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IL DIAVOLO

E I SUOI ANGELI
TESTI E TRADIZIONI (SECOLI I-III)

a cura di
Adele Monaci Castagno

NARDINI EDITORE
INTRODUZIONE

I. PREMESSA

1.1. il problema

Per la quantità delle testimonianze, per la pluralità delle


interpretazioni, per la molteplicità dei piani in cui essa ri­
veste una parte rilevante, diffìcilmente si potrebbe so­
pravvalutare l’importanza della demonologia nel pensiero
e nel vissuto religioso dei primi secoli cristiani. Tuttavia
essa è stata per lungo tempo disconosciuta. La rivoluzio­
ne scientifica che ha investito lo studio del Nuovo Testa­
mento e delle origini cristiane a partire dal secolo scorso
ha tratto il proprio slancio da correnti filosofiche - l’illu­
minismo prima, l’idealismo e poi l'esistenzialismo - che
hanno sospinto la demonologia, collegata alla supersti­
zione, all’irrazionalità, al mito, ai margini degli interessi
degli studiosi1.

1 A. von Hamack, Mission und Ausbreltung des Christentum


Leipzig 1924, pp. 151-155, ove la credenza nei demòni viene conside­
rata come una forma di malattia mentale. Cfr. R. Bultmann, Neues
Testament und Mythologte, Hamburg-Bergstedt 1953, tr. it., Brescia
1969, p. 110. Cfr. anche il bilancio relativo alla ricerca in questo se­
colo di L. Kolakowski, nella voce Diavolo nell'Enciclopedia Einaudi,
Voi. IV, Torino 1978, p. 722.

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

Nell’ambito degli studi storico-religiosi, il diavolo è tor­


nato a far parlare di sé dalla fine degli anni anni Sessan­
ta2, sull’onda delle discussioni suscitate da due studi che,
sia pure con metodi diversi, negavano al diavolo ogni le­
gittimazione biblica e dogmatica: H. A. Kelly, The DeviL
Demonology and Witchcraft, London 1968, tradotto quasi
subito in italiano (Milano 1969), con il titolo significativo:
La morte di Satana e H. Haag, Abschied vom Teufel Theo-
logische Meditationen, Einsiedeln 19693.
Tali discussioni, se accentuarono negli ambienti degli
addetti ai lavori l’interesse per questo tema, ne condizio­
narono, talvolta, in senso teologico gli esiti storiografici4.
L’impulso maggiore verso uno studio scientifico approfon­
dito della demonologia cristiana antica è derivato da nuo­
ve acquisizioni in campo propriamente storico. La prima,
più generale, riguarda il recupero all’investigazione stori­
ca di quelle rappresentazioni mentali che fanno parte
deirimmaginario e/o della mentalità di una cultura. In ta­
le prospettiva la credenza nei demòni non può più essere
associata alla malattia mentale e neppure considerata «re­
liquia» o «resto» superstizioso di religioni precedenti, di in­
fluenze estranee, ma viene a far parte a pieno titolo di
queU’insieme di rappresentazioni che, pur prescindendo
dall’esperienza e dai ragionamenti deduttivi ad essa colle­

2 Bisogna però segnalare che subito dopo la guerra, era uscito


Satan («Études Carmelitaines»), Paris 1948, un ampio volume mi­
scellaneo che affrontava il problema da diversi punti di vista: stori­
co, letterario, teologico, psicologico e sociologico.
3 Soprattutto questo testo conobbe una grande risonanza: quat­
tro anni dopo la sua pubblicazione, era già alla 4a edizione ed era
stato già tradotto in gran parte delle lingue europee.
4 Su questi sviluppi: A. Monaci Castagno, il Diavolo e suol ante­
nati: a proposito di alcuni studi sulla demonologia giudaica e cristiana
antica, «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» 29 (1993), pp. 384-
385.

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INTRODUZIONE

gati, è non meno reale e, quindi, storicamente significati­


vo, soprattutto se studiato sulla lunga durata.
La seconda, più direttamente connessa all’ambito stori-
co-religioso, riguarda il rinnovamento degli studi sulla let­
teratura pseudoepigraflca giudaica. La scoperta a Qumràn
di nuove documentazioni, lo sforzo congiunto di diverse
équipes di specialisti che lavorano a nuove edizioni, tradu­
zioni e commenti, ha accresciuto notevolmente la nostra
conoscenza di questi testi5. Essi sono usciti dall’oscuro ri­
postiglio in cui li aveva relegati ima tradizione interpretati­
va sospettosa di tutto ciò che non fosse canonico e ufficiale
e sempre più spesso occupano un posto di rilievo nello
studio delle origini cristiane. Si va affermando inoltre la
convinzione che è impossibile comprendere il NT senza
porlo sullo sfondo della letteratura contemporanea, costi­
tuita per l’appunto, per una parte molto consistente, da
quei testi una volta definiti, in modo inesatto e prevenuto,
«intertestamentari».
Un tale mutamento di prospettiva ha aperto nuove stra­
de anche per l’interpretazione della demonologia cristiana
dei primi secoli. Fino a quando essa è stata studiata, relati­
vamente al NT, tenendo conto soprattutto dell’AT, e relativa­
mente al II e III secolo, tenendo conto dei due Testamenti,
essa appariva come un insolubile rompicapo. In effetti,
all’AT in cui la demonologia svolge una parte del tutto mar­
ginale corrisponde un NT in cui la lotta di Cristo con Satana
ed i suoi angeli è centrale, tanto che in vita egli appare come
esorcista e la sua stessa morte viene interpretata come il
prezzo necessario per rompere definitivamente il potere de­
moniaco che attanaglia il mondo. D’altro canto, lo stesso NT

5 Per un quadro complessivo: M. Delcor, Rassegna degli stu


sull’apocalittica, in Id., Studi sull’apocaUttica, tr. it., Brescia 1987,
pp. 15-32; J. H. Charlesworth, Gli pseudoepigrqfi dell'Antico Testa­
mento e il Nuovo Testamento, tr. it., Brescia 1990.

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

appare estremamente riservato proprio sulle questioni - ori­


gine e natura delle potenze avverse - su cui i testi cristiani
successivi sembrano essere più informati. L’unico modo per
collegare questi fili spezzati è collocarli nell’ordito ricchissi­
mo delle tradizioni pseudoepigrafiche giudaiche. Più antiche
di quanto si pensasse6, hanno accompagnato per un buon
tratto la storia giudaica ed erano ben presenti fra i primi cri­
stiani. Essi le attribuivano a figure venerabili ed antichissi­
me rappresentative di un retaggio culturale che il cristiane­
simo del II e III secolo si sforzò con ogni mezzo di rivendica­
re come proprio; pertanto tali testi letti, copiati, adattati7,
influenzarono profondamente il cristianesimo soprattutto in
quel periodo non breve che copre i primi due secoli, in cui
non esisteva ancora il NT in quanto tale.

I. 2. Limiti cronologici e impostazione della presente


raccolta

La credenza in Satana e nei suoi angeli si nutre dell’espe-


rienza generale della sofferenza, quella morale e sociale
non meno di quella fìsica; è un tema, quindi, che, più di
altri, offre allo storico l’opportunità di misurarsi con un
oggetto che è al centro non soltanto di sofisticate specula­
zioni teologiche, ma anche delle fantasie, dei terrori, delle
passioni. Chi volesse descrivere soltanto le prime8 alla fi­
ne mancherebbe il suo obiettivo, perché è proprio dal ten­

6 Cfr. sotto n. 14.


7 MD. Herr, Les raisons de la conservation des restes de la litté-
rature ju iv e de l’époque du second tempie, «La Fable Apocryphe» 1
(1991), pp. 219-230.
8 Questa è, ad esempio, la prospettiva adottata da J. B. Russell,
The DeviL Perceptions o f E u ilfro m Antìquity to primitive Chrìstianity,
Ithaca-London 1977; Satan. The early christtan Tradition, Ithaca-
London 1981; Lucifer. The Devii in thè Middle Ages, Ithaca-London
1984; Mephistopheles. The Deuil in thè M odem World, Ithaca-London

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INTRODUZIONE

tativo di dare un ordine, una coerenza, una plausibilità al


vissuto religioso che la riflessione teologica è costretta a
percorrere certe strade piuttosto che altre, a configurarsi
in un modo piuttosto che in un altro.
D’altro canto, le ricerche sulla demonologia che hanno
scelto la prospettiva della storia deH’immaginario, pur
presentando molti lati positivi, finiscono per lasciare trop­
po nell’ombra le sue articolazioni con il mutare delle si­
tuazioni in ambito sociale e culturale9. A ben riflettere, i
due punti di vista, per quanto diversi e, per certi versi, op­
posti, condividono però l’idea di un soggetto anonimo, col­
lettivo, «il pensiero teologico», r»immaginario», che sembra
mutare in modo indipendente dalle persone e situazioni
concrete, secondo una logica interna che, sovente, rischia
di appartenere più a chi studia a posteriori l’intero pro­
cesso, che non alle cose stesse.
NeU’arco di tempo che va dalla morte di Gesù fino alla
fine del III secolo, il cristianesimo ha affrontato trasforma­
zioni radicali in ambito teologico, culturale, sociale ed isti­
tuzionale. Ciascuna di esse ha richiesto a coloro che cre­
devano nella morte e nella resurrezione di Cristo una con­

1986. Tutti 1 volumi sono stati tradotti in italiano: il diavolo nel M e­


dioevo, Bari 1987; Il diavolo nel mondo moderno, Bari 1988; Il diavolo
nel mondo antico, Bari 1989; H principe delle tenebre, Bari 1990. Cfr.
Monaci, il diavolo, ctt., pp. 384-392.
9 Mi riferisco al lavori di B. Teyssèdre, Naissance du Diable.
Babylone aux grottes de la M er Morte, Paris 1985; Le Diable et VEnfer
au temps de Jèsus, Paris 1985. Essi fanno parte di una ricerca più
estesa, che ne comprende altri due: Astres, anges et cieux: fg u re s de
la Destinée et du Salut, Paris 1986: e, per quanto ho potuto appura­
re, il non ancora pubblicato: L a fin du Monde. Apocalypse e t Oracles
Sybilllns. I primi due volumi sono stati anche tradotti in italiano: Na­
scita del diavolo, Genova 1992; il diavolo e l’inferno ai tempi di Gesù,
Genova 1991. Si veda la mia presentazione critica in Monaci, il dia­
volo, cit., pp. 392-407.

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

tinua riformulazione delle risposte alle domande fonda-


mentali: chi siamo noi e chi sono gli altri? In che modo si
realizzerà per noi la promessa della salvezza? L’intenzione
che ispira la presente ricerca è quella di considerare la de­
monologia, non come variabile indipendente di tali tra­
sformazioni, ma come funzione importante che ha contri­
buito a stabilirne, di volta in volta, il senso e la direzione.
È evidente che questo non significa trascurare gli elementi
tradizionali di lungo periodo che costituiscono, comun­
que, il paesaggio mentale al cui interno i singoli cercano le
soluzioni ai problemi che sorgono via facendo. Tuttavia,
nella prospettiva prescelta, l’accento cade più sul cambia­
mento che sulla continuità, più sulla diversità che sul­
l’uniformità. Non soltanto la diversità, direi fisiologica, che
accompagna il mutamento storico, ma anche le differenze
che si scoprono all'interno di uno stesso momento storico,
qualora si presti attenzione alle voci che si esprimono se­
condo modi e linguaggi diversi da quelli adottati dalla lea­
dership culturale del momento o qualora si pongano in­
terrogativi nuovi anche agli scritti provenienti da essa.
In tale prospettiva, la raccolta ha dato il maggior spa­
zio possibile ai testi che - per quanto si possa attendere,
nelle società antiche, da un testo scritto - sono portavoci
di una religiosità più largamente condivisa di quella nor­
mativa prescritta dai didaskaloi o dai vescovi.
Una data classica di ogni periodizzazione della storia
del cristianesimo è quella della conversione di Costanti­
no. Sono consapevole che essa, per quanto convenziona­
le, si impone soprattutto per quanto riguarda gli aspetti
istituzionali e politici, mentre ha un senso meno evidente
per la demonologia che, a partire dal IV secolo, conosce
con il monacheSimo una nuova fioritura, anche se è forse
inesatto esprimersi così a proposito di un tema evergreen
come quello di cui ci occupiamo. Oltre che per considera­

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INTRODUZIONE

zioni dettate dalla necessità di contenere l’ampiezza della


raccolta, la scelta di rimanere nell’ambito dei primi tre se­
coli mi sembra raccomandata anche da un altro motivo: è
infatti in questo periodo che avvengono le opzioni decisive
in seguito alla duplice pressione esercitata, da un canto,
dai movimenti dualistici e, dall’altro, dal confronto ravvici­
nato con le religioni e le filosofìe dell’impero.
La raccolta comincia con gli scritti di Ignazio, mentre
l’introduzione abbraccia il I secolo e una sintetica presenta­
zione delle tradizioni precedenti. Nell’economia generale del
lavoro, questa parte svolge una funzione diversa da quella
che riguarda il II e III secolo. Essa intende descrivere la
morfologia della demonologia cristiana ed indicarne i punti
di snodo, a mio parere, principali; essa appresta, per così
dire, gli strumenti per facilitare la comprensione degli svi­
luppi che intervengono nei due secoli successivi. La secon­
da parte è stata concepita in stretta correlazione con i testi
presentati nella raccolta e ne intende offrire una chiave di
lettura10, inquadrandoli in una interpretazione complessiva
e, per quanto ho potuto, esauriente di questo aspetto così
importante della mentalità religiosa tardoantica.

II. LE TRADIZIONI PSEUDOEPIGRAFICHE E L’ANTICO TESTAMENTO

II. 1. Il dominio degli angeli e dei demòni11 sulla stona


e sull’uomo

Negli scritti cristiani del I secolo troviamo espressa la con­


vinzione che il mondo sia sotto il controllo di potenze osti­

10 Ho cercato di rendere visibile anche graficamente questa impo­


stazione, aggiungendo nelle note un asterisco alle citazioni di autori
antichi che rimandano a testi tradotti e commentati nella raccolta.
11 Per evitare confusioni, nel corso del contributo, userò il termi­

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

li a Dio. Essa non deriva dall’AT, ma i cristiani potevano


apprendere come e perché questo era accaduto in una se­
rie di documenti la cui composizione abbraccia il periodo
che va dal III secolo a. C. fino al I secolo d. C.: il Libro di
Enoch, il Libro dei Giubilei e i Testamenti dei Dodici Patri­
archi, i testi essenici12.
Il Libro di Enoch è un’opera composita le cui varie parti
- Libro dei Vigilanti (capp. Vl-XXXVI); Libro delle Parabole
(capp. XXXVII-LXXI); Libro dell’Astronomia (capp. LXXII-
LXXXII); Libro dei Sogni (capp. LXXXIII-XC); Epistola di
Enoch (capp. XCI-CIV) -, prima di confluire per mano di
un redattore giudaico in un’unica opera, hanno conosciu­
to una vicenda complessa13. Il testo più antico - il Libro
dei Vigilanti = L V 14 - racconta di un gruppo di angeli che
guidati da alcuni arcangeli scendono sulla terra ammalia­

ne demòni per Indicare le potenze avverse della tradizione giudaica e


cristiana. Esso equivale ai termini δαιμόνιον/δαιμόνια. Il collegamen­
to tra δαιμόνιον (in ambito classico, in quanto aggettivo di δαίμων,
aveva significato positivo) e gli spiriti maligni risalirebbe ai LXX che,
a loro volta, sarebbero la testimonianza più antica di un uso lingui­
stico popolare, accolto e rilanciato dagli scritti del NT e, quindi, dalla
tradizione patristica (W. Foerster, δαίμων, in Grande Lessico del Nuo­
vo Testamento, tr. it., voi. XIV, 2, c. 770). Gli scrittori cristiani non
furono però sempre coerenti nell’uso dei termini poiché spesso usa­
no daimon/daimones per indicare gli spiriti maligni. Quando cito gli
autori antichi, ho preferito tradurre secondo il loro uso terminologi­
co; pertanto accadrà sovente di leggere «demoni» (come traduzione di
δαίμονες), là dove il significato vorrebbe Invece demòni.
12 Cfr. la sintesi di P. Sacchi, Jl diavolo nella tradizioni giudaiche
del Secondo Tempio (circa 500 a C . -100 d. C. ), in Id., L'apocalittica
giudaica e la sua storia, Brescia 1990, pp. 272-297.
13 Cfr. P. Sacchi, Apocrifi detl'Antico Testamento, Torino 1981, voi. I,
pp. 423-442. I testi citati sono ripresi dalla traduzione del testo etiopico
che L. Fusella ha eseguito per questa raccolta. Cfr. anche J. H. Charles-
worth, The Old Testament Pseudoepigrafa, 2 voli., London 1983; 1985.
14 Per la datazione è stata di fondamentale importanza la scoper­
ta nella grotta n. 4 di Qumràn un ampio frammento aramalco di LV

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INTRODUZIONE

ti dalla bellezza delle donne: «E si presero per loro le mogli


ed ognuno se ne scelse una e cominciarono a recarsi da
loro. E si unirono con loro ed insegnarono ad esse incan­
tesimi e magie e mostrarono loro il taglio di piante e radi­
ci. Ed esse rimasero incinte e generarono giganti la cui
statura per ognuno era di tremila cubiti»15.
Ma la vita divenne in seguito insopportabile sia perché
i giganti si misero a divorare gran parte dei frutti della ter­
ra e gli uomini16, sia perché gli angeli - eroi culturali al
negativo - avevano loro svelato un sapere che doveva re­
stare segreto17. Alcuni angeli, fra quelli rimasti in cielo,
provarono pietà per «il molto sangue che scorreva sulla

(capp. I-inizio XII), datato paleograficamente nella prima metà del II


secolo a.C. (cfr. J. T. Milik, The Books o f Enoch. Aramaic Fragments
o jQ u m rà n Cave 4, Oxford 1976). La fortunata circostanza permise di
concludere che 11lavoro redazionale di L V doveva essere attribuito ad
una data anteriore al 200 a.C. Questo ha consentito di considerare il
LV, non più un testimone fra i tanti deH'apocalittlca giudaica, ma un
punto di partenza sicuro per II tentativo di ricostruzione storica di
questo fenomeno. Cfr. su questo punto P. Sacchi, Per una storia
dell’apocalittica, in Id„ L'apocalittica, cit., pp. 99-153.
15 LVVII, 1-2. Lo stesso racconto, ma in forma abbreviata e poco
comprensibile, è riferito in Gn. 6, 1-4. Il passo, attribuito allo jahvi-
sta, appare come un tentativo maldestro di offrire un’interpretazione
razionalizzante di una tradizione più antica di cui LV sarebbe un te­
stimone più attendibile.
16 Secondo M. Delcor, La caduta degli angeli e l’origine dei giganti
nell'apocalittica giudaica- Storia delle tradizioni, in Id., Studi, cit., pp.
107-109, il tema dell’antropofagia dei giganti farebbe pensare all'in­
fluenza della mitologia greca.
17 Cioè, come viene precisato nel cap. Vili: conoscenze tecniche
relative alla lavorazione dei metalli sia per forgiare armi, sia orna­
menti; le arti cosmetiche (tintura dei capelli, trucco degli occhi); le
arti magiche e mediche; l’interpretazione dei segni celesti (l’astrolo-
gla); gli artifizi femminili. Tutte queste conoscenze, al pari dell’unio­
ne di esseri celesti con esseri umani, implicano una violazione
dell'ordine naturale.

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

terra e tutta l’iniquità che si faceva sulla terra»18 e prega­


rono il Signore di intervenire. Egli ebbe pietà e condannò
gli angeli ad essere legati ed inviati nel deserto19 o impri­
gionati sotto colline di terra e fece in modo che i giganti si
massacrassero a vicenda20. In LVXVI, che esprimerebbe il
punto di vista di un redattore successivo a quello dei
capp. VI-XI, si dice che gli spiriti usciti dai loro corpi con­
tinuano a portare distruzione fra gli uomini.
Nel Libro delle Parabole (=IP)21, Michele e Raffaele, an­
geli buoni, provano pietà per la gravità della condanna de­
gli angeli ed intercedono presso il Signore, ma senza suc­
cesso, «poiché il Signore degli spiriti era adirato contro di
loro, dato che agivano come fossero il Signore»22. Nel capi­
tolo seguente il peccato degli angeli viene dettagliatamente
spiegato; dopo aver nominato ventuno «capiangelo» al cui
seguito è avvenuta la caduta di molti altri angeli, il testo
prosegue spiegando le colpe dei singoli angeli23. La colpa

18l v i x .
19 Ibid. IX, 4-5.
20 Ibid. X, 12.
21 Secondo Sacchi, Apocrifi, cit., voi. I, p. 433, L P avrebbe sostitui­
to nella raccolta di Enoch, un più antico Libro dei Giganti, di cui sono
stati trovati frammenti a Qumràn. In essi l’angelo caduto Semihaza è
presentato come penitente; l’«eterodossia» di questa dottrina avrebbe
causato la sostituzione di questo libro con LP, sostituzione avvenuta
nel I secolo. L’origine di questo libro è discussa, anche se prevale l'idea
che sia un testo giudaico: Sacchi, Apocrifi, c it, voi. I, pp. 435-438; Dei-
cor, L ' ambiente d'origine e lo sviluppo dell'apocalittica giudaica, in Stu­
di, cit., pp. 45-46; J. H. Charlesworth, Gli pseudoepigrafi dell’Antico Te­
stamento e il Nuovo Testamento, tr. lt., Brescia 1990, pp. 233-236.
22 LP LXVIII, 4. Fra i motivi del peccato e della condanna degli ange­
li, questo tema avrà una fortuna straordinaria nella tradizione succes­
siva, cfr. infra A IX , 8-15* ed il motivo gnostico del «vanto» del Demiurgo.
23 LP LXIX 4-13; ma i nomi di questi angeli non corrispondono
con la lista precedente; è un segno della giustapposizione di tradizio­
ni diverse. Sul confronto fra le diverse liste di angeli malvagi che

18
INTRODUZIONE

dei primi due angeli citati - Yequn e Asbel - sembra essere


la stessa: essi hanno indotto gli altri angeli ad unirsi con le
donne. Il terzo angelo - Gadriel - «mostrò tutti i colpi mor­
tali ai figli degli uomini, fece errare Èva e mostrò mezzi di
morte ai figli degli uomini: corazza, scudo, spada per ucci­
dere e tutti gli strumenti di morte ai figli degli uomini».
Il passo è interessante, perché accanto al tema delle ri­
velazioni degli angeli, già visto, vi è il tentativo di armoniz­
zare il racconto di Gn. 3, 1-24 con il peccato angelico.
Questo implica la collocazione di tale peccato non al tem­
po di Yared, come voleva LV24, ma all’inizio della storia.
Il quarto angelo, Penemu, ha insegnato agli uomini
«l’amaro e il dolce», i segreti della scienza e la scrittura «e
perciò (sono) molti quelli che hanno errato, dai secoli nei
secoli, fino ad oggi, perché l’uomo non è stato creato per­
ché in tal modo confermino la loro fede con acqua di fulig­
gine e penna. Infatti gli uomini non sono stati creati se non
per essere come gli angeli, (tutti) santi e giusti e la morte,
che tutto distrugge, non li toccherebbe, ma per questa loro
conoscenza, essi saranno distrutti e per (tutto) ciò la forza
(della morte) certamente (li) divorerà». Il quinto angelo «mo­
strò ai figli degli uomini tutti i colpi malvagi degli spiriti e
dei demoni», cioè, come è più chiaro in seguito, la magia.
LP, pur senza riportare il racconto relativo ai giganti ed ai
loro spiriti, conosce l’esistenza di demoni e spiriti.
Nel Libro dei Sogni (=LSP5, l’unione degli angeli con le
donne e la nascita dei giganti sono raccontate in modo sim­
bolico come la caduta di una prima stella sulla terra, segui­
ta da altre che si uniscono a giovenche, simboli delle donne.
Dall’unione nascono elefanti cammelli ed asini che compio­

compaiono In questi testi, cfr. Delcor, La caduta, cit., pp. 110-114.


24 LVVI, 6; cfr. Sacchi, A p ocrifi cit., voi. I, p. 473, n. 6.
25 In LS si narrano avvenimenti che si concludono nel 164 a.C. e
la composizione del testo va posta intorno a tale data.

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-IH

no massacri26. Gli angeli vengono legati e gettati nel­


l’abisso27; il diluvio distrugge i loro figli, ma non per questo il
male scompare dalla terra. Da Noè fino all’esilio la disobbe­
dienza ed il peccato dilagano, i nemici massacrano Israele28,
fino a provocare un altro intervento del Signore che affida il
suo popolo a settanta pastori, cioè ad angeli: «Ognuno di voi
- dice il Signore agli angeli - d’ora in poi, porterà al pascolo
le pecore (se. gli Israeliti) e fate, poi, tutto quello che vi ordi­
no! Io ve le consegno numerate e vi dirò quale di esse dovrà
perire e voi la distruggerete!»29. Ma i pastori, che talvolta
sembrano simboleggiare anche le autorità di Gerusalemme,
trasgrediscono anch’essi i limiti posti alla loro missione e
massacrano più uomini di quanti era stabilito30. La visione
si conclude con la condanna nell’abisso di fuoco delle prime
sette stelle e degli angeli pastori31.
Anche nel libro dei Giubilei (=LG)32, l’unione degli an­
geli con le donne non costituisce più il focus del racconto,

26 LS LXXXVI-LXXXVII; la simbologia stelle = angeli accompagna


tutta la tradizione cristiana (cfr. Ap. 1, 20; 12, 4; cfr. Indice biblico).
Alcune tradizioni giudaiche spiegavano i diversi fenomeni naturali
come azioni proprie di un angelo (LP LX, 11-22); nel Libro dell 'Astro­
nomia LXXV, 3, Uriele è l’angelo a cui il Signore ha affidato tutte «le
luci del cielo». Per l’origine babilonese di questa corrispondenza sim­
bolica, cfr. Delcor, La caduta, cit., p. 117.
27 LS LXXXV1II, 3.
28 Ibid. LXXX1X, 1-12.
29 Ibid. LX; nel tema delle pecore numerate emerge il determini­
smo apocalittico, la convinzione cioè che tutto ciò che avviene, avvie­
ne secondo un ordine prestabilito da Dio fin dall'inizio: cfr. Delcor,
La concezione d i Dio negli scritti apocalittici, in Studi, cit., pp. 58-62.
30 LS LXXXIX, 60.
31 Ibid. XC. 23.
32 II testo è arrivato fino a noi soltanto in etiopico classico; le
citazioni sono prese dalla traduzione di L. Fusella per la raccolta
già citata di Sacchi. LG è stato composto quasi certamente nell'ulti­
mo decennio del II secolo a.C. da un autore se non esseno, certa­

20
INTRODUZIONE

che è interessato a chiarire i motivi della persistenza del


male anche dopo il diluvio. In questo libro, anzi, si consi­
dera positivamente la discesa degli angeli sulla terra, per­
ché essi venivano «ad insegnare ai figli dell’uomo a fare
giustizia e rettitudine sulla terra»33. Soltanto in un secon­
do tempo si unirono alle donne34; furono poi legati e get­
tati nell’abisso: i loro figli, i giganti, si massacrarono a vi­
cenda e sparirono; gli uomini che avevano peccato furono
anch’essi annientati dal diluvio, con cui il Signore intese
fare «una creazione nuova e buona»35. Ma già lo stesso
Noè vide profeticamente la persistenza del male, sotto for­
ma di un intreccio inestricabile fra malvagità umana ed
istigazione demoniaca: «E sopravvivemmo io e voi, figli
miei, e tutti coloro che entrarono con noi nell’arca. Ed ec­
co: io vedo in precedenza le vostre azioni: (vedo) che non
procederete nella giustizia, perché avete cominciato ad
andare sulla via dell’impurità e che vi separerete l’uno
dall’altro, sarete invidiosi a vicenda e non starete insieme,
ognuno col proprio amico e col proprio fratello poiché, o
figli miei, io vedo, adesso, che i demoni hanno cominciato
a trarre neH’errore voi e i vostri figli ed ora io, a causa vo­
stra, temo che, dopo la mia morte, verserete il sangue de­
gli uomini sulla terra e che anche voi sarete cancellati dal­
la sua faccia»36.

mente influenzato dall’essenismo. Sullo status quaestionis, cfr. ol­


tre all'introduzione di Sacchi, Apocrifi, cit., voi. I, pp. 187 sgg., Dei-
cor, L'ambiente, cit., pp. 42-44; Charlesworth, G li pseudoepigrafi,
cit., pp. 99-102.
33 LG IV, 15; il tema degli angeli educatori dell’uinanità rivela il
contatto con il mito greco del Titano Prometeo: Delcor, La caduta,
cit., p. 102; M. Hengel, L'-EUenizzazione- della Giudea nel I secolo
d.C., tr. it., Brescia 1993, pp. 116-117.
34 LG IV, 22.
35LGV, 12.
36 LG VII, 26-27.

21
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

La profezia si avvera ed i figli di Noè, in preda al male


dilagante che essi attribuiscono ai demòni, chiedono al
padre di intercedere presso Dio al fine di essere sottratti
al loro potere. Noè, che ricorda al Signore i peccati dei Vi­
gilanti «padri di queste anime»37, ottiene che gli spiriti
malvagi siano legati. Si presenta però davanti al Signore
Mastema, «messaggero degli spiriti», che gli chiede di la­
sciarne alcuni ai suoi ordini, poiché, altrimenti, «io non
posso applicare la potenza della mia volontà nei figli
dell’uomo, poiché essi (se. gli spiriti) sono per corrompere,
disperdere e far errare prima del giudizio, dato che grande
è la cattiveria dei figli degli uomini»38. Il Signore lascia ai
comandi di Mastema (che nel seguito del racconto sembra
coincidere con Satana) un decimo degli spiriti, mentre gli
altri vanno «nel luogo della dannazione». Come ulteriore
difesa contro i demòni viene rivelato a Noè il rimedio per
ogni malattia che è considerata opera degli spiriti malvagi.
Il seguito del libro ripercorre la storia di Israele fino al Si­
nai, interpretandone alcuni momenti cruciali alla luce
dell’intervento di Mastema e dei suoi demòni39.
Emerge da LG un’interpretazione della presenza delle
forze del male nel mondo che presenta molte analogie con
quella cristiana successiva: l’idea, ad esempio, che il loro
dilagare ha subito una sconfìtta in un punto preciso della
storia e che la loro persistenza, fino alla condanna finale
già stabilita, è dovuta ad una concessione divina.
Nel ventaglio di posizioni relative al problema del male
fm qui presentate i Testamenti dei Dodici Patriarchi40 oc­

37 Ibid. IX, 5.
38 Ibid. 8.
39 Cfr. infra APtVIII*.
40 Si tratta di un testo che ha dato adito ad intepretazioni discor­
danti: secondo M. Philonenko, Les interpolations chrétiennes des Te­
stamento des Douze Patrìarches et les manuscripts de Qwwàn, Paris

22
INTRODUZIONE

cupano un posto a parte. Ne è un segno eloquente la mar­


ginalità del mito degli angeli vigilanti che vi è citato ma
che non svolge una vera funzione se non in ambito pare-
netico41. L’interesse è spostato verso l’influenza degli spi­

1960, le parti che si ritengono cristiane si riferirebbero al Maestro di


Giustizia e non a Cristo; pertanto l’opera sarebbe totalmente giudai­
ca ed espressione dell'essenismo. J. Becker, Untersuchungen zur Ent-
stehungsgeschichte der Testamente der Zw ólf Patriarchen, Leiden
1970, vi individua tre strati: una Gnindschrift ellenistlca-giudaica ri­
salente al II secolo a.C.; aggiunte sempre ellenlstico-gludaiche del
periodo: I secolo a.C. - 1 secolo d.C., infine, la redazione cristiana. Un
testo completamente cristiano del II secolo li giudica H. J. de Jonge,
Studies on thè Testaments o f thè Twelve Patrìarchs: text and interpre-
tatlon, Leiden 1975. Sacchi, Apocrifi, cit, voi. I, pp. 730-733; Delcor,
L'ambiente, cit., pp. 50-53, pensano ad un testo giudaico con inter­
polazioni cristiane. Ulteriori indicazioni bibliografiche in Charles-
worth. Gli pseudoepigrafi, cit., pp. 93-98. Conosciamo una traduzio­
ne greca e frammenti aramaici rinvenuti a Qumràn. Cito dalla tradu­
zione di Sacchi, Apocrifi, c it
41 In Test. N efiali III, 5 è un episodio che precede e spiega il di
vio. In T e s t Ruben V, 6-7 la caduta degli angeli vigilanti è utilizzata
per illustrare la pericolosità della bellezza femminile. È ormai una
tradizione che non viene più compresa senza la mediazione di una
spiegazione che cerca di depurare il racconto dal tratti più sensuali e
francamente imbarazzanti: «Fu in questo modo che ammaliarono (se.
le donne) i Vigilanti prima del diluvio. Perché quelli le guardarono a
lungo e così ne ebbero il desiderio e concepirono l’azione nella men­
te. Presero forma umana e apparvero loro, mentre erano unite al loro
mariti. Esse concepirono nella mente il desiderio delle loro immagini
e dettero vita eli giganti; ché i Vigilanti erano loro apparsi alti fino al
cielo». Un cenno al mito compare in Iud. 5-6 come illustrazione dei
castighi di Dio contro i peccatori. Anche in IP t 3, 19vi è forse un’al­
lusione al peccato degli angeli (gli spiriti prigionieri sarebbero ap­
punto costoro). L'interpretazione antifemminista del mito degli angeli
vigilanti conobbe una grande fortuna nell’esegesi patristica molto
sensibile ai pericoli rappresentati dalle attrattive femminili (Tert., De
cult.foem . 2, 10; Cypr., D e hab. uirg. 14; P. A. Gramaglia, Personifica­
zioni e modelli del fem m inile nella transizione della cultura classica a
quella cristiana, in G. Galli (a cura di), Interpretazione e personifica­

23
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

riti sulla volontà dell’uomo e i suoi margini di autodeter­


minazione. Egli è sottoposto a spiriti malvagi guidati da
Beliar/Satana42, ciascuno dei quali è collegato ad un pec­
cato particolare, ma non ne è dominato: «Sappiate dunque
figlioli miei, che due spiriti seguono l’uomo, quello della
verità e quello dell’inganno e di mezzo c’è quello dell’intel­
ligenza dell’uomo che è capace di volgersi dove vuole. Tut­
to ciò che riguarda la verità e tutto ciò che riguarda l’in­
ganno sta scritto nel petto dell’uomo»43.
Questo testo sembra presupporre la conoscenza della
problematica affine che affiora, sia pure con esiti opposti,
nell’essenismo e, in particolare, da un passo della Regola
della Comunità: «Nella sua (se. di Dio) mano vi sono le
norme per tutti ed è lui che li sostiene in tutti i loro biso­
gni, è lui che ha creato l’uomo per il dominio sul mondo;
ed ha disposto per lui due spiriti affinché cammini con es­
si fino al tempo stabilito per la sua visita. Questi sono gli
spiriti della verità e dell’ingiustizia»44.
Gli spiriti della verità e dell’ingiustizia, guidati rispetti­
vamente da un principe della Luce e da un principe della
Tenebra/Belial, sono tali perché creati così da Dio, secon­
do un suo piano imperscrutabile. Lo stesso disegno stabi­

zione. Personificazioni e modelli del femminile. Atti del IX Colloquio


sull'interpretazione (Macerata 6-8 aprile 1987), Genova 1988, pp.
121- 122).
42 Test. Ruben III, 3-6.
43 Test. Giuda XX, 1. «Beliar» è un nome di etimologia Incerta,
probabilmente di origine mitologica, legato ad una divinità del mon­
do del morti. Nell'AT non è un nome proprio ma lo diventa in ambito
essenlco e nella letteratura pseudoepigrafa per indicare una potenza
maligna (Teyssèdre, La nascita, cit., pp. 275-281; E. Norelli, Som­
merei, Malkira, Beliar nell'AI, in Id., L'Ascensione d i Isaia. Studi su un
apocrifo al crocevia d ei cristianesimi, Bologna 1994, pp. 87-92.
44 IQS III, 17-19; cito la traduzione di L. Moraldl, Manoscritti di
Qumràn, Torino 1971.

24
INTRODUZIONE

lisce quelli uomini siano figli della luce e camminino a


fianco dell’angelo che li guida e quali uomini invece siano
sottomessi all'angelo delle tenebre45. Pur riprendendo te­
mi e terminologia, i Testamenti, reagiscono con decisione
al determinismo etico di Qumràn46.

II. 2. La sconfitta delle potenze

Allo sguardo sconsolato sul dilagare del male fuori e den­


tro l'uomo, per colpa sua e per colpa delle potenze cui egli
è sottomesso, è unita la certezza che esso sarà sconfìtto in
una fine ormai prossima. In tal senso si può parlare di let­
teratura di consolazione e qualcuno arriva a presentare
gli «apocalittici» come degli «ottimisti»47.

45 Ibid. Ili, 19 - IV, 1.


46 Sulla concezione di Bellal a Qumràn, cfr. la sintesi di Moraldl,
cit, pp. 291-292.
47 Delcor. La concezione, cit, In Id., Studi, clL, p. 58. Sul proble­
ma della definizione del significato del termine «apocalittico», «apoca­
littica», la bibliografia è molto abbondante; vi è un Indirizzo consi­
stente di studi che ritiene corretto l’uso del termine soltanto là dove
esso indica un galere letterario specifico con caratteristiche formali
comuni (J. Carmlgnac, Qu'est-ce que VApocalyptique? Son emploi à
Qumràn, «Revue de Qumràn» 10 (1979-81), pp. 3-33 o un paradigma
definito sulla base di elementi formali e contenutistici: J. J. Collins
(Ed.), Apocalypse: The Morphology o f a Genre («Semeia» 14), Missoula
1979; D. Hellholm, Apocalypticism in Ove Medlterranean World and In
thè Near East Proceedings of thè International Conference on Apoca­
lypticism. Uppsala, August 12-17 1979, Tùbingen 1983; status quae­
stionis aggiornato: J.J. Collins, Genre, Ideologi/ and Social Movements
In Jewish Apocalypticism, in J.J. Collins, J.H. Charlesworth (Ed.),
Mysterìes and Reuelatìons. Apocalyptic Studies since thè Uppsala Col­
loquium, Sheffield 1991, pp. 11-32. Un secondo indirizzo di studi ri­
tiene l'apocalittica una corrente di pensiero che nasce nel giudaismo
postesillco. si sviluppa, interagendo con altre correnti di pensiero -
quella profetica e sapienziale - in un arco di tempo molto lungo e che
si esprìme soprattutto, ma non esclusivamente in scritti appartenenti
al genere letterario dell'apocalisse. La spiegazione ddl'orlgine del ma-

25
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

In LV, Uriele mostra ad Enoch il luogo di punizione de­


gli angeli caduti e afferma che essi staranno lì «fino al
giorno del grande giudizio nel quale saranno definitiva­
mente condannati»48.
LG ripercorre tutta la storia del mondo dalla creazione
fino al momento in cui Mosè riceve la Legge sul Sinai e si
apre con la promessa fatta da Dio a Mosè, secondo cui do­
po tanto male e tante sofferenze, «io discenderò e dimorerò
con loro, nei secoli dei secoli»49, in una creazione comple­
tamente rinnovata. Al termine del libro viene rinnovata la
stessa promessa: «E passeranno giubilei Un quando Israele
si purificherà da ogni fornicazione, peccato, impurità, abo­
minio, colpa e frode e starà degno di fiducia in tutta la ter­
ra e non vi sarà più, ben per lui, alcun Satana o alcun ma­
ligno e la terra sarà, da allora nei secoli, pura»50.
È a Qumràn che la sconfìtta escatologica delle potenze
maligne come premessa all’instaurazione di un mondo
giusto e rinnovato è descritta con maggior dovizia di parti­
colari; essa è rappresentata come scontro cosmico di es­
seri umani e divini, i figli della luce e i figli delle tenebre,
l’angelo della luce con le sue schiere, Belial con il suo

le come risultato di un intervento angelico; il determinismo; il domi­


nio delle forze del male sul mondo e la loro distruzione mediante il
giudizio; la periodizzazlone della storia; la mediazione angelica fra
l’uomo e Dio sono le idee caratterizzanti tale corrente di pensiero, an­
che se non sono presenti tutte in ogni testo ritenuto «apocalittico».
Quando utilizzo il termine, gli attribuisco questo secondo significato
(cfr. 1diversi contributi di P. Sacchi, nella raccolta già citata, L'apoca­
littica; cfr. in particolare l’introduzione, pp. 9-26, che contiene un bi­
lancio ed un ripensamento dei suoi stessi lavori del decennio prece­
dente; cfr. anche la sintesi di F. Garcia Martinez, iL a apocalipticajlidia
corno matrìz de la teologia cristiana?, in A. Pinero, Origenes del Cristia­
nismo. Antecedentes y primeros pasos, Madrid 1991, pp. 177-200).
48LVX1X, 1.
49 LG I, 26;29.
50 Ibid. L, 5.

26
INTRODUZIONE

esercito. Le due schiere si affrontano in più riprese, fino


all’intervento decisivo di Dio51.
Alcuni dei Testamenti dei Dodici Patriarchi terminano
con la profezia, pronunciata dal patriarca morente, del­
l'instaurazione di un mondo e di un’età felici ; ma l’attesa
della venuta dell’Altissimo sulla terra52 è affiancata, in
modo non sempre chiaro, dall’attesa di un Messia e non è
sempre facile distinguere le rispettive funzioni. Secondo il
Testamento di Dan il Messia sacerdotale farà guerra a Be-
liar ed ai nemici di Israele53; afferma inoltre che la nuova
Gerusalemme (terrena? celeste?), ove vivranno i giusti,
non protrà più subire alcuna offesa perché il Signore
«starà in mezzo ad essa»54.
Anche il Testamento di Levi presenta l’instaurazione
del regno messianico come il risultato dell'azione di Dio e
di quella del Messia: «Quando il Signore avrà fatto vendet­
ta di loro (se. i sacerdoti bellicosi, avidi superbi ecc.), il sa­
cerdozio scomparirà. Allora il Signore farà sorgere un sa­
cerdote nuovo, al quale tutte le parole del Signore saran­
no rivelate. Egli farà sulla terra un giudizio di verità, du­
rante molti giorni». Nel tempo del suo sacerdozio vi sarà

51 Avvenimenti descritti soprattutto nella Regola della guerra;


cfr. In particolare I, 1-5; 14-18.
52 Test Aser Vili, 2-3: «Io so che peccherete e sarete consegnati
nelle mani dei vostri nemici; la vostra terra sarà devastata, 1 vostri
santuari distrutti, voi dispersi al quattro angoli della terra: e sarete
nella diaspora dlsprezzatl come acqua Inutile, finché l’Altissimo visi­
terà la terra <venendo egli stesso, come uomo fra gli uomini, man­
giando e bevendo;·; spezzando tranquillamente 11 capo del dragane
sull’acqua; egli salverà Israele e tutti 1popoli <Dio in forma u m a n a ».
Le virgolette Indicano le interpolazioni cristiane (cfr. Sacchi, p. 888).
Cfr. anche Test. Giuda XXV, 3: la sconfitta escatologica di Bellar
«gettato nel fuoco per sempre».
53 Test Dan V, 10-11.
**lbid. 13.

27
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

pace, conoscenza per tutti i popoli, scomparirà il peccato.


«Inoltre Egli aprirà le porte del paradiso e devierà la spada
puntata contro Adamo. Darà da mangiare dell'albero della
vita al santi e su di essi starà lo spirito di santità. Beliar
sarà legato da lui che darà ai suoi figli il potere di calpe­
stare gli spiriti maligni. II Signore si rallegrerà del suoi fi­
gli e si compiacerà per sempre per coloro che ama»55.
Decisamente appartenente al mondo divino, in quanto
creata prima del tempo56, è la figura messianica del Libro
delle Parabole, che attribuisce ad essa il titolo di Figlio
dell’uomo. Fra i compiti che le vengono riconosciuti, non
viene menzionato esplicitamente quello della eliminazione
del diavolo e/o delle potenze maligne. Tuttavia lo si può
leggere sullo sfondo della sconfìtta di tutti i malvagi57 - in
questo testo identificati con i potenti della terra - che pre­
lude all'instaurazione di un nuovo mondo senza sopraffa­
zioni ed ingiustizie, in cui i giusti, cioè i poveri, i deboli, gli
emarginati, potranno vivere finalmente in pace.

II. 3. Un mondo ben organizzato

L'AT conosce l'esistenza di esseri maligni che assumo­


no, talora, le forme di mostri primigeni58, talora l’aspetto

55 Test. Levi XVIII, 10-14. L'attribuzione del s o le t to da un pun­


to di vista grammaticale non è chiara: R H. Charles, The Apocrypha
and Pseudoepigrapha o f thè Old Testament, Oxford 1913, voi. II, p.
315, n. 5, a proposito dell'apertura delle porte del paradiso, osserva:
•lf ‘he' = Messiah, thls passage alone in jewlsh literature ascribes thè
act to hlm»; anche l'atto di legare Beliar è attribuito al Messia soltan­
to in LP, ove però questa figura ha caratteristiche divine. Per Becker,
Untersuchungen, cit., pp. 297-298, «Egli· è 11 Signore; riferito al Mes­
sia lo interpreta Sacchl, il messianismo, cit., p. 214.
56 LP XLVIII, 2-3.
57 i p LV, 4 - LVI, 8; LXIX, 27-29.
58 Ad es. il Leviathan: Is. 27, 1; Ps. 74, 14. Cfr. Erma, Past,
Mand. IV, 1, 5-6*; Passio Perp. etFeL TV*.

28
INTRODUZIONE

terrificante della peste e della febbre59 o quelli più sfug­


genti degli shèdim (Dt. 32, 17) ò delle lilith (Js. 34, 14).
Raramente emergono nomi propri; ricordiamo quello
enigmatico di Azazel (Lu. 16, 8) cui è destinata l’offerta
(propiziatoria?) del capro nella festa dell’espiazione.
Asmodeo invece è una figura ben delineata e importan­
te del libro di Tobia, opera composta in un periodo non
meglio precisabile che va dal III al II secolo a.C.; esso non
è non recepito dalla Bibbia ebraica, ma appartiene alla
raccolta dei LXX; dai cristiani fu considerato canonico, sia
pure con molte esitazioni. L’atteggiamento di Gerolamo
che, nella prefazione della sua traduzione dall’aramaico,
dice di aver tradotto questo testo «satis desidèrio vestro
(se. dei vescovi Cromazio ed Eliodoro), non tamen meo
studio»60, è un’eloquente testimonianza di come ai dubbi
ed ai sospetti di alcuni, corrispondesse un interesse più
generale ed incessante a suo riguardo nei tempi e negli
ambienti più diversi61. Esso intreccia, in modo letteraria­
mente efficace, la storia di due infelicità: quella di Tobit

59 Nel senso che alcune realtà negative come appunto la febbre, la


peste, la morte, lo sheol sono descritte In modo così personificato da
far pensare che esse fossero considerate potenze negative (cfr. Job 18,
11-14; Is. 5, 14; Os. 13, 14). Su questo punto: A. Caquot, Sur quel-
ques démons de l'Ancten Testament (Reshep, Qeteb, Deber). «Semitica·
6 (1956), pp. 53-68; Teyssèdre, Nascita, c it, tr. It., pp. 121 sgg. Pre­
sentazioni di insieme della demonologia nell'AT, oltre agli studi citati
alle nn. 8, 9, sono: A. Caquot, Anges et démons en Isra èl In Gènies,
anges et démons (Sources orientales, 8), Paris 1971, pp. 115-145; C.
Fontjnoy, Les anges et les démons de l'Ancien Testament, in Anges et
démons. Actes du Colloque de Uège et de Louvain-la-Neuve, 25-26
novembre 1987, Louvain-la-Neuve 1989, con ulteriore bibliografia.
60 Prol. Tobiae, In Bibita Sacra iuxta vulgatam versionem, Stutt­
gart 1969, voi. 1, p. 676.
61 Cfr. G. Priero (a cura di), Tobia, Casale 1963, pp. 2-10. Fram­
menti in ebraico ed aramalco sono stati trovati anche nella grotta V
di Qumràn.

29
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

che, a causa della sua rettitudine, si trova ad essere in ro­


vina, cieco ed abbandonato da tutti, e quella di Sara che
ha visto morire, di volta in volta, durante la prima notte di
nozze i sette uomini che avevano tentato di sposarla, e
questo a causa di Asmodeo, «il peggiore dei demòni» (Tb.
3, 8). Ambedue pregano il Signore di liberarli dai loro mali
ed egli invia il suo angelo Raffaele. Questi insegna a To­
bia, figlio di Tobit, sia il modo di liberarsi di Asmodeo e
sposare così Sara senza pericolo, sia il rimedio contro la
cecità di Tobit.
Il libro di Tobia presenta molti punti di contatto con i
testi analizzati prima: l'aiuto di Dio sotto forma di un an­
gelo; l’angelo che insegna un rimedio contro la malattia; il
demonio in grado di uccidere gli uomini e che, scacciato,
se ne va in Egitto, dove Raffaele lo raggiunge e lo lega62.
Tuttavia, sotto altri aspetti, i temi del viaggio, del matri­
monio differito, le guarigioni miracolose, l’ambiente socia­
le in cui si muovono i personaggi, ricchi commercianti che
hanno goduto il favore del re, lo apparentano al romanzo
greco ellenistico, costituendo accanto a questo un prece­
dente letterario degli A tti apocrifi. L’intreccio di tutti que­
sti temi è però sottomesso ad una difesa della famiglia pa­
triarcale e dei suoi usi matrimoniali: l’angelo Raffaele aiu­
ta Sara per darla in sposa a Tobia e per liberarla «dal cat­
tivo demonio Asmodeo»; «di diritto, infatti, spettava a To­
bia di sposarla, prima che a tutti gli altri pretendenti» (Tb.
4, 16). Il diritto si fondava su legami di parentela e Asmo­
deo, le cui azioni in realtà paiono piuttosto ispirate dal de­
siderio di tenersi per sé la bella ragazza63, viene «addome­
sticato» e presentato quale strumento di Dio.

62 J. Vermes, Gesù, l'ebreo, tr. it„ Roma 1983, pp. 71-72.


63 Secondo un motivo letterario che ricorre spesso nella demono­
logia cristiana e pagana (cfr. ad es. ATh 42: VitaApolL VI, 27).

30
INTRODUZIONE

La personalità più definita è però senza dubbio quella


di Satana; il suo nome è menzionato più volte ed in testi
di secoli diversi e ciò consente di seguire l’evoluzione di
questa figura. Nel testo più antico, Zc. 3, 2 (fine VI secolo
a. C), appare un angelo che accusa davanti a Dio il som­
mo sacerdote Giosuè; egli è un «satana» proprio perché
svolge la funzione di accusatore: la radice del verbo ebrai­
co è infatti stri, tradotto dai LXX con διάβολος. In questa
fase non si tratta ancora di un nome proprio64; anche nel
libro di Giobbe (Iob I, 6) il «satana» è presentato come uno
dei «figli di Dio» (secondo i LXX: «angeli»), ma appare dota­
to di una maggiore autonomia: è lui, infatti, che suggeri­
sce di mettere alla prova la giustizia di Giobbe ricevendo­
ne l'autorizzazione da Dio entro limiti precisi.
Soltanto a partire dal II secolo il diavolo acquista un
significato completamente negativo; è quanto si deduce da
Sir. 21, 27 («Quando l'empio maledice il satana, non fa
che maledire se stesso»), che tuttavia pare esprimere la
negazione dell’esistenza di questa figura da altri evidente­
mente invocata per spiegare il male compiuto.
In ogni caso, il diavolo/Satana, una volta allontanatosi
dalla corte celeste cui appartiene, agisce nel mondo in
modo isolato. Le cose vanno molto diversamente nei testi
apocalittici ove le discese angeliche avvengono sempre in
gruppo. LV presenta, fin dalle prime battute, Semeyaza
come «il capo degli angeli del cielo»; le loro azioni, in quan­
to scaturiscono da un reciproco giuramento di fedeltà,
fanno parte di una strategia ben concertata65.
LS descrive dettagliatamente l’organigramma delle schie­
re angeliche che hanno peccato; accanto a Semeyaza ven­

64 In Zc. come In loto «satana» è preceduto dall’articolo, mentre In


Chr. 21, 1 appare senza articolo.
65 LVVI, 3-7.

31
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

gono menzionati altri venti angeli. Fra questi vi sono ar­


cangeli preposti a dieci angeli; essi a loro volta sono sotto­
posti ad arcangeli che comandano su cinquanta angeli; in
cima alla piramide gerarchica vi sono gli arcangeli che co­
mandano su cento angeli66.
L’organizzazione interna del mondo demoniaco è anco­
ra più accentuata in LG. Esso si comporta come uno stato
indipendente minacciato di distruzione da un altro più
potente. Per timore di essere annientato, manda un mes­
saggero, Mastema, in grado di difendere la propria causa
presso il Signore più potente: gli spiriti maligni sono di­
struttori, ma in quanto puniscono la malvagità degli uo­
mini svolgono anche una funzione necessaria. L’amba­
sciata è persuasiva, Mastema riesce a salvare il salvabile e
da quel momento lo vediamo intervenire quale «principe»,
a capo dei suoi eserciti, nelle vicende del popolo ebraico67.
Negli scritti essenici la tendenza alla militarizzazione
del mondo demoniaco appare ancora più spinta: la Regola
della Guerra mette in scena lo scontro ormai imminente
fra i figli della luce - cioè gli esseni e una parte degli ebrei
- ed i figli delle tenebre, cioè le nazioni accanto alle quali
si schierano Belial ed i suoi eserciti. Lo scontro viene det­
tagliatamente preparato e descritto proprio dal punto di
vista di un trattato di strategia militare.
Un’identica propensione all’ordine ed alla sistematizza­
zione si riflette nei testi più tardi a proposito del luogo di re­
sidenza degli angeli. Agli inizi il problema non si pone: gli
angeli caduti sono legati in qualche luogo fuori mano - il
deserto, l'abisso, in grotte - e ciò che resta dei giganti, gli
spiriti maligni, si aggirano sulla terra a danneggiare gli uo­
mini. Ma se le forze del male e quelle del bene sono immagi­

66 LS LXIX, 3.
67LGX.

32
INTRODUZIONE

nate come due eserciti ben organizzati, essi devono pur oc­
cupare, almeno fino al conflitto escatologico, luoghi distinti.
Il Testamento di Levi offre una soluzione: «Ascolta dunque
(ciò che ti dico) dei cieli che ti sono stati mostrati. Quello
più basso, per questo ti appare triste, perché vede tutte le
ingiustizie degli uomini. Esso tiene pronti fuoco, neve e
ghiaccio per il giorno del giudizio (che sarà) nella giustizia
di Dio. In esso infatti ci sono tutti gli spiriti delle punizioni,
per fare vendetta degli uomini. Nel secondo ci sono le po­
tenze degli accampamenti, (gli angeli) schierati a battaglia
per il giorno del giudizio, per far vendetta degli spiriti
deH’inganno e di Beliar. Al di sopra di loro stanno i santi.
Nella sede poi più alta di tutte c’è la grande gloria che è al
di sopra di ogni santità. Nel cielo sotto di esso ci sono gli ar­
cangeli, che prestano il loro servizio e placano il Signore per
tutti i peccati di ignoranza dei giusti. (...) Nel cielo di sotto ci
sono gli angeli che portano le risposte agli angeli del volto
del Signore. In quello ancora sotto, ci sono i troni e le po­
tenze, in esso si inneggia incessantemente a Dio»68.

III. IL I SECOLO

III. 1 .1 Vangeli sinottici

Sullo sfondo delle tradizioni relative ai demòni ed agli an­


geli caduti è possibile spiegare l’importanza attribuita dai
Sinottici alla sconfitta di Satana e dei suoi angeli da parte
di Gesù69.

68 Test. L e vi IH, 1-8; per 1 rapporti con la tradizione cristiana:


A/VII, 9-12*.
69 Sulla demonologia del NT, oltre alle opere generali già citate,
cfr. H. Schlier, Màchie und Gewalten im Neuen Testament. Freiburg
lm Breisgau 1958; O. Bócher, Das Neue Testament und die dàmoni-
schen Màchie, Stuttgart 1972; D. E. Aune, Magic in Early Chrìstiani-

33
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

La stessa posizione occupata all’interno della redazione


dei testi evangelici dal racconto della tentazione - subito
dopo il battesimo e prima dell’inizio della vita pubblica - è
un segno evidente della rilevanza attribuita a questo aspet­
to nell'economia complessiva della vicenda di Gesù. Il testo
di Me. 1, 12-13 («Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel de­
serto e vi rimase 40 giorni, tentato da Satana; stava con le
fiere e gli angeli lo servivano»), è molto conciso a confronto
dei passi paralleli di Matteo e Luca, ma esso contiene già i
motivi essenziali. Il deserto è il luogo della prova per eccel­
lenza e scenario consueto delle apparizioni demoniache; la
tentazione cui Satana sottomette Gesù fallisce il suo scopo
se in quel luogo inospitale si instaurano le condizioni para­
disiache che alludono anche a quelle dell’età felice attesa70.
Si trova qui anticipato in forma simbolica l’intreccio fra
sconfìtta delle potenze e realizzazione del regno messianico
che è tema ricorrente dei Vangeli soprattutto là dove Gesù è
presentato come guaritore ed esorcista71.

ty, in A. N. R. W. 23, 2, pp. 1507-1557; R. Osculati, Potenza ed impo­


tenza d i Satana, in Λ demonio e i suoi com plici Dottrine e credenze
demonologiche nella tarda antichità, a cura di S. Pricoco, Messina
1995, pp. 27-50.
70 Is. 11, 6-9; Test. Neftali Vili, 4: «Se farete il bene vi benediran­
no gli uomini e gli angeli, Dio sarà glorificato fra le genti per mezzo
vostro, il diavolo fuggirà da voi, le bestie selvagge vi temeranno, il Si­
gnore vi amerà e gli angeli vi staranno vicini». Cfr. R. Pesch, il Vange­
lo di Marco (Commentario teologico del Nuovo Testamento), tr. it.,
Brescia 1980, voi. I, pp. 170 sgg.; C. Mazzucco, Satana e la morte nel
Vangelo di Marco, in L'autunno del Diavolo. «Diabolos, Dialogos, Dai-
mon»: convegno di Torino 17/21 ottobre 1988. Voi. I a cura di E.
Corsini e E. Costa, Milano 1990, pp. 155-179.
71 L’apprezzamento di questo aspetto dell’attività di Gesù è stato
per lungo tempo influenzato in senso negativo dall’indirizzo critico
della storia delle forme e, all’intemo di questa, dall’opera di R. Bult-
mann, Gesch.ich.te der synoptischen Tradition, Góttingen 1931; egli
attribuiva quasi tutti i resoconti di miracoli (eccetto alcuni miracoli

34
INTRODUZIONE

Il dipanarsi del racconto marciano presenta Gesù che,


dopo il primo esorcismo compiuto a Cafarnao, è attorniato
ovunque vada da un’umanità dolente: «E andò per tutta la
Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i
demòni» (Me. 1, 39); «Dalla Giudea e da Gerusalemme e
dall’Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e di
Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da
lui... Infatti ne aveva guariti molti, cosicché quanti avevano
qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. Gli spi­
riti immondi quando lo vedevano gli si gettavano ai piedi
gridando: “Tu sei il Figlio di Dio”. Ma egli li sgridava seve­
ramente perché non lo manifestassero» (Me. 3, 8-12).
Gli esorcismi72 narrati più dettagliatamente presenta­
no tutti uno stesso schema: l’incontro con lo spirito impu­
ro; la resistenza di questi che vuole opporsi alla cacciata,

attribuiti alla tradizione palestinese: la tempesta sedata, la moltipli­


cazione del pani e dei pesci, la purificazione del lebbroso) a quel cri­
stiani gludeoellenlsti che intendevano porre Gesù su un piano di {ra­
rità con i taumaturghi di ambiente ellenistico; sarebbe stato Marco a
rivestire Gesù di questi panni mitologici. Questa interpretazione è
ancora sullo sfondo di molti studi sul NT, tuttavia ricerche recenti
hanno richiamato l'attenzione proprio su quest'aspetto dell’attività di
Gesù come d'importanza fondamentale per comprenderne il tipo reli­
gioso, se non quale sia stato realmente, almeno di quale gli evangeli­
sti abbiano inteso tramandarne la memoria. Gesù è compreso come
mago sullo sfondo delle tradizioni ellenistiche relative al tipo del
θείος άνήρ da M. Smith, Jesus thè Magician, New York 1978; come
hasid e collocato sullo sfondo del giudaismo carismatico da J. Ver­
mes, cit. Anche per gli esegeti più radicali «una cosa appare fuori di­
scussione: Gesù ha compiuto azioni che agli occhi suoi e dei suol
contemporanei apparivano miracolose» (G. Jossa, D al Messia al Cri­
sto. Le origini della cristologia, Brescia 1989, p. 39); quel che è in di­
scussione è l’apprezzamento di questo aspetto nella valutazione
complessiva della figura di Gesù.
72 Me. 1, 21-26; 5, 1-13; 9, 14-29 e parali.; cfr. il commento
loc. di O. Bauemfeind, Die Worte der Dàmonen im Markuseuangeltum,
Stuttgart 1927.

35
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

con tentativo di scongiuro; la minaccia dell’esorcista; il


comando di tacere; il comando di uscire dall'uomo; l’usci­
ta dello spirito con un’ultima dimostrazione di forza73.
Questo schema costituisce il modello per i successivi rac­
conti cristiani di esorcismo e dipenderebbe, a sua volta,
da modelli ellenistici; tuttavia, allo stato attuale della do­
cumentazione, i papiri magici addotti come prova, pur es­
sendo probabile che riproducano testi più antichi, sono
più tardi dei testi evangelici74.
I racconti relativi agli esorcismi sono spesso accosta
ai miracoli di guarigione; nel caso della guarigione dell’epi­
lettico (Mt. 17, 14) e dell’uomo cieco e muto (M t 12, 22) la
relazione fra malattia e possessione demoniaca è esplicita
ed altrettanto lo è quella fra malattia e peccato (Me. 2, 1
sgg). Il «come» ed il «perché» del legame esistente fra que­
ste tre realtà negative non sono spiegati esplicitamente,
ma esiste un tessuto connettivo profondo che le unisce e
fa sì che basti citarne una per evocare immediatamente
anche le altre75: si tratta del concetto di impurità, così co­
me, in questo periodo, poteva essere percepito a livello di
vissuto religioso, con una giustapposizione di elementi
provenienti da modi diversi dell’elaborazione di tale con­

73 Cfr. K. Thraede, Exorzismus in RAC, voi. VII, cc. 59-63, che


analizza gli esorcismi marciarli mettendone in luce gli elementi topi­
ci: «Struktur, Motive, Vokabular hellenistischer Wundererzàhlung
wirken stark ein» (c. 59). Ma nella dimostrazione dipende dal lavoro
di Bultmann.
74 Questa considerazione, insieme alla constatazione che anche
per quanto riguarda il tipo religioso del θείος άνήρ, il testo citato (la
Vita di Apollonio di Filostrato) è molto più tardo dei sinottici, costitui­
scono la base delle critiche rivolte all’interpretazione della storia del­
le forme e di Smith (cfr. status quaestionis in H. C. Kee, Medicina, mi­
racolo e magia nei tempi del Nuovo Testamento, tr. it., Brescia 1993,
pp. 139-143; pp. 129-130).
75 Thraede, cit., cc. 58; Kee, cit., pp. 44-51, con numerosi paral­
leli in altri testi giudaici.

36
INTRODUZIONE

cetto76: quello che concepiva l’impurità come risultato di


un contatto non legittimo con il sacro e come uno stato di
depotenziamento fisico estremamente pericoloso per la so­
pravvivenza dell’individuo, e quello che ne aveva sviluppa­
to un’interpretazione etica. Le parole di Gesù in Me. 7, 18-
23 sono considerate generalmente l’illustrazione di tale
interpretazione, anche se l’esegesi di questo passo conti­
nua a porre problemi spinosi77.
Malgrado la ripetuta presenza sulla scena evangelica
dei demòni, le informazioni circa la natura, l’origine e
l’aspetto di essi sono assai scarse. Essi sono definiti spes­
so «spiriti impuri» e la loro impurità va forse spiegata con
il fatto che li si metteva in relazione con l’unione contami­
nante e contro natura degli angeli con le donne78. Nel cor­
so degli esorcismi viene loro attribuita la consapevolezza
di avere a disposizione un tempo limitato per agire e la
certezza, di fronte all'autorità di Gesù, che esso è giunto
al termine. Tali affermazioni presuppongono la connessio­
ne che i testi pseudoepigrafici stabilivano tra venuta del
Messia, fine dei tempi, sconfitta delle potenze maligne e
instaurazione dell’età felice.
Alla luce di quanto negli stessi testi veniva detto a propo­
sito dell’organizzazione del mondo demoniaco vengono com­
prese le affermazioni degli scribi su Belzebul79, principe dei

76 Per la storia del concetto di impurità: P. Sacchi, Storia del Se­


condo Tempio. Israele fra VI secolo a.C. e I secolo d.C., Torino 1994,
pp. 415-453.
77 In quanto è al centro della discussione del rapporto dell’inse-
gnamento di Gesù riguardo alla Legge.
78 Secondo il racconto di LVXVI riportato sopra, p. 18.
79 Questo nome, che non è altrimenti conosciuto, ci fa intuire
che le tradizioni demonologiche della Palestina del I secolo erano più
ricche di quelle che possiamo ricostruire sulla base dei testi che ci
sono pervenuti (cfr. Infra l’esegesi di Origene al passo evangelico in
Co. M t XVII, 2 a p. 442, n. 8).

37
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

demòni, condivise sostanzialmente, da questo punto di vista,


anche da Gesù (Mt. 12, 24-29 e parali.). L’insieme dei demòni
viene paragonato a realtà sociali al cui intemo si presuppone
un ordine, una gerarchia, sul cui rispetto si regge la loro
stessa esistenza: il regno, la città, la famiglia. All'interno di
queste realtà Satana occupa un posto di tale preminenza che
soltanto «legandolo», è possibile intervenire in esse.
Accanto a questi aspetti comuni, i Vangeli ne presen­
tano di peculiari che emergono in particolare da due detti:
«Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di
Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» [Mt. 12, 28; Le.
11, 20) e: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e
vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano,
i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti
risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato
colui che non si scandalizza di me» (Mt. 11, 2-6).
Questi versetti, generalmente considerati parte della
fonte dei logia80, sono stati al centro del dibattito riguar­
dante l’interpretazione del «regno» annunciato da Gesù, se
egli, cioè, l'abbia considerato già realizzato oppure futuro e
imminente oppure, nello stesso tempo, futuro e già realiz­
zato, secondo la formula fortunata del «già e non ancora»81.
Qui interessa soltanto sottolineare un aspetto: l’afferma­

80 Anche E. P. Sanders, Gesù e il Giudaismo, tr. it„ Genova 1992,


pp. 172-184, nel quadro di uno studio Ispirato dalla convinzione che
«raramente si può provare, al di là di ogni dubbio, la completa autenti­
cità o la completa inautenticità di un detto attribuito a Gesù» (p. 23),
considera «al di là di ogni ragionevole dubbio» due affermazioni relative
al regno: «(Gesù) riteneva che il regno sarebbe venuto nel prossimo fu­
turo e che nel suo ministero Dio era all’opera in un modo speciale» (p.
202). Sanders nega però che quest’ultimo possa essere considerato un
tratto peculiare di Gesù, che l’avrebbe condiviso con altre figure cari­
smatiche del suo tempo quali Giovanni Battista, Teuda o l’Egiziano.
81 Status quaestionis aggiornato, oltre che nello studio già citato
di Sanders (pp. 161 sgg.), anche in Jossa, c it, pp. 56-61.

38
INTRODUZIONE

zione che l’età messianica è già presente e che di questo


sono segno gli esorcismi e le guarigioni consente di mette­
re a fuoco la differenza esistente fra la prospettiva di Gesù
e dei Vangeli e quella emergente dai testi pseudoepigrafì
di cui abbiamo detto.
La sconfìtta delle potenze vi è descritta come un evento
cosmico, compiuto direttamente da Dio, che si produce
contestualmente ad altri avvenimenti sensazionali: il giudi­
zio, la discesa dell’Altissimo sulla terra, la distruzione dei
malvagi. Sono tutto sommato rari i testi che attribuiscono
anche al Messia il compito di combattere Beliar, ma la sua
azione, oltre che condividerne lo scenario cosmico, è stret­
tamente collegata a quella di Dio tanto che diventa difficile
distinguerne le funzioni rispettive. Nei testi evangelici, in­
vece, lo sfondo cosmico è del tutto assente. Il compito im­
mane di realizzare od anche soltanto di anticipare il regno
ricade sulla liberazione dalle malattie e dal bisogno di un
piccolo gruppo di persone. Non è la battaglia fra schiere
angeliche, né gloriose epifanie divine sulla terra, ma è l’in­
contro della sofferenza del singolo con il gesto che la risana
a segnare il passaggio fra quest’età e quella felice attesa82.
È questo lo «scandalo» (Mt. 11, 6) rappresentato da Gesù
non soltanto agli occhi dei suoi contemporanei, ma anche
delle interpretazioni cristiane successive che hanno cerca­
to di «addomesticare» la liberazione dai demòni compiuta
da Gesù sia moltiplicandola all’infinito nella letteratura a
scopo propagandistico ed agiografìa), sia, a livello più sofi­
sticato, imponendo ad essa un'interpretazione simbolica.

82 Giustamente G. Theissen, Urchristliche Wundergeschichten. E


Beitrag zur formgeschichtlichen Erforschung der synoptìschen Evan-
getìen, Góttingen 1974, p. 277, osserva che non si può non cogliere la
tensione che si crea fina «il pessimismo apocalittico, come si mostra
nella concezione deU’universale ‘Unheilszusammenhang’ e la speran­
za in una salvezza episodica attuata qui ed ora mediante il miracolo».

39
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

III. 2. Paolo

Il punto di vista di Gesù, secondo cui il regno era già, in


qualche modo, presente nella cacciata dei demòni operata
da lui e dai suoi discepoli, non potè essere mantenuto:
egli morì crocifìsso senza che il regno si realizzasse piena­
mente. Tuttavia, proprio dalla sua morte e dalla fede nella
sua resurrezione prese avvìo una rielaborazione teologica
in cui il punto essenziale - la liberazione dai demòni -
potè essere conservato.
Nei Vangeli sinottici troviamo già espressa l’idea del
valore espiatorio della morte di Gesù (Mt. 26, 27; Me. 14,
24; Le. 22, 20), ma è Paolo che approfondisce il concetto
arricchendolo delle sue implicazioni demonologiche.
Nel «vangelo» di Paolo è centrale l’affermazione che «Cristo
morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto
e che risuscitò il terzo giorno» (/ Cor. 15, 3-4). Il valore del sa­
crificio di Cristo non è soltanto espiatorio, cioè rivolto al pas­
sato, ma riguarda anche il presente ed il futuro di colui che
ha fede in quanto egli è stato liberato dall’eone malvagio da
«Gesù Cristo, che diede se stesso per i nostri peccati al fine
di sottrarci a questo mondo malvagio» (GaL 1,4).
In termini positivi, la situazione del credente nel mo­
mento attuale è quella di essere «santo», «giustificato» (/
Cor. 6, 9-11); egli possiede lo Spirito {I Cor. 2, 12; 3, 16; il
Cor. 1, 22; 4, 13; 5, 5; Rm. 8, 23), possesso che si manife­
sta anche nei doni spirituali: la profezia, il parlare in lin­
gue, le guarigioni (J Ts. 5, 19; I Cor. 1, 7; R ttl 12, 6)83. Il
cristiano appartiene a Cristo, è abitato da lui, è con lui in
un solo spirito, è un membro del suo corpo84. La signoria

83 E. Kàsemann, Ufficio e comunità nel Nuovo Testamento, in Id.,


Saggi esegetici, tr. it., Casale Monferrato 1985, p. 111.
84 Sul tema paolino di «partecipazione» e di «unione» e su come
esso sia stato interpretato cfr. P. Sanders, Paolo e il Giudaismo pale­
stinese, tr. it., Brescia 1986, pp. 621 sgg.

40
INTRODUZIONE

esercitata da Cristo sul credente o, secondo un altro modo


di esprimersi, l’unione con lui è esclusiva di ogni altra si­
gnoria o unione (7 Cor. 6, 13-18; 10, 1-7).
In termini negativi la condizione del credente è quella
della libertà dal peccato, dalla legge, dalla carne, dalla
morte, dagli elementi del mondo85, dai principati, dalle
potestà (I Cor. 15, 24) e dalle altre potenze maligne che re­
gnano sul mondo86.
La resurrezione di Cristo è la garanzia del suo ritorno,
del ritorno alla vita anche dei credenti che in quel mo­
mento saranno già morti, dell’ «annientamento di ogni po­
testà, principato e virtù», di ogni nemico, compreso l’ulti­
mo «che è la morte», della instaurazione finale del regno di
Dio (/Cor. 15, 1-28).
Per quanto la situazione del credente sia caratterizzata
dalla libertà riguardo alle schiavitù che gravavano sull’uo­
mo vecchio, egli non è al riparo dagli attacchi delle poten­
ze malvagie se lo stesso Paolo, nelle lettere autentiche, ac­
cenna più volte all’intervento di Satana nelle sue vicende
personali. Ai Tessalonicesi scrive che avrebbe voluto an­
dare da loro, «ma il Satana ce l’ha impedito» (I Ts. 2, 18).
Scrivendo ai Corinzi accenna ad «una spina nella carne,
un angelo di Satana» inviatogli per «schiaffeggiarlo», e per

85 Gal. 4, 9: στοιχεία τοϋ κόσμου; per i paralleli ellenistici e giu­


daici di tale espresssione cfr. G. H. C. MacGregor, Principalities and
Powers: The cosmic Background o f Paul's Thought, «New Testament
Studies» 42 (1954-56), pp. 17-28, che sottolinea la dipendenza della
demonologia paolina dalle speculazioni ellenistiche sulle potenze
astrali. Sul tema in generale cfr. E. R. Goodenough, Paul and thè
Hellenization o f Chrìstianity, in J. Neusner (Ed. ), Religions in Anti-
quity, Leiden 1968, pp. 23-68.
86 Fra le potenze angeliche non sarebbero da includere «i prìncipi
di questo mondo» di I Cor. 2, 6. 8, come ha inteso, ad esempio, Orige­
ne (cfr. infra): M. Pesce, Paolo e g li arconti a Corinto. Storia della ri­
cerca (1888-1975) ed esegesi di I Cor 2, 6. 8, Brescia 1977.

41
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

non farlo insuperbire (II Cor. 12, 7-8) ed anche altrove87


suggerisce alle Chiese cui scrive comportamenti concreti
che tengano conto di questa presenza che appare non sol­
tanto punitiva, ma anche tentatrice.
Come concretamente la libertà88 del cristiano riguardo
alle potenze possa coesistere e conciliarsi con l'azione di
Satana è un modo di riformulare il problema spinoso di
come Paolo intendesse il rapporto fra giustificazione ed
etica89. Nelle Lettere paoline, che presuppongono la predi­
cazione orale certamente più ampia e sistematica90, non
troviamo un’argomentazione esplicita in grado di gettare
un ponte sui due aspetti; d’altro canto, la posizione di
Paolo sul problema particolare non apparve del tutto chia­
ra neppure a coloro che avevano avuto l’opportunità di co­
noscerla in modo più esplicito e per questo furono rimpro­
verati dall’Apostolo91.
La critica ha formulato varie ipotesi per illuminare
questa zona d’ombra esistente nella documentazione92;
ciò che interessa qui sottolineare è che la persistenza
dell'azione di potenze maligne sull’uomo appare tema se­
condario rispetto alla certezza dell’appartenenza dei cre­
denti alla signoria di Cristo e deU’annientamento delle po­
tenze ancora a venire; certezza, quest’ultima, tanto più ef-

871 Cor. 5, 5; 7, 5; I Ts. 3, 5; II Cor. 2, 11.


88 Sull'importanza del vocabolario della libertà nel linguaggio
paollno, cfr. C. K. Barret, Freedom and Obligatlon. A Study o f thè Epi-
stle to thè Galatians, London 1985.
89 R. Penna, Problemi di morale paolina, in Id., Rivelazione e mo­
rale, Brescia 1973, pp. 113-127.
90 M. Pesce, Le due fa s i della predicazione di Paolo: dall'evange­
lizzazione alla guida della comunità, Bologna 1994.
911 Cor. 4, 6-8; Rm. 3, 8; 6, 1. Cfr. R. Penna, I diffamatori d i Pao­
lo in R m 3, 8, «Ricerche storico bibliche» 1 (1989), pp. 43-53.
92 II problema riguarda il nodo centrale del rapporto di Paolo con
la Legge; cfr. Sanders, Paolo, cit., pp. 655 sgg.; 711.

42
INTRODUZIONE

fìcace e riverberante sulle parole ed azioni di Paolo, in


quanto egli ritiene di vivere nell’arco di tempo assai breve
che separa la sconfitta delle potenze ad opera della croce
dal loro annientamento, al momento definitivo del ritorno
di Cristo93. Così egli può dire: «Che diremo dunque in pro­
posito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che
non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti
noi, come non ci donerà ogni cosa con lui? Chi accuserà gli
eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù,
che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra del Pa­
dre e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore
di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione,
la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte que­
ste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci
ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né
angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze,
né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai
separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore»
(Rm. 8, 21-37).

