacia persuasiva sui fede- da Perali (1919) e soprattutto di alcune let-
li, al contempo rispondono perfettamente tere scritte nel 1685 da Bernardino Sara-
ai temi prediletti dal pittore di Brescia per cinelli a Carlo Cartari proprio sull’attività
tutta la sua carriera artistica, soggetti im- orvietana del Nebbia (pubblicate in SATOL-
portati molto spesso dall’ambiente laguna- LI 1987, pp. 238-240), in cui si riferiscono
re e poco usuali a Roma, come le guarigioni molti dati relativi alla committenza di questi
e le resurrezioni del Cristo taumaturgo (per dipinti ecclesiastici. A queste informazioni
approfondimenti sulla lettura complessiva si è aggiunto ultimamente l’utile repertorio
si rimanda a TOSINI, 2008, pp. 85-92; 244- fornito da L. Carsillo, C. Metelli (2006),
249). che rappresenta un importante punto di
Dunque lo stile che caratterizzò il Duo- partenza per un’indagine più approfondita
mo cinquecentesco nel suo insieme, pur- di questa significativa produzione pittorica
troppo oggi lasciato in gran parte all’im- ancora poco conosciuta.
maginazione, ricevette un forte impulso Come già notato da Satolli (1987, p.
proprio dall’operato di Muziano, che in 219), i committenti del Nebbia anche per
questo ambiente ebbe modo di crescere opere esterne al Duomo furono spesso gli
anche professionalmente, affermandosi poi stessi Camerlenghi dell’Opera, come nel
presso importanti mecenati romani. Il suo caso degli Avveduti, dei Saracinelli e degli
maggiore allievo orvietano, Cesare Nebbia, Aviamonzi, che ordinarono al pittore diver-
Il Duomo di Orvieto nella seconda metà del Cinquecento 479
si dipinti d’altare nelle principali chiese cit- delle singole opere, è possibile soltanto
tadine (per una discussione nel dettaglio si ipotizzare su base stilistica quali di esse si
veda sempre SATOLLI, 1987, pp. 215-221). debbano direttamente alla mano del mae-
Bisogna però tenere conto che non tutte le stro e quali siano prodotte dai suoi epigoni:
pale di impronta nebbiesca appartengono in ogni caso è evidente che tutti i dipinti
in prima persona al pittore orvietano, che qui segnalati discendono più o meno diret-
negli anni Ottanta si contornò di una nu- tamente da disegni elaborati nella bottega
trita bottega locale, a cui probabilmente le del maestro, utilizzati almeno per tre de-
stesse famiglie orvietane si rivolsero diret- cenni dagli artisti operanti sul territorio, a
tamente, nel momento in cui il maestro si formare un linguaggio compatto e stereoti-
trovava più stabilmente a Roma per i lavori pato, che rende il compito di distinguere le
del pontificato di Gregorio XIII. diverse mani ancora più arduo.
Tra questi artisti dobbiamo ricordare Tra le opere più largamente autografe
sicuramente Ferdinando e Cesare Sermei, del Nebbia, vanno probabilmente annove-
padre e figlio pittori orvietani: mentre del
rate la Visitazione (fig. 11) e la Madonna del
secondo, attivo già nel secolo XVII, cono-
Rosario in S. Domenico (fig. 12) (la prima
sciamo diverse opere in territorio umbro,
eseguita per la famiglia Missini e la seconda
del primo – strettissimo collaboratore del
Nebbia, a partire dai mosaici del Duomo
– abbiamo a oggi un profilo ancora molto
evanescente, a causa della perdita di gran
parte delle sue opere romane e umbre (per
proposte attributive si veda ZUCCARI, 1992,
p. 139 e la biografia di TOSINI, 1993, p. 544).
Sempre a fianco di Nebbia, provenienti
dalla bottega di Muziano, è ricordato poi
il più noto Paolo Rossetti da Cento, essen-
zialmente un mosaicista attivo alla facciata
del Duomo, che potrebbe aver intrapreso
anche la strada della pittura, eseguendo al-
cune delle pale orvietane, così come anche
Alessandro e Francesco Scalza, documen-
tati con Nebbia al mosaico, ma anche come
pittori (cfr. SATOLLI, 1987, pp. 93-95); un
ancora misterioso Angelo “del Nebbia” o
da Orvieto (da non confondere con l’al-
lievo romano di Muziano Angelo Righi,
personalità distinta, di cui non sono sinora
documentati lavori orvietani), ricordato da
Baglione tra i collaboratori di Cesare alla
cappella Sistina in S. Maria Maggiore a
Roma, di cui non si conoscono opere certe
(cfr. TOSINI, 2008, pp. 305-306).