Se la demonologia recita nei testi sicuramente paolini una


parte tutto sommato marginale, non si può dire altrettan­
to per la Lettera ai Colossesi e quella agli Efesini. Non
ignoro che una parte consistente della critica riconosce
l’autenticità paolina dei due testi94 o almeno di parte di

931 Ts. 4, 15-17; PhiL 3, 18-21; sotto questo profilo Paolo sembra
condividere le Idee dell’apocalittica; cfr. A. Pinero, Elementos apo-
calipticos en e l Nueuo Testamento, in Origenes, c it, pp. 210-211; H.
H. Schade, Apokalyptische Christologie bei Paulus. Gòttingen 1981,
pp. 106 sgg.
94 Basti pensare allo studio di O. Everiing, Die paulinische Ange
logie und Dàmonologie, Gòttingen 1888 che ha rappresentato una tap­
pa importante della storia della ricerca su Paolo; per questo studioso
l’autenticità di CoL e Eph. si fonda proprio sulla coerenza della loro an­
gelologia con quella delle lettere sicuramente autentiche (cfr. p. 101).

43
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

essi e che numerosi studiosi, constatata la forte coerenza


teologica con le altre Lettere di Paolo, considerano metodo­
logicamente corretto utilizzarle come fonti per il pensiero
paolino95. Ritengo, tuttavia, più prudente trattarne a par­
te, anche perché, da un punto di vista demonologico, esse
aggiungono ai sintetici cenni presenti nelle lettere sicu­
ramente paoline tratti che, pur essendo sulla stessa linea
teologica, ne rappresentano un’amplificazione.
Da CoL 2, 6-15 meglio che da G al 4, 9 comprendiamo
il significato dell’espressione στοιχεία τοΰ κόσμου; gli στοι­
χεία sono assimilati ad angeli, la cui venerazione implica
l’osservanza di prescrizioni riguardanti il cibo e il rispetto
di particolari tempi.
Anche per la Lettera ai Colossesi la liberazione dal pec­
cato e la sconfìtta delle potenze sono collegate alla morte e
la resurrezione di Cristo. Ma in questa (CoL 2, 13-15) si
spiega - in un modo destinato a colpire profondamente
l’esegesi cristiana successiva - come questo sia potuto ac­
cadere. 11 rapporto fra l’uomo e Dio è qui descritto come il
rapporto del debitore con il creditore; il debitore rilascia co­
me titolo di credito un documento autografo (χειρόγραφον).
Ma il debito dell’uomo, rappresentato dai suoi peccati, non
è tale da poter essere saldato96 e il documento parlerebbe a
sua condanna se non fosse stato annullato da Dio stesso
con la croce. Con essa si celebra il «trionfo» di Cristo97;

95 Così MacGregor, c it
96 II versetto presenta difficoltà di interpretazione, soprattutto in
relazione àH’espressione τοϊς δόγμασιν, essi indicano gli elementi con
cui το χειρόγραφον parla a sfavore dell’uomo e sembrerebbero riferirsi
ai comandamenti della Legge (cfr. E. Lohse, Le Lettere ai Colossesi
ed a FUemone, «Commentario teologico del Nuovo Testamento», XI,
1, tr. it., Brescia 1979. pp. 208-209.
97 Forse un’allusione alla resurrezione che si è compiuta come
ascensione al cielo attraverso il cosmo, come un ingresso trionfale
con il quale sono state fatte prigioniere le potenze degli spazi inter­

44
INTRODUZIONE

sempre «in lui», cioè in Cristo, Dio ha spogliato i principati


e le potenze che seguono il vincitore ormai privi di forza.
Nella Lettera agli Efesini, FEone di questo mondo, il
principe delle potenze dell’aria, lo spirito che agisce negli
increduli sono le potenze da cui Cristo ha liberato chi crede
in lui (Eph. 2, 1-2). L’esortazione: «μηδε δίδοτε τόπον τφ δια-
βόλω», che troveremo così spesso ripetuta nella tradizione
successiva è spesso tradotta in senso metaforico con «non
date occasione al diavolo» (Eph. 4, 27); tale interpretazione
presuppone un’interpretazione della teologia partecipazio-
nistica di Paolo sulla linea sostenuta da Bultmann98. In ta­
le prospettiva, la ricezione dello Spirito è intesa come accet­
tazione della parola di grazia e, quindi, come rinnovata au­
tocomprensione di sé che il cristiano ha alla luce della fede
in Cristo. Analogamente dovrebbero essere intese in senso
psicologico quelle espressioni paoline sull’asservimento
dell’uomo alle potenze, asservimento che è distintivo della
sua condizione precedente alla venuta di Cristo ed alla fede
in lui. Vi sono tuttavia elementi che suggeriscono un'inter­
pretazione diversa99; nel linguaggio paolino lo Spirito appa­

medi? Cfr. H. Conzelmann, La Lettera ai Colossest, tr. It., Brescia


1980. p. 275.
98 R. Bultmann, Teologia del Nuovo Testamento, tr. It., Brescia
1985, pp. 315 sgg.
99 Sanders, Paolo, cit., p. 714: «È vero che accettando 11vangelo si
accetta la grazia di Dio e che questo porta ad una revisione del modo
di Intendere la propria posizione dinanzi a Dio. Ma questa sembra es­
sere la conseguenza Individuale e Interna della teologia di Paolo,
piuttosto che la sua interpretazione esaustiva. Essere un solo corpo
ed un solo spirito con Cristo non è semplicemente vivere in forza di
una rinnovata autocomprenslone, sebbene questa possa esserne la
conseguenza... M a che vuol dire questo? Come possiamo compren­
derlo? Sembra che d manchi una categoria di “realtà" - la reale par­
tecipazione al Cristo, 11reale possesso dello Spirito - che stia tra l’in­
genua speculazione cosmologica e la fede nella trasformazione magi­
ca, da un lato, e una rinnovata autocomprensione dall’altro lato».

45
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

re piuttosto come una presenza reale all'interno del creden­


te che ha anche effetti concreti, quali il possesso di carismi;
il dominio dello Spirito è concepito come un’inabitazione
dello Spirito in colui che crede100: la sua presenza è incom­
patibile con quella del peccato (Rm. 7, 20) o con quella dello
«spirito di schiavitù» (Rm. 8, 15). Eph. 4, 27 riprende in am­
bito parenetico la stessa concretezza di linguaggio e sugge­
risce la concezione della vita etica anche come alternanza
di presenze spirituali all'interno dell’uomo. Una tale conce­
zione è presente nel I secolo; la troviamo nei Testamenti dei
Dodici Patriarchi ed anche in seguito distingue il filone più
consistente del pensiero cristiano101.
Un altro testo importante è Eph. 6, 10-13: «Per il resto at­
tingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rive­
stitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del
diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte
di carne e sangue, ma contro i principati e le Potestà, contro i
dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del
male che abitano nelle regioni celesti, prendete cioè l’armatu­
ra di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e re­
stare in piedi dopo aver superato tutte le prove».
Nelle Lettere autentiche affiora il tema della necessità di
cingersi delle «armi» non carnali di Dio per affrontare ogni
difficoltà che impedisce l’annuncio del Vangelo (Π Cor. 6, 7;
10, 4; Rm. 13, 12), ma la Lettera agli Efesini è più esplicita
nell’indicare dietro alle persone che concretamente ostaco­
lano il Vangelo e chi vi crede la presenza di potenze maligne
ed è in questa veste che costituisce un punto di riferimento
privilegiato per la riflessione cristiana successiva.

100 Rm. 8, 9: «Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma
dello Spirito di Dio che abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di
Cristo non gli appartiene».
101 Erma, Past., Mand. V, 1, 1-4*; Orig., Ho. Ios. XV, 5*: vedi an­
che l’indice biblico.

46
INTRODUZIONE

III. 3. La demonologia sul finire del I secolo


Una parte consistente dei testi appartenti all'incirca all’ul­
timo quarto del primo secolo condividono, sotto il profilo
demonologia), un comune quadro ideologico. Sia pure in
punti diversi, essi possono essere inseriti nel diagramma
ideale delimitato, da un lato, dalla fede nella sconfìtta del­
le potenze ad opera della croce e della resurrezione e,
dall’altro lato, dalla speranza di un imminente ritorno di
Cristo nella gloria: i credenti ritengono che il periodo fra i
due eventi sia breve e che presto la residua attività delle
potenze maligne sarà completamente eliminata dall’in-
staurarsi del nuovo eone.
La percezione sempre più chiara della gravità e dell’e­
stensione del male all'interno delle stesse Chiese non riu­
sciva a mettere in crisi questo modo di concepire la storia:
proprio la persistenza dei peccati, l’approfondirsi delle divi­
sioni in ambito cultuale e teologico, le persecuzioni e le ri­
cadute nel paganesimo, lungi dall’indebolire tale schema di
pensiero, lo rafforzavano, in quanto questi mali potevano
essere compresi alla luce del quadro impressionante dise­
gnato sia dalle cosiddette apocalissi sinottiche (Me. 13; Mt.
24; Le. 21), sia dalla Seconda Lettera ai TessalordcesL
Esse presentavano i terribili avvenimenti precedenti il
ritorno «in gloria e potenza» (Me. 13, 26) del Figlio dell'uo­
mo: guerre, terremoti, carestie, persecuzioni da parte delle
autorità, odio anche da parte dei familiari fino all’avveni­
mento culminante quanto misterioso: «Quando vedrete
l’abominio della desolazione stare là dove non conviene,
chi legge capisca, allora quelli che si trovano nella Giu­
dea, fuggano ai monti; chi si trova sulla terrazza non
scenda per entrare a prendere qualche cosa in casa; chi è
nel campo non tomi a prendersi il mantello... Allora, dun­
que, se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, ecco è là,
non ci credete; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti

47
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

e faranno segni e portenti per ingannare, se fosse possibi­


le, anche gli eletti. Voi però state attenti! Io vi ho predetto
tutto» (Me. 13, 21-23).
La tribolazione non riguarderà soltanto gli uomini, ma
l’intero cosmo: il sole e la luna si oscureranno, gli astri ca­
dranno dal cielo «e le potenze che sono nei cieli saranno
sconvolte» (Me. 13, 25).
La Seconda Lettera ai Tessalonicesi attribuisce ai «falsi
cristi ed ai falsi profeti» tratti diabolici: «Solo allora102 sarà
rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il sof­
fio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua
venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di Sa­
tana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzo­
gneri, con ogni sorta di empio inganno per quelli che van­
no in rovina, perché non hanno accolto l’amore della ve­
rità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una po­
tenza di inganno perché essi credano nella menzogna e
così siano condannati tutti quelli che hanno creduto alla
verità, ma hanno consentito all’iniquità» (2, 8-12).
In quali persone concrete si dovesse identificare l’Anti-
cristo103 (o gli anticristi), quali eventi si dovessero consi­
derare segni della sua venuta, quali ragioni addurre per il
ritardo del ritorno del Signore sono i temi su cui si pola­
rizza la riflessione demonologica cristiana nei testi redatti
sul finire del I secolo104. Bisogna tuttavia aggiungere che
tali temi rivestono un’importanza tutto sommato margina­

102 Quando cioè sarà rlmossso l’ostacolo misterioso che ne impe­


disce l’apparizione (II Ts. 2, 5-6).
103 Sul tema: F. Sbaffoni, Testi sull’Anticristo, voi. 1: Secoli I-II;
voi. Il: Secolo III (Biblioteca patristica), Firenze 1992. L’argomento è
strettamente connesso alla demonologia, ma, dal momento che in
questa stessa collana è già stata pubblicata una raccolta così ampia
di testi, ho ritenuto superfluo riproporre una scelta di passi sullo
stesso argomento.
104ITim . 4, 1-2; UTim. 3, 1-5; Π P t 3, 3; Ilo . 2, 18-21; 4, 3; ΠΙο. 7.

48
INTRODUZIONE

le nell’economia complessiva degli scritti, con la sola ecce­


zione dell’Apocalisse.
Si tratta di una poderosa costruzione simbolica, in cui
sono presentì materiali provenienti sia dalle tradizioni
apocalittiche sia veterotestamentarie105, ma il cui senso
complessivo è dominato dalla certezza cristiana del valore
salvifico della croce e della sconfitta di Satana e dei suoi
angeli106. Essa è proclamata fin dall’inizio della visione di
Patmos - «Non temere! Io (è il Figlio dell’uomo che parla)
sono il Primo e l’Ultimo ed il Vivente. Io ero morto, ma ora
vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli in­
feri» [Ap. 1, 17-18) - e costituisce un punto di riferimento
costante del testo107.
L’Agnello apocalittico appare trionfatore soprattutto di
Satana e delle sue figure vicarie. Nel cap. 12 è descritto:
«Un grande dragone color rosso fuoco, con sette teste, die­
ci coma e sulle teste sette diademi», che viene poi identifi­
cato con il serpente antico, con colui «che chiamiamo dia­
volo (12, 9)»108. Il dragone, cioè Satana, «diede la sua for­

105 Quale delle due costituisca la chiave per l'interpretazione


complessiva del testo è una questione che ha dato adito a valutazioni
divergenti: cfr. E. Corsini, Angelologia e demonologia neWApocalisse
di Giovanni, in L'autunno, cit, voi. I, p. 189; La lotta fra gli angeli
buoni e gli angeli malvagi neWApocalisse di Giovanni in II demonio,
cit, pp. 57-69. E. Lupieri, Dalla storia al mito. La distruzione di Geru­
salemme In alcune Apocalissi degli anni 70-135, in P. Sacchi (a cura
di). Il Giudaismo palestinese: dal I secolo a.C. al I secolo d.C. (Atti
deirvill congresso intemazionale dell’AISG. San Miniato 5-7 novem­
bre 1990), pp. 138-142.
106 Questo aspetto comanda l'interpretazione delTApocattsse di
E. Corsini, L'Apocalisse prima e dopo, Torino 1980.
107Ap. 5,6-14; 7, 14; 11. 15; 12, 10-12; 15, 3-4; 19, 13-16; 22. 1-7.
108 Un altro aspetto peculiare dell’ApocaKsse è che è l'unico testo
cristiano a riprendere il tema dell'origine delle potenze avverse; lo fa
secondo 11 simbolismo apocalittico che instaura una corrispondenza
fra caduta degli angeli e caduta delle stelle: Ap. 12, 4 «la sua coda

49
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

za, il suo trono e la sua potestà grande» (Ap. 13, 2) alla


bestia che sale dal mare e che è un simbolo del potere po­
litico. Fortemente apparentata al drago è anche l’altra be­
stia che sale dalla terra (13, 11). Essa costringe la terra ad
adorare la prima bestia; con grandi prodigi seduce gli abi­
tanti della terra e li costringe ad erigere una statua alla
bestia. Spinge gli uomini all'idolatria della statua facendo
mettere a morte tutti quelli che si rifiutano. La seconda
bestia è anche definita falso profeta (16, 13). Dalle bocche
del drago, della bestia e del falso profeta escono nove spi­
riti immondi, che vanno a radunare i re della terra per la
guerra «del gran giorno di Dio onnipotente» (16, 14).
Lo scontro fra le schiere angeliche al comando dell’A-
gnello e le schiere del dragone è descritto in modo gran­
dioso: «È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo
nome è Logos di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo se­
guivano su cavalli bianchi, vestiti di bisso bianco e puro.
Dalla sua bocca esce una spada a due tagli affilata per
colpire con essa le genti. Egli le “governerà con scettro di
ferro” (Ps. 2, 9) e pigerà nel tino il vino ribollente della col­
lera di Dio onnipotente. Un nome porta scritto sul mantel­
lo e sulla coscia: Re dei re e Signore dei signori... Vidi allo­
ra la bestia ed i re della terra con i loro eserciti radunati
per muovere guerra contro colui che era seduto sul caval­
lo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con

trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla ter­
ra» (cfr. sopra n. 26). L’individuazione del rapporto fra questa e quel­
la narrata un poco più avanti, riguardante anche il diavolo e tutti
suoi angeli avvenuta in seguito ad uno scontro celeste avvenuto con
Michele ed i suoi angeli (Ap. 12, 9), è collegato all’interpretazione del
simbolo della donna e del figlio maschio da lei partorito. La simbolo­
gia di questo capitolo è stata molto discussa e si sono di volta in vol­
ta suggeriti per identificare la donna realtà quali la Chiesa, Maria, il
popolo di Israele, l’umanità caduta; cfr. P. Prigent, Apocalypse 12.
Histoire de l'exégèse, Tùbingen 1959.

50
INTRODUZIONE

essa 11falso profeta... Ambedue furono gettati vivi nello sta­


gno di fuoco, ardente di zolfo. Tutti gli altri furono uccisi
dalla spada che usciva di bocca al cavaliere; e tutti gli uc­
celli si saziarono delle loro carni» (Ap. 19, 13-21)109.
Il dragone invece viene rinchiuso nell’Abisso per mille
anni. Tale è la durata del regno destinato ai martiri ed a
coloro che si erano rifiutati di adorare la bestia: «Essi ri­
presero vita e regnarono con Cristo per mille anni» (20, 4).
Dopo i mille anni Satana sarà liberato per l’ultimo scon­
tro, al termine del quale «il diavolo fu gettato nello stagno
di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia ed il falso profe­
ta» (20, 10). Essi vengono raggiunti, dopo il giudizio e la
resurrezione generale, dagli ultimi due nemici: la morte e
gli inferi.
L'interpretazione complessiva dell'Apocaiisse dipende
dalle risposte che si danno alle domande: l’intenzione del­
l’autore era quella di incoraggiare una comunità, flagellata
dai colpi della persecuzione, con la prospettiva, da un lato,
dell’annientamento imminente di Satana e di quei perso­
naggi che erano gli esecutori materiali del suoi disegni e,
dall'altro, del premio destinato a coloro che non avrebbero
desistito dalla fede? Si deve, invece, considerare YApocalis-
se come un racconto simbolico non di quanto deve avveni­
re, ma di quanto è già avvenuto per la salvezza degli uomi­
ni e quindi riconoscerne il significato unicamente cristolo­
gico? Se quest'ultima interpretazione è quella corretta, è
necessario ammettere che YApocalisse è stata allora assai
presto fraintesa. Per quanto possiamo dedurre da una tra­
dizione esegetica non molto ricca (lo scritto infatti suscitò
presto dubbi e repulsioni), le interpretazioni più antiche
l’hanno considerata come una profezia sugli ultimi tempi.
Fra gli antichi, Origene è colui che ne ha valorizzato il ca­

109 La traduzione è di Corsini, Apocalisse, cit., p. 471.

51
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

rattere cristologico; ma egli ne cita soltanto alcune parti e


non sappiamo se egli avrebbe interpretato anche le altre
parti del testo sotto la stessa luce110.
Da un punto di vista demonologico, l’A p o c a lis s e è un
punto di riferimento importante non soltanto sotto il pro­
filo teologico, ma anche sotto un profilo iconografico: il de­
moniaco non vi appare soltanto sotto forma di nomi o
azioni ma anche come immagine. Emerge qui un fram­
mento, tanto più prezioso, quanto raro di quel sistema di
immagini che doveva accompagnare il sistema dei concetti
e dei sentimenti suscitato da Satana e i suoi angeli111.

Se collochiamo il Vangelo di Giovanni, che pure appartie­


ne anch’esso all'ultimo quarto del I secolo, sullo sfondo
del quadro ideologico fin qui descritto, risaltano in modo
evidente le sue peculiarità.
Gesù vi è presentato come un essere divino che discen­
de dal cielo sulla terra per togliere i peccati e suscitare la fe­
de e che poi risale al cielo, da dove chiamerà i credenti. Tut­
to ciò che nella prospettiva apocalittica era ancora atteso al­
la parousia, Giovanni lo considera realizzato dalla venuta e
dalla morte di Cristo: la sconfìtta definitiva del «principe di
questo mondo», il giudizio, il conseguimento della «vita eter­
na», premio, già nel presente, della fede (io. 12, 31; 16, 11).
La vita eterna è contrapposta alla vita di questo mondo112,

110 Per la storia dell’esegesi deU'Apocalisse del primi secoli, cfr.


A. Monaci Castagno, I Commenti di Ecumenio e d i Andrea di Cesarea:
due letture divergenti dell'Apocalisse (Memorie dell’Accademla delle
scienze di Torino, Serie V, voi. 5 (1981). II Classe di Scienze Morali,
Storiche e filologiche), Torino 1981, pp. 360-391; 424-425.
111 Cfr. anche Visto Pauli 11*; l’aspetto iconografico è trattato In
Teyssèdre, il diavolo, cit., pp. 260 sgg.
112 R. Schnackenburg, il vangelo di Giovanni, tr. It., Brescia
1977, voi. II, Excursus XII: L ’idea di vita nel Vangelo di Giovanni, pp.
574-599.

52
INTRODUZIONE

dominato dal peccato e sottoposto al potere del maligno;


ma «questo mondo» non è contrapposto a quello futuro, ma
piuttosto al mondo superiore. Quando Gesù dice: «dove so­
no io voi non potete venire* (Io. 7, 34. 36; 8, 21) e: «Dove va­
do, tu per ora non mi puoi seguire; mi seguirai più tardi»
(Io. 13, 36), egli allude ad una forma di esistenza e ad un
luogo successivi alla sua morte, luogo in cui promette an­
che di far entrare i suoi discepoli (cfr. anche Io. 12, 26; 14,
3) ed in cui sarà possibile il raggiungimento di uno stato
che non può essere raggiunto su questa terra. La meta co­
munque non è vista nella prospettiva escatologica futura,
ma in quella verticale del mondo celeste113.
L’interesse dell’evangelista non è più accentrato sulla
contrapposizione presente-futuro, ma sulla contrapposi­
zione terreno-celeste, alto-basso; parallelamente vi è an­
che uno spostamento di interesse dal destino della co­
munità al destino individuale. Alla speranza nella parou-
sia, con i suoi consueti scenari corali ed cosmici, viene
sostituita la speranza individuale di entrare, dopo la
propria morte, nelle «molte dimore della casa del Padre»
(Io. 14. 2).
Da un punto di vista strettamente demonologico, que­
sto Vangelo non presenta elementi nuovi di rilievo; anzi è il
Vangelo che dà meno spazio alle potenze avverse. Tuttavia
esso è significativo anche per il nostro tema perché la sua
prospettiva soteriologica, insieme ad altre correnti di pen­
siero coeve114, verrà recepita nel secolo successivo come

113 ibid.. Excursus XIV: L'escatologia d i Giovanne pp. 699-717.


114 Una vexata quaestio della critica giovannea è l'identificazione
delle influenze che hanno reso questo testo cosi diverso dal Sinottici
e da Paolo: la gnosi o, meglio, la gnosi precristiana, l'essenlsmo, il
pensiero greco, il giudaismo rabbinico, cfr. A. M. Hunter, il dibattito
sul Vangelo d i Giovarmi, tr. it., Torino 1969; E. Kàsemann, L'enigma
del IV Vangelo, tr. it., Torino 1977.

53
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

un punto di riferimento importante di quell’insieme di rap­


presentazioni e riflessioni relativo al destino individuale
dell'anima dopo la morte; destino in cui i demòni recitano
una parte di rilievo. Il tema emerge con prepotenza a parti­
re dal II secolo in ambito sia pagano115, sia cristiano. È no­
to lo sviluppo da esso assunto nello gnosticismo, ma fu ac­
colto e fatto proprio, a diversi livelli di consapevolezza teo­
logica, anche nella Grande Chiesa. I passi che abbiamo ri­
portato dell’Apocalisse di Paolo116, degli Atti di Giovanni117,
di Origene118 riflettono un vissuto religioso in cui all’atte­
sa della parousia, non più considerata imminente, si è ve­
nuta affiancando la prospettiva di un periodo intermedio
in cui l’anima, dopo un viaggio in cui può essere ancora
sottoposta agli attacchi delle potenze avverse, deve salire
al cielo e presentarsi davanti a Dio per sottoporsi ad un
giudizio individuale119.

IV. I SECOLI II E III

IV. 1. La prima metà del Π secolo

Nelle Lettere che Ignazio, vescovo di Antiochia, invia alle


Chiese di Efeso, di Magnesia, di Traile, di Roma e di Smime,
sono frequenti i riferimenti al «principe di questo mondo»120.

115 Apul., De Deo Socr. XVI, 2-3; F. Cumont, Les anges du paga­
nisme, «Revue d’Histoire des Religione» 72 (1915), pp. 158-182.
116 Visio Pauli 11-14*.
117 Ibid. 114*.
118 Ho. Le. XXXV, 1 sgg.*
119 A. Recheis, Engel Tod und Seelenreise. Das Wirken der Gei-
ster beim Heimgang des Menschen in der Lehre der alexandrini-
schen und kappadokischen Vàter, Roma 1958.
120 Sulla terminologia cfr. F. X. Gokey, The Terminology fo r thè DeuU
aridEvilSpirits intheApostolicFaihers, Washington 1961, pp. 70-73.

54
INTRODUZIONE

Come l'Autore dellTlpocaltsse, Ignazio scrive nella duplice


distretta della persecuzione e delle divisioni delle Chiese.
Nell'inigidimento riguardo al dissenso religioso entrambi se­
gnano un punto di svolta. È stato notato che l'Apocalisse è il
primo testo cristiano che attribuisce a coloro che sono rite­
nuti estranei alla retta dottrina un nome proprio: i nicolai-
ti121. Esso è anche il primo testo in cui viene usata l’espres­
sione «sinagoga di Satana», per indicare il contraltare diabo­
lico alle Chiese di Smime e Filadelfia guidate dagli angeli (2,
9; 3, 9). Ignazio usa per la prima volta il termine αΐρεσις, in
senso negativo, per indicare una dottrina errata ed irriduci­
bile a quello che egli ritiene caratterizzare il contenuto au­
tentico della fede. Egli inaugura, per così dire, l’uso tecnico
del termine122. Ma l'atteggiamento più duro e vigile riguardo
al disaccordo dottrinale si esprime anche in una più attenta
classificazione dei diversi modi in cui il diavolo agisce attra­
verso gli individui e nelle situazioni concrete.
Gli eterodossi acquistano lineamenti diabolici: essi sono
belve feroci123 e la ferocia ferina è appunto ciò che caratte­
rizza l’agire del principe del mondo124. Nelle Lettere ignazia-
ne emerge, per la prima volta, in modo esplicito quel tipico
ragionamento circolare, tanto più forte, quanto meno falsifi­
cabile, secondo cui il diavolo è considerato responsabile di
ogni forma di dissenso e, d’altro canto, l’esistenza e l’artico­
lazione stessa del dissenso sono viste come la prova eviden­
te dell’intervento diabolico. Frutto di un tipico ragionamento
circolare è il giudizio di Ignazio sui docetisti che negano la
divinità di Cristo. La dimostrazione che le loro dottrine pro­
vengono dal diavolo è che essi rifiutano di credere ciò che il

121 M. Simonetti, Ortodossia ed eresia fra l e U secolo, nella rac­


colta di suoi saggi dallo stesso titolo, Messina 1994, p. 21.
122 Ibid., p. 23.
123 Ep. Smim. 4, 1; Ep. Eph. 7, 10.
124 Ep. Rm. 7, 1-2*. A < 0 R!$
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

principe di questo mondo non ha potuto loro insegnare, in


quanto egli stesso ne è stato all’oscuro: le circostanze
straordinarie della sua nascita verginale e della sua morte
che, per prime, depongono a favore della sua divinità125.
La concezione paolina della salvezza come unione di
tutti i credenti in Cristo e come sottomissione, esclusiva
di ogni altra, alla sua signoria si carica, in Ignazio, di forti
valenze istituzionali. All’unione dei credenti in Cristo, che
pur rimane sullo sfondo, si sovrappone l’unione di tutti i
fedeli con il proprio vescovo; alla concezione esclusivistica
della sottomissione a Cristo si giustappone la concezione
della sottomissione al vescovo, sì che sottrarsi ad essa si­
gnifica, tout court, ricadere in una forma di sottomissione
e di culto a Satana126.
La presenza minacciosa del principe di questo mondo e
la certezza dell’imminenza della fine sono sullo sfondo an­
che della Lettera pseudoepigrafa di Barnaba: «I tempi - di­
ce Barnaba - sono tristi»127; «la fine è vicina», bisogna stare
in guardia che il nero nemico128, all’ultimo momento, non
«ci scagli via dalla salvezza, come pietra dalla fionda»129.
Nel Pastore di Erma percepiamo un ulteriore cambia­
mento di atmosfera; toma con insistenza un tema che la lu­
ce irradiante dalla salvezza operata dal Cristo aveva lasciato
fino a questo momento in ombra: il timore della potenza di
Satana e della sua capacità di condurre l’uomo a peccare.
L’Autore non appartiene alla gerarchia ecclesiastica, ma
- secondo una topica apocalittica - ha ricevuto da esseri
celesti particolari rivelazioni con l’incarico di comunicarle
ai presbiteri e ai fratelli nella fede. La rivelazione più impor­

125 Ep. Eph. 19. 1-3*.


126 Ep. Smim. 9, 1; Ep. Magn. 6, 1; Ep. Eph 5, 3.
127 Ep. 2. 8.
128 Ep. 4*.
129 Ep. 21, 3.

56
INTRODUZIONE

tante consiste nella concessione di una seconda penitenza


successiva al perdono dei peccati ottenuto con il battesimo
ed il motivo di tale concessione è indicato dall’angelo
nell’intreccio fra debolezza umana e forza demoniaca, que-
st'ultima considerata un’attenuante del peccato130.
Una valutazione pessimistica delle reali possibilità del­
l’uomo di contrapporsi all'attacco delle potenze avverse
non è soltanto di Erma, ma anche della Chiesa cui appar­
tiene e per cui scrive: più volte egli fa dire all’angelo di
non avere paura del diavolo131. Per allontanare tali timori
non è più sufficiente il richiamo tradizionale alla fede in
Dio, se l’angelo vi aggiunge la promessa di aiutare l’uomo
nella sua impresa: «Io, l’angelo della penitenza che vince il
diavolo sarò con voi. Il diavolo dispone soltanto del timo­
re, ma questo timore non ha vigore, non lo temete dunque
ed egli fuggirà da voi»132.
Per valutare il cambiamento di prospettiva di cui Erma
si fa portavoce è significativo il confronto con l’Epistola
agli Ebrei, un testo che precede il Pastore di circa quaran-
t’anni; nell'Epistoia il carattere espiatorio del sacrificio di
Cristo e la sua vittoria sul diavolo (2, 14) è la premessa
teologica all’idea deU’irreparabilità della caduta quando
essa avviene dopo aver partecipato «dello Spirito Santo» e
«della buona parola di Dio» (6, 4-5).
Nel Pastore, invece, il tema della morte e della resurre­
zione di Cristo come sconfìtta delle potenze non compa­
re133 e con ciò viene meno lo sfondo cosmico in cui la bat­
taglia impari dell’individuo contro le potenze poteva trova­
re il punto di appoggio, la leva in grado di riequilibrare le

130 Mand. IV, 3, 4*.


131 Mand. XII, 5, 1-4*.
132 Mand. XII, 3, 7.
133 Sulla cristologia di Erma, cfr. Simonetti, Ortodossia, cit., pp.
25-26.

57
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

forze in campo. Di contro, Erma contempla la possibilità


di una seconda penitenza e l’intervento dell’angelo a fian­
co dell’uomo, riuscendo così a comporre un nuovo equili­
brio nella battaglia quotidiana dell’uomo contro i numero­
si spiriti maligni che vogliono abitarlo.

Erma viene spesso considerato una figura limite. Nella


Chiesa antica ebbe un prestigio grandissimo, grazie al
quale la penitenza potè essere difesa contro tutti gli aspri
attacchi successivi ed entrare nella disciplina ecclesiasti­
ca. Tuttavia, in quanto profeta visionario, in una Chiesa
in cui queste figure vengono emarginate parallelamente
al rafforzarsi della struttura ecclesiastica, Erma appare
come l’ultimo rappresentante di una cultura religiosa il
cui referente principale è il giudaismo, cultura che sa­
rebbe stata di lì a poco eclissata da un’altra, avente come
referente principale l’ellenismo. Se ci è consentita una
metafora sportiva, il tutto accadrebbe come nella staffet­
ta, gara in cui ciascun membro della squadra percorre
una frazione di percorso per passare il testimone al com­
pagno cui è affidato la frazione successiva. Questo modo
di vedere le cose ha un’indubbia utilità espositiva e con­
tiene molti elementi di verità, tuttavia non coglie la reale
complessità delle cose. Martin Hengel134 ha dimostrato
per la Giudea del I secolo gli errori in cui si può incorrere
utilizzando concetti quali «giudaismo» e «ellenismo» come
se fossero entità del tutto differenti e chiaramenti deter­
minabili.
Il passaggio del testimone che avvenne verso la metà
del II secolo non ebbe come protagonisti categorie di pen­
siero già da lunghissimo tempo incontratesi ed intrecciate­
si sì da rendere problematica, ad ogni sguardo ravvicinato,

134 L'"EUenizzazione·, cit.

58
INTRODUZIONE

ogni rigida distinzione. Esso avvenne tra persone concrete,


tutte in grado di esprimersi in greco, ma di cui soltanto al­
cune, per censo, provenienza familiare, talenti personali,
avevano ricevuto un’educazione secondo Γέγκύκλιος παι­
δεία. Da questo momento furono queste a venire in primo
piano, sospinte ad occupare quella posizione dalle neces­
sità della propaganda e delle controversie dottrinali che
avevano come controparte personaggi della stessa forma­
zione culturale. Furono queste le persone che, nell’accu­
mulo dei materiali depositati nei secoli precedenti, riapri­
rono strade abbandonate e disegnarono nuovi percorsi.
Gli «altri», quelli che per censo, per nascita, inclinazione
personale, non parteciparono della stessa formazione cul­
turale e rimasero ai margini, per impossibilità o semplice
disinteresse, delle tempeste dottrinali che sconvolsero le
Chiese fra II e III secolo, non per questo smisero di espri­
mere l'esperienza del male e la speranza della liberazione,
ma continuarono ad alimentare antiche tradizioni e le rein-
terpretarono con accenti propri secondo i generi letterari
delle «visioni», delle «apocalissi», degli «atti», dei «vangeli».
Il nuovo, insomma, non sopprime affatto il vecchio, ma
vi si aggiunge. Come in un ghiacciaio millenario, la conti­
nua frizione fra i diversi strati nel lento movimento com­
plessivo porta in superfìcie ed espelle un corpo, un mate­
riale, così anche nelle credenze demonologiche soltanto do­
po molto tempo alcune idee o rappresentazioni vengono ri­
conosciute ormai estranee e alla fine abbandonate.

IV. 2. Gli intellettuali135

IV. 2. a. Il confronto con i culti e le religioni dell’impero

A partire dalla metà del II secolo appare nelle comunità

135 Riprendo qui, in forma ampliata, due contributi precedenti:

59
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

cristiane delle principali città dell’impero una figura fino a


quel momento inedita: l’intellettuale136. Giustino, Taziano,
Atenagora, Minucio Felice, Tertulliano, Clemente Alessan­
drino, Origene, pur essendo uomini di idee molto diverse,
avevano in comune una stessa formazione culturale: alcu­
ni di loro, essendo professori ed avvocati, facevano parte
di diritto dell'élite culturale dell'impero: tutti si sentivano
investiti di un compito che, in quegli anni e per il gruppo
ristretto di persone cui in particolare si rivolgevano, appa­
riva ai loro occhi pressante: chiarire e difendere la posizio­
ne del cristianesimo riguardo alle filosofìe, alle religioni,
alle istituzioni politiche del mondo greco-romano.
Nell’interazione complessa di elementi ideologici, sociali,
congiunturali, che sfociò nel IV secolo neH’affermazione del
cristianesimo, viene solitamente riconosciuta a questo
gruppo di intellettuali una parte importante nella costru­
zione di quel ponte ardito quanto duraturo fra. Geru­
salemme e Atene, su cui sarebbero passate, più spedite, le
generazioni successive. Si lascia, però, quasi sempre
nell’ombra il fatto che proprio costoro, 1’intelligencga del
cristianesimo del tempo, considerarono necessaria alla riu­
scita della loro impresa la demonologia, che occupa nei lo­
ro scritti un posto di primo piano. Il fatto incontrovertibile

L a demonologia cristiana fr a ì l e U I secolo. In Π. demonio, c it, pp. 111-


150 e La demonologia origeniana f r a speculazione filosofica e preoccu­
pazioni pastorali. In L'autunno, cit., pp. 231-248.
136 Sull'applicabilità di questa categoria al mondo antico: Il co
portamento dell'intellettuale nella società antica, Genova 1980; cfr. in
particolare la premessa metodologica di M. Mazza, L'intellettuale co­
me ideologo. Flavio Filostrato ed uno *speculum principis· del ΠI secolo
d. C., pp. 33-66, la cui definizione (p. 35): «l’intellettuale come media­
tore tra la produzione culturale e la società, l’intellettuale come orga­
nizzatore di cultura ed ispiratore della società civile», potrebbe adat­
tarsi con gli opportuni aggiustamenti anche alla figura dell’intellet­
tuale cristiano coevo.

60
INTRODUZIONE

che, ad esempio, Origene, uno dei rappresentanti più alti


della cultura del tempo, sia stato anche uno dei più «inven­
tive diabologists»137 della tradizione cristiana, solleva que­
stioni che rivelano l’insufficienza dei modi con cui si guar­
da di solito alla demonologia; come, cioè, coacervo piutto­
sto disarticolato di credenze, di pratiche e di comportamen­
ti; come frutto avvelenato di un mondo in cui l’irrazionale
sembra prendere il sopravvento sulla ragione; come malat­
tia mentale o come espressione di un pensiero marginale
«popolare», in bilico fra magia e superstizione138. Negli au­
tori di cui ci occuperemo la demonologia appare piuttosto
come un complesso modello concettuale - un paradigma -
in grado di riassorbire in una teoria generale i «rompica­
po»139 emergenti dal confronto ravvicinato con le religioni,
la filosofia, le istituzioni del mondo greco-romano.
Un primo enigma era rappresentato dall’efficacia degli
dèi140. La serietà del problema va colta sullo sfondo del ri­
lievo assunto dai temi del potere divino, dei miracoli e delle
profezie, sia in ambito cristiano, sia in ambito ellenistico,
quali «prove» della divinità del cristianesimo come di altri
nuovi culti. I Vangeli e gli Atti, degli Apostoli canonici ai
quali si affiancavano un gran numero di altri Vangeli ed At­
ti, considerati apocrifi soltanto a partire dalla fine del II se­
colo, insistevano molto su questi aspetti141. La maggioran­

137 J. B. Russell, Satan, cit, p. 123.


138 Oltre alle indicazioni bibliografiche delle nn. 1, 4, cfr. F. Bol-
giani, Dei, astri e demoni negli scrittori cristiani dei primi secoli, in
L’autunno, cit, pp. 217-218.
139 Riprendo qui la terminologia di T. S. Kuhn, La struttura dette
rivoluzioni scientifiche, tr. it., Torino 19782.
140 Athen., Leg. XXIII, 1 riferisce una possibile obiezione dei pa­
gani: «Per quale motivo alcuni idoli compiono meraviglie se non sono
dèi quelli nel cui onore eleviamo le statue?».
141 H. C. Kee, Mirade in thè Early Christian World. A Study in So-
ciohistorical Method. New Haven 1983: H. Remus, Pagan-christian

61
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

za dei pagani la pensava esattamente nello stesso modo ed


agiva di conseguenza: si recavano nei templi, facevano sa­
crifìci, elevavano preghiere agli dèi e questi rispondevano
con oracoli, miracoli e guarigioni. Le testimonianze archeo­
logiche e soprattutto epigrafiche testimoniano, a partire dal
II secolo, il rifiorire degli oracoli, il restauro ed abbellimento
dei principali centri di culto. Le critiche dei filosofi contro
gli antropomorfismi degli dèi e le loro pressioni verso una
religiosità più spirituale non uscivano dall’ambito delle
scuole e dei pochi addetti ai lavori. La maggioranza della
gente continuava a sentire come prima la vicinanza degli
dèi che sembravano conservare intatta la loro capacità di
beneficare e di colpire142. Ciò costituiva una seria difficoltà
agli occhi dei cristiani, non soltanto per esigenze propagan­
distiche, ma anche per ciò che riguardava problemi altret­
tanto sentiti di autocomprensione e autodefìnizione: se è
vero soltanto il Dio dei cristiani, perché gli dèi guarivano?
Perché erano in grado di prevedere il futuro?
La risposta unanime fu che gli dèi efficaci nelle statue,
nei sogni, negli oracoli fossero in realtà demòni; per alcuni,
figli di un’unione mostruosa avvenuta in tempi imprecisati
fra un gruppo di angeli ribelli e di donne143; per altri, ange­
li che si erano ribellati a Dio144. In quanto partecipi, sebbe­
ne in forma assai degradata, della natura angelica essi
hanno poteri superumani; tuttavia, in quanto segnati dal
loro peccato iniziale, essi sono malvagi e infieriscono sugli

conflict in thè Second Century, Cambridge 1983.


142 R. L. Fox, Pagani e cristiani tr. it., Bari 1991, pp. 52-276.
143 Iust., Π Ap. 5-6*; Athen., Leg. XXIV, 4-5*; Tert., Apoi. XXII,
3*. Sulla presenza del Libro di Enoch nel primi secoli cfr. infra n. 145.
Non sembra invece aver avuto un’eco particolare Ps. 96,5 che, secon­
do i LXX, recita: «Tutti gli dèi delle nazioni sono demòni».
144 Tat., Orat. 7*; Min. Fel., Oct. XXVI. Sui greci, cfr. Ο. H. Wey,
Die Funktionen der bòsen Geister bei den grìechischen Apologeten des
zweiten Jahrunderts nach Christus, Winterthur 1957.

62
INTRODUZIONE

uomini, sia insegnando loro scienze che li danneggiano,


sia con il sostenere e diffondere il culto degli dèi.
Gli scrittori cristiani riproponevano, sia pure molto li­
beramente, il mito degli angeli vigilanti145. Tale continuità
è un segno del profondo radicamento degli antichi raccon­
ti giudaici nell’immaginario cristiano e tuttavia il riallac­
ciarsi ad essi avveniva, per così dire, in controtendenza
con gli sviluppi del pensiero giudaico nel periodo più vici­
no all’era cristiana. Appartengono, infatti, al I secolo VA-
pocalisse di Mosè e la Vita di Adamo ed Èva146 che pongo­
no al centro della riflessione sull’origine del male la cadu­
ta di Adamo, offrendo amplificazioni leggendarie dell’epi­
sodio genesiaco. Nello stesso arco di tempo sono state
composte II Baruch e IV Esdra, due apocalissi in cui il mi­
to della caduta angelica è accantonato a favore di altre in­
terpretazioni147. Il rilancio dei miti sul peccato angelico
costituisce un’importante spia della direzione degli inte­

145 Fra secondo e terzo secolo, l’atteggiamento degli scrittori cri­


stiani riguardo al Libro di Enoch cambia: da una accettazione senza
riserve come libro Ispirato, come ad esempio Tertulliano (De cult.
foem. 1,2, 1) si passa ad un atteggiamento più riservato in quanto
non gli si riconosce più tale qualità (così Origene, C. CeL V, 52-54).
Cfr. F. Gori, Gli apocrifi e i Padri, in A. Quacquarelli (a cura di). Com­
plementi interdisciplinari di patrologia, Roma 1989, pp. 227-228. Cfr.
Tert. Apoi. XXII, 1* n. 5; e infra n. 252; C. Pietri, Sctìnts et démons:
l’héritage de l’hagiographle antique, in Santi e demoni nell'Alto Me­
dioevo Occidentale (secoli V-XI) («Settimane di Spoleto·, 36), Spoleto
1989, T. I, pp. 36-46.
146 Cfr. infra APt Vili*.
147 Ad es., come in IVEsdra, la presenza nell’uomo di un’inclina­
zione perversa: il cor malignum: P. Sacchi, Per una storia dell'apoca­
littica, in P. Sacchi, cit, pp. 154-169. La frase che Giustino la dire a
Trifone, il suo interlocutore ebreo del Dialogo (LXXXV, 1: «È blasfemo
dire che gli angeli hanno agito malvagiamente e si sono allontanati
da Dio»), è forse l'eco dell’imbarazzo suscitato negli ambienti rabbini­
ci dal miti sul peccato degli angeli.

63
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

ressi che stanno alla base del gruppo di testi di cui ci stia­
mo occupando. Essi non hanno di mira il problema
astratto dell’origine del male, ma l’origine dei demòni e la
loro azione in punti nevralgici delle realtà individuali e
collettive: la salute, i rapporti con il potere politico, il dis­
senso religioso. In tal senso, i diversi racconti della caduta
angelica offrivano una messe ricchissima di spunti, per­
ché già nel loro ambiente di origine avevano dato voce ad
una critica radicale della società e della cultura148.
Neirtndividuare nell’equivalenza dèi-demòni una leva
essenziale per scalzare l’edifìcio delle credenze e dei culti
tradizionali, entrarono in gioco non soltanto le tradizioni
pseudoepigrafe giudaiche. Esse venivano accolte e com­
prese anche alla luce del vasto patrimonio di tradizioni
folcloriche, rappresentazioni letterarie e speculazioni filo­
sofiche presenti nel retaggio culturale greco in cui gli apo­
logisti cristiani erano stati formati. Gli intellettuali cristia­
ni scelgono come bersaglio polemico soprattutto la demo­
nologia filosofica che, in modo speciale nei primi due se­
coli, rappresenta un argomento dibattuto all'interno dei
vari indirizzi. Punto di riferimento costante è la riflessione
platonica che aveva legato strettamente i demoni al culto:
esseri di mezzo fra gli uomini e gli dèi, partecipi della na­
tura degli uni e degli altri, essi potevano esserne i media­
tori, portando al cielo le offerte e le preghiere degli uomini
e recando a questi i benefìci degli dèi149. Nei secoli succes­
sivi, con il ritrarsi del divino in zone sempre più inaccessi­
bili agli uomini, i demoni diventano ancora più necessari
come mediatori fra i due ordini: esseri benefìci che invia­

148 Cfr. sopra pp. 18-19.


149 Plat., Symp. 202 d-e; cfr. anche Epin. 984 d-e. Platone era
l’erede di una lunga tradizione: M. Detienne, De la pensée religieuse
à la pensée philosophique. La notton d a Daimon dans le pythagorisme
ancien, Paris 1963.

64
INTRODUZIONE

no sogni divinatori, compiono guarigioni, si prendono cu­


ra degli uomini nei momenti di difficoltà, sovrintendono
all’ordine della natura150. Nelle scuole filosofiche del tem­
po, insomma, i demoni ed i culti tradizionali erano dun­
que questioni strettamente connesse; per un cristiano
non ignaro di filosofìa doveva apparire plausibile imposta­
re la questione nello stesso modo e altrettanto evidente la
necessità di sveltire la vera natura del legame che univa i
demoni al culto, così come egli l'aveva appresa da tradi­
zioni antiche e venerande.
Il punto di vista cristiano relativo ai demòni era però
grado di far presa anche sotto altri aspetti. La credenza
nell’esistenza di potenze maligne era largamente diffusa an­
che nella cultura greca, non soltanto a livello di tradizioni
folcloriche, ma anche di tradizioni «alte», come la letteratu­
ra151 e la filosofia, anche se, all’interno di uno schema in­
terpretativo di matrice platonica, ciò poteva suscitare qual­
che imbarazzo152. Questo è ben documentato per i primi
due secoli dell’impero153, sull’onda di una cultura sempre

150 Su questa evoluzione cfr. C. Zintzen, Geister (Dàmonen) in


RAC, voi. IX, coll. 640-668; A. Dillon, The Middle Platonists: A Study
o/Platonism 80 b.C. to a.D. 220, London 1977, pp. 46-47; P. Donini,
Nozione di ■daimon· e di intermediario nellafilosofia tra il I e l l a secolo
d.C., in L'autunno, cit., voi I, pp. 37-50; U. Bianchi, Sulla demonolo­
gia del medio- e neoplatonismo, in L'autunno, cit, pp. 51-62.
151 E. R. Dodds, I Greci e l'irrazionale, tr. it., Firenze 1959, pp.
54 sgg.; F. E. Brenk, I veri demoni greci *nella nebbia ammantellati·?
Esiodo e Plutarco, in L'autunno, cit., pp. 23-35: in questa prospettiva
i daimones sono anime di uomini defunti.
152 Dillon, cit., p. 47. Cfr. infra C. Cel. VI, 42-43*: l’interpretazio­
ne allegorica dei miti, la gerarchizzazione del mondo demonico erano
gli strumenti con cui un intellettuale del II secolo poteva cercare di
interpretare e rendere plausibile un insieme di tradizioni e rappre­
sentazioni non meno eterogeneo di quello cristiano.
153 piutarco talora afferma che i demòni malvagi non dovrebbero
esserci perché ogni cosa ha il suo posto sotto il governo della prowi-

65
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

più influenzata dalle religioni orientali e incline a dare cre­


dito al meraviglioso in tutte le sue forme e gradazioni154.
Collocata su tale sfondo, la novità della demonologia
cristiana consiste, dunque, più nell'intreccio fra i diversi
elementi che non nei singoli aspetti; anche da questo
punto di vista, possiamo dire che «thè old was not obsole­
te and thè new was not incomprenhensible»155.

L'identificazione dei demòni con gli dèi è il perno su cui


ruota la reinterpretazione delle tradizioni religiose e dei
culti pagani. Dal primo punto di vista, l’attenzione si con­
centra, ovviamente sulla letteratura: è attraverso l’incanto
della poesia e il fascino dei racconti che le generazioni
hanno appreso le gesta, i caratteri, i nomi degli dèi. Dalla
prospettiva cristiana, tutto questo non è che un’«invenzio-
ne» dei demòni; sono infatti costoro ad aver ispirato i poeti
ed i mitologi: in qualche caso inventando tutto di sana
pianta; in altri casi, se la realtà delle cose narrate non po­
teva essere negata, suggerendo ai poeti l’idea di attribuire
tali fatti agli dèi, di cui gli stessi demòni hanno suggeriti i
nomi. Essi non hanno semplicemente inventato, ma si so­
no ispirati, sia pure maldestramente, alle profezie del-

denza di Dio (De Stoic. repugn. 37), In altri casi ammette che essi so­
no responsabili delle pestilenze, della rovina dei raccolti, delle guerre
e delle discordie civili (De defec. oraculorum 13-14), dei culti riprove­
voli (De Iside 25-27;73). Cfr. sull’argomento: Dlllon, cit, p. 47; G.
Souiy, La demonologie de Plutarque, Paris 1942, pp. 44 sgg.; Y. Ver-
nière, Symboles et mythes dans la pensée de Plutarque. Paris 1977,
p. 258; F. E. Brenk, In thè Light of thè Moon: Demonology in thè Early
Imperiai Period, in A. N. R. W. II, 16. 3, p. 2089; C. Moreschlni, il de­
mone nella cultura pagana dell'età imperiale, in II demonio, cit, pp.
78-81.
154 B. P. Reardon, Courants littéraires grecs des IIe et IIIe siècles
aprèsJ.-C., Paris 1971, pp. 237 sgg.
155 A. D. Nock, Conuerston, Oxford 1933, p. 253.

66
INTRODUZIONE

ΓΑΤ156- La singolare teoria del plagio ha soprattutto lo sco­


po di rispondere a domande del tipo: perché i miti ellenici
presentano aspetti molto simili a quanto viene narrato dal­
la storia sacra? Perché i loro culti presentano tratti simili a
quelli cristiani?157 Interrogativi, come si vede, spesso solle­
vati dal confronto con altre religioni e che riflettevano obie­
zioni realmente mosse al cristianesimo158. Sullo sfondo
della teoria del plagio vi è un’idea già utilizzata dall’apolo­
getica giudaica159: la sapienza delle nazioni non era che
un’imitazione di quella, ben più antica, dei Giudei. Ma i
cristiani, che individuano proprio nei demòni gli artefici
delle tradizioni religiose concorrenti, recidono nettamente
anche quel tenue barlume di verità che esse potevano con­
servare in quanto, appunto, imitazioni del vero.
È interessante notare anche un altro aspetto: l’inter­
vento dei demòni è visto come una strategia coerente, or­
ganizzata, i cui punti di forza sono la manipolazione della
verità e la propaganda accorta di questa pseudo-verità. I
cristiani attribuivano ai demòni intenti ed abilità tali da
renderli i primi «persuasori occulti», i veri pubblicitari
dell’antichità.
È tuttavia nei molteplici aspetti del culto che i cristiani
scorgono la mano invisibile dei demòni. Il motivo profondo
del loro agire non è individuato nel desiderio di essere Dio
- motivo che pure ha una parte di rilievo nella riflessione
cristiana sul diavolo160 - ma nella loro sensualità: essi

156 IA p. 54*; cfr. anche: IAp. 25; DtaL LXIX; Tert, Apoi, XXII, 9*
XXIII, 2*; T at, Orat 8-10*: 36-41. Diversa la posizione di Atenagora
ILeg. XXVI, 1*) e Clemente Alessandrino: oltre p. 99.
157 Iust., IAp. I, 62, 1-3*; 66, 3-4*; Tert, Depraesc. haer. 40, 1-4*.
158 Per esemplo Celso in Oiig., C. CeL I, 67: III, 37.
159 M. Fedou, Christianisme et reiigiorts paiennes dans le Contre
Celse d’Origène, Paris 1988, pp. 477-503.
160 A I 10, 11-13*.

67
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

promuovono ovunque i sacrifìci perché ne hanno un biso­


gno fìsico: ne amano ì profumi, ne aspirano avidamente il
fumo, si nutrono del sangue che gronda dalle vittime161.
I luoghi di culto più antichi e venerati, così come quelli
di recente istituzione, hanno tutti la medesima origine: le
potenze maligne li hanno eletti a loro stabile domicilio, atti­
rate talora dalle magie di abili maghi, e inducono la gente a
credere che lì più che altrove si manifesti la potenza di un
dio162. Nei templi si ricevono oracoli, sogni premonitori; si
interpretano i segni provenienti dai visceri degli animali, dal
volo degli uccelli. I cristiani accettavano, come la maggior
parte dei loro contemporanei, che in determinate condizioni
e con certe procedure gli uomini ricevessero in quei luoghi
le risposte ai loro quesiti riguardanti il futuro163. D’altro
canto, era altrettanto condivisa l’idea che la veridicità delle
profezie fosse una prova infallibile della divinità. Cosi i cri­
stiani si trovarono di fronte alla contraddizione di ritenere
le predizioni veraci, e, nello stesso tempo, ispirate dalle po­
tenze malvagie. Si tentò di superare l’aporia, cercando di li­
mitare o di negare l’effettiva preveggenza delle potenze mal­
vagie, ma nel far questo fu giocoforza arricchire il ritratto di
queste potenze di aspetti inediti. La spiegazione più inge­
gnosa è quella di Tertulliano che descrive i demòni come
spiriti alati in grado di spostarsi velocemente da un capo
all’altro del mondo e quindi di millantare capacità profeti­
che che in realtà non hanno164. Più sottile è la spiegazione
di tipo psicologico: i demòni sfrutterebbero, facendole appa­
rire come effetti del loro intervento, le facoltà inerenti
all’anima immortale individuale che, quando è guidata dal­

161 Athen., Leg. XXVI, 1*; Tert., ApoL XXII, 6*; Clem. Alex., Protr.
II, 40, 1*; Orig., C. CeL III, 37; III, 29; VII, 5, 6.
162Tert., De spect. XIII, 2*; Orig., C. CeL III, 34. 36.
163 Athen., Leg. XXIII, 2; XXVI, 3*; Orig., C. CeL IV, 92; VII, 4.
164Tert., ApoL XXII, 8; 10*.

68
INTRODUZIONB

la ragione, può, in certi casi, sia prevedere il futuro, sia in­


dividuare soluzioni efficaci per i mali presenti165.
Se una spiegazione di tipo psicologico poteva essere
plausibile per fenomeni quali sogni, visioni, profezie, essa
risultava debole per quanto riguardava altri fenomeni: ad
esempio i miracoli di guarigione che pure - secondo quan­
to era comunemente accettato - avvenivano nei templi o
in altri luoghi in seguito all'intervento di maghi che riusci­
vano a provocare l'intervento risanatore del dio.
Dietro tutti questi «fatti» vi era, secondo i cristiani, l’in­
visibile intervento dei demòni; come, però, esso poteva es­
sere conciliato con l'effetto benefico finale? Se i malati
guarivano, come si poteva dissuaderli dall’awicinarsi ad
Asclepio? È in fondo il buon senso che spinge Celso ad af­
fermare che - se mantenuto nei giusti limiti - non c’è nul­
la di male neU’onorare i demoni, se si preferisce la buona
salute alla malattia166. Pur con sensibili differenze, le ri­
sposte degli autori di cui ci occupiamo collimano nelle li­
nee generali: essi non negano che vi siano, in certi casi,
guarigioni, ma sostengono che queste sono l’ultimo atto
visibile di una strategia invisibile adottata dalle potenze
per spingere gli uomini ad adorarle:
«Così incombendo su di noi, ci piegano dal cielo verso il
basso, ci distolgono dal vero Dio verso la materia, ci rendo­
no infelici, ci turbano il sonno e, insinuandosi occultamen­
te perfino nei nostri corpi, da quegli spiriti impalpabili che
sono, suscitano malattie, turbano cervelli, straziano mem­
bra, per costringere gli uomini ad onorarli, per far mostra
di aver guarito ed allontanato proprio quei mali da cui li
avevano oppressi, dopo che costoro li hanno saziati con
l’effluvio degli incensi o col sangue delle vittime»167.

165 Athen., Leg. XXVII, 1-2*.


166 Orig., C. C e l Vili, 58*.
167 Min. Fel., Oct. XXVII, tr. Paratore, Bari 1971, p. 55. Cfr. an­

69
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

L’unica vera salvezza consiste nell’abbandonare il cul­


to degli dèi, sottraendosi così definitivamente al circolo vi­
zioso in cui l’uomo, prima che beneficato, è vittima ed in­
consapevole attore di una rappresentazione messa in sce­
na dalle potenze.
Per uno spirito radicale come quello di Tertulliano168,
sottrarsi al culto non significa soltanto evitare la parteci­
pazione ai sacrifìci e la frequentazione dei luoghi ad essi
deputati; significa anche tenersi lontani da ogni spazio
cittadino, da ogni occasione legati sebbene lontanamente
alle credenze ed ai culti pagani: tutto deve essere conside­
rato un pericoloso focolaio di infezione demoniaca. L’idea
che in ogni circostanza, sia pure debolmente connessa ai
miti ed ai culti degli dèi, siano all’opera i demòni che la
usano ai loro fini non consente più l'esistenza all'interno
della città di aeree o di comportamenti neutri. Dalla parte­
cipazione agli spettacoli, ove il contagio demoniaco tocca
la massima virulenza, fino al gesto - reso innocente da
un’antica consuetudine - di appendere una corona sulla
porta di casa, tutto, nella prospettiva di Tertulliano, con­
corre sullo stesso piano alla strategia micidiale dei demò­
ni169. Agli occhi di chi avesse condiviso il suo punto di vi­
sta, la città intera con i luoghi di ritrovo adomati di statue
e di simboli pagani diventava luogo infernale; le attività

che: Tat., Orat. 16-18*; Tert., ApoL XXII 11-12*; l’autore che sì è In­
terrogato più a fondo sul potere dei demoni è Origene: Co. Mt. XII, 2;
XIII. 6; Co. Io., XX, 315; C. CeL Vili, 60-61*.
168 De Idolo. 14-16*; De specL XIII, 1-5*. Cfr. anche Tat., Orat 17*.
169 «Le “siècle" s’est assombri et cornine dynamisé; il n’est plus
seulement le domaine de la Vanlté, il est devenu l’empire du démon:
l'idolàtrie, qui en est la manifestation, et qui constitue pour notre
auteur la pom pa diaboli, sert de machine de guerre contre les fldèles»
(R. Braun, Les paiens Juges des chrétiens: un thème parènétique de
Tertullien, in Id., Approches de TertuIUen, uingt-six études sur l'auieur
et sur l'oeuure, Paris 1992, p. 408).

70
INTRODUZIONE

economiche170 e le relazioni sociali, segnate da convenzio­


ni, abitudini, pratiche solidali con lo stesso patrimonio
culturale171, sarebbero divenute impossibili. I cristiani sa­
rebbero stati veramente come quelli descritti con scherno
dal pagano Cecilio: «Non frequentate gli spettacoli, non
assistete alle processioni, i pubblici banchetti si tengono
senza di voi, le gare sono per voi un sacrilegio, aborrite
dai cibi e dalle bevande già consacrati sugli altari. Tanto
temete gli dèi di cui negate l'esistenza! Non vi intrecciate
fiori sul capo, non vi rendete attraente la persona con pro­
fumi: riservate gli unguenti ai cadaveri, negate le ghirlan­
de anche ai sepolcri, vivendo pallidi, trepidanti, degni di
misericordia, ma da parte dei nostri dèi»172.
Le parole di Cecilio sono al servizio dell'intenzione sot­
tilmente apologetica del cristiano Minucio Felice che, fa­
cendolo parlare in tal modo, coglie l’occasione di esaltare
indirettamente la coerenza dei costumi morali dei cristia­
ni. Di contro, gli aspri rimproveri espressi da Tertullia­
no173 per i comportamenti da lui ritenuti pericolosi fanno
luce sull’ effettivo comportamento dei cristiani che, alme­

170 Nel De Idolo. l'Afrlcano redige una lunghissima Usta di lavori


che in modi più o meno diretti sono compromessi con l'idolatria e
quindi proibiti al cristiani: tutte le attività artistiche ed artigianali
coinvolte con la progettazione, costruzione, decoro dei luoghi e degli
strumenti di culto e inoltre l'astrologia, l’insegnamento, il commer­
cio, l’assunzione di qualsiasi carica civile (cfr. anche De cor. XIII, 7;
De spect. XII, 5). Cfr. G. Filoramo-S. Roda, Cristianesimo e società
antica, Bari 1992, pp. 92-105.
171 Per Tertulliano sono, ad esempio, espressioni di Idolatria an­
che quei biglietti tradizionali contenenti foimule di giuramento per gli
dèi con cui i cristiani ringraziavano amici pagani che avevano presta­
to loro del denaro (De Idolo. 23); cfr. J. H. Waszink-J. C. M. van Win-
den, A partìcular kind ofldolatry, «Vigiliae Christianae» 36 (1982). pp.
15-23.
172 OcL XII, tr. E. Paratore. Bari 1971, p. 22.
173 De spect. XIII, 1-5»; XXVI-XXVII*; De idolo. 14-16*.

71
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

no a Cartagine, appaiono piuttosto restii ad adottare uno


stile di vita così austero e separato dal resto della società.
A questa pars destruens corrisponde una pars con­
struens: l’abbandono degli dèi è presentato come un pas­
saggio sotto la protezione di una potenza infìnatamente
superiore che può mettere al riparo il giusto dagli attacchi
dei demòni174.
La «prova» dello scarto di potenza esistente fra il Dio
dei cristiani e gli dèi ellenici è il successo degli esorcismi
cristiani: questo è il vero e proprio cavallo di battaglia dell’
apologetica di questo secolo175. Il solo Tertulliano, per ca­
rattere e form a mentis, ha l'audacia di convocare i pagani
ad assistere in tribunale ad una vera e propria esibizione
esoreistica176, ma i temi essenziali sono condivisi da tutti:
gli dèi, che i pagani temono di abbandonare per non met­
tere in pericolo la salute, i beni, la prosperità delle loro
città, fuggono tremanti davanti al nome di Gesù Cristo e,
con il confessare appunto di essere demòni, offrono la di­
mostrazione più convincente della divinità e della potenza
del Dio invocato177.

IV. 2. b. I demòni ed il potere politico

La facies con cui il cristianesimo intendeva presentarsi


alla società colta del II secolo era la più rassicurante
possibile: continuatore di quanto di meglio aveva prodot­

174 Orig„ C. CeL Vili, 58*.


175 Non soltanto cristiana; anche Filostrato sottolinea gli esorci­
smi del suo eroe Apollonio: Vita ApolL IV, 20.
176 A p o i XXIII, 4*.
177 Iust.; II Ap. 5*; Dial. XXX, 3; LXXV1, 6; XLIX, 8; CXI, 2; Min.
Fel., Oct. XXVI; Cypr., A d Demetr. XV; Orig., C. Cei. I, 6; 25-26; 60;
VII, 4. Per l’importanza dell’esorcismo nella propaganda cristiana,
cfr. R. Mac Mullen, La diffusione del cristianesimo nell'impero Roma­
no. 100-400, tr. it., Bari 1989, pp. 21-31.

72
INTRODUZIONE

to il pensiero greco, e, in ogni caso, unico erede legittimo


di una saggezza antica, era stato ancora il cristianesimo
a diffondere la virtù anche fra coloro - i semplici, gli in­
colti - che secondo la tradizione ellenica erano per defi­
nizione esclusi dalla possibilità di realizzare qualsiasi
ideale di saggezza178. Si ripeteva con insistenza che la ri­
gorosa morale cristiana era il cemento ideale per l’ordine
sociale delFImpero, ordine che, per i cristiani, rifletteva il
piano provvidenzialistico di Dio179. Non erano soltanto
considerazioni di carattere propagandistico; esse riflette­
vano il punto di vista di cristiani colti che per educazio­
ne e origine sociale, pur escludendo ciò che riguardava
la compromissione con l’idolatria, non avevano senti­
menti di irriducibile ostilità riguardo all’impero, ma anzi
vedevano con chiarezza i punti su cui gli interessi reci­
proci potevano convergere. Tanto più dunque doveva ap­
parire necessaria una riflessione approfondita sulle ra­
gioni ultime dell’inimicizia manifestata, soprattutto nei
momenti di crisi, sia dai concittadini, che accusavano i
cristiani dei delitti più infamanti, sia dalle autorità, che,
talvolta per propria iniziativa, talvolta sotto la pressione
del tumulto popolare, li condannavano alla stregua di cri­
minali.
Anche in questo caso, è la demonologia a offrire una
spiegazione: sarebbero infatti i demòni a spargere fra il
popolo voci e notizie calunniose sui cristiani, a condurre
una campagna di disinformazione e di destabilizzazione,
secondo strategie complesse e coordinate già in opera, del

178 Tat., Orat. 32, 1; Iust., II Ap. 10.


179Tert., Apoi. XXXV, 12-13; Iust., IA p . 11-12; IIA p . 1, 2. Cfr. U.
Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, tr. It-,
Milano 1989, pp. 27-62. Decisamente antiromano Ippolito, secondo
cui l’impero agisce «secondo la potenza di Satana» (Co. Dn. IV, 9, 2;
De Ani. 25).

73
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

resto, prima della venuta di Cristo. Ciò farebbe parte del


piano di ostacolare quanto più a lungo possibile la diffu­
sione del cristianesimo e di ritardare il momento del giu­
dizio e della condanna eterna. Sono essi ad ispirare le leg­
gi contro i cristiani, ad armare la mano dei persecutori180.
Da parte di chi, come Tertulliano, aveva una preparazione
adeguata, non mancò una confutazione serrata degli ar­
gomenti giuridici su cui poggiava la condanna dei cristia­
ni, ma di fronte al pervertimento delle più elementari nor­
me giuridiche da parte di funzionari, che pur tuttavia con­
tinuavano ad essere considerati esponenti di un «governo
civile» e non di un «dominio tirannico», egli stesso 11invita
a riflettere:
«Simile stortura mentale vi dovrebbe far sospettare se
non ci sia qualche forza occulta che si serva di voi, contro
la procedura, contro la natura stessa del procedimento le­
gale, contro le leggi stesse»181.
Un forte incentivo ad una credenza così generalizzata
nell'intervento degli spiriti maligni in ogni atto ostile com­
piuto contro i cristiani dal potere politico, consisteva nel
fatto che essa giustificava la disobbedienza e l’opposizio­
ne, senza dovere per questo mettere in discussione il fon­
damento stesso di quel potere. Le leggi che vanno contro
la fede cristiana - sostiene Origene, in apertura del Contro
Celso, per contrastare l’accusa di illegalità rivolta da Celso
alle associazioni cristiane - emanano non da un potere le­
gittimo, ma direttamente da quello illegittimo e tirannico
del diavolo che le ispira, contro cui è, quindi, giusto orga­
nizzarsi e combattere182.

180 Iust., IA p . 5; 44; DiaL CXXXI. 2; Ι Α ρ . 10; Orig., Co. Io. VI,
280-283; C. C e l Vili. 43-44.
181 Tert., A p o i II, 4.
182 C. C el I, 1.

74
INTRODUZIONE

L'equazione diavolo - persecuzione potrebbe sembrare


un argomento sofìstico, senza un vero radicamento nel
sentito religioso, un argomento il cui fine è di tenere insie­
me concetti diffìcilmente conciliabili: il diritto alla ribellio­
ne al potere e l’origine divina di questo stesso. Non si trat­
ta, tuttavia, soltanto di questo: i sogni di Perpetua indica­
no183, su tutt’altro piano e al di fuori di ogni strumentaliz­
zazione, quanto l’occulta attività di Satana dietro ogni tipo
di persecuzione dei cristiani sia fortemente sentita, credu­
ta e generalmente condivisa.

IV. 2. c. L ’eresia dei demòni e i demòni dell'eresia

Mentre Erma obbediva all’angelo e metteva per scritto le


sue visioni, Giustino giungeva a Roma dall'Asia minore e
apriva, secondo gli usi del tempo, una scuola ove iniziava
i suoi allievi alla religione cristiana, come alla vera filoso­
fìa184. Nello stesso arco di tempo arrivavano in quella città
Marcione e Valentino, l’uno da Sinope sul Ponto, l'altro da
Alessandria. In un primo momento, Marcione entrò a far
parte della Chiesa romana e quando constatò l’impossibi­
lità di far accettare le proprie idee, se ne allontanò nel 144
per fondarne una propria. Valentino arrivò a Roma sotto
Iginio (136-140); le sue qualità intellettuali ed umane eb­
bero un tale successo fra i cristiani di Roma da portarlo
ad un passo dall’episcopato. Gli venne però preferito Pio

183 Passio IV, 3-7*; 10. 1-15*; e Ignat., Ep. Rm. 7*; Cypr.. Ep. XI,
4: Cipriano racconta di aver visto In sogno Dio con a fianco due gio­
vani, quello alla sua destra triste; quello alla sua sinistra, simbolo
del diavolo, recava una rete e minacciava di gettarla per catturare la
gente che gli stava vicino. Egli appariva contento perché gli veniva
offerta dal Padre l'occasione di Infierire sul credenti a causa della lo­
ro disobbedienza. Tale sogno era ritenuto da Cipriano premonitore
della persecuzione che si sarebbe scatenata in seguito.
184 A cta lustlni Martyris e t sociorum 3, 3.

75
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-I1I

(150-155) e, se dobbiamo credere a Tertulliano185, l’ambi­


zione frustrata portò Valentino ad allontanarsi dalla Chie­
sa e dalla retta dottrina per diventare un caposcuola ereti­
co186. L’interpretazione riduttiva di Tertulliano non può
oscurare il fatto che nella Roma di quegli anni - e certa­
mente avveniva altrettanto nelle altre grandi città dell’im­
pero - il cristianesimo era una realtà assai sfaccettata,
aperta alle componenti culturali più diverse, in cui i confi­
ni fra ortodossia ed eterodossia erano fluidi, un ambiente
ove Valentino poteva reinterpretare e diffondere le specu­
lazioni gnostiche apprese durante il suo soggiorno ales­
sandrino187 ed aspirare all’episcopato.
Se Marcione condivide con gli gnostici il rifiuto dell’AT
e del Dio che vi si rivela, come di un Dio giusto, ma non
buono ed inferiore a quello rivelato da Cristo, soltanto gli
gnostici sviluppano, per tornare al nostro argomento, una
demonologia originale e complessa. L’idea antica e mille
volte ripetuta che il mondo e gli uomini sono sotto il domi­
nio di potenze maligne assume per lo gnostico una riso­

185 Tert., Adv. VaL 4.


186 Sulla storia di Marcione e della Chiesa da lui fondata e sulla
scuola valentinlana, cfr. G. Flloramo, L'attesa della fine. Storia della
gnosi, Bari 1983, pp. 244-265. Sul problema delle origini dello gno­
sticismo, il libro recente di S. Petrement, Le Dieu séparé. Les origines
du gnosticisme, Paris 1984, ha rilanciato la tesi dell'origine cristiana
dello gnosticismo. Su questa linea anche M. Simonetti, Gnosticismo e
Cristianesimo, in ld., Ortodossia, cit., pp. 101-140; diversamente G.
Flloramo, Sulle origini dello gnosticismo, «Rivista di Storia e Lettera­
tura Religiosa» 29 (1993), pp. 493-510.
187 Ad Alessandria, fra il 120 ed 130, era attivo Basilide, erede,
insieme a Saturnino di una «scuola» gnostica che aveva, passando
attraverso il comune maestro Menandro, nel Simon Mago degli Atti
canonici il proprio fondatore. Questa sorta di albero genealogico è
però di provenienza eresiologica e non privo di anacronismi (cfr. più
dettagliatamente Filoramo, L’attesa, cit, pp. 244-246).

76
INTRODUZIONE

nanza del tutto particolare perché è Inserita in una serie


di miti cosmogonici che, pur essendo assai diversi, pre­
sentano tratti simili188.
La materia, ivi compresi i corpi, è vista come l'ultimo
anello di una catena devolutiva di essere, il cui principio è
un essere perfetto. La creazione della materia è frutto di
una crisi avvenuta nel mondo divino a causa di figure che
si trovano ad occupare i margini di questo mondo e che
compiono un atto di ribellione o di trasgressione contro la
loro natura divina. Queste figure vengono reintegrate nel
mondo divino cui appartengono, ma vi ritornano dopo
aver lasciato particelle di luce, scintille di divinità che al­
bergano all'interno di alcuni uomini e che dovranno poi ri­
congiungersi con il pleroma cui sono ailini.
La creazione materiale, cui appartengono uomini e po­
tenze che non hanno alcun seme divino, sono appunto gli
uomini ilici ed i diavoli, completamente ed irrimediabil­
mente malvagi189.
Alcune correnti gnostiche, come quella valentiniana,
sostengono che fra l’elemento spirituale e divino e quel­
lo materiale, vi sia l’elemento psichico, che può parteci­
pare dell’uno o dell’altro190. A tale elemento appartiene
il demiurgo, l’artefice del mondo materiale che rimane,
dunque, distinto dal diavolo e dal demòni che apparten­
gono all’elemento ilico e la cui sfera d’azione è il mondo
sublunare191. Altri testi esprimono una gnosi più radi­
cale e lontana dal cristianesimo, in cui l’elemento psi­

188 Hlpp., Ref. V, 26, 1-24* (Giustino gnostico); Iren, Adv. Haer.
I, 5, 1-4* (sistema Valentiniano).
189 Iraen., Adv. Haer. I, 5, 4*.
190 M. Simonetti, Ψυχή e ψυχικός nella gnosi valentiniana, in Id.,
Ortodossia, c it, pp. 11-46.
191 Cfr. nell’ambito del valentinlanesimo, la Lettera a Flora di To­
lomeo (in Eplph., Panar. 33. 6).

77
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

chico è assente e il diavolo viene a coincidere con il de­


miurgo192.
Il successo dei movimenti gnostici che mise in seria
difficoltà le Chiese del II secolo traeva la propria linfa vita­
le da un dualismo e da un acosmismo meno radicali di
quelli gnostici, ma certamente assai più diffusi193. Per
contrastare tale successo scesero in campo le forze miglio­
ri che condussero la battaglia su più fronti; in primo luo­
go, avvenne un confronto serrato con gli argomenti ed i
metodi degli eterodossi, confronto che trovò espressione
in una vasta letteratura antieretica194 e che portò ad una
approfondita riorganizzazione in ambito teologico, esegeti­
co, istituzionale. Da un punto di vista demonologico, gli
ortodossi difesero l’origine divina delle potenze avverse e,
per quanto la loro caduta fosse descritta nei modi più va­
ri, venne difesa strenuamente l’idea che esse caddero a
causa di un libero atto di volontà195.
L’altro modo di combattere l’eresia fu quello di scavare
fossati invalicabili, là dove prima esisteva un’incerta zona

192 Par. Sem, NHC VII, 1, pp. 27 sgg.; Tri/. Prot., NHC XIII, 1, p.
39, 21. Su questo duplice Indirizzo della demonologia gnostica: G.
Filoramo, Aspetti della demonologia gnostica, in L'autunno, cit., pp.
199-213.
193 Cfr. Tat, Orat. 15*; Athen., Leg. XXIV, 2* e infra, pp. 92-97.
194 Da essa dipendeva, quasi totalmente, la conoscenza dei moder­
ni della gnosi; la scoperta, avvenuta a Nag Hammadi nel 1946, di tredi­
ci codici papiracei, contenenti dnquantatre traduzioni in lingua copta
di originali greci, fra cui quarantuno testi sconosciuti, ha notevolmente
accresciuto le nostre conoscenze; i testi di Nag Hammadi hanno con­
fermato la validità delle notizie di fonte eresiologica, almeno di quelle
più documentate ed antiche, validità su cui, prima del rinvenimento
dei codici, erano stati sollevati dubbi; sul rapporto fra i due gruppi di
documenti: M. Simonetti (a cura di), Testi gnostici in lingua greca e lati­
na, Milano 1993, pp. XIV-XIX; Filoramo, L'attesa, cit., pp. 1-13.
195 Athen., Leg. XXIV, 1-5*; Tat., Orat. 7*; Orig., De pr. I, 5, 2-3*
e passim.

78
INTRODUZIONE

di confine ove erano possibili scambi, relazioni, contigui­


tà. La rappresentazione ideologica dell'eresia seguì ed ap­
profondì il solco tracciato da Ignazio; la divisione ed il dis­
senso furono percepiti come una minaccia alla veridicità
del cristianesimo: non erano stati infatti i cristiani ad in­
dividuare nella polverizzazione delle αΐρεσεις filosofiche il
segno evidente dell’inadeguatezza del pensiero greco alla
scoperta della verità? L’eresia fu vista come la degerazione
di un’armonia iniziale e nell’opera degli eretici fu intravi­
sta non l'opera di uomini capaci di pensiero teologico
profondo e innovatore, ma quella dei demòni intenti all’e­
secuzione del loro piano ostile ai cristiani196.
Non furono naturalmente questi i soli argomenti; come
ho già accennato, gli scrittori che rilanciarono con forza
tale interpretazione dell’eresia, furono gli stessi che, in al­
tre opere, si impegnarono a fondo nella confutazione dello
gnosticismo e del marcionismo. In queste, destinate ad un
pubblico in grado di valutare gli argomenti dell’una e del­
l'altra parte, il paradigma demonologico rimane sullo sfon­
do, come rafforzativo di un rifiuto che trae le sue ragioni
anche dal vaglio delle opinioni altrui alla luce delle proprie
conoscenze bibliche e filosofiche. Ben più numerose do­
vettero essere certo le occasioni nella vita concreta delle
Chiese, in cui parve diffìcile ed anche inopportuno percor­
rere questa strada; nella predicazione197, nei momenti di

196 Cfr. sopra Ignat., Ep. Eph. 9*; il tema dell’origine diabolica
dell'eresia si impone come vera e propria chiave interpretativa dell’ere­
sia soprattutto con Giustino (cfr. ad es. Iust., I Ap. 26, 1; 58, 1*); cfr.
A. Le Boulluec, La notion d'héresie dans la tittérature grecque (ΙΙ'-ΙΠ*
siècle), voi. I, Paris 1985, pp. 64-67; 184; Tert., Depraescr. haer. 40*.
197 Origene che pure ha scritto molto ed in modo particolareggiato
contro diversi esponenti delle correnti gnostiche, nelle sue omelie ne fa
un' esposizione improntata dalla massima semplificazione e genericità,
mentre insiste sulla diabolicità di ogni tipo di eresia: A. Monaci Casta­
gno, Origene predicatore e il suo pubblico. Milano 1987, pp. 107-115.

79
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

crisi e di scontro diretto, era piuttosto il paradigma demo-


nologico a prevalere, perché esso consentiva a chi di volta
in volta si faceva interprete dell’ortodossia di spostare l’at­
tenzione dagli argomenti, pur sempre confutabili, al rap­
porto diffìcilmente falsicabile che l’antagonista intrattene­
va con il mondo demoniaco.

IV. 2. d. Diversificazioni di un paradigma

Il paradigma demonologico fin qui descritto emerge da un


gruppo di documenti che è stato possibile unificare per­
ché concordano su alcune linee generali; ciò che abbiamo
ottenuto è, in certo senso, un Idealtypus, che ha un valo­
re soprattutto euristico e che, applicato ai singoli autori e
alle diverse situazioni, segnala scarti, differenze anche si­
gnificative.
Alcune sono inerenti allo sviluppo stesso della rifles­
sione cristiana e pagana; Origene, che scrive il suo Contra
Celsum a distanza di circa un secolo dalle Apologie di Giu­
stino e che si confronta con il Discorso verace di Celso ri­
flette una fase più approfondita della discussione e, su
singoli punti, anche diversità di opinioni. Il quadro di in­
sieme, tuttavia, rimane invariato198. L’originalità della po­
sizione origeniana, consiste piuttosto, come dirò fra poco,
nel tentativo di collocare la demonologia nel contesto più
generale della teologia speculativa cristiana.
Un aspetto su cui le posizioni non coincidono è, ad
esempio, la questione del potere dei demòni; se prevale
l'idea di una potenza millantata più che reale199, variano

198 H. Chadwick, The Evidence of Christianity in thè Apologetic of


Origen, In Studia Patristica, voi. II, Berlin 1957, pp. 331-339.
199 Un’Impostazione che i cristiani condividevano con gli elleni
colti: cfr. ad esemplo le critiche di Plotino (Επη. II, 9) alla demonologia
degli gnostici ed alla loro pretesa di guarire le malattie (cfr. G. Filora­
mo, Aspetti della demonologia gnostica, in L'autunno, cit., p. 199).

80
INTRODUZIONE

notevolmente le opinioni sulla quantità e la qualità di tale


potenza da attribuire alla finzione o alla realtà200.
Osserviamo, poi, modi diversi di immaginarsi le circo­
stanze ed i motivi della caduta delle schiere angeliche, so­
prattutto in ordine al problema di amalgamare le tradizio­
ni giudaiche relative ad una individualità diabolica preci­
sa (Satana, il diavolo) e quelle relative a schiere angeliche
anonime o con altri nomi201.
Ma l’aspetto più significativo su cui esiste un disaccor­
do ed una polemica espliciti è l’origine demoniaca della fi­
losofia. Fra i saperi insegnati dagli angeli caduti cigli uo­
mini vi era anche la filosofìa? È importante cogliere le im­
plicazioni di questo contrasto non soltanto nel quadro tra­
dizionale dei rapporti fra cristianesimo e filosofia, ma an­
che sullo sfondo dei contrasti che stavano nascendo tra le
guide intellettuali delle Chiese cristiane, riguardo alla le­
gittimità della ricerca teologica tesa a chiarire ed ap­
profondire la comprensione delle verità rivelate. La paren­
tela individuata da molti fra filosofia e eresia202, da una
parte, e con i demòni dall'altra203, finiva per suggerire
l’idea che anche sull’operato di coloro che traevano dalla

20° Ad esemplo per Taziano ricorrere alla medicina In caso di


malattia era una forma di compromissione con 1 demòni (Orat. 18*),
per Origene essa faceva parte «della sapienza di questo mondo»,
dunque neutra (cfr. De pr. Ili, 3, 2*).
201 Tat., Orat. 7*; Athen., Leg. XXIV, 1-3*; Iust., IA p . 28.
202 Questa era l'impostazione metodologica di opere come i Philo-
sophoumena che rlconducevano ogni corrente eterodossa ad una
scuola filosofica.
203 II breve scritto di Ermia, opera che viene datata tra II e III se­
colo (Hermlas, Satire des phllosophes paiens. Introduction, texte cri-
tique. notes par R. P. C. Hanson (SC, 388), Paris 1993, pp. 9-24, of­
fre una sarcastica presentazione delle opinioni contraddittorie del fi­
losofi. La causa di tali incoerenze consiste nel fatto che la filosofia
«ha preso origine dall’apostasia degli angeli» (/rrisfo, 1).

81
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

filosofia concetti e metodi per approfondire le verità di fe­


de poteva allungarsi l’ombra del demonio; Clemente Ales­
sandrino si batte con energia contro questa interpretazio­
ne204, che tuttavia ci fa intuire come sul finire del II secolo
e ancor più nel III i didaskaloi e la loro libertà di indagine
su argomenti teologici cominciassero a destare sospetti e
tentativi di emarginazione.
Coloro insomma che si rifiutarono di vedere nella filo­
sofìa il frutto avvelenato che i demòni hanno offerto al­
l’umanità, cercarono non solo di lasciare una porta aperta
al mondo, ma anche di limitare la portata di applicazione
di quel paradigma demonologico che pure avevano contri­
buito ad elaborare.

IV. 3. La gerarchia ecclesiastica

Il modello demonologico descritto nel paragrafo preceden­


te è tratto da scritti che appartengono al genere letterario
apologetico. Dobbiamo domandarci se la centralità da es­
so occupata in quei testi non sia frutto, più che della con­
sistenza oggettiva delle credenze demonologiche nel qua­
dro complessivo del pensato e del vissuto cristiani, di
scelte argomentative e di sottolineature imposte dalle esi­
genze di una propaganda rivolta a non cristiani, ma anche
e più probabilmente a quelle cerehie colte di simpatizzanti
del cristianesimo che cominciavano a formarsi in varie
città dell’impero. È dunque necessario verificare come le
credenze demonologiche si presentino in altri contesti, per
cercare di chiarire se e in che misura esse si trasformava-

204 Strom. I. 18, 1-4*. Cfr. anche Strom. I, 80, 5; I, 81, 4; VI, 6
1; 159, 1. Questo argomento doveva pesare non poco nel dibattito
pro o contro la filosofìa, se Origene, nella parte del De principiis dedi­
cato all'influenza delle potenze malvage sull’intelletto tenta di offrire,
sulla scorta di I Cor. 2, 6 un quadro complessivo del vari tipi di sa­
pienza (cfr. infra De pr. Ili, 3, 2-3*).

82
INTRODUZIONE

vano in princìpi di comprensione e di intervento nella


realtà concreta.
Da questo plinto di vista è preziosa la testimonianza
dei vescovi, non tanto nelle vesti di autori di scritti teologi­
ci (ed anche di apologie205), quanto nelle vesti di capi,
chiamati a prendere decisioni su casi concreti. Sono rela­
tivamente pochi i documenti che ci consentono di cogliere
questi aspetti; il più interessante è senza dubbio costitui­
to dall’epistolario di Cipriano, vescovo di Cartagine dal
249 al 258. Esso racchiude documenti preziosi per rico­
struire gli avvenimenti drammatici di quegli anni: la per­
secuzione; il problema dei lapsi; la controversia peniten­
ziale e lo scisma di Novaziano, il contrasto insanabile con
il vescovo di Roma, Stefano.
Fra le lettere, troviamo anche la traduzione latina del­
l'epistola che Firmiliano, vescovo di Cesarea di Cappado­
cia206, inviò a Cartagine. Egli vi esprime - in accordo con
Cipriano e con gli altri vescovi africani - le motivazioni del
contrasto con Stefano, che avrebbe voluto imporre il rico­
noscimento della validità del battesimo degli eretici. Si trat­
ta di un documento ufficiale che rappresenta non soltanto
la posizione di Firmiliano, ma anche quella dei vescovi «del­
la Galazia, della Cilicia e delle altre regioni vicine»20^ è
inviata a Cipriano nell’autunno del 256, subito prima del
sinodo dei vescovi africani, per essere letta in quella as­
semblea e per influenzarne le decisioni; decisioni che, poi,
sarebbero state prese nel senso sostenuto da Cipriano e
Firmiliano. Nel documento, il vescovo di Cesarea tocca gli

205 Ad esemplo, Cipriano è anche autore di un'opera apologetica


- A Demetriano - In cui dimostra di conoscere e di condividere i temi
tradizionali (Cipriano, A Demetriano, introduzione, testo critico e
commento a cura di E. Gallicet, Torino 1976, p. 227).
206 Ep. LXXV, 10-22*.
207 Ep. LXXV. 7.

83
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

argomenti principali; il più importante è che gli eretici, se­


parati dalla Chiesa, non hanno nessun potere spirituale. Il
battesimo amministrato da loro, quindi, non può trasmet­
tere lo Spirito Santo, senza il quale non vi è rinascita. Que­
sta posizione è illustrata da un caso concreto avvenuto nel­
la sua Chiesa circa ventidue anni prima. In un momento in
cui i fedeli si erano dispersi a causa di una persecuzione,
una donna, che aveva esperienze estatiche e che si procla­
mava profetessa ed ispirata dallo Spirito Santo, era riusci­
ta, avvalendosi di poteri straordinari, a fondare una Chie­
sa, in cui ella, coadiuvata da un sacerdote ed un diacono,
celebrava il sacrifìcio eucaristico e battezzava usando le
formule rituali tradizionali.
Nella presentazione di Firmiliano le notizie sono intrec­
ciate quasi inestricabilmente con l’interpretazione che egli
offre degli avvenimenti: la donna era spinta dalla forza dei
demòni più potenti; diceva di poter causare un terremoto:
in realtà erano essi a suggerirle il momento in cui si sa­
rebbe comunque verificato, non perché - osserva Firmilia­
no, reinterpretando alla luce di circostanze concrete le
idee dei suoi contemporanei sul potere limitato dei demò­
ni208 - questo fosse in loro potere, ma perché erano in
grado di prevederne l’arrivo; nel tentativo di neutralizzare
i dubbi che sarebbero insorti aH’apparire dell’esorcista, il
demonio aveva predetto che sarebbe venuto un infedele
ed un nemico a tentarlo. Anche a livello linguistico la don­
na sparisce dietro il demonio che la possiede: è questi in­
fatti il soggetto grammaticale di gran parte dei verbi del
passo. Tale interpretazione è modellata sul paradigma de-
monologico che abbiamo visto sopra, condiviso senza al­
cuna riserva mentale e reso operante nell’agone ecclesia­
stico: soltanto riducendo la donna a mero strumento del

208Tert., Apoi. XXII, 8*; Min. Fel., Oct. XXVI, 8.

84
INTRODUZIONE

demonio, Firmiliano può, infatti, concludere in modo effi­


cace il racconto dicendo:
«Che diremo dunque di questo battesimo, che fu am­
ministrato da un malvagio demone, che si è servito di una
donna? Stefano e i suoi seguaci approvano anche questo
battesimo?... Possiamo credere che sia stata data la remis­
sione dei peccati? Possiamo accettare che si sia perfetta­
mente compiuta la rigenerazione dell'immersione saluta­
re, dove tutto è stato fatto dal demonio, sotto l’apparenza
del vero?»209.
Un altro esempio di quanto la demonologia potesse
tornare utile nei conflitti teologici e disciplinari riguarda
ancora Cipriano ed il suo atteggiamento riguardo al pro­
blema del perdono dei lapst Durante la persecuzione di
Decio, molti avevano consentito a sacrificare agli dèi. Una
volta terminata, essi avevano chiesto di essere riammessi
nella Chiesa senza aver compiuto un’adeguata penitenza.
La situazione era complicata dal fatto che durante il pe­
riodo di carcerazione, i martiri avevano distribuito biglietti
di riconciliazione (libelli pacis), sostituendosi alle iniziative
vescovili ed avallando inoltre, con il loro prestigio, la Chie­
sa scismatica di Novato e Felicissimo. In alcione città di
provincia vi erano state sommosse contro i vescovi per co­
stringerli a riammettere subito i lapsi, cosa che, del resto,
questi dicevano di aver già ottenuto dai martiri e dai con­
fessori. La situazione era dunque grave: la questione arri­
vava a toccare l’autorità vescovile, minacciata da quella
carismatica dei martiri. Il De lapsis non è un trattatello
controversistico, ma un documento ufficiale destinato ad
essere letto davanti ad una solenne assemblea di vescovi:
il concilio di Cartagine del 251. Cipriano menziona, ad un
certo punto, alcuni episodi relativi a persone che avevano

209 Ep. LXXV, 11.

85
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-I1I

abiurato ed avevano mangiato le vittime dei sacrifìci: un


uomo restò muto; una donna, mentre si trovava alla ter­
me, venne afferrata da uno spirito impuro che le lacerò la
lingua, le fece venire le convulsioni fino a farla morire di­
laniata da un dolore al ventre.
Di un altro episodio era stato testimone lo stesso Ci­
priano. Il racconto mette sotto i nostri occhi con vivezza di
particolari l’evento e insieme l’articolarsi dell’ interpreta­
zione. Una madre con una bimba non ancora in grado di
capire e di esprimersi assistono ad una celebrazione; la
piccola dà segni di impazienza, piange, è agitatissima.
Quando il diacono le avvicina il calice, volta la faccia, ser­
ra la bocca, indurisce le labbra rifiutandolo. Il diacono in­
siste e le versa in bocca un po’ di pane inzuppato di vino;
la bimba infine vomita. Sforziamoci, inoltre, di immagina­
re la scena collocandola nella situazione piuttosto tesa e
confusa della Chiesa di Cartagine; la persecuzione appena
subita aveva lasciato un seguito di rancore e di sospetto:
nessuno era in grado di sapere con certezza se il proprio
vicino si fosse macchiato di idolatria. Partecipare ai sacri­
fìci e mangiare le carni delle vittime immolate significava
letteralmente «ingoiare» anche il demonio che se ne nutre.
Il comportamento della bimba deve aver suscitato timori e
sconcerto: si fa un’indagine e si scopre che la madre, fug­
gendo dalla città a causa della persecuzione, ha abbando­
nato la piccina dalla balia e che questa l’ha fatta parteci­
pare ad un sacrifìcio, offrendole del pane imbevuto di vi­
no. A questo punto tutto può essere spiegato; così la sua
agitazione: «L’animo semplice della bimba confessava la
consapevolezza del delitto attraverso quei segni che le era­
no possibili, come se fosse costretta da un carnefice»; così
il suo vomito: «L’eucarestia non potè restare in quel corpo
e in quella bocca contaminata; la bevanda santificata dal
sangue del Signore fu vomitata dal suo stomaco impuro.

86
INTRODUZIONE

Così grande è la potenza di Dio, così grande la sua mae­


stà: i segreti nascosti nelle tenebre furono manifestati sot­
to la sua luce e gli occulti delitti non poterono ingannare il
sacerdote di Dio»210.
La lezione tratta dai fatti è immediata: i casi dei lapsi
puniti con la malattia e la morte da quegli stessi demòni
di cui sono diventati ricettacolo, denunciano l'assurdità
della loro pretesa di essere riammessi nella Chiesa senza
scontare una pena adeguata. Allo stesso modo, rendono
manifesta l’inutilità dell'inganno di coloro che, pur apo­
stati, osano partecipare alle celebrazioni.
Gli episodi narrati da Firmiliano e da Cipriano svolgono
negli scritti rispettivi la funzione di exempla; entrambi si
rifanno, se dobbiamo credere ai due vescovi, a episodi
realmente accaduti, ma la «realtà» del fatto e, ancor più,
ciò che lo rende efficace e significativo dipendono dal suo
inserimento in quel paradigma demonologico che qui si la­
scia cogliere non come compagine astratta di idee, ma co­
me principio che conferisce forma e direzione agli eventi.
Un altro punto di osservazione privilegiato per valutare
sia il grado di penetrazione del modello demonologico nel­
le Chiese cristiane sia, in un certo senso, la sua visibilità
sociale è la liturgia. È a partire dall’inizio del III secolo che
nella liturgia battesimale compaiono in modo inequivoca­
bile riti indirizzati a sconfìggere e allontanare le potenze
maligne. Il primo documento importante a questo propo­
sito è la Traditio Apostolica211, che è stata in seguito ripre­

210 De ìaps. 25*.


211 Per praticità, riporto il titolo più conosciuto; tuttavia l'identifi­
cazione del titolo è collegata all’interpretazione dell’epigrafe incisa sul­
la cattedra della cosiddetta statua di Ippolito recante una lista di tito­
li; si tratta in particolare delle linee 9 e 10 che possono riferirsi a due
opere distinte (Sui carismi e Tradizione apostolica) oppure ad un'unica
opera (Tradizione apostolica sui carismi); un frammento greco di que­

87
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

sa ed adattata, soprattutto nella tradizione orientale, in


più di uno scritto dello stesso tenore. Non conosciamo con
certezza né l’autore, né la Chiesa di cui riflette gli usi li­
turgici. Fra gli studiosi, che propendono per un’origine ro­
mana del testo212, vi è chi spiega il particolare orienta­
mento della liturgia battesimale come la risposta «eccle­
siastica» agli esorcismi in uso fra i seguaci di Valentino,
attivo, appunto a Roma, intomo al 140213.
Secondo questo documento, i catecumeni prescelti per
il battesimo dovevano sottoporsi per più giorni ad un rito
esoreistico di imposizione delle mani; nel tempo immedia­
tamente vicino al battesimo erano esorcizzati nello stesso
modo dal vescovo in persona, che ripeteva lo stesso rito il
sabato. La domenica avveniva il battesimo; un presbitero
chiedeva ai catecumeni di pronunciare la frase: «Rinuncio
a te, Satana, a tutte le tue pompe e a tutte le tue ope­

st'opera non l’attribuisce ad Ippolito, né la designa come Traditio apo­


stolica (status quaestionis in C. Moreschlni-E. Norelli, Storia della let­
teratura cristiana antica greca e latina, voi. I: Da Paolo all'età costanti­
niana, Brescia 1995, pp. 198-199). La ricostruzione del testo, perduto
nella sua redazione greca originale e conservata nella Epitome del li­
bro Vili delle Costituzioni apostoliche e In ima mezza dozzina di ver­
sioni antiche, orientali e latina, è stata condotta da B. Botte (Hippoly­
te de Rome, La tradition apostolique d’après les anciennes versions
(SC 1Ìbis), Paris 1968). Una questione ancora soggetta ad interpreta­
zioni divergenti è l’identità di Ippolito (o se sono esistiti due Ippolito):
si vedano i contributi di M. Slmonetti, Aggiornamento su Ippolito, pp.
75-130 e J. Frickel, Ippolito di Roma, scrittore e martire, pp. 23-42, In
Nuove ricerche su Ippolito, Roma 1989.
212 B. Botte, cit., pp. 11-17; V. Saxer, La questione di Ippolito Ro­
mano. A proposito di un libro recente, In Nuove ricerche, cit., pp. 57-
58. Per un’origine egiziana: J. M. Hanssens, La liturgie d’Hippolyte,
Roma 1959.
213 H. A. Kelly, The Devii at Baptism. Ritual Theology and Drama,
Ithaca-London 1985, pp. 81-93. Per la descrizione dei riti battesimali
fra 1Valentiniani, cfr. Exc. TheodL 81-84*: G. Filoramo, Tra demoni e
diavoli gnostici. In II demonio, cit, pp. 151-153.

88
INTRODUZIONE

re»214. In seguito, venivano unti con olio anch’esso esor­


cizzato poco prima dal vescovo, e il presbitero pronuncia­
va le parole « Che tutti gli spiriti malvagi si allontanino da
te»215. Soltanto dopo di ciò essi potevano scendere nell’ac­
qua per essere battezzati. In seguito erano unti con l’olio
di ringraziamento, forse come rito di rafforzamento contro
gli attacchi successivi del demonio. Anche altre prescrizio­
ni rituali della Traditio manifestano un’acuta consapevo­
lezza della presenza del maligno e, nello stesso tempo, ima
precisa conoscenza dei modi corretti per allontanarlo: si
raccomanda di dare ai catecumeni (durante l'agape) pane
esorcizzato216; durante l’eucarestia, si mettono in guardia i
fedeli dallo spandere il contenuto del calice per evitare che
uno spirito ostile lo lecchi217; si sottolinea l'efficacia del se­
gno della croce, davanti al quale il diavolo fugge, se chi lo
fa possiede fede e virtù218.
Nel periodo di cui ci occupiamo, non vi è un’omologazio­
ne degli usi liturgici adottati dalle Chiese. Tuttavia, pur con
rilevanti differenze, notiamo a partire dal III secolo un’ac-
cresciuta attenzione liturgica riguardo ai modi per sconfìg­
gere le potenze maligne. Cipriano menziona più volte l’uso

214 Traci. Apost. 21.


21® Ibtd.
216 Ibid. 26.
217 Ibid. 38.
218 Ibid. 42; un passo di Tertulliano mostra come le Indicazioni
prescrittive della Traditio corrispondessero ad una prassi ed un vis­
suto generalizzati: «Restiamo poi preoccupati ed angosciati se qual­
che goccia del calice o anche qualche briciola del nòstro pane cade
per terra. Tutte le volte che iniziamo o terminiamo qualcosa, tutte le
volte che entriamo o usciamo di casa, quando d vestiamo, ci mettia­
mo i calzari, andiamo al bagno, cl mettiamo a tavola, andiamo a let­
to, ci sediamo, qualsiasi sia l’occupazione alla quale ci accingiamo,
facciamo sovente sulla nostra fronte un piccolo segno di croce» (De
cor. Ili, 4, tr. P. A. Gramaglla, Roma 1980, p. 153).

89
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

di esorcismi prebattesimali219. Uno dei vescovi del concilio


cartaginese del 256 precisa che l’esorcismo battesimale era
accompagnato dall’imposizione delle mani220. L’Oriente più
dell'Occidente diede spazio ai riti apotropaici volti a preve­
nire i futuri attacchi dei demòni; fu invece generalmente
adottato quella parte del rituale riguardante la rinuncia a
Satana e alla sua «pompa»221, espressione il cui significato
originario può contenere un riferimento ai culti idolatrici.
La Traditio Apostolica costituisce probabilmente un
anello importante del processo mediante il quale l'esorci­
smo e l’esorcista vennero collegati saldamente all’ organiz­
zazione istituzionale delle Chiese. Non siamo in grado di
ricostruirlo nei dettagli; è però interessante notare, ad
esempio, che, malgrado l’insistenza con cui esorcisti ed
esorcismi vengono menzionati nella letteratura apologeti­
ca del tempo, non sia rimasta memoria di un solo nome di
esorcista, né memoria di una personalità precisa. L’unico
ad uscire daH’anonimato è il personaggio cui accenna Fir-
miliano, ma il suo rapido ritratto è troppo condizionato
dal punto di vista vescovile per poterne ricavare indicazio­
ni utili222. I motivi di questo silenzio sono forse ravvisabili
nelle frizioni causate da queste figure, pur indispensabili
ed esaltate extra, ma fonti di imbarazzo intus, in un perio­
do in cui l’episcopato stava accentrando in sé sempre più
ogni autorità. Una traccia di tali frizioni è forse la difesa,
che affiora talvolta negli scritti di questo periodo, del bat­
tesimo rispetto all’esorcismo, in quanto rimedio più effìca-

219 Ep. LXIX, 15; Ad Don. XV; Ad Demet. XV.


220 Sent. episc. 1; 8; 31; 37, CSEL, Opera omnia Cypr., v. 3, 1, p.
450; V. Saxer, Vie liturgique et quotidienne à Carthage vers le milieu
du IIIe siècle, Città del Vaticano 1969, pp. 113-114.
221 J. H. Waszink, ‘Pompa diaboli», -Vigiliae Christianae» 1 (1947),
pp. 13-41.
222 Ep. LXXV, 21*.

90
INTRODUZIONE

ce per la sconfìtta dei demòni223. Il fatto documentato è


che, quando verso la metà del III secolo esorcismi ed esor­
cisti sono menzionati in testi non apologetici, gli uni com­
paiono aU’intemo della liturgia battesimale, gli altri sono
diventati un ordine fra quelli minori delle Chiese224.
La Traditio apostolica e gli altri documenti normativi,
che ad essa si ispiravano e che circolarono nell’antichità
cristiana, venerati e protetti dalla loro (falsa) origine apo­
stolica, sono espressione degli ambienti ecclesiastici. È
difficile stabilire se questi testi, al loro apparire, riflettes­
sero una realtà di fatto oppure avessero lo scopo di inca­
nalarla nei modi ritenuti più opportuni, tuttavia una volta
che le modifiche del rituale furono imposte oppure sem­
plicemente accettate, esse diventarono in un certo senso
creatrici di significati e di realtà. Con i riti battesimali, ce­
lebrazioni solenni cui partecipavano periodicamente tutti i
fedeli, i demòni, scacciati con formule e gesti ieratici, fatti
oggetto di dichiarazioni solenni, acquistavano una diversa
e più evidente «presenza» i cui effetti per il radicamento
delle credenze demonologiche nelle coscienze sono certo
difficilmente quantificabili, ma non trascurabili per la
comprensione dell'entità del fenomeno.

IV. 4. R problema della ricezione negli altri ambienti


sociali e culturali

La demonologia fin qui presa in esame è espressione di


ambiti culturali - quello, per lo più laico dei didaskaloi, e
quello dei vescovi - che, per quanto ispirati da interessi

223 Cypr., Ep. LXIX. 15*.


224 Cypr., Ep. XXIII: «Praesente de clero et lectore et exorcista»;
da Cornelio (251) sappiamo che nella Chiesa romana vi erano 52
esorcisti e lettori (in Eus., Hlst. EccL VI, 43, 11); per la storia succes­
siva cfr. Thraede, cit, coll. 74-76.

91
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

diversi, sono entrambi «alti». È possibile riuscire a capire


come queste idee e credenze fossero vissute e pensate in
altri contesti? Tra la fine del II secolo e la prima metà del
III disponiamo di due gruppi di testi - gli A tti apocrifi (=
AA) più antichi225 e le omelie origeniane - che gettano
qualche luce suH’argomento. Per quanto riguarda i primi
disponiamo di pochi elementi certi riguardanti gli autori,
il loro pubblico, l’ambiente che li ha prodotti. Anche se si
discute in quali limiti essi possano essere considerati «po­
polari»226, vi è un accordo generale sul fatto che fossero
destinati a una fruizione molto più allargata che non altri
generi letterari, quali, ad esempio, le apologie, i trattati
teologici e i commentari esegetici. Sono testi che racconta­
no in modo avvincente le avventure, i viaggi e le imprese
degli apostoli, con schemi narrativi semplici, ma efficaci,
che riprendono quelli del romanzo greco227. In questa let­
teratura una parte di primo piano è riservata appunto alla
demonologia; essa assolve, nei singoli testi, funzioni diver­
se e l’indirizzo prevalente della critica è quello di studiare
ciascun testo per sé. Esistono tuttavia alcuni tratti comu­
ni: la sconfìtta dei demòni non è mai espressione di inte­
ressi ecclesiastici; la gerarchia compare molto raramente
e, se sono citati singoli personaggi che ricoprono cariche
ecclesiastiche, essi non sono rilevanti nell’economia del
testo; l’atto taumaturgico o teratologico è compiuto da un
personaggio carismatico - l’Apostolo o altre figure da lui
delegate - che, in modo vicario, ripete la sconfìtta dei

225 A tti di Paolo; di Pietro; di Giovanni; di Tommaso e di Andrea;


per lo status quaestionis relativo a questi testi: Les Actes Apocryphes
desApòtres, Genève 1981.
226 A. Cameron, Chrtstianlty and thè Rhetoric o f Empire, Berke-
ley-Los Angeles-Oxford 1991, pp. 108-109.
227 R. Sóder, Die apokryphen Aposteìgeschichten und die roman-
hqfte Literatur der Antike, Stuttgart 1932.

92
INTRODUZIONE

demòni ad opera di Cristo. Negli A tti di Tommaso - ma la


definizione può essere estesa alle figure apostoliche degli
altri scritti apocrifi -, l’Apostolo è definito come colui che
«insegna che vi è un solo Dio, che guarisce, che scaccia i
demòni, che compie molti altri atti prodigiosi»228. Il suc­
cesso della predicazione dell'Apostolo, le conversioni di in­
dividui o di intere città, sono visti come conseguenza dei
suoi atti straordinari che hanno quasi sempre come og­
getto la vittoria sui demòni. In questa luce è raccontata,
negli Atti di Giovanni, la conversione di Efeso229. Il tema
narrativo dominante degli A tti di Pietro è molto simile: la
Chiesa romana, dopo la partenza di Paolo per la Spagna,
abbandona Cristo per seguire Simon Mago che, con i suoi
prodigi, le è apparso come un dio più potente. Ma Pietro
compie esorcismi, guarigioni, resurrezioni straordinarie e,
infine, in un duello pubblico con Simon Mago in cui incro­
ciano le armi dei loro rispettivi poteri straordinari, riesce a
dimostrare di essere l’Apostolo del Dio più potente e quin­
di dell’unico vero.
Si potrebbero fare numerosi altri esempi dello stesso
tipo; da questi scritti appare evidente l'affinità con le te­
matiche degli scritti apologetici, che pressappoco nello
stesso tomo di tempo si stavano diffondendo nell’impero:
l’accento sull’esorcismo e sul miracolo come prove della
divinità del Dio dei cristiani; la rilevanza del tema della
potenza; l’argomento della magia per screditare i miracoli
dell’avversario, l’insistenza sull’equivalenza dèi-demòni.
Tuttavia appaiono anche differenze significative che
segnano importanti scarti di significato rispetto al para­
digma demonologico emergente dagli scritti apologetici. Il
più importante riguarda l’estensione attribuita al potere

228 A Th (gr) 20.


229 A lo 41-42*.

93
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

del demonio e dei suoi angeli. L’apologetica, pur con le


oscillazioni che abbiamo visto, si era sforzata di mettere a
punto un paradigma esplicativo della taumaturgia pagana
in cui i demòni apparivano più abili che potenti: essi pote­
vano operare molte cose, ma più ancora ne potevano otte­
nere con la finzione, l’illusione, la millanteria e questo la­
sciava un certo spazio all’iniziativa dell’uomo. Negli AA,
invece, il potere del demonio è tale da poter essere contra­
stato soltanto dal potere più forte dell’Apostolo, strumento
di Dio. Fino dal suo apparire, la presa del demonio sulla
sua vittima è totale: egli «costringe» la sua vittima ad agire
come egli vuole230. Quando Pietro, di fronte ai Romani, ri­
corda il proprio tradimento di Cristo, dice di essere stato
«exsensatus a diabolo»231. Di fronte alla durezza di cuore
di un uomo che, benché fatto risorgere dalla morte, non si
converte, Giovanni riconosce in lui una presenza demo­
niaca e lancia un’invettiva, in cui viene considerato l’am­
bito vastissimo dell’intervento del demonio e invocato Cri­
sto come unica difesa contro di lui:
«Sfattene lungi da coloro che sperano nel Signore: dai
loro pensieri, dalla loro mente, dalla loro anima, dai loro
corpi, dai loro atti, dalla loro vita, dalla loro condotta, dal
loro lavoro, dalle loro occupazioni, dal loro giudizio, dalla
loro elevazione a Dio, dalla loro resurrezione davanti a
Dio, dal loro profumo del quale non devi essere partecipe,
dai loro digiuni, dalle loro preghiere, dal loro santo batte­
simo, dall’eucarestia, dai cibi, dalle bevande, dai vestiti,
dal pasto, dai loro riti funerari, dalla loro continenza, dal­
la loro giustizia; da tutto ciò Cristo, nostro Dio, ti terrà
lontano, impurissimo Satana, nemico di Dio... »232.

230 A Pt Vili*.
231 ibid. VII.
232 A lo 84.

94
INTRODUZIONE

Durante un viaggio, Giovanni, guidato da un sogno,


accorre sul luogo ove è avvenuto un delitto: un giovane,
amante di una donna sposata, stanco dei giusti rimprove­
ri del padre, lo uccide. Temendo di essere catturato ed or­
mai fuori di sé, fugge con l’intenzione di uccidere anche la
donna, il marito ed infine se stesso. Ma incontra Giovanni
che subito riconosce in lui la presenza di un demonio.
L’aspro rimprovero dell’Apostolo induce al pentimento e
alla disperazione il giovane. Giovanni fa risorgere il padre,
ma il figlio, incapace di riconoscere la vera causa dei suoi
mali, «prese un falcetto, si tagliò i genitali, corse alla casa
dove si trovava l’adultera, glieli gettò in faccia e disse: «Per
te io volevo assassinare mio padre, voi due e me stesso.
Eccoti ciò che è colpevole di tutto! Dio ha avuto misericor­
dia di me, affinché io conoscessi la sua potenza»233.
Tocca allora a Giovanni svelare al giovane che il regista
occulto di tutti i suoi mali è Satana234.
L’episodio, ricco di tutti gli ingredienti narrativi - l’amo­
re, la gelosia, l’omicidio, il pentimento e la riconciliazione
finale - in grado di avvincere un vasto pubblico, è uno fra i
tanti che si potrebbero citare. Esso consente, per un verso,
di valutare l’entità dello scarto esistente fra la demonologia
di questi testi e quella delle apologie, dall’altro suscita il
problema se l’invadenza che essa ha negli AA non dipenda
da un meccanismo letterario. È stato ancora di recente ri­
badito che Satana ed suoi demòni assolvono negli AA la
stessa funzione assolta dalla Tyche nel romanzo greco: ad
essa soltanto si dovevano le separazioni, gli incidenti, gli
ostacoli e, infine, il ricongiungimento della coppia di amanti
divisa. Negli AA la drammatizzazione sarebbe ottenuta ana­
logamente con la messa in scena di un Avversario che,

233 A lo 53, 1.
234 Ibid. 54*.

95
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

ostacolando l’eroe apostolico, consente all’autore di co­


struire su dati tradizionali esigui una storia avvincente235.
Si potrebbe osservare in proposito che un motivo letterario
viene adottato e più volte riproposto in quanto appare
plausibile all’Autore ed alla cerchia di persone cui egli ap­
partiene e per cui scrive. Inoltre, gli AA ebbero una straor­
dinaria fortuna: incessantemente ricopiati, tradotti, riadat­
tati, furono testi di edificazione e di intrattenimento. Come
i riti, cui tutti potevano assistere, gli AA divennero stru­
menti di moltiplicazione e di comunicazione efficace ed al­
largata dello strapotere di Satana e dei suoi angeli sul
mondo e sull'uomo. Della presenza diffusa di queste idee
abbiamo testimonianze autorevoli dell’inizio del III secolo:
Clemente Alessandrino ed Origene. Negli Stromati, opera in
cui il tema del libero arbitrio è fondamentale, osserva:
«Non si dica dunque che colui che commette ingiustizie
e pecca, lo fa dietro impulso dei demoni, perché sarebbe
senza colpa; ma l’uomo che compie le stesse scelte dei de­
moni e che è instabile, leggero, volubile nei desideri, divie­
ne egli stesso demone, posseduto dal demoni»236.
Origene, dal canto suo è ancora più esplicito; nel De
principiis, dopo aver citato i passi della Scrittura che inse­
gnano le attività dei demòni contro gli uomini, afferma:

235 J. Flamion, Les Actes apocryphes de Pierre, «Revue d’Histoire


Ecclésiastique», 9 (1908), p. 487. La stessa osservazione anche in E.
Junod-J. D. Kaestli, Acta Johannis («Corpus Christianorum Series
Apociyphorum»=CCSA), Toumhout 1983, voi. Il, p. 440.
236 Strom. VI, 98, 1, tr. G. Pini, Torino 1985, p. 726. Che l'insi­
stenza dei cristiani sull’operato del demòni potesse ingenerare con­
clusioni del genere, è indirettamente affermato anche da Celso: « ...la
punizione del figlio di Dio da parte del diavolo ci insegna ad essere
forti e pazienti, quando siamo puniti da lui allo stesso modo. E questo
è veramente il colmo del ridicolo! Infatti, secondo il mio modesto pare­
re egli avrebbe dovuto punire il diavolo, e non pronunziare minacce
contro gli uomini insidiati dal diavolo!» (in Orig., C. C el VI, 42*).

96
INTRODUZIONE

«I più semplici fra i fedeli di Cristo credono che tutti i


peccati commessi dagli uomini siano stati commessi per
influsso esercitato sulle menti da queste potenze avverse,
che si rivelano più forti in questo invisibile combattimen­
to. Sì che se non ci fosse il diavolo, nessun uomo pecche­
rebbe»237.
A chi, come lui, aveva combattuto contro il marcioni-
smo e lo gnosticismo, non poteva sfuggire il potenziale pe­
ricolo rappresentato dal diffondersi di idee simili a quelle
veicolate dagli AA. Anche se fra questi soltanto alcuni po­
tevano definirsi gnostici, essi complessivamente finivano a
trovarsi dalla stessa parte degli gnostici, contro gli orto­
dossi, per quanto riguarda il problema del libero arbitrio.
Svincolati dal greve peso delle dimostrazioni e delle com­
plesse argomentazioni esegetiche, con il fascino del rac­
conto e dell’intreccio, gli AA favorivano il diffondersi di un
dualismo ed un fatalismo che, pér quanto generici, costi­
tuivano la h u m u s ideale per la propaganda gnostica, asse­
condati in questo anche dall'accento posto sui poteri mi­
nacciosi dei demoni per il mantenimento della disciplina e
dell’ortodossia ecclesiastiche.

Le circa 250 omelie pronunciate da Origene - con poche


eccezioni - davanti ai fedeli della Chiesa di Cesarea di Pa­
lestina verso la metà del III secolo aggiungono importanti
elementi alla questione che ci interessa. È forse inutile ri­
cordare che conosciamo il profilo di questa Chiesa soltan­
to attraverso le parole del predicatore che costituiscono
uno schermo ineliminabile le cui distorsioni sono difficil­
mente circoscrivibili. Le pratiche che sono più costante-
mente prese di mira sono le varie di forme di divinazione e
la magia. I cristiani di Cesarea - catecumeni e battezzati -

237 De pr. Ili, 2, 1; cfr. Ho. R e L. I. 15.

97
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-II1

continuavano a rivolgersi a quasi tutte le tecniche divinato­


rie disponibili sul mercato: essi consultavano il volo degli
uccelli: i visceri degli animali e - sembra con maggiore assi­
duità - il corso delle stelle238. Proprio il considerare gli astri
come signori assoluti dei destini degli uomini costituiva il
cemento del legame profondo che stringeva l’astrologia con
la magia. Gli astri, non più forze impersonali, ma vere e
proprie divinità, potevano essere piegate alla volontà del
mago, se questi era in possesso delle tecniche opportune.
Nella presentazione di Origene, magia, astrologia, divina­
zione sono strettamente intrecciate ed espressioni, tutte, di
un pericoloso ritorno nel culto degli dèi, cioè dei demòni,
che sono mostrati dovunque all’opera con le loro astuzie ed
i loro raggiri239. Il vissuto religioso di un pubblico come
quello di Cesarea, costituito per la maggior parte da gente
di recente cristianizzazione, proveniente dal paganesimo,
sembra, insomma, opporre molta resistenza all’assioma
che identifica i demòni con gli dèi. L’abbandono di questi,
considerati potenze ancora in grado di soccorrere, non av­
veniva con la nettezza richiesta dal predicatore che invitava
i convertiti a oltrepassare con decisione quella pericolosa
zona di confine fra l’area di influenza dei demòni che, offesi
per essere stati lasciati, potevano vendicarsi, e quella del
Signore, che non poteva ancora offrire completamente la
sua protezione, data l’incostanza e l’incertezza con cui gli si
era aderito240. I catecumeni, di cui ci parla ad un certo
punto il predicatore, che cominciavano a dubitare quando
venivano a sapere di qualche guarigione o della conoscenza
del futuro concesse da questo o da quella divinità241, con
molta probabilità si persuadevano infine a giustapporre,

238 Ho. Ier. L. Ili, 4-5; Ho. Ios. VII, 4; Ho. Ex. VII, 2; Ho. Iud. II, 3.
239 Monaci, Origene, cit., pp. 130-148.
240 Ho. Ex. Vili, 4.
241 Ho. Is. VII, 2.

98
INTRODUZIONE

sia pure in modo subordinato, gli dèi di un tempo al Dio


della religione di recente acquisizione. Siamo di fronte evi­
dentemente ad un modo molto diverso di risolvere lo
«scandalo» dell'efficacia degli dèi.

IV. 5. La demonologiafilosofica

Nella grande varietà di soluzioni, prospettive ed accenti


con cui i cristiani si ponevano di fronte a Satana ed i suoi
angeli, alcuni autori acquistano un rilievo particolare:
Clemente Alessandrino ed Origene. Clemente è il primo ad
intuire con chiarezza i pericoli insiti nello sviluppo iper­
trofico della demonologia a lui contemporanea. Il suo Pro-
trettico - caloroso discorso di esortazione alla conversione,
in cui si affrontano gli argomenti tipici della letteratura
apologetica - esprime, sotto il profilo demonologico, un
punto di vista diverso: i miti e gli dèi greci non sono frutto
di un complotto diabolico, ma invenzioni, fantasie la cui
origine è ormai difficile da individuare, ma che sono certo
nati da menti umane242. L’ignoranza, la superstizione,
l’abitudine hanno attribuito agli dèi, nel corso dei tempi,
realtà e poteri che invece non hanno243. Negli Stromati,
Clemente confuta apertamente non soltanto l’idea che la
filosofia sia stata insegnata dagli angeli ribelli e che abbia
quindi un’origine diabolica, ma, criticando l’antropomorfi­
smo con cui sono rappresentati gli angeli, esprime impli­
citamente un radicale scetticismo riguardo al racconto
tradizionale244. Più esplicita e netta è la sua critica verso
altri aspetti demonologici che apparivano compromettere

242 Protr. II, 13. 5; 23, 1; 26, 1; III, 44.


243 Protr. II, 11, 1-3, ove egli nega che le varie tecniche di divina­
zione abbiano un qualche fondamento reale; Athen., Leg. XXVI, 1*.
244 «... Né gli uomini odono come parlano gli angeli in quanto an­
geli, né questi hanno una lìngua come noi abbiamo orecchie» (Strom.
VI, 57. 3).

99
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

seriamente gli esiti della grande battaglia a favore del libe­


ro arbitrio, che in quello stesso tomo di tempo si stava
combattendo contro i marcioniti e gli gnostici. Il Maestro
alessandrino polemizza con decisione contro la tesi che i
demòni possano abitare neH’anima dell’uomo. Essa, so­
prattutto nella forma della dottrina dei demòni dei pecca­
ti, aveva trovato fra i cristiani portavoci autorevolissimi,
come Erma245. Soltanto però gli gnostici, come Basilide,
l’avevano sviluppata in un senso che eliminava la possibi­
lità da parte dell’uomo di liberarsene attraverso un atto di
volontà indirizzato al bene246. Esisteva inoltre una lettera­
tura «popolare», di cui abbiamo visto alcuni esempi, che,
pur non condividendo i presupposti dualistici degli gnosti­
ci, sosteneva e diffondeva una mentalità propensa ad ac­
centuare il potere demoniaco tanto da considerare neces­
sario per la sua eliminazione l’atto carismatico dell’ «uomo
divino». Contro gli uni e gli altri, Clemente si sforza di
mettere a punto una teoria del peccato che integri, in un
diverso modello antropologico, sia il contributo diabolico
al peccato, sia la libertà della scelta morale247. Nella sua
prospettiva, non è l’esorcismo, ma l’esercizio, l’educazione
e la conoscenza, le armi con cui si combattono i demòni.
Una distanza altrettanto grande separa Clemente dalla
demonologia imperversante negli AA. Essa risalta molto
chiaramente quando leggiamo il breve racconto che chiu­
de il Quis dives salvetur? e che ha per protagonisti un gio­
vane che diventa capo di una feroce banda di briganti e
l’apostolo Giovanni che lo converte. L’intreccio narrativo è
costituito da moduli tematici che ritroviamo spesso negli
AA: è la storia di un giovane che, pur educato cristiana­

245 Post., Mand. V, 1, 1-4»; VI, 2, 1-4*.


246 Strom. II, 112-114*; Exc. Theod. 73, 1*.
247Strom. II, 111*.

100
INTRODUZIONE

mente e battezzato, si perde, affondando sempre di più


nell’abisso di peccati gravissimi.. L’apostolo Giovanni in­
terviene e, mettendo a rischio la propria vita, riesce a ri­
condurre il giovane sulla retta via. Nei punti culminanti
del racconto - la descrizione dei peccati del giovane ed il
suo pentimento -, là dove gli AA avrebbero messo in scena
il diavolo e l’esorcismo. Clemente sceglie una strada diver­
sa. La trasfomazione di un giovane cristiano in un feroce
assassino è descritta come un processo graduale: egli co­
mincia con il frequentare cattive compagnie; in seguito
l'iterazione dei peccati si trasforma in abitudine Ano al
punto di farlo sprofondare sempre più nel baratro del pec­
cato «come un cavallo divenuto insensibile al morso»248.
Anche il pentimento è descritto come l’ultimo atto di un
cammino lento e faticoso in cui le preghiere, la penitenze
e la persuasione sono gli elementi determinanti.
Dall’opera di Clemente, emergeva, insomma, l’invito
pressante a risituare la demonologia all'interno del conte­
sto più ampio della teologia cristiana, a eliminarne gli
aspetti mitologici, a reinterpretame quelli più contraddit­
tori. L’invito venne raccolto da Origene249 nel De principiis,

248 Quis dlv. salv. 42, 15.


249 Non soltanto da lui: non dobbiamo dimenticare le Omelie
Pseudoclementine, che In alcune parti (XIX-XX) presentano un Iden­
tico sforzo. Si tratta di un testo che deve essere trattato con circospe­
zione per le complesse vicende legate alla sua tradizione. Composto
nel IV secolo, esso riprenderebbe, come le Recognitiones, una Grund-
sctuift del III secolo (cfr. F. S. Jones, The Pseudo-Clementines: A Hi·
story o f Research, «Second Centuiy» 2 (1982), pp. 1-33; 63-96). In
questo testo troviamo le stesse considerazioni con le quali Origene
introduce la discussione sui demòni: vi appare la consapevolezza che
la questione sull’origine e la natura delle potenze avverse sia desti­
nata a rimanere insoluta se si prendono in considerazione le Scrittu­
re: da esse si evince soltanto l'esistenza di esse. La questione è per­
tanto condotta secondo 1 procedimenti propri della filosofia, analiz­

101
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

l’opera che si prefìgge lo scopo di «ordinare in un tutto or­


ganico l'esplicazione razionale»250 delle verità insegnate in
modo chiaro dagli apostoli e delle altre, di cui essi hanno
affermato l’esistenza, ma non le modalità e l’origine, la­
sciando così lo spazio per un approfondimento da parte
degli «amanti della sapienza»251. Il punto di partenza della
riflessione demonologica di Origene è il dato della rivela­
zione che egli ritiene ridursi a due enunciati: «il diavolo e i
suoi angeli» (Mt. 25, 41) esistono252; essi combattono il ge­
nere umano, cercando di gravarlo di peccati253. La prima
questione da affrontare è quella della loro natura ed origi­

zando via via diverse ipotesi che vengono accolte o respinte sulla ba­
se della loro coerenza con gli assunti di partenza. La conclusione è
che anche il diavolo alla line non può non salvarsi.
250 Praef. 10.
251 Praef. 3.
25211contributo di Origene è stato importante anche sotto il pro­
filo esegetico: egli accetta la tradizione che vede nelle potenze malva­
gie angeli caduti, ma non ricorre al mito degli angeli vigilanti. Orige­
ne non considera il Libro d i ISnoch. ispirato, pertanto per quanto ri­
guarda l’orìgine del diavolo e dei suoi angeli - su cui gli gnostici co­
struivano in parte la loro dottrina sulle diverse nature di uomini (cfr.
Co. Io. XX, 198-200*)-preferisce fondare la propria dimostrazione su
testi più sicuri. Tuttavia i racconti enochiani continuano ad essere
citati sia all'intemo di un’interpretazione di tipo storico riguardante
il racconto di im a caduta originaria, sia secondo un'interpretazione
allegorica che li intende riferiti airincorporazione delle anime; per
una sintesi dell’esegesi origeniana cfr. Monaci, Origene, cit., pp. 158-
159. Origene pone al centro della propria riflessione demonologica
una serie di passi scritturistici (Ez. 26, 28 sgg.; Is. 14, 12 sgg.; Iob
40, 14) che, pur non costituendo una novità assoluta, sono da lui in­
seriti in una rete di rimandi intemi alla Bibbia incomparabilmente
più ricca e complessa (cfr. Ho. Ez. XIII*). Sempre nella Bibbia egli
cerca parole in grado di gettare un ponte tra la figura tradizionale del
diavolo e le proprie ardite speculazioni sulla caduta dei noes e l’origi­
ne del mondo sensibile: Co. Io. XX, 182-183*.
253 Ibid. 6*.

102
INTRODUZIONE

ne. Essi, da un punto di vista ontologico, non sono diversi


dalle altre creature: sono razionali, capaci di merito, se
progrediscono e diventano migliori, o di colpa, se abban­
donano la retta condotta254. La caduta del demonio e dei
suoi angeli è connessa a quella delle altre creature razio­
nali e riferita ad un momento precedente alla creazione del
mondo sensibile. Prima della creazione di questo, che è
una conseguenza della caduta e, nello stesso tempo, mez­
zo di riscatto, è da collocarsi l’allontanamento delle crea­
ture razionali dal Logos; allontanamento dovuto ad una
sorta di sazietà, di pigrizia, di trascuratezza che ha allen­
tato l'unione con il Logos. Esse si sono incarnate in corpi
di diversa natura secondo la gravità del peccato e, da quel
momento, ha avuto inizio il lungo processo della salvezza
che, con il passaggio delle creature attraverso stati e mon­
di successivi, dovrebbe approdare - sulla base delle ipotesi
formulate da Origene - alla ricomposizione dell’unità ini­
ziale. Anche se il diavolo ed i suoi angeli hanno peccato
più gravemente e, di conseguenza, hanno assunto uno
stato diverso, essi, dotati come le restanti creature di libe­
ro arbitrio, ne condividono anche il destino finale255. La
salvezza finale delle potenze maligne è l’aspetto più con­
troverso della demonologia origeniana256. La questione è
resa complessa anche dal fatto che quasi tutti i testi in no­

254 De pr. I, 5, 2*. Sul tema: G. Sfameni Gasparro, Eguaglianza


di natura e differenza di condizione dei λογικοί: la soluzione origenia­
na nel contesto delle formule antropologiche e demonologiche greche
del Π e III secolo. In Origeniana V, Leuven 1992, pp. 301-319.
255 Questi temi ritornano in molti trattati dell’opera, ma in parti­
colare I, 4; 5*; 6*; II, 9; III, 2*; 6*.
256 Ma forse anche Clemente [Paed. Ili, 44,4) avrebbe ammesso,
per 11 demonio, la possibilità della riconciliazione finale con Dio: cfr.
W. E. G. Flqyd, Clement of Alexandria's treatment o f thè problem of
euiL, Oxford 1971, p. 72.

103
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

stro possesso sono traduzioni eseguite a distanza di quasi


due secoli e, proprio su questo argomento, molto interes­
sate ad offrire immagini di parte della posizione origenia-
na. A me pare che la salvezza finale del demonio sia, in un
certo senso, inscritta nelle strutture portanti del pensiero
origeniano; il male è per Origene «senza sussistenza»257,
non era in principio e non rimarrà nell’eone futuro; il dia­
volo non potrà non liberarsi in quel tempo della sua mal­
vagità, per ristabilire l'ousia che è identica a quella delle
restanti creature razionali258.
La seconda questione affrontata concerne l’attività dei
demòni. Se è vero che il demonio e i suoi seguaci cercano
di far peccare gli uomini, come si concilia questo con il li­
bero arbitrio e come è possibile rappresentarsi concreta­
mente l’intervento dei demòni sull’uomo? Dietro il primo
interrogativo s’intravede la polemica contro il libero arbi­
trio da parte degli gnostici; il secondo era connesso al pro­
blema di fondare una psicologia cristiana comprensibile
agli occhi di chi era abituato a spiegare il male compiuto
dall'individuo in termini filosofici. La diversità del punto
di vista cristiano da quello filosofico è perfettamente chia­
rita in un passo del Commento al Vangelo di Giovanni:
«Molti, anche tra i sapienti, ritengono che la mancanza
(αμάρτημα), considerata come un unico genere, di cui an­
che la mancanza nel discorso è una specie, non derivi da
altro che da giudizi di cattiva qualità. Coloro che credono
alle Scritture sante come di origine divina, parlando di ciò
che gli uomini fanno contro il retto logos, ritengono invece
che non sia compiuto senza l’intervento dei demòni o po­
tenze avverse quali siano»259.

257 Co. Io. II, 93.


258 Ho discusso la questione più in dettaglio, nel contributo cita­
to n. 135, pp. 239-240.
259 Co. Io. XX, 40, tr. Corsini, Torino 1968, p. 678.

104
INTRODUZIONE

Ma a che punto precisamente nell’iter che porta al pec­


cato si inserisce l’intervento della natura diabolica e che
peso ha il suo intervento? Coerentemente con l’intento
antignostico, Origene si sforza di elaborare un’ipotesi in
cui l’iniziativa morale rimanga all’uomo. Questi - sostiene
il Maestro alessandrino - non pecca se osserva, nell'asse-
condare alcuni impulsi, come quello della sete, della fame,
del sesso, la misura naturale; ma se l’oltrepassa, ecco
che, ad aggravare questa prima colpevole mancanza, in­
tervengono le potenze contrarie260.
Il meccanismo sarebbe analogo riguardo all’azione d
le potenze avverse sulla mente; ma in tal caso la casistica
si complica. L’anima umana può accogliere l’attività di po­
tenze sia buone sia malvagie. Secondo Origene, queste ul­
time possono sia impadronirsi completamente della men­
te, in modo tale da compromettere qualsiasi possibilità di
scelta, sia esercitare una suggestione corruttrice, cui l’uo­
mo, invece, può resistere261.
Diversamente da Clemente, ma come gran parte dei
suoi contemporanei, Origene ha una percezione acutissi­
ma dell’iniziativa e della forza diabolica che egli, al pari di
Erma e degli AA, considera capace di occupare l’animo
umano fino a spossessarlo di sé; ciò che lo distingue è il
tentativo di farla coesistere con la libertà dell’uomo. Per
quali cause infatti - egli si chiede - alcune anime, piutto­
sto che altre, sono possedute fin dalla nascita o, durante
la loro vita, sono suggestionate dal diavolo? L’unica solu­
zione possibile è ammettere che le anime abbiano merita­
to un simile trattamento per cause antecedenti la loro na­
scita262. Con un movimento tipico del suo pensiero, Orige­
ne introduce l’idea della preesistenza delle anime come

260 De pr. Ili, 2, 2*.


261 Ibid. Ili, 3, 6*.
262 Ibid.

105
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

l’unica che possa consentire la diffìcile convivenza tra la


libertà dell’uomo e la giustizia di Dio.
La vasta gamma di attività dei demòni nei vari aspetti
delle realtà esterne, già individuata nelle tradizioni prece­
denti, viene interamente accolta da Origene che, però, an­
che in questo caso, si sforza di presentarla in un modo ac­
cettabile anche da un punto di vista filosofico. Ad esempio,
egli è convinto della parte recitata dalle potenze avverse
nelle persecuzioni, nelle malattie, nelle sventure personali
e nelle calamità naturali, ma, come gli stoici, insiste sulla
posizione da adottare riguardo al mondo esterno. Nella
prospettiva stoica, l’uomo, attraverso il logos, sarebbe in
grado di dominare l’atteggiamento di fronte alle condizioni
materiali della sua esistenza, le quali, non ricadendo sotto
il suo controllo, sono considerate eticamente indifferenti.
Anche per Origene le realtà esterne sono degli αδιάφορα e
ciò che importa dal punto di vista morale è unicamente
l’atteggiamento assunto dall'uomo; la convinzione cristia­
na che vede negli eventi negativi del mondo il teatro
detrazione dei demòni è da lui giustapposta alla concezio­
ne stoica come elemento che rafforza ed orienta la volontà
di resistenza del credente. Questi infatti percepisce nelle
sventure che lo colpiscono l’azione di una volontà maligna
che non si esaurisce nel danno materiale, ma ha come fine
appunto quello di modificare a proprio vantaggio l’atteggia­
mento dell’uomo verso il mondo e Dio. In altre parole, lo
scopo vero dei demòni non è quello di infliggere la malattia
ma, per suo tramite, di trascinare all'angoscia, alla dispe­
razione, fino alla perdita delle fede in Dio263.
Origene parla delle potenze avverse non soltanto nel
De principiis, ma anche nel corso della sua predicazione.
Se consideriamo complessivamente il contenuto omiletico

263 Ibid. Ili, 2, 7*.

106
INTRODUZIONE

relativo alla demonologia, ci troviamo di fronte ad un pae­


saggio molto diverso rispetto a quello del De principiis.
Nella predicazione il «diavolo e i suoi angeli» non appaiono
più come una questione teoretica, ma come ima presenza
concreta con una psicologia determinata: essi sono astuti,
ambigui, superbi, invidiosi; mettono in atto strategie com­
plicate per far cadere gli uomini nell'errore teologico e nel
peccato. Nella predicazione, e soltanto in questa, recitano
una parte di rilievo gli spiriti dei peccati264. Origene pre­
senta al suo pubblico il mondo demoniaco come un eser­
cito ben organizzato: al vertice, il demonio che è superiore
agli altri per malvagità e quantità di delitti; immediata­
mente al di sotto, un numero piuttosto ristretto di princi­
pes che hanno il compito di promuovere ciascuno un sin­
golo peccato; alla base, un numero sterminato di demoni
che, sotto il comando dei precedenti, divisi in schiere, in­
ducono gli uomini a compiere i diversi tipi di peccati. La
lotta contro i peccati è una lotta, in un certo senso, perso­
nalizzata: vincere l'ira, la concupiscenza, l’avarizia, signifi­
ca, nel senso reale della parola, sottrarre al demonio cor­
rispondente il suo nutrimento e metterlo nelle condizioni
di non potere più agire265.
Per un verso, dunque, la presenza dei demòni appare
massiccia e collegata alla sensazione di essere assediati
da nemici innumerevoli che spiano gli uomini e che cerca­
no di insinuarsi in essi; per l’altro, viene ad assumere
un’importanza centrale la lotta quotidiana contro i demò­

264 Origene (forse consapevole che essi potevano rappresentare


una novità per il suo pubblico) ne fa una presentazione complessiva
in Ho. los. XV, 5*. citando diversi passi della Scrittura e un apocrifo
giudaico: 1 Testamenti dei Dodici Patriarchi In ambito cristiano, la
stessa concezione appare in Erma (cfr. infra p. 139, n. 14).
265 Ho. los. Vili, 7*; cfr. su questo tema: Monaci Castagno, Orige­
ne, d i., pp. 156-164.

107
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

ni, la cui urgenza arriva a mettere in secondo piano il te­


ma della vittoria della croce sulle potenze266. Gran parte
della predicazione tenuta da Origene riguarda l'interpreta­
zione dei libri storici della Bibbia; libri che contengono
racconti innumerevoli di battaglie, assedi, stragi, distru­
zioni ormai lontanissimi nel tempo267. Nella sua predica­
zione l’intreccio degli eventi e dei personaggi si libera dalla
polvere del tempo per coinvolgere l’uditore nella gigante­
sca battaglia che si svolge qui ed ora, in ogni momento,
contro i demòni. Grazie alla sua prodigiosa conoscenza
della Scrittura, Origene sa ricreare intorno al dettaglio più
irrigidito dal gelo del passato una rete metaforica che lo
rende vivido e presente nella mente di chi lo ascolta. Ciò
che il predicatore vorrebbe ottenere è la trasformazione
del soggetto da spettatore ad attore che sente nel proprio
cuore la paura per l’aggressione, la sofferenza per la vio­
lenza subita, ma anche il desiderio di reagire, buttandosi
nella mischia con le armi del suo spirito268.
La preesistenza delle anime, la discussione sul libero
arbitrio, la salvezza finale del demonio sono temi che ap­
paiono assai raramente nella predicazione e si tratta quasi
sempre di cenni, allusioni, che Origene fa scivolare nel di­
scorso, seguendo spesso un filo di idee intricato che può
essere compreso appieno soltanto se già si conoscono da
altre opere gli orientamenti di fondo del predicatore, ma
che certamente doveva rimanere impenetrabile per il suo
pubblico269. I motivi di queste autocensure sono diversi:
prudenze ecclesiastiche, preoccupazioni pastorali, un mo­
dello educativo particolare; ciò che interessa qui sottoli­
neare è che, confrontando il De principiis con la predicazio­

266 Ho. Ios. Vili, 2-4*.


267 Ho. Ios. Vili, 2*.
268 Ho. Nm. VII, 6*: Ho. Ios. XV, 5-6*.
269 Monaci Castagno, Origene, d t„ pp. 219-256.

108
INTRODUZIONE

ne, si assiste, sotto il profilo demonologico, non soltanto ad


un cambiamento di temi, ma anche ad un mutamento, per
così dire, di registri culturali: là quello filosofico, di matrice
greca, qui quello più tradizionale di matrice giudaica.
Per comprendere come la demonologia di Origene possa
essere nello stesso tempo estremamente innovativa e insie­
me estremamente conservatrice della tradizione, bisogna
tenere presente il modello di realtà e di comunicazione che
vi è presupposto: un modello che prevede diversi livelli a
ciascuno dei quali comspondono, dal punto di vista del
soggetto, diversi gradi di preparazione intellettuale e di ele­
vazione morale e, dal punto di vista dell'oggetto, gradi di­
versi di realtà secondo un scala che va dal sensibile, carat­
terizzato dalla lotta contro le passioni, all'intelligibile in cui
vi è la contemplazione delle realtà celesti.

IV. 6. Satana alla corte e nel deserto

I decenni che separano la sintesi di Origene dall’editto di


Milano non presentano sotto il profilo demonologico novità
di rilievo. Negli scritti di questo periodo il diavolo ed i suoi
angeli appaiono nelle vesti consuete di fomentatori del cul­
to degli dèi e delle eresie, artefici delle persecuzioni e
dell’apostasia di molti270. La generazione che passò attra­
verso la dura presecuzione dioclezianea e vide il capovolgi­
mento della situazione ad opera di Costantino ritenne di
assistere al compimento delle profezie messianiche sulla
sconfìtta delle potenze avverse. Questi eventi costituirono
per alcuni l’occasione di dar sfogo all’odio e all’aggressività

270 Cfr. in particolare 1due trattati apologetici di Amoblo, Adv


sus nationes scritto sotto Diocleziano e le Divinae institutiones di
Lattanzio (In particolare 11II libro), opera redatta tra 11 304 ed 11 313.
Sulla concezione di Lattanzio: V. Loi, Problemi d el male e dualismo
negli scritti d i Lattanzio. «Annali della Facoltà di Lettere di Cagliari»,
29 (1961-1965), pp. 37-96.

109
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

accumulati negli anni difficili: nel De mortibus persecuto­


rum Lattanzio non risparmia al lettore neppure il dettaglio
più disgustoso delle morti atroci di coloro che, resisi stru­
mento dei demòni271, perseguitarono i cristiani e termina
con la visione grandiosa di un Dio che finalmente ha scate­
nato la sua ira contro i suoi nemici: «Celebremus igitur
triumphum dei cum exultatione; victoriam domini cum
laudibus frequentemus»272.
Con spirito più moderato e rivolto al futuro, Eusébio di
Cesarea esprime le stesse convinzioni: con l’avvento di Co­
stantino i cristiani possono constatare con i loro occhi la
realizzazione delle promesse; il diavolo e le sue potenze di
morte che, servendosi di empi tiranni, perseguitavano i cri­
stiani, sono ora annientati; la Chiesa, fino a questo mo­
mento abbandonata, deserta, spoglia di ogni difesa, ora fio­
risce come un giglio e spande il suo profumo divino fra tut­
ti gli uomini che possono rialzarsi e rimettersi in cammino
verso Dio con rinnovato rigore273.
Lattanzio, letterato famoso divenuto maestro di Crispo,
figlio di Costantino, ed Eusebio, panegirista e biografo
dell’imperatore, verso il quale egli nutre un’ammirazione
profonda, sono fra 1principali artefici del mito storiografico
di un Costantino amante di Dio, novello Mosè, le cui fortu­
ne militari e politiche sono indissolubilmente legate a quel­
le della Chiesa. Il trionfalismo che pervade i loro scritti
esprime il punto di vista di chi era legato agli ambienti di
corte e partecipava attivamente a diffonderne l’ideologia.
Altrove, lontano dalla corte e dalle città, il diavolo ed i
suoi angeli conservavano invece intatta la capacità di colpi­

271 Ibid. Ili, 2; XVI, 7, 10.


272 Ibid. LII, 3-4.
273 Hist. Eccl. X, 4, 6; 15; 33. I passi sono tratti dal discorso per
dedicazione della chiesa di Tiro; il libro X fu aggiunto all'Hist. EccL
dopo la sconfitta di Licinio avvenuta nel 324.

110
INTRODUZIONE

re e di incutere terrore. Ne è prova evidente la vicenda di


Antonio che il suo biografo ci presenta sempre vittorioso,
ma sempre in lotta con i demòni. La fiorentissima letteratu­
ra monastica può essere letta nella chiave di un intermina­
bile esorcismo contro un diavolo che, tuttavia, rimane pre­
sente con il suo corteo di spaventevoli allucinazioni, irresi­
stibili lusinghe, devastanti infermità fìsiche. Egli ritorna
sempre sulla scena, soltanto magari per pronunciare una
battuta efficace che con involontaria ironia viene affidata
proprio a lui, «il padre della menzogna» (Zo. 8, 44): «Non ho
più un luogo, né frecce, né città. I cristiani sono per ogni
dove: ed ora anche il deserto si è riempito di monaci»274.

IV. 7. Considerazioni conclusive

Nei circa tre secoli che vanno da Gesù fino al termine del
III secolo il diavolo ed i suoi angeli hanno acquistato una
fisionomia ed un ambito di attività che non saranno mu­
tati per lunghissimi secoli. Essi sono il risultato degli
enormi cambiamenti che hanno investito le Chiese cristia­
ne nello stesso periodo. La certezza della sconfìtta delle
potenze ad opera della croce, pur rimanendo una coordi­
nata essenziale del pensiero teologico cristiano, non ha
avuto sempre la stessa incisività e la stessa presenza nel
vissuto religioso. Essa appare intensissima nelle parole di
Paolo ai Romani e permea di sé le visioni grandiose del-
l’Apocaiisse, ma in seguito il clima cambia notevolmente.
La potenza del diavolo e dei suoi angeli venne rilanciata
dalla fìtta rete di discorsi con cui i cristiani di volta in vol­

274 Vita Anton. 41, 4. Così Cipriano: «Diabolus... in eo tam


quod dixerit fàllat» {Ep. LXIX, 15*). Sulla demonologia nella letteratu­
ra monastica: Russell, Satan, cit., pp. 149-185; M. G. Mara, La lotta
contro II demonio nella letteratura monastica del IV secolo, in L'autun­
no, cit., pp. 265-78; L. Leloir, Anges et démons chez les Pères du de-
sert, in Anges et démons, cit., pp. 313-335.

Ili
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

ta rinnovarono le ragioni della propria coesione sociale e


dottrinale e resero esplicito a ciascuno il legame con la co­
munità in cui vivevano.
In tale prospettiva il diavolo è prima di tutto, 1’άντικείμέ­
νος, 1'inimicus, l’Altro, a partire dal quale, secondo le di­
verse situazioni, acquistano contorni più precisi e forza
l’autorità vescovile contro altre che ne contendono il prima­
to; l’ortodossia contro l’eterodossia; il cristianesimo contro
le altre religioni dell’impero. Il diavolo è anche 1’άντικείμενος
in relazione al quale si sono costruiti modelli antropologici,
a volte contrastanti, in grado di spiegare la psicologia
dell’uomo e il suo paradosso, in quanto essere divino che
pecca, che soffre e che muore.
Tale costruzione di identità collettive ed individuali ha
tratto la propria linfa vitale non soltanto dalle ragioni
dell’intelletto, ma anche dai sentimenti e dalle passioni: so­
prattutto il timore e la violenza che ne è, così spesso, la
compagna abituale. Alla ferocia del diavolo che «come leone
ruggente va in giro cercando chi divorare» (I Pt. 5, 8) corri­
sponde la ferocia di Giosuè, che entra nella città di Gai e
massacra uomini, donne e bambini (Ios. 8. 25-26) o quella
di Cristo, gemello di Pietro, che fa a pezzi la donna incate­
nata275: gli uni e l’altra simboli delle potenze avverse e,
dunque, esecuzioni legittime quanto, per ora, soltanto im­
maginarie. Tuttavia è nel periodo fin qui studiato che assi­
stiamo alla formazione di due fenomeni, ancora separati,
ma dalla cui convergenza, insieme alle mutate circostanze
storiche, scaturirà la persecuzione degli eretici e delle stre­
ghe: la polarizzazione dell’aggressività nella lotta contro i
demòni, da una parte, e, dall’altra, la sempre più incerta
distinzione, nel vivo della lotta, fra l’individuo e il demonio
di cui, di volta in volta, è considerato lo strumento. È que­

275 APt XXII*.

112
INTRODUZIONE

sto, per esprimerci con gli A tti di Pietro, il frutto «totus ama­
rissimus» dell’albero rigoglioso della demonologia. La sua
ombra contribuì a proteggere le Chiese dall’approfondirsi
delle divisioni e ne favori lo slancio missionario con l’offrire
alla lotta religiosa allettanti semplificazioni che dispensava­
no là maggior parte dei cristiani dall’esercizio estenuante e
rischioso del vaglio delle ragioni altrui. Tuttavia, la stessa
ombra, troppo fìtta, impedì che attecchissero i virgulti di
modi di pensare differenti, come le alte parole di Tertullia­
no in difesa della libertà della coscienza religiosa che furo­
no presto dimenticate276.

276 A d Scap. II, 1-2.


IL DIAVOLO
E I SUOI ANGELI
(secoli Ι-Π1)

TESTI E TRADUZIONI
IGNAZIO
(fine del I secolo-inizio del Π secolo)

Secondo la notizia di Eusebio1, Ignazio fr i vescovo di Antio­


chia sotto il regno di Troiano (98 -117) e scrisse le sue Lettere
mentre veniva portato prigioniero a Roma per subirvi il mar­
tirio. Ep. Eph. 19, 1-3 è, nell’intenzione dell'autore, una bre­
ve anticipazione di una esposizione più. ampia, sul 'piano che
Dio ha/atto sull’uomo·. Con essa il vescovo di Antiochia in­
tende distogliere gli Efesini ·άα1fetido unguento che è la dot­
trina del principe di questo mondo·2, cioè le interpretazioni
docetistiche dell 'incarnazione. Il brano è di importanza cen­
trale per l’individuazione dei rapporti di Ignazio con la gnosi3.
In Ep. Rm. 7, 1-3 Ignazio scongiura i fra telli romani di
nonfare nulla per evitare il suo martirio; egli teme che il dia­
volo, per cui il martirio rappresenta la sconfitta più brucian­
te4, possa all’ultimo momento distoglierlo dal suo proposito.

117
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

I gnatsi A n t io c h e n i E p is t u l a ad E p h e s io s
19, 1-3; ed. Bihlmeyer, pp. 87, 24 - 88, 55

1. Καί έλαύεν τον άρχοντα τοϋ αίωνος τούτου ή παρθενία


Μαρίας καί ό τοκετός αύτης, ομοίως καί ό ύάνατος τοϋ κυρίου·
τρία μυστήρια κραυγής, ατινα èv ησυχία ύεοϋ έπράχύη.

2. Πώς ούν έφανερώΰη τοϊς αίώσιν; άστήρ έν ούρανω


ελαμψεν υπέρ πάντας τους αστέρας, καί το φως αύτοϋ άνεκλάλη-
τον ήν καί ξενισμόν παρεϊχεν ή καινότης αύτοϋ, τα δε λοιπά
πάντα άστρα αμα ήλίω καί σελήνη χορός έγένετο τω άστέρι, αυτός
δε ήν ύπερβάλλων το φως αύτοΰ ύπέρ πάντα- ταραχή τε ήν, πόϋεν
ή καινότης ή ανόμοιος αύτοΐς.

3. "Οΰεν έλύετο πάσα μαγεία καί πας δεσμός ήφανίζετο


κακίας· άγνοια καΰηρεΐτο, παλαιά βασιλεία διεφύείρετο Οεοΰ
άνΰρωπίνως φανερουμένου εις καινότη τα άιδίου ζωής άρχήν δέ
έλάμβανεν τό παρά ι3εω άπηρτισμένον. "Ενθεν τά πάντα συνεκι-
νεΐτο διά τό μελετασΰαι θανάτου κατάλυσιν.

E p is iu l a ad R omanos
7, 1-3; ρρ.100, 10 - 101, 2

1. 'O άρχων τοϋ αίωνος τούτου διαρπάσαι με βούλεται καί τήν


εις ϋεόν μου γνώμην διαφϋεΐραι. Μηδείς ούν των παρόντων ύμών
βοηΰείτω αύτω- μάλλον έμοϋ γίνεστε, τουτέστιν τοϋ ι3εοϋ. Μή
λαλείτε ’ Ιησοϋν Χριστόν, κόσμον δέ έπιύυμεΐτε.

2. Βασκανία έν ύμΐν μή κατοικείτω. Μηδ’ άν εγώ παρών π


ρακαλώ ύμδς, πείσθητέ μοι· τούτοις δέ μάλλον πείσΰητε, οίς
γράφω ύμΐν. Ζών γάρ γράφω ύμΐν, έρών τοϋ άπούανεΐν. 'Ο έμός
έρως έσταύρωται, καί ούκ εστιν έν έμοί πϋρ φιλόϋλον· ύδωρ δε

118
IGNAZIO

Le t t e r a agu E f e s in i

1. E rimase nascosto al principe di questo mondo6 la ver­


ginità di Maria ed il suo parto, e allo stesso modo la morte
del Signore7: tre misteri da proclamare ad alta voce, che
vennero compiuti nel silenzio di Dio.
2. Come dunque vennero manifestati agli eoni8? Una
stella9 nel cielo brillò più splendente di tutti gli astri e la
sua luce era inesprimibile e la sua novità causò turba­
mento, e tutti gli altri astri, con il sole e la luna, divenne­
ro un coro per la stella10 che irradiava la sua luce più di
tutti: erano sconvolti e si chiedevano donde venisse la no­
vità differente da loro11.
3. Allora veniva dissolta ogni magia12, annientato ogni
legame iniquo, distrutta l’ignoranza, abbattuto l’antico regno,
con il manifestarsi di Dio in forma d’uomo, per recare la no­
vità della vita eterna (Rm. 6, 4): e prendeva inizio ciò che
era stato preparato da Dio. Così tutto era sconvolto perché
si stava apprestando la distruzione della morte.

L ettera ai R omani

1. Il principe di questo mondo vuole distruggermi e cor­


rompere la mia mente rivolta a Dio. Quindi, nessuno di voi,
che sarete presenti, lo aiuti13; state piuttosto dalla mia par­
te, che è quella di Dio. Non parlate di Gesù Cristo, mentre
desiderate il mondo.
2. Non abiti in voi l’invidia. Se, quando sarò presente,
supplicassi, non datemi retta. Date retta piuttosto a ciò che
vi scrivo. In pieno vigore vi scrivo infatti: desidero morire.
Il mio desiderio è crocifìsso e non vi è in me amore ardente

119
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

ζών καί λαλοϋν έν έμοί, εσωϋέν μοι λέγον Δεΰρο πρός τον πατέρα.

3. Ούχ ήδομαι τροφή φύορας ουδέ ήδοναΐς τοϋ βίου τούτο


Άρτον ϋεοΰ ϋελω, δ έστιν σαρξ ’ Ιησοϋ Χρίστου, τοϋ έκ σπέρματος
Δαυίδ, και πόμα ύέλω το αίμα αύτοϋ, δ έστιν αγάπη άφθαρτος.

120
IGNAZIO

per la materia; un'acqua viva (Io. 4, 10) mormora in me e mi


dice: vieni dal Padre.
3. Non provo diletto nel cibo corruttibile né nei piaceri
questa vita. Desidero il pane di Dio (cfr. Io. 6, 33), il pane che
è la carne di Gesù Cristo, dal seme di David (Io. 7,42), desidero
come bevanda il suo sangue che è l’amore incorruttibile.

NOTE

1 HisL EccL III, 36, 5-11.


2 Ep. Eph. 17; per 11contesto, cfr. introd., pp. 55-56.
3 Su cui ha insistito soprattutto la ricerca di H. Schlter, Religions-
geschichtttche Untersuctwngen z ìi den Ignatius-Briejen, Glessen 1929,
secondo cui il passo esprimerebbe un mito gnostico di redenzione; in
tale prospettiva, in 19, 1 sarebbe descritta la discesa nascosta del
Salvatore; in 19, 2, l’ascesa gloriosa; in 19. 3, l’effetto sugli uomini.
Status quaestionis: C. Murder, Où en est la question d ’Ignace d'Antioche?
Bilari d ’un siede de recherches 1870-1988. in A. N. R. W. II, 27. 1, 1993,
pp. 359-484.
4 Sul tema diavolo e martirio, cfr. Passio Perpetuae IV, 3-7* e introd.
pp. 73-75.
5 L'edizione critica utilizzata è: Die Apostolischen Vàter, Neubear-
beltung der funkschen Ausgabe von K. Bihlmeyer, 3. Auflage (...) mit
einem Nachtrag von W. Schneemelcher, I Teli, Tubingen 1970.
6 Egli è, secondo la terminologia di Ignazio, il demonio: Eph. 17,
1; TraL 4, 2; Rom. 7, 1: PhiL 6, 2 (cfr. Gokey, The Terminology, c it, p.
74, n. 2).
7 Per il tema dell'ignoranza del demonio cfr. sotto A/X, 11 ·. Anche
Orig. Ho. Le. VI, pensa che il matrimonio di Giuseppe con Maria servisse
appunto a tenere nascoste al demonio le circostanze eccezionali della
nascita di Gesù. Cfr. anche sotto D e pr. Ili, 3, 1*.
8 n termine allude a potenze celesti, simboleggiate dalle stelle (per
questa simbologia cfr. introd.. pp. 19-20). In quale rapporto stanno
con «il principe di questo mondo»? Il problema nasce dal fatto che l’in­
tera vicenda di Cristo, dal concepimento fino alla morte, fu tenuta na­
scosta al «principe di questo mondo», mentre gli eonl ne furono a co­
noscenza fin daH’apparire della stella cometa. Il principe di questo
mondo e gli «eoni» appartengono a regioni celesti differenti? Cfr. su
questo punto anche W. R. Schódel, Ignatlus ofAntioch. A Commentari}

121
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

on thè Letters o f Ignotius ofAntioch, Philadelphia 1985, p. 91. AIX , 14*


pone il riconoscimento al momento dell'ascensus; sui rapporti fra i
due testi cfr. M. Pesce, Presupposti per l'utilizzazione storica dell'Ascen­
sione di Isaia. Formazione e tradizione del testo; genere letterario; co­
smologia angelica, in M. Pesce (a cura di), Isaia, il Diletto e la Chiesa.
Visione ed esegesi profetica cristiano-primitiva nell'Ascensione di Isaia.
Atti del Convegno di Roma, 9-10 aprile 1981, Bologna 1983, p. 23. E.
Norelli, L'AI e gli avversari di Ignazio di Antiochia, in Id., L'Ascensione
di Isaia. Studi su un apocrifo al crocevia dei cristianesimi, Bologna
1994, pp. 271-276. Ignazio anticipa questo momento alla nascita; su
questa linea è anche un testo di Giustino (Diai LXXVII-LXXVIII), ove si
afferma che la potenza del demonio è vinta da Cristo nel momento del­
la nascita (cfr. anche Origene, Infra).
9 Secondo alcuni studiosi questo sarebbe l’inizio di un inno, la cui
versificazione è stata oggetto di interpretazioni differenti, cfr. status
quaestionis in Schódel, cit., p. 88; W. Bauer-H. Paulsen, Die Briefe des
Ignatius uon Antiochia und der Polykarpbrìef, Tùbingen 1985, pp. 44.
La stella come simbolo di Cristo è un’allusione a Nm. 24, 17: «una stel­
la si leverà da Giacobbe. «
10 II «coro» degli astri è un’allusione a Le. 2, 13: «πλήθος στρατιάς
ουρανίου».
11 Si allude all’episodio della cometa, così come è narrato dal
Protoevangelo di Giacomo 21: i magi dicono di aver visto una «stella
grandissima che brillava fra queste altre stelle e le oscurava» e di ave­
re compreso, da questo, «che era nato un re per Israele».
12 Origene in C. CeL I, 59-60 spiega il collegamento a prima vista
singolare fra la comparsa dell'astro più splendente di tutti e la dissoluzione
della magia. Esso è il segno della comparsa nel mondo di una forza e di
un potere superiori a quello dei demòni di cui i maghi si servono per
compiere le loro magie. La comparsa di Cristo spezza il dominio delle po­
tenze sul mondo, dominio che si esprime, secondo idee astrologiche mol­
te diffuse nel tempo, attraverso la magia e l'asservimento al fato: in tale
prospettiva, le stelle non sono più forze impersonali che governano l'ar­
monia del mondo, ma potenze spesso maligne di cui è necessario gua­
dagnarsi la benevolenza attraverso magie e sacrifici (cfr. I. P. Culianu,
«Démonlsation du cosmos· et dualisme gnostique, in Id., Iter in sUuis. Saggi
scelti sulla gnosi e altri studi, Messina 1981, pp. 15-52). L’apparizione
di Dio in forma umana assesta un colpo decisivo al loro potere; quello
definitivo è la distruzione della morte per opera della resurrezione.
13 Ignazio teme che i fratelli romani prendano qualche iniziativa
- come del resto era prassi abituale - per evitare il suo martirio.

122
LETTERA DI BARNABA
(fine del I secolo-inizio del II secolo)

Lo scritto, falsamente attribuito al Barnaba compagno di mis­


sione di Paolo, è stato composto nell’arco di tempo che va
dalla prima distruzione del tempio (70 cLCJfino alla seconda
avvenuta nel 135. Anche per l'ambiente di origine non vi so­
no indicazioni sicure: forse l’Egitto oppure l'area siropalesti-
nese1. Pur presentandosi in form a di lettera, esso è un bre­
ve trattato apologetico e catechetico, la cui struttura lettera­
ria ha sollevato numerose questioni. La più. spinosa riguar­
da l’unità dell’opera che, secondo alcuni, sarebbe assai com­
posita2. La critica più recente tende invece a rivalutare l’ap­
porto personale dell’anonimo autore, segnalandone l'origi­
nalità nel panorama teologico della più antica letteratura cri­
stiana, soprattutto per il rilievo da lui attribuito all’esegesi
allegorica3.
Il primo brano è tratto dalla prima parte della Lettera (1-
17), il cui tema principale è la critica al giudaismo ed alle
sue istituzioni. R secondo proviene dalla parte finale (18-19)
che, con accentuata soluzione di continuità rispetto alla pri­
ma, consiste nell'esposizione della dottrina delle due vie.

123
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

B a r n a b a e E p is t u l a
4, 9-10; ed. Bihlmeyer, pp. 13, 29 - 14, 84

9. Πολλά δέ ύέλων ράφειν, ούχ ώς διδάσκαλος, άλλ’ ώς πρέπει


άγαπώντι άφ’ ών εχομεν μή έλλείπειν, γράφειν έσπούδασα,
περίψημα ύμών. Διό προσέχωμεν εν ταΐς έσχάταις ήμέραις· ούδεν
γίχρ ωφελήσει ήμδς ό πας χρόνος της ζωής καί της πίστεως ήμών,
έαν μή νϋν εν τω άνόμφ καιρφ καί τοϊς μέλλουσιν σκανδάλοις, ώς
πρέπει υίοΐς ϋεοΰ, άντιστώμεν.

10. "ίνα ούν μή σχη παρείσδυσιν ό μέλας, φύγωμεν από πάσης


ματαιότητος, μισήσωμεν τελείως τα έργα της πονηρας όδοΰ. Μή
καΐ> ’ έαυτούς ένδύνοντες μονάζετε ώς ήδη δεδικαιωμένοι, άλλ’
έπί τό αύτό συνερχόμενοι συνζητεΐτε περί τοΰ κοινή συμφέροντος.

18, 1-2; ρ. 31, 8-13

1. Μεταβώμεν δε καί έπί έτέραν γνώσιν καί διδαχήν. ' Οδοί δύο
είσίν διδαχής καί έξουσίας, ή τε τοΰ φωτός καί ή τοΰ σκότους.
Διαφορά δε πολλή των δύο όδων. ’Εφ’ ής μέν γάρ είσιν τεταγμένοι
φωταγωγοί άγγελοι τοΰ Οεοϋ, έφ’ ής δε άγγελοι τοΰ σατανά.
2. Καί ό μέν έστιν κύριος από αιώνων καί εις τούς αιώνας, ό δε
άρχων καιροΰ τοΰ νΰν της ανομίας.

124
LETTERA DI BARNABA

I etterà di Barnaba

9. Essendo mio desiderio dirvi molte cose, non come un


maestro, ma come conviene ad un amico che desidera non
trascurare nulla di ciò che abbiamo, mi sono messo a scri­
vere, io che sono un vostro rifiuto. Stiamo dunque attenti
negli ultimi giorni5: a nulla, infatti, ci gioverà tutto il tempo
della nostra vita e della nostra fede, se ora, nel tempo iniquo
e neU’imminenza degli scandali, non resistiamo come si ad­
dice ai figli di Dio.
10. Fuggiamo da ogni vanità, odiamo compiutamente
opere della strada malvagia6, per non permettere così al
Nero7 di insinuarsi (in noi). Non vivete isolati, ripiegati su
voi stessi come se foste già giustificati8, ma riunitevi per
cercare insieme il vostro comune interesse9.

1. Passiamo ad un altro genere di conoscenza e di inse­


gnamento: vi sono due strade (ciascuna delle quali corri­
sponde) ad un insegnamento e ad un’autorità: la strada del­
la luce e quella della tenebra. Fra le due strade vi è una
grande differenza. All’una sono preposti gli angeli di Dio che
recano la luce, all’altra gli angeli di Satana10. 2. L’uno è
Signore dall’eternità e per l’eternità, l’altro è invece il prin­
cipe dell’iniquo tempo presente.

NOTE

1 Cfr. J. C. Paget, The Epistle o f Bamabas, Tùbingen 1994, pp. 30-


42.
2 Cfr. Épìtre de Bamabé, intr., tr. et notes par P. Prigent; text grec
par R. A. Kraft (SC 172), Paris 1971, pp. 11-20.

125
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI l-III

3 F. Scorza Barcellona, Epistola di Barnaba, Torino 1975, pp. 10


sgg.; Paget, cit., pp. 183-185.
4 L’edizione critica utilizzata è: Die Apostolischen Vàter, Neu-
bearbeitung der funkschen Ausgabe von K. Bihlmeyer, 3. Auflage (...)
mit einem Nachtrag von W. Schneemelcher, I Teli, Tubingen 1970.
5 Barnaba ripete più volte che la line di questo mondo malvagio è
vicina: 2, 1; 21, 3 (cfr. introd. pp. 56-57).
6 Esse sono descritte in 20, 1-2: «La strada del Nero è tortuosa e
piena di maledizioni», cui segue l’elenco delle opere malvagie.
7 Cioè al diavolo; sulla spiegazione di questa definizione e sulle sue
origini - sia nella religione egiziana, sia nei miti greci- cfr. F. G. Dòlger,
Die Sonne der Gerechtigkeit und der Schwarze. Eine religlonsgeschich-
tliche Studie zum Taufgelóbnts, Munster 1919, pp. 49-75.
8 Costoro sono forse cristiani che interpretano in modo troppo ra­
dicale la giustificazione paolina e che, dunque, si isolano dal resto del­
la comunità ritenendo di essere già in possesso della salvezza? Una
nuova interpretazione è quella di P. F. Beatrice, Une citation de l’Évan-
gile de Matthieu dans l’Épitre de Bamabé, in J. M. Sevrin (Ed.), The
New Testament in thè ISarly Church, Leuven 1989, pp. 235-245. Egli
considera questi cristiani un gruppo di encratitl entusiasti.
9 La stessa esortazione anche in Ep. Eph. 13 di Ignazio: «Impegnatevi
dunque a riunirvi più spesso per la celebrazione eucaristica e per lo­
dare il Signore. Infatti, quando vi riunite spesso le potenze di Satana
vengono abbattute e dissolti 1suoi flagelli mediante la concordia della
nostra fede».
10 Barnaba, a differenza di Erma, non spiega le funzioni di questi
angeli, di cui non parla più negli ultimi tre capitoli dello scritto; non
possiamo dunque sapere se Bam aba condivida il determinismo che
accompagna questa dottrina negli scritti di dumràn (cfr. introd. p. 26);
egli comunque non fa cenno a nessuna divisione degli uomini in due
gruppi, uno destinato alla salvezza, l’altro alla perdizione e sembra es­
sere sulla linea dei Testamenti (cfr. introd. pp. 22-23) é di Erma (cfr.
Prigent-Kraft, cit., pp. 12-20).

126
ERMA
(Π secolo)

Il Pastore è un’opera scritta a Roma, verso la metà del II se­


colo, da Erma. Egli ha ricevuto da esseri celesti (la Chiesa,
il Pastore) rivelazioni sotto form a di visioni (= VisJ, precetti
(=Mand J, parabole (= S im .)1, con l’incarico comunicarli ai
presbiteri ed ai fra telli nella fede. Anche se non mancano
contributi che hanno chiarito la provenienza ellenistica di al­
cuni temi ed immagini2, il filone più consistente di studi col­
loca il testo sullo sfondo del genere apocalittico, sia studian­
done la dipendenza da alcuni testi in particolare, sia sotto­
lineandone la comunanza di temi e di elementi narrativi3.
Dal punto di vista demonologico, il Pastore non presenta una
riflessione sull’origine delle potenze demoniache4, ma è in­
teressato soprattutto a chiarire l’azione del diavolo e delle
sue potenze sia all’intemo dell'uomo (Mand. V, 1, 1-4*; VI,
2, 1-9*; ΧΠ, 5, 1-4*), sia nella Chiesa, mostrandoli all’opera
nei fa ls i profeti (Mand. XI, 1-17*). L'incontro con il mostro
(Vis. IV, 1, 5-9*) è la rappresentazione simbolica della vita
morale interiore e mostra come unafed e fermissima e l'aiu­
to angelico possano ridurre il diavolo all'impotenza. L ’inten­
to parenetico dell’opera è in armonia, del resto, con i fin i che
VA. si prefigge: portare alla conoscenza di tutti la rivelazio­
ne della possibilità di una seconda penitenza e le condizio­
ni necessarie perché essa sia efficace. La concessione mise­
ricordiosa di una seconda penitenza è dovuta indirettamen­
te all'azione del diavolo (Mand. IV, 3, 4-5*).

127
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

H e r m a e V is io n e s P a s t o r is
IV, 1, 5-10; ed. Whittaker, pp. 19, 16 - 20, 95

5. Καν προσέβην μικρόν, αδελφοί, καί ιδού βλέπω κονιορτόν ώς


εις τον ουρανόν, καί ήρξάμην λέγειν έν έμαυτφ· Μηποτε κτήνη
έρχονται καί κονιορτόν έγείρουσιν; Ουτω δεήν απ’ έμοΰ ώς άπό
σταδίου. 6. Γινομένου μείζονος καί μείζονος κονιορτοΰ ΰπενόησα
είναί τι ΰεϊον μικρόν έξέλαμψεν ό ήλιος, καί ιδού βλέπω ΰηρίον
μέγιστον ώσεί κητός τι, καί έκ τοΰ στόματος αύτοΰ ακρίδες πύ­
ρινοι έξεπορεύοντο. ΤΗν δε τό ΰηρίον τφ μήκει ώσεί ποδων ρ', την
δε κεφαλήν είχεν ώσεί κεράμου. 7. Καί ήρξάμην κλαίειν καί
έρωταν τον κύριον ΐνα με λυτρώσηται έξ αύτοΰ. Καί έπα-
νεμνήσΰην τοΰ ρήματος ού άκηκόειν· Μή διψυχήσεις, Έρμα.
8. ’Ενδυσάμενος ούν, αδελφοί, την πίστιν τοΰ κυρίου καί μνησϋείς
ών έδίδαξέν με μεγαλείων, ΰαρσήσας είς τό ϋηρίον έμαυτόν
εδωκα. Ουτω δε ήρχετο τό ϋηρίον ροίζω, ωστε δύνασΰαι αύτό πό-
λιν λυμάναι. 9. "Ερχομαι έγνύς αύτοΰ, καί τό τηλικοϋτο κήτος
έιαείνει έαυτό χαμαί καί ούδέν εί μή τήν γλώσσαν προέβαλλεν,
καί δλως ούκ έκινήϋη μέχρις δτε παρηλϋον αύτό· 10. είχεν δε
τό ϋηρίον έπί της κεφαλής χρώματα τέσσερα- μέλαν, είτα
πυροειδες καί αιματώδες, είτα χρυσοΰν, είτα λευκόν.

M a n d a t a P a s t o r is
IV, 3, 4-5; p. 28, 3-13

4. Τοϊς ούν κληιϊεϊσι προ τούτων τών ήμερων εΰηκεν ό κύριος


μετάνοιαν. Καρδιογνώστης γίχρ ών ό κύριος καί πάντα προγινώ-
σκων εγνω τήν ασθένειαν τών άνΰρώπων καί τήν πολυπλοκίαν
τοϋ διαβόλου, δτι ποιήσει τι κακόν τοΐς δούλοις τοΰ ΰεοϋ καί
πονηρεύσεται είς αύτούς. 5. Πολύσπλαγχνος ούν [ών] ό κύριος
έσπλαγχνίσΰη έπί τήν ποίησιν αύτοΰ καί έΰηκεν τήν μετάνοιαν
ταύτην, καί έμοί ή έξουσία της μετανοίας ταύτης έδόΰη.

128
ERMA

P a s t o r e , V is io n i

5. E proseguii un poco, fratelli, ed ecco che vidi un polverone


che si sollevava quasi fino al cièlo e mi dissi: «Si avvicina for­
se un gregge che alza una nube di polvere?» Essa distava da
me circa uno stadio. 6. Poiché la nube di polvere diventava
sempre più grande, compresi che si trattava di qualche cosa di
divino. Il sole riuscì a mandare qualche bagliore ed, ecco, vidi
una bestia enorme come una balena6 e dalle sue fauci usci­
vano cavallette di fuoco7. La bestia aveva una lunghezza di cir­
ca cento piedi e la testa come una grande anfora. 7. E mi mi­
si a piangere ed a chiedere al Signore di liberarmi da essa. E
mi ricordai delle parole che avevo ascoltato: «Non dubitare,
Erma»8. 8. Allora, fratelli, rivestitomi della fede nel Signore e
con il ricordo dei suoi magnifici insegnamenti, mi feci coraggio
e mi consegnai alla bestia. Si avvicinava con uno stridore ta­
le da sembrare in grado di distruggere una città. 9. Le arrivo vi­
cino e quelTenorme balena si sdraia per terra e resta comple­
tamente immobile, limitandosi a far penzolare la lingua, fin
quando non le passo oltre9. 10. La bestia aveva sulla testa
quattro colori: nero, poi fuoco e sangue, poi oro, poi bianco10.

Pasto re, P r ecetti

4. Per coloro dunque che furono chiamati prima di questi


giorni il Signore stabilì una penitenza11. Infatti il Signore,
che conosce i cuori e che tutto prevede, ha compreso la de­
bolezza degli uomini e l’astuzia del diavolo, (sapendo) che
avrebbe fatto del male ai servi del Signore e che sarebbe
stato malvagio con loro. 5. Allora il Signore che è molto mi­
sericordioso, sentì compassione per la sua creazione e sta-

129
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

M a n d a t a P a s t o r is
V, 1, 1-4; p. 29, 5-16

1. Μακρόθυμος, φησί, γίνου καί συνετός, καί πάντων των


πονηρών έργων κατακυριεΰσεις καί έργάση πάσαν δικαιοσύνην.
2. ’Εάν γάρ μακρόθυμος έση, το πνεύμα τό άγιον τό κατοικούν έν
σοί καθαρόν εσται, μή έπισκοτούμενον υπό έτέρου πονηρού
πνεύματος, ά λλ’ έν εύρυχώρω κατοικούν άγαλλιάσεται καί
εύφρανθήσεται μετά τοΰ σκεύους έν ώ κατοικεί, καί λειτουργήσει
τω θεώ έν ίλαρότητι πολλή, έχον τήν εύθηνίαν έν έαυτφ. 3. ’Εάν
δέ όξυχολία τις προσέλθη, εύθύς τό πνεύμα τό άγιον, τρυφερόν
δν, στενοχωρεΐται, μή έχον τον τόπον καθαρόν, καί ζητεί άπο-
στήναι έκ τοϋ τόπου· πνίγεται γάρ ύπό τοϋ πονηρού πνεύματος, μή
έχον τόπον λειτουργησαι τφ κυρίφ καθώς βούλεται, μιαινόμε-
νον ύπό της όξυχολίας. ’Εν γάρ τη μακροθυμία ό κύριος κατοικεί,
έν δέ τη όξυχολία ό διάβολος. 4. ’Αμφότερα ούν τά πνεύματα
έπί τό αύτό κατοικοϋντα, άσύμφορόν έστιν καί πονηρόν τω
άνθρώπω έκείνφ έν ώ κατοικοϋσιν.

M a n d a t a P a s t o r is
VI, 2, 1-4; 6-9, pp. 32, 9-22; 33, 6-13

1. ”Ακουε νϋν, φησί, περί της πίστεως. Δύο είσίν άγγελοι μετά τοΰ
ανθρώπου, ε'ις της δικαιοσύνης καί εις της πονηριάς. 2. Πώς ούν,
φημί, κύριε, γνώσομαι τάς αύτών ένεργείας, οτι άμφότεροι άγγε­
λοι μετ’ έμοϋκατοικοϋσιν; 3. “Ακουε,φησί, καίσυνιεΐςαύτάς. 'Ο
μέν της δικαιοσύνης άγγελος τρυφερός έστι καί αίσχυντηρός καί
πραϋς καί ήσύχιος. "Οταν ούν ούτος έπί τήν καρδίαν σου άναβή,
εύθέως λαλεϊ μετά σοΰ περί δικαιοσύνης, περί άγνείας, περί

130
ERMA

bili questa penitenza e ne fu data a me ( se. al Pastore) l’au­


torità12.

Pa s t o r e , P r e c e t t i

1. «Sii paziente - dice (il Pastore) - ed assennato e saprai do­


minare il male e compiere ogni giustizia. 2. Se infatti sarai
paziente, lo spirito santo13 che abita in te rimarrà puro, sen­
za essere ottenebrato da nessun spirito malvagio14. Anzi,
abitando in un ampio spazio, esulterà e si rallegrerà con il
vaso15 in cui abita e servirà Dio in grande letizia, trovando in
esso l’abbondanza. 3. Ma se sopravviene un moto collerico,
subito lo spirito santo, che è delicato' si trova allo stretto e,
dal momento che non dispone più di uno spazio puro, cer­
ca di allontanarsi da quel luogo; è infatti soffocato dallo spi­
rito malvagio, non ha più uno spazio per servire il Signore
come vuole, dato che esso è contaminato dalla collera16. Il
Signore infatti abita nella pazienza e il diavolo nella colle­
ra17. 4. È perciò mutile e dannoso per l’uomo che li ospita
che i due spiriti abitino entrambi nello stesso luogo»18.

Pa s t o r e , P r e c e t t i

1. «Allora - dice (il Pastore) - ascolta ciò che riguarda la fede.


Con l’uomo vi sono due angeli, l’uno della giustizia, l’altro
dell’iniquità»19. 2. «Signore - chiedo -, come dunque potrò
conoscere le loro azioni, dal momento che entrambi gli angeli
abitano con me?»20. 3. «Ascolta - dice - e le comprendi. L’an­
gelo della giustizia è delicato, modesto, mite e calmo21.
Pertanto, quando costui entra nel tuo cuore, subito ti parla

131
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

σεμνότητος καί περί αύταρκείας καν περί παντός έργου δικαίου


καί περί πάσης άρετής ένδοξου. Ταΰτα πάντα δταν εις την
καρδίαν σου άναβη, γίνωσκε οτι ό άγγελος της δικαιοσύνης μετά
σοϋ έστι. Ταΰτα ούν έστι τα έργα του αγγέλου της δικαιοσύνης.
Τούτω ούν πίστευε καί τοϊς εργοις αύτοΰ. 4. "Ορα νΰν καί τοϋ
αγγέλου της πονηριάς τα έργα. Πρώτον πάντων όξύχολός έστι,
καί πικρός καί αφρων, καί τα έργα αύτοΰ πονηρά, καταστρέφον-
τα τούς δούλους τοΰ ΰεοΰ· δταν ούν ούτος έπί την καρδίαν σου
άναβη, γνώΰι αύτόν άπό των έργων αύτοΰ [...].

6. [...] "Εχεις ούν άμφοτέρων των αγγέλων τάς ένεργείας· σ


νιε αύτας καί πίστευε τφ άγγέλφ της δικαιοσύνης· 7. άπό δε τοΰ
αγγέλου της πονηριάς άπόστηΰι, οτι ή διδαχή αύτοΰ πονηρά έστι
παντί έργω· έάν γάρ η τις πιστότατος άνήρ, καί ή ένϋύμησις τοΰ
αγγέλου τούτου άναβη έπί την καρδίαν αύτοΰ, δει τον ανδρα έκεΐ-
νον ή την γυναίκα έξαμαρτήσαί τι. 8. ’Εαν δε πάλιν πονηρότατος
τις η άνήρ ή γυνή, καί άναβη έπί την καρδίαν αύτοΰ τα έργα τοΰ
αγγέλου της δικαιοσύνης, έξ ανάγκης δει αύτόν άγαιϊόν τι
ποιήσαι. 9. Βλέπεις ούν, φησίν, οτι καλόν έστι τφ άγγέλφ της
δικαιοσύνης άκολουϋεΐν, τφ δε άγγέλφ τής πονηριάς
άποτάξασιϊαι.

M a n d a t a P a s t o r is
XI, 1-3; 11-12; 14; 17; pp. 40, 1-14; 41, 10-25; 42, 2-4

1. Ουτοι, φησί, πιστοί είσι, καί ό καύήμενος έπί την καΰέδραν


ψευδοπροφήτης έστιν άπολλύων τήν διάνοιαν των δούλων τοΰ
Φεοΰ· των διψύχων δε άπόλλυσιν, ού των πιστών. 2. Ουτοι ούν
οι δίψυχοι ώς έπί μάντιν έρχονται καί έπερωτώσιν αύτόν, τί άρα
έσται αύτοΤς· κάκεΐνος ό ψευδοτφοφήτης, μηδεμίαν έχων έν έαιπφ
δύναμιν πνεύματος ιϊείου, λαλεΐ μετ ’ αύτών κατά τά έπερωτημα-
τα αύτών καί κατά τάς έπιιϊυμίας τής πονηριάς αύτών, καί πλη­
ροί τάς ψυχάς αύτών καΰώς αύτοί βούλονται. Αύτόςγάρ κενός ών

132
ERMA

di giustizia, di castità, di santità, di temperanza, di ogni ope­


ra giusta e di ogni virtù riconosciuta. Quando tutto questo en­
tra nel tuo cuore, sappi che l’angelo della giustizia è con te.
Queste sono senza dubbio le opere dell’angelo della giusti­
zia. Abbi fiducia allora in costui e nelle sue azioni. 4. Consi­
dera ora anche le azioni dell’angelo dell’iniquità. Prima di
tutto è collerico, amaro, insensato e le sue azioni malvagie
mandano in rovina i servi di Dio. Quando dunque questi en­
tra nel tuo cuore, riconoscilo dalle sue azioni» [...|.

6. [...] «Ora sai le azioni di entrambi gli angeli; compre


dile ed abbi fiducia nell’angelo della giustizia. 7. Sta lontano
dall'angelo dell'iniquità, poiché il suo insegnamento è malva­
gio in ogni azione. Mettiamo il caso infatti di un uomo pieno di
fede nel cui cuore penetri l’irrequietezza22 di questo angelo: è
necessario23 che l’uomo - o donna che sia - commetta un
qualche peccato. 8. Di contro, poniamo il caso di un uomo o
di tuia donna molto malvagi nel cui cuore entrino le azioni
dell’angelo di giustizia: necessariamente essi devono compie­
re qualche cosa di buono. 9. Vedi dunque - dice - che è bene
seguire l'angelo della giustizia e rinunciare all’angelo dell’ini­
quità».

Pa s t o r e , P r e c e t ti

1. «Questi - dice - sono fedeli e quello seduto sul seggio24


è un falso profeta che corrompe la mente dei servi di Dio.la
mente, cioè, dei dubbiosi, non dei veri credenti. 2. I dub­
biosi vanno da lui come da un indovino per interrogarlo sul
loro avvenire25. E quel falso profeta, che non possiede al­
cuna potenza derivante dallo spirito divino, risponde se­
condo le loro domande e secondo i loro desideri malvagi,
saziando le loro anime come essi vogliono.

133
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

κενά καί αποκρίνεται κενοΐς- 3. δ γάρ έάν έπερωτηθή, πρός τό


κενωμα τοΰ ανθρώπου αποκρίνεται. Τινά δέ καί ρήματα αληθή
λαλεϊ- ό γάρ διάβολος πληροί αυτόν τω αύτοΰ πνεύματι, ε’ί τινα
δυνήσεται ρήξαι των δικαίων. [...]

11. νΑκουε νΰν, φησί, περί τοΰ πνεύματος τοΰ έπιγείου κ


κενοΰ καί δύναμιν μή έχοντος, αλλά δντος μωροΰ. 12. Πρώτον
μέν ό άνθρωπος έκεΐνος ό δοκών πνεΰμα έχειν ύψοΐ έαυτόν καί
θέλει πρωτοκαθεδρίαν έχειν, καί εύθύς ιταμός έστι καί αναιδής
καί πολύλαλος καί έν τρυφαΐς πολλαΐς άναστρεφόμενος καί έν
έτέραις πολλαΐς άπάταις, καί μισθούς λαμβάνων της προφητείας
αύτοΰ- έάν δε μή λάβη, ού προφητεύει. Δύναται ούν πνεΰμα θειον
μισθούς λαμβάνειν καί προφητεύειν; Ούκ ένδέχεται τοΰτο ποιείν
θεοΰ προφήτην, άλλά των τοιούτων προφητών έπίγειόν έστι τό
πνεΰμα. [...]

14. "Οταν δε έλθη εις συναγωγήν πλήρη άνδρών δικαίων


έχόντων πνεΰμα θεότητος, καί έντευξις άπ’ αύτών γένηται, κε-
νοΰται ό άνθρωπος έκεΐνος, καί τό πνεΰμα τό έπίγειόν άπό τοΰ
φόβου φεύγει άπ’ αύτοΰ, καί κωφοΰται ό άνθρωπος έκεΐνος καί
δλως συνθραύεται, μηδέν δυνάμενος λαλήσαι. [...]

17. Συ δέ πίστευε τω πνεύματι τω έρχομένφ άπό τοΰ θεοΰ καί


εχοντι δύναμιν- τω δέ πνεύματι τω έπιγείφ καί κενώ μηδέν πίστευε,
δτι έν αύτώ δύναμις ούκ έστιν· άπό τοΰ διαβόλου γάρ έρχεται.

M a n d a t a P a s t o r is
XII, 5, 1 - 6, 1; pp. 45, 14 - 46, 3

1. 'Ο μέν άνθρωπος, φημί, κύριε, πρόθυμός έστι τάς έντολάς τοΰ
θεοΰ φυλάσσειν, καί ούδείς έστιν ό μή αίτούμενος παρά τοΰ
κ[υρίου ΐν]α ένδυναμωθη έν ταΐς έντολαΐς αύτοΰ καί ύποταγη
αύταΐς· άλλ’ ό διάβολος σκληρός έστι καί καταδυναστεύει

134
ERMA

3. Infatti essendo egli stesso vano, dà ad uomini vani ri­


sposte vane26. Qualsiasi sia la domanda, costui risponde
secondo la vacuità dell’interlocutore. Però dice anche cose
vere, perché il diavolo lo riempie del suo spirito, per vedere
se può piegare qualche giusto». [...]
11. «Ascolta - dice - ciò che riguarda lo spirito terreno
e vano28, privo di potenza29 e di senno. 12. Prima di tutto
quell’uomo che sembra possedere uno spirito, si innalza da
solo e pretende un posto privilegiato; diventa subito sfac­
ciato, impudente, ciarliero; vive fra mollezze e illusioni di
vario tipo; accetta compensi per le sue profezie e se non lo
pagano, non profetizza. È possibile che uno spirito divino
si faccia pagare per profetare? Non è ammissibile che un
profeta di Dio si comporti così, ma lo spirito di questi pro­
feti è terreno»30. [...]

14. «Allorché (un falso profeta) arriva in un’assembl


di uomini giusti31 che posseggono lo spirito divino e che
stanno pregando, quell’uomo si vuota; lo spirito terreno,
per il timore, fugge da lui ed egli ammutolisce, talmente ab­
battuto da non essere più in grado di dire nulla»32. [...]

17. «Tu abbi fede nello spirito che viene da Dio e che ha
potenza, non credere invece allo spirito terreno e vano, per­
ché in lui non vi è potenza; egli infatti proviene dal diavolo».

Pa s to r e , P r e c e t ti

1. Io dico: «O Signore, l’uomo è pieno di buona volontà33


nell’ osservare i comandamenti di Dio e non c’è nessuno
che non chieda al Signore di renderlo forte nei suoi co-
mandamenti e di esservi sottomesso; ma il diavolo è duro

135
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

αύτών. 2. Ού δύναται, φησί, καταδυναστεύειν των δούλων τοΰ


ϋεοΰ των έξ δλης καρδίας έλπιζόντων έπ’ αύτόν. Δύναται ό
διάβολος άντιπαλαΐσαι, καταπαλαΐσαι δε ού δύναται. ’Εάν ούν
άντισταύητε αύτω, νικηθείς φεύξεται άφ ’ ύμών κατησχυμμένος.
"Οσοι δε, φησίν, άπόκενοί είσι, φοβοΰνται τον διάβολον ώς δύνα-
μιν εχοντα. 3. "Οταν ό άνΰρωπος κεράμια ίκανώτατα γεμίση οίνου
καλοΰ καί εν τοϊς κεραμίοις έκείνοις όλίγα άπόκενα η, έρχεται
έπί τα κεράμια καί ού κατανοεί τα πλήρη· οίδε γάρ οτι πλήρη εί-
σί· κατανοεί δέ τα άπόκενα, φοβούμενος, μήποτε ώξισαν ταχύ
γάρ τά άπόκενα κεράμια όξίζουσι καί άπόλλυται ή ήδονη τοΰ οί­
νου. 4. Ουτω καί ό διάβολος έρχεται έπί πάντας τούς δούλους
τοΰ ύεοΰ έκπειράζων αύτούς. "Οσοι ούν πλήρεις είσίν έν τη πί-
στει, άνθεστήκασιν αύτω ίσχυρώς, κάκεΐνος άποχωρέΐ άπ ’ αύτών
μη έχων τόπον, ποΰ είσέλΌη. "Ερχεται ούν τότε πρός τούς
άποκένους καί έχων τόπον είσπορεύεται εις αύτούς, καί δ δέ βού­
λεται έν αύτοϊς έργάζεται, καί γίνονται αύτω ύπόδουλοι.

6. 1. Έγώ δε ύμΐν λέγω, ό άγγελος της μετανοίας· μη φοβήΰητε


τον διάβολον. ’Απεστάλην γάρ, φησί, μεύ’ ύμών είναι τών με-
τανοούντων έξ δλης καρδίας αύτών καί ίσχυροποιήσαι αύτούς
έν τη πίστει.

136
ERMA

e li domina». 2. «Non può dominare - risponde - i servi di Dio


che sperano in lui con tutto il cuore. Il diavolo può combat­
terli, ma non può vincerli. Se, dunque, gli resistete (cfr. Iac.
4, 7), egli, vinto e svergognato, fuggirà da voi34. Ma - dice - tut­
ti quelli che sono vuoti35 temono il diavolo come se avesse
potere36. 3. Se un uomo riempie una serie di anfore di vino
buono, lasciandone alcune semipiene, quando si reca a con­
trollare le anfore, non guarda quelle piene, perché sa che so­
no piene. Controlla invece quelle semipiene, temendo che va­
dano in aceto; infatti le anfore semipiene si inacidiscono su­
bito e il gusto del vino si rovina. 4. Allo stesso modo anche
il diavolo si avvicina a tutti i servi di Dio per metterli alla pro­
va. Tutti quelli che sono ricolmi di fede gli resistono con fer­
mezza ed egli si allontana da loro non trovando spazio per
entrare. Si avvicina allora a coloro che non sono compieta-
mente pieni e, trovando spazio, vi penetra, compiendo in lo­
ro ciò che vuole ed essi diventano suoi schiavi.

6. 1. Io, l’angelo della penitenza, vi dico: non temete il diavolo,


perché - aggiunge - sono stato mandato per stare con voi
che vi pentite con tutto il cuore e per rafforzarvi nella fede».

NOTE

1 Sul problema dell'unità letteraria dello scritto e delle sue fasi di


composizione: N. Brox, Der Hirt des Hermas, Gòttingen 1991, pp. 25 sgg.
2 Status quaestionis su questi aspetti in Hermas, Le Pasteur, in-
tr., texte cr., tr. et notes par R. Joly (SC 53), Paris 1958, pp. 48-51.
3 L. Cirillo, Erma e il problema dell'apocalittica a Roma, «Cristiane­
simo nella storia» 4 (1983), pp. 1-31.
4 Come del resto IV Esdra e II Baruch, cioè le apocalissi giudaiche
più vicine cronologicamente al Pastore.
5 L’edizione critica è: M. Whittaker, Die Apostoliscken Vàter, I: Der
H irt des Hermas «GCS», 48 (2), Berlin 1967 (2).
6 L’essere mostruoso è presentato come il «tipo della grande tribo­

137
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

lazione che sta per venire» (VI, 1 e rv, 2, 5); mi sembrano evidenti i
suoi tratti demoniaci: cfr. Ap. 13, 1; 16, 13: la bestia che sale dal ma­
re, il drago dalla cui bocca escono spiriti immondi. Su questo punto, E.
Peterson, Die Begegnung rrtil dem Ungeheuer, in Frùhkirche, Judentum
und Gnosis. Studien und Untersuchungen, Rom-Freiburg-Wien 1959,
pp. 285-309, che però nega che il mostro sia la personificazione di una
potenza maligna.
7 Cfr. Ap. 9, 1-11: dal fumo che oscura il sole e l’atmosfera escono
le cavallette per tormentare gli uomini: «il loro re era l’angelo dell’Abisso».
8 II tema della διψυχία recita una parte di primo piano nel Pastore:
gli incerti, i dubbiosi, sono coloro che «ragionano nel loro cuore, se
tutto ciò è vero oppure no» (Vis. Ili, 4, 3). Il termine indica l’intima di­
sunione di colui che reca nel cuore due volontà opposte e rivela la di­
pendenza di Erma dalla dottrina giudaica dei due yeserim. cfr. Gokey,
cit., pp. 155-161 e Brox, cit., Exkurse 15, pp. 551-553.
9 L’inerzia della bestia è l'illustrazione di quanto più volte viene so­
stenuto nel Pastore: il diavolo è privo di forza ed incapace di agire con­
tro 11vero credente, contro colui che non mostra alcuna paura (Mand.
XII, 5, 1-4*). Brox, cit, pp. 170-171, che sottolinea l’intento parenetico
a cui è subordinato il simbolismo di carattere apocalittico. Erma si
salva grazie alla sua fede (egli non ha dubitato e il mostro non gli si è
avwicinato); la Chiesa, che egli incontra subito dopo, gli spiega che,
a causa della fede dimostrata, «il Signore ha mandato l’angelo delle
bestie feroci, il cui nome è Thegri, che gli ha serrato la bocca, per im­
pedirgli di farti del male» (Vis., IV, 2, 4). Appaiono qui in modo evidente
i due elementi che comandano la concezione di Erma: l’uomo, se cre­
de in Dio «con tutto il cuore» può osservare i precetti e salvarsi, nello
stesso tempo egli ha bisogno di essere fiancheggiato dagli angeli in
grado di contrastare le potenze demoniache. Manca l’idea della scon­
fitta delle potenze ad opera del Figlio come evento decisivo che protrae
i suoi effetti benefìci anche nei tempi successivi.
10 Erma chiede alla giovane, personificazione della Chiesa, la spie­
gazione del simbolismo dei colori: ella spiega che il nero, simboleggia
il mondo, il fuoco ed il sangue significano che il mondo deve perire fra
il fuoco ed il sangue, l'oro rappresenta gli uomini che hanno fuggito il
mondo e sono restati fedeli, il bianco il mondo futuro dove vivranno
gli eletti [Mand. IV, 3, 3-6).
11 Erma ritiene di vivere gli ultimi giorni; subito prima egli ha pre­
cisato che sono esclusi dalla penitenza quelli che si convertiranno in se­
guito e quelli che hanno ricevuto il battesimo da poco. La penitenza
annunciata da Erma sarebbe - secondo alcune interpretazioni - una

138
ERMA

concessione eccezionale ad una comunità gravemente inficiata dal pec­


cato, per consentirle la salvezza nell’imminenza della fine (cfr. Joly,
cit., pp- 22 sgg.; Cirillo, cit., p. 42; Brox, cit., pp. 203; 211-212 che tra­
duce; «Denen also, die schon seit làngerer Zeit berufen sind»). Di di­
verso avviso B. Poschmann, Paenltentia saecunda, Bonn 1940, pp.
159-168, che la ritiene, già con Erma, una istituzione permanente;
status quaestionis in R. Joly, Le milieu complexe du 'Pasteur» d’Hermas,
in A. N. R. W„ 1992, 27, 1, p. 531.
12 Nella comunità di Erma vi sono delle discussioni: alcuni maestri so­
stengono che non vi è altra penitenza dopo il battesimo (Mand. IV, 3, 1);
d’altro canto, tale rigorismo si scontra con una realtà di fatto che Erma
dipinge a fosche tinte. La menzione da parte del Pastore del contribu­
to del demonio al peccato è un argomento efficace per aprire una brec­
cia in tale rigorismo, senza sminuire né la responsabilità dell'uomo,
né l'autorità dei maestri le cui affermazioni sono in via di principio giu­
ste. Anche la tradizione successiva vedrà nelle insidie del diavolo un
argomento a sostegno della necessità di un’altra penitenza (Tert, De poe­
nitentia VII, 7*).
13 Mand. X, 2, 6; «lo spirito di Dio che è stato dato alla tua (se. di
Erma) carne», corrisponde allo «spirito» che è stato dato alla «carne· di
Cristo; egli, camminando sulla via della purezza e della santità, non ha
contaminato in nessuna maniera lo Spirito Santo che gli è stato dato.
14 Ogni vizio ha uno spirito malvagio corrispondente, oltre a quel­
lo dell’ira. Erma menziona quelli della maldicenza (Mand. II, 3); della va-
naglora e della presunzione (Sim. IX, 22, 3); della dipsychia (Mand. IX,
1, 9), del desiderio (epithumia) (Mand. XII, 2, 2). Sul demonismo psi­
chico di Erma: P. A. Gramaglia, Comprensione e perdono in Epttteto e
in Erma, in G. Galli (a cura di). Interpretazione e perdono. Atti del
Dodicesimo Colloquio sull'interpretazione (Macerata 18-19 marzo 1991),
Genova 1992, pp. 107-110. Sugli spiriti del peccati nei Testamenti dei
Dodici Patriarchi, cfr. Test Dan III, 6 (l’ira); I, 6-8; II, 1 (invidia, vana­
gloria, menzogna, ira); in essi viene data una grande rilevanza al pec­
cato di πορνεία (cfr. R. Eppel, Le piétismejuif dans les Testaments des
Douze Patriarches, Paris 1930, pp. 130-135). Sui rapporti di queste
due pneumatologie con quella di AI: E. Norelli, Tradizioni pneumato-
logiche retrostanti ad A I 3, 26-28, in Id., L'Ascensione, cit., pp. 175-
182. Erma insiste soprattutto sulla διψυχία; sul significato di questo
termine cfr. n. 8. Sull'influenze dualistiche di Qumràn e dei Testamenti
sulla pneumatologia di Erma: C. Haas, Die Pneumatologie des *Hirten·
des Ermas, in A. N .R . W. 1992, 27, 1, pp. 552-586, p. 584.
15 L’uomo come «vaso» o «strumento» di Dio (keli): Is. 10, 15; ler.

139
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

18, 1-11; ma anche, soprattutto intomo all’era cristiana, del diavolo.


In Apoc. Mosè 16 il diavolo dice al serpente: «Divieni mio strumentai
(cfr. anche Ibid., 26 l’espressione σκεΰος άχάριστον, con cui Dio male­
dice l'animale). In Test. Neftali 8, 6 compare il tema dell’inabitazione
del diavolo in un uomo «come suo vaso».
16 La penitenza rivelata ad Erma è un'iniziativa del Signore e espres­
sione della sua misericordia, ma richiede anche la cooperazione dell'uo­
mo che deve «pentirsi con tutto il suo cuore», dimostrare la sua con­
versione osservando 1precetti anch’essi oggetto di una rivelazione. È un
cambiamento percepito e descritto in modo molto realistico, come un
avvicendamento all'intemo dell’uomo di potenze spirituali di diverso
segno.
17 Che rapporto c'è fra gli πνεύματα o i δαιμόνια, dei peccati con il
diavolo? Il testo non è esplicito su questo punto; soltanto a proposito
della dipsychia, forse ricordandosi delle parole di Giovanni (8, 44) che
alludono al Agli del diavolo, la definisce figlia del diavolo (Mand. IX, 9).
Anche gli altri peccati sono messi sullo stesso plano perché ή λύπη è
definita «sorella» della όξυχολία e della διψυχία (Mand. X, 1, 1).
18 Perché, come spiega Immediatamente sotto, è sufficiente una
goccia di assenzio per rovinare un intero vaso di miele: se si mescola
la collera con la pazienza, questa viene «contaminata» e la sua pre­
ghiera non è più gradita a Dio (Ibid. 6).
19 Test. Giuda XX, 1: «Sappiate che due spiriti seguono l'uomo,
quello della verità e quello deiringanno». Cfr. Ps. Barn., Ep. 18*; l’an­
gelo deirtniquità non si identifica con gli «spiriti· o «demoni» dei pec­
cati (questi ultimi non sono mai «angeli»), anche se è difficile precisa­
re la diversità delle rispettive funzioni: ad esempio 1'όξυχολία è al tem­
po stesso una ενέργεια dell'angelo dell'iniquità, ma anche uno πονηρό-
τατον πνεϋμα (Mand. V, 2, 8). Anche di questi spiriti Erma chiede al
Pastore, con una formulazione molto simile alla domanda concernen­
te l'angelo dell'iniquità, di conoscerne Γένέργεια, al fine di potersene
guardare (Mand. V, 1,7). Inoltre nell’ira «abita il diavolo» (cfr. sopra). L’A
non sembra porsi il problema di mettere un ordine in questa moltipli­
cazione di potenze negative che abitano nell'uomo; esso manca d'al­
tro canto anche nella fonte da cui maggiormente dipende sotto que­
sto aspetto: anche nei Testamenti d ei Dodici Patriarchi non sono chia­
ri i rapporti reciproci tra Beliar, lo spirito dell’inganno, e gli spiriti del
peccati. È interessante notare la complicata gerarchia proposta da
Origene quando riprende lo stesso argomento degli spiriti dei peccati
(cfr. Ho. Ios. XV, 5 sgg. *).
20 Lo sviluppo che segue riprende il tema della descrizione delle

140
ERMA

due vie (cfr. anche Ps. Barn. Ep. 18-19*; cfr. anche Test IssacharVll,
1 sgg.; Test. A serV 1, 4 e Test. Simeone IV, 8; In questi ultimi due testi
l'accento cade piuttosto sugli stati d’animo e su quanto di essi tra­
spare sul volto, piuttosto che sulle «opere», cioè sulle conseguenze con­
crete della presenza maligna nell'uomo.
21 La calma, la tranquillità come segno distintivo della presenza
dell’angelo buono anche in Test A serV 1, 6.
22 Poco prima l’A. aveva chiarito le epithumiai dell’angelo di ini­
quità (la brama di ricchezze, di divertimenti smodati, delle donne); nel
suo vocabolario epiihumia sembra corrispondere a ένθύμησις: cfr. Mand.
IV, 1, 2: «Nel caso infatti che questo desiderio (se. di un'altra donna)
ti giunga al cuore, peccherai. Questo desiderio è un peccato grave per
un servo di Dio».
23 II modo in cui le potenze prendono possesso dell’anima non sem­
bra lasciare spazio alla scelta morale. L'A. qui intende dire che quan­
do uno dei due angeli invade il cuore dell’uomo, egli non può compor­
tarsi diversamente da quanto gli suggerisce la potenza spirituale che è
in lui (Mand. V, 2, 7). Egli però può scegliere se mettersi o meno nel­
le condizioni di farsi avvicinare dallo spirito malvagio.
24 Per Peterson (Kritische Analyse derjùnfien Vision des Hermas,
in Frùhkirche, cit., p. 283) l’ambientazione rimanderebbe alla situa­
zione caratteristica della scuola sinagogale; per J. Reiling, Hermas and
Christian Projecy. A Study o f thè eleventh Mandate, Leiden 1973,
p. 31, il senso dell'ambientazione è più generico, ed ha soltanto la fun­
zione di introdurre le dramatis personae.
25 L'uso del termine μάντις ha una forte connotazione pagana; inol­
tre più avanti Erma dice, che i dipsychoi consultano gli indovini come
fanno i gentili, macchiandosi del peccato di idolatria (XI, 4). Il tenta­
tivo di assimilare queste figure agli indovini pagani è evidente anche
altrove (cfr. infra n. 30), ma Erma non può oscurare il dato di fondo: gli
pseudoprofeti qui presi di mira sono cristiani, consultati da cristiani.
Ciò apre una prospettiva, spesso trascurata, sull'emergenza, già in
epoca molto antica, del divario all’interno delle comunità cristiane fra
un tipo di religiosità prescritta dalla leadership della chiesa (cui ap­
partiene l’A.) e una religiosità vissuta che percepiva il passaggio dal
paganesimo al cristianesimo più sotto segno della trasformazione e
della continuità, che sotto quello della rottura e del cambiamento. In
altre parole la conversione al cristianesimo per molti non aveva impli­
cato la rinuncia a quelle forme di conoscenza del proprio destino in­
dividuale e terreno (il falso profeta asseconda le epithumiai dei suoi
clienti), che costituivano le molle più potenti del successo degli oraco­

141
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

li pagani nello stesso periodo (cfr. introd. pp. 61-63; 97-99). Si tratta
di uno scontro a carattere religioso, ma anche di potere e, pertanto,
aspro; ciò spiega il secondo argomento su cui si regge la vituperatio di
Erma; l’appiattimento di queste figure sulle potenze demoniache che li
abitano. Erma non usa, ad esempio, lo stesso tipo di aggressività nei
confronti degli eterodossi (gnostici?), che non vengono affatto - ed è
un caso assai raro nella tradizione cristiana - messi in una qualche
relazione con il demonio: cfr. Sim IX, 22, 4: essi possono pentirsi «per­
ché non erano malvagi, quanto piuttosto sciocchi e insensati». Questi
personaggi esercitavano una profezia alternativa (nei luoghi e nei con­
tenuti) e concorrente (essi -veniamo informati - aspirano alla πρω­
τοκαθεδρία, cioè ad un ruolo importante e riconosciuto aH’intemo del­
la comunità) a quella ufficiale esercitata davanti all'assemblea su que­
stioni poste collegialmente e quindi, si presume, sottoposte più facil­
mente ad un controllo.
26 Con il termine κενός 1Ά. può giocare su due registri che sfrutta
entrambi a fondo: un senso metaforico, per cui «vuoto» significa «va­
no», e un senso più letterale, per cui «vuoto» rimanda ad un’assenza:
l’assenza dello spirito santo nello spazio Interiore del cuore. Il cuore
non può essere vuoto in assoluto, esso è riempito o dagli spiriti malvagi
o dallo spirito santo. Con l’insistenza su questo termine e derivati, l’A.
evoca ed anticipa la presenza demoniaca, dichiarata esplicitamente
subito dopo.
27 In questo caso perché contrapposto al πνεϋμα της θεότητος del
vero profeta; anche l’ira però è uno spirito terreno.
28 Reiling, cit., pp. 41-47, ritiene illogica e paradossale l'espres­
sione πνεϋμα κενόν e, adducendo come prova un passo di Ireneo (Adv.
Haer. I, 13, 2) in cui compare la stessa espressione e un passo tratto
da un papiro magico, ritiene di poter concludere che lo πνεϋμα κενόν
sia uno spirito agente dell'»entusiasmo» profetico. Esso non sarebbe
stato un'invenzione di Erma ma un’espressione diffusa nel cristianesimo
del II secolo con cui si indicava lo spirito che agiva nella divinazione
pagana. A me pare che l’espressione, giudicata sullo sfondo della de­
monologia di Erma, non sia affatto contraddittoria. Come ho già detto
(n. 26), kenos non ha significato assoluto ma relativo: l'uomo vuoto lo
è soltanto in quanto è vuoto dello spirito santo; la stessa «assenza» è ri­
levata nello spirito terreno, che in realtà è ricolmo dello spirito del pa­
dre suo il diavolo (cfr. Mand. XI, 17*).
29 Egli come il diavolo non ha potenza che è prerogativa divina.
30 II ritratto del vero profeta, che precede il passo riportato, e quel­
lo del falso profeta, ricalcano quelli degli uomini posseduti rispettiva­

142
ERMA

mente dall’angelo della giustizia e dall’angelo dell’iniquità. Il profeta au­


tentico è mite, tranquillo, modesto, si astiene da ogni malvagità e dai
vuoti desideri di questo mondo, si fa inferiore a tutti e non risponde
quando è interrogato, ma parla soltanto quando vuole Dio. L’altro com­
pie le azioni dello spirito terreno che lo possiede, che sono le stesse sug­
gerite dall’angelo di iniquità. Il particolare della venalità dello pseudo-
profeta riflette il tentativo di presentarlo sostanzialmente come un in­
dovino pagano e fa parte della topica della polemica cristiana contro gli
oracoli. Simon mago che in Act. 8, 9-24 cerca di ottenere con il denaro
il dono dello Spirito è l'archetipo negativo cui si ispira l’apologetica cri­
stiana. Il disinteresse verso il denaro, l'esercizio gratuito delle proprie
facoltà taumaturgiche e profetiche, è dò che distingue un vero «uomo di­
vino» dal mago anche all'interno dell’apologetica pagana (cfr. Phil., Vii.
ApolL, 4, 45), Cfr. G. Poupon, L'accusation de magie dans les Actes apo-
cryphes, in Les Actes, cit., p. 79; Reiling, cit., pp. 53-54.
31 Nel ritratto del falso profeta vi sono dell’incoerenze; L'A., da una
parte, li rimprovera di esercitare la loro profezia «negli angoli» (Ibid. 13)
e di «fuggire l’assemblea degli uomini giusti» (Ibid.). Reiling ritiene il
particolare autentico e lo spiega con il fatto che tali pratiche erano vie­
tate nella Chiesa (c it, p. 54). In realtà sono anch’esse accuse topiche:
Celso accusa la propaganda cristiana con gli stessi argomenti: essa
avviene «in disparte» e tace di fronte alle persone colte (C. CeL III, 55).
La sostanza dell’accusa è che la profezia del falso profeta avviene in
luoghi diversi da quella ufficiale, esercitata davanti all’assemblea e su
questioni poste collegialmente (sull'esistenza di assemblee di profeti
con un profeta in posizione eminente: E. Norelli, A I e il profetismo esta­
tico cristiano, in Id., L'Ascensione, cit., pp. 235-248). Per un altro ver­
so, Erma ammette implicitamente che i falsi profeti, lungi da agire in
modo clandestino (si rammenti la scena iniziale), in realtà esigevano
un riconoscimento del loro status di profeti, rivendicando un posto di
privilegio nella comunità di cui erano membri e di cui frequentavano le
assemblee. Essi inoltre non erano degli isolati, ma godevano di un suc­
cesso notevole, se erano i dipsychoi a rivolgersi a loro.
32 II falso profeta è presentato come un indemoniato e la sua scon­
fìtta come un esorcismo; gli uomini giusti innalzano una preghiera (cfr.
Me. 9, 28) per attivare la potenza dello spirito divino che è già in loro;
esso mette in fuga lo spirito terreno; il suo allontanamento fa cessare
l’infermità; cioè la falsa profezia che è anche una forma di follia (Mand.
XI, 11*: lo spirito terreno è folle). Il timore dello spirito maligno di fron­
te all'epifania della potenza divina è anch’esso un elemento topico di
ogni esorcismo; nel Pastore il tema del timore ha particolare rilievo. Il

143
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-I1I

timore fondato è quello ispirato da una dynamis, cioè quello di Dio che
è bene provare per compiere i suoi comandamenti (Mand. VII, 2-5); il ti­
more del diavolo e delle sue potenze non è fondato, egli non ha «forza·
(cfr. sotto). Egli stesso del resto è soggetto al timore.
33 Nel cuore dell’uomo vi sono due volontà: Mand. XII, 1,1: Γέπι-
θυμία πονηρά e 1’έπιθυμία αγαθής. Cfr. T e s t Giuda XX, 1 (cfr. introd. p.
24).
34 Nella demonologia di Erma manca l’accentuazione del tema del­
la lotta, del combattimento contro il diavolo, che è invece il tema as­
solutamente prevalente nella demonologia cristiana. Il suo vocabolario
è piuttosto quello della resistenza e il punto essenziale è quello di non
fare avvicinare il diavolo e le sue potenze. Vi è l’idea pessimistica che
l'uomo non può prevalere da solo ad un attacco frontale con il diavo­
lo o con una delle sue molteplici potenze; l’illustrazione più chiara di
questa concezione è l’incontro con il mostro, cfr. sopra.
35 II termine più che una mancanza assoluta, indica una man­
canza relativa rispetto a chi è «ricolmo di fede». Sotto questo aspetto,
equivale a δίψυχος. Cfr. Mand. V, 2, 1: la collera non può ingannare
coloro che sono pieni di fede, ma soltanto «άποκένους καί δίψυχους».
36 L’A. si è forse reso conto di avere troppo sottolineato l’aggressi­
vità delle potenze negative sul cuore dell'uomo ed ora fa dire più volte
all'angelo della penitenza di non temere il diavolo (Mand. XII, 6, 2; VII,
1; IX, 11). L’elemento nuovo è costituito dalla promessa dell’angelo di
aiutare l'uomo nell’impresa: «Io, l’angelo della penitenza, che vince il
diavolo sarò con voi. Il diavolo dispone soltanto del timore, ma questo
timore non ha vigore: non lo temete dunque ed egli fuggirà da voi» (XII,
3, 7). Cfr. anche Vis. IV, 1. 1-10*.

144
ASCENSIONE DI ISAIA
(Π secolo)

Si tratta di un’opera composita che si presenta divisa in due


parti: la prima (I-V) racconta l'antefatto ed il martirio di Isaia,
voluto da Manasse, figlio di Ezechia, e dallo pseudoprofeta
Balkira, entrambi strumenti di Satana. Aliintemo di questa
parte, i capp. ΓΠ, 13 - IV, 22 spiegano l’odio di Satana contro
Isaia perché questi ha profetato l’intera economia cristiana: la
vita, la morte, la resurrezione di Cristo, la predicazione del
Vangelo, la corruzione della Chiesa, la sconfìtta di Satana e
delle sue potenze alla fine dei tempi. La descrizione delle vi­
sioni riguardanti il viaggio celeste compiuto da Isaia, le varie
fasi del descensus absconditus e dell’ascensus gloriosus di
Cristo occupano la seconda del testo (VI-XI, 43).
La genesi letteraria dell’opera costituisce un problema
molto dibattuto; Al è considerata sia come il risultato dell’unio­
ne di documenti redatti in tempi e contesti culturali diversi
(secondo questa ipotesi, ambienti giudaici per la prima parte
dell'opera e cristiani per la seconda), sia come il risultato di
successive redazioni all'interno di uno stesso gruppo1. Oltre
a frammenti greci, latini e copti, possediamo una traduzione
dal greco in etiopico classico che è l’unica a restituirci il te­
sto completo2.
Secondo l’orientamento prevalente, la datazione delle par­
ti cristiane di Al non andrebbe oltre la metà del II secolo3.

145
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU l-III

A s c e n s io n e d i I s a ia
I, 1 - II, 64

1. Ezechia, re di Giuda, l’anno 26° del suo regno, chiamò il


figlio Manasse, l’unico che aveva5. 2. Lo fece venire alla pre­
senza del profeta Isaia, figlio di Amoz, e alla presenza del
figlio di Isaia, Yasub, per trasmettergli le parole di verità
che lui stesso, il re, aveva inteso in visione6, 3. i giudizi di
questo mondo e le pene della geenna, ciò che riguarda il
principe di questo mondo, i suoi angeli, le sue dominazioni
e le sue potenze. 4. Lo chiamò per trasmettergli le parole di
fede concernenti il Diletto7, che a lui erano state rivelate
l’anno 15° del suo regno, durante la sua malattia. 5. Gli tra­
smise le parole registrate, che lo scriba Sebna aveva posto
per iscritto, e così pure ciò che il figlio di Amoz, Isaia, ave­
va dato a lui e ai profeti con l’ordine di scrivere e di depo­
sitare accanto a Ezechia ciò che Isaia aveva visto nel pa­
lazzo reale circa il giudizio degli angeli, la distruzione del
mondo attuale, le vesti dei santi, la loro partenza, la loro
trasformazione, la persecuzione e la salita al cielo del Diletto.
6. L’anno 20° di Ezechia, Isaia aveva ricevuto la rivelazio­
ne e l’aveva trasmessa al figlio Yasub.
Mentre dunque Ezechia dava i suoi precetti alla presenza
di Jasub, il figlio di Isaia, 7. il profeta disse al re Ezechia (e
non lo disse soltanto in presenza del solo Manasse): «Viva
il Signore, il cui nome non è stato inviato in questo mondo,
viva il Diletto del mio Signore e viva lo Spirito che in me par­
la! Tutti questi precetti e queste parole saranno abrogate
da tuo figlio Manasse e per mezzo suo io stesso me ne an­
drò, tra i tormenti del corpo. 8. Sammael Malkira8 svolgerà
il suo compito in Manasse e questi eseguirà ogni suo vole­
re, divenendo così più seguace di Beliar che mio. 9. Egli farà
allontanare dalla vera fede molti uomini a Gerusalemme e
in Giuda9. Beliar prenderà dimora in Manasse10 e per ma-

146
ASCENSIONE DI ISAIA

no sua io sarò segato». 10. Ezechia, udendo queste parole,


pianse amaramente. Si stracciò gli abiti, gettò polvere sul
capo e cadde con la faccia a terra. 11. Isaia proseguì: «Il di­
segno di Sammael a rovina di Manasse è stabilito; questo
non ti servirà a nulla»11. 12. Allora Ezechia pensò fra sé di
uccidere il figlio Manasse. 13. Ma Isaia gli disse: «Il Diletto
ha reso vano il tuo piano e l’intento del tuo cuore non si
realizzerà. Tale appunto è la vocazione che ho avuto ed io
devo aver parte dell’eredità del Diletto».
II.l. Morto Ezechia e divenuto re Manasse, questi non
rammentò più gli ordini di suo padre, ma li dimenticò:
Sammael prese possesso di lui e gli si attaccò. 2. Manasse
cessò di servire il Signore del padre e sena Satana, i suoi an­
geli, le sue potenze. 3. Egli fece apostatare la casa di suo pa­
dre, colui che, in presenza di Ezechia, era stato una manife­
stazione di saggezza e di servizio del Signore. 4. Manasse inol­
tre cambiò il suo cuore al fine di servire Beliar12. L’angelo
deU’ingiustizia, che è la potenza del mondo presente, è ap­
punto Beliar ed ha nome Matanbekous. Egli, a Gerusalem­
me, si compiaceva a proposito di Manasse e lo rafforzava
nell’apostasia e nella sregolatezza che si diffondeva a
Gerusalemme. 5. Crebbero così la magia, i sortilegi, gli au­
guri, la divinazione, la prostituzione, l'adulterio e la perse­
cuzione dei giusti per mano di Manasse, Belchira, Tobia il
canaanita, Giovanni di Ananot e Sadoq, il soprintendente. 6.
Il resto dei fatti è registrato nel libro dei re di Giuda e d’Israele.

VII, 9-12

9. E salimmo, io e lui13 nel firmamento14; e là vidi Samma­


el15 e le sue potenze; vi era là un’aspra lotta e gli angeli di
Satana, si invidiavano gli uni con gli altri16. 10. Sulla terra
succede come in alto17: qui, sulla terra vi è la somiglianza
di ciò avviene nel firmamento. l l . E chiesi all’angelo: «Che

147
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

significa questa invidia?» 12. Ed egli mi rispose: «Accade co­


sì da quando il mondo è stato creato18 fino ad ora, e questa
lotta (durerà) fino a quando verrà colui che vedrai, il quale
lo annienterà».

X, 8-15

8. «Va’19 e scendi attraverso tutti i cieli20, scendi nel firma­


mento e nel mondo laggiù, fino all’angelo dello Sheol. Non
andare però fino alla Perdizione21. 9. Tu devi divenire simi­
le alla figura di quanti si trovano nei cinque cieli22. 10.
Cercherai di assomigliare alla figura degli angeli nel firma­
mento e parimenti agli angeli nello Sheol23. 11. Nessuno
degli angeli di questo mondo24 sappia che tu sei con me il
Signore dei sette cieli e dei loro angeli. 12. Non sappiano
che tu sei con me, finché con la voce dei cieli, dei loro angeli,
dei loro luminari non ti chiamerò, finché non ti esalterò al
sesto cielo, perché tu giudichi e annienti il principe, i suoi
angeli e gli dèi del mondo laggiù con il mondo stesso, che
da loro è dominato25. 13. Essi mi hanno rinnegato e mi han­
no detto: Noi soltanto, fuori di noi non c’è nessuno!26
14. Quindi tu, lasciando gli angeli della morte, salirai al tuo
posto, né ti trasformerai in ogni cielo, ma salirai con gloria
e siederai alla mia destra. 15. Allora i principi e le potenze
del mondo ti adoreranno»27.

NOTE

1 Sul problema della stratificazione del testo e della delimitazio


degli interventi del diversi redattori: E. Tisserant, Ascension d'Isafe.
Traduction de la version éthiopienne avec les principales variantes des
versione grecque, latines et slave. Introduction et notes, Paris 1909,
pp. 42-61 (sulla fase della ricerca fino al 1909). Per il seguito: M. Pesce,
Presupposti, cit., pp. 13-76: E. Norelli, Ascension d'Isaie, Tumhout

148
ASCENSIONE DI ISAIA

1993, pp. 39-78; La ricerca sull'Ascensione di Isaia: momenti essen­


ziali, in Id., L'Ascensione, cit., pp. 11-68'.
2 Sulla questione delle lingue: M. Erbetta, Gli Apocrifi del Nuovo
Testamento, voi. Ili: Lettere e Apocalissi, Casale Monferrato 1969, pp.
177-179; M. A. Knibb, Martyrdom and Ascension o f Isaiah, in
Charlesworth, The Old Testament, ctt., pp. 144-147.
3 Pesce, Isaia, cit., pp. 299-301. Più circostanziata la posizione di
A. Acerbi, L'Ascensione di Isaia. Cristologia e profetismo in Siria nei
primi decenni del II secolo, Milano 1989, che propone per il luogo la
Siria occidentale, e per la data i primi tre decermi del II secolo. Egli re­
spinge l'idea di un Urtext giudaico, ma accetta l'idea di una stratifica­
zione di A I (cfr. pp. 291-293).
4 La traduzione segue quella di Erbetta, ctt., pp. 183-185, con­
frontata e corretta sulla base di quella di Norelli, Ascension, cit., pp.
103-108.
5 Cfr. Π Re. 18, 2; 21.
6 La cornice letteraria è slmile a quella dei Testamenti dei Dodici
Patriarchi; anche Ezechia intende lasciare al figlio il proprio testamento
che contiene visioni riguardanti il giudizio, la distruzione finale delle
potenze.
7 È l’appellativo che in A I Indica 11Figlio (sulla cristologia cfr. Norelli,
Ascension, cit, pp. 60-63).
8 <Malkira»è appellativo di Sammael che è un demonio (E. Norelli,
Sammael, d t , in Id. L'Ascensione, cit, pp. 79-92). Per quanto riguarda
1rapporti che intercorrono fra Sammael, Beliar, Malkira, cfr. l'anali­
si dettagliata dello stesso Norelli che conclude: «Ci appare evidente
che il nostro autore (l'autore di A I I-V) era interessato a riportare tut­
ti i vari appellativi diabolici a lui noti a un’unica potenza del male,
un atteggiamento diverso da quello dell'autore di VI-XI che conosce,
sì, un capo dei demoni nel firmamento, ma non si preoccupa affatto
di costituirgli una personalità e un'attività autonoma sulla scena di
questo mondo, come avviene in I-V» (p. 82). Malkira è il «re del male·
- Malki-resha' - che viene menzionato in alcuni testi di Qumràn (cfr.
sopra introd. p. 24 e Teyssèdre, La nascita, cit, pp. 323 sgg.).
9 Sammael Malkira è collegato soprattutto all'idolatria ed al tema
dell'opposizione a Dio secondo tradizioni che troviamo soprattutto nel­
lo gnosticismo (cfr. Norelli, Sammael, cit, pp. 82-84). Sammael è con­
nesso sia nella tradizione ebraica, sia nello gnosticismo al peccato di
Adamo (Iren., Adv. Haer. I, 30, 8-10): cfr. anche infra n. 15.
10 Vi sono analogie con Io. 13, 2; 27 (Satana e Giuda).
11 Slamo in un’ottica completamente deterministica: il destino di

149
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

Manasse come quello di Isaia è segnato; cfr. anche infra II, 1.


12 La possessione diabolica come presa irresistibile sull’animo
umano appare in molti testi: A Pt Vili*; Clem. Alex. Strom. II, 112-114*;
cfr. introd. pp. 94-95.
13 Isaia racconta al re Ezechia il viaggio celeste che egli ha com­
piuto insieme ad un angelo durante l'estasi.
14 La topografìa celeste di A I (essa contempla sette cieli di dignità
diversa) assegna alla zona che circonda la terra, inferiore al primo cie­
lo, le potenze negative. Più oltre (X, 29-30), il testo sembra distingue­
re fra Sammael e i suoi angeli che abitano il firmamento, e gli angeli (an-
ch’essi malvagi) deU'aria, che paiono abitare una zona inferiore del fir­
mamento. La collocazione delle potenze malvagie in questa parte del
cosmo sarebbe una costante delle rappresentazioni del sistema del
mondo proprio a partire dal I secolo: I. P. Culianu, Démonisation, cit.,
p. 41 (cfr. sinché Test Levi III, 1-3 e introd. pp. 32-33).
15 Sammael appare qui sinonimo di Satana, che viene chiamato
anche Beliar, Malchira, Matambucus; cfr. su questo punto Acerbi,
L ’Ascensione, cit., p. 83, n. 4. Sul nome di Sammael convergono anche
altre tradizioni oltre a quelle ricordate sopra (n. 9); Sammael era l’an­
gelo protettore di Esaù, patriarca del popolo di Edom, cioè di Roma;
con l’affermarsi della potenza di Roma su tutti gli altri popoli, si fece
strada l’idea (sulla base della corrispondenza fra la politica degli an­
geli delle nazioni e quella dei re terrestri) che l’angelo protettore di que­
sto popolo fosse «il principe di questo mondo», titolo che spettava al
capo degli angeli nazionali. Da un punto di vista giudaico-palestinese,
tale titolo non poteva assumere che un significato completamente ne­
gativo (I. P. Culianu, La Visione di Isaia e la tematica della Himmelreise,
in Pesce (a cura di), Isaia, c it, pp. 101-102). Secondo un’altra tradi­
zione, Sammael era l'angelo della morte, l’essere mostruoso descritto
nel Testamento di 'Amram (cfr. Tisserant, cit., pp. 21-23). Quest’ulti-
ma tradizione è da escludere perché in A I compare un angelo della mor­
te, che abita le regioni infere e distinto dunque da Sammael. È la pri­
ma a prevalere (il diavolo è un capo che domina il mondo ed i cieli in­
feriori con un esercito di angeli), anche se è diffìcile dire, in mancan­
za di altri elementi, se in A I il nome di Sammael sia da considerarsi
un’allusione consapevole a Roma.
16 Quando il Diletto discende attraverso i cieli ed arriva al firma­
mento, la descrizione è la stessa: «il principe di questo mondo» con le
sue potenze «di destra» e «di sinistra» si invidiano vicendevolmente, lot­
tano fra di loro; le potenze dell’aria si derubano e si opprimono le une con
le altre (X, 29-31).

150
ASCENSIONE DI ISAIA

17 Se gli angeli sono gli angeli delle nazioni, come interpreta


Culianu, cit., pp. 101 sgg., le loro guerre non possono non tradursi
nelle guerre che scoppiano sulla terra fra i diversi popoli; E. Norelli,
in Ascensio Isaiae. Commentarius (CCSA 8), Tumhout 1995, p. 383,
respinge ogni interpretazione platonizzante di questo passo (le realtà ter­
rene immagini di quelle celesti) e osserva: «Il richiamo esplicito al fir­
mamento serve a ricordare che “questo mondo” si trova interamente
sotto il dominio delle potenze ribelli a Dio, ad esse obbedisce come a di­
vinità, e gli individui ed i popoli non possono quindi che conformare
il proprio comportamento agli stessi impulsi di invidia reciproca che
informano e determinano la condotta dei loro signori».
18 A l insiste su questo concetto anche sopra, nel punto in cui Isaia
riferisce la visione sugli avvenimenti della fine: Beliar è definito «gran­
de principe», «re di questo mondo», che è stato dominato da questi «
da quando è esistito» (IV, 2). L’insistenza nasconde forse un intento
polemico contro quelle spiegazioni delle origine dei demòni che si rial­
lacciavano, in vari modi, al racconto del peccato degli angeli vigilanti;
racconti che ponevano l’inizio del male soltanto a partire da un certo
punto della storia e che ritraevano gli angeli già puniti e incatenati in
attesa della distruzione definitiva.
19 Sono le parole che l'Altissimo rivolge al Diletto e che il profeta
ha udito durante la visione.
20 Sui paralleli cristiani e gnostici al descensus absconditus ed
ascensus gloriosus cfr. Culianu, Dèmonisation, cit., pp. 41 sgg. ; U.
Bianchi, L'Ascensione di Isaia. Tematiche soteriologiche di descen-
sus/ascensus, in Isaia, cit., pp. 155-178.
21 Nel mondo sotterraneo, lo sheol che accoglieva i morti in gene­
rale è distinto da un luogo detto Hagual, in cui è proibito andare; là
l’opera di salvezza era inutile perché esso era destinato al dannati ed
agli angeli ribelli, cfr. Tisserant, cit., ad locum.
22 Per attraversare i primi due, infatti, il Diletto non assume un’al­
tra forma: X, 19.
23 II polimorfismo di Cristo, si spinge fino ad assumere la forma
degli angeli malvagi.
24 In A/XI, 17-19, nella parte in cui il profeta descrive le varie fa­
si del descensus, ritorna il tema dell'ignoranza delle potenze maligne ri­
guardo all’incamazione; come anche dell’invidia suscitata dai miraco­
li compiuti da Gesù. È per invidia che lo «straniero» ne causa la mor­
te. Questo appare in contraddizione con A l III, 13, ove Beliar appare
come il regista occulto del martirio di Isaia, proprio a causa della vi­
sione di questi sulla futura venuta del Diletto. Questo non è che uno

151
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

degli aspetti del problema letterario della stratificazione di AI. Sul titolo
del diavolo come «straniero»: G. J. M. Bartelink, ’Αλλότριος und atte­
rius als Teufels- und Ddmonerbezetchnung, «Glotta» 58 (1958), pp. 266-
276.
25 Cfr. Ignat., Ep. Eph. 19, 3*; l’annientamento in questione non
può essere quello connesso al giudizio finale; in questo caso infatti
l’ignoranza delle potenze riguardo all’incamazione dovrebbe protrarsi
fino a quel momento; ma ciò apppare in contraddizione con A I XI, 23-
28, in cui il Diletto è riconosciuto ed adorato dagli angeli del firma­
mento e da quelli dei cinque cieli inferiori, nel momento dell’ascensus.
Anche in I Cor. 2, 8 e Eph. 3, 10-12 l’ignoranza delle potenze riguar­
da soltanto l’incamazione. Il v. 12 deve dunque riferirsi, come osserva
Norelli, Ascensio Isaiae. Commentarius, cit., pp. 516-517, all’ascen­
sione del Diletto con la quale avviene già il giudizio sulle potenze, se­
condo un’interpretazione che troviamo già in Io. 12, 31 (cfr. introd. pp.
52-54).
26 Sembra essere questo il motivo della condanna del diavolo ed i
suoi angeli; la formulazione ricorda il tema gnostico classico del van­
to del demiurgo o delle potenze arcontiche che ritengono di essere so­
li e senza inizio (Bianchi, L ’Ascensione, cit., p. 171), ma in A I le po­
tenze dell'aria e del firmamento non creano nulla, cosa che impedisce
l’assorbimento di questo testo nelle correnti dualistiche (Bianchi, Ibid.,
p. 160).
27 II tema dell’adorazione di Cristo da parte di tutte le potenze an­
geliche, anche quelle malvagie, che durante l’ascensus lo riconosco­
no, è ripreso anche oltre: XI, 23-28.

152
GIUSTINO
(seconda metà del II secolo)

Da Eusebio (Hist. Eccl. IV, 18) apprendiamo che Giustino ha


composto due Apologie, una indirizzata ad Antonino Pio ed
ai suoi figli e l’altra a Marco Aurelio. Lo stesso Eusebio ri­
porta alcuni passi provenienti dalle due Apologie, quali ci so­
no state tramandate dalla tradizione manoscritta, ma li cita
come se provenissero soltanto da una. Questo ha sollevato
il problema, ancora aperto, se ciò che noi conosciamo come
II Apologia non sia stata, invece, soltanto un’appendice del­
la I Apologia. Per comoditcL, seguiamo la consuetudine di ci­
tarle come opere distinte. Il Dialogo con il giudeo Trifone è
stato composto verso il 160.

153
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

I u s t in i I A p o l o g i à

54, 1-10; ed. Wartelle, pp. 172, 1 - 174, 351

1. Οί δέ παραδιδόντες τα μυθοποιηθέντα υπό των ποιητών


ούδεμίαν άπόδειξιν φέρουσι τοϊς έκμανθάνουσι νέοις, καί έπί
απάτη καί απαγωγή τοϋ άνθρωπείου γένους είρήσθαι άποδείκ-
νυμεν κατ ’ ένέργειαν των φαύλων δαιμόνων. 2. Άκούσαντες
γάρ δια τών προφητών κηρυσσόμενον παραγενησόμενον τον
Χρίστον, καί κολασθησομένους δια πυράς τούς ασεβείς τών
ανθρώπων, προεβάλλοντο πολλούς λεχθηναι γενομένους υιούς
τώ Διΐ, νομίζοντες δυνήσεσθαι ένεργησαι τερατολογίαν ήγήσα-
σθαι τούς ανθρώπους τα περί τον Χρίστον καί δμοια τοϊς ύπό τών
ποιητών λεχθεΐσι. 3. Καί ταΰτα δ ’ έλέχθη καί έν "Ελλησι καί έν
έθνεσι πάσιν, δπου μάλλον έπήκουον τών προφητών πιστευθήσε-
σθαι τον Χρίστον προκηρυσσόντων. 4. "Οτι δε καί άκούοντες τα
διά τών προφητών λεγάμενα ούκ ένόουν ακριβώς, άλλ ’ ώς πλανώ-
μενοι έμιμήσαντο τα περί τον ήμέτερον Χρίστον, διασαφήσομεν.
5. Μωϋσής ούν ό προφήτης, ώς προέφημεν, πρεσβύτερος ήν
πάντων συγγραφέων, καί δι’ αύτοΰ, ώς προεμηνύσαμεν, προεφη-
τεύθη ούτως- Ούκέκλείψει αρχών έξ Ιούδα καί ηγούμενος έκ
τών μηρών αύτοΰ, έως αν ελθτ\ φ άπόκειταν καί αύτός εσται προ­
σδοκία έθνών, δεσμεύων πρός άμπελον τον πώλον αύτοΰ, πλύνων
την στολήν αύτοΰ έν αΐματι σταφυλής. 6. Τούτων ούν τών προφη­
τικών λόγων άκούσαντες οί δαίμονες Διόνυσον μέν έφασαν γε-
γονέναι υιόν τοΰ Διός, εύρετην δέ γενέσθαι αμπέλου παρέδωκαν,
καί οίνον έν τοϊς μυστηρίοις αύτοΰ άναγράφουσι, καί διασπα-
ραχθέντα αύτόν άνεληλυθέναι εις ούρανόν έδίδαξαν. 7. Καί
έπειδή διά της Μωϋσέως προφητείας ού ρητώς έσημαίνετο, εΐτε
υιός τοϋ Θεοΰ ό παραγενησόμενός έστι <ή ανθρώπου), καί εί
όχούμενος έπί πώλου έπί γης μενεϊ ή εις ούρανόν άνελεύσεται,
καί τό τοϋ πώλου ονομα καί δνου πώλον καί 'ίππου σημαίνειν
έδύνατο, μη έπιστάμενοι εΐτε ονου πώλον άγων έσται σύμβολον
τής παρουσίας αύτοΰ εΐτε ΐππου ό προκηρυσσόμενος, καί υιός
Θεοΰ έστιν, ώς προέφημεν, ή ανθρώπου, τόν Βελλεροφόντην καί

154
GIUSTINO

I A p o l o g ià

1. Coloro che insegnano le favole dei poeti non offrono ai


giovani allievi nessuna prova, mentre noi dimostriamo che
esse sono state raccontate ad opera dei demoni malvagi con
lo scopo di sedurre ed ingannare il genere umano. 2. Essi,
infatti, avendo sentito dai profeti che il Cristo annunciato
sarebbe venuto e che gli empi sarebbero stati puniti, fecero
in modo che si raccontassero storie sui molti figli di Giove,
con l’intento di indurre gli uomini a credere che i fatti rela­
tivi al Cristo fossero favole, simili a quelle narrate dai poe­
ti. 3. E questi racconti si diffusero in Grecia e in tutte le na­
zioni dove, secondo quanto avevano udito annunciare dai
profeti, Cristo sarebbe stato creduto di più2. 4. Ma mostre­
remo chiaramente che i demoni non compresero con preci­
sione3 quanto udivano annunciare dai profeti e che, cer­
cando di imitare le cose dette sul nostro Cristo, si ingan­
narono. 5. Il profeta Mosè era dunque, come abbiamo det­
to, il più antico dei nostri scrittori e, come abbiamo mo­
strato prima, fece la seguente profezia: «Non mancherà un
principe dalla stirpe di Giuda, né un capo della sua razza,
fino a quando verrà colui al quale è riservato (il regno); co­
stui sarà l'attesa delle nazioni, egli attacca alla vite il suo
puledro, egli lava la sua veste nel sangue dell’uva· (Gn. 49,
10-11). 6. Udite, dunque, queste parole profetiche, i demo­
ni dissero che Dioniso era figlio di Zeus, gli attribuirono l’in­
venzione della vigna, inserirono il vino nei suoi misteri e in­
segnarono che costui era salito in cielo dopo essere stato
fatto a pezzi. 7. Ma la profezia di Mosè non diceva chiara­
mente se colui che sarebbe venuto sarebbe stato figlio di
Dio o di uomo, se cavalcando il suo puledro sarebbe rima­
sto sulla terra o se sarebbe salito in cielo. Inoltre il termi­
ne «puledro», può indicare sia il puledro di un cavallo, sia

155
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

αύτόν έφ’ ίππου Πηγάσου, άνθρωπον έξ άνθρώπων γενόμενον,


εις ουρανόν εφασαν άνεληλυθέναι. 8. "Οτε δέ ήκουσαν διά τοϋ
άλλου προφήτου ' Ησαίου λεχθέν, δτι διά παρθένου τεχθήσεται
καί δι ’ έαυτοΰ άνελεύσεται εις τον ουρανόν, τόν Περσέα
λεχθήναι προεβάλλοντο. 9. Καί δτε έγνωσαν είρημένον, ώς
προλέλεκται έν ταΐς προγεγραμμέναις προφητείαις· Ισχυρός ώς
γίγας δραμεΐν οδόν, τόν ' Ηρακλεα Ισχυρόν καί έκπερινοστήσαν-
τα τήν πάσαν γην εφασαν. 10. "Οτε δε πάλιν εμαθον προφη-
τευθέντα θεραπεΰσειν αυτόν πάσαν νόσον καί νεκρούς άνεγε-
ρεϊν τόν 'Ασκληπιόν παρήνεγκαν.

I A p o l o g ià
58, 1-3; ρ. 178, 1-13

1. Καί Μαρκίωνα δε τόν άπό Πόντου, ώς προέφημεν, προεβάλλον­


το οί φαϋλοι δαίμονες, δς άρνεΐσθαι μέν τόν ποιητήν των
ουρανίων καί γήινων άπάντων Θεόν καί τόν προκηρυχθέντα διά
των προφητών Χρίστον Υιόν αύτοΰ καί νϋν διδάσκει, άλλον δέ
τινα καταγγέλλει παρά τόν δημιουργόν τόν πάντων Θεόν καί
ομοίως ετερον Υιόν· 2. φ πολλοί πεισθέντες ώς μόνω τάληθη έπι-
σταμένω, ήμών καταγελώσιν, άπόδειξιν μηδεμίαν περί ών λέγου-
σιν έχοντες, άλλά άλόγως ώς ύπό λύκου άρνες συνηρπασμένοι
βορά τών άθέων δογμάτων καί δαιμόνων γίνονται. 3. Ου γάρ άλλο
τι αγωνίζονται οί λεγόμενοι δαίμονες, ή άπάγειν τούς ανθρώπους
άπό τοΰ ποιήσαντος Θεοΰ καί τοΰ πρωτογόνου αύτοΰ Χριστοΰ-
καί τούς μέν της γης μή έπαίρεσθαι δυναμένους τοΐς γη ίνοις καί
χειροποιήτοις προσήλωσαν καί προσηλοΰσι, τούς δέ έπί θεωρίαν
θείων όρμώντας ύπεκκρούντες, ήν μή λογισμόν σώφρονα καί κα­

ί 56
GIUSTINO

di un asino. Così (i demoni) non sapevano se colui che era


stato annunciato avrebbe simboleggiato la sua venuta ca­
valcando un asino4 o un cavallo, né sapevano (come ab­
biamo detto prima) se egli sarebbe stato figlio di Dio o di
uomo. Pertanto, raccontarono di Bellerofonte che, uomo na­
to da uomini, salì in cielo in groppa al cavallo Pegaso.
8. Quando sentirono da un altro profeta, Isaia (cfr. Is. 7,
14), che (Gesù) sarebbe stato partorito da una vergine e che
sarebbe salito al cielo senza nessun ausilio, diffusero la sto­
ria di Perseo. 9. E quando conobbero il detto, già citato nel­
le profezie riportate sopra, forte come un gigante per correre
(Ps. 18, 6), si misero a raccontare del forte Eracle che gira­
va per tutta la terra. 10. Quando poi appresero che, secon­
do le profezie, egli (se. Gesù) avrebbe guarito ogni malattia
e fatto ridestare i morti, presentarono a loro volta Asclepio5.

1. I demoni malvagi, come abbiamo detto, misero avanti


Marcione che viene dal Ponto; egli insegna tuttora a rifiu­
tare il Dio che ha creato tutte le realtà celesti e terrene e
Cristo, suo Figlio, che è stato preannunciato dai profeti;
predica anche che, oltre al creatore di tutte le cose, vi è un
altro Dio e, analogamente, un altro Figlio. 2. Molti hanno
creduto in lui come se fosse il solo a sapere la verità e ci de­
ridono, anche se non hanno nessuna prova di quanto di­
cono, ma in modo irrazionale, come pecore rapite da un lu­
po6, sono diventati preda di dottrine atee e dei demoni.
3. Infatti, i demoni di cui stiamo parlando lottano con il so­
lo scopo di distogliere gli uomini da Dio creatore e da Cristo,
suo primogenito; essi, da una parte, hanno inchiodato ed
inchiodano alle realtà terrene ed agli oggetti costruiti dall’uo-

157
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

θαρόν καί άπαθη βίον εχωσιν, εις ασέβειαν έμβάλλουσιν.

I A p o l o g ia
62, 1; ρ. 184, 1-5

Καί το λουτρόν δή τοϋτο άκούσαντες οί δαίμονες διά τοΰ


προφήτου κεκηρυγμένον ένήργησαν καί ραντίζειν εαυτούς τούς
εις τα ιερά αύτών έπιβαίνοντας καί προσιέναι αύτοϊς μέλλοντας,
λοιβάς καί κνίσας άποτελοΰντας· τέλεον δε καί λούεσθαι έπιόντας
πρίν έλθεΐν έπί τα ιερά, ενθα ιδρυνται, ένεργοΰσι.

I A p o l o g ia
66, 3-4; ρ. 190, 10-18

3. Οί γάρ απόστολοι έν τοϊς γενομένοις ύπ ’ αύτών άπομνημο-


νεύμασιν, α καλείται Εύαγγέλια, ούτως παρέδωκαν έντετάλθαι
αύτοϊς- τον Ίησοΰν λαβόντα άρτον εύχαριστήσαντα είπεΐν.
Τοϋτο ποιείτε εις την άνάμνησίνμου, τοϋτό εστι το σώμά μου-
καί τό ποτήριον ομοίως λαβόντα καί εύχαριστήσαντα είπεΐν
Τοϋτό έστι το αίμά μου- καί μόνοις αύτοϊς μεταδοΰναι. 4. "Οπερ
καί έν τοϊς τοΰ Μίθρα μυστηρίοις παρέδωκαν γίνεσθαι μιμησάμε-
νοι οί πονηροί δαίμονες- οτι γάρ άρτος καί ποτήριον ύδατος τί­
θεται έν ταϊς τοΰ μυουμένου τελεταΐς μετ ’ έπιλόγων τινών, ή έπί-
στασθε ή μαθεϊν δύνασθε.

158
GIUSTINO

mo coloro che non sono in grado di innalzarsi dalla terra;


dall’altra, respingono coloro che si slanciano verso la con­
templazione delle realtà divine gettando nell’empietà quel­
li la cui intelligenza non è prudente ed il cui modo di vive­
re non è puro e esente dalle passioni.

I demoni avevano conosciuto questo bagno7 dalle parole del


profeta8 e fecero in modo che coloro che entravano nei lo­
ro templi e che volevano presentarglisi dinnanzi per com­
piere libagioni e sacrifici, si purificassero; infine fecero in
modo che i fedeli facessero un bagno, prima di entrare nei
templi ove (i demoni) risiedevano.

3. Gli apostoli, nelle memorie scritte da loro e che chiamia­


mo Vangeli, tramandano che è stato loro ordinato di agire co­
sì: Gesù, dopo aver preso il pane, rese grazie e disse: «Fate
questo in memoria di me, questo è il mio corpo» (cfr. Le. 22,
19 e parali.). Dopo aver preso nello stesso modo il vino, re­
se grazie e disse: «Questo è il mio sangue» (cfr. Le. 22, 20 e
parali.). E li diede soltanto a loro. 4 . 1 demoni maligni imi­
tarono questi atti e li trasmisero ai misteri di Mitra; voi sa­
pete o potete apprendere che nelle cerimonie di iniziazione
si usa il pane ed una coppa d’acqua con alcune formule9.

159
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

I I A p o l o g ià
5, 1-6; pp. 202, 1 - 204, 20

1. Eì δέ τινα ύπέλθοι καί ή έννοια αυτή δτι, εί Θεόν ώμολογοΰ-


μεν βοηθόν, ούκ άν, ώς λέγομεν, ύπό αδίκων έκρατούμεθα καί
έτιμωρούμεθα, καί τοΰτο διαλύσω. 2. ' Ο Θεός τόν πάντα κόσμον
ποιήσας καί τα επίγεια άνθρώποις ύποτάξας καί τα ουράνια στοι­
χεία εις αύξησιν καρπών καί ώρών μεταβολάς κοσμήσας καί
θειον τούτοις νόμον τάξας, α καί αύτά δι ’ ανθρώπους φαίνεται
πεποιηκώς, την μέν τών ανθρώπων καί τών υπό τον ουρανόν πρό­
νοιαν άγγέλοις, οΰς έπί τούτοις εταξε, παρέδωκεν. 3. Οί δ’ άγγε­
λοι, παραβάντες τήνδε την τάξιν, γυναικών μίξεσιν ήττήθησαν
καί παΐδας έτέκνωσαν, οι είσιν οί λεγόμενοι δαίμονες. 4. Καί
προσέτι λοιπόν τό άνθρώπειον γένος έαυτοΐς έδούλωσαν τά μέν
διά μαγικών ραφών, τά δέ διά φόβων καί τιμωριών, ών έπέφερον,
τά δέ διά διδαχής θυμάτων καί θυμιαμάτων καί σπονδών, ών
ένδεεϊς γεγόνασι μετά τό πάθεσιν επιθυμιών δουλωθηναν καί εις
ανθρώπους φόνους, πολέμους, μοιχείας, ακολασίας καί πάσαν
κακίαν έσπειραν. 5. "Οθεν καί ποιηταί καί μυθολόγοι, άγνοοΰντες
τούς αγγέλους καί τούς έξ αύτών γεννηθέντας δαίμονας ταϋτα
πράξαι εις άρρενας καί θηλείας καί πόλεις καί έθνη, άπερ
συνέγραψαν, εις αύτόν τόν Θεόν καί τούς ώς άπ’ αύτοϋ σπορά
γενομένους υίούς καί τών λεχθέντων έκείνου αδελφών καί τέκνων
ομοίως τών άπ’ έκείνων, Ποσειδώνος καί Πλούτωνος, άνήνεγκαν.
6. ’ Ονόματι γάρ έκαστον, δπερ έκαστος έαυτώ τών άγγέλων καί
τοϊς τέκνοις έθετο, προσηγόρευσαν.

II A pologia
8, 1-5; ρ. 208, 1-14

1. Καί τούς άπό τών Στωίκών δέ δογμάτων, έπειδή καν τόν ήθικόν
λόγον κόσμιοι γεγόνασιν, ώς καί έν τισιν οί ποιηταί, διά τό έμφυ-

160
GIUSTINO

1. E se a qualcuno venisse in mente che, se confessiamo Dio


come nostro soccorritore, non saremmo, come affermiamo,
imprigionati e puniti dai malvagi, risolverò anche questo dub­
bio10. 2. Dio che ha creato il mondo intero, che ha sottomesso
agli uomini tutto ciò che si trova sulla terra, che ha regolato
gli elementi celesti alla crescita dei frutti ed all’awicenda-
mento delle stagioni, che ha stabilito per questi una legge
divina - creazioni queste manifestamente compiute anche
per gli uomini -, ha affidato la cura degli uomini e delle cose
che si trovano sotto il cielo ad angeli preposti a questo11.
3. Ma gli angeli trasgredirono tale ordine12, cedettero all’ac­
coppiamento con delle donne e generarono figli, che sono i
cosiddetti demoni13. 4. Inoltre, si resero schiavo il genere
umano, sia mediante scritti magici, sia arrecando paure e
punizioni14, sia ‘insegnandogli a sacrificare incensi e libagio­
ni, di cui sono avidi dopo essere stati asserviti dalle voglie
delle passioni15; e seminarono fra gli uomini omicidi, guer­
re, adulteri, intemperanze e mali di ogni sorta. 5. Quindi i
poeti e i mitologi, ignorando che fossero gli angeli ed i loro
figli, i demoni, a compiere tali imprese contro maschi, fem­
mine, città e nazioni, le attribuirono, nei loro scritti, al dio
stesso ed ai figli, nati da lui come per seme, ai suoi cosid­
detti fratelli, Poseidone e Plutone, e similmente ai figli di co­
storo. 6. Infatti attribuirono a ciascuno il nome che ognuno
degli angeli aveva posto a sé ed ai (propri) figli16.

1. E sappiamo che i seguaci delle dottrine stoiche sono sta­


ti odiati ed uccisi perché - a causa del seme del Logos in-

161
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

τον παντί γένει ανθρώπων σπέρμα τοϋ Λόγου, μεμισησθαι καί


πεφονεΰσθαι ο’ίδαμεν· ' Ηράκλειτον μέν, ώς προέφημεν, καί
Μουσώνιον δε έν τοϊς καθ ’ ημάς καί άλλους οΐδαμεν. 2. ΓΩς γάρ
έσημάναμεν, πάντας τούς καν οπωσδήποτε κατά λόγον βιοΰν
σπουδάζοντας καί κακίαν φεύγειν μισεΐσθαι άεί ένήργησαν οί
δαίμονες. 3. Ούδεν δέ θαυμαστόν, εί τούς ού κατά σπερματικού
λόγου μέρος, άλλα κατά την τοΰ παντός Λόγου, δ έστι Χριστοΰ,
γνώσιν καί θεωρίαν πολύ μάλλον μισεΐσθαι οί δαίμονες έλεγχό-
μενοι ένεργοΰσιν- οι την αξίαν κόλασιν καί τιμωρίαν κομίσον-
ται έν αίωνίω πυρί έγχλεισθέντες. 4. Ei γάρ ύπό τών ανθρώπων
ήδη διά τοΰ ονόματος ’ ίησοΰ Χριστοΰ ήττώνται, δίδαγμά έστι
της καί μελλοΰσης αύτοϊς καί τοϊς λατρευουσιν αύτοϊς έσομένης
έν πυρί αίωνίφ κολάσεως. 5. Ούτως γάρ καί οί προφήται πάντες
προεκήρυξαν γενήσεσθαι, καί ’ Ιησοΰς ό ήμέτερος διδάσκαλος
έδίδαξε.

Iu sn N i D ia l o g u s cum T ry ph o n e I udaeo
LXXXV, 1-3; ed. Archambault, pp. 54-5620

1. Καί γάρ την προφητείαν την λέγουσαν· "Αρατε πύλας οί


άρχοντες ΰμων, καί έπάρθητε πύλαι αιώνιοι, ϊνα είσέλθξ) ό
βασιλεύς της δόξης, ομοίως εις τον ’ Εζεκίαν τολμώσί τινες έξ
ύμών έξηγεΐσθαι είρήσθαι, άλλοι δέ εις Σολομώνα. Ού δε εις τού­
τον ούδέ εις έκεϊνον ούτε εις άλλον απλώς λεγόμενον ύμών βα­
σιλέα δυνατόν άποδειχθηναι είρήσθαι, εις δε μόνον τοΰτον τον
ήμέτερον Χριστόν, τον άειδή καί άτιμον φανέντα, ώς ' Ησαίας
εφη καί Δαυίδ καί πάσαι αί γραφαί, δς έστι κύριος των δυνάμεων
διά το θέλημα τοΰ δόντος αύτω πατρός, δς καί άνέστη έκ νεκρών
καί άνήλθεν εις τον ούρανόν, ώς καί ό ψαλμός καί αί άλλαι

162
GIUSTINO

nato a tutto il genere umano - sono stati temperanti nel lo­


ro insegnamento morale, come lo sono stati, in alcune cose,
anche i poeti. Sappiamo questo di Eraclito, come abbiamo
già detto, e, fra i nostri contemporanei, di Musonio e di al­
tri17. 2. Come infatti abbiamo spiegato, i demoni hanno sem­
pre operato in modo che fossero odiati tutti coloro che, in
qualunque modo, si sono sforzati di vivere secondo ragio­
ne e di fuggire la malvagità. 3. E non vi è da meravigliarsi,
se smascherati, i demoni mettono molto più impegno a far
sì che siano odiati quelli che vivono non secondo una par­
te dei semi del Logos, ma secondo la conoscenza e la visio­
ne del Logos tutt’intero, cioè di Cristo18;e questi demoni,
imprigionati nel fuoco eterno, riceveranno la giusta puni­
zione e pena. 4. Se ora, infatti, essi sono vinti dagli uomini
per mezzo del nome di Gesù Cristo, ciò costituisce la pro­
va del castigo futuro nel fuoco eterno che attende costoro
e quelli che li servono19. 5. Questo hanno annunciato an­
che tutti i profeti e così ha insegnato Gesù, nostro maestro.

D ia l o g o con T r ifo n e

1. Anche la profezia che dice: « Spalancate, o principi, le vo­


stre porte; apritevi, o porte eterne, affinché il re della gloria
possa entrare» (Ps. 23, 7), alcuni di voi hanno l’ardire di in­
terpretarla riferita a Ezechia, altri a Salomone21. Invece è
possibile dimostrare che non si riferisce né a questo, né a
quello, né in breve a nessun altro da voi chiamato re, ma è
invece riferita soltanto a colui che è nostro Cristo. Egli è ap­
parso senza bellezza e senza onore (cfr. Is. 53, 2-3) secon­
do quanto hanno detto Isaia, Davide e tutte le Scritture, ma
è Signore delle potenze (cfr. Ps. 23, 10) per volontà di Dio

163
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

γραφαί έδήλουν, καί κύριον αύτόν τών δυνάμεων κατηγνελλον,


ώς καί νΰν έκ τών ύπ ’ οψιν γινομένων ραον ύμάς πεισθηναι, έάν
θέλητε. 2. Κατά γάρ τοΰ ονόματος αύτοΰ τούτου τοϋ υίοΰ τοΰ
θεοΰ καί πρωτοτόκου πάσης κτίσεως, καί διά παρθένου
γεννηθέντος καί παθητοΰ γενομένου ανθρώπου, καί σταυρωθέντος
έπί Ποντίου Πιλάτου ύπό τοϋ λαοϋ ύμών καί άποθανόντος, καί
άναστάντος έκ νεκρών καί άναβάντος εις τόν ούρανόν, παν δαιμό­
νιον έξορκιζόμενον νικαται καί ύποτάσσεται. 3. ’ Εάν δε κατά
παντός ονόματος τών παρ’ ύμΐν γεγενημένων ή βασιλέων ή
δικαίων ή προφητών ή πατριαρχών έξορκίζητε ύμεΐς, ούχ
ύποταγησεται ούδέν τών δαιμόνιων· άλλ ’ εί άρα έξορκίζοι τις
ύμών κατά τοϋ θεοΰ ’ Αβραάμ καί θεοϋ ’ Ισαάκ καί θεοΰ ’ Ιακώβ,
ϊσως ύποταγησεται. ’Ήδη μέντοι οί έξ ύμών έπορκισταί τη τέχνη,
ώσπερ καί τά εθνη, χρώμενοι έξορκίζουσι καί θυμιάμασι καί κα-
ταδέσμοις χρώνται, είπον.

164
GIUSTINO

che glielo ha concesso; è risuscitato dai morti ed è salito al


cielo, secondo le parole del Salmo e delle altre Scritture che
lo hanno dichiarato Signore delle potenze, cosa di cui, se lo
voleste, potreste convincervi facilmente anche ora per quan­
to accade sotto i vostri occhi. 2. Infatti, ogni demonio viene
vinto e sottomesso se esorcizzato nel nome22 di questo stes­
so Figlio di Dio, primogenito di tutta la creazione (Col 1, 15),
partorito da una vergine, divenuto uomo soggetto a soffrire,
crocifisso sotto Ponzio Pilato dal vostro popolo, morto e re­
suscitato dai morti e salito al cielo23. 3. Se, invece, fate esor­
cismi nel nome di uno qualsiasi di quelli che fra di voi sono
stati re o giudici o profeti o patriarchi, nessuno dei demòni
verrà sottomesso. Lo saranno invece, se qualcuno di voi li
scongiurerà nel nome del Dio di Abramo, del Dio di Isacco,
del Dio di Giacobbe24. E senza dubbio - dicevo -, i vostri
esorcisti usano gli stessi artifizi, incensi ed amuleti, delle
nazioni25.

NOTE

1 L'edizione critica utilizzata è: Saint Justln, Apologles. Introduction,


texte crltique, traduction, commentaire et index par A. Wartelle, Paris
1987.
2 Questa singolare teoria del plagio (risalente al giudaismo elleni­
stico: Fedou, cit., pp. 488-489) operato dalle potenze maligne ha la
funzione di trovare una soluzione ai dubbi che spesso il comparativi­
smo religioso pone a chi, come Giustino, fa dell’assoluta unicità ed ori­
ginalità delle proprie credenze religiose un punto di forza della propa-
paganda. Non era un problema astratto se Celso lo riprenderà (C. CeL
I, 67). Un modo per risolvere la questione a proprio vantaggio era quel­
lo di sostenere la maggiore antichità della propria tradizione religiosa,
da cui le altre sarebbero derivate per imitazione: idea sostenuta an­
che da Giustino. Ma ciò non sarebbe stato sufficiente per vedere nel­
la religione ellenica il risultato di un gigantesco quanto perfido com­
plotto perpetrato ai danni dell’umanità. Giustino vede in essa l’attua­

165
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

zione di un piano veramente «diabolico», perché con la moltiplicazione


di racconti spesso contraddittori e disdicevoll relativi a figli degli dèi e
delle loro vicende, 1demòni hanno inteso creare negli uomini una sor­
ta di saturazione e di discredito generico, tali da minare la loro capa­
cità di discernere, nella massa di tradizioni simili, l'unico annuncio di
un fatto realmente accaduto: la venuta di Cristo. E questa «campa­
gna» sarebbe stata, secondo Giustino, più violenta fra quelle popolazioni
che i demòni sapevano sarebbero state più sensibili aH'annuncio di
Cristo.
3 Cfr. II Ap. 55, 1: i demòni non poterono imitare - a proposito del­
le vicende attribuite ai figli di Zeus - il supplizio della croce perché es­
sa era espressa simbolicamente. Secondo Iren., Adu. Haer. V, 26, 2,
Giustino avrebbe detto che 11diavolo, prima di Cristo, non conosceva
la condanna finale riservatagli da Dio, poiché i profeti avevano parla­
to «in parabole ed allegorie». I malintesi del demonio derivano dunque
da un’interpretazione ciecamente letterale della Scrittura, tema che
incontrerà soprattutto in Origene una certa fortuna (Ho. Le. XXXI).
Incontriamo qui un tema che accompagna spesso l'immagine del dia­
volo: accanto al volto feroce ed astuto del demonio, ne appare un altro:
quello del diavolo sciocco, e, più tardi, del «povero diavolo» che avrà
una lunga tradizione (cfr. J. B. Russell, H diavolo nel Medioevo, tr. it.,
Bari 1987, pp. 50-52).
4 Qui Giustino allude all'ingresso di Gesù in Gerusalemme a cavallo
di un'asina accompagnata da un puledro (Mt 21,1 sgg. e parali.); que­
sto costituiva simbolo della sua messianicità In quanto realizzava la
profezia di Zc. 9, 9.
5 Dioniso, Eracle ed Asclepio appaiono spesso accostati anche da
Celso (C. Cel. Ili, 22; 42, VII, 52; sulla dipendenza dell’opera di Celso,
Γάληθής λόγος, dalle Apologie, status quaestionis in Chadwick, cit, p.
132, n. 59). Sulla rivalità fra Gesù e Asclepio nel II secolo, come tema
dell’apologetlca cristiana ed ellenica, cfr. E. L. Edelstein, Asclepius. A
Collection and Interpretation o f thè Testimonies, Baltimore 1945, voi.
II, pp. 1342 sgg.; Kee, Miracle, ciL, pp. 78-104; R. J. Ruttimann, Asde-
pius and Jesus: thè Form, Character and Status of thè Asclepius Cult
in thè Second Century CE and its Influence on Early Christlanity, Ann
Arbor 1986.
6 Allusione a Mt. 7, 15 e a Io. 10, 12 oppure al fatto che Marcione
era anche chiamato «il lupo del Ponto»? Così lo definiva Rodone, di­
scepolo di Taziano (in Eus., Hist. EccL V, 13, 14).
7 Si allude naturalmente al battesimo.
8 Si riferisce a Is. 1, 16-20.

166
GIUSTINO

9 Lo stesso parallelo con i misteri di Mitra In Tert., D e praescr.


haer. 40, 1-4·.
10 I cristiani avevano già sperimentato le persecuzioni e soprat­
tutto percepivano l’ostilità dei concittadini (cfr. introd. pp. 73-75) e se
ne chiedevano il motivo.
11 Che a tutti i fenomeni naturali sovrintendessero gli angeli è idea
che Giustino poteva derivare dalle tradizioni pseudoeplgraflche giu­
daiche (cfr. in particolare LP LX, 11-23; cfr. B. Teyssèdre, Anges, astres
et cieux. Figures de la Destlnée et du salut, Paris 1986, pp. 224-225;
353-354), ma era idea diffusa anche in ambiente greco (C. CeL Vili,
31*;33; Fedou, cit pp. 274 sgg.).
12 Wey, cit. p. 126-127, indica in questa espressione (che diventerà
topica: cfr. Orig., Co. Gn., PhiL 23, 6) una dipendenza da Enoch 18, 15
(ree. gr.); ma si veda anche Test Neftali III, 5.
13 Giustino sintetizza le tradizioni relative al mito degli angeli vi­
gilanti in un modo che è difficile collegare con un racconto particola­
re (cfr. introd. pp. 15-24). Se confrontiamo la sua posizione con le tra­
dizioni presenti nel Libro d i Enoch, notiamo la scomparsa di alcuni ele­
menti: non si fa cenno alle anime dei giganti che, in forma di spiriti
maligni, continuano a danneggiare gli uomini. Giustino forse non co­
nosceva LV, d’altro canto, in quella prospettiva 1 demòni apparivano
come anime di morti: concezione largamente diffusa nell’ellenismo (cfr.
ad es. Apul., De deo Socr. XV) ma Inaccettabile per 1cristiani (cfr. Tat.,
Orat. 16; 17*). Un’ulteriore difficoltà era che Gn. 6, 1-4 narrava con suf­
ficiente chiarezza l'unione degli angeli con le donne, ma non la nasci­
ta dei giganti, né tanto meno la sopravvivenza delle loro anime sotto
forma di demòni. È assente anche 11tema dell’imprigionamento degli an­
geli caduti nell'abisso, mancanza che si spiega bene in quanto essi -
secondo Giustino- continuano ad essere attivissimi e lo saranno fino al
giudizio. Altri elementi permangono: l'unione degli esseri celesti con
le donne ha turbato un ordine e ciò è all’origine di tutte le altre sven­
ture; la distinzione fra angeli e demòni; gli angeli ed i loro figli comu­
nicano all'uomo delle conoscenze. Ma, nella prospettiva di Giustino,
tali conoscenze sono subordinate ad un disegno astuto e maligno di
conquista del potere sugli uomini. Sul passo, cfr. il diffuso commento
di H. Wey, cit. pp. 98 sgg.
14 Non sono timori soltanto psicologici: anticamente - si dice in IA p.
5 - i demòni malvagi si sono manifestati ed hanno stuprato donne, uc­
ciso bambini e gli uomini, che non giudicavano secondo una retta ra­
gione, 11considerarono dèi. L'insistenza sul tema del timore come uno
delle cause principali del culto degli dèi va collocata sullo sfondo di

167
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

accuse analoghe lanciate contro 11cristianesimo (cfr. Celso in C. CeL V,


15; VI, 25-26; VII, 9); eloquente un passo delle Pseudoclementine (XVII,
2): Simone sostiene che Pietro, mentre sembra voler liberare le anime
dal timore di fanfasmi temibili, collegati al culto degli idoli, li sostitui­
sce con il fantasma ancora più angoscioso di un Dio di una giustizia in­
flessibile.
15 II fumo ed il sangue dei sacrifici erano considerati il cibo dei
demòni; queste osservazioni presuppongono più antiche speculazioni
riguardanti il rapporto demoni-cibo; si pensava che essi potessero en­
trare nel corpo degli uomini attraverso il cibo (cfr. anche infra le con­
siderazioni di Cipriano, De lapsis 25*) e che essi si rallegrassero e si
nutrissero di alcuni cibi in particolare: la carne, le cose immonde e,
soprattutto, il sangue (J. Tambomino, De antiquorum daemonismo,
Giessen 1909, pp. 62; 87); molto sottolineato era anche il legame fra de­
moni malvagi e sacrifìci umani (Soury, cit., pp. 55-56). Anche Celso
parla di di «demoni terrestri» attaccati al «fumo ed al sangue dei sa­
crifici» (C. Cel Vili, 60*).
16 I nomi degli dèi non sono frutto dell’invenzione poetica, ma so­
no stati suggeriti direttamente dagli angeli malvagi e dai demòni. La
precisazione è importante: soltanto la conoscenza del nome esatto del­
le potenze ne consente l’intervento efficace negli incantesimi e negli
oracoli.
17 Tutti gli uomini, in quanto tali, partecipano del Logos; ciò av­
viene secondo gradi diversi che dipendono dalle capacità, dalle scelte
personali e dal momento storico in cui vivono (prima o dopo la venu­
ta di Cristo) (cfr. R. Joly, Christianisme et Philosophie, Bruxelles 1973,
pp. 88 sgg.; H. Chadwick, Early Christian Thought and thè Classical
Tradition, Oxford 1966, pp. 1-31). Ciò consente a Giustino di colloca­
re su una linea di continuità con il cristianesimo una serie di personalità
appartenenti soprattutto alla tradizione filosofica, figure che, negli am­
bienti colti, erano celebrate per la loro sapienza e virtù. In primo luo­
go, Socrate, considerato una sorta di martire cristiano ante litteram
(I Ap. 5,3), ma anche altre figure, tra cui Eraclito (erroneamente col­
legato alla scuola stoica) e Musonio, che, pur senza essere uccisi, co­
nobbero nella loro vita l’esilio (cfr. Wartelle, cit., pp. 306-307).
18 La persecuzione dei cristiani fa dunque parte di un complotto
contro i buoni, che precede la loro comparsa nella storia: essi sono
perseguitati non in quanto cristiani, ma in quanto uomini che vivono
secondo il Logos, e Io sono di più dei saggi dell’antichità, perché dopo
la venuta di Cristo possono accedere ad una partecipazione più piena
del Logos. Il paradigma demonologico serve, da una parte, a diluire

168
GIUSTINO

l’esperienza traumatica della persecuzione nel «così è sempre stato»,


dall’altra, nel fornire un ulteriore e potente sostegno ideologico a ciò
che forse il pubblico colto per cui Giustino scriveva, aveva di più caro:
11 senso di appartenenza alla comunità ideale dei sapienti. Secondo
Giustino, l’azione dei demòni nel promuovere l'odio contro i cristiani
si esplica soprattutto nel suscitare persecuzioni (influenzando le de­
cisione dei giudici: IA p . 5; DiaL CXXXI, 2; ispirando leggi inique: IA p .
44; suscitando accuse: I Ap. 10), ma anche neH’impedire una rifles­
sione attenta sulle idee sostenute dai cristiani [IAp. 14). Dopo la venuta
di Cristo, i demòni hanno continuato a minare la credibilità delle verità
cristiane, non più con il forgiare miti simili a quelli cristiani, ma con il
suscitare eretici, in grado di far deviare molti cristiani dalla retta via
(Marcione: f Ap. 58, 1*; Simon Mago e Marcione: I Ap. 26, 1).
19 II successo degli esorcismi cristiani è un’arma tipica dell’apolo­
getica cristiana e pagana; cfr. infra.
20 L’edizione critica è: Justin, Dialogue cwec Tryphon. Texte grec, tra-
duction, introduction, notes et index par G. Archambault, voi. II, Paris
1909.
21 II confronto fra esegesi cristiana e giudaica della Scrittura, in
particolare di quei passi che, secondo la prima, avevano contenuto
messianico, è uno dei temi principali del Dialogo; sulla storia dell'in­
terpretazione del passo in questione, cfr. Archambault, cit, voi. II, p.
54. η. 1.
22 La trattazione più importante sull'importanza del «nome» la
dobbiamo ad Origene, cfr. infra e A. Monaci Castagno, Origene, cit.,
pp. 139 sgg.
23 Altre formule di esorcismo in II Ap. 5; DiaL XXX, 3; LXXVI, 6; 1
demòni temono il nome di Cristo: DiaL CXI, 2; XLIX, 8.
24 II senso complessivo del discorso è che se l’esorcismo nel nome
di Gesù Cristo è efficace quanto quello nel nome del Dio di Àbramo,
ciò significa che Gesù Cristo è Dio, non soltanto una figura di sapien­
te e profeta della tradizione giudaica.
25 Gli esorcismi cristiani trovavano una temibile concorrenza non
soltanto fra i pagani, ma anche fra gli Ebrei; essi condividevano con
tutti gli orientali una solida fama di maghi ed un gran numero di do­
cumenti magici rivela l’influenza del giudaismo. Gli elementi «magici»
della religione giudaica (lingua, scrittura, la potenza attribuita all’in­
vocazione dei nomi ed al tetragramma) sarebbero stati anzi un veico­
lo di propaganda di non trascurabile rilievo per il proselitismo giudai­
co (M. Simon, Verus Israel. Études sur les relations entre chrétiens et
jui/s dans l'Em pire Romain, Paris 1948, pp. 394-400). Giustino sem­

169
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

bra qui volere stabilire la superiorità degli esorcismi cristiani su quel­


li giudaici sia sulla base della maggior correttezza e, quindi, efficacia del­
le formule, sia sul fatto che gli Ebrei utilizzassero lo stesso apparato
magico che accompagnava gli esorcismi pagani.

170
TAZIANO
(seconda metà del II secolo)

Di Taziano, moto nella terra degli Assiri»1, retore, conside­


rato discepolo di Giustino, conosciamo soltanto il Diatessaron,
che consiste in una concordanza dei Vangeli, e il Discorso ai
Greci. La data dello scritto è incerta: intorno al 150, secon­
do Epifanio (Pan. 1,3,46); oppure, secondo Eusebio (Chron.
XII), nel 172. Stando alla tradizione eresiologica2, Taziano,
dopo la morte di Giustino, si sarebbe allontanato dalla Grande
Chiesa per avvicinarsi all'encratismo ed allo gnosticismo. Il
Discorso comprende i temi tipici dell’apologetica del tempo:
esposizione per sommi capi delle dottrine cristiane, critica
dei culti e dei miti ellenici, identificazione degli dèi con i demò­
ni, esaltazione dei costumi morali dei cristiani; se ne allon­
tana, tuttavia, per l’atteggiamento di rifiuto totale riguardo
alla cultura greca. La demonologia di Taziano presenta ele­
menti di continuità con la tradizione precedente soprattutto
per quanto riguarda l’insistenza sul tema del libero arbitrio;
ma la stretta correlazione, non priva di ambiguitcì, che egli
vede tra i demòni e la materia appare più. affine alle posi­
zioni gnostiche che a quelle della Grande Chiesa.

171
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

T a t ìa n i O r a v o ad Graecos
7-8; 15-17; ed. Schwartz, pp. 7, 6-8, 12; 16, 27 - 19, 83

7. Λόγος γάρ ό έπουράνιος πνεϋμα γεγονώς από τοΰ πνεύματος


καί λόγος έκ λογικής δυνάμεως, κατά την τοΰ γεννησαντος αυτόν
πατρός μίμησιν εικόνα της άθανασίας τον άνθρωπον έποίησεν,
ΐν ’ , ώσπερ ή αφθαρσία παρά τω θεφ, τον αύτόν τρόπον θεοΰ
μοίρας άνθρωπος μεταλαβών εχη καί τό άθάνατον. Ό μέν ούν
λόγος προ της τών ανθρώπων κατασκευής αγγέλων δημιουργός
γίνεται, τό δε έκάτερον της ποιήσεως είδος αύτεξούσιον γέγονε
τάγαθοϋ φύσιν μή εχον, δπερ μόνον παρά τω θεφ, τή δε ελευθερία
της προαιρέσεως ύπό τών ανθρώπων έκτελειούμενον, δπως ό μέν
φαϋλος δικαίως κολάζηται δι’ αύτόν γεγονώς μοχθηρός, ό δε
δίκαιος χάριν τών ανδραγαθημάτων άξίως έπαινήται κατά τό
αύτεξούσιον τοΰ θεοΰ μή παραβάς τό βούλημα. Καί τα μέν περί
τούς αγγέλους καί ανθρώπους τοϋτον εχει τον τρόπον ή δε τοΰ
λόγου δύναμις έχουσα παρ ’ έαυτή το προγνωστικόν το μέλλον
άποβαίνειν ού καθ’ ειμαρμένην τη δε τών αίρουμένων αύτεξου-
σίω γνώμη, τών μελλόντων προύλεγε τάς αποβάσεις καί της μεν
πονηριάς κολαστής έγίνετο δι’ απαγορεύσεων, τών δε μενόντων
αγαθών έγκωμιαστής. Καί έπειδή τινι φρονιμωτέρω παρά τούς
λοιπούς δντι διά τό πρωτόγονον συνεξηκολούθησαν καί θεόν
άνέδειξαν οί άνθρωποι καί (άγγελοι) τον έπανιστάμενον τω νόμφ
τοΰ θεοΰ, τότε ή τοΰ λόγου δύναμις τόν τε άρξαντα της άπονοίας
καί τούς συνακολουθήσαντας τούτφ τής συν αύτφ διαίτης
παρητήσατο. Καί ό μέν κατ’ εικόνα τοΰ θεοΰ γεγονώς χω-
ρισθέντος άπ ’ αύτοΰ τοΰ πνεύματος τοΰ δυνατωτέρου θνητός γί­
νεται- διά δέ τήν παράβασιν καί τήν άγνοιαν ό πρωτόγονος
δαίμων άποδείκνυται καί τοΰτον οί μιμησάμενοι. Τούτου δέ τα
φαντάσματα δαιμόνων στρατόπεδον άποβεβήκασι καί διά τό
αύτεξούσιον τή σφών αβελτερία παρεδόθησαν.

172
TAZIANO

D is c o r s o ai Greci

7. Il Logos celeste, divenuto spirito da spirito e Logos da po­


tenza razionale, a imitazione del Padre che lo aveva genera­
to, creò l’uomo quale immagine dell'immortalità, affinché,
come l’incorruttibilità appartiene a Dio, (così) anche l’uomo,
partecipando alla stessa condizione divina, possedesse anche
l’immortalità4. Il Logos, dunque, prima di creare gli uomini,
creò gli angeli ed entrambe le specie create ebbero il libero
arbitrio, ma non la natura del bene, che appartiene soltan­
to a Dio; gli uomini possono, però, compierlo per loro libera
scelta, di modo che il malvagio verrà giustamente punito per
essere diventato perverso di sua volontà, mentre il giusto
verrà meritatamente lodato per le sue buone azioni, avendo
esercitato il libero arbitrio senza trasgredire la volontà di
Dio. Questa è la condizione degli angeli e degli uomini. La
potenza del Logos, possedendo la prescienza di quanto sa­
rebbe accaduto - non secondo necessità, ma attraverso li­
bera decisione di coloro che sceglievano -, prediceva le loro
future cadute e, attraverso i divieti, cercava di impedire le
azioni malvagie e lodava coloro che si mantenevano buoni. E
quando gli uomini e egli angeli> seguirono uno che per essere
il primogenito era più intelligente5 degli altri e proclamarono
dio colui che si era ribellato alla legge di Dio, allora la po­
tenza del Logos allontanò dalla vita comune l’iniziatore di
tale follia e coloro che l’avevano seguito. Colui che era sta­
to creato ad immagine di Dio, dopo che lo spirito più poten­
te si fu separato da lui, divenne mortale6, mentre il primo­
genito, a causa della sua trasgressione e ribellione, viene de­
signato come demone come anche coloro che lo hanno imi­
tato. Fantasmi demoniaci7 hanno formato il suo esercito e,
poiché avevano agito secondo il loro libero arbitrio, sono sta­
ti consegnati alla loro stoltezza8.

173
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

8. ' Υπόδεσις δέ αύτοΐς της αποστασίας οί άνθρωποι γίνο


ται. διάγραμμα γάρ αύτοΐς άστροθεσίας άναδείξαντες ώσπερ οί
τοΐς κύβοις παίζοντες, την ειμαρμένην είσηγήσαντο (βασιλείαν >
λίαν άδικον. "Ο τε γάρ κρίνων καί ό κρινόμενος καθ ’ ειμαρμένην
είσιν γεγονότες, καί οί φονεύοντες και οί φονευόμενοι καί οί
πλουτοϋντες καί οί πενόμενοι της αύτης ειμαρμένης ύπάρχουσιν
άπογεννήματα, πασά τε γένεσις ώσπερ έν θεάτρφ τερπωλήν
παρέσχε τούτοις, παρ ’ οίς, ώς φησιν " Ομηρος, άσβεστος δ'άρ ’
ένωρτο γέλωςμακάρεσσι ύεοΐσιν. [...]

15. [...] Δαίμονες δέπάντες σαρκίον μέν ού κέκτηνται, πνευμα­


τική δέ έστιν αύτοΐς ή σύμπηξις ώς πυράς καί άέρος. Μόνοις γοϋν
τοΐς πνεύματι θεοΰ φρουρουμένοις εύσύνοπτα καί τά τών
δαιμόνων έστί σώματα, τοΐς λοιποΐς δέ ούδαμώς, λέγω δε τοΐς
ψυχικοΐς. Το γάρ ελαττον κατάληψιν ούκ ισχύει ποιεΐσθαι τοΰ
κρείττονος. Διά τοΰτο γοϋν ή τών δαιμόνων ύπόστασις ούκ εχει
μετανοίας τόπον. Της γάρ ύλης καί πονηριάς είσίν άπαυγάσμα-
τα, ύλη δέ της ψυχής κατεξουσιάζειν ήθέλησεν καί κατά το
αύτεξούσιον οί μέν θανάτου νόμους τοΐς άνθρώποις παρα-
δεδώκασιν οί δε άνθρωποι μετά τήν της άθανασίας αποβολήν
θανάτω τω διά πίστεως τον θάνατον νενικηκασιν, καί διά
μετανοίας κλήσις αύτοΐς δεδώρηται κατά τον είπόντα λόγον·
Επειδή βραχύ τι παρ ’ αγγέλους ήλαττώϋησαν. Δυνατόν δε παντί
τω νενικημένω πάλιν νικάν, τοΰ θανάτου τήν σύστασιν παραι-
τούμενον· τίς δέ έστιν αϋτη, εύσύνοπτον έσται τοΐς βουλομένοις
άνθρώποις τό άθάνατον.

16. Δαίμονες δέ οί τοΐς άνθρώποις έπιτάττοντες ούκ είσιν


τών άνθρώπων ψυχαί. Πώς γάρ αν γένοιντο δραστικαί καί μετά τό
άποθανεΐν χωρίς εί μή ζών μέν ό άνθρωπος άνόητος καί
αδύνατος γένοιτο, νεκρός δέ γενόμενος λοιπόν δραστικωτέρας
πιστεύοιτο μεταλαμβάνειν δυνάμεως; ’Αλλ’ ούτετοΰθ’ ούτως
έστίν, ώς έν άλλοις άπεδείξαμεν, καί χαλεπόν οιεσθαι τήν άθάνα-

174
TAZIANO

8. Gli uomini sono diventati oggetto della loro apost


sia. Infatti dopo aver mostrato loro una carta delle costel­
lazioni9, come i giocatori di dadi, hanno introdotto il fato10,
regno oltremodo ingiusto, dal momento che il giudice e l’im­
putato sono diventati quel che sono a causa del fato; gli as­
sassini e le loro vittime, i ricchi e i poveri sono prodotti del­
lo stesso fato ed ogni nascita offre, come in un teatro, mo­
tivi di spasso a coloro dei quali Omero dice; «Un riso irre­
frenabile si levò dagli dèi beati»11. [...]

15. [...] Nessun demone possiede un pezzetto di carne, la


loro costituzione è spirituale, essendo di fuoco ed aria12.
Dunque, soltanto a coloro che sono custoditi dallo spirito
di Dio sono facilmente visibili i corpi dei demoni, ma non
agli altri, cioè agli psichici13, perché l’inferiore non è capa­
ce di comprendere il superiore. Per questo la sostanza dei
demoni non ha posto per il pentimento, dato che sono ri­
flessi della materia e della malvagità14 e la materia volle
esercitare il dominio sull’anima. Costoro, per libera scelta,
hanno dato agli uomini leggi di morte; ma gli uomini, dopo
aver perduto l’immortalità, mediante la morte per la fede,
hanno vinto la morte e attraverso la penitenza è stata loro
donata l’elezione, secondo quanto è detto: «Poiché sono sta­
ti fatti di poco inferiori agli angeli» (Ps. 8, 6; Hebr. 2, 7). A
tutti quelli che sono sconfìtti è possibile in seguito vincere,
se rifiutano la costituzione di morte; che cosa questa sia lo
vedranno facilmente gli uomini che aspirano all’immorta­
lità.
16.1 demoni che dominano sugli uomini non sono ani­
me di uomini. Come, infatti, esse potrebbero diventare attive
anche dopo la morte? A meno di supporre che un uomo,
sciocco e debole in vita, da morto acquisti infine una po­
tenza più efficace; ma le cose non stanno così, come ho di­
mostrato in altro luogo15, ed è difficile credere che l’anima im-

175
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

τον υπό τών τοΰ σώματος μερών έμποδιζομένην φρονιμωτέραν,


έπειδάν άπ ’ αύτοΰ μεταναστη, γίνεσΰαι. Δαίμονες γάρ τη σφών
κακοηθεία τοϊς άνθρώποις έμβακχεύοντες, ποικίλαις καί έψευ-
σμέναις δραματουργίαις τάς γνώμας αύτών παρατρέπουσι κάτω
νενευκυίας, δπως μεταρσιοΰσθαι πρός την έν ούρανοϊς πορείαν
έξαδυνατώσιν. ’Α λλ’ ούτε ημάς το έν κόσμω λέληθε, καί ύμΐν
εύκατάληπτον εσται τό θειον της άπαθανατιζούσης τάς ψυχάς
** ύμΐν προσελθούσης.
Βλέπονται δέ καί ύπό τών ψυχικών οί δαίμονες, εσθ ’ δτε τοϊς
άνθρώποις έαυτούς έκείνων δεικνύντων, ίίνα τε νομισθώσιν είναί
τινες ή καί τι βλάψωσι καθάπερ πολεμίους, φίλοι κακοί την
γνώμην ύπάρχοντες, ή της εις αύτούς θρησκείας τοϊς όμοίοις
αύτοϊς τάς άφορμάς παράσχωσιν. Εί γάρ δυνατόν αύτοϊς, πάντως
άν καί τον ούρανόν συνάμα τη λοιπή ποιήσει καθείλκυσαν· νΰν
δέ τοΰτο μέν πράττουσιν ούδαμώς· άδυνατοΰσι γάρ· ύλη δέ τη
κάτω πρός την όμοίαν αύτοϊς ύλην πολεμοΰσιν. Τούτους δε νικάν
άν τις ΰελήση, την ύλην παραιτησάσΰω· ϋώρακιγάρ πνεύματος
έπουρανίου καϋωπλισμενοςπαν τό ύπ’ αύτοΰ περιεχόμενον σώ-
σαι δυνατός εσται.

Είσίν μέν ούν καί νόσοι καί στάσεις της έν ήμϊν ύλης·
δαίμονες δ’ έαυτοϊς τούτων τάς αιτίας, έπειδάν συμβαίνωσιν,
[έαυτοϊς] προσγράφουσιν, έπιόντες όπόταν καταλαμβάνη
κάματος. "Εστι δέ δτε καί αύτοί χειμώνι της σφών άβελτερίας
κραδαίνουσιν την έξιν τοϋ σώματος· οΐ λόγω ΰεοΰ δυνάμεως
πληττόμενοι δεδιότες άπίασιν, καί ό κάμνων -θεραπεύεται.
17. [...] Διόπερ, ώ "Ελληνες, κεκραγότος ώσπερ άπό τοΰ με­
τεώρου κατακούσατέ μου μηδ’ έπιτωΰάζοντεςτην ύμετέραν άλο-
γιστίαν έπί τον κήρυκα της άληύείας μετάγετε. Πάθος ούκ έστι
δι’ άντιπαθείας άπολλύμενον, ούδέ ό μεμηνώς σκυτίδων
έξαρτημασι θεραπεύεται. Δαιμόνων είσίν έ7αφοιτησεις· καί ό νό­
σων καί ό λέγων έρδν καί ό μισών καί ό βουλόμενος άμύνεσΰαι
τούτους λαμβάνουσιν βοηΰούς. Τρόπος δέ αύτοϊς της μηχανης
ούτος. "Ωσπερ γάρ οί τών ραμμάτων χαρακτήρες στίχοι τε οί άπ ’

176
TAZIANO

mortale, impedita dalle membra del corpo, diventi più intel­


ligente quando se ne separa. 1demoni, per la loro malvagità,
infuriano contro gli uomini; con molteplici e fallaci rappre­
sentazioni pervertono le loro menti inclini verso il basso, per­
ché divengano incapaci di innalzarsi verso il viaggio celeste.
Ma le cose del mondo non ci sono ignote e per voi sarà faci­
le comprendere la divinità, quando la <potenza del Logos>16,
che rende le anime immortali, vi si avvicinerà.
I demoni sono visti anche dagli psichici, quando si mo­
strano agli uomini per farsi credere importanti o per recar
loro qualche danno come a nemici - (all’apparenza) amici, ma
con animo perverso - o per offrire agli uomini a loro simili oc­
casioni di culto nei propri confronti. Se infatti potessero,
avrebbero completamente trascinato verso il basso il cielo
con il resto della creazione: in nessun modo fanno questo
perché non ne sono in grado, ma essi possono combattere
con la materia inferiore17 contro la materia simile a loro.
Chi vuole sconfìggerli, deve rifiutare la materia. Armato con
la corazza dello spirito (Eph. 6, 11) celeste egli potrà salva­
re quanto è da essa protetto.
Vi sono certamente malattie e disordini nella materia che
è in noi. Quando questi arrivano, i demoni se ne attribuisco­
no le cause presentandosi allorché sopraggiunge la malattia18.
Talora essi stessi fanno tremare tutto il corpo con la loro stu­
pida furia, ma, colpiti dalla parola della potenza divina e in­
timoriti, fuggono e il malato guarisce19.
17. [...] Perciò, o Greci, date ascolto al mio grido come
venisse dall’alto e non rivolgete con scherno la vostra irra­
gionevolezza contro il messaggero della verità. Un’affezione
non viene distrutta da un’«antipatia»20, né un folle viene gua­
rito con amuleti di cuoio: si tratta dell’intervento di demoni.
Chi soffre, chi dice di amare, chi odia, chi vuole vendicarsi,
tutti ricorrono a costoro come soccorritori. Ecco quali sono
i loro artifìci. Come i caratteri dell’alfabeto e le righe da essi

177
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

αύτών ού καθ’ έαυτούς είσι δυνατοίσημαίνειντο συνταττόμενον,


σημεία δέ τών έννοιών σφίσνν <αύτοΐς> άνθρωποι δεδη-
μιουργήκασι, παρά την ποιάν αύτών σύνθεσιν γινώσκοντες δπως
καί ή τάξις τών γραμμάτων έχειν νενομοθέτηται, παραπλησίως
καί τών ριζών αί ποικιλίαι νευρών τε και όστέων παραλήψεις ούκ
αύταί καθ ’ έαυτάς δραστικαί τινές είσι, στοιχείωσις δέ έστι της
τών δαιμόνων μοχθηρίας, οΐ πρός άπερ έκαστον αύτών ίσχύειν
ώρίκασιν, έπειδάν παρειλημμένην υπό τών άνθρώπων θεάσων-
ται τήν δι’ αύτών ύπηρεσίαν, ύπολαμβάνοντες σφίσιν αύτοΐς
δουλεύειν τούς ανθρώπους άπεργάζονται.

178
TAZIANO

formate non sono in grado di far conoscere di per se stessi il


significato di ciò che è scritto, ma sono segni creati dagli uo­
mini per esprimere i loro pensieri, e dalla particolare com­
binazione essi conoscono come il significato della parola è
stato prescritto, nello stesso modo la varietà di radici e l’uso
di nervi e di ossa non sono efficaci di per se stessi, ma co­
stituiscono l’alfabeto della malvagità dei demoni che hanno
fissato a ciascun elemento la sua efficacia21; quando, poi, si
accorgono che gli uomini accolgono il loro aiuto, li attirano
subdolamente a sé e li costringono a servirli.

NOTE

1 Orat 42.
2 F. Bolgiani, La tradizione eresiologia sull'encratismo, I: Le notizie
di Ireneo; II: La confutazione di Clemente di Alessandria, «Atti
dell’Accademia delle Scienze di Torino» 91 (1956-57), pp. 343-419; 96
(1961-62), pp. 537-664.
3 Tatiani, Oratio ad Graecos (Texte und Untersuchungen, 4).
Recensuit E. Schwartz, Leipzig 1888, confrontato con Tatian, Oratio
ad Graecos and Fragments, edited and translated by M. Whittaker,
Oxford 1982.
4 Sullo sfondo di queste parole vi è il Libro della Sapienza (iuxta
LXX): «Dio creò l’uomo per l'incorruttibilità (έπ’άφθαρσία) e lo fece ad
immagine della propria eternità (της ιδίας άίδιότητος), ma per invidia
del diavolo la morte entrò nel mondo e ne fanno esperienza coloro che
gli appartengono» (Sap. 2, 23-24).
5 L’aggettivo è uguale a quello attribuito al serpente in Gn. 3, 1
sgg., secondo la versione dei LXX. Questo - insieme ad altri elementi
più incerti - sarebbe un motivo sufficiente per ritenere, secondo A.
Puech (Recherches sur le Discours aux Grecs de Tatien, Paris 1903, p.
64) che il passo sia «l'équlvalent du récit biblique de la chute», di cui
l’autore non avrebbe conservato che il senso generale, cancellando
«toute la couleur et tout le détail». Ma il passo di Taziano suggerisce
la presenza di una rete di riferimenti biblici ed extrabiblici molto più
complessa. Né Gn. 3, 1 sgg., né il già citato Sap. 2, 23-24 olirono spun­
ti per delineare la «preistoria» della potenza istigatrice del peccato.

179
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

Taziano conosce una tradizione relativa alla caduta di un angelo, di


dignità particolare che avrebbe preceduto quella degli altri angeli e de­
gli uomini; tradizione che si può leggere in LS LXXXV1, 1 (cfr. intr. pp.
18-19) e in L P LX1X, 4 (cfr. introd. pp. 18-19). La corrispondenza sim­
bolica stelle=angeli presente nei miti enochici e stabilita esplicitamente
nell’Apocalisse canonica (I, 20) attirò l’attenzione dell’esegesi cristia­
na su Is. 14, 12. in cui è descritta la caduta del re di Babilonia ricor­
rendo airimmagine della caduta dal cielo della stella del mattino, una
caduta tanto più rovinosa ed inaspettata quanto più erano stati am­
biziosi i disegni di quel re: voleva porre il suo trono sulle stelle e farsi
simile all’Altissimo. Un altro testo profetico contenente anch’esso un ora­
colo relativo alla caduta di un re lo descrive dotato di ogni perfezione,
saggezza e accortezza, «posto sul monte di Dio con un Cherubino (Ez.
28, 14, iwcta LXX, ma l’ebraico: «Eri come un cherubino») ed in segui­
to, per la sua ingiustizia, caduto dalla sua posizione di privilegio, scon­
fitto e ridotto in cenere. È possibile che già Le. 10, 18 («Io vedevo Satana
cadere dal cielo come la folgore») sia una spia di un’interpretazione di
Is. 14, 12 riferito alla caduta di Satana (M. Miyoshi, D erA n fan g des
Reiseberichts. Lk 9,51-10, 24. Etne redaktkmsgeschichtliche Untersuchung,
Rom 1974, pp. 100-101). Soltanto nella tradizione successiva a Taziano
(Tert., Adv. Marc. II, 10, 3; Orig., Ho. Ez. XIII*) troviamo completamente
esplicitata l'esegesi che lega i tre testi riferendoli alla caduta del dia­
volo. Taziano, puntando i riflettori sul peccato di un solo angelo che, co­
me il principe di Tiro, si era ribellato alla legge di Dio, e come il re di
Babilonia aveva osato di essere considerato come Dio, sembra costi­
tuire un precedente, tuttavia già l'esegesi giudaica aveva collegato Is.
14, 14 a Satana: cfr. in/τα Iren., Epid. 16*.
6 Sap. 2, 23-24, cfr. n. sopra.
7 È un punto difficile: R.C. Kukula, Tatians Rede ari die Bekenner
des Griechentums, Kempten 1913, sopprime τούτου e legge καί τούτου
οί μιμούμενοι τά φαντάσματα.
8 Taziano riprende il tema della caduta nel c. 12, in un modo di­
verso: «I demoni che sono fatti di materia e che hanno ricevuto lo spirito
della materia sono diventati dissoluti (άσωτοι) e (λίχνοι) ghiotti (mentre
gli angeli rimasti fedeli si sono rivolti agli elementi più puri), hanno scel­
to gli elementi inferiori della materia e si comportano conformemente
a quella». Il tentativo più convincente di interpretazione è quello di Wey,
cit., pp. 86-87; egli riconosce negli aggettivi άσωτοι e λίχνοι un’allusio­
ne al particolare rapporto che lega i demòni ai sacrifici. Questo dunque
non sarebbe in contraddizione con il peccato di arrogatio divinitatis de­
scritto nel c. 7. Tuttavia continuano a sussistere differenze inspiegabi-

180
TAZIANO

li (manca ad esempio qualsiasi cenno all'angelo primogenito). Anche in


Orafc 20 viene indicato nell’attrazione verso la materia il motivo della
caduta: l'anima ha abbandonato la vita celeste attratta dal commercio
con la materia, i demòni sono stati scacciati dalla loro dimora e i pri­
mi uomini sono stati banditi, «gli uni furono scacciati dal cielo, gli al­
tri dalla terra, non da questa, ma da una migliore di questa».
9 Ritenere l’astrologia un sapere proveniente dagli angeli caduti è
tema tipicamente enochico (cfr. introd. pp. 17 sgg.).
10 Sull’importanza dell'astrologia nel mondo antico, oltre al già ci­
tato studio di Magris (voi. II, pp. 479-608); D. Amand, Fatcdisme et li­
bertà dans l'a n tiqu ité grecque, Paris 1945; sul tema nell’Oratto cfr.
Puech, cit., pp. 44-45, Amand, cit., pp. 208-211. I suoi argomenti so­
no quelli tradizionali: l'astrologia presuppone la mancanza del libero
arbitrio e con esso la possibilità di essere giudicati nel bene o nel ma­
le (sul possesso del libero arbitrio da parte degli angeli e degli uomini
cfr. Orat. 15).
11 IL 1, 599; Odyss. 8, 326.
12 Sul problema del corpo dei demoni nella tradizione platonica e
medioplatonica, cfr. F.E. Brenk, In thè Ught, c it, pp. 2081; 2087. Nella
tradizione cristiana cfr. Orig., De pr„ Praef. 8*.
13 Cioè coloro che non albergano lo spirito di Dio, che sono costi­
tuiti soltanto dalla carne e dall’anima. Secondo Taziano, essa non è
immortale, ma muore con il corpo per risorgere nel giorno del giudi­
zio e sottomettersi al premio o al castigo. Soltanto se congiunta con lo
spirito di Dio, di cui conserva una scintilla, essa può salvarsi (cfr.
Puech, cit., pp. 66-68; M. Elze, Tatian und seine Theoìogie, Gòttingen
1960, pp. 83-88).
14 Da im a parte, Taziano afferma, sulla linea della Grande Chiesa,
che gli angeli e gli uomini sono stati creati liberi, dall'altra, vedendo
nei demòni un riflesso della materia e negando loro la possibilità di
pentimento sembra allinearsi alla concezione gnostica. Il rapporto par­
ticolare dei demòni con la materia emerge anche nel c. 12 (cfr. sopra n.
8). Malgrado le oscurità e le ambiguità di alcune espressioni, sembra
che Taziano descriva la situazione creatasi in seguito alla caduta. I
demòni sono tali non perché sono costituiti dalla materia, ma perché,
a partire da un certo momento, continuano a rimanere congiunti e ad
operare con la parte inferiore di essa (cfr. infra c. 16). Nel c. 14 è af­
fermato che essendo i demòni Immortali, dal momento che non hanno
un corpo di carne, accumulano durante la loro vita un seguito inter­
minabile di opere di morte, cosa che causerà la loro condanna eterna,
(cfr. in/rap. 363).

181
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

15 Taziano si riferisce ad un’altra sua opera, forse dedicata alla de­


monologia, opera che non ci è pervenuta.
16 Seguo l’integrazione proposta da Schwartz: <λόγου δυνάμεως>.
17 Sui diversi gradi della materia: Elze, di., pp. 83-86, che sottoli­
nea molto i punti che allontanano Taziano dallo gnosticismo.
18 Cfr. Orat. 18: in un passo in cui cita Giustino, Taziano nega che
i demòni siano in grado di guarire: essi si comportano come briganti che
prendono in ostaggio qualcuno restituendolo poi dietro compenso. Allo
stesso modo essi invadono le membra degli uomini, inviano loro dei
sogni che li dispongono a credere nella loro potenza,; gli ordinano di
apparire in pubblico e dopo aver goduto degli elogi tributati, essi ab­
bandonano il corpo dei malati mettendo fine alla malattia che hanno
causato essi stessi.
19 Dalla frase precedente si dedurrebbe che non sono i demòni a
causare le malattie ed i disordini, ma essi tendono a recitare una par­
te parassitarla per millantare una potenza che non posseggono; subi­
to dopo, per spiegare i fenomeni di possessione, Taziano è costretto a
riconoscere loro la causa di tali malattie, cfr. anche n. precedente.
20 II gioco di parole πάθος\άντιπαθεία non può essere reso in ita­
liano. Taziano si prende gioco di un’opera περί συμπαθειών καί αντιπα­
θειών, erroneamente attribuita a Democrito, ma in realtà scritta da
Bolo di Mendes (Egitto, 200 a. C.), non altrimenti conosciuto; egli sa­
rebbe stato il primo autore conosciuto a descrivere le forze occulte pre­
senti in certe piante, animali, pietre, metalli ecc. Il suo sistema era
strettamente collegato alla medicina magica, aH'alchlmia ed all'astro-
logia. La convinzione, infatti, che ogni astro avesse un suo rappre­
sentante nel regno animale, vegetale o minerale, a quello collegato da
un’occulta «simpatia» rendeva possibile l’azione magica sulle stelle con
la manipolazione del loro corrispondente terreno (E.R. Dodds, I Greci,
cit, pp. 246-248). Una critica di queste idee di poco precedente a quel­
la di Taziano si legge in Plutarco (Symp. II, 7); per il filosofo di Cheronea
la coincidenza di due eventi non va spiegata sulla base di misteriose
«simpatie», ma va cercata tentando di individuare la causa naturale e
comune che produce entrambi gli avvenimenti (S-T. Teodorsson, A
Commentary on. Plutarch’s Table Talks, voi. I, Berlings 1989, pp. 255-
256).
21 Anche per Taziano la coincidenza fra applicazione del rimedio
(radici, amuleti, ecc.) e soluzione del problema va cercata altrove che
non nelle simpatie o antipatie: sono i demòni ad aver stabilito che ad
ogni elemento materiale corrispondesse un effetto. In questo modo egli
inserisce fra i comportamenti idolatrici tutta una serie di pratiche che

182
TAZIANO

si intendevano o si volevano far passare come «neutre». Anche la me­


dicina in tutte le sue forme non sfugge a tale trattamento (c. 18; ma
più oltre, nel c. 20, attenua questa posizione): l’unico rimedio legittimo
è l’invocazione della potenza di Dio. In questa posizione che richiama
quella di un moderno «Christian Scientist» (Puech, cit., p. 46), agisce
un’avversione così radicale riguardo alla materia in generale da spie­
gare il successivo allontanamento dalla grande Chiesa.

183
ATENAGORA
(seconda metà del II secolo)

R titolo dell’opera Ambasciata, del filosofo cristiano Atenagora


di Atene per i cristiani contiene le uniche informazioni che
possediamo sul personaggio1. In effetti, pur condividendo
con gli altri scritti apologetici il tema dell’equivalenza del cul­
to degli dèi con quello dei demòni, appare qui più accentua­
to lo sforzo di offrirne una reinterpretazione alla luce delle
teorie cosmologiche e psicologiche dell'epoca. L'opera, es­
sendo indirizzata a Marco Aurelio (morto nel 180) ed alfiglio
Commodo (associato all'impero nel 176) deve essere stata
composta in questo tomo di tempo2.

185
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

A t h e n a g o r a e L e g a t o p ro Christianis
XXIV, 2 - XXVII, 2; ed. Pouderon, pp. 160, 8 - 176, 223

XXIV, 2. ' Ως γάρ θεόν φαμεν καί υιόν τον λόγον αύτοΰ καί πνεΰ-
μα άγιον, ένούμενα μέν κατά δύναμιν (διαιρούμενα δε κατά τάξιν
εις) τον πατέρα, τον υίόν, το πνεΰμα, ότι νοΰς, λόγος, σοφία ό υιός
τοΰ πατρός καί απόρροια ώς φως άπό πυράς τό πνεΰμα, ούτως
καί έτέρας είναι δυνάμεις κατειλήμμεθα περί την ύλην έχούσας
καί δι’ αύτης, μίαν μέν την άντίθεον, ούχ ότι άντιδοξοΰν τί έστι
τφ θεφ ώς τη φιλία τό νεϊκος κατά τον ’ Εμπεδοκλέα καί τη ημέρα
νύξ κατά τά φαινόμενα — έπεί καν εί άνθειστήκει τι τφ θεφ,
έπαύσατο τοΰ είναι, λυθείσης αύτοΰ τη τοΰ θεοΰ δυνάμει καί
ίσχύι τής συστάσεως —, άλλ’ ότι τφ τοΰ θεοΰ άγαθω, ό κατά
συμβεβηκός έστιν αύτω καί συνυπάρχον ώς χρόα σώματι, ού
άνευ ούκ έστιν — ούχ ώς μέρους οντος, άλλ’ ώς κατ’ άνάγκην
συνόντος παρακολουθήματος, ηνωμένου καί συγκεχρωσμένου
ώς τφ πυρί ξανθφ είναι καί τφ αίθέρι κυανω —, έναντίον έστι το
περί την ύλην έχον πνεΰμα, γενόμενον μέν ΰπό τοΰ θεοΰ, καθό
<καί> οί λοιποί ύπ’ αύτοΰ γεγόνασιν άγγελοι, καί την έπί τη ύλη
καί τοϊς της ΰλης ε’ίδεσι πεπιστευμένον διοίκησιν.

3. Τούτων γάρ ή τών αγγέλων σύστασις τφ θεφ έπί προνοία


γέγονε τοϊς ύπ ’ αύτοΰ διακεκοσμημένοις, ΐν ’ fi την μέν παντε-
λικην καί γενικην ό θεός <έχων> τών όλων πρόνοιαν, την δέ έπί
μέρους οί έπ’ αύτοϊς ταχθέντες άγγελοι. 4. ' Ως δέ καί έπί τών
άνθρώπων αύθαίρετον καί την αρετήν καί την κακίαν έχόντων
— έπεί ούκ άν ούτ’ έτιμάτε τούς άγαθούς ούτ’ έκολάζετε τούς
πονηρούς, εί μή έπ ’ αύτοϊς ήν καί ή κακία καί ή αρετή — [καί] οί
μέν σπουδαίοι περί ά πιστεύονται ύφ’ ύμών, οί δέ άπιστοι εύρί-
σκονται, καί τό κατά τούς άγγέλους έν όμοίφ καθέστηκεν.

5. Οί μέν γάρ άλλοι — αύθαίρετοι δη γεγόνασιν ύπό τοΰ θεοΰ -

186
ATENAGORA

A m b a s c ia t a

XXIV, 2. In effetti, come riconosciamo Dio, il Figlio, suo


Logos, lo Spirito Santo, uniti secondo potenza <ma distin­
ti secondo il rango in> Padre, Figlio, Spirito, dato che il Figlio
è Mente, Logos e Sapienza del Padre e lo Spirito è emana­
zione come luce da fuoco, cosi sappiamo che esistono an­
che altre potenze che circondano la materia e che agiscono
attraverso di essa; una è contraria a Dio4, non perché pos­
sa esistere un che di opposto a Dio, come la contesa all’ami­
cizia - secondo quanto dice Empedocle - e come la notte al
giorno nel mondo sensibile (nel caso infatti che qualcosa si
opponesse a Dio, avrebbe cessato di esistere, dato che la
potenza e la forza di Dio ne avrebbero distrutto la costitu­
zione), ma perché lo spirito che domina la materia, creato
da Dio al pari degli altri angeli con l’incarico di ammini­
strare la materia e le forme della materia5, è contrario alla
bontà di Dio; bontà che è un suo attributo e gli coesiste co­
me la pelle al corpo, dal momento che non può esistere sen­
za di esso (non come una sua parte, ma come una conse­
guenza che gli inerisce necessariamente, che è gli unita e
gli appartiene come il rosso al fuoco e l’azzurro all’etere).
3. Dio, infatti, ha creato questi angeli per provvedere
le cose da lui ordinate, affinché fosse Dio ad esercitare su
tutte le cose la provvidenza universale e generale, ma fos­
sero gli angeli preposti a tali compiti ad esercitare quella
particolare. 4. Come fra gli uomini che possono scegliere li­
beramente fra la virtù ed il vizio - infatti non onorereste i
buoni, né punireste i malvagi, se la virtù ed il vizio non di­
pendessero da loro - , alcuni si rivelano diligenti nello svol­
gere i compiti loro affidati, mentre altri disobbediscono, al­
lo stesso modo accadde tinche agli angeli.
5. In effetti, alcuni, essendo stati creati da Dio liberi, re-

187
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

έμειναν έφ’ οίς αύτούς έποίησεν καί διέταξεν ό θεός, οί δέ ένύ-


βρισαν καί τη της ουσίας ύποστάσει καί τη άρχη ούτός τε ό της
ύλης καί τών έν αύτη ειδών αρχών καί ετεροι τών περί το πρώ­
τον τοΰτο στερέωμα - ΐστε δέ μηδέν ημάς άμάρτυρον λέγειν, α δέ
τοίς προφηταις έκπεφώνηται μηνύενν -, έκεΐνον μέν εις επιθυμίαν
πεσόντες παρθένων καί ήττους σαρκός εύρεθέντες, ούτος δέ
άμελήσας καί πονηρός περί τήν τών πεπιστευμένων γενόμενος
διοίκησιν. 6. ’ Εκ μέν ούν τών περί τάς παρθένους έχόντων οί κα­
λούμενοι έγεννήθησαν γίγαντες· εί δέ τις έκ μέρους εΐρηται περί
τών γιγάντων καί ποιηταΐς λόγος, μή θαυμάσητε, της κοσμικής
<καί τής προφητικής) σοφίας δσον αλήθεια πιθανού διαφέρει
διαλλαττουσών καί τής μέν οΰσης έπουρανίου, τής δέ έπιγείου
καί κατά τον άρχοντα τής ύλης-
Ισμεν ψεύδεα πολλά λέγειν έτύμοισιν όμοια.

XXV, 1. Ουτοι τοίνυν οί άγγελοι οί έκπεσόντες τών ούρανών, περί


τον άέρα έχοντες καί τήν γήν, ούκέτι είς τά ύπερουράνια
ύπερκύψαι δυνάμενοι, καί αί τών γιγάντων ψυχαί οί περί τον κό­
σμον είσί πλανώμενοι δαίμονες, όμοιας κινήσεις, οί μέν αίς ελα-
βον συστάσεσιν, οί δαίμονες, οί δέ αίς έσχον έπιθυμίαις, οί άγγε­
λοι, ποιούμενοι. ' Ο δέ τής ύλης άρχων, ώς έστιν έξ αύτών τών γι­
νομένων ίδεΐν, εναντία τφ άγαθφ τοΰ θεοΰ έπιτροπεύει κοά διοικεί-
Πολλάκι μοι πραπίδων διήλθε φροντίς, είτε τύχα είτε δαίμων τά
βρότεια κραίνει, παρά τ ’ ελπίδα καί παρά δίκαν t τούς μεν άπ ’
οΐκων δ ’ εναιάπτοντας άτάρ θεοΰ, τούς δ ’ εύτυχοΰντας άγει t.
2. Το παρ ’ ελπίδα καί δίκην εύ πράττειν ή κακώς έν άφασία τον
Εύριπίδην έποίησεν, τίνος ή τοιαύτη τών περίγειων διοίκησις, έν
ή εΐποι τις αν- Πώς ούν τάδ ’ είσορωντες ή θεών γένος είναι λέγω-
μεν ή νόμοισι χρώμεθα; Τοΰτο καί τόν ’ Αριστοτέλη απρονόητα
είπεΐν τά κατωτέρω τοΰ ούρανοΰ έποίησεν, καίτοι τής άιδίου επ'
ϊσηςήμΐν μενούσηςπρονοίαςτοΰ θεοΰ, ή γη δ ’ ανάγκη, κανθέλη
καν μη θέλη, φύουσα ποίαν τάμά πιαίνει βοτά, τής δ ’ έπί μέρους

188
ATENAGORA

starono fedeli ai compiti per i quali erano stati creati e or­


dinati, altri invece oltraggiarono sia la loro natura, sia il lo­
ro incarico; costoro sono il principe della materia6 e delle
sue forme e gli altri angeli che si occupano di questo primo
firmamento7 (sappiate inoltre che non affermiamo questo
senza testimonianze, ma dichiariamo ciò che hanno mo­
strato i profeti8). Quelli caddero a causa della concupiscenza
per le fanciulle e si mostrarono inferiori alla carne; costui,
invece, divenne negligente e malvagio nel governare quan­
to gli era stato affidato9. 6. Da coloro che si unirono alle
fanciulle nacquero i cosiddetti giganti e non vi meravigliate
se i poeti raccontano in modo parziale dei giganti, perché
la sapienza profetica si distingue da quella del mondo quan­
to la verità dal verisimile, essendo l’una celeste e l’altra ter­
rena e secondo il principe della materia10: «Noi sappiamo
dire molte menzogne simili alla verità»11.

XXV, 1. Dunque, sia questi angeli caduti dai cieli12, che


stanno nell’aria e sulla terra e che sono incapaci di rivolge­
re lo sguardo verso le cose sovracelesti, sia le anime dei gi­
ganti13, che sono i demoni che errano nel mondo, produ­
cono movimenti conformi, gli uni - i demoni - alla natura
che hanno ricevuto, gli altri - gli angeli - alle concupiscen­
ze che hanno provato. Il principe della materia invece, come
è possibile constatare dai fatti, governa e dirige contraria­
mente alla bontà di Dio: «Un pensiero mi ha attraversato
spesso la mente: se sia il caso o un demone a regnare sui
mortali perché, contro ogni speranza ed ogni giustizia, io
ho visto alcuni cadere dall’alto, altri vivere sempre prospe­
ramente»14. 2. Lo spettacolo dell’infelicità e della felicità con­
tro ogni speranza e giustizia impedì ad Euripide di pronun­
ciarsi su chi fosse il responsabile di un ordinamento delle co­
se terrene, tale che si potrebbe dire: «Alla vista di queste co­
se, come dunque potremmo dire che esiste la stirpe degli

189
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

πρός αλήθειαν, ού πρός δόξαν, χωρούσης έπί τούς άξιους καί των
λοιπών κατά τό κοινόν συστάσεως νόμω λόγου προνοουμένων.

3. ’Αλλ’ έπεί αί άπό τούναντίου πνεύματος δαιμονικαί κινήσεις


καί ένέργειαι τάς άτακτους ταύτας έπιφοράς παρέχουσιν, ήδη
καί τούς ανθρώπους άλλον άλλως, καί καθ ’ ένα καί κατά έθνη,
μερικώς καί κοινώς, κατά τον τής ύλης λόγον καί της πρός τά
θεία συμπαθείας, ένδοθεν καί έξωθεν κινοϋσαι, διά τοϋτό τινες,
ών δόξαι ού μικραί, ένόμισαν ού τάξει τινί τό παν τοϋτο συνε-
στάναι, άλλ ’ άλόγω τύχη άγεσθαι καί φέρεσθαι, ούκ είδότες δτι
τών μέν περί τήν τοΰ παντός κόσμου σύστασιν ούδέν άτακτον
ούδέ άπημελημένον, άλλ’ έκαστον αύτών γεγονός λόγω, διό ούδέ
τήν ώρισμένην έπ’ αύτοΐς παραβαίνουσι τάξιν.

4. 'Ο δέ άνθρωπος κατά μέν τόν πεποιηκότα καί αύτό


εύτάκτως έχει καί τη κατά τήν γένεσιν φύσει ένα καί κοινόν έπε-
χούση λόγον καί τη κατά τήν πλάσιν διαθέσει ού παραβαινούση
τόν έπ ’ αύτρ νόμον καί τώ τοΰ βίου τέλει ΐσφ καί κοινφ μένοντι,
κατά δέ τόν ϊδιον έαυτφ λόγον καί τήν τοϋ έπέχοντος άρχοντος
καί τών παρακολουθούντων δαιμόνων ένέργειαν άλλος άλλως
φέρεται καί κινείται, κοινόν πάντες τόν έν αύτοΐς έχοντες λογι­
σμόν.

190
ATENAGORA

dèi e come rispetteremo le leggi?»15. È quanto indusse


Aristotele ad affermare che le realtà esistenti sotto il cielo
non sono soggette alla provvidenza; ma la provvidenza eter­
na di Dio permane uniforme su di noi: «Necessariamente la
terra, sia che voglia, sia che non voglia, produce l’erba e
nutre il mio gregge»16. Per quanto riguarda la provvidenza
particolare, in verità e non in apparenza, essa governa co­
loro che ne sono degni, mentre gli altri sono governati per
legge di ragione in conformità della comune costituzione.
3. Ma dal momento che i movimenti e le azioni demoniache
dello spirito avverso producono questi attacchi disordinati
e muovono appunto gli uomini, chi in un modo, chi in un al­
tro, individualmente o secondo le nazioni17, in parte o in
generale, in proporzione alla materia e all'affinità verso il
mondo divino, dall'interno e dall’esterno, per questi motivi,
alcuni le cui opinioni non sono trascurabili18, hanno cre­
duto che il tutto non sia costituito nell’ordine, ma che sia
condotto e portato dal caso irrazionale, non sapendo che
nella costituzione deH’universo non vi è nulla di disordina­
to o di trascurato, ma che ogni cosa è stata creata con ra­
gione e che perciò non trasgredisce nemmeno l’ordine as­
segnatole.
4. L’uomo, secondo la volontà del creatore, si trova a
ch’egli neH’ordine, sia per quanto riguarda la natura della
sua origine che mantiene un'unica e comune ragione, sia
per quanto riguarda la disposizione della sua formazione
che non trasgredisce la legge impostale, sia per quanto ri­
guarda il termine della vita che si mantiene uguale e co­
mune a tutti. Per ciò che concerne, invece, la ragione propria
di ciascuno e l’azione del principe che comanda e dei de­
moni che lo seguono, gli uomini si lasciano trasportare e
muovere chi in un modo chi in un altro, pur possedendo
tutti la stessa facoltà razionale19.

191
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

XXVI, 1. Καί οί μέν περί τα εϊδωλα αυτούς ελκοντες οί δαίμονες


είσιν οί προειρημένοι, οί προστετηκότες τώ άπό τών ιερείων α'ίματι
καί ταΰτα περιλιχμώμενοι· οί δέ τοΐς πολλοΐς άρέσκοντες θεοί
καί ταΐς είκόσιν έπονομαζόμενοι, ώς έστιν έκ της κατ ’ αυτούς
ιστορίας είδέναι, άνθρωποι γεγόνασιν.

2. Καί τούς μέν δαίμονας είναι τούς έπιβατεύοντας τοΐς όνό-


μασιν πίστις ή έκάστου αύτών ένέργεια. Οί μέν γάρ άποτέμνου-
σι τά αιδοία, οί περί την ' Ρέαν, οί δέ έγκόπτουσιν ή έντέμνουσιν,
οί περί την "Αρτεμιν [καί ή μέν έν Ταύροις φονεύει τούς ξένους],
’ Εώ γάρ τούς ταΐς μαχαίραις καί τοΐς άστραγάλοις αίκιζομένους
αύτούς λέγειν καί δσα είδη δαιμόνων. Ού γάρ θεοΰ κινεΐν έπί τά
παρά φύσιν· δταν ό δοάμων άνδρι πορσΰντ\ κακά, τόν νοΰν εβλαψε
πρώτον, ό δέ θεός τελείως αγαθός ών άΐδίως άγαθοποιός έστιν.

3. Τοϋ τοίνυν άλλους μέν είναι τούς ένεργοϋντας, έφ ’ έτέρων


δέ άνίστασθαι τάς εικόνας, έκεΐνο μέγιστον τεκμήριον, Τρωάς
καί Πάριον ή μέν Νερυλλίνου εικόνας έχει - ό άνήρ τών καθ ’
ημάς - τό δέ Πάριον ’ Αλεξάνδρου καί Πρωτέως· τοΰ ’ Αλε­
ξάνδρου έτι έπί της άγοράς καί ό τάφος καί ή είκών. Οί μέν ούν
άλλοι άνδριάντες τοΰ Νερυλλίνου κόσμημά είσι δημόσιον, εϊπερ
καί τούτοις κοσμείται πόλις, εις δέ αύτών καί χρηματίζειν καί
ίάσθαι νοσοΰντας νομίζεται, καί θυουσί τε δι ’ αύτά καί χρυσω
περιαλείφουσιν καί στεφανοΰσιν τόν ανδριάντα οί Τρωαδεϊς.

4. ' Ο δέ τοϋ ’ Αλεξάνδρου καί ό τοΰ Πρωτέως - τοΰτον δ ’ ούκ


άγνοεΐτε ρίψαντα έαυτόν εις τό πΰρ περί την ’ Ολυμπίαν -, ό μέν
καί αύτός λέγεται χρηματίζειν, τω δέ τοΰ ’ Αλεξάνδρου - Δυσπαρι,
είδος άριστε, γυναιμανές- δημοτελεΐς άγονται θυσίαι καί έορ-
ταί ώς έπηκόω θεω.

5. Πότερον ούν ό Νερυλλΐνος καί ό Πρωτεύς καί ό

192
ATENAGORA

XXVI, 1. Gli esseri che attirano gli uomini verso gli idoli so­
no i demoni di cui ho già detto; essi si accostano ed sangue
delle vittime e lo leccano; ma gli dèi, che piacciono ai mol­
ti20 e che danno il nome alle immagini, sono stati degli uo­
mini, come è possibile apprendere dalle storie che li ri­
guardano21.
2. La prova che siano i demoni ad usurpare il loro no­
me risiede nell’attività di ciascuno di loro. Infatti, i fedeli di
Rea si recidono i genitali, quelli di Artemide si feriscono e
si tagliano; <l’Artemide di Tauride, poi, uccide gli stranie­
ri22^ Tralascio infine di parlare di coloro che si straziano
con pugnali e flagelli d'osso e di enumerare le specie di de­
moni esistenti. Dio, infatti, non spinge a compiere atti con­
tro natura: «Quando il demone prepara mali all'uomo, ne
sconvolge in primo luogo la mente»23; ma Dio, che è perfet­
tamente buono, è eternamente benefico.
3. Coloro, dunque, che operano (nelle statue) sono di­
versi da quelli per cui esse sono innalzate: le città di Troade
e di Paro ne offrono la prova più evidente. La prima possie­
de le statue di Nerillino, un uomo dei nostri tempi; la città
di Pario quelle di Alessandro e Proteo. Nel foro si trovano,
inoltre, la statua e la tomba di Alessandro. Anche le altre
statue di Nerillino servono da ornamento pubblico - am­
messo che con esse si possa abbellire la città24 - ma ve ne
è una che si crede25 dia oracoli e guarisca i malati e per
questo i Troadi le offrono sacrifìci, la ricoprono d’oro e Tor­
nano di corone.
4. Quanto alle statue di Alessandro e Proteo (non igno­
rate certo che egli si è gettato nel fuoco nei pressi di Olimpia),
della seconda si dice che dia oracoli, mentre a quella di
Alessandro - Paride infelice, bellissimo il volto, dissoluto26 -
vengono tributati sacrifìci pubblici e feste come ad un dio
benefico.
5. Sono forse Nerillino, Proteo e Alessandro a compiere

193
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-II1

’ Αλέξανδρός είσιν οί ταϋτα ένεργοΰντες περί τα αγάλματα ή της


ΰλης ή σύστασις; ’ Αλλ’ ή μέν ΰλη χαλκός έστιν, τί δέ χαλκός
δύναται καθ ’ αύτόν, δν μεταποιήσαι πάλιν είς ετερον σχήμα έξε-
στιν, ώς τον ποδονιπτήρα ό παρά τω ' Ηροδότω "Αμασις; ' Ο δέ
Νερυλλΐνος καί ό Πρωτευς καί ό ’ Αλέξανδρος τί πλέον τοΐς νο-
σοΰσιν; " A γάρ ή είκών λέγεται νϋν ένεργεϊν, ένήργει καί ζωντος
καί νοσοϋντος Νερυλλίνου.

XXVII, 1. Τί ούν; Πρώτα μέν αί της ψυχής άλογοι κοά ίνδαλματώδεις


περί τάς δόξας κινήσεις άλλοτ ’ άλλα είδωλα τά μέν άπό την ΰλης
ελκουσι, τα δέ αύταϊς άναπλάττουσιν κοά κυοΰσιν.

Πάσχει δέ τοϋτο ψυχή μάλιστα τοΰ ύλικοΰ προσλαβοΰσα καί


έπισυγκραθεΐσα πνεύματος, ού πρός τα ουράνια καί τον τούτων
ποιητήν άλλα κάτω πρός τα επίγεια βλέπουσα, καθολικώς είπεϊν,
ώς μόνον αιμα καί σάρξ, ούκέτι πνεϋμα καθαρόν γιγνομένη.

2. Αί ούν άλογοι αύται καί ίνδαλματώδεις της ψοχης κίνησ


είδωλομανεϊς άποτίκτουσι φαντασίας· δταν δέ απαλή καί
εύάγωγος ψυχή, άνήκοος μέν καί άπειρος λόγων έρρωμένων,
αθεώρητος δέ τοΰ άληθοΰς, άπερινόητος δέ τοΰ πατρός καί ποιη-
τοΰ τών δλων, έναποσφραγίσηται ψευδείς περί αυτής δόξας, οί
περί την ύλην δαίμονες, λίχνοι περί τάς κνίσας καί το τών ιερείων
αίμα δντες, άπατηλοί δέ ανθρώπων, προσλαβόντες τάς
ψευδοδόξους ταύτας τών πολλών της ψυχής κινήσεις, φαντασίας
αΰτοΐς ώς άπό τών ειδώλων καί αγαλμάτων έπιβατεύοντες αυτών
τοϊς νοήμασιν είσρεϊν παρέχουσιν, καί δσα καθ’ αύτήν, ώς
αθάνατος ουσα, λογικώς κινείται ψυχή ή προμηνύουσα τά
μέλλοντα ή θεραπεύουσα τά ένεστηκότα, τούτων την δόξαν καρ-
ποΰνται οί δαίμονες.

194
ATENAGORA

tali prodigi nelle statue oppure è la costituzione della ma­


teria? Ma la loro materia è il bronzo; che cosa può fare di
per se stesso il bronzo che è possibile trasformare di nuovo
in altra figura, come, secondo il racconto di Erodoto27, fe­
ce Amasi con il bacino per lavarsi i piedi? E Nerellino, Proteo,
Alessandro possono giovare di più ai malati? Le guarigioni
che ora vengono attribuite alla statua, venivano operate an­
che mentre Nerillino era in vita e malato.

XXVII, 1. Che dire dunque? Dapprima i movimenti irrazio­


nali e fantasiosi dell’anima intorno alle apparizioni fanno
nascere ora l’una, ora l’altra immagine, alcune traendole
dalla materia, altre invece plasmandole e concependole da
se stessi28.
È soggetta a questo soprattutto l’anima che ha accolto
e si è congiunta con lo spirito della materia29, l'anima che
non guarda verso le realtà celesti ed il loro creatore, ma in
basso verso le cose terrene; che, per parlare in termini ge­
nerali, è diventata soltanto carne e sangue e non più puro
spirito30.
2. Questi movimenti irrazionali e fantasiosi dell’anim
generano illusioni appassionate degli idoli. Quando un’ani­
ma molle e docile, ignorante ed inesperta di solide dottrine,
impreparata a meditare sulla verità, incapace a compren­
dere il Padre e creatore di tutte le cose, lascia che le venga­
no impresse31 false opinioni su se stessa, i demoni che pre­
siedono alla materia, avidi del grasso e del sangue delle vit­
time, ingannatori degli uomini, si appropriano di questi mo­
ti erronei dell’anima dei molti e colgono il momento opportuno
per introdursi nei loro pensieri, invadendoli di fantasie co­
me se provenissero dagli idoli e dalle statue32. E i movimenti
che l’anima, essendo immortale, produce razionalmente da
sola, sia predicendo l’avvenire, sia prendendosi cura del pre­
sente, di questo colgono vanto i demoni33.

195
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

NOTE

1 Metodio di Olimpo, De res. I, 37, cita un passo della Legatio at­


tribuendola a Atenagora. La notizia di Filippo di Side secondo cui
Atenagora sarebbe stato il predecessore di Clemente Alessandrino nel
didaskaleion di Alessandria è considerata destituita di fondamento.
Cfr. B. Pouderon, Athénagore d'Athènes, Paris 1989, pp. 20-29.
2 Pouderon, cit., pp. 38-62 pensa che la composizione sia da por­
si intorno all’anno 177.
3 B. Pouderon, Supplique au sujet des Chrétiens et sur la résurrec-
tton des morts (SC 379). Introduction, texte et traduction par
B.Pouderon, Paris 1992.
4 Fra gli apologeti, Atenagora è l’unico ad usare questa espressio­
ne; egli stesso appare consapevole della sua audacia e dei fraintendi­
menti dualistici cui avrebbe potuto prestarsi. Pertanto precisa che è
uno spirito creato, che non si appone a Dio, ma alla sua bontà. L'op­
posizione non è ontologica; infatti, questa potenza contraria non è un
principio uguale e necessario come l’odio lo è per l'amicizia nella filo­
sofia empedoclea, o come la notte per il giorno nel senso comune. L'op­
posizione ha origini «storiche»: lo spirito è stato creato al pari degli al­
tri angeli e soltanto a partire da un determinato momento è diventato
contrario a Dio. A prescindere dalle precisazioni di Atenagora, se con­
sideriamo la terminologia che compare anche altrove (XXIV, 2: έναντίον
[τω θεω]; XXIV, 2: τό έναντίον πνεΰμα) si comprende l’atteggiamento
scandalizzato di Celso, che negli stessi anni scriveva il suo Discorso
verace in Orig., C .C el VI, 42*. La tendenza ad interpretare in senso
dualistico il rapporto Dio-diavolo, doveva comunque rimanere anche
in tempi successivi fra quei cristiani scarsamente attrezzati da un pun­
to di vista teologico: Lattanzio in Dia Inst. II, 8-9, definisce Satana an-
titheus; su Lattanzio cfr. introd. pp. 109-111.
5 Wey, cit, p. 43 sottolinea che la materia «in einem positive Zusam-
menhang erscheint», in quanto è oggetto di un compito assegnato da
Dio agli angeli prima della loro caduta, compito che è parte integran­
te del suo ordine provvidenziale. La materia non è malvagia in sé (cfr.
Pouderon, Athénagore. cit., p. 156; cfr. Leg. XV-XV1), e il principe del­
la materia non è tale perché si occupa di essa. Soltanto la materia con­
tiene però gli elementi della tentazione, cui - un tempo - soggiacque­
ro gli angeli cui era affidata e a cui sono esposte in ogni momento le
anime (cfr. infra XXVII).
6 È forse la traduzione in termini comprensibili per un pagano
dell’espressione di II Cor. 4, 4 (il dio di questo mondo) e di Io. 12, 31

196
ATENAGORA

(il principe di questo mondo). Cfr. J. Geffcken, Zw ei griechischen


Apoìogeten, Leipzig-Berlin 1907, p. 215.
7 Sul firmamento come luogo di residenza degli angeli malvagi: A I
VII, 9*.
8 II racconto della caduta angelica è secondo LVVI-XVI (cfr. introd.
pp. 15 sgg.). Per Atenagora possedeva un’autorità pari alle altre
Scritture.
9 II rapporto fra lo spirito della materia e gli altri angeli non è chia­
ro; uniti dal fatto di aver ricevuto da Dio lo stesso compito, in seguito
le loro vicende sembrano scorrere parallele. Il peccato degli angeli è lo
stesso di quello degli angeli vigilanti, ma il peccato dello spirito della ma­
teria ricorda piuttosto quello degli angeli pastori in LS LXXXIX, 60).
Atenagora inoltre non esplicita alcuna gerarchia all'interno delle po­
tenze malvagie. Atenagora, con l’intenzione di offrire un quadro coe­
rente della demonologia cristiana, ha cercato di conciliare il racconto
di Enoch, in cui la caduta riguardava gruppi di angeli, con tradizioni
diverse da cui emergeva una personalità singola, il diavolo o Satana che
occupava una posizione preminente nelle schiere angeliche, prima e
dopo la caduta. Ma non è riuscito a saldare materiali così diversi ed
essi rimangono semplicemente giustapposti.
10 La stessa preoccupazione di distinguere le due tradizioni affio­
ra in Iust., II Ap. 5, 5; Ho. PsClem. Vili, 15; cfr. Geffcken, ctt., p. 216.
11 Esiodo, Theog. 27.
12 Pur nella varietà di soluzioni, vi sono punti in cui vi è concor­
danza fra gli autori cristiani che riprendono le tradizioni enochlche
relative agli angeli vigilanti. Il primo consiste nel tralasciare il fatto
che gli angeli furono puniti e legati nell'abisso, il secondo nel non par­
lare più delle anime dei giganti (con l’unica eccezione però appunto
di Atenagora, cfr. n. seguente). Verso l’identificazione angeli caduti-
demòni vi era una convergenza di elementi. Bisogna dire che i cri­
stiani potevano leggere in LS di angeli che, avendo ricevuto il compi­
to di governare gli uomini, si comportano nei loro confronti come i
peggiori demòni (cfr. introd. pp. 19-20). In secondo luogo, i demòni,
concepiti come le anime del giganti morti, causavano un qualche im­
barazzo ai cristiani, che, contro una credenza popolare largamente
condivisa sia da cristiani che da pagani (cfr. F. Brenk, I veri demoni,
cit., pp. 217-230), sostenevano che i demòni non erano le anime dei
morti (cfr. sopra p. 174).
13 Prima ha parlato di giganti ed ora di anime di giganti; Atenagora
riprende LVXV1, ma un lettore pagano, che non fosse stato al corren­
te - come è presumibile - dello sterminio dei giganti e della soprawi-

197
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

venza delle loro anime sulla terra, sotto forma di demòni, che cosa po­
teva capire del discorso di Atenagora?
14 II frammento euripideo, molto mutilo, è conosciuto soltanto at­
traverso Atenagora.
15 Citazione di autore sconosciuto.
16 Eur., CycL 332-333.
17 È un’allusione agli angeli delle nazioni?
18 Si riferisce alla posizione di Aristotele cui ha fatto un cenno pre­
cedentemente (XXV, 2), ma anche alla filosofia epicurea.
19 La soluzione di Atenagora al problema del male va collocato sul­
lo sfondo della dottrina della doppia provvidenza che, sia pure da-an-
golazione differenti, era dibattuta nelle principali scuole di pensiero
del tempo. Accanto ad una provvidenza generale, cosmica esercitata
dal principio dell'essere (per Atenagora, ή παντελικη καί γηνικη τών δλων
πρόνοια: XXIV, 3) se ne aggiungeva un’altra, esercitata dagli dèi e dai
demoni, di carattere particolare, che si occupava del mondo subluna­
re. Con l’introduzione nel medioplatonismo di tre gradi dell’essere (Dio,
astri, demoni) si arriva a formulare l’idea di una triplice provvidenza
(cfr. A. Magris, L ’idea d el destino nel pensiero antico, 2 voli., Udine
1985, I voi., pp. 636 sgg.; Pouderon, cit., pp. 282-285). Atenagora ri­
prende, non senza qualche ambiguità tali dottrine e distingue una
provvidenza generale esercitata direttamente da Dio sull’ordine co­
smico e sulle specie, dalla provvidenza particolare (ή έπί μέρους πρό­
νοια: XXIV, 3) che insiste sul mondo sublunare. I disordini e e le evi­
denti ingiustizie che regnano in questa parte del cosmo dipendono dal
fatto che essa è anche l’area di: azione del principe della materia e de­
gli angeli caduti.
20 II tema dei «molti» toma con insistenza; fra essi alligna lo for­
ma più im flessa dell’idolatria, poiché non sarebbero in grado di di­
stinguere Dio dalla materia e di comprendere la distanza che li sepa­
ra (XV, 1); sono i più ostili ai cristiani e li chiamano atei, mentre so­
no essi a non conoscere Dio, ignoranti come sono di ogni dottrina na­
turale e divina e misurano la pietà con i sacrifici (XIII, 1); Platone che
avrebbe intuito la verità intorno ai demoni, avrebbe taciuto e consen­
tito a seguire la tradizione per la difficoltà di convincere i molti che ac­
cettano i miti senza discriminazione (XXIII, 2). Sono loro le vittime idea­
li della suggestione demoniaca. La strategia persuasiva di Atenagora
tende a porre la linea di demarcazione non più fra pagani e cristiani,
ma fra i πεπαιδεύμενοι e coloro che non lo sono, presentando le cre­
denziali che hanno i cristiani di appartenere al primo gruppo; come i
primi, questi ultimi hanno una concezione di Dio spirituale e unico,

198
ATENAGORA

si sottraggono alle illusioni dei demòni e sono perseguitati; infatti, co­


me in passato filosofi illustri sono stati uccisi «a causa dell’opinione
dei molti» pur di non venire meno alla virtù (XXX, 1), così anche ora i
cristiani. Il segno distintivo della polemica di Atenagora è di sottoli­
neare con forza la parte recitata dall’ignoranza e dalla rozzezza della
massa nella promozione dei culti tradizionali; con ciò egli, da una par­
te, richiama l’attenzione sul tema della contiguità del demoniaco con
l’incolto che fino a questo punto era rimasto in ombra, dall'altra, cir­
coscrive notevolmente 11 raggio di azione dei demòni (cfr. su questo
punto infra XXVII, 1-2).
21 Diversamente da Giustino, ma sulla linea dell’A d Diogn. e di
Clemente Alessandrino (cfr. introd. pp. 100-103), i demòni non han­
no alcun ruolo nell’invenzione e nella diffusione dei miti relativi agli
dèi considerati semplici uomini cui l’abitudine, la riconoscenza, il ti­
more o semplicemente l’ignoranza hanno attribuito dignità divina (cfr.
Leg. XXVIII-XXX).
22 La frase è considerata un’interpolazione successiva.
23 Autore anonimo.
24 Per dimostrare che le ένέργειαι (XXIII, 2) operate dalle statue
non hanno origine in una presenza divina all’intemo delle statue,
Atenagora fa esempi di culti recenti riguardanti personaggi morti da
poco, sulla cui umanità nessuno poteva nutrire dubbi. Nerillino non
è menzionalo da altri oltre Atenagora. Al culto del profeta Alessandro
e del serpente Glicone, ritenuto un'incarnazione di Asclepio, Luciano
ha dedicato uno scritto satirico. Fonti epigrafiche, numismatiche ed
archeologiche testimoniano la fortuna e la durata di questo culto (cfr.
Fox, cit., tr. it., pp. 256-276). Proteo è il famoso Pellegrino, anch’esso
preso di mira da Luciano, nel suo Sulla morte di Pellegrino.
25 Atenagora sembra prendere le distanze dalla realtà obiettiva di
questi fenomeni; cfr. anche infra, ove ripete due volte «si dice». Cfr.
sotto n. 28.
26 IL Ili, 39.
27 II, 172.
28 Si tratta della teoria stoica della percezione, che può essere
conforme o non conforme alla realtà; cfr. Pouderon, commento al pas­
so, p. 174, η. 1. Una percezione errata è il primo elemento, cui tutti
possono essere soggetti, che concorre all'inganno perpetrato dal demò­
ni ai danni della psiche degli uomini. Per gli altri elementi cfr. sotto
nn. 30; 32.
29 Non è da intendersi in senso metaforico; lo spirito della mate­
ria e i demòni (al pari di quelli dei peccati cfr. sopra Erma) entrano

199
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

nell'anima e vi abitano (cfr. anche in/ra). Su questo aspetto Wey, cit.,


p. 245.
30 Un secondo elemento, anch’esso soggettivo, riguarda soltanto
alcune anime e tocca l’aspetto etico (esse non riescono a dirigersi ver­
so le realtà celesti), ma anche quello intellettuale (sono le anime degli
incolti, dei «molti»: cfr. XXVII, 2).
31 Soltanto su questo tipo di anime le percezioni errate acquista­
no una tale forza ed evidenza da «imprimersi» nell'anima e lasciarvi un
segno come un sigillo nella cera; spiegazione slmile in Clem. Alex.,
Strom. II. 115-116*.
32 II terzo elemento è costituito dall’intervento attivo dei demòni;
sono costoro - per l’interesse personale che ne traggono - a far reagi­
re fra loro le anime cosi atteggiate e la materia inerte delle statue, fa­
cendo loro credere che quanto ha avuto origine dalle prime, proviene
invece daH’estemo.
33 Anche se in Leg. XXIII, 2 Atenagora aveva riconosciuto che nel
nome degli idoli avvengono τίνας ένεργείας, queste, però, non hanno
per lui nessuna realtà oggettiva e sono ricondotte alla natura divina
deU’aniina.

200
IRENEO DI LIONE
(seconda metà del II secolo)

I^sposizione della predicazione apostolica fu scritta da


Ireneo dopo l’Adversus Haereses (redatto intomo agli anni
Ottanta del II secolo) e ne rappresenta la sintesi teologica. In
100 brevi capitoli, essa istruisce Marciano, il destinatario
dell’opera, sugli errori degli gnostici e sulle principali dottrine
della Chiesa. Da un punto di vista demonologico, la peculia­
rità dell ’Epideixis1 consiste nel tentativo di armonizzare in
una presentazione coerente il peccato di Adamo con quello
degli angeli, salvaguardando la bontà di Dio ed il libero ar­
bitrio delle creature.
Possediamo il testo soltanto in una traduzione armena
della fine del VI secolo; la traduzione italiana presentata è
quella di E. Peretto2.

201
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

E s p o s iz io n e d e l l a p r e d i c a z i o n e a p o s t o l ic a
11-12; 16; 18

11. (Dio) ha creato l’uomo con le sue mani3 prendendo dal­


la terra ciò che c’era di più puro e più fino e mescolandovi
in giusta proporzione la sua potenza. Infatti tracciò su que­
sto composto il suo stesso profilo di modo che ciò che sa­
rebbe stato visibile portasse l’impronta divina - perché co­
me immagine di Dio l’uomo fu plasmato e posto sulla terra
- e affinché diventasse essere vivente, gli soffiò sul volto
l’alito vitelle, cosicché, nello spirito e nel fisico, l’uomo fosse
simile a lui4. Fu creato da Dio libero e autonomo per domi­
nare ogni essere della terra. Questo mondo creato, preparato
da Dio prima di plasmare l’uomo, fu dato all’uomo come
suo territorio con tutti i beni che conteneva. In tale territo­
rio erano all’opera, ciascuno secondo i propri compiti, i ser­
vi di quel Dio che aveva creato tutte le cose; in esso domi­
nava il chiliarco-amministratore, che era stato costituito
capo dei servi suoi uguali; i servi erano gli angeli, mentre il
chiliarco-amministratore era un arcangelo5.
12. Fatto l’uomo padrone della terra e di quanto vi si tro­
va, segretamente6 lo fece padrone dei servi che vi erano. Questi
erano nel pieno sviluppo, mentre il padrone, cioè l’uomo, era
piccolo7, perché bambino e doveva crescere per arrivare allo
stato adulto8. Affinché si nutrisse e si sviluppasse con gioia
e letizia, gli fu preparato un posto, migliore di questo mon­
do, privilegiato per l’aria, la bellezza, la luce, il cibo, le pian­
te, i frutti, le acque e per tutte le altre cose necessarie alla vi­
ta. Questo luogo si chiama Giardino. Così bello e riposante
era il Giardino che il verbo di Dio vi si recava abitualmente,
vi passeggiava e si intratteneva con l’uomo prefigurando quel­
lo che sarebbe accaduto in futuro, cioè che sarebbe stato suo
concittadino e avrebbe conversato con lui e dimorato con gli
uomini insegnando loro la giustizia. Ma l’uomo era bambino

202
IRENEO DI LIONE

e il suo senso della discrezione non era ancora sviluppato9.


Così venne facilmente ingannato dal seduttore.

16. L’uomo non osservò questo precetto10 e disobbedì a Dio,


ingannato da quell’angelo, che, geloso dell’uomo e invidio­
so11 dei molti favori accordatigli da Dio, rovinò se stesso e fe­
ce dell’uomo un peccatore inducendolo a trasgredire il pre­
cetto di Dio. L’angelo, divenuto per la sua menzogna capo
e guida del peccato, fu egli stesso colpito per avere offeso
Dio e provocato la cacciata dell’uomo dal Giardino12. E poi­
ché per il suo comportamento si ribellò e si allontanò da
Dio, fu detto in ebraico Satana, cioè ribelle. Ma è anche det­
to calunniatore. Dio dunque maledisse il serpente, che ave­
va impersonato il calunniatore; la maledizione colpì anche
l’animale e l’angelo, cioè Satana, che si era annidato in lui.
Frattanto allontanò dalla sua presenza l’uomo mandando­
lo ad abitare sulla via che conduce al Giardino, poiché il
Giardino non ammette il peccatore.

18. La malvagità, che aveva avuto tutto il tempo per diffon­


dersi, raggiunse ed inondò tutto il genere umano a tal pun­
to che scarsissime tracce di giustizia sopravvissero tra gli
uomini. Perciò sulla terra avvenivano accoppiamenti ille­
gittimi: gli angeli si accoppiavano con la discendenza fem­
minile degli uomini e furono partoriti figli che per la straor­
dinaria taglia furono chiamati Giganti13. Allora questi an­
geli diedero in regalo alle loro donne dottrine perverse: in­
segnarono loro i poteri delle piante e delle erbe, l’arte delle
tinture e dei cosmetici, la scoperta delle sostanze preziose,
i filtri magici, gli odi, gli amori, le passioni, le seduzioni
d’amore, le catene magiche, ogni genere di divinazione e di
idolatria che Dio detesta14. Una volta entrati nel mondo, i
traffici malvagi ingrossarono e strariparono, mentre si as­
sottigliava e diminuiva la giustizia.

203
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

NOTE

1 Secondo il titolo dell’opera riportato da Eusebio, Hist. E ccl V, 26.


2 Ireneo di Lione, Epideixis. Antico catechismo degli adulti. Intro­
duzione, traduzione e commento di E. Perette, Roma 1981.
3 Che sarebbero il simbolo del Figlio e dello Spirito Santo: Adv.
Haer. IV, 34, 1; V, 6, 1.
4 Sulla dialettica immagine-somiglianza: A. Orbe, Antropologia de
San Ireneo, Madrid 1969, pp. 89-148.
5 Cfr. nota a Iust., IIA p . 5, 2*; Orig., C.Cel. Vili, 31*.
6 Nel senso che questo rimase nascosto sia agli angeli, sia allo stes­
so uomo, secondo un movimento di pensiero che è proprio anche del­
lo gnosticismo (Orbe, Antropologia, cit., p. 134).
7 Clem. Alex., Protr. XI, 111, 1-3*.
8 Gli angeli non hanno una natura perfettibile, mentre l’uomo è
destinato ad una doppia perfezione: quella morale che si ottiene con
il dominio delle passioni e quella divina che si raggiunge quando l’uo­
mo diventa «immagine» di Dio (Orbe, Antropologia, cit., p. 135).
9 L.M. Froldevaux (SC 62), Paris 1959, traduce: «il n’avalt pas en-
core un Jugement achevé» (p. 52). L'immaturità di Adamo è tale non
riguardo allo sviluppo fisico ed Intellettuale (infatti, 11Verbo si Intrat­
tiene con lui nel Giardino; inoltre Adamo è In grado di dare 11nome a
tutti gli animali), ma riguardo al fine cui l'uomo deve tendere: «diveni­
re ad Immagine e somiglianza di Dio·.
10 II precetto di Gn. 2, 16 emanato da Dio per evitare che «l’uomo
coltivasse desideri di grandezza e si esaltasse, come se non avesse un
signore, per l’autorità che gli era stata concessa» (c. 15).
11 Tema simile nella Vita d i Adam o ed Èva 12-14: Satana ha fat­
to peccare Adamo per invidia: questi l’ha privato della sua «gloria»;
benché creato dopo gli angeli, deve essere da essi adorato in quanto
creato «ad immagine e somiglianza di Dio»; Satana si ribella e minac­
cia di stabilire la sua dimora al di sopra delle stelle del delo e di di­
ventare slmile aU’Altissimo (Is. 14, 14). La datazione di questo testo
di origine giudaica è posta fra il I secolo a. C. e il I secolo d. C. (cfr.
Rosso, c it , p. 386; 452-453). Un altro scrittore che valorizza molto 11
motivo dell’invidia e della gelosia è Cipriano che vi dedica 11 trattato
omonimo (cfr. soprattutto c. IV: «Fiero della sua gloria di angelo, ama­
to e caro a Dio, quando vide l’uomo fatto ad immagine di Dio. diven­
ne geloso e pieno di mala invidia», e D e pa tien t XIX). Sul tema dell’in­
vidia: E. Sans, La Envidia primigenia del diablo segùn la Patrìstica p ri­
mitiva, Ona 1963.

204
IRENEO DI LIONE

12 In Adv. Haer. Ili, 35, 2 Ireneo accentua di più la differenza fra la


colpevolezza di Adamo e quella di Satana.
13 Non vi è traccia della tradizione enochica relativa alle anime dei
giganti; dal cap. 18 relativo al diluvio, si arguisce che essi sparirono
con tutti gli altri esseri viventi che non trovarono posto nell'arca.
14 Cfr. introd. pp. 15 sgg.

205
GIUSTINO GNOSTICO
(II secolo)

L ’opera da cui è tratto il passo è la Confutazione di tutte le


eresie (Philosophoumena, cit. Refutatio.), scritta nei primi de­
cenni del ΙΠ sec. Essa intende dimostrare che tutte le eresie
(non soltanto quelle gnostiche) sono riconducibili allafilosofia
ed alla cultura greca. Giustino, presentato come l’autore del
Libro di Baruch, non ci è altrimenti conosciuto1. A causa del­
la rilevanza attribuita in quest’opera alla figura genesiaca
del serpente, essa viene ricondotta di solito al gruppo delle
testimonianze sugli Ofiti2. La documentazione disponibile
non offre riguardo a tale gruppo di testi, indicazioni attendibili
a conforto sia della cronologia assoluta, sia di quella relativa.

207
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

H ip p o l y t i R e f u t a t io o m n i u m h a e r e s iu m
V, 26, 1-24; ed. Wendland, pp. 126, 29 - 130, 203

1. Ουτός φησιν· ήσαν τρεις άρχαί τών δλων αγέννητοι, άρρενικαί


δύο, θηλυκή μία. Τών δέ άρρενικών ή μέν τις καλείται αγαθός,
αυτό μόνον ούτως λεγόμενος, προγνωστικός τών δλων, ή δε έτέρα
πατήρ πάντων τών γεννητών, άπρόγνωστος <καί άγνωστος) καί
αόρατος. 'Η δε θήλεια άπρόγνωστος, οργίλη, δίγνωμος, δίσωμος,
κατά πάντα τη κατά τον ' Ηροδότου μϋθον έμφερής, μέχρι
βουβώνος παρθένος, εχιδνα δέ τα κάτω, ώς φησιν ’ Ιουστίνος-
2. καλείται δέ ’ Εδέμ αύτη ή κόρη καί ’ Ισραήλ. Αύται, φησίν, αί
άρχαί τών δλων, ρίζαι καί πηγαί, άφ ’ ών τα οντα έγένετο· άλλο δέ
ήν ούδέν. Ίδών ούν ό πατήρ τήν μιξοπάρθενον έκείνην
άπρόγνωστος ών τήν ’ Εδέμ, ήλθεν εις έπιθυμίαν αυτής- ’ Ελωείμ
δέ, φησίν, καλείται ούτος ό πατήρ- ούδέν <δ’ ) ήττον έπεθύμησε
καί ή ’ Εδέμ τοΰ ’ Ελωείμ, καί συνήγαγεν αύτούς ή έπιθυμία εις
μίαν φιλίας εύνοιαν. 3. Γεννφ δέ άπό τής συνόδου της τοιαύτης
ό πατήρ έκ της ’ Εδέμ έαυτώ αγγέλους δώδεκα. ’ Ονόματα δέ έστι
τών πατρικών αγγέλων τάδε- Μιχαήλ ’ Αμήν Βαρούχ Γαβριήλ
’ Ησαδδαΐος... 4. Καί τών μητρικών αγγέλων, ών έποίησεν ή ’ Εδέμ,
ομοίως ύποτέτακται τα ονόματα- έστι δέ ταΰτα- Βάβελ ’ Αχαμώθ
Νάας Βήλ Βελίας Σατάν Σαήλ ’ Αδωναϊος Καυίθαν Φαραώθ
Καρκαμενώς Λάθεν. 5. Τούτων τών είκοσιτεσσάρων άγγέλων οί
μέν πατρικοί τώ πατρί συναίρονται καί πάντα ποιοΰσι κατά τό
θέλημα αύτοΰ, οί δέ μητρικοί τή μητρί ’ Εδέμ- τούτων δέ τών
άγγέλων όμοΰ πάντων τό πλήθος ό παράδεισος, φησίν, έστι, περί
ού λέγει Μωσής- ’Εφύτευσεν ό θεός παράδεισον έν ’Εδέμ κατά
άνατολάς, τουτέστι κατά πρόσωπον τής ’ Εδέμ, ϊνα βλέπη τον
παράδεισον ή Έδέμ, τουτέστι τούς άγγέλους, διά παντός. 6.
Τούτου τοΰ παραδείσου άλληγορικώς οί άγγελοι κέκληνται ξύ­
λα, καί έστι τό ξύλον τής ζωής ό τρίτος τών πατρικών άγγέλων
Βαρούχ, τό δέ ξύλον τοΰ είδέναι γνώσιν καλοΰ κα'ι πονηρού ό
τρίτος τών μητρικών αγγέλων, ό Νάας. Ούτως γάρ θέλει τα Μωσέως
έρμηνεύειν, λέγων- περιεσταλμένως αύτά είπεν ό Μωύσής δια τό

208
GIUSTINO GNOSTICO

Il u b r o d i B a r u c h

1. Costui (se. Giustino) dice: tre furono i principi ingenerati


di tutte le cose, due maschili, uno femminile. Dei due prin­
cipi maschili, uno è chiamato Bene: soltanto questo è detto
così ed ha la prescienza di tutte le cose; l’altro principio è il
padre di tutte le cose generate, non ha la prescienza, è sco­
nosciuto ed invisibile4. Il principio femminile non ha la pre­
scienza, è iraconda, ha mente e corpo duplici, somigliante
in tutto alla fanciulla descritta da Erodoto5, che era fanciulla
fino all’inguine e serpente sotto6, come dice Giustino. 2. La
fanciulla è chiamata Eden e Israele7. Questi dice sono i prin­
cipi di tutte le cose, le radici e le fonti da cui tutti gli esseri
sono nati: non c’era altro. Il Padre, privo di prescienza, alla
vista di Eden, la fanciulla metà animale, la desiderò. Il Padre
- dice - si chiama Elohim. Anche Eden fu presa dallo stes­
so desiderio di Elohim e il desiderio li condusse all’unione
amorosa. 3. Da questa unione il Padre generò per sé da
Eden dodici angeli. I nomi degli angeli del Padre sono:
Michele, Amen, Baruch, Gabriele, Esadeo.8... 4. Similmente
anche degli angeli della madre, generati da Eden, sono elen­
cati i nomi; essi sono: Babel, Achamoth, Naas, Bel, Belias,
Satan, Sael, Adonai, Kauithan, Pharaoth, Karkamenos,
Lathen. 5. Fra questi ventiquattro angeli, quelli patemi ac­
compagnano il Padre e fanno tutto secondo il suo volere e
quelli materni fanno altrettanto con la madre Eden. L’insie­
me di tutti questi angeli è, secondo loro, il paradiso di cui
parla Mosè: «Dio piantò il paradiso a oriente in Eden» (Gn.
2, 8), cioè di faccia a Eden, affinché Eden potesse guardare
il paradiso, cioè gli angeli, per sempre9. 6. Gli angeli sono
chiamati allegoricamente alberi di questo paradiso, e l’albe­
ro della vita è Baruch, il terzo degli angeli paterni, mentre
l’albero della conoscenza del male e del bene (Gn. 2, 9) è Naas,

209
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

μή πάντας χωρεΐν τήν αλήθειαν. 7. Γενομένου δέ, φησί, τοΰ πα­


ραδείσου έξ εύαρεστήσεως κοινής Έλωείμ καί ’ Εδέμ, οί τοΰ
’ Ελωείμ άγγελοι λαβόντες άπό τής καλλίστης γης, τουτέστιν ούκ
άπό τοϋ θηριώδους μέρους τής ’ Εδεμ άλλά άπό τών ύπέρ βουβώ­
να ανθρωποειδών καί ήμέρων χωρίων τής γης ποιοϋσι τόν άνθρω­
πον. Έκ δέ τών θηριωδών μερών, φησί, γίνονται τά θηρία καί τά
λοιπά ζώα. 8. Τόν άνθρωπον ούν έποίησαν σύμβολον τής
ένότητος αύτών καί εύνοίας καί κατατίθενται τάς έαυτών
δυνάμεις είς αύτόν, ’ Εδεμ μέν τήν ψυχήν, ’ Ελωείμ δε το πνεΰμα.
Καί γίνεται οίονεί σφραγίς τις αΰτη καί φιλίας ύπόμνημα καί σύμ­
βολον αιώνιον τοϋ γάμου τής ’ Εδεμ καί τοϋ ’ Ελωείμ άνθρωπος,
ό ’ Αδάμ. [...]

11. Κτισθέντων δε πάντων, ώς γέγραπται παρά τώ Μωϋσή, ούρα-


νοΰ τε καί γης καί τών έν αύτή, είς τέτταρας άρχάς διηρέθησαν οί
δώδεκα τής μητρός άγγελοι, καί καλείται τούτων έκαστον τε-
ταρτημόριον ποταμός, Φεισών καί Γεών καί Τίγρις καί Εύφράτης,
ώς, φησί, λέγει Μωϋσής- ούτοι έμπεριέρχονται οί δώδεκα άγγελοι
είς τέτταρα μέρη συμπεριπεπλεγμένοι καί διέπουσι τον κόσμον,
σατραπικήν τινα έχοντες κατά τοϋ κόσμου παρά της ’ Εδεμ έξου-
σίαν. 12. Μένουσι δε ούκ άεί έπί τών τόπων τών αύτών, άλλ ’ οίο­
νεί έν χορω κυκλικώ έμπεριέρχονται, άλλάσσοντες τόπον έκ τό­
που καί παραχωροϋντες έν χρόνοις καί διαστήμασι τούς τόπους
τεταγμένως έαυτοΐς. "Οταν δε έπικράτη τών τόπων ό Φεισών, λιμός
στενοχώρια θλίψις έν έκείνω τφ μέρει της γης γίνεται- φειδωλόν
γάρ τό παράταγμα τών άγγέλων τούτων. 13. ' Ομοίως καί έκάστου
μέρους τών τεσσάρων κατά τήν έκάστου δύναμιν καί φύσιν κακοί
καιροί καί νόσων <συ>στάσεις· καί τοΰτο είς άεί κατά τήν
έτηκράτησιν τών τεταρτημόριων ώσπερεί ποταμών ρεΰμα κακίας
κατά θέλησιν τής ’ Εδέμ άδιαλείπτως τον κόσμον περιέρχεται.
14. Γέγονε δέ ή τής κακίας ανάγκη έκ τοιαύτης τινός αιτίας- κα-
τασκευάσας καί δημιουργήσας Έλωείμ έκ κοινής εύαρεστήσεως

210
GIUSTINO GNOSTICO

il terzo degli angeli materni. (Giustino) vuole interpretare co­


sì gli scritti di Mosè, affermando che Mosè ha detto coper­
tamente queste cose perché non tutti possono accogliere la
verità. 7. Il paradiso - egli dice - fu creato dalla comune sod­
disfazione di Elohim e Eden; gli angeli di Elohim, dopo aver
preso una parte della terra migliore, proveniente cioè non
dalle parti ferine di Eden, ma dai luoghi, al di sopra dell’in-
guine, umani e nobili, fanno l’uomo (cfr. Gn. 2, 7)10. Dalle
parti ferine - dice - sono fatte le bestie e gli altri esseri vi­
venti. 8. Eden ed Elohim fecero l’uomo come simbolo della
loro unione e del loro amore, ponendo in lui le loro potenze,
Eden l’anima, Elohim lo spirito. E l’uomo - Adamo - fu come
un sigillo ed un ricordo dell’amore, simbolo eterno delle noz­
ze di Eden e Elohim. [...]

11. Secondo le parole di Mosè, dopo la creazione di tutte le


cose, del cielo, della terra e di tutto quanto si trova in es­
sa, i dodici angeli materni furono divisi in quattro principa­
ti (Gn. 2, 10) e ciascuna di queste quattro parti ebbe il no­
me di un fiume; Phison, Eon, Tigri e Eufrate, come dice
Mosè. Questi dodici angeli, mescolati in quattro parti, per­
corrono e dominano il mondo, avendo avuto da Eden un’au­
torità di luogotenenti sul mondo. 12. Essi non restano sem­
pre negli stessi luoghi, ma girano intomo, quasi in una dan­
za circolare, cambiando i luoghi e lasciando, secondo de­
terminati tempi ed intervalli, i luoghi a loro sottoposti.
Quando è Phison ad avere il comando, in quella parte del­
la terra vi sono fame, angustia, afflizione; infatti questi an­
geli sono predisposti all’avarizia11. 13. Allo stesso modo,
giungono tempi tristi e malattie in ciascuna delle quattro
parti, secondo la potenza e la natura di ciascun (angelo).
Così, perpetuamente, secondo il potere delle quattro parti
in forma di fiumi, una corrente di malvagità, per volontà di
Eden, percorre il mondo senza tregua.

211
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

τον κόσμον, άναβήναι ήθέλησεν εις τά ύψηλά μέρη τοΰ ούρα-


νοΰ καί θεάσασθαι μή τι γέγονε τών κατά την κτίσιν ένδεώς, συμ-
παραλαβών τούς ίδιους αγγέλους μετ ’ αύτοΰ, ήν γάρ ανωφερής,
καταλιπών τήν ’ Εδέμ κάτω· γή γάρ ούσα έπακολουθεϊν άνω τώ
συζύγφ ούκ ήθέλησεν. 15. Έλθών ούν ό Ελωείμ έπί τό πέρας
άνω τοΰ ούρανοΰ καί θεασάμενος φώς κρεϊττον ύπέρ δ αύτός
έδημιοΰργησεν, είπεν 'Ανοίξατε μοι πύλας, ινα είσελθών έξο-
μολογήσωμαι τφ κνρίφ- έδόκουν γάρ εγώ κύριος είναι. 16. Φωνή
αύτω άπό τοΰ φωτός έδόθη λέγουσα- Αυτή ή πύλη τοϋ κυρίου,
δίκαιοι εισέρχονται δι ’ αύτης. Καί άνεώχθη παραχρήμα ή πύλη,
καί είσήλθεν ό πατήρ δίχα τών άγγέλων πρός τόν άγαθόν καί εί-
δεν a οφθαλμός ούκ είδε καί ούς ούκ ηκουσε καί έπί καρδίαν
ανθρώπου ούκ άνέβη. 17. Τότε λέγει αύτω ό άγαθός- Κάθου έκ
δεξιών μου. 'Ο δέ πατήρ λέγει πρός τόν άγαθόν· ’ίίασόν με κύριε
καταστρέψαι τόν κόσμον, δν πεποίηκα· τό πνεΰμα γάρ μου ένδέδε-
ται εις τούς άνθρώπους, καί θέλω αύτό άπολαβεϊν. 18. Τότε λέγει
αύτω ό άγαθός· Ούδέν δύνασαι κακοποιήσαι παρ ’ έμοί γενόμενος·
έκ κοινής γάρ εύαρεστήσεως έποιήσατε τόν κόσμον σύ τε καί ή
’ Εδέμ. ’Εασον ούν τήν ’ Εδέμ έχειν τήν κτίσιν μέχρι βούλεται·
σύ δε μένε παρ ’ έμοί. 19. Τότε γνοΰσα ή ’ Εδέμ δτι καταλέλειπται
ύπό τοΰ Ελωείμ, λυπηθεΐσα παρέστησεν αύτη τούς ίδιους
άγγέλους καί εύπρεπώς έκόσμησεν έαυτήν, εΐ πως εις έπιθυμίαν
έλθών ό ’ Ελωείμ κατέλθη πρός αύτήν. 20. Ώ ς δέ κρατηθείς τφ
άγαθώ ό ’ Ελωμείμ [καί] ούκέτι κατήλθε πρός τήν ’ Εδέμ,
προσέταξεν ή ’ Εδέμ τη Βάβελ, ήτις έστιν 'Αφροδίτη, μοιχείας
καί χωρισμούς γάμων κατασκευάσαι έν άνθρώποις, ΐνα ώς αύτή
κεχώρισται άπό τοΰ ’ Ελωείμ, ούτω καί τό (πνεΰμα) τοΰ ’ Ελωείμ
τό δν έν τοϊς άνθρώποις τοϊς χωρισμοΐς τοϊς τοιούτοις βα-
σανίζηται λυπούμενον καί πάσχη τα αύτά όποια καί ή ’ Εδέμ κα-
ταλελειμμένη. 21. Καί δίδωσιν έξουσίαν ή ’ Εδέμ μεγάλην τώ
τρίτφ άγγέλφ αύτής τώ Νάας, ΐνα πάσαις κολάσεσι κολάζη τό
πνεΰμα τοΰ ’ Ελωείμ τό δν έν τοϊς άνθρώποις, ΐνα διά τοΰ
πνεύματος ή κολαζόμενος ό Ελωείμ ό καταλιπών παρά τάς
συνθήκας τάς γενομένας αύτω τήν σύζυγον ίδών ταΰτα ό πατήρ

212
GIUSTINO GNOSTICO

14. La necessità del male fu causata da questo12: una vol­


ta creato ed ordinato il mondo in seguito alla soddisfazio­
ne di entrambi, Elohim volle risalire verso le parti supe­
riori del cielo per vedere se la creazione non fosse man­
cante in qualche cosa; prese con sè i suoi angeli - egli in­
fatti tendeva a salire verso l’alto - e lasciò Eden in basso; el­
la infatti, essendo terra, non volle seguire il suo sposo in
alto. 15. Arrivato dunque in alto al limite del cielo ed aven­
do visto una luce13 migliore di quella che aveva creato,
Elohim disse: «Apritemi le porte, affinché io entri a lodare
il Signore; infatti pensavo di essere io il Signore» (Ps. 117,
19)14. 16. Dalla luce provenne una voce che diceva: «Questa
è la porta del Signore, attraverso di essa passano i giusti»
(Ps. 117, 20). Subito la porta si aprì e il Padre, senza gli an­
geli, avanzò verso il Bene e vide ciò che occhio non vide, orec­
chio non udì e che non entrò nel cuore di un uomo (I Cor. 2, 9).
17. Allora il Bene gli disse: «Siedi alla mia destra» (Ps. 109, 1).
Il Padre disse al Bene: «Signore, lascia che io distrugga il
mondo che ho fatto, perché il mio spirito è rimasto prigio­
niero negli uomini e lo voglio riprendere». 18. E il Bene gli
disse: «Una volta venuto da me, non puoi fare nulla di ma­
le. Tu ed Eden avete creato il cosmo per comune soddisfa­
zione. Lascia dunque a Eden, finché vuole, il possesso del­
la creazione. Tu rimani con me». 19. Allora Eden, accorta­
si di essere stata abbandonata da Elohim, addolorata, ra­
dunò presso di sé i suoi angeli e si fece bella, sperando che
Elohim, preso dal desiderio, potesse discendere da lei.
20. Ma poiché Elohim, dominato dal Bene, non scese mai
più da Eden, ella ordinò a Babel, che è Afrodite, di provo­
care fra gli uomini adulteri e separazioni affinché, come
Eden era stata separata da Elohim, così anche lo spirito di
Elohim fosse tormentato ed addolorato da tali separazioni e
subisse le stesse sofferenze di Eden che era stata abban­
donata. 21. E Eden concesse un grande potere al suo terzo

213
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

’ Ελωείμ έκπέμπει τόν Βαρούχ, τόν τρίτον άγγελον τών έαυτοϋ,


είς βοήθειαν τώ πνεύματι τώ δντι έν τοΐς άνθρώποις πασιν.
22. ’ Ελθών ούν ό Βαρούχ εστη έν μέσφ τών άγγέλων τής ’ Εδεμ,
τουτέστιν έν μέσω τοΰ παραδείσου - παράδεισος γάρ οί άγγελοι,
ών μέσος εστη - καί παρήγγειλε τώ άνθρώπω άπό παντός ξύλου
τοϋ έν τω παραδείσφ βρώσει φαγεΐν, άπό δε τοΰ (ξύλου τοϋ> γινώ-
σκειν τό καλάν καί τό πονηρόν μη φαγεΐν, δπερ έστίν ό Νάας,
τουτέστι τοΐς μέν άλλοις άγγέλοις πείθεσθαι τοΐς ένδεκα τής
’ Εδέμ· πάθη μέν γάρ έχουσιν οί ενδεκα, παρανομίαν δέ ούκ έχου-
σιν, ό δέ Νάας παρανομίαν έσχε· 23. προσήλθε γάρ τη Ευα έξα-
πατήσας αύτήν καί έμοίχευσεν αύτήν, δπερ έστι παράνομον·
προσήλθε δέ καί τω ’Αδάμ καί έσχεν αύτόν ώς παϊδα, δπερ έστί
καί αύτό παράνομον ένθεν γέγονε μοιχεία καί άρσενοκοιτία.
’Από τότε έπεκράτησε τά κακά τοΐς άνθρώποις καί τά άγαθά έκ
μιας άρχής γενόμενα της τοϋ πατρός- άναβάς γάρ πρός τον άγα-
θόν ό πατήρ οδόν έδειξε τοΐς άναβαίνειν θέλουσιν, 24. άποστάς
δέ τής ’ Εδέμ άρχήν κακών έποίησε τω πνεύματι τοΰ πατρός τω
έν τοΐς άνθρώποις.

214
GIUSTINO GNOSTICO

angelo, Naas, affinché potesse infliggere ogni tormento allo


spirito di Elohim che sta negli uomini15 e affinché fosse pu­
nito, attraverso lo spirito, Elohim che aveva abbandonato
la sposa contro i patti stretti con lei. A tale vista, il Padre
Elohim manda il suo terzo angelo Baruch in soccorso dello
spirito presente in tutti gli uomini. 22. Una volta arrivato,
Baruch si fermò in mezzo agli angeli di Eden, cioè in mezzo
al paradiso (infatti gli angeli erano il paradiso in mezzo eli
quali si fermò) e annunciò all’uomo che poteva mangiare da
ogni albero del paradiso, ma non dall'albero della conoscen­
za del bene e del male (Gn. 2,16), albero che è Naas; cioè di
ubbidire agli altri undici angeli dell’Eden. 23. Infatti essi
hanno le passioni, ma non l’ingiustizia, Naas aveva invece
l’ingiustizia. Infatti si avvicinò a Èva con l’inganno e compì
adulterio con lei e questo è ingiusto; si avvicinò anche ad
Adamo e lo possedette come un fanciullo: e anche questo è
ingiusto. Da ciò nacquero adulterio e pederastia. Da quel
momento gli uomini furono dominati dai mali e dai beni pro­
venienti da un unico principio: il Padre. Infatti, la risalita
del Padre verso il Bene mostrò il cammino agli uomini che vo­
levano innalzarsi, 24. ma l’abbandono di Eden fu il princi­
pio dei mali per lo spirito del Padre presente negli uomini.

NOTE

1 E. Hànchen, Dos Buch Baruch, «Zeitschrift fQr Theologie und


Kirche» 50 (1953), pp. 123-158; M. Simonetti, Note sulLibro diB aruch
dello gnostico Giustino, «Vetera Christianorum» 6 (1969), pp. 71-90;
ulteriori indicazioni bibliografiche in M. Simonetti, Testi gnostici in lin­
gu a greca e latina (Fondazione Lorenzo Valla), Milano 1993, p. 48.
2 Simonetti, Testi, cit., p. 40.
3 L’edizione è: Hippolytus, Refiitatio omnium haeresium, hrsg. von
P. Wendland (GCS 26, 3), Leipzig 1913.
4 Questa mancanza di perfezione è la causa di quanto succede in
seguito.

215
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

5 Secondo l’impostazione generale dell’opera, Ippolito presenta


Eden come una deformazione di una figura descritta da Erodoto in
una favola (IV, 8-10). Lo stesso motivo è alla base dell'identificazione fra
l’angelo Bebel e Afrodite (cfr. infra).
6 Nella scala degli esseri, Eden è ancora inferiore al Padre; oltre a
non avere come lui la prescienza, è duplice, una mescolanza di ele­
menti spirituali e materiali. L’aggettivo «iraconda» non intende la sog­
gezione alle passioni, come caratteristica peculiare di Eden (infatti an­
che il Padre ne è soggetto); serve semplicemente ad anticipare un mo­
tivo che rivestirà un ruolo importante nella spiegazione dei comporta­
menti successivi di Eden (R. van der Broek, The Shape o fE d e n accor-
ding toJustin thè Gnostic, «Vigiliae Christianae» 27 (1973), pp. 35-45.
7 Eden, perché la fanciulla simboleggia la terra che ospita il para­
diso; Israele, perché secondo una simbologia veterotestamentaria Israele
è la donna amata da Dio, cioè, in un’ottica gnostica da Elohim, dal dio
inferiore dell’AT.
8 II testo è mutilo e la lista incompleta.
9 In questa fase gli angeli patemi e materni sono riuniti in un uni­
co luogo. Questo significa che quelli di Eden non sono intrinsecamente
malvagi; fra i loro nomi, tuttavia, compaiono alcune denominazioni
(Naas = serpente; Belias, Satan, Pharaoth = Faraone) che la tradizione
cristiana coeva attribuiva al diavolo o a personaggi ritenuti simboli di
quello; tale denominazioni anticipano gli sviluppi successivi della vi­
cenda in cui gli angeli di Eden acquistano una valenza completamen­
te negativa.
10 II modo con cui viene descritta la creazione dell’uomo presuppone
una interpretazione allegorica di Gn. 2, 4b-7; Eden è considerata du­
plice; donna - serpente, ma anche terra fertile - terra arida, secondo
quanto suggerisce il passo genesiaco che distingue un primo momen­
to in cui la terra è arida, da un secondo in cui essa è fertile e coltiva­
bile. In Gn. 2, 4 sgg., Dio plasmò l’uomo a partire dalla terra arida,
non così per Giustino secondo cui sono gli angeli a plasmare il corpo
partendo dalla terra migliore. Anche da questo punto di vista si può
cogliere la peculiarità della posizione di Giustino che presenta anche
l’elemento materiale dell’uomo sotto una luce positiva.
11 II collegamento dell’avarizia con Phison è forse suggerito dal fat­
to che in Gn. 2,11 Phison è il fiume che circonda la terra di Evila, ter­
ra ricca d’oro e di altri materiali preziosi. I dodici angeli che si divido­
no quattro zone suggeriscono uno sfondo astrologico (i dodici segni
dello zodiaco divisi in quattro quadranti) (cfr. Simonetti, Testi, cit., p.
420, n. 88).

216
GIUSTINO GNOSTICO

12 La necessità non scaturisce direttamente dal modo con cui è


stato creato il mondo e l’uomo, cioè dalla discesa di Elohlm, ma dal
suo comportamento successivo e dalla ribellione di Eden all’abbando­
no. La presenza del male nel mondo è frutto della vendetta angelica
sullo spirito di Elohim che è rimasto sulla terra.
13 Sul tema della luce, cfr. G. Filoramo, Luce e gnosL Saggio sull'il-
luminazione nello gnosticismo, Roma 1980.
14 Le parole pronunciate da Elohim sono quelle tipiche (il cosid­
detto «vanto del Demiurgo») che numerosi testi gnostici attribuiscono
al Demiurgo (cfr. A. Orbe, El pecado de los Arcontes, «Estudios Ecle-
siasticos» 43 (1968), pp. 355 sgg.). Per altri versi, l’Elohim di Giustino
si distingue nettamente da esso: è Elohim infatti a immettere nell'uo­
mo lo spirito (cfr. infra Iren., Adv. Haer. I, 5, 4*) .
15 Nel Libro di Baruch manca la dottrina gnostica delle diverse na­
ture di uomini.

217
ISIDORO
(seconda metà del II secolo)

Nella prosopografia gnostica tramandataci dai testi eresio-


logici, Isidoro, figlio di Basilide, attivo nella seconda metà del
Π secolo, avrebbe scrìtto, oltre al trattato SuH’anima avventìzia,
anche Ethica e Interpretazione del profeta di Parchor1.
Clemente sostiene che Isidoro avrebbe condiviso le idee del pa­
dre a proposito delle appendici; esse sono le passioni, cioè
gli spiriti malvagi che, a causa di un disordine iniziale del
mondo, si attaccano all’anima razionale e la trascinano al
male. La presentazione che Clemente fa della posizione di
Basilide (Strom. II, 112) suggerisce che la forza delle ap­
pendici sia tale da impedire la scelta verso il bene da parte
dell’anima razionale. Tuttavia il frammento di Isidoro, rite­
nuto da Clemente in sintonia con Basilide, sembra esclude­
re tale interpretazione2.

219
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

Clem ejvtts A l e x a n d r in i S t r o m a t e is
II, 113, 3- 114, 2; ed. Stàhlin, p. 174, 21-303

113, 3. Αυτός γοϋν ό τοϋ Βασιλείδου υιός ’ Ισίδωρος έν τω Περί


προσφυούς ψυχής συναισθόμενος τοϋ δόγματος οίον έαυτοΰ
κατήγορων γράφει κατά λέξιν· « Έάν γάρ τινι, πείσμα δώς, δτι μή
έστιν ή ψυχή μονομερής, τη δέ τών προσαρτημάτων βία τα τών
χειρόνων γίνεται πάθη, πρόφασιν ού τήν τυχοϋσαν εξουσιν οί
μοχθηροί τών ανθρώπων λεγειν Έβιάσθην, άπηνέχθην, ακων
έδρασα, μή βουλόμενος ένήργησα, της τών κακών έπιθυμίας αυτοί
ήγησάμενοι καί ού μαχεσάμενοι ταΐς τών προσαρτημάτων βίαις.
114, 1. Δει δέ, τφ λογιστικφ κρείττονας γενομένους, τής έλάττονος
έν ήμΐν κτίσεως φανήναι κρατούντας. 2. Δύο γάρ δή ψυχάς
ύποτίθεται καί ούτος έν ήμΐν, καθάπερ οί Πυφαγόρειοι, περί ών
ύστερον έπισκεψόμεθα.

220
ISIDORO

Is id o ro , L'anim a a v v e n t ìz ia

113, 3. Lo stesso Isidoro, figlio di Basilide, nel trattato


SuU’anima avventizia, condividendo la sua dottrina quasi
accusa se stesso quando scrive testualmente: 4. «Se per­
suadi qualcuno che l'anima non è semplice e che i deside­
ri delle cose cattive nascono con la forza delle appendici, gli
uomini malvagi avranno una scusa valida per dire: “Sono
stato costretto, sono stato trascinato, ho agito mio malgra­
do, ho operato senza volere”, mentre sono essi stessi a da­
re l’avvìo ai desideri malvagi ed a non ostacolare la forza
delle appendici. 114, 1. È necessario invece diventare mi­
gliori con l’esercizio della ragione e mostrarsi dominatori
della creazione inferiore che è in noi». 2. Anche Isidoro, in­
fatti, ipotizza che vi siano in noi due anime, come i Pitagorici,
di cui tratteremo più avanti.

NOTE

1 Clem. Alex., Strom. VI, 53.


2 Per la confutazione di Clemente: Strom. II, 111, 3-4*; II, 115, 3-
117, 3*. Cfr. introd. pp. 99-101.
3 Clemens Alexandrinus, Stromateis. B. II: I-Vl, hrsg. v. O. Stàhlin
(GCS 15), Leipzig 1906.

221
VALENTINO
(seconda metà del II secolo)

Il frammento di Valentino presenta un aspetto importante


dell'antropologia gnostica ed illustra bene come Videa tradi­
zionale dell'inabitazione dei demòni nell’anima potesse es­
sere interpretata in senso contrario al libero arbitrio1. Secondo
Valentino, l’anima, abitata dagli spiriti malvagi, può diven­
tare pura soltanto attraverso un atto gratuito da parte di Dio
che le si rivela attraverso il Figlio e la illumina.

223
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

C l e m e n t is A l e x a n d r i n i S t r o m a t e is

II, 114, 3-6; ed. Stàhlin, pp. 174, 30 - 175, 14

3. ’Αλλά καί ΟύαλεντΤνος πρός τινας έπιστέλλων αϋταΐς λεξεσι


γράφει περί τών προσαρτημάτων· Είς δέ έστιν άγαϋός, ού παρρη­
σία ή διά τοϋ υίοϋ φανέρωσις, καί δι ’ αύτοϋ μόνου δύναιτο άν
ή καρδία καθαρά γενέσθαι, παντός πονηροϋ πνεύματος
έξωθουμένου της καρδίας. 4. Πολλά γάρ ένοικοϋντα αυτή πνεύ­
ματα ούκ έα καθαρεύειν, έκαστον δέ αύτών τα ΐδια έκτελεΐ έργα
πολλαχώς ένυβριζόντων έπιθυμίαις ού προσηκούσαις. 5. Καί
μοι δοκεΐ δμοιόν τι πάσχειν τώ πανδοχεία» ή καρδία· καί γάρ έκεΐ-
νο κατατιτρδταί τε καί ορύττεται καί πολλάκις κόπρου πίμπλα-
ται ανθρώπων ασελγώς έμμενόντων καί μηδεμίαν πρόνοιαν
ποιουμένων τοΰ χωρίου, καθάπερ άλλοτρίου καθεστώτος. 6. Τον
τρόπον τοΰτον καί ή καρδία, μέχρι μή προνοίας τυγχάνει,
ακάθαρτος [ούσα], πολλών ούσα δαιμόνων οίκητήριον έπειδάν
δέ έπισκέψηται αύτήν ό μόνος άγαϋός παττ\ρ, ήγίασται καί φωτί
διαλάμπει, καί οΰτω μακαρίζεται ό έχων τήν τοιαύτην καρδίαν,
δτι οψεται τόν ϋεόν.

224
VALENTINO

V a l e n t in o

3. Anche Valentino, in una sua lettera, scrive testualmen­


te sulle appendici: « Uno solo è buono (Mt. 19, 17) la cui li­
bertà è la rivelazione per mezzo del Figlio e soltanto attra­
verso di lui il cuore può purificarsi, quando tutti gli spiriti
maligni sono stati scacciati dal cuore. 4. In esso, infatti,
abitano molti spinti (cfr. Mt. 12, 45) che non gli permettono
di essere puro; ciascuno di essi vi compie le opere che gli
sono proprie e spesso lo oltraggia con desideri sconvenien­
ti. 5. A me pare che il cuore subisca qualcosa di simile a
quanto avviene in un albergo; viene demolito, sforacchiato,
spesso riempito di sterco da uomini che vi albergano sen­
za rispetto e senza preoccuparsi del posto, perché è la casa
di altri. 6. Così avviene al cuore che, finché non è oggetto
di cura, rimane impuro, essendo l’abitazione di molti de­
moni; ma quando il Padre, che è l’unico buono, gli si rivolge,
viene santificato e risplende di luce: così colui che ha tale
cuore è reso beato, perché vedrà Dio (cfr. Mt. 5, 8)».

NOTE

1 Oltre agli studi segnalati nell’lntrod., pp. 75-80, essenziali su


Valentino e la sua scuola sono gli studi di A. Orbe, En los albores de la
exegésis iohannea, Roma 1955: Los primeros herejes ante la persecu-
ción, Roma 1956; Hacia la p rim era teologia de la procesión del Verbo,
Roma 1958; La unción del Verbo, Roma 1961; La teologia del Espiritii
santo, Roma 1966; le ricerche di M. Simonetti di recente raccolte nel vo­
lume Ortodossia e eresia (già cit.); ulteriori indicazioni nella bibliogra­
fìa generale Inclusa nella Postfazione, a cura di R. Farina, in H. Jonas,
Lo Gnosticismo, tr. it. Torino, 1991, pp. 406-410.

225
LA SCUOLA VALENTINIANA
(II secolo)

L’Adversus Haereses di Ireneo, vescovo di Lione, fu compo­


sto negli ultimi due decenni del II secolo. R primo libro è de­
dicato all’esposizione dettagliata della gnosi valentiniana.
Ne descrive la struttura mitica e l’esegesi dei passi scritturi-
stici su cui gli eterodossi sifondavano. L’opera, scritta in gre­
co, ci è pervenuta integralmente soltanto in una traduzione
latina molto letterale; ne possediamo anche alcune parti nel­
la lingua originale, grazie al Panarion di Epifanio, che ne ci­
ta ampi brani, tra cui anche il passo che riportiamo.

227
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

I r e n a e i L u g d u n e n s is A d v e r s u s H a e r e s e s

I, 5, 1-4; ed. Rousseau-Doutrelau, pp. 76-861

1. Τριών ούν ήδη τούτων υποκειμένων κατ’ αυτούς, τοΰ μέν έκ


τοΰ πάθους, δ ήν ΰλη· τοΰ δέ έκ της έπιστροφής, δ ήν τό ψυχικόν-
τοΰ δέ δ άπεκύησε, τουτέστι τό πνευματικόν, οΰτως έτράπη έπί
την μόρφωσιν αύτών. ’Αλλά τό μέν πνευματικόν μή δεδυνησθαι
αύτη αύτήν μορφώσαι, έπειδή όμοούσιον ύπήρχεν αύτη· τε-
τράφθαι δέ έπί την μόρφωσιν της γενομένης έκ της έπιστροφης
αυτής ψυχικής ουσίας, προβαλεΐν τε τα παρά τοΰ Σωτήρος
μαθήματα. Καί πρώτον μεμορφωκέναι αύτήν έκ τής ψυχικής
ουσίας λέγουσι τον πατέρα καί βασιλέα πάντων τών τε όμοου-
σίων αύτώ, τουτέστι τών ψυχικών, α δή δεξιά καλοΰσι, καί τών
έκ τοΰ πάθους καί της ΰλης, α δή αριστερά καλοΰσι- πάντα γάρ
τα κατ ’ αύτόν φάσκουσι <αύτόν> μεμορφωκέναι, λεληθότως κι-
νούμενον ύπό της Μητρός- δθεν καί Μητροπάτορα καί ’ Απάτο-
ρα καί Δημιουργόν αύτόν καί Πατέρα καλοΰσι- τών μέν δεξιών
πατέρα λεγοντες αύτόν, τουτέστι τών ψυχικών τών δέ αριστερών,
τουτέστι τών ύλικών, δημιουργόν, συμπάντων δέ βασιλέα. Την
γάρ Ένθύμησιν ταύτην βουληθεϊσαν είς τιμήν τών Αιώνων τα
πάντα ποιήσαι, εικόνας λέγουσι πεποιηκέναι αύτών, μάλλον δέ
τόν Σωτήρα δι ’ αύτής- καί αύτήν μέν έν είκόνι τοΰ αοράτου
Πατρός τετηρηκέναι μή γινωσκομένην ύπό τοΰ Δημιουργού- τοΰ-
τον δέ τοΰ μονογενοΰς υίοΰ, τών δέ λοιπών Αιώνων τούς ύπό τού­
του γεγονότας αρχαγγέλους τε καί αγγέλους.

2. Πατέρα ούν καί θεόν λέγουσιν αύτόν γεγονέναι τών έια


τοΰ Πληρώματος, ποιητήν δντα πάντων ψυχικών τε καί ύλικών-
διακρίναντα γάρ τάς δύο ούσίας συγκεχυμένας καί έξ άσωμάτων
σωματοποιήσαντα, δεδημιουργηκέναι τά τε ούράνια καί τα γήινα,
καί γεγονέναι ύλικών καί ψυχικών, δεξιών καί αριστερών δη-

228
LA SCUOLA VALENTINIANA

I V a l e n t in ia n i , in Ir e n e o , C o ntro gu erettc;

1. Secondo loro2, esistevano dunque tre sostanze: una de­


rivata dalla passione, cioè la materia; un’altra dalla con­
versione, cioè la sostanza psichica, la terza è quella gene­
rata (da Achamoth), cioè la sostanza spirituale3. Essa per­
tanto si applicò a dar loro forma. Non riuscì, però, a for­
mare l’elemento spirituale perché tale elemento era a lei
consustanziale4. Si rivolse pertanto alla formazione della
sostanza psichica che era derivata dalla sua conversione e
mise in opera gli insegnamenti ricevuti dal Salvatore. Essi
dicono che Achamoth, in primo luogo, formò dalla sostan­
za psichica il padre e re di tutti gli esseri che sono della sua
stessa sostanza, sia di quelli psichici, che chiamano «di de­
stra», sia di quelli che derivano dalla passione e dalla materia
e che chiamano «di sinistra». Affermano, infatti, che egli ha
formato tutti gli esseri che vengono dopo di lui spinto a sua
insaputa dalla Madre. Per questo lo chiamano Madre-Padre
e Senza-Padre5, Demiurgo e Padre, affermando che è Padre
degli esseri di destra, cioè degli psichici; Demiurgo degli es­
seri di sinistra, cioè degli ilici; Re, infine, sia degli uni, sia de­
gli altri. Dicono che questa Intenzione6, desiderando fare
tutto in onore degli Eoni, lo fece ad immagine di costoro o
piuttosto lo fece il Salvatore attraverso di lei. Essa conser­
va l’immagine del Padre invisibile, immagine sconosciuta al
Demiurgo, costui conserva l’immagine del Figlio Unigenito
e gli Angeli e gli Arcangeli nati da lui conservano l’immagi­
ne degli altri Eoni.
2. Affermano dunque che (il Demiurgo) divenne padre
Dio di tutti gli esseri esterni al Pleroma, in quanto artefice
di tutti gli esseri psichici ed ilici. Dopo aver separato le due
sostanze che erano confuse, rendendole corporee da incor­
poree che erano, creò gli esseri celesti e quelli terreni e di-

229
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

μιουργόν, κούφων καί βαρέων, ανωφερών καί κατωφερών έπτά


γάρ ουρανούς κατεσκευακέναι, ών έπάνω τόν Δημιουργόν είναι
λέγουσι. Καί διά τοϋτο Εβδομάδα καλοΰσιν αύτόν, τήν δέ
Μητέρα τήν ’ Αχαμώθ ’ Ογδοάδα, άποσώζουσαν τόν αριθμόν τής
άρχεγόνου καί πρώτης τοϋ Πληρώματος ’ Ογδοάδος. Τούς δέ έπτά
ούρανούς ούκ είναι νοητούς φασιν αγγέλους δέ αύτούς
ύποτίθενται, καί τόν Δημιουργόν δέ καί αύτόν άγγελον θεώ έοικό-
τα· ώς καί τόν παράδεισον, ύπέρ τρίτον ούρανόν δντα, τέταρτον
άγγελον λέγουσι δυνάμει ύπάρχειν, καί άπό τούτου τι είληφέναι
τόν ’ Αδάμδιατετριφόταέναύτώ.

3. Ταΰτα δέ τόν Δημιουργόν φάσκουσιν άφ’ έαυτοΰ μέν


ώήσθαι κατασκευάζειν, πεποιηκέναι δ ’ αύτά τής ’ Αχαμώθ
προβαλλούσης· ούρανόν πεποιηκέναι μή είδότα τόν ούρανόν·
καί άνθρωπον πεπλακέναι, μή είδότα τόν άνθρωπον γην τε δε-
δειχέναι, μή έπιστάμενον τήν γην· καί έτη πάντων ούτως λέγου-
σιν ήγνοηκέναι αύτών τάς ιδέας ών έποίει, καί αύτήν τήν Μητέρα·
αύτόν δέ μόνον φήσθαι πάντα είναι. Αιτίαν δ’ αύτω γεγονέναι
τήν Μητέρα της ποιήσεως ταύτης φάσκουσιν, τήν οϋτω βουλη-
θεΐσαν προαγαγεϊν αύτόν, κεφαλήν μέν καί άρχήν τής ιδίας
ούσίας, κύριον δέ της όλης πραγματείας. Ταύτην δέ τήν Μητέρα
καί ’ Ογδοάδα καλοΰσι καί Σοφίαν καί Γην καί ' Ιερουσαλήμ καί
άγιον Πνεΰμα καί Κύριον άρσενικώς. Έχειν δε τόν τής Μεσότητος
τόπον αύτήν, καί είναι ύπεράνω μέν τοΰ Δημιουργού, ύποκάτω
δέ ή έξω τοΰ Πληρώματος μέχρι συντελείας.
4. ’ Επεί ούν τήν ύλικήν ούσίαν έκ τριών παθών συστήναι
λέγουσι, φόβου τε καί λύπης καί απορίας, έκ μέν τοΰ φόβου καί
τής έπιστροφής τά ψυχικά τήν σύστασιν είληφέναι· έκ μέν της
έπιστροφής τόν Δημιουργόν βούλονται τήν γένεσιν έσχηκέναι,
έκ δέ τοΰ φόβου τήν λοιπην πάσαν ψυχικήν ύπόστασιν, ώς ψυχάς
αλόγων ζώων καί θηρίων καί άνθρώπων. Διά τοϋτο άτονώτερον
αύτόν ύπάρχοντα πρός τό γινώσκειν τινά πνευματικά, αύτόν νε-
νομικέναι μόνον είναι θεόν, καί διά τών προφητών είρηκέναι·

230
LA SCUOLA VALENTINIANA

venne demiurgo degli ilici e degli psichici, degli esseri di de­


stra e di sinistra, di quelli leggeri e di quelli pesanti, di quel­
li che si sollevano verso l’alto e di quelli che si dirigono ver­
so il basso. Egli creò sette cieli sopra i quali dicono ci sia il
Demiurgo. Per questo lo chiamano Ebdomade, mentre chia­
mano Ogdoade la Madre Achamoth che mantiene il nume­
ro della Ogdoade primigenia ed iniziale, cioè del Pleroma.
Dicono poi che i sette cieli siano intellegibili e suppongono
che siano angeli; il Demiurgo stesso è un angelo, ma simi­
le a Dio; anche il paradiso, che si trova sopra il terzo cielo,
è, per potenza, il quarto angelo e Adamo ha ricevuto qual­
che cosa da lui, quando viveva nel paradiso.
3. Secondo loro, il Demiurgo riteneva che tutto era sta­
to creato da lui, ma in realtà creava spinto da Achamoth7:
(il Demiurgo) ha forgiato il cielo senza conoscere il cielo, ha
plasmato l’uomo senza conoscere l’uomo, fece apparire la
terra, non sapendo nulla della terra; faceva tutto senza co­
noscere le forme ideali delle cose che faceva. Ignorava la
sua stessa Madre, credendo di essere lui solo tutto. Dicono
che la Madre fu causa per lui di tale creazione e che fu lei a
volerlo mettere innanzi come capo e inizio della sua sostanza
e signore dell’intera opera. Chiamano costei Madre, Ogdoade,
Sofìa, Terra, Gerusalemme e Spirito santo e, al maschile,
Signore8. Ella occupa il luogo della Regione intermedia e
sta al di sopra del Demiurgo, ma al di sotto o fuori del
Pleroma almeno fino alla fine.
4. Essi dicono che mentre la sostanza materiale si è for­
mata da tre passioni - timore, dolore e disagio -, gli esseri
psichici si sono costituiti dal timore e dalla conversione; so­
stengono che il Demiurgo ha avuto origine dalla conversio­
ne, mentre la restante sostanza psichica, cioè le anime de­
gli animali senza ragione, delle fiere e degli uomini, ha avu­
to origine dal timore. Per questo il Demiurgo, che era trop­
po debole per conoscere le realtà spirituali, credeva di esse-

231
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

εγώ θεός, πλη v έμοϋ ούδείς. Έκ δε της λύπης τα πνευματικά της


πονηριάς διδάσκουσι γεγονέναι- δθεν τον διάβολον την γένεσιν
έσχηκέναι, δν καί κοσμοκράτορα καλοΰσι, και τά δαιμόνια καί
τούς αγγέλους καί πάσαν τήν πνευματικην της πονηριάς
ύπόστασιν. ’Αλλά τον μέν Δημιουργόν υιόν ψυχικόν της Μητρός
αύτων λέγουσι, τον δέ κοσμοκράτορα κτίσμα τοΰ Δημιουργοΰ-
καί τον μέν κοσμοκράτορα γινώσκειν τα ύπέρ αύτόν, δτι πνεΰμά
έστι της πονηριάς- τον δέ Δημιουργόν άγνοεΤν, άτε ψυχικόν
υπάρχοντα. Οίκεϊν δέ την Μητέρα αύτών εις τόν ύπερουράνιον
τόπον, τουτέστιν έν τη Μεσότητι- τόν Δημιουργόν δέ είς τόν
έπουράνιον, τουτέστιν έν τη ' Εβδομάδν τόν δέ κοσμοκράτορα έν
τω καθ ’ ήμδς κόσμω. Έκ δέ της έκπλήξεως και της αμηχανίας, ώς
εκ τοΰ άσημοτέρου, τα σωματικά, καθώς προείπαμεν, τοΰ κόσμου
στοιχεία γεγονέναι- γην μέν κατά της έκπλήξεως στάσιν, ΰδωρ δέ
κατά την τοΰ φόβου κίνησιν, αέρα τε κατά την λύπης πηξιν τό
δέ πΰρ άπασιν αύτοΐς έκπεφυκέναι θάνατον καί φθοράν, ώς κα'ι
την άγνοιαν τοίς τρισί πάθεσιν έγκεκρύφθαι διδάσκουσι.
LA SCUOLA VALENTINIANA

re lui l’unico Dio e ha detto, attraverso i Profeti, «Io sono Dio


e nessun altro all’infuori di me» (Is. 45, 5; 46, 9)9. Gli ele­
menti spirituali della malvagità derivano dal dolore; da esso
ha avuto origine anche il diavolo, che chiamano Kosmokrator,
i demòni e tutta la sostanza spirituale della malvagità.
Affermano che il Demiurgo è figlio psichico della loro Madre,
mentre il Kosmokrator è una creatura del Demiurgo. Dato
che il Kosmokrator è spirito di malvagità, può comprendere
le cose a lui superiori, mentre il Demiurgo le ignora poiché
è psichico10. La loro Madre abita nel luogo iperuranio, cioè
nella Regione intermedia; il Demiurgo nell’Ebdomade, il
Kosmokrator nel nostro mondo. Come abbiamo già detto,
dallo spavento e dall’impotenza, come dagli elementi più oscu­
ri, hanno tratto origine gli elementi corporei del mondo: la
terra è secondo la fissità dello spavento; l’acqua secondo il
tremito del timore; l’aria secondo l’immobilità del dolore; in
tutti questi elementi il fuoco produce morte e corrruzione,
come nelle tre passioni è nascosta l’ignoranza.

NOTE

1 Irénée de Lyon, Cantre les hérésles (SC 264). Llvre I. Tome II: tex­
te et traduction. Édltion critique par A. Rousseau et L. Doutrelau, Paris
1979.
2 Cioè i Valentiniani.
3 Ireneo ha appena descritto sia la struttura del mondo divino
(comprendente il primo Principio perfetto ed i trenta eoni da esso ema­
nati in coppia), sia la crisi prodottasi a causa dell'ultimo eone, Sofia, che
viene presa dalla passione di conoscere il Padre inconoscibile. Essa
fallisce, ma dal suo atto scaturisce una sostanza amorfa di fronte al­
la quale Sofia è presa dal timore, dal dolore e dallo stupore. La mate­
ria è il risultato del consolidamento di tali passioni. Sofia, dopo una
vicenda complessa, viene reintegrata nel pleroma, ma restano fuori da
esso sia la materia, sia Sofia Achamoth, l’intenzione di Sofia, cioè la
passione che la Sofia superiore aveva subito quando voleva risalire

233
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

verso il Padre. La Sofia Achamoth, amorfa e in preda alle passioni, vie­


ne formata una prima volta dal Cristo, che dopo l’abbandona per ri­
tornare nel pleroma, non senza lasciarle un «aroma di immortalità» (I,
4, 1), il desiderio, cioè, di ritornare verso la luce del pleroma. Da que­
sta conversione della Sofìa inferiore ha origine l’anima del mondo ed
il Demiurgo, mentre dalle sue passioni, secondo una vicenda che ri­
prende quella della Sofìa superiore, ha origine la materia. Achamoth
riesce a liberarsi delle sue passioni grazie ad un secondo intervento di
Cristo; essa può ora generare dagli angeli che hanno accompagnato il
Salvatore nella seconda discesa «frutti spirituali».
4 La sostanza spirituale emessa da Achamoth ha il suo stesso gra­
do di imperfezione, cioè ha ancora bisogno della formazione secondo
la sostanza e secondo la gnosi (cfr. Simonetti, Testi, ctt., p. 488, n. 7).
5 Madre-Padre perché genera da solo; Senza-Padre perché forma­
to da Sofia senza il compagno di coppia.
6 Cioè Sofìa Achamoth (cfr. sopra n. 3).
7 L'ignoranza del Demiurgo su quanto riguarda Achamoth che gli
è superiore è analoga all'ignoranza di costei su ciò che riguarda il
Salvatore (cfr. sopra 5, 1).
8 I nomi di Achamoth ricapitolano la sua vicenda e le funzioni che
essa ricopre nella creazione (cfr. Orbe, La teologia, cit., pp. 476 sgg.).
9 Cfr. sopra p. 217, n. 14 e A I X, 13*.
10 L’affermazione costituisce un problema perché, per quanto i
demòni rappresentino la sostanza spirituale della materia, cioè per co­
sì dire il suo stato più puro, essi provengono pur sempre da essa che,
nella scala ontologica valentiniana, è comunque inferiore a quella psi­
chica. Essi erano spinti a sostenere questo da alcuni testi evangelici
che attribuiscono ai demòni ed al diavolo la conoscenza di realtà su­
periori (es. l’identità messianica di Gesù; cfr. su questo punto anche la
posizione di Orig. Ho. Le. VI, sotto p. 450, n. 33).

234
TEODOTO
(II secolo)

I seguaci di Valentino si dividevano in due scuole: quella ita­


liana, di cui gli esponenti a noi più noti sono Eracleone e
Tolomeo, e quella orientale, di cui Teodoto ^ secondo Clemente
che è anche l'unico a informarci su questo personaggio, sa­
rebbe stato un esponente. I frammenti che presentiamo so­
no tratti da uno scritto di Clemente Alessandrino, dal titolo:
Estratti dalle opere di Teodoto e della scuola detta orienta­
le all’epoca di Valentino. Esso comprende sia citazioni te­
stuali, sia chiose e spiegazioni di Clemente e le due cose so­
no spesso difficilmente districabili2.1frammenti apparten­
gono all’ultima sezione del libro, dedicata ai temi dell’astro-
logia e del battesimo. La liberazione dalle potenze ostili si
giuoca su duefronti; quello cosmico e quello individuale. L'uo­
mo spirituale è stato liberato dal giogo delle potenze astrali
dalla venuta del Salvatore; il battesimo sottrae il singolo al
fato e lo rende dominatore delle potenze.

235
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

C l e m e n t is A l e x a n d r in i Ex c e r p t a ex Theo do to
72-84; ed. Stàhlin, pp.130, 1 - 132, 233

72, 1. ’ Από ταύτης τής στάσεως καί μάχης τών δυνάμεων ό


κύριος ήμάς ρύεται καί παρέχει τήν ειρήνην άπό τής τών
δυνάμεων καί της τών αγγέλων παρατάξεως, ήν οΐ μέν ύπέρ ήμών,
οι δέ καθ’ ήμών παρατάσσονται. 2. Οΐ μέν γάρ στρατιώταις
έοίκασι, συμμαχοΰντες ήμΐν, ώς αν ύπηρέται θεοΰ, οΐ δέ λτ\σταϊς
ό γάρ πονηρός ού παρά βασιλέως έζώσατο λαβών τήν μάχαιραν,
έαυτφ δέ έξ άπονοίας άρπάσας.

73, 1. Διά δή τούς άνπκειμένους, οΐ διά τοΰ σώματος καί τών


έκτος έπιβατεύουσι της ψυχής και ένεχυράζουσιν είς δουλείαν, οί
[δέ] δεξιοί ούκ είσιν ικανοί παρακολουθοΰντες σώζειν καί
φυλάσσειν ημάς. 2. Ού γάρ είσι τέλεον προνοητικοί, ώσπερ ό
άγαϋός ποιμήν, άλλα μισϋωτω παραπλήσιος έκαστος, τόν λύκον
όρώντι προσιόντα καί φεύγοντι καί ού προθύμω τήν ψυχήν ύπέρ
τών ιδίων προβάτων έπιδιδόναι. 3. Προσέτι δέ καί ό άνθρωπος,
ύπέρ ού ή μάχη, ασθενές δν ζώον, εύεπίφορόν έστι πρός το χείρον
καί τοΐς μισοΰσι συλλαμβανόμενον δθεν καί πλείω τά κακά
ύπάρχει αύτώ.

74, 1. Διά τοΰτο ό κύριος κατήλθεν ειρήνην ποιήσων τήν


άπ ’ ούρανοΰ τοΐς έπί γης, ώς φησιν ό άπόστολος- Ειρήνη έπί της
γης καί δόξα έν ύψίστοις. 2. Διά τοΰτο άνέτειλεν ξένος άστήρ καί
καινός καταλύων τήν παλαιάν άστροθεσίαν, καινφ φωτί, ού κο-
σμικφ λαμπόμενος, ό καινάς οδούς καί σωτηρίους τρεπόμενος,
<ώς> αύτός ό κύριος άνθρώπων οδηγός ό κατελθών είς γήν, ΐνα
μεταθή τούς είς τόν Χριστόν πιστεύσαντας άπό τής Ειμαρμένης
είς τήν έκείνου πρόνοιαν. [...]

76, 1. 'Ως ούν ή γέννησις τοΰ Σωτήρος γενέσεως ή μάς κ


Ειμαρμένης έξέβαλεν, ούτως καί τό βάπτισμα αύτοΰ πυρός ήμας
έξείλετο καί τό πάθος πάθους, ίίνα κατά πάντα άκολουθήσωμεν

236
TEODOTO

Te o d o to , F ram m enti

72, 1. Il Signore ci salva da tale discordia e lotta4 e ci reca


la pace sottraendoci agli eserciti schierati delle Potenze e
degli Angeli che combattono gli uni per noi, gli altri contro
di noi. 2. Gli uni, infatti, che sono servitori di Dio, sono si­
mili a soldati che combattono con noi. Gli altri, invece, as­
somigliano a briganti (cfr. Io. 10, l ) 5, perché il Maligno si è
armato di spada prendendola non dell Re, ma ghermendola,
nella sua sfrontatezza, per il proprio interesse.
73, 1. A causa dei nostri avversari che, attraverso il cor­
po e le realtà esteriori, assalgono l’anima riducendola in
schiavitù, (le potenze) di destra, pur seguendoci da vicino,
non sono in grado di salvarci e di custodirci6. 2. Non sono
perfette nella sollecitudine come il Buon Pastore (cfr. Io. 10,
11-14), ma assomigliano tutte al mercenario che, vedendo
il lupo avvicinarsi, fugge perché non è disposto a dare la vi­
ta per le sue pecore. 3. Inoltre, l’uomo, per il quale la bat­
taglia si ingaggia, è un animale debole che tende facilmen­
te al peggio e che collabora con coloro che lo odiano: di qui
gli derivano mali ancora più grandi.
74, 1. Il Signore è disceso per questo: per portare la pa­
ce: la pace del cielo a coloro che si trovano sulla terra, come
dice l’Apostolo: 2. «Pace in terra e gloria nei cieli» (Le. 2, 14).
Per tale ragione è sorto un nuovo astro straniero che ha di­
strutto l’antico ordine degli astri7; un astro splendente di
luce nuova che non è di questo mondo e che traccia nuove
strade di salvezza, come lo stesso Signore, guida (Mt. 2, 6)
degli uomini, che è disceso sulla terra per trasferire coloro
che credono in Cristo dal Fato alla sua Provvidenza. [...]
76, 1. Come dunque la nascita del Salvatore ci sottrae
la generazione ed al Fato, così anche il suo battesimo ci sot­
trae al fuoco8, la sua passione alle passioni, per poterlo se-

237
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

αύτώ. 2. Ό γάρ είς θεόν βαπτισθείς είς θεόν έχώρησεν κοά εΐληφεν
εξουσίαν επάνω σκορτάων καί δφεων περιπατεϊν, τών δυνάμεων
τών πονηρών. 3. Καί τοΐς άποστόλοις έντέλλεται· Περιιόντες
κηρύσσετε καί τούς πιστεύοντας βαπτίζετε εις δνομα Πατρός καί
Υίοϋ καί άγιου Πνεύματος. 4. Είς οΰς άναγεννώμεθα τών λοιπών
δυνάμεων άπασών ύπεράνω γινόμενοι.

77, 1. Ταύτη ϋάνατος καί τέλος λέγεται τοϋ παλαιού βίου το


βάπτισμα άποτασσομένων ημών ταΐς πονηραϊς άρχαΤς, ζωή δε
κατά Χριστόν, ής μόνος αυτός κυριεύει. 2. 'Η δύναμις δε της με­
ταβολής τοΰ βαπτισΰέντος ού περί τό σώμα (ό αύτός γάρ άνα-
βαίνει), άλλα περί ψυχήν. Αύτίκα δοΰλος θεοΰ άμα τω άνελθεϊν
τοΰ βαπτίσματος καί κύριος τών ακαθάρτων λέγεται πνευμάτων,
καί είς δν προ ολίγου ένήργουν, τοΰτον ήδη φρίσσουσιν.

78, 1. Μέχρι τοΰ βαπτίσματος ούν ή Ειμαρμένη, φασίν,


αληθής, μετά δε τοΰτο ούκέτι άληθεύουσιν οί άστρολόγοι.
2. ’Έστιν δέ ού τό λουτρόν μόνον τό έλευθεροΰν, άλλα καί ή
γνώσις, τίνεςήμεν, τί γεγόναμεν Ποΰ ήμεν, [ή] ποΰ ένεβλήθημεν
Ποΰ σπεύδομεν, πόθεν λυτρούμεθα· Τί γέννησις, τί άναγέννησις.

79, "Εως ούν άμόρφωτον, φασίν, έτι τό σπέρμα, θηλείας έστί


τέκνον μορφωθέν δε μετετέθη είς άνδρα καί υιός νυμφίου γίνεται,
ούκέτι άσθενής καί τοΐς κοσμικοΐς ύποκείμενος όρατοΐς τε καί
άοράτοις, άλλ’ άνδρωθείς άρρην γίνεται καρπός.

80, 1. " Ον γεννά ή Μήτηρ, είς θάνατον άγεται καί είς κό­
σμον, δν δέ άναγεννα Χριστός, είς ζωην μετατίθεται, είς ’Ογδοάδα·
2. καί άποθνήσκουσιν μέν τώ κόσμω, ζώσι δέ τω θεώ, ΐνα
θάνατος θανάτω λυθη, άναστάσει δέ ή φθορά. 3. Διά γάρ Πατρός
καί Υίοΰ καί αγίου Πνεύματος σφραγισθείς άνεπίληπτός έστι
πάση τη άλλη δυνάμει καί διά τριών ονομάτων πάσης της έν

238
TEODOTO

guire in tutto. 2. Colui che è stato battezzato in Dio è pro­


gredito verso Dio ed ha ricevuto il potere di calpestare scor­
pioni e serpenti (Ps. 90, 13; Le. 10, 19)9, cioè le Potenze mali­
gne. 3. Anche agli Apostoli viene ordinato: «Andate e predi­
cate, battezzate coloro che credono nel Nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo» (Me. 16, 15 e parli.), 4. nei quali
siamo rigenerati, diventati superiori a tutte le altre potenze10.
77, 1. Il battesimo è detto morte e fine della vecchia vita
(cfr. Rm. 6, 3 sg.) per questo, perché rinunciamo11 ai Principati
malvagi; ed è detto vita (cfr. CoL 2, 13) secondo Cristo, vita
di cui egli è l’unico Signore. 2. La potenza che causa il cam­
biamento del battezzato non agisce sul corpo - è infatti lo
stesso uomo che risale (dall’acqua) -, ma sull’anima. 3. Non
appena risale dal battesimo, egli è chiamato servitore di Dio,
Signore degli spiriti impuri ed essi che poco prima agivano
contro di lui, ora tremano (Iac. 2, 19) di fronte a lui.
78, 1. Secondo loro, fino al battesimo il Fato è reale, ma
in seguito gli astrologi non dicono più il vero. 2. La libera­
zione, inoltre, non consiste soltanto nel battesimo, ma an­
che nella conoscenza12: chi eravamo? Che cosa siamo di­
ventati? Dove eravamo? Dove siamo stati gettati? Verso do­
ve ci affrettiamo? Da che cosa siamo stati riscattati? Che
cosa è la generazione? E che cosa la rigenerazione?
79, Essi dicono che finché il seme è ancora senza forma,
è figlio della Donna13; una volta formato, viene trasformato
in uomo e diventa figlio dello Sposo. Egli non è più debole e
sottomesso alle potenze cosmiche visibili ed invisibili, ma,
trasformato in Uomo, diventa un frutto maschile.
80, 1. Colui che è generato dalla Madre è spinto alla mor­
te e nel mondo; invece, colui che è generato dal Cristo è tra­
sferito alla vita, nell’Ogdoade. 2. Essi muoiono al mondo, ma
vivono in Dio, affinché la morte sia dissolta dalla morte, la
corruzione dalla resurrezione. 3. Chi è segnato14 nel Padre,
nel Figlio e nello Spirito Santo, è inattaccabile da ogni altra

239
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

φθορά τριάδος άπηλλάγη· φορέσας την εικόνα τονχοϊκοϋ, τότε


φορεϊτην εικόνα τοΰ έπουρανίου.

81,1. Τοΰ πυρός τό μέν σωματικόν σωμάτων απτεται πάντω


τό δέ καθαρόν καν άσώματον άσωμάτων φασίν απτεσθαι, οίον
δαιμόνων, αγγέλων της πονηριάς, αύτοΰ τοΰ διαβόλου. Ούτως έστί
τό έπουράνιον <καί τό έπίγειόν) πΰρ δισσόν τήν φύσιν, το μέν
νοητόν, τό δέ αίσθητόν. 2. Καί τό βάπτισμα ούν διπλοΰν άναλόγως,
τό μέν αίσθητόν δι ’ ΰδατος, τοΰ αίσθητοΰ πυρός σβεστήριον, τό
δέ νοητόν διά πνεύματος, τοΰ νοητοΰ πυρός άλεξητήριον. 3. Καί
τό σωματικόν πνεΰμα τοΰ αίσθητοΰ πυρός τροφή καί ύπέκκαυμα
γίνεται ολίγον δν, πλεϊον δέ γενόμενον σβεστήριον πέφυκεν, τό δέ
άνωθεν δοθέν ήμΐν πνεΰμα άσώματον δν ού στοιχείων μόνων,
άλλα καί δυνάμεων κρατεί καί άρχων πονηρών.
82. 1. Καί ό άρτος καί τό έλαιον αγιάζεται τη δυνάμει τοΰ
ονόματος θεοΰ, τα αύτά δντα κατά τό φαινόμενον οία έλήφθη-
άλλά δυνάμει είς δύναμιν πνευματικήν μεταβέβληται. 2. Ούτως
καί τό ύδωρ, καί τό έξορκιζόμενον καί τό βάπτισμα γινόμενον,
ού μόνον χωρ<ίζ>ει τό χείρον, άλλα καί αγιασμόν προσλαμβάνει.

83. Έπί τό βάπτισμα χαίροντας ερχεσθαι προσήκεν, άλλ’


έπεί πολλάκις συγκαταβαίνει τισί καί ακάθαρτα πνεύματα, <ά>
παρακολουθοΰντα καί τυχόντα μετά τοΰ άνθρώπου τής
σφραγϊδος ανίατα τοΰ λοιποΰ γίνεται, [α] τη χαρά συμπλέκεται
φόβος, ΐνα τις μόνος καθαρός αύτός κατέλθη.

84. Διά τοΰτο νηστεϊαι, δεήσεις, εύχαί, <έπάρσεις> χειρών, γο-


νυκλισίαι, δτι ψυχή έκ κόσμου καί έκ στόματος λεόντων άνα-
σώζεται, διό καί πειρασμοί εύθέως άγανακτούντων τών άφ’ ών
άφηρέθη, καν τις φέρη προειδώς, τά γε έξω σαλεύουσιν.

240
TEODOTO

potenza; mediante i tre Nomi si è allontanato dalla trinità15


della corruzione: egli che portava l’immagine del terrestre,
porta allora l’immagine del celeste (I Cor. 15, 49).
81, 1. Il fuoco materiale si attacca a tutti i corpi; il fuoco
puro ed incorporeo si attacca - essi dicono - agli esseri im­
materiali quali i demoni, gli angeli malvagi e lo stesso diavolo.
Così il fuoco ha una duplice natura: celeste e terrestre; l’una in-
telleggibile, l’altra sensibile. 2. Analogamente anche il battesi­
mo è dunque duplice: è sensibile per mezzo dell’acqua che spe-
gne il fuoco sensibile; è intellegibile per via dello Spirito che di­
fende dal fuoco intellegibile16. 3. Lo spirito corporeo17, se è leg­
gero, alimenta il fuoco sensibile e l’attizza, ma se è forte lo spe-
gne. Lo Spirito datoci dall’alto è incorporeo e domina non sol­
tanto gli elementi, ma anche le potenze ed i principati maligni.
82, 1. Il pane e l’olio18 sono santificati dalla potenza del
Nome di Dio e, per quanto appaiano gli stessi di prima, so­
no invece trasformati mediante la potenza in una potenza
spirituale. 2. Allo stesso modo anche l’acqua, quando vie­
ne esorcizzata19 e diventa battesimo, non separa soltanto
l’elemento inferiore20, ma acquista anche la santificazione.
83. Sarebbe conveniente avvicinarsi al battesimo nella
gioia; spesso, tuttavia, scendono (nell’acqua) con alcuni neo­
fiti anche degli spiriti impuri che li seguono ed ottengono
con essi il sigillo battesimale, diventando in seguito spiriti a
cui non vi è rimedio21; per questo alla gioia si mescola il ti­
more, affinché scenda nell’acqua soltanto chi è puro.
84. È per tale ragione che vi sono digiuni, suppliche e
preghiere, imposizioni di mani, genuflessioni, perché l’ani­
ma è salvata dal mondo (Io. 17, 14) e dalle fauci dei leoni
(Ps. 21,22). Anche per questo motivo vi sono subito tentazioni
da parte degli spiriti adirati per essere stati allontanati; an­
che se sono previste e le si sopporta, esse riescono a tur­
bare almeno l’esteriorità.

241
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-I1I

NOTE

1 Secondo F. Sagnard (Clement d’Alexandrie, Extraits de Théodote,


texte grec, Introduction, traductlon et notes par F. Sagnard (SC 23),
Paris 1948, pp. 6-79), Teodoto avrebbe appreso l’insegnamento di
Valentino quando questi era ancora ad Alessandria e sarebbe florito
fra il 160 e il 170.
2 Sulla questione cfr. Ibid, pp. 8 sgg.
3 Clemens Alexandrinus, Excerpta ex Theodoto (GCS 17), hrsg O.
Stàhlin, Leipzig 1906.
4 Nei due estratti precedenti viene spiegato che, al momento della
nascita, che corrisponde ad una determinata congiunzione degli astri
(e quindi di potenze), il destino dell'uomo è già segnato; la lotta nasce
dal fatto che vi sono sia potenze benefiche, sia maligne che si conten­
dono il destino dell’uomo. Si tratta comunque di una lotta impari (cfr.
infra Exc. 73).
5 Sull’esegesi demonologica di questo versetto: G. J. M. Bartelink,
Les démons camme brìgands, «Vigiliae Christianae» 21(1967), pp. 22-35.
6 Sono le potenze astrali benefiche; sulla debolezza degli angeli
buoni prima della venuta di Cristo cfr. anche Orig., Ho. Le. XII (riferi­
to agli angeli delle nazioni); XXXV* (riferito agli angeli individuali).
7 Cfr. sopra Ignat., Ep. Eph. 19, 1-3*.
8 L'accostamento del battesimo di Gesù al fuoco deriva dalla cre­
denza che esso era stato accompagnato da una manifestazione di lu­
ce (Simonetti, Testi, cit., p. 522, n. 402); il fuoco da cui Cristo libera è
quello dell’Ebdomade (Exc. 37).
9 Cfr. l’interpretazione battesimale dello stesso versetto da parte
di Cypr., Ep. LXIX*.
10 Ciò riguarda ovviamente soltanto gli uomini spirituali.
11 II termine è quello tecnico usato nelle formule battesimali nella
liturgia degli inizi del III secolo (Kelly, D e v ii cit., p. 60), ma è difficile
stabilire se il termine sia una citazione testuale da Teodoto o un in­
tervento di Clemente.
12 La gnosi è quanto si apprende dalla catechesi battesimale du­
rante la quale il battezzando viene istruito sulla sua natura divina ori­
ginaria, sulla vicenda della caduta e sul suo destino (cfr. Sagnard, cit.,
p. 234; Kelly, Devii, cit., p. 59).
13 II seme della Donna (cioè la Madre, cfr. Iren., Adv. Haer. I, 5, 1-3*),
per quanto spirituale è imperfetto perché generato senza il compagno
di coppia (Exc. 68).

242
TEODOTO

14 Kelly (D evii c it. pp. 62 sgg.) Ipotizza che qui vi sia il riferimen­
to al segno di croce: «It would be thè earliest extant example of thè
use of thè cross as an apotropaic ceremony of Christian Initiatlon».
Sull’uso frequente del segno di croce per mettersi al sicuro dai demò­
ni: Tert., De cor. Ili, 4.
15 Essa è costituita dagli ilici, dal diavolo e dalla natura ilica, co­
me si potrebbe dedurre da Eracleone (Orig., Co. Io. XX, 20).
16 II significato non è del tutto chiaro. Con il battesimo lo spiri­
tuale riceve lo Spirito che lo sottrae al fuoco intellegibile che corri­
sponde, secondo i Valentiniani, all'Ebdomade, cioè al Demiurgo ed
alla sostanza psichica (cfr. Hipp., Ref. VI, 32, 1), mentre qui sembra
che la liberazione da] fuoco intellegibile coincida con la liberazione
dalle potenze; queste però non appartengono alla sostanza psichica
ma ilica.
17 Cioè, secondo l’altro significato di pneuma, il soffio, il vento.
18 Si tratta del pane dell’Eucarestia e dell’olio dell'unzione batte­
simale.
19 Si allude forse ad un rito prebattesimale, In seguito al quale
l'acqua poteva essere usata per il battesimo. Vi sarebbe allora sullo
sfondo la tradizione secondo cui Cristo ha purificato l'acqua dai demò­
ni che in essa abitavano (cfr. Bòcher, Dàmonenfiircht, c it, pp. 50-53;
195-208; Kelly, Devii, cit., pp. 71-74).
20 Secondo Sagnard, cit, p. 233, sarebbero 1demòni.
21 Chi è segnato nel Nome di Dio, viene trasformato in una po­
tenza dominante sulle altre; lo stesso avviene ex opere operato agli
spiriti malvagi che accompagnano il neofita e ricevono con lui 11 «si­
gillo»: la difficoltà di questo passo risiede nel fatto che qui è del tutto
messo in ombra l’effetto purificatore del sigillo, che pure nel fram­
mento precedente è esplicitamente ammesso a proposito dell'acqua.

243
CLEMENTE ALESSANDRINO
(seconda metà del II secolo, inizio del III)

L ’Esortazione ai Greci, redatta fra il 180 ed il 189, si ag­


giunge, dal punto di vista del genere letterario, ad altri di­
scorsi protrettici scritti da filosofi quali Aristotele, Epicuro,
Cleante e Posidonio con l’intento di suscitare il desiderio di
studiare la filosofia. Lo scopo di Clemente, nato forse ad
Atene1 e formatosi nelle scuole dei maestri più famosi del
tempo, è del tutto simile: persuadere il pubblico alessandrino,
ancora attaccato alle tradizioni, ma colto e curioso di altre
esperienze religiose, a seguire la vera filosofia. L ’opera di
Clemente, per alcuni aspetti, ripercorre gli argomenti degli al­
tri scritti apologetici contro i culti e le credenze dei greci; per
altri versi, se ne allontana per la mancanza dei temi pro­
priamente apologetici legati alla difesa dalle accuse rivolte
al cristianesimo o alla dimostrazione della divinità del cri­
stianesimo, mediante l’appello ai miracoli ed agli esorcismi.
Secondo quanto ammette lo stesso Autore2, gli Stromati
(= tappezzerie), composti per la maggior parte fra il 192 e ed
il 203 (il VE libro dopo il 203), non sono un'opera unitaria e co­
stituivano probabilmente l’opera preparatoria ed introdutti­
va alla trattazione dell’origine del mondo e della teologia an­
nunziata in Strom. IV, 3, 1-23.

245
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

C l e m e n t is A l e x a n d r in i P r o t r e p t ic u s
I, 7, 4-6; ed. Stàhlin, p. 8, 1-144

4. "Ο δε ού νΰν γε πρώτον φκτειρεν ήμας τής πλάνης, άλλ’


άνωθεν άρχήθεν, νΰν δε ήδη άπολλυμένους έπιφανείς
περισέσωκεν. Το γάρ πονηρόν και έρπηστικόν θηρίον γοητεΰον
καταδουλοΰται καί αίκίζεται είσέτι νΰν τοΰς άνθρώπους, έμοί
δοκεϊν, βαρβαρικώς τιμωρούμενον, οΐ νεκροϊς τούς αιχμαλώτους
συνδεΐν λέγονται σώμασιν, εστ’ αν αύτοΐς καί συσσαπώσιν.

5. Όγοΰν πονηρός ούτοσΐ τύραννος καί δράκων, οΰς αν οίός


τε εϊη έκ γενετής σφετερίσασθαι, λίθοις καί ξύλοις καί άγάλμα-
σιν κα'ι τοιούτοις τισίν είδώλοις προσσφίγξας τω δεισιδαιμονίας
άθλίω δεσμω, τοΰτο δη τό λεγόμενον, ζωντας έπιφέρων συνέθαψεν
αύτούς, εστ ’ αν καί συμφθαρώσιν.
6. Ου δή χάριν (είς γάρ ό άπατεών άνωθεν μεν τήν Ευαν, νΰν
δέ ήδη καί τούς άλλους ανθρώπους είς θάνατον ύποφέρων) είς
καί αύτός έπίκουρος καί βοηθός ήμΐν ό κύριος, προμηνύων
άρχήθεν προφητικώς, νΰν δέ ήδη καί έναργώς είς σωτηρίαν πα-
ρακαλών.

II, 40, 1 - 41, 4; ρρ. 30, 14 - 33, 15

40, 1. Είεν δή· έπειδή ού θεοί, οΰς θρησκεύετε, αύθις


έπισκέψασθαί μοι δοκεΤ εί δντως είεν δαίμονες, δεύτερα τούτη, ώς
ύμεϊς φατέ, έγκαταλεγόμενοι τάξει. 2. Εί γάρ ούν δαίμονες, λίχνοι
τε καί μιαροί. "Εστι μέν έφευρεϊν καί άναφανδόν οΰτω κατά
πόλεις δαίμονας έπιχωρίους τιμήν έπιδρεπομένους, παρά Κυθνίοις
Μενέδημον, παρά Τηνίοις Καλλισταγόραν, παρά Δηλίοις νΑνιον,
παρά Λάκωσιν ’ Αστράβακον. Τιμάται δέ πς καί ΦαληροΤ κατά
πρύμναν ήρως καί ή Πυθία συνέταξε θύειν Πλαταιεΰσιν
’ Ανδροκράτει καί Δημοκράτει καί Κυκλαίω καί Λεύκωνι τών
Μηδικών άκμαζόντων αγώνων.

246
CLEMENTE ALESSANDRINO

E s o r t a z io n e ai Greci

4. Non è dunque soltanto ora che per la prima volta ha avu­


to compassione del nostro errore, ma (lo ha già fatto) fin
dall’inizio; adesso, tuttavia, si è mostrato per salvare noi or­
mai sul punto di perire. Infatti, con le sue stregonerie la be­
stia malvagia e strisciante continua tuttora ad asservire e
tormentare gli uomini, infliggendo torture - a me sembra -
simili a quelle dei barbari che si dice leghino i prigionieri ai
cadaveri affinché marciscano insieme.
5. Costui dunque, questo malvagio tiranno e dragone,
quanti riesce dalla nascita a fare suoi, li lega con l’infelice ca­
tena della superstizione a pietre, a legni, a statue e ad ido­
li dello stesso tipo e, come si è detto, li seppellisce vivi con
i morti, affinché si corrompano con loro5.
6. Pertanto, come uno solo è colui che dall’inizio6 ha in­
gannato Èva e che ora conduce alla morte anche gli altri
uomini, solo uno è anche il Signore che ci protegge e viene
in nostro aiuto, all’inizio invitandoci con le profezie e ora
chiamandoci in modo palese alla salvezza.

40, 1. Dal momento che non sono dèi quelli che adorate, si
può forse prendere ancora in considerazione se siano effet­
tivamente demoni che appartengono al secondo ordine7, co­
me voi dite. 2. Se dunque sono demoni, essi sono avidi e
impuri. Si possono trovare demoni locali che nelle città ri­
cevono culti apertamente: Menedemo presso i Cythni; Cal-
listagora presso i Teni; Anio presso i Delii; Astrabaco pres­
so i Laconi8. A Falero, è onorato anche un certo eroe sulla
poppa della nave9; la Pitia inoltre ordinò ai Plateesi di offri­
re sacrifìci a Androcrate, a Democrate, a Cycleo e, infine, a

247
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

41,1. νΕστι καί άλλους παμπόλλους συνιδεϊν δαίμονας τώ


καί σμικρόν διαθρεϊν δυναμένφ τρις γάρ μύριοί είσιν έπί χϋον'ι
πουλυβοτείρτ} δαίμονες άύάνατοι. Φύλακες μερόπων άνϋρώπων.

2. Τίνες είσίν οί φύλακες, ώ Βοιώτιε, μή φΟονέσης λεγειν. "Η


δήλον ώς ούτοι καί οί τούτων έπιτιμότεροι, οί μεγάλοι δαίμονες,
ό 'Απόλλων, ή "Αρτεμις, ή Λητώ, ή Δημήτηρ, ή Κόρη, ό Πλούτων, ό
'Ηρακλής,αυτόςόΖεύς. ’Αλλ’ ούκάποδραναιημάςφυλάττουσιν,
’Ασκραϊε, μή άμαρτάνειν δέ ϊσως. Οί αμαρτιών δήτα ού πεπει­
ραμένοι. Ένταϋθα δή τό παροιμιώδες έπιφθέγξασθαι άρμόττει·
Πατήρ άνουϋέτητος παΐδα νουϋετεΐ.

3. Εί δ ’ άρα καί είσί φύλακες ούτοι, ούκ εύνοία τη πρός υμάς


περιπαθείς, τής δέ ύμεδαπής άπωλείας έχόμενοι, κολάκων δίκην
έγχρίμπτονται τώ βίω, δελεαζόμενοι καπνώ. Αύτοί που έξομολο-
γοϋνται οί δαίμονες τήν γαστριμαργίαν τήν αύτών, λοιβης τε
κνίσης τε· τό γάρ λάχομεν γέρας ημείς, λέγοντες.

4. Τίνα δ ’ αν φωνήν άλλην, εί φωνήν λάβοιεν Αιγυπτίων θεοί,


οία αίλουροι καί γαλαΐ, προήσονται ή τήν ' Ομηρικήν τε καί
ποιητικήν, τήν κνίσης τε καί όψαρτυτικής φίλην; Τοιοίδε μέντοι
παρ ’ ύμΐν οΐ τε δαίμονες καί οί θεοί καί εϊ τινες ήμίθεοι ώσπερ
ήμίονοι κέκληνταν ούδέ γάρ ούδέ ονομάτων ύμΐν πενία πρός τάς
τής άσεβείας συνθέσεις.

XI, 111, 1-3; ρρ. 78, 25 - 79, 6

1. Μικρόν δέ, εί βούλει, άνωθεν άθρει τήν θείαν εύεργεσίαν. ό


πρώτος οτε έν παραδείσιο έπαιζε λελυμένος. Έτι παιδίον ήν τοΰ
θεοΰ- οτε δέ ύποπίπτων ηδονή (δφις άλληγορεΐται ήδονή έπί γα-

248
CLEMENTE ALESSANDRINO

Leucone, mentre infuriava la guerra contro i Medi.


41,1. Basta esaminare con un po’ di attenzione per a
corgersi di numerosissimi altri dèi: «Infatti sulla terra che
nutre molti esseri, vi sono tre miriadi di demoni immortali,
custodi degli uomini mortali»10.
2. Chi sono, o Beota, questi custodi? Non rifiutare di dir­
celo. È chiaro: sono costoro (se. i demoni di secondo ran­
go) e quelli più onorati di loro, i grandi demoni: Apollo.
Artemide, Leto, Demetra, Core, Plutone, Eracle e lo stesso
Zeus. Ma essi, o Ascreo, sono nostri custodi per impedirci di
scappare e forse per impedirci di peccare, essi che eviden­
temente non commettono peccati. A questo caso si adatta il
detto proverbiale: «Un padre che non tollera rimproveri, rim­
provera il figlio»11.
3. Dunque, anche se costoro sono custodi, non prova­
no sentimenti di benevolenza per voi, ma lavorano per la
vostra rovina, come adulatori, si attaccano a quanto li fa
vivere attirati dal fumo dei sacrifìci. Essi stessi, i demoni,
confessano ad un certo punto la loro ghiottoneria12 dicen­
do: «Libagioni e fumo delle vittime: questa è la nostra ri­
compensa».
4. Come potrebbero esprimersi altrimenti, ammesso che
possano farlo, gli dèi egiziani, quali gatti e donnole, se non
con i versi di Omero e degli altri poeti che hanno cari il fu­
mo delle vittime e l’arte culinaria? Ecco che cosa sono i vo­
stri demoni, i vostri dèi e quelli che chiamate semidei, come
semiasini; infatti non vi mancano certo nomi da dare alle
combinazioni ingannevoli dell’empietà13.

1. Se vuoi, considera un poco la benevolenza di Dio fin dall’ini­


zio. Quando il primo uomo giocava libero nel paradiso era an­
cora il fanciullo di Dio; ma quando cadde a causa del piace-

249
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

στερα έρπουσα, κακία γηΐ'νη, εις ΰλας στρεφομένη) παρήγετο


έπιθυμίαις, ό παΐς άνδριζόμενος άπειθεία καί παρακούσας τοΰ
πατρός ήσχύνετο τον θεόν. Οίον ΐσχυσεν ηδονή· ό δν’ απλότη­
τα λελυμένος άνθρωπος άμαρτίαις εύρέθη δεδεμένος.

2. Τών δεσμών λϋσαι τοΰτον ό κύριος αύθις ήθέλησεν, καί


σαρκί ένδεθείς (μυστήριον θειον τοϋτο) τον δφιν έχειρώσατο καί
τόν τύραννον έδουλώσατο, τόν θάνατον, καί, τό παραδοξότατον,
εκείνον τό άνθρωπον τον ήδονη πεπλανημένον, τόν τη φθορά δε-
δεμένον, χερσιν ήπλωμεναις έδειξε λελυμένον.
3. ’Ώ θαύματος μυστικοϋ- κέκλιται μέν ό κύριος, άνέστη δε
άνθρωπος καί ό έκ τοΰ παραδείσου πεσών μεϊζον ύπακοής άθλον,
ουρανούς, άπολαμβάνει.

C l e m e m i s A l e x a n d r i n i S t r o m a t e is
I, 18, 1-4; ed. Stàhlin, p. 13, 1-14

1. Περιέξουσι δέ οί Στρωματεϊς άναμεμιγμένην τήν άλήθειαν


τοϊς φιλοσοφίας δόγμασι, μάλλον δέ έγκεκαλυμμένην καί έπικεκ-
ρυμμένην, καθάπερ τω λεπύρφ τό έδώδιμον τοϋ καρύου· αρμό­
ζει γάρ, οίμαι, τής αλήθειας τά σπέρματα μόνοις φυλάσσεσθαι
τοϊς τής πίστεως γεωργοΐς. 2. Ού λέληθεν δέ με καί τά
θρυλούμενα πρός τινων άμαθώς ψοφοδεών χρήναι λεγόντων
περί τά αναγκαιότατα καί συνέχοντα τήν πίστιν καταγίνεσθαι,
τά δέ έξωθεν καί περιττά ύπερβαίνειν μάτην ήμάς τρίβοντα καί
κατέχοντα περί τοϊς ούδέν συμβαλλομένοις πρός τό τέλος.
3. Οι δέ καί πρός κακοϋ <ούσ>αν τήν φιλοσοφίαν είσδεδυκέναι
τόν βίον νομίζουσιν έπί λύμη τών άνθρώπων πρός τίνος εύρετοϋ
πονηροϋ. 4. Έγώ δέ οτι μέν ή κακία κακήν φύσιν έχει καί ού-
ποτ ’ άν καλοϋ τίνος ύποσταίη γεωργός γενέσθαι, παρ ’ δλους
ένδείξομαι τούς Στρωματεϊς, αίνισσόμενος άμη γέ πη θείας εργον

250
CLEMENTE ALESSANDRINO

re (il serpente simboleggia il piacere che striscia sul ventre,


la malvagità terrena che si volge alla materia) e si lasciò se­
durre dalle concupiscenze, il fanciullo, divenuto uomo per
non aver obbedito e dato ascolto al padre, si vergognava di
Dio. Quanta forza ha avuto il piacere! E l’uomo che era libe­
ro grazie alla sua semplicità si trovò legato dal suoi peccati14.
2. Ma il Signore volle renderlo libero di nuovo e, legato­
si alla carne (quale divino mistero!), domò il serpente e re­
se schiavo il tiranno, la morte, e, cosa ancor più straordi­
naria, stendendo le mani, mostrò libero quell’uomo ingan­
nato dal piacere, incatenato alla corruzione.
3. Mistero meraviglioso! Il Signore si è chinato e l’uomo
si è rialzato, colui che è caduto dal paradiso riceve una più
grande ricompensa della sua sottomissione: il cielo.

Stromati

1. Gli Stromati conterranno la verità mescolata alle dottrine


filosofiche o meglio avviluppata e nascosta come il gheriglio
nel guscio della noce. A mio avviso, infatti, è conveniente
che i semi della verità siano custoditi dai soli coltivatori del­
la fede. 2. Non mi sfugge inoltre quanto viene continuamen­
te ripetuto da alcuni pavidi ignoranti; dicono che bisogna oc­
cuparsi delle cose più necessarie in grado di conservare la
fede e che è necessario tralasciare, invece, quelle estranee e
superflue che ci logorano inutilmente e che ci trattengono su
questioni che non conducono allo scopo. 3. Costoro15 riten­
gono che la filosofìa viene dal male e che è introdotta nella
nostra vita per la rovina degli uomini, provenendo da un ma­
ligno inventore16. 4. Ma io mostrerò nel corso di tutti gli
Stromati che il male ha una natura maligna e che non po-

251
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

προνοίας καί φιλοσοφίαν.

II, 111, 3-4; pp. 173, 26 - 174, 5

3. Ai τοίνυν δυνάμεις, περί ών είρήκαμεν, κάλλη καί δόξας καί


μοιχείας καί ήδονάς καί τοιαύτας τινάς φαντασίας δελεαστικός
προτείνουσι ταΐς εύεπιφόροις ψυχαΐς, καθάπερ οί άπελαύνοντες
τα θρέμματα ϋαλλους προσείοντες, είτα, κατασοφισάμεναι τους
μή διακρίνειν δυνηθέντας τήν αληθή άπό ψευδοϋς ήδονήν καί
τό έπί κηρόν τε καί έφύβριστον άπό τοΰ αγίου κάλλους, άγουσιν
δουλωσάμεναι. 4. Έκάστη δε απάτη, συνεχώς έναπέρειδομένη
τη ψυχή, τήν φαντασίαν έν αυτή τυποΰται. Καί δή τήν εικόνα
ελαθεν περιφέρουσα τοΰ πάθους ή ψυχή, της αίτιας άπό τε τοΰ
δελέατος καί τής ημών συγκαταθέσεως γινόμενης.

II, 115, 3 -117, 3; ρρ. 175, 23 - 176, 18

115, 3. "Ωσπερ γάρ αί αναθυμιάσεις α'ί τε γήθεν α'ί τε άπό


τελμάτων είς όμίχλας συνίστανται καί νεφελώδεις συστροφάς,
οΰτως αί τών σαρκικών έπιθυμιών άναδόσεις καχεξίαν προ-
στρίβονται ψυχή, κατασκεδαννύουσαι τα είδωλα τής ηδονής
έπίπροσθε τής ψυχής.
116, 1. Έπισκοτοΰσι γοΰν τω φωτί τω νοερώ έπισπωμέν
τής ψυχής τάς έκ τής έπιθυμίας άναδόσεις καί παχυνούσης τάς
συστροφάς τών παθών ένδελεχείςι ήδονών. 2. Χρυσοΰ δέ άπό γης
οϋκ αίρεται βώλος, άλλ’ άφεψόμενος διυλίζεται, έπειτα καθαρός
γενόμενος χρυσός άκούει, γή κεκαθαρμένη. Αίτεΐσϋε γάρ καί
δοϋησεται ύμΐντόις έξ έαυτών έλέσθαι τα κάλλιστα δυναμένοις
λέγεται.

3. "Οπως δ ’ ημείς τοΰ διαβόλου τάς ένεργείας καί τά πνεύ-

252
CLEMENTE ALESSANDRINO

trebbe in nessun caso coltivare un bene qualsiasi: farò in­


tendere in modo velato che anche la filosofia è, in un certo
senso, opera della provvidenza divina.

3. Dunque le potenze, di cui abbiamo detto, mettono in­


nanzi alle anime che vi sono inclini bellezze, onori, adulte­
ri, piaceri e siffatte seducenti fantasie17, come quelli che vo­
lendo scacciare le pecore agitano loro davanti ramoscelli ver­
di18; così raggirano coloro che non sono in grado di distin­
guere il vero piacere dal falso, la bellezza caduca e sprege­
vole da quella santa e li conducono in schiavitù. 4. Ed ogni
inganno, restando impresso nell’anima per lungo tempo, vi
lascia impressa la sua rappresentazione per cui l’anima re­
ca l’immagine della passione senza avvedersene19. La col­
pa nasce sia dall’inganno sia dal nostro assenso20.

115, 3. Infatti, come i vapori esalati dalla terra e dalle pa­


ludi si condensano a formare nebbie e nuvole spesse, allo
stesso modo le esalazioni delle concupiscenze carnali, scio­
rinando davanti all’anima le immagini del piacere, le inflig­
gono una cattiva disposizione.
116, 1. Così esse ottenebrano la luce dell’intelletto
quando l’anima attira le esalazioni della concupiscenza la­
sciando ispessire l’accumulo delle passioni, per effetto del­
la continuità dei piaceri. 2. Non si estrae dalla terra un pez­
zo d’oro, ma il materiale viene fuso e filtrato e soltanto do­
po viene chiamato oro, (cioè) terra purificata. Chiedete e vi
sarà dato (Mt. 7, 7) è detto a coloro che sono in grado di
scegliere da se stessi il meglio.
3. Su come, secondo noi, l’attività del diavolo dissemini

253
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

μoreα τα ακάθαρτα είς την τοΰ αμαρτωλού ψυχήν έπισπείρειν


φαμέν, ου μοι δει πλενόνων λόγων παραθεμένφ μάρτυν τόν άπο-
στολικόν Βαρνάβαν (δ δε τών έβδομέκοντα ήν καί συνεργός τοΰ
Παύλου) κατά λεξιν ώδέ πως λέγοντα- 4. Προ τοΰ ήμας πιστεΰ-
σαι τώ θεώ ήν ήμών τό οίκητήριον τής καρδίας φθαρτόν καί
ασθενές, αληθώς οίκοδομητός ναός διά χειρός- δτι ήν πλήρης
μέν είδωλολατρείας καί ήν οίκος δαιμόνων, διά τό ποιεΐν δσα ήν
έναντία τω θεώ.
117, 1. Τας ένεργείας ούν τάς τοΐς δαιμονίοις καταλλήλο
έπιτελεϊν φησι τούς αμαρτωλούς, ούχί δε αύτα τα πνεύματα έν
τη τοΰ απίστου κατοικεϊν ψυχή λέγει. 2. Διά τοΰτο καί έπιφέρεν
Προσέχετε, ΐνα ό ναός τοΰ κυρίου ένδόξως οίκοδομηθή. Πώς;
Μάθετε· λαβόντες τήν άφεσιν τών αμαρτιών καί έλπίσαντες έπί τό
δνομα γενώμεθα καινοί, πάλιν έξ αρχής κτιζόμενοι. 3. Ού γάρ
οί δαίμονες ήμών απελαύνονται, άλλ ’ αί άμαρτίαι, φησίν, άφίεν-
ται, ας ομοίως έκείνοις έπετελοΰμεν πριν ή πιστεΰσαι.

254
CLEMENTE ALESSANDRINO

anche gli spiriti impuri nell’anima del peccatore, non devo


aggiungere nulla oltre la testimonianza dell’apostolo
Barnaba22, (egli era uno dei settanta e collaboratore di Paolo)
che dice testualmente: 4. «Prima di credere in Dio la dimo­
ra del nostro cuore era corruttibile e debole, veramente un
tempio edificato da mani d’uomo, (poiché era) pieno di ido­
latria e abitazione di demoni, perché vi si compiva quanto era
contrario a Dio».
117, 1. Dice dunque che i peccatori compiono le azio
convenienti ai demòni, ma non afferma che sono proprio gli
spiriti ad abitare nel cuore dell’infedele. 2. Per questo ag­
giunge anche: «Vigilate affinché il tempio del Signore sia
edificato nella gloria. Come? Imparatelo: ricevuto il perdono
dei peccati e sperando nel suo nome diventiamo nuovi, crea­
ti di nuovo dall’inizio». 3. Infatti non vengono scacciati i de­
moni da noi, ma, dice, sono perdonati i peccati che, prima
di credere, commettevamo in modo simile a loro23.

NOTE

1 Strom. I, 11, 2.
2 Ibid. VI, 2, 1.
3 Quest’opera di Clemente ha suscitato molte discussioni, cfr. sta­
tus quaestionis nella sintetica quanto informata nota introduttiva a
Clemente Alessandrino in G. Bosio-E. Dal Covolo-M. Maritano (edd.),
Introduzione ai Padri della Chiesa, voi. Ili, Torino 1991, pp. 252-257,
a cura di S. Lilla. Cfr. anche l’ottimo E. Orbom, Clement o f Alexandria.
A Review Research 1958-1982, «Second Century» 3 (1983), pp. 219-
244.
4 Clemens Alexandrinus, Protrepticus und Paedagogus (GCS 12),
hrsg. von O. Stàhlin, Leipzig 1936.
5 Anche Clemente vede nei culti idolatrici l’ambito d’azione del dia­
volo. Diversamente da Giustino ed altri, essa non consiste nell'inven-
tare, promuovere e sostenere tutto il complesso di credenze e di pratiche
che facevano capo ai culti tradizionali, ma è presentata all'opera so-

255
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

prattutto negli atteggiamenti mentali errati che da soli possono spiegare


l’origine e lo sviluppo dei culti idolatrici. L’errore si presenta, in primo
luogo, come superstizione: l’intero cap. II del Protrettico è una rasse­
gna dei miti, dei culti e dei misteri ellenistici come frutti dell’«ateismo
e della superstizione», a loro volta espressioni estreme deH'ignoranza
(II, 25, 1). Nello stesso cap., Clemente illustra i diversi modi con cui
gli uomini si sono foggiati gli dèi a partire dalle loro concezioni errate
sugli astri, i prodotti della terra, le sventure, le passioni, i concetti, le
costellazioni, i benefattori (II, 26, 1 sgg.; altro testo sulla superstizio­
ne: Strom. VII, 24, 1 sgg.). La superstizione, dal punto di vista sogget­
tivo, è l’assenso dato dal singolo alle φαντασίαι (Protr. Ili, 44, 1-3) ed è
questo, secondo Clemente, il campo di azione privilegiato dell’azione
demoniaca (cfr. infra). Dal punto di vista oggettivo, essa indica il com­
plesso dei culti e dei miti tradizionali; la superstizione, attraverso l’abi­
tudine (συνήθεια), si è consolidata in un costume che si perpetua at­
traverso le generazioni, costume che il singolo accoglie" ormai in mo­
do irriflesso, come un qualche cosa di dato, di reale, circondandolo del
rispetto dovuto a credenze antiche ed accettate da tutti, di cui ha ti­
more e difficoltà a liberarsi (Protr. X, 89, 1-3; 99, 1-3).
6 Allusione a Io. 8, 44.
7 Clemente presenta in modo ironico i punti principali della de­
monologia filosofica scimmiottandone la terminologia: l’espressione
δεύτερα τάξις compare in Plat., Symp. 202; essi sono sottomessi alle
passioni; l’espressione οί μεγάλοι δαίμονες si ritrova in Plut., De Is. 25;
cfr. infra Orig., C.CeL VI, 42-43*.
8 Herod., VI, 69.
9 Si tratta di Androgeo la cui immagine era collocata sulla poppa
delle navi.
10 Es., Op. 252 sq.
11 II detto è attestato soltanto da Clemente.
12 Questo tratto demoniaco è topico; nell’opera di Clemente man­
ca una presentazione sistematica della demonologia cristiana.
13 II significato ultimo dei sarcasmi di Clemente è che se gli dèi so­
no nulla, a maggior ragione anche i demòni su cui i greci mostrano di
avere opinioni altrettanto assurde e fantasiose; Clemente definisce la
credenza in loro come μανία (Protr. II, 11, 1-2); συνήθεια δουλείας, de­
rivante da una κενή δόξα (Ibid. II, 13, 5; 23, 1; III, 44, 1; IV, 51, 3).
Tutte le manifestazioni della potenza degli dèi, ivi compresi gli oraco­
li sono definite «follie, scuole di retorica per infedeli, case di gioco del­
la pura illusione» (Protr. II, 11, 3), non sono che invenzioni dell’em­
pietà.

256
CLEMENTE ALESSANDRINO

14 L’interpretazione della caduta di Adamo rivela influenze diverse


ed una certa oscillazione nella scelta fra un registro allegorico, decisa­
mente demitizzante, e uno narrativo che si sforza di spiegare in senso let­
terale il racconto genesiaco, sia pure con qualche ampliamento leggen­
dario. Al primo registro appartiene l’interpretazione allegorica del ser­
pente che Clemente riprende da Filone (De opif. 157; Leg. alleg. II, 72; De
agr. 97). Al secondo registro appartiene il tema di Adamo bambino che
si incontra in Teoph., Ad Aut. II, 25; e più diilùsamente in Iren., Epid. 12*
(cfr. ad loc.); per l’interpretazione del peccato di Adamo come έτηθυμία,
cfr. commento a A P t Vili*. Il tema di Adamo bambino serve a spuntare
l’argomento che Clemente attribuisce agli gnostici in Strom. VI, 95, 5:
«O l’uomo è stato creato perfetto e dunque non avrebbe potuto trasgre­
dire i comandamenti o è stato creato imperfetto e allora come si può
ammettere che egli sia una creatura di Dio?». Per l’Alessandrino l’im­
perfezione di Adamo non era quella del peccatore, ma quella di un fan­
ciullo non ancora in possesso delle sue facoltà. Sulla concezione di
Clemente a proposito del peccato originale, cfr. J. Hering, Étude sur la
doctrine de la chute et de la préexistence des àmes chez Clément
d'Alexandrie, Paris 1923, pp. 18-27 e W.E.G. Floyd, Clem ent o f
Alexandria's treatment o f thè problem o f euil, Oxford 1971, pp. 41-60.
15 Cfr. introd. pp. 81-82.
16 Clemente esclude che il maligno sia l’«inventore» della filosofia e
che essa porti alla rovina gli uomini, ma per questo non elimina l’in­
tervento demoniaco nella diffusione della filosofia fra gli uomini. In
Strom. V, 10, 1-3 definisce i filosofi «ladri» in quanto derivarono da
Mosè e dai profeti le loro dottrine principali. A quest’opera di plagio
concorsero gli angeli caduti che rivelarono alle donne tutti segreti di
cui erano venuti a conoscenza, diffondendo quelle verità da cui i filo­
sofi, talora cogliendo nel segno, talora sbagliando, svilupparono le lo­
ro dottrine. La possibilità che ha il diavolo di trasformarsi in angelo di
luce si verifica - secondo Clemente - quando egli, magari con lo sco­
po di ingannare colui che ama il sapere, pronuncia profezie e verità:
«Dunque non è falsa la filosofia, anche se lì ladro ed il mentitore dice
la verità per mascherare la sua attività» (Strom. VI, 66, 5). La filosofia
ha dunque un’origine divina; è cosa utile e necessaria e propedeutica
alla filosofìa cristiana (Ibid. 67, 1). Strom. I, 16, 5: secondo alcuni la
filosofia trarrebbe impulso dagli angeli o sarebbe ispirata da potenze su­
bordinate. Sul tema: A. Andres, D ie Engel- und D àm onenlehre des
Klemens vonAlexandrien, «Ròmische Quartalschrift» 34 (1926), p. 322;
S.R.C. Lilla, Clement o f Alexandria. A Study in Christian Platonism and
Gnosticism, Oxford 1971; l’ampissimo commento di Pini, cit., pp. 81-82.

257
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

17 Poco sopra Clemente aveva detto che la λογική δύναμις, dell’ani­


ma umana, a differenza di quella animale, è in grado di scegliere le
«rappresentazioni» e di non farsi trascinare da esse (111,2).
18 Plat., Phaed. 230 d.
19 La nostra filosofìa - dice Clemente poco sopra (ibid. II, 110, 1) -
considera tutte le passioni impronte nell'anima che è tenera e cede­
vole e come sigilli delle potenze spirituali». Esse tentano di imporle la
propria εξις (110, 2); cfr. Orig., D epr. I, 6, 3*.
20 Mentre Basilide e Valentino, sia pure con argomenti e dottrine
diverse, considerano le passioni come spiriti maligni che prendono
possesso dell’anima a tal punto da obbligarla a peccare (Strom. II, 112,
1-115, 2*).
21 L’iterazione del peccato offusca la facoltà razionale dell'anima
che sempre meno è in grado di discernere i veri beni.
22 Non soltanto gli gnostici, ma anche autori venerati dalle Chiese
cristiane sostenevano la presenza di spiriti maligni nell'anima, per que­
sto era necessario chiarire il senso in cui andavano interpretati;
Clemente passa sotto silenzio Erma da lui citato più volte in riferi­
mento ad altre questioni, molto esplicito riguardo ai demòni dei peccati
e preferisce commentare un passo della Lettera di Bam aba (16, 6-7).
Clemente riesce a piegarlo ad esprimere i propri convincimenti, inter­
pretando l’espressione «casa di demoni», non in senso letterale, ma in
senso allegorico.
23 L’affermazione suona come una critica del carattere esoreistico
che nello stesso tomo di tempo stavano assumendo i riti battesimali,
sia fra gli gnostici, sia nella Grande Chiesa (cfr. introd. pp. 87-91 e
Exc. Theod. 80-82*).

258
ΑΤΠ DI GIOVANNI
(seconda metà del Π secolo)

La tradizione manoscritta degli Atti di Giovanni (= AIoJ pre­


senta ostacoli notevoli alla ricostruzione del testo; nessun
manoscritto infatti ha trasmesso la totalità del testo e le dif­
ferenti parti del racconto sono arrivate a noi attraverso vie
diverse. La disposizione primitiva del testo è dunque oggetto
di differenti ipotesi di ricostruzione. Secondo la proposta di
Junod-Kàstli1, l’ordine degli eventi narrati dal testo sarebbe
stato il seguente: dopo aver soggiornato a Mileto, Giovanni
si reca ad Efeso; qui si svolge il racconto relativo alla guari­
gione di alcune donne anziane (31-36*). Al termine del sog­
giorno in questa città, lancia la sfida agli adoratori di Arte­
mide, ne abbatte il tempio, ne risuscita il sacerdote (41-42*);
parte poi alla volta di Smime, ove Giovanni incontra il gio­
vane parricida (52-55*) e guarisce ifigli di Antipatro (56-57*).
In seguito, inizia un viaggio che lo porta in altre città non me­
glio identificabili e che termina a Laodicea Toma poi ad Efeso,
ove muore. Altri problemi sorgono allorché si tenti di indivi­
duare il genere letterario, l'ambiente di origine, il luogo di
composizione, il pubblico, la data ed i rapporti con gli altri
Atti Apocrifi. Il terminus a quo è fissato generalmente intor­
no al 1502 e il terminus ad quem intomo al 2003; il luogo
potrebbe essere VAsia Minore4 oppure l’Egitto5.

259
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

A cta I o h a n n is
30-32; 36; ed. Junod-Kàstli, pp. 181, 1 - 185, 6; 189, 14-156

30. Καί κελεύσας Βηρφ τφ διακονοΰντι αύτω άδελφφ τάς έν δλη


τχί ’ Εφέσφ άγαγεϊν πρεσβυτέρας ήτοιμάζετο άμα τη Κλεοπάτρα
καί τφ Λυκομήδει τα πρός έπιμέλειαν. ~Ηλθεν ούν ό Βηρος λέγων
αύτω· Ιωάννη, τών ένθάδε ούσών πρεσβυτίδων ύπερ έξήκοντα
τέσσαρας μόνον τώ σώματι ύγιαννούσας εύρον, τών δε λοιπών
τινας μέν παραλυτικός, αλλας δέ ύποκώφους καί τινας αρθρι­
τικός καί απαξ αλλας άλληνάλλως νοσούσας. ' Ο δέ ’ Ιωάννης
ταΰτα άκούσας καί έπί πολύ ήσυχάσας καί τό πρόσωπον αύτοΰ
άποτρίβων είπεν ’Ώ άτονία τών έν ’ Εφέσφ οίκούντων ώ πράγμα­
τα έκλελυμένα καί ασθένεια ή πρός τον θεόν· ώ χρόνφ έμπαίξας
’ Εφεσίων τοϊς πιστοΐς διάβολε- ’ Ιησοΰς μοι χάριν διδούς καί δω­
ρεάν έχειν με τής έν αύτω παρρησίας λέγει μοι νΰν σιγών·
Μετάπεμψαι τάς νοσούσας γραίας καί γενοΰ άμα αύταΐς έν τώ
θεάτρφ καί δι ’ έμοΰ θεράπευσον αύτάς· είσί γάρ τινες τών
έρχομένων έπί την θέαν ταύτην ούς διά τών τοιούτων ίάσεων εις
τι χρησίμων γενομένων έπιστρέψω.

31. Τοΰ δε παντός δχλου συνελθόντος πρός τόν Λυκομήδην


τοΰ ’ Ιωάννου ένεκα άπετάξατο πάσι λέγων· Αυριον γίνεσθε έν
τώ θεάτρφ όπόσοι βούλεσθε καί ίδέσθαι την τοΰ θεοΰ δύναμιν.
Οί δέ δχλοι τη έπαύριον έκ νύκιωρ συνηλθον εις τό θέατρον· ώς
καί τόν ανθύπατον γνόντα σπεΰσαι και συγκαθίσαι τφ παντί
δχλφ.
'Ανδρόνικος δέ τις στρατηγός, πρώτος ων τών ’ Εφεσίων κατ ’
έκεΐνο καιροΰ, έφήμιζεν αδύνατα καί άπιστα τόν ’ Ιωάννην
ύπισχνεϊσθαν Εί δέ τι τοιοΰτον όποιον άκούω, έλεγεν, έχει, τό
δημόσιον θέατρον άνεφγός είσιέτω γυμνός, μηδέν έπί τών χειρών
αύτοΰ κρατών, μηδέ τό μαγικόν έκεϊνο όνομαζέτω δνομα δ
άκηκοα αύτοΰ λέγοντος.
32. Ταΰτα ούν γνούς ό ’ Ιωάννης καί κινηθείς ύπό τών
ρημάτων τούτων έκέλευσε τάς πρεσβύτιδας εις τό θέατρον

260
ATTI DI GIOVANNI

Ατπ d i G io v a n n i

30. Dopo aver ordinato a Vero, il fratello che lo serviva, di


condurre tutte le donne anziane di Efeso, (Giovanni) insie­
me a Cleopatra e Licomede, si mise a fare i preparativi ne­
cessari. Quando giunse. Vero gli disse: «Giovanni, le don­
ne anziane della città sono più di sessanta e ne ho trovate
soltanto quattro in buona salute; tra le altre, alcune sono
paralitiche, alcune sorde, alcune artritiche, altre ancora af­
fette da varie malattie». A queste parole, Giovanni restò a
lungo in silenzio passandosi le mani sul viso e disse: «O de­
bolezza degli abitanti di Efeso! Che fiacchezza nei costumi e
ignavia verso Dio! O diavolo7, sei riuscito alla fine a divertirti8
con i fedeli di Efeso! Gesù che mi ha concesso il suo favore
e il dono di essere in confidenza con lui, mi sta ora dicendo
in silenzio: “Fa venire le donne anziane malate, va con loro
nel teatro e, per mio tramite, risanale; fra quelli venuti ad as­
sistere allo spettacolo ne convertirò alcuni mediante guari­
gioni tali da essere utili”»9.
31. Una folla intera si era riunita a casa di Licomede a
causa di Giovanni; egli salutò tutti dicendo: «Domani venite
nel teatro, voi che volete vedere la potenza di Dio». Il giorno
dopo, quando ancora era notte, la folla si riunì nel teatro;
così si affrettò a venire anche il proconsole che era venuto
a conoscenza della cosa e prese posto con tutti gli altri.
Uno stratega di nome Andronico - in quel tempo, uno
dei cittadini più in vista di Efeso - dichiarava che Giovanni
prometteva di fare cose impossibili e incredibili: «Ma se egli
- diceva - è capace di fare ciò di cui sento dire, che entri
nudo nel teatro, senza tenere nulla nelle mani e senza pro­
nunciare il nome magico che gli ho sentito dire»10.
32. Quando Giovanni lo venne a sapere, rimase scosso
dalle parole dello stratega ed ordinò che le donne anziane

261
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

άχθήναι. 'Ως δέ είσήχθησαν πασαι, αί μέν κραββάτοις αί δέ νυ-


σταγμφ κείμεναι αύτών, εις τό μέσον [καί] της πόλεως
συνδραμούσης, σιγής πολλή γενομένης, ό ’ Ιωάννης άνοίξας τό
στόμα αύτοϋ ήρξατο λέγειν [...]·

36. [...] Καί ταΰτα είπών ό ’ Ιωάννης δυνάμει θεοΰ ίάσατο πάσας
τάς νόσους.

41-42; ρρ. 221, 1 - 223, 12

41. 'Ο θεός, ό ύπέρ πάντων λεγομένων θεών ύπάρχων θεός· ό


μέχρι σήμερον έν τη Έφεσίων πόλει άθετούμενος· ό ύποβαλών
μου τη διανοία έλθεΐν είς τόν τόπον τοϋτον δν ούδέποτε έν νώ εί-
χον· ό πάσαν θεοσέβειαν έλεγξας διά της σης έπιστροφής· ού όνό-
ματι παν εϊδωλον φεύγει καί πας δαίμων, <πδσα> δύναμίς τε καί
πάσα ακάθαρτος φύσις- καί νϋν φεύγοντος όνόματι τφ σφ τοΰ
ένθάδε δαίμονος, δστις πλανά τοσοΰτον όχλον, δειξον τό σόν
έλεος έν τφ τόπω τούτφ, δτι πεπλάνηνται.

42. Καί αμα τφ λέγειν τον ’ Ιωάννην ταΰτα έξαπίνης ό βωμός


της ’ Αρτέμιδος διέστη είς μέρη πολλά, καί τα έν τφ ναφ άνακεί-
μενα άφνω πάντα είς έδαφος έπεσε καί το τόξον αύτών διερράγη,
ομοίως καί τών ξοάνων πλεΐον τών έπτά, καί τό τοΰ ναοΰ ήμισυ
κατέπεσεν, ώς καί τόν ιερέα κατερχομένου τοΰ στήμονος μονό-
πληγα άναιρεθηναι. 'Ο ούν δχλος Έφεσίων έβόα· Είς θεός
’ Ιωάννου, είς θεός ό έλεών ημάς, δτι σύ μόνος θεός· νΰν έπε-
στρέψαμεν όρώντές σου τα θαυμάσια· έλέησον ημάς, ό θεός, ώς
θέλεις, καί της πολλής πλάνης ρΰσαι ημάς.

Καί οί μέν αύτών έπ’ όψιν κείμενοι έλιτάνευον οί δέ τα γό­


νατα κλίνοντες έδέοντο· οί δέ τάς έσθητας διαρρήξαντες έκλαιον
οί δέ φυγεΐν έπειρώντο.

262
ATTI DI GIOVANNI

fossero subito condotte nel teatro. Quando tutte furono fat­


te entrare al cospetto dell’intera cittadinanza che si era lì
riunita - le une sui letti, le altre distese in preda al loro tor­
pore - in mezzo al silenzio generale, Giovanni prese la parola
e cominciò a dire [...]n .
36. [...] E dopo questo discorso, Giovanni guarì tutte le
malattie attraverso la potenza di Dio.

41. «O Dio12, tu che sei superiore a tutti quelli che si dico­


no dèi; tu che fino ad oggi, nella città di Efeso, sei rifiuta­
to; tu che mi hai suggerito di venire in questo luogo, cosa
che non pensavo (di fare)13; tu che hai confutato ogni culto
degli dèi con la conversione che tu provochi14; tu, nel cui
nome fugge ogni idolo, ogni demone, ogni potenza, ogni na­
tura impura: anche ora fa’ fuggire per mezzo del tuo nome
il demone che abita qui e che inganna una moltitudine co­
sì grande; mostra in questo luogo la tua misericordia, per­
ché essi sono neH’errore».
42. E contemporaneamente a queste parole di Giovann
subito l’altare di Artemide andò in pezzi, all’improvviso tut­
ti gli oggetti consacrati caddero al suolo e il loro arco15 si
frantumò; lo stesso accadde a più di sette statue; metà del
tempio crollò di modo che il sacerdote rimase ucciso sul col­
po dal crollo deH’architrave16. Allora la folla degli Efesini
gridò: «Unico è il Dio di Giovanni, unico è il Dio che ha mi­
sericordia di noi, perché tu sei il solo Dio. Ora, alla vista dei
tuoi prodigi, siamo convertiti; o Dio, abbi pietà di noi e, se
vuoi, salvaci dal grande errore»17.
E alcuni di loro, con la faccia a terra, rivolgevano suppliche;
altri si inginocchiavano e pregavano; altri piangevano strap­
pandosi le vesti; altri ancora tentavano di darsi alla fuga.

263
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-II1

54; pp. 237, 1 - 239, 15

[...] Ό δέ ’ Ιωάννης είπεν αύτώ· Ό ύποβαλών σοι, νεανίσκε, τόν


πατέρα σου άποιαενναι καί μοιχόν άλλοτρίας γοναικός γενέσθαι,
ούτός σοι ώς δίκαιον έργον καί τό άφελεΐν τα ακαιρα έποίησεν.
’'Εδει δέ σε ούχί τούς τόπους άφανίσαι, άλλα την έννοιαν, ήτις
διά τών μορίων έκείνων έδείκνυτο χαλεπαίνουσα· ού γάρ τα όρ­
γανά έστι βλαπτικά τω άνθρώπω άλλ’ αί αφανείς πηγαί δι’ ών
πάσα κίνησις αισχρά κινείται καί είς τό φανερόν πρόεισιν.
Μετεγνωκώς ούν, τέκνον, έπί τη τοιαύτη αιτία καί καταμαθών
τάς τοΰ Σατανά τέχνας έχεις τον θεόν βοηθοΰντά σοι είς πάντα
τά της ψυχής σου έχρήζοντα. ' Ο δέ νεανίσκος ήσυχάζων προ-
σεκαρτέρει μετεγνωκώς έπί τοΐς προτέροις άμαρτημασιν δπως
άφέσεως τύχη παρά της τοΰ θεοΰ χρηστότητος, καί ούκ έχωρίζε-
τοτοΰ Ίωάννου.

56-57; ρρ. 239, 1 - 243, 11

56. ’ Εξελθόντες ούν άπό ’ Εφέσου ήλθαμεν έν Σμύρνη τη πόλει.


Συνηλθεν δέ πάσα ή πόλις γνοΰσα τόν ’ Ιωάννην έπιδημήσαντα·
καί τις άνηρ ’ Αντίπατρος όνόματι, Σμυρναίων πρώτος, προσηλθεν
τφ ’ Ιωάννη λέγων Δοΰλε τοΰ θεοΰ, πολλά άγαθά καί μεγάλα
θαυμάσια άκούω ποιήσαντά σε έν ’ Εφέσω. ' Ιδού μυριάδας δέκα
κρυσίου δίδωμί σοι· έχω δέ νεανίσκους δύο διδύμους ο'ίτινες αμα
τω γεννηθήναι αύτούς ύπό δαίμονος πληγέντες μέχρι τοΰ νΰν
πάσχουσιν δεινώς - έτών γεγονότες τριάκοντα καί τεσσάρων -
μια ώρα καταπίπτοντες άμφότεροι, ώς ποτέ μέν έν βαλανείω
λαμβάνεσθαι αύτούς, ποτέ δέ έν περιπάτω, πολλάκις δέ καί έπί
τραπέζης, ποτέ δέ καί έν τω κοινώ συνεδρίφ της πόλεως. “Οψη δέ
καί αύτός αύτούς εύμεγέθεις άνδρας, μεμαραμμένους δέ ύπό της
καθημερινης αύτούς έπαγομένης νόσου. Δέομαι σου, βοήθησον τφ
γηρει μου. Σκέπτομαι γάρ λογισμόν τινα έαυτώ έπάγειν· οτε γάρ
βρέφη ήσαν, έπασχον μετρίως, νΰν δέ άνδρεΐοι γεγόνασιν,

264
ATTI DI GIOVANNI

[...1 Giovanni gli (se. al giovane) disse18: «O giovane, colui


che ti ha posto in mente19 di uccidere tuo padre e di di­
ventare l’amante di una donna d’altri, è lo stesso che ti ha
presentato come azione giusta l’amputazione delle pudende.
Non dovevi eliminare le parti del corpo, ma il pensiero, che
si mostrava nocivo attraverso quelle membra. Infatti non
sono quegli organi a danneggiare l’uomo, ma le fonti invi­
sibili, attraverso cui ogni turpe impulso è messo in moto e
giunge allo scoperto20. Se, dunque, figliolo, ti penti di que­
sta colpa e se capisci gli artifìci di Satana, potrai contare
sull’aiuto di Dio in tutto ciò di cui la tua anima ha bisogno».
E il giovane, pentitosi dei suoi peccati precedenti, perseve­
rava a vivere in pace, al fine di ottenere il perdono dalla
bontà di Dio e non si separava da Giovanni.

56. Dopo la partenza da Efeso ci recammo dunque nella


città di Smime. Alla notizia dell’arrivo di Giovanni, l’intera
città si riunì; un notabile della città, di nome Andronico, si
avvicinò a Giovanni dicendo: «Servo di Dio, sento dire che
in Efeso hai fatto un gran bene ed hai compiuto grandi mi­
racoli. Ecco, ti offro mille pezzi d'oro; ho due figli gemelli
che, colpiti da un demone, dalla nascita fino ad oggi han­
no sofferto in modo terribile; hanno trentaquattro anni.
Cadono a terra nello stesso momento e vengono posseduti
talora nel bagno, talora mentre passeggiano, spesso a ta­
vola, talora durante l’assemblea pubblica della città. Vedrai
tu stesso che sono uomini di alta statura, ma consumati
dalla malattia che li colpisce ogni giorno. Ti prego, soccor­
ri la mia vecchiaia. In me si sta facendo strada un pensie­
ro21: quando erano piccoli, soffrivano moderatamente; ora

265
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

άνδρειοτέρους καί τούς δαίμονας έπορίσαντο. ’ Ελέησον ούν κάμε


καί αύτούς.
' Ο δέ ’ Ιωάννης είπεν αύτώ- ' Ο έμός ιατρός μισθόν αργυρίου
ού λαμβάνει, άλλ ’ ίώμενος δωρεάν τάς τών ίαθέντων ψυχάς
κατάλλαγμα τών νόσων καρπίζεται. Τί άρα θέλεις, 'Αντίπατρε,
κατάλλαγμα τών παίδων; Την ιδίαν ψυχήν τώ θεώ παραστήσας
καί εξεις τούς παΤδάς σου ύγιεΐς τη δυνάμει τοΰ Χριστοΰ. ' Ο δέ
’ Αντίπατρος είπεν· Ούδένα έως τοΰ νΰν παρεϊδες, μηδέ τούς έμούς
υιούς. Πάντων γάρ τών συγγενών μου <συγγνόντων> σκέπτομαι
φαρμάκω αύτούς άνελεΐν διά το κατάγελως. Σύ δέ παραγενόμενος
ώς πιστός ιατρός αύτοΐς ύπό τοΰ θεοΰ έπιστάς έπιλάμψας βοήθη-
σον.

57. 'Ο ούν Ιωάννης παρακληθείς είπεν πρός τόν κύριον


παρακαλών άεί τούς ταπεινούς καί παρακαλούμενος, ό μή
διαμείνας πώποτε παρακληθήναι, αύτός γάρ προ τοΰ άρξασθαι
ήμάς παρών, άπελασθήτωσαν τά ακάθαρτα πνεύματα άπό τών
υίών 'Αντιπάτρου. Καίεύθέωςέξήλθονάπ’ αύτών. 'Εκέλευσεν
δε ό ’ Ιωάννης έλθεϊν τούς παίδας- καί ίδών αύτούς ό πατήρ αύτών
ύγιεΐς έπεσεν καί προσεκύνησεν τώ ’ Ιωάννη. [...] Καί παρήγγει-
λεν τώ ’ Αντιπάτρω ό ’ Ιωάννης χρήματα δοθήναι τοΐς χρείαν
εχουσιν καί άπέλυσεν αύτούς αίνοΰντας καί εύλογοΰντας τόν
θεόν.

114; ρρ. 313, 26 - 315, 11

Καί έρχομένου μου πρός σέ ύποχωρησάτω πΰρ· νικηθήτω σκότος·


άτονησάτω χάος- μαρανθήτω κάμινος· σβεσθήτω γέεννα-
έντραπήτωσαν άγγελοι- φοβηθήτωσαν δαίμονες- θραυσθήτωσαν
άρχοντες· δυνάμεις πεσέτωσαν- δεξιοί τόποι στηκέτωσαν· αρι­
στεροί μή μεινάτωσαν ό διάβολος φιμωθήτω- ό Σατανάς κατα-
γελασθήτω- ό θυμός αύτοΰ έκκαυθήτω- ή μανία αύτοΰ
ήρεμησάτω- ή τιμωρία αύτοΰ άσχημονείτω- ή όρμή αύτοΰ
όδυνάσθω- τά τέκνα αύτοΰ πασχέτω καί δλη ή ρίζα αύτοΰ

266
ATTI DI GIOVANNI

che sono uomini, si sono attirati demoni più forti. Abbi pietà
di me e di loro».
Giovanni rispose: «Il mio medico non accetta un com­
penso di argento, ma guarisce gratuitamente e in cambio22
delle malattie coglie il frutto delle anime di coloro che ven­
gono risanati23. Che cosa vuoi offrire Antipatro in cambio
dei tuoi figli? Se offri la tua anima a Dio, riavrai anche i fi­
gli sani attraverso la potenza di Cristo». Antipatro rispose:
«Finora non hai trascurato nessuno; non trascurare i miei
figli. Infatti, con l’accordo di tutti i miei parenti, sto medi­
tando di ucciderli con il veleno, per sottrarmi alla derisio­
ne24. Ma tu che sei venuto come un medico fedele da parte
di Dio rivolgiti a loro, illuminali e soccorrili».
57. Così supplicato, Giovanni disse rivolto al Signor
«Tu che soccorri sempre gli umili e che sei chiamato in aiu­
to, tu che non hai mai atteso che ti supplicassero, perché
sei presente, ancor prima che si cominci (a supplicarti), che
gli spiriti impuri siano espulsi dai figli di Antipatro». E su­
bito uscirono da loro. Giovanni ordinò di far venire i figli; il
padre, vedendoli sani, cadde in ginocchio davanti a Giovanni
[.. ]. Giovanni invitò Antipatro a dare il suo denaro a coloro
che ne avevano bisogno e si allontanò da loro mentre loda­
vano e benedicevano Dio.

«E25 mentre giungo presso di te, che il fuoco si ritiri, che la


tenebra sia vinta26, che il caos sia reso impotente27, che la
fornace si estingua, che la geenna si spenga, che gli ange­
li28 vengano sconvolti, i demoni siano spaventati, gli arconti
siano schiantati, le potenze soccombano, che i luoghi di de­
stra stiano saldi, che quelli di sinistra non rimangano29,
che il diavolo sia messo a tacere, che Satana sia schernito,
il suo furore consumato dal fuoco, la sua pazzia acquieta-

267
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-IIl

άπορρηθήτω. Καί δός μοι τήν πρός σε όδόν άνύβριστον καί


άνεπηρέαστον διανύσαι, άπολαμβάνοντα απερ ύπέσχου τοΐς
καθαρώς βιώσασιν καί σέ μόνον άγαπήσασιν.

268
ΑΤΠ DI GIOVANNI

ta, che la sua vendetta lo copra di ignominia, il suo zelo sia


frustrato, che i suoi figli soffrano e che tutta la sua stirpe
soccomba. E concedimi che il viaggio presso di te arrivi al
termine senza oltraggi ed offese, per ricevere ciò che hai
promesso a coloro che hanno condotto una vita pura, aman­
do te solo».

NOTE

1 Acta Iohannis, cura E. Junod et J.-D. Kàstli (Corpus Christiano­


rum, Series Apocryphorum, 1), T. I: Praefatio-Textus, Tumhout 1983,
pp. 98-100.
2 Erbetta, cit., II, p. 33, accetta tale data per la composizione
dell’opera.
3 Così Junod-Kàstli, cit., T. II, p. 695. VI è chi propone una data
più tarda, sulla base della considerazione che soltanto Eusebio cita
A lo (cfr. K. Schàferdiek, in E. Henneke - W. Schneemelcher, Neutesta-
mentliche Apocryphen, Tubingen 1971, t. II, p. 143).
4 Così Erbetta, c it, II, p. 33.
5 Junod-Kàstli, cit., t. II, pp. 689-694.
6 L'edizione critica è quella citata alla η. 1.
7 L'immoralità degli abitanti di Efeso ha permesso al diavolo di col­
pirli con le malattie, le quali dunque sono considerate frutto dell’in­
tervento diabolico.
8 L’espressione è quasi un termine tecnico per indicare l'opera del
diavolo all’interno dell’uomo; in A lo 50, Giovanni così risponde al pro­
positi omicidi e suicidi del giovane parricida (per il contesto cfr. infra e
introd. p. 94): * Per non lasciare spazio, andandomene e abbando­
nando te che sei in pericolo, a colui che vuole ridere (γελάν) e divertir­
si in te (παίζειν), vieni con me e mostrami dove giace tuo padre. Se io
lo risusciterò per te, riuscirai ad allontanarti dalla donna die è stata l’oc­
casione della tua caduta?».
9 Le guarigioni o i miracoli di origine divina hanno sempre lo sco­
po della conversione dal paganesimo al cristianesimo o da un genere
di vita dissipato ad uno virtuoso.
10 Questa richiesta singolare va collocata sullo sfondo della con­
tinua preoccupazione di distinguere i miracoli di origine divina da quel­
li ottenuti con il ricorso alla magia ed ai suoi strumenti usuali (amu­

269
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

leti, formule magiche, filtri etc). La richiesta di Andronico si spinge ol­


tre: egli non vuole sentire pronunciare alcun nome, nemmeno quello di
Gesù Cristo che accompagna di solito l’esorcismo cristiano. Nel caso
particolare, Giovanni l’accontenta, dimostrando che l’unico principio ve­
ramente efficace nel miracolo cristiano è la «potenza» di Dio. Il proble­
ma della distinzione del miracolo compiuto dal mago da quello com­
piuto dall’«uomo divino» è sentito anche in ambito non cristiano; cfr.
Philos., Vita ApolL Vili, 3; 12, ove anche ad Apollonio si ordina di com­
parire davanti all’imperatore nudo, senza amuleti, né scritti.
11 Segue un lungo appello alla conversione di carattere parenetico.
12 Malgrado i miracoli compiuti ad Efeso, gli abitanti di quella città
continuano ad adorare Artemide. Prima di partire, Giovanni si reca al
tempio e propone ai presenti una sfida: essi dovranno pregare la loro
dea di farlo morire; se questo non succederà, sarà lui a pregare il ve­
ro Dio di farli morire tutti a causa della loro incredulità. I presenti lo
scongiurano di non farlo, allora Giovanni rivolge a Dio la preghiera di
manifestare l’impotenza della dea.
13 Giovanni aveva avuto in proposito una visione (Alo 18); è un mo­
tivo ricorrente degli AA, in cui la figura dell’apostolo è sempre un doci­
le strumento di Dio che lo guida nelle sue peregrinazioni: cfr. APtV.
14 La «conversione» coincide con la cacciata dei demòni, mediante
un atto esoreistico, che è colto non «in interiore hominis», ma nelle sue
manifestazioni sensibili, prodigiose (cfr. sotto le parole degli Efesini).
Il racconto appare come la trascrizione su un plano narrativo delle
idee guida dell’apologetica cristiana coeva: identificazione degli dèi del­
le religioni ellenistiche con i demòni: importanza dell’esorcismo e dei mi­
racoli come prova della divinità del cristianesimo. Quest’ultimo aspet­
to può però considerarsi anche come la consapevole imitazione degli
Atti canonici. Anche in essi la conversione è presentata come conse­
guenza, oltre che della predicazione, dell’atto taumaturgico dell’apo­
stolo (Act. 3, 1-10; 4, 1-4; 5, 12-16; 8, 5-8; 9, 42-43).
15 Si tratterebbe dell’arco che è uno degli attributi principali di
Artemide.
16 II termine στήμονος significa trama, ordito. Gli editori hanno
mantenuto la lezione ritenendo che il termine, che equivale al latino
temo, possa anche designare il timone di un carro; quindi in senso tra­
slato «traversa», «trave di sostegno». G. C. Stead, Conjectures on thè
Acts oJJohn, «Journal of Theological Studies» 32(1981), pp. 152-153,
propone di leggere στύλου. Come negli individui la cacciata dei demò­
ni coincide spesso con un parossismo della malattia, così la cacciata del
demonio dal luogo da lui abitato, coincide con la distruzione parziale

270
ATTI DI GIOVANNI

del tempio. Il motivo narrativo della distruzione del tempio pagano ha


precedenti nella tradizione giudaica (cfr. Libro d i Giobbe 3; Libro dei
Giubilei XII, cfr. Junod-Kàstli, II, p. 505) e anticipa le distruzioni rea­
li dei secoli IV e V, quando la demonizzazione degli spazi sacri e degli
dèi si salderà con il mutamento dei rapporti di forza fra cristianesimo
e religioni ellenistiche.
17 Per i paralleli di questa acclamazione nella letteratura apocrifa
ed aretalogica, cfr. E. Peterson, ΕΙΣ ΘΕΟΣ, Gòttingen 1926, pp. 185-
186; 213-216.
18 II testo contiene le considerazioni conclusive dell'Apostolo su
un vero e proprio dramma passionale (per il contesto narrativo cfr. in­
trod. p. 94). È una delle parti dell'opera in cui più chiaramente appa­
re la dipendenza dal genere letterario del romanzo greco; R. Sóder, Die
apokryphen, cit., p. 143; dipendenza che in A lo 48 si spingerebbe fino
a riprendere testualmente alcune espressioni del romanzo di Caritone:
cfr. Junod-Kàstli, cit., II, p. 518. Da un punto di vista demonologico, il
brano offre l'opportunità di cogliere il pensiero dell’autore sugli aspet­
ti psicologici dell’azione di Satana.
19 Si noti che è la stessa espressione usata in A lo 41* per indica­
re il modo con cui Dio guida, per mezzo delle visioni, l’apostolato di
Giovanni.
20 Junod-Kàstli, cit., II, pp. 522-523, interpretano queste parole
alla luce della psicologia stoica, di cui sarebbero una versione «vulga-
risée, qui subit diverses influences». In tale prospettiva, sembrerebbe
che qui l’Apostolo intenda dire che le radici del peccato vadano ricer­
cate all’intemo dell'uomo, nella sua incapacità di dominare con la ra­
gione la κίνησις impura che sgorga dalle fonti invisibili, le quali, se­
guendo il pensiero stoico, sarebbero localizzate nel λογισμός. Le paro­
le di Giovanni sarebbero, dunque, da considerarsi come un correttivo
a quelle del giovane adultero che, a più riprese, indica al di fuori di se
stesso le cause delle proprie azioni malvagie. Esse, in breve, richia­
merebbero l’attenzione del lettore cristiano verso l’economia divina in­
visibile che concerne l’anima, verso le realtà astratte che si nascon­
dono dietro la lussureggiante foresta del meraviglioso: «dérrière l’hi-
stoire du parricide, le chrétien comprendra qu’il s’agit, non pas de
I’aventure de tei homme particulier, mais de toute àme qui parvient
au calme après avoir subi les assauts impétueux de désirs honteux»
(voi. I, p. 688). I motivi per cui una simile interpretazione mi lascia
perplessa sono molteplici. In primo luogo, se consideriamo l’insieme
dell’opera, il peccato è sempre ricondotto all’azione di Satana (si con­
sideri ad esempio, l’invettiva citata nell’introd. p. 94) di Giovanni con­

271
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

faro 11diavolo, a causa della mancata conversione di Fortunato: A lo 84.


Direi che è una peculiarità degli AA, almeno dei più antichi, quella di
sottolineare la parte di Satana nel peccato dell’uomo, sfiorando tal­
volta un certo automatismo psicologico (cfr. A Pt Vili* e introd. p. 94).
In secondo luogo, nell'episodio del giovane parricida, è lo stesso Giovanni
che allude ad una presenza diabolica all’lntemo del giovane (50; 49).
Inoltre, se consideriamo la struttura del cap. 54, notiamo che esso si
apre con l'esplicita attribuzione a Satana delle azioni del giovane e si
conclude con l'affermazione che la salvezza dipende dal pentimento e
e dalla comprensione degli artiilzl di Satana. Queste considerazioni ci
spingono a cercare anche per le 11. 6-9 un’interpretazione delle origini
del peccato omogenea a quanto viene detto nel contesto immediato ed
in quello più generale dell'opera. Credo che il nocciolo della questione
sia nell’interpretazione dell’espressione «fonti invisibili»; esse non mi
sembrano corrispondere al concetto stoico di λογισμός, ma si riferi­
scono all’azione di Satana come fonte di ogni comportamento malvagio.
In A lo 84, p. 289, 3, questi è definito: πηγή ψυχής μενούσης έν ρυπφ: sol­
tanto In questa luce si capisce il riferimento immediatamente succes­
sivo alle τέχναι di Satana: è appunto dalle invisibili trame di Satana
che sgorgano 1pensieri che fanno commettere le azioni più turpi.
21 Del proposito, cioè, di uccidere 1figli, come dice dopo.
22 L'editore propone di Intendere κατάλλαγμα come καταλλαγμήν
(cfr. voi. I, p. 240, n. 4).
23 Per il tema del rifiuto del compenso come altro elemento che di­
stingue il mago da colui che agisce in nome di Dio, cfr. sopra pp. 142-
143).
24 Altro termine non attestato; l’editore propone la congettura: το
καταγελάν {Ibid. p. 241, n. 7).
25 II brano costituisce la parte finale della lunga preghiera pro­
nunciata da Giovanni prima di morire. Nella forma di un Iterato esor­
cismo, d viene offerto lo scenario pauroso del viaggio dell'anima dopo
la morte con 1 suoi incontri inquietanti.
26 La tenebra, il fuoco, la geenna appartengono all'immaginario
prima giudaico e poi cristiano relativo al di là; cfr. Teyssèdre, il diavo­
lo. c it, pp. 218-221.
27 II luogo ove abitano 1 demòni (cfr. Orig., Ho. Ios. VIII, 2*), qui
presentato in forma ipostatizzata come una potenza negativa.
28 L'accurata enumerazione di tutti i «nomi» delle potenze maligne
risponde all'intento di rendere efficace il tentativo di neutralizzarle con
l’esorcismo. Dopo la morte, l'anima doveva attraversare i diversi dell:
se le potenze maligne trovavano in essa qualche peccato, potevano

272
ΑΤΠ DI GIOVANNI

trattenere l'anima ed impedirle di raggiungere i cieli superiori (cfr. Visto


P a u liXI*; Orig., Ho. Ps. XXXVI, V, 11; Ho. Le. XXXV*) . Di questo viag­
gio vengono qui descritti i passaggi più pericolosi, quelli che attraver­
sano i luoghi dominati dalle potenze malvagie, cfr. Culianu, Démoni-
satton, c it, pp. 50-51.
29 Non è una contraddizione l’esistenza di potenze di destra, quin­
di positive (questa potrebbe essere l’interpretazione del termine «luoghi»)
che assistono anch’esse l'anima durante il suo viaggio (cfr. Visto Pauli
XI*). Sul tema delle potenze di destra e di sinistra cfr. Bianchi, cit,
pp. 169 sgg.

273
ATTI DI PIETRO
(seconda metà del II secolo)

Gli Atti di Pietro (=APt) sono stati tramandati attraverso una


traduzione latina, di cui l'unico testimone è un ms. di Vercelli
del VII secolo. Dal momento che, per alcune parti, disponia­
mo anche dell’originale greco, è stato possibile verificare la
sostanziale fedeltà di questa traduzione, i cui errori derivano
più da una scarsa comprensione del greco, che non da con­
sapevoli ritocchi1. Sulla base di elementi interni ed esterni
al testo, è stata prospettata l’ipotesi che il testo greco degli
APt fosse già un adattamento di un racconto più lungo che
avrebbe narrato l’operato di Pietro prima a Gerusalemme e
poi a Roma2. Soltanto il racconto di questa seconda parte
della sua vita sarebbe confluito negli APt. Tale adattamento
sarebbe stato composto nei primi due decenni del m secolo3.
Per quanto riguarda il luogo di composizione, ne sono stati
proposti diversi: Asia minore e, in modo più circoscritto la
Bitinia; Alessandria e Roma4.
L’opera narra della dispersione della Chiesa di Roma cau­
sata dai prodigi di Simone, che si proclamafiglio del vero dio.
Pietro, guidato da una visione, arriva a Roma e, dopo nume­
rosi miracoli e guarigioni, converte i Romani e sconfìgge Si-
mone. R racconto si chiude con il martirio di Pietro.
I passi seguenti riguardano due temi essenziali per la d
monologia: l’azione di Satana sul mondo e sull’umanità e la
sconfitta di esso ad opera di Cristo5.

275
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

A c t a P etri
Vili; ed. Vouaux, pp. 282-286®

O artes variae et temptationes diaboli! O machinationes et


adinventiones malorum! Qui sibi in die iracundiae ignem
maximum nutrit, exterminium hominum simplicum, lupus
rapax, vorator et dissipator vitae aeternae! Tu priorem ho­
minem concupiscentia inretisti et pristina nequitia tua et
corporali vinculo obligasti; tu es fructus arboris amaritu­
dinis totus amarissimus, qui varias concupiscentias inmit-
tis. Tu ludam condiscipulum et coapostolum meum coegi­
sti inpie agere, ut traderet dominum nostrum Iesum
Christum, qui de te poenas exigat necessé est. Tu Herodis
cor indurasti et Pharaonem inflammasti et coegisti pugna­
re contra sanctum servum Dei Moysen, tu Caifae audaciam
praestitisti, iniquae multitudini ut dominum nostrum Iesum
Christum traderet, et usque adhuc sagittis tuis veneficis,
animas innocentes sagittas. Improbe inimice omnium, ca-
tathema ab eius ecclesia filii Dei sancti omnipotentis, et
tamquam titio de foco eiectus extingueris a servis domini
nostri Iesu Christi. In te nigritudo tua et in natos tuos, se­
men pessimum, in te convertantur nequitiae tuae et in te
minae tuae et in te temptationes tuae et in angelis tuis,
principium malitiae, tenebrarum abyssus! Quas habes te­
nebrae tuae tecum sint et cum vasis tuis quae possides.
Discede itaque ab his qui credituri sunt Deo, discede a ser­
vis Christi et illi volentibus militare. Habeto tu tibi tuas tu­
nicas tenebrarum; sine causa pulsas aliena ostia, quae
non sunt tua sed Christi Iesu qui ea custodit. Tu enim, lu­
pe rapax, volens abripere pecora quae tua non sunt, sed
sunt Christi Iesu qui custodit ea diligenter summa cum di­
ligentia.

276
ATTI DI PIETRO

Ατπ d i P ie t r o

«O artifìci e tentazioni mutevoli del diavolo! O macchina­


zioni ed espedienti di maleficii Per il giorno dell’ira, egli ali­
menta per sé il fuoco più grande; sterminio dei semplici; lu­
po rapace che divora ed annienta la vita eterna! Tu che hai
catturato il primo uomo con la concupiscenza e che l’hai
legato con l’antica tua malvagità e con la catena del corpo,
sei tu, frutto totalmente amaro dell’albero dell’amarezza,
che ispiri le diverse concupiscenze7. Tu hai costretto8 Giuda,
che era come me discepolo e apostolo, ad agire empiamen­
te ed a consegnare il Signore nostro Gesù Cristo e neces­
sariamente egli ti punirà per questo; tu hai indurito il cuo­
re di Erode ed hai esacerbato il Faraone fino a costringerlo
a combattere contro Mosé, il santo servo di Dio9; tu hai da­
to a Caifa l’audacia di consegnare il Signore nostro Gesù
Cristo alla folla iniqua10 e ancora oggi trafiggi con le tue
frecce velenose11 le anime innocenti12. O scellerato nemi­
co13 di tutti, anatema14 da parte della Chiesa del Figlio di
Dio santo e onnipotente e, come tizzone (cfr. Am. 4, 11) get­
tato fuori dal focolare, verrai spento dai servi del Signore
Nostro Gesù Cristo. Contro te ed i tuoi figli15, stirpe malva­
gia, si ritorca il nero16 della tua malvagità, contro te le tue
minacce, contro te ed i tuoi angeli le tue astuzie, tu che sei
principio del mède17, abisso di tenebre18! Che le tue tene­
bre restino con te e con i vasi19 che ti appartengono.
Allontanali (cfr. Mt. 7, 23; Le. 13, 25) dunque da coloro che
crederanno in Dio, allontanati dai servi di Cristo e da colo­
ro che vogliono servirlo. Tieniti le tue tuniche di tenebre20;
senza motivo batti a porte estranee che non appartengono
a te, ma a Cristo che le custodisce. Tu, infatti, lupo rapa­
ce, vuoi rapire pecore che non sono tue, ma di Cristo Gesù
che le custodisce con la massima cura».

277
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

A c t a P e to

XXII; pp. 358-360

Marcellus autem breviter in somno conversus, expergefac­


tus dixit ad Petrum: Apostole Christi Petre, audaciter acce­
damus ad propositum. Nunc enim in somno breviter con­
versus, vidi in excelso loco sedentem <te> et ante turbam
magnam, et mulierem quendam turpissimam, in aspectu
Aethiopissam, neque Aegyptiam, sed totam nigram, sordi­
dis pannis involutam, in collo autem torquem ferream et in
manibus et in pedibus catenam, saltantem. Videns magna vo­
ce dicebas ad me: Marcelle, omnis virtus Simonis et Dei
ipsius haec est, quae saltat: decolla eam. Et ego tibi dice­
bam: Petre frater, senator sum generis magni et nunquam
manus meas maculavi, neque passerem aliquando occidi.
Et tu hoc audito plus clamare coepisti: Veni, verum gladium
nostrum, Iesu Christe, et non tantum caput eius praecidas
daemonis, sed et omnia membra eius concide, palam istis
omnibus quos in tua militia probavi. Et continuo tibi similis,
Petre, tenens gladium totam eam concidit usque adeo ut in­
tenderem ego vos ambos, et tibi et illi qui concidebat illum
daemonium, tam similes cum mea magna admiratione.
Expergefactus haec tibi rettuli signa Christi.

278
ΑΤΠ DI PIETRO

Ma Marcello21 cadde in un breve sonno e, al suo risveglio,


disse a Pietro: «Pietro, Apostolo di Cristo, affrontiamo con
coraggio l’impresa. Infatti, or ora, durante il mio breve son­
no, ho visto (te) che stavi seduto in un luogo molto elevato
di fronte ad una grande folla22, e una donna oscena, Etiope
d'aspetto, non Egiziana, ma completamente negra23, avvol­
ta in luridi stracci, con al collo un collare di ferro, con le
mani ed i piedi incatenati24, che stava danzando25. Mentre
guardavo, tu con voce potente mi dicevi: “Marcello, costei
che danza è tutta la potenza26 di Simone e del suo Dio: ta­
gliale la testa”. E io ti rispondevo: “Pietro, fratello, sono un
senatore di nobile stirpe e non mi sono mai macchiato le
mani, né mal ho ucciso neppure un passero". E, all’udire
queste parole, tu cominciasti a gridare a voce ancor più al­
ta: “Vieni, o Gesù Cristo, nostra vera spada27, e non limi­
tarti a tagliare la testa del demone, ma fallo a pezzi28 da­
vanti a tutti costoro che ho ammesso al tuo servizio”. Subito,
Pietro, uno che ti somigliava29 la fece a pezzi con la spada;
io vi guardavo entrambi, te e lui che massacrava quel de­
monio, così simili, con grande ammirazione. Svegliatomi, ti
ho riferito questi segni di Cristo».

NOTE

1 La questione è discussa in L. Vouaux, Les Actes de Pierre, Paris


1922, p. 26. Cfr. anche Schneemelcher, cit., p. 250.
2 Per lo status quaestionis: G. Poupon, Les 'Actes de Pierre· et leur
remaniement, in A. N. R. W. 25, 6, 1988, pp. 4363-4383; A. Monaci
Castagno, La demonologia degli A tti d i Pietro, in Voce di molte acque.
Miscellanea di studi offerti a E. Corsini, Torino 1994, pp. 331-343, in
cui difendo l’unità letteraria dello scritto.

279
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-IIi

3 Poupon, c it, p. 4381.


4 Uno status quaestionis dettagliato in Vouaux, c it, pp. 207- 214.
Poupon, cit., p. 4381 propende per Roma e così Ch. M. Thomas, Word
and Deed. The Acts o f Peter and Orality, «Fable Apocryphe» 3 (1992),
pp. 125-164.
5 Un commento più disteso dei due passi in A. Monaci Castagno,
R diavolo e le sue metamorfosi: spunti esegetici negli Atti di Pietro, «Annali
di Storia dell’esegesi» 11 (1994), pp. 419-432.
6 L’edizione critica è quella di Vouaux, cit. Il passo consiste nel di­
scorso pronunciato dall’Apostolo quando, da poco arrivato a Roma,
apprende che i fratelli di quella Chiesa hanno abbandonato la fede,
persuasi dalla magia di Simone. Contro il diavolo, che opera in costui,
è rivolta l’invettiva di Pietro.
7 L’ostilità del demonio contro il genere umano è iniziata con Adamo.
Il racconto è interpretato alla luce di una tradizione esegetica che si
può leggere in un testo giudaico o giudeocristiano del I secolo. Si trat­
ta della recensione greca della Vita d i Adam o ed Èva, meglio nota co­
me l’Apocalisse di Mosè; nel capitolo X IX così Èva descrive il suo pec­
cato: «Quando mi ebbe strappato il giuramento (allude qui al serpen­
te attraverso cui parla il diavolo) allora si affrettò a salire sull’albero e
iniettò il veleno della sua malvagità, cioè del suo desiderio (έπιθυμία)
nel frutto che mi diede da mangiare: che il desiderio è all’origine di
ogni peccato» (tr. di L. Rosso, in P. Sacchi (a cura dì). Apocrifi, cit., voi.
II, p. 429). Negli A P t appaiono gli stessi elementi anche se con alcuni
aggiustamenti: l'identificazione del serpente di Gn. 3, 1 con il diavolo:
il frutto avvelenato perché infettato dalla concupiscentia; iepithum ia
come responsabile di ogni peccato successivo (cfr. anche lac. I, 15). Il
passo è al centro di una discussione che riguarda la collocazione de­
gli A Pt nelle correnti encratìtiche del tempo. Per alcuni l’appartenenza
a tali correnti appare chiara proprio sulla scorta deH'indivlduazione
delle fonti di questo passo, in cui non vi è dubbio che l’epithumia ab­
bia una connotazione esclusivamente o prevalentemente sessuale
(Rosso, cit., p. 400). È necessario, tuttavia, verificare se la mantengo­
no all’interno della rielaborazione del nostro testo che mostra costan­
temente una grande libertà riguardo alle sue fonti; esse vengono pie­
gate, anche con vistosi aggiustamenti, ad esprimere l’intenzionalità
dell’autore. Ciò che qui gli sta a cuore è mostrare l’attività di Satana
in alcuni momenti decisivi della storia: la caduta, la fuga del popolo
ebreo dall’Egitto, la condanna di Gesù. Dal momento che i singoli per­
sonaggi implicati, hanno agito sulla base di motivazioni differenti, il
termine concupiscentia non può che assumere un significato più ge­

280
ATTI DI PIETRO

nerico, come è anche dimostrato dalla sua ripresa, poco più sotto, al
plurale, secondo un'ottica che tradisce l’influenza di Eph. 2, 2-3, ove il
Principe dell’aria è detto operare nei fig li della disobbedienza, in colo­
ro cioè che vivono nelle epithumiai della carne, soddisfacendone la vo­
lontà (per una discussione più approfondita: G. Sfameni Gasparro, Gli
A tti a p ocrifi d egli A p ostoli e la tradizione dell'enkrateia, in
«Augustinianum» 23 (1983), p. 293 e Y. Tissot, Encratisme ed A ctes
apocryphes, in Les A ctes apocryphes cit., pp. 114- 116 e Monaci
Castagno, Le metamorfosi, cit., pp. 421-422).
8 La potenza del diavolo è fortemente sottolineata, presentata co­
me irresistibile (cfr. anche infra e A I II, 1*). Pietro, quando ricorda il
suo tradimento, si giustifica dicendo di essere stato «exsensatus a dia­
bolo et non habens in mente verbum domini mei» (A Pt VII). È forse
questo un aspetto che rendeva sospetti da un punto di vista ortodos­
so questi testi (cfr. introd. pp. 92-97).
9 Troviamo un passo parallelo in ATh gr. XXXII, testo che, se non
dipende da APt, come è ipotizzato (A. F. J. Klijn, Th eA cts o f Thomas,
Leiden 1962, pp. 22-24), sembra comunque riflettere una stessa tra­
dizione: qui il demonio parla in prima persona ed afferma di essere
stato lui ad «indurire» il cuore di Faraone e ad «infiammare» Calia. A
questo punto si pongono alcuni interrogativi, cui è difficile dare una
risposta definitiva. Siamo di fronte ad un errore piuttosto grossolano
del traduttore latino? Oppure si tratta di una consapevole correzione
della tradizione di base, dal momento che, attribuendo a Satana l'in­
durimento del cuore di Faraone, essa ricordava troppo da vicino un’in­
terpretazione marcionita (cfr. Iren., Adv. Haer. IV, 29, 1 e Vouaux, cit.,
p. 284)? In quest'ultimo caso, ciò potrebbe essere accaduto già a li­
vello dell’adattamento greco. Tuttavia anche ammettendo uno scam­
bio voluto fra Faraone ed Erode, permane l’idea che alla base dell’ope­
rato dei due re, persecutori dei profeti, vi è Satana.
10 II testo, così come ci è pervenuto non è chiaro; non è infatti il sa­
cerdote a consegnare Gesù al popolo, ma Pilato, che secondo il rac­
conto di Mt. 26, 57 sgg. lo aveva ricevuto da Caifa o, secondo il rac­
conto di Le. 23, 7, da Erode. Anche in questo caso il passo parallelo de­
gli ATh è più corretto (XXXII, ed. Bonnet p. 149, 14) e accoglie entrambe
le tradizioni che, sinché se contraddittorie, vengono semplicemente giu­
stapposte. Questa parte, sia pure in modo disordinato, ripercorre l’in­
tera storia umana cogliendola da un punto di vista inusuale che ricor­
da quello di LG (cfr. introd. pp. 20-22); in esso è anche narrata la par­
te avuta da Mastema nell’ostacolare Mosè ed il suo popolo servendosi de­
gli Egiziani. Di questo libro non esistono citazioni esplicite in testi cri­

281
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

stiani anteriori al IV secolo, ma, tra la fine del II ed inizio del III, esso
o tradizioni molto simili, dovevano circolare in ambiente cristiano se le
vediamo riaffiorare in Orig., De pr. Ili, 1, 2, in un contesto molto slmi­
le a questo. Dopo aver ricordato l’azione del serpente contro Adamo ed
Èva, Origene menziona, in forma zetetica e non senza prendere le di­
stanze, tre episodi della storia di Israele: il sacrificio di Isacco, l’atten­
tato alla vita di Mosè (Εκ. 4, 24), l’uccisione dei primogeniti egiziani (Ex.
12, 23), episodi che appunto in LG sono ricondotti a Mastema ed alle
potenze a lui sottomesse (LG XVII, 17; XLVIII, 2-3; XLIX, 4).
11 Alla base dell’immagine del diavolo come arciere che colpisce
con le sue frecce avvelenate le anime innocenti (in A Pt VII: «inplana-
tor Satanas sagittas suas tendit») vi è forse una eco di Ps. 37, 14. Ma
le immagini del diavolo come cacciatore e bestia feroce sono tra le più
diffuse nella demonologia cristiana, cfr. ad es. I Pt. 5, 8-9; Act. 20, 29;
Ignat., Ep. R m 7. Per le origini veterotestamentarie di questi aspetti
deir«immaginario» demonologico cristiano: Teyssèdre, Nascita, cit., pp.
121-129.
12 All’accentuazione del potere del diavolo, corrisponde la stilizza­
zione della vittima che è definita sempre «semplice» o «innocente», con­
siderati come termini equivalenti (analisi dettagliata in Monaci Castagno,
Le metamorfosi, cit., p. 424-425). L’analisi dei contesti in cui compaiono
tali espressioni orienta l’interpretazione non tanto verso la tradizione
alessandrina che dava alla simplicitas un significato intellettualistico
e negativo (G. af Hallstrom, Fides simpliciorum according to Origen o f
Alexandria, Ekenas 1984), quanto verso tradizioni giudaiche o giudeo-
cristiane in cui 1’άπλότης assume una parte di primo piano ed arriva
a definire la virtù religiosa più importante. Mi riferisco ai Testamenti
dei Dodici Patriarchi (cfr. R. Eppel, Le piètisme, cit., pp. 147-152) e al
Pastore di Erma. Nella prima opera essa ha un significato complesso che
viene definito spesso sulla base del suo opposto, la duplicità, che ca­
ratterizza Beliar e gli spiriti dell'inganno; anche nel Pastore la sem­
plicità, spesso unita all’innocenza (Vis. I, 1,6; II, 7, 2; Mand. II, 1, 27)
è la qualità dell’uomo il cui cuore aderisce completamente al Signore,
senza lasciare alcun spazio per il demonio, e che compie le opere del giu­
sto: teme il Signore, ne rispetta i comandamenti, compie opere di mi­
sericordia verso i poveri. Ma se nei Testamenti e nel Pastore i concet­
ti della semplicità e dell'innocenza facevano parte di una riflessione
etica approfondita sui processi psicologici che sfociano nel peccato,
negli A Pt tutto appare impoverito e fissato in una formula stereotipa­
ta messa al servizio di scopi molto diversi (Monaci Castagno, Le me­
tamorfosi, cit., pp. 426 sgg.).

282
ATTI DI PIETRO

13 Su questo titolo del diavolo: G. J. M. Bartelink, ’ Αντικείμενος


als Teufels- und Dàmonerbezelchnung, «Sacris Erudiri» 30 (1987-88), pp.
204-224.
14 La seconda parte del discorso di Pietro ha l’andamento di un
esorcismo in cui sono individuabili gli elementi tipici della maledizio­
ne e delle minacce rivolte al diavolo e la cosiddetta αποπομπή, l’in­
giunzione di allontanamento (cfr. introd., pp. 35-36).
15 Alla base del diavolo come «padre» dei malvagi vi è forse il ri­
cordo di Io. 8, 44, ma anche, per una maggiore affinità di contesto di
Act. 13, 10 (l’invettiva di Paolo contro il mago Elimas definito «figlio del
diavolo»).
16 Sul nero come connotazione diabolica cfr. Ps. Barn., Ep. 4, 9*;
Teyssèdre, il diavolo, cit., pp. 259 sgg.
17 Forse un’allusione a Io. 8, 44: omicida fin dal principio.
18 La definizione del diavolo come «abisso di tenebre» riflette un’ese­
gesi di Gn. 1,1, che da tempo - anche sull’onda di tradizioni enochi-
che (L V X , 13; XVIII, 11) - aveva associato tale abisso al luogo di con­
danna degli angeli ribelli. Cfr. Orig., Ho. Gn. I, 1: «Quae est abyssus?
Illa nimirum in qua erit diabolus et angeli eius. Denique hoc manife­
stissime et in Evangelio designatur, cum dicitur de Salvatore: Et roga­
bant eum daemonia quae eiciebat ne iuberet ea ire in abyssum».
19 L’immagine dell’uomo come «vaso» che può contenere potenze
positive o negative è presente in particolare in Erma, Past., M and V,
1, 1-4», cfr. p. 139, n. 15.
20 Nel Pastore le donne seducenti vestite di nero simboleggiano gli
spiriti dei peccati che rivestono delle loro qualità gli uomini che si la­
sciano attrarre da loro (simboleggiati dalle pietre nere): Sim. IX, 9, 5; IX,
13, 1-3. Al contrario, le vergini vestite di lino simboleggiano gli «spiri­
ti santi» e le virtù del Figlio, di cui è necessario rivestirsi per diventa­
re «pietre bianche», scelte per la costruzione della chiesa. Le «tunicae
tenebrarum» presuppongono l’immagine dell’abito «luminoso», «splen­
dente», l’abito che si acquista con il battesimo e che va mantenuto ta­
le (cfr. Clem. Alex., Paed. I, 6, 28; Act. PhiL 135; Ps. Clem. Vili, 22; Cyr.
Alex., Procath. I, 6). Sulle complesse speculazioni teologiche relative
alla simbologia dell’abito: E. Peterson, Theologie des Kleides, «Benedik-
tinische Monatschrift» 16 (1934), pp. 347-356.
21 II testo narra una visione concessa al senatore Marcello, bene­
fattore della chiesa romana, alla vigilia di uno scontro decisivo fra
Pietro e Simone. La visione è al culmine di una climax di visioni e di­
scorsi che, nei capitoli precedenti ne anticipano il tema principale: la
vittoria di Cristo sulle potenze maligne (Ibid. V; VI;VII). Colpisce la vio­

283
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

lenza estrema di queste parole; ad essere decapitato, tagliato a pezzi,


massacrato è il maligno, ma il maligno individuato nell’irriducibile al­
terità del sesso e della razza. Vibrano qui corde più profonde e incon­
sapevoli, di quelle che risuonano - in altre parti dello stesso testo -
nelle affermazioni rassicuranti sulla misericordia infinita di Dio (Vouaux,
c it, pp. 76-79) e nelle descrizioni di positivi profili femminili che han­
no alimentato un ricco filone di interpretazioni «femministe» di questi
testi: V. Burrus, Women in thè Stories oftheApocryphalActs, «Semeia»
38 (1986), pp. 101-118; P. W. Dunn, Wòmen’s liberation, theA cts o f
Paul and otherA pocryphalA cts o f thè Apostles, «Apocrypha» 4 (1993),
pp. 245-262.
22 II confronto fra Pietro e Simone si sarebbe svolto di li a poco nel
foro Giulio; per questo motivo nel sogno di Marcello, Pietro si trova se­
duto di fronte ad una grande folla; a differenza di quella che lo atten­
deva nel foro, essa è costituita tutta da cristiani; ulteriore segno dell’esi­
to positivo dello scontro imminente, che effettivamente si sarebbe con­
cluso con numerose conversioni. Le folle, il teatro sono lo scenario con­
sueto delle performances degli Apostoli, come di quelle dei personaggi
del romanzo greco (cfr. Sòeder, cit, pp. 160-162; A lo 30-36).
23 L'A. distinguendo fra «Etiopi» ed «Egiziani», riprende uno ste­
reotipo piuttosto diffuso nella cultura antica, al fine di sottolineare la
nerezza assoluta del demonio, che si cela nella donna. Cfr. J. M.
Courtès, 7Yaitement patristique de la thématique •éthiopienne·, in Images
du Noir dans l’A rt Occidental voi. II, Paris 1979, pp. 9-31. Si veda tut­
tavia infra la visione di Perpetua ove il demoniaco appare sotto le spo­
glie di un Egiziano. Ulteriore bibliografia in: Vouaux, cit, p. 359, n. 5;
L. Cracco Ruggini, il negro buono ed il negro malvagio, in M. Sordi (Ed.),
Conoscenze etniche e rapporti di convivenza nell'Antichità, Milano 1979,
pp. 108-135.
24 Vouaux, cit., p. 359, n. 6, suggerisce che qui si tratti del colla­
re che si usava mettere al collo degli schiavi che avevano tentato la fu­
ga; simbolo dunque di umiliazione al pari delle catene. Queste sono
una costante dell'immaginario demonologico: Ap. 20, 1 (cfr. anche in­
trod. p. 20). La donna incatenata, prima ancora di essere definitiva­
mente annientata, simboleggia la condizione del diavolo e delle sue
potenze dopo la croce e prima della seconda venuta di Cristo.
25 II particolare, che non svolge nessuna funzione nel contesto,
serve ad evocare un’immagine legata al racconto evangelico della mor­
te del Battista (Me. 6, 17-29; Mt. 14, 3-12; Le. 3, 19-20), di cui nella
visione compaiono altri elementi narrativi: la decapitazione e le catene.
Ma l’episodio è stato completamente riscritto, alla luce della certezza del­

284
ATTI DI PIETRO

la sconfìtta del potere del maligno, simboleggiato dalla donna. Come


la venuta di Cristo, con la sconfìtta delle potenze malvagie, ha capo­
volto la situazione dell’uomo, cosi nella visione, viene capovolto il gio­
co delle parti: è la donna persecutrice dei servi di Cristo ad essere in­
catenata ed uccisa, mentre è l’Apostolo che, in una situazione di as­
soluta supremazia (egli siede su un luogo molto elevato) pronuncia la
condanna a morte contro la donna.
26 Al suo apparire a Roma, Simone diceva di essere «magnam vir­
tutem Dei» (Ibid. IV, p. 48, 22).
27 11 testo dimostra familiarità con l'Apocalisse: alcuni elementi
presenti nella visione riguardano per così dire l’ambientazione sceni­
ca: i'excelsum locum; la magna vox che ricorda la φωνή μεγάλη, che
nell’Ap. (es. 19, 17) annuncia gli eventi importanti. L’invocazione: «Veni»
ed il titolo cristologico: «gladium» sono citazioni del testo dell’Apocalisse
(6, 1; 3; 5; 7; 19, 15; 22, 17). È interessante notare come la certezza
della sconfìtta delle potenze avverse ad opera di Cristo si rifletta e si
appoggi su di una interpretazione attualizzante e cristologica di Ap.
19, una lettura piuttosto inusuale nel panorama esegetico dello stes­
so periodo orientato, invece, verso un’interpretazione prevalentemen­
te escatologica (cfr. A. Monaci Castagno, I Commenti, c it, pp. 360-382).
28 II particolare è ripetuto: segno di uno specifico interesse da par­
te dell’A. L’ultima apparizione sulla scena di Simone avviene a
Terracina, con una gamba spezzata: «κάκεϊ κατατεμνόμενος, τό πέρας
τοϋ βίου ό τοϋ διαβόλου άγγελος εδωκεν Σίμων»; Lat.: «duo medici conci­
debant eum, extremum autem die angelum satanae fecerunt ut expi-
rarent» (Ibid. XXXII). Come un oracolo, la visione anticipa in forma ve­
lata ciò che accadrà a Simone; l’A. conosceva evidentemente tradizio­
ni relative al modo ed alle circostanze della morte di Simone; le riferisce,
non senza però farle precedere da una visione che ne offre la chiave
di interpretazione, riconducendole ad un modello biblico: nel raccon­
to evangelico della morte di Giovanni, compariva anche l’associazio­
ne di questi con Elia (Me. 6, 14-16 e parli.). Essa ne ha suggerito un'al­
tra, tra la donna che perseguitò Giovanni e Gezabele che aveva at­
tentato alla vita di Elia e di cui la morte è descritta in I I Re. 9, 35:
sbranata dai cani, del suo corpo non rimasero che la testa, i piedi e
le palme delle mani.
29 II tema dell’Apostolo come «gemello» di Cristo e della capacità
di questi di assumere forme diverse sono temi tipici degli AA: Act. PauL
et Ttì. 21; ATh 11; 34; 39.

285
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI 1-1II

APOCALISSE DI PAOLO
(prima metà del III secolo)

La testimonianza più evidente della straordinariafortuna di


questo testo è il numero delle lingue antiche e moderne, oc­
cidentali ed orientali in cui esso, sotto differenti recensioni,
è stato tradotto. L ’originale greco è andato perduto e il testi­
mone più antico e completo di esso è ritenuto un ms. latino
dell’VIII secolo su cui è basata l’edizione critica di M.R.
James1. La Visio Paull, che è il titolo dello scritto nella mag­
gior parte dei mss. latini2, intende colmare - secondo un trat­
to tipico della letteratura apocrifa - una lacuna presente nei
testi canonici. In II Cor. 12, 1-5, infatti, l'Apostolo allude ad
una sua esperienza estatica durante la quale egli avrebbe
udito parole «indicibili, che non è lecito ad alcuno pronuncia­
re». Secondo il nostro testo, oggetto della visione paolina sa­
rebbero stati le peripezie dell’anima dopo la morte, i luoghi
dell'aldilà, i premi riservati ai giusti ed i castighi degli empi.
Temi che la Visio sviluppa ispirandosiforse all’Apocalisse di
Sofonia, all’Apocalisse di Elia3 e alZ’Apocalisse di Pietro. A dif­
ferenza di quest'ultima, il nostro testo ambienta la visione
non alla fine dei tempi, ma in un aldilà compresente all’eo-
ne attuale.
Nella critica prevale la tesi che vi sarebbero state due re­
dazioni della Visio: una, in lingua greca, di poco anteriore al
240-250 e l’altra, uscita da ambienti monastici, dell’inizio del

286
APOCALISSE DI PAOLO

V secolo. Il nodo principale consiste nel credito dato alla no­


tizia di Bar Hebraeus (ΧΠΙ secolo) in Nomocanon 7,9. Egli ri­
porta un testo di Origene (forse tratto dal suo perduto
Commento alla Lettera agli EbreiJ in cui il Maestro alessan­
drino cita l’Apocalisse di Paolo, come un testo generalmente
accettato dalla Chiesa4.

287
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

Visto Pau u
11-12; ed. James, pp. 14, 34 - 15, 295

11. Et respondens angelus dixit mihi: Sequere me, et osten­


dam tibi locum iustorum ubi ducuntur cum defuncti fue­
rint, et post hec adsumens te in abyssum ostendam tibi
animas peccatorum, in qualem locum ducuntur cum de­
functi fuerint. Et profectus sum retro post angelum, et duxit
me in celum, et respexi firmamentum, et vidi ibidem pote­
statem, et erat ibi oblivio que fallit et deducit ad se corda
hominum, et spiritus detraccionis et spiritus <fomication>is
et spiritus furoris et spiritus audacie, et ibi erant principes
maliciarum: hec vidi sub firmamento caeli: et iterum re­
spexi et vi<di> angelos sine misericordia, nullam habentes
pietatem, quorum vultus plenus erat furore et dentes eo­
rum extra os eminentes; oculi eorum fulgebant ut stella ma­
tutina orientis, et de capillis capitis eorum scintille ignis
exiebant, sive de ore eorum. Et interrogavi angelum dicens:
Qui sunt isti, domine? Et respondens angelus dixit mihi:
Hii sunt qui destinantur ad animas impiorum in ora ne­
cessitatis, qui non crediderunt dominum habere se adiu-
torem nec speraverunt in eum. 12. Et respexi in altum et
vidi alios angelos quorum vultus fulgebat ut sol, succinc­
tis lumbis zonis aureis, abentes palmas in manibus eorum,
et signum dei, induti vestimenta quod scriptum erat nomen
filii dei, repleti autem omni mansuetudine et misericordia;
et interrogavi angelum et dixi: Qui sunt isti, domine, in tan­
ta pulcritudine et misericordia? Et respondens angelus dixit
mihi: Hii sunt angeli iusticiae qui mittuntur adducere ani­
mas iustorum in ora necessitatis, qui crediderunt dominum
se habere adiutorem. Et dixi ei: Necessario iusti et pecca­
tores occurrunt testes cum mortui fuerunt? Et respondens
angelus dixit mihi: Una est via per quam omnes transeunt
ad deum, sed iusti habentes secum sanctum adiutorem non

288
APOCALISSE DI PAOLO

A p o c a l is s e d i P a o l o

11. E, rispondendo, l’angelo mi disse: «Seguimi e ti mostrerò


il luogo dove vengono condotti i giusti dopo la morte e, suc­
cessivamente, ti porterò nell’abisso6 per mostrarti in quale
luogo sono condotte le anime dei peccatori dopo la morte».
E mi avviai dietro l’angelo ed egli mi condusse in cielo: guar­
dai il firmamento e là vidi la potenza7; ivi stavano l’oblio che
inganna ed attira a sé i cuori degli uomini, lo spirito della
maldicenza, lo spirito della fornicazione, lo spirito del furo­
re, lo spirito delFarroganza8; là erano anche i prìncipi delle
iniquità9: questo vidi sotto il firmamento celeste. Guardai
di nuovo e vidi angeli senza misericordia, che non avevano
nessuna pietà, il cui volto era pieno di furore e i loro denti
sporgevano fuori dalla bocca; i loro occhi sfavillavano come
la stella mattutina dell’oriente10; scintille di fuoco usciva­
no dai capelli e dalla bocca11. Chiesi all’angelo: «Signore,
chi sono costoro?» E, rispondendo, l’angelo mi disse: «Costoro
sono quelli che sono destinati, nell’ora ineluttabile, alle ani­
me degli empi, che non hanno creduto di avere il Signore
per aiuto e non hanno sperato in lui»12. 12. Guardai in al­
to e vidi altri angeli il cui volto sfolgorava come il sole; i lo­
ro fianchi erano cinti da cinture d’oro, nelle loro mani por­
tavano palme ed il segno di Dio (cfr. Ap. 7, 7), sui loro ve­
stiti stava scritto il nome del figlio di Dio ed erano colmi di
ogni mansuetudine e misericordia. Chiesi all'angelo: «Chi
sono costoro, signore, di così grande bellezza e misericor­
dia?» E, rispondendo, l’angelo mi disse: «Sono gli angeli del­
la giustizia che, nell’ora ineluttabile13, hanno il compito di
condurre le anime dei giusti che hanno creduto di avere il
Signore per aiuto». E gli dissi: «È necessario che i giusti ed
i peccatori si trovino di fronte a testimoni una volta mor­
ti?». L’angelo mi rispose: «Unica è la via attraverso cui tut-

289
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

conturbantur euntes a<p>parere in conspectu dei.

V is io P a u u
14; p. 16, 17-21; p. 17, 2-7

[...] Et vidi iustum profecisse et invenisse refectionem et fi­


duciam, et ante quam exiret de mundo asteterunt sancti
angeli simul et impii: et vidi eos omnes, set impii non inve­
nerunt locum habitacionis in eum, sancti autem dominati
sunt anime eius, gubernantes eam quo usque exiret de cor­
pore.

[...] Ubi curris, anima, et audes ingredi celum? expecta et


videamus si est aliquid nostrum in te: et ecce nihil inveni­
mus in te. Video etiam adiutorium divinum et angelum
tuum, et spiritus congaudens est tibi quoniam fecisti vo­
luntatem dei in terris. Et deduxerunt eam dum adusque
adoraret in conspectu dei.

V i s io P a u u
16; p. 18, 23 - 19, 3; 10-24

[...] Cum ergo pervenissent ad potestatem, cum iam ingre­


di celum abiret, labor impositus est ei super alium labo­
rem; <error et> oblivio et susurracio obviaverunt eam, et
spiritus fomicacionis et relique potestates, et dicebant ei:
Ubi perges, misera anima, et audes praecurrere in celo? su­
stine, ut videamus si abemus in te peculiaria nostra, quia
non videmus tibi sanctum adiutorem. Et post haec audivi vo­
ces in excelso celorum dicentes: Offerte miseram animam
deo, ut cognoscat quia est deus ut contempsit. Cum ergo
ingressa esset coelum, viderunt eam omnes angeli milia mi­
liorum exclamaverunt una voce omnes dicentes: Ve tibi, mi­
sera anima, pro operibus tuis que fecisti in terra; quid re-

290
APOCALISSE DI PAOLO

ti passano per arrivare davanti a Dio, ma i giusti, che han­


no con sé il santo aiuto, non vengono molestati mentre van­
no a comparire al cospetto di Dio».

[.. ] Vidi14 che il giusto era andato innanzi e che aveva tro­
vato sollievo e fiducia. E prima che uscisse dal mondo, gli si
misero accanto sia gli angeli santi, sia gli angeli empi. Li vi­
di tutti, ma gli angeli empi non trovarono in lui posto per
abitarvi15, i santi, invece, presero possesso della sua ani­
ma guidandola fino alla sua sortita dal corpo16.

[...] «Dove corri anima17, che osi entrare in cielo? Aspetta e


vediamo se in te c’è qualche cosa di nostro (Io. 14, 30): ma ec­
co, in te non troviamo nulla. Vedo anche il tuo aiuto divi­
no18, il tuo angelo19 e lo spirito20 che si rallegra con te poi­
ché sulla terra hai compiuto la volontà di Dio»21. Ed essi
condussero l’anima sino al cospetto di Dio perché lo ado­
rasse.

[...] Quando22 dunque ebbero raggiunto la potenza e man­


cava poco per entrare in cielo, (l’anima) venne subissata da­
gli affanni; l’errore, l’oblio, la mormorazione le si fecero in­
contro con lo spirito di fornicazione e le restanti potenze e le
dicevano: «Dove ti dirigi, o misera anima? Osi avanzare ver­
so il cielo? Fermati, affinché vediamo se troviamo in te ciò
che ci appartiene (Io. 14, 30), infatti non ti vediamo accan­
to il santo aiuto»23. E poi udii voci nell’alto dei cieli che di­
cevano: «Portate dinanzi a Dio la misera anima, affinché co­
sì come ha disprezzato, (ora) conosca che è Dio». Quando
dunque fu entrata nel cielo, tutti gli angeli la videro, tutti, mi­
gliaia di migliaia, esclamarono con una sola voce dicendo:

291
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-I1I

sponsum datura es deo cum accesseris adorare eum?


Respondit angelus qui erat cum ea et dixit: Flètè mecum,
mei dilectissimi, requiem enim non inveni in hac anima. Et
responderunt ei angeli et dixerunt: Auferatur talis anima
de medio nostrorum: ex quo enim ingressa est, putor eius
transivit ad <nos> angelos. [...]

Et facta est vox dei ad eam et dixit: Ubi est fructus tuus
quem fecisti pro his quibus accepisti bonis dignum? num-
quid posui distandam inter te et iustum unius diei? nunquid
non f<a>ciebam oriri solem super te <si>cut et super iu­
stum? Illa autem conticuit, non habens quod responderet:
et facta est vox iterum dicens: Iustum iudicium dei, et non
est personarum acceptio aput deum, quicunque enim fe­
cerit misericordiam eius ipse miserebitur, et quicunque non
misertus fuerit, neque ei miserebitur deus. Tradatur ergo
angelo Tartarucho qui prepositus est penis, et mitat eum
in tenebris exterioribus ubi est fletus et stridor dencium, et
sit ibi usque in diem magnum iudicii. Et post haec audivi
vocem angelorum et archangelorum dicencium: Iustus es,
domine, et iustum iudicium tuum.

292
APOCALISSE DI PAOLO

«Guai a te, mìsera anima, per le opere che hai compiuto sul­
la terra; che risponderai a Dio quando ti avvicinerai per ado­
rarlo?» L’angelo che stava con lei rispose dicendo: «Piangete
con me, miei carissimi, perché in lei non ho trovato ripo­
so». E gli angeli gli risposero dicendo: «Sia allontanata da
noi un’anima siffatta, perché da quando è entrata il suo fe­
tore è arrivato fino a noi angeli». [...]
E la voce di Dio le si rivolse e disse: «Dove è il frutto delle
tue opere degno dei beni che hai ricevuto? Forse che per un
solo giorno mi sono comportato diversamente con te e con
il giusto? Non facevo forse sorgere il sole su di te come sul
giusto?». Non sapendo che cosa rispondere essa tacque. Di
nuovo si udì la voce: «Il giudìzio di Dio è giusto, in Dio non
vi è parzialità: Egli avrà misericordia di chiunque sia stato
misericordioso e non avrà misericordia di chiunque non sia
stato misericordioso. Sia dunque consegnata all’angelo
Tartaruco che è preposto ai castighi affinché la cacci nelle
tenebre esteriori dove è pianto e stridor di denti (Mt. 8, 12) e
stia là fino al gran giorno del giudizio». Poi udii le voci de­
gli angeli e degli arcangeli che dicevano: «O Signore, sei giu­
sto e giusto è il tuo giudizio».

NOTE

1Apocrypha Anecdota, voi. II, 3, Cambridge 1893.


2 La storia di questa tradizione in Th. Silverstein, Visio Sanctl Pauli,
thè Hlstory o f thè Apocalypse In Latin together with nlne Texts, London
1935.
3 Confronti dettagliati fra questi testi e la Visto in R.P. Casey, The
Apocalypse o/Paul, «Journal of llieological Studies» 34 (1933), pp. 1-
33. Sul tema delle visioni dell'aldilà cfr. M.P. Ciccarese, Visioni dell’al­
dilà in Occidente. Fonti modelli testi (Biblioteca patristica), Firenze
1987.
4 Casey, cit, pp. 26 sgg.; Erbetta, c it , voi. Ili, pp. 354-358. Più
prudente H. Dueslng-A. de Santos Otero, in E. Hennecke-W. Schneemel-

293
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

cher, Neutestamentliche Apocryphen, Tùbingen 1964, voi. II, p. 644:


forse la forma del testo dell’Apocalisse di Paolo conosciuta da Origene
non è la stessa tramandataci dal ms. latino di cui sopra; J.-M.
Rosenstiehl, L'itinéraire de Paul dans l'au-delà. Contribuiion à l'étude de
l'Apocalypse apocryphe de P a u l in Carl-Schmidt-Kolloquium und der
Martin-Luther-Universitàt, Halle-Wittenberg 1988, Halle-Wittenberg
1990, pp. 197-212. Contro la tesi della doppia redazione: P. Piovanelli,
Les origines de l ’A pocalypse de Paul, «Apocrypha» 4 (1993), pp. 25-64;
tuttavia gli argomenti con cui egli nega l’esistenza della prima reda­
zione sono tutti e silentio (cfr. p. 46, n. 66; p. 57); non mi è sembrata
convincente l’argomentazione con cui riconduce la dottrina origeniana
relativa al ruolo degli angeli buoni e malvagi nel momento della mor­
te (Ho. Le. XXXV, 3*ì al Testamento d i Abramo (p. 48), un testo che ci
è pervenuto in una redazione che non contiene l’aspetto menzionato
e di cui è, di conseguenza, difficile stabilire la possibile influenza su
Origene, mentre non viene discussa l'ipotesi, a mio parere, ben docu­
mentata di J.T. Milik, 4. 0. Visions de Amram et une citatìon d'Origène,
«Revue Biblique» 79 (1972), pp. 77-97 (cfr. infra Orig., Ho. Le. XXXV*.
p. 459, n. 85). In attesa che la nuova ipotesi di Piovanelli trovi un’eco
fra gli specialisti deH’argomento, ritengo ugualmente utile presentare
questa parte del testo della Visto che contiene certamente una tradizione
antica e ben attestata nella chiesa del III secolo e la cui demonologia si
spiega sullo sfondo di quella dei secoli II e III (come lo stesso Piovanelli
riconosce, pp. 47; 59, n. 89).
5 L’edizione critica è quella di James, cfr. sopra η. 1.
6 Ciò che segue è diverso; l’angelo manterrà la promessa soltanto
a partire dal cap. 19, ove inizia la descrizione dei diversi luoghi desti­
nati ai giusti ed ai peccatori. L’abisso è il luogo destinato alla puni­
zione degli angeli malvagi: LV X, 13; XVIII, 11; Le. 8, 31; Ap. 20, 1.
7 Sul firmamento come sede delle potenze malvagie vedi il com­
mento a A/VII, 9*.
8 Sono gli angeli dei peccati (cfr. p. 133, n. 14; Orig., Ho. Ios. XV,
5*).
9 I principes malitiarum riflettono uno stadio della riflessione su­
gli spiritus dei peccati del tutto analoga ai principes di cui parla Origene,
in Ho. Ios. XV, 5*.
10 L’accostamento degli angeli malvagi a questo astro non è casuale;
un oracolo di Isaia (14, 12-15) contro il re di Babilonia, lo assimilava
all’astro del mattino (Heilel, che Girolamo traduce con «Lucifero), ca­
duto nello sheol. Il passo in questione, combinato con Ez. 28, 11, era uti­
lizzato in funzione antimarcionita per dimostrare che il diavolo non era

294
APOCALISSE DI PAOLO

tale per natura, ma in seguito alla caduta dalla condizione angelica


(Tert., Adi). Marc. II, 10, 3-5; V, 11, 11; 17, 18; Orig., Ho. Ez. XIII*).
11 La descrizione riprende in alcuni particolari quella delTApocalisse
di Sofonia (ed. Steindorff, p. 150; Casey, cit., p. 10) che presenta gli
angeli malvagi con volti di pantera, denti sporgenti, occhi striati di
sangue, capelli sciolti come quelli delle donne, con in mano flagelli di
fuoco. Le due descrizioni non sembrano avere nulla a che fare con
quella che leggiamo in un frammento (fr. 2) del Testamento di ‘A mram
relativo all’aspetto dell’angelo malvagio che contende all’angelo buono
il possesso di Amram: «Il suo aspetto era terrificante come quello di
un serpente e la sua veste era tinta di colori e scura di tenebre... il suo
aspetto ed il suo viso era quello di una vipera e coperto di (...) molti e
(tutti) i suoi occhi» (tradotto da J.T. Milik, 4.Q., cit.. p. 80).
12 Si tratta delle parole di Ps. 36, 40, le stesse che sono sullo sfon­
do dell’esegesi di Origene, Ho. Ps. XXXVI, VII (citato infra n. 16). Più
sotto troviamo allusioni a Soph. 1, 15 e Io. 14, 30 anch’esse presenti nel
commento origeniano al Salmo. Per la Visio l’aiuto di Dio nel momen­
to cruciale consiste nella presenza di un angelo inviato proprio con
questa missione; più profonda l’esegesi origeniana; soltanto sperando
nella potenza misericordiosa di Dio, l'uomo può presentarsi senza an­
goscia in un giudizio in cui è per lui impossibile ripetere con verità le
parole di Cristo (Io. 14, 30).
13 L’«ora necessitatis» è un’eco di Soph. 1, 15 ·ήμέρα ανάγκης»?
14 II soggetto è ancora Paolo, che aveva chiesto all'angelo di assi­
stere a quanto avviene nel momento della morte del giusto e che ora
viene accontentato.
15 Concezione affine in Erma, Past.. Mand. XII, 5, 1-4*.
16 A questa descrizione va accostata quella di Origene, Ho. Ps.
XXXVI, VII: «Qui ergo propter hoc tribulantur et solliciti sunt, erit Deus
protector eorum in tempore tribulationis, in tempore iudicii, cum tra­
dentur impii ad poenas: tunc et adiiwabit eos Dominus (Ps. 36, 40a)
in tempore tribulationis et eripiet eos et auferet eos a peccatoribus, non
solum ab hominibus peccatoribus, sed etiam a contrariis potestatibus
vel certe eo tempore cum anima separatur a corpore et occurrunt ei
peccatores daemones, adversae potestates, spiritus aèris huius qui
eam volunt detinere et revocare ad se si quid In ea suorum operum
gestorumque cognoverint. Venit enim ad unamquamque animam de
hoc mundo exeuntem princeps huius mundi et aeriae potestates et
requirunt si inveniant in ea aliquid suum; si avaritiam invenerint, suae
partis est: si iram, si luxuriam, si invidiam et singula quaeque eorum
similia si invenerint, suae partis est et sibi eam defendunt et ad se

295
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

eam trahunt et ad partem eam peccatorum declinant. SI vero aliquis


imitatus est Illum qui dixit: Ecce venit princeps mundt huius et in me
non invenit quidquam (/o. 14, 30), si se aliquis ita observavit, veniunt
quidem isti peccatores et requirentes in eo quae sua sunt et non in­
venientes temptabunt nihilominus ad suam partem violenter eum de­
torquere, sed Dominus eripiet eum a peccatoribus. Et forte propterea
iubemur cum quodam mysterio etiam in oratione petere, dicentes: et
libera nos a malo (Mt. 6, 13). Sed et causam qua eripiat iustos suos
Dominus a peccatoribus, sive in tempore exitus nostri sive in tempo­
re iudicii, cum dies ille secundum prophetam necessitatis et angu­
stiae, dies obscuritatis et perditionis, iudicii dies advenerit; tunc ergo
causam qua eripi mereantur subiungit et dicit, quia speraverunt in
eum (Ps. 36, 40b)» (ed. E. Prinzivalli, Firenze 1991, pp. 242-244). L’idea
che un demone, fra quelli di rango superiore, fosse assegnato all’uomo
durante la vita e che continuasse ad assisterlo anche dopo la morte, al
momento di presentarsi al giudizio, era diffusa anche in ambito paga­
no: Apul., De deo Socr. XVI.
17 Sono le parole con cui gli angeli malvagi si rivolgono all’anima del
giusto che inizia la sua ascesa verso il cielo.
18 L’adiutor è una potenza buona che accompagna soltanto l’ani­
ma dei giusti (cfr. sopra c. 12).
19 Si tratta di un angelo buono che ha il compito di riferire a Dio le
azioni dell’uomo (Ibid. 14; 16).
20 Si tratta di una terza potenza positiva che dimora in ciascun
uomo e che così si definisce: «Ego sum spiritus vivificationis adspirans
in eam (se. nell’anima buona); habui enim in eam refeccionem in tem­
pore quo habitavi in eam faciens secundum iudicium tuum» (c. 14);
oppure: «Ego sum spiritus qui Inhabitabam in eam (un'anima malva­
gia) ex quo facta est, in se autem novi, et non est secuta meam vo­
luntatem» (c. 17).
21 Orig., Ho. Le. XXXV, 13*.
22 Viene ora descritta la dipartita dell'anima del peccatore; dopo
la separazione dal corpo, essa inizia il suo viaggio accompagnata dall’an­
gelo custode e dallo spirito.
23 La traduzione siriaca ha in questo punto: «Ma l'angelo rispose:
“Sappiate che è un'anima del Signore; egli non la scaccerà e neppure
lo abbandonerò l’immagine di Dio in mano al perverso. Il Signore mi
ha sostenuto tutti i giorni in cui l'anima visse e lui mi può sostenere ed
aiutare ancora. Io non la caccerò via prima che sia giunta su dinanzi
al trono di Dio. Quando la vedrà, egli ha potere di lei e la manderà do­
ve gli piace’’» (tr. Erbetta, cit., voi. Ili, p. 365).

296
PERPETUA
(fine del Π secolo, inizio del ΙΠ)

Perpetua, «honeste nata, liberaliter instituta, matronaliter nup­


ta>(II, 3) viene arrestata a causa della sua fede cristiana.
Durante la prigionia - che terminerà con il martirio subito
nelTarena di Cartagine probabilmente il 7 marzo 207 - tiene
un diario di quanto le accade. Questo - «conscriptum manu
sua et suo sertsu» - viene inserito dal redattore nella Passio1.
Due visioni del diario riguardano l'incontro di Perpetua con il
diavolo ed offrono la rara opportunità di venire a contatto di­
retto con il punto di vista di una donna cristiana nel momen­
to supremo del confronto con il martirio2.

297
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

P a s s io Sanctarum P e r p e t u a e e t Ρ ε υ α τ Α Ή ε
IV, 3-7; ed. van Beek, pp. 16, 15 - 18, 133

3. Video scalam aeream mirae magnitudinis, pertingentem


usque ad caelum, et angustam, per quam nonnisi singuli
ascendere possent, et in lateribus scalae omne genus fer­
ramentorum infixum. Erant ibi gladii, lanceae, hami, ma­
chaerae, verruta, ut si quis neglegenter aut non sursum
adtendens ascenderet, laniaretur et carnes eius inhaere­
rent ferramentis. 4. Et erat sub ipsa scala draco cubans
mirae magnitudinis, qui ascendentibus insidias praestabat
et exterrebat ne ascenderent. 5. Ascendit autem Saturus
prior, qui postea se propter nos ultro tradiderat (quia ipse
nos aedificaverat), et tunc cum adducti sumus, praesens
non fuerat. 6. Et pervenit in caput scalae, et convertit se et
dixit mihi: Perpetua, sustineo te; sed vide ne te mordeat dra­
co ille. Et dixi ego: Non me nocebit, in nomine Iesu Christi.
7. Et desub ipsa scala, quasi timens me, lente eiecit caput;
et quasi primum gradum calcarem, calcavi illi caput, et
ascendi.

X, 1-15, pp. 32, 14 - 38, 6

1. Pridie quam pugnaremus, video in horomate hoc: venis­


se Pomponium diaconum ad ostium carceris et pulsare
vehementer. 2. Et exivi ad eum et aperui ei; qui erat vesti­
tus discincta candida, habens multiplices galliculas. 3. Et
dixit mihi: Perpetua, te expectamus: veni. Et tenuit mihi
manum, et coepimus ire per aspera loca et flexuosa. 4. Vix
tandem pervenimus anhelantes ad amphitheatrum, et in­
duxit me in media arena, et dixit mihi: Noli pavere: hic sum
tecum et conlaboro tecum. Et abiit. 5. Et aspicio populum

298
PERPETUA

P a s s io n e d i P e r p e t u a e F e l ic it a

3. Vedo una scala di bronzo di mirabile altezza che rag­


giungeva il cielo, e stretta, per essa