Fig. 11 – Cesare
In attesa di qualche scoperta documen- Nebbia, Visitazione,
taria che aiuti a far luce sulle spettanze Orvieto, S. Domenico.
480 Patrizia Tosini
Fig. 12 – Cesare per l’omonima confraternita), l’Immacolata trambe in S. Francesco, a cui va forse ac-
Nebbia, Madonna del
Rosario, Orvieto, S.
Concezione in S. Francesco (fig. 13), com- costata anche la pala con il Battista, santa
Domenico. missionata dagli Avveduti, l’Assunzione Barbara, santa Eufemia e la Maddalena che
e l’Annunciazione della Vergine in S. An- adorano un’icona della Vergine nella chiesa
Fig. 13 – Cesare
drea (fig. 14) (quest’ultima proveniente di S. Paolo.
Nebbia, Immacolata
Concezione, Orvieto, S. però dalla chiesa dell’Annunziata) (su altre Ad un terzo pittore nebbiesco, più
Francesco. possibili attribuzioni dell’Assunzione, vedi espressionista, ma di buon livello, assegne-
anche BON VALSASSINA, in Orvieto… 1996, rei invece l’Ascensione di Cristo in S. Do-
p. 32; ZUCCARI, 2007, p. 86, nota 63). menico, di committenza Aviamonzi (libe-
Ad un medesimo artista, molto legato a ramente ispirata ad un disegno di Nebbia
Nebbia, ma di tratto più classicheggiante, sul mercato antiquario: cfr. EITEL PORTER,
vanno invece assegnate Il Perdono d’Assi- 2009, fig. 124); mentre di più debole fattu-
si, con sant’Elisabetta d’Ungheria, Orsola, ra, seppure sempre nel solco della tradizio-
Barbara (ancora per i Missini) (fig. 15) e ne nebbiesca, sono il Martirio di S. Lorenzo
la Madonna col Bambino, la Maddalena e nella chiesa di S. Lorenzo de’ Arari e la De-
i santi Lucia, Giovanni Battista e Antonio posizione dalla Croce in S. Andrea.
da Padova (eseguita forse per i Bisenzi), en- Anche gli affreschi dell’ex chiesa del
Il Duomo di Orvieto nella seconda metà del Cinquecento 481
Carmine (SATOLLI, 1987, p. 218; BON controriformata del Nebbia, a dimostra- Fig. 14 – Cesare Nebbia,
Annunciazione, Orvieto,
VALSASSINA, in Orvieto…, 1996, pp. 72- zione di un pervicace influsso della pit- S. Andrea.
74), ormai ridotti a pochi lacerti, dichia- tura del Duomo su tutta la produzione
rano un’impostazione tutta esemplata su ecclesiastica locale: tra questi il bel S. Gi- Fig. 15 – Seguace
di Cesare Nebbia,
modelli del maggiore allievo di Muziano, rolamo penitente in S. Francesco, con Il Perdono d’Assisi,
con richiami soprattutto agli affreschi ritratto del donatore, un membro della con sant’Elisabetta
dell’Oratorio romano del Gonfalone, famiglia Saracinelli, datato 1580 e siglato d’Ungheria, Orsola,
VB, già attribuito erroneamente ad Ar- Barbara, Orvieto,
come si evince dall’unico episodio ancora S. Francesco.
distinguibile con il Matrimonio della Ver- rigo Fiammingo (Hendrik van den Bro-
gine (fig. 16), da riferire probabilmente eck) (cfr. SATOLLI, 1987, p. 217 e CARSIL-
a Nebbia in persona, anche in base alla LO, METELLI, 2006, p. 26); un’altra opera
testimonianza antica di Saracinelli (e non che si sottrae alla lezione della pittura del
ad Angelo da Orvieto, come vorrebbe la maestro orvietano è l’Immacolata Con-
Bon). cezione in S. Maria dei Servi, giunta da
Molto rari per la seconda metà del Cin- Napoli sull’altare orvietano già nel 1608,
quecento i dipinti che si pongono fuori e accostata all’ambito del partenopeo
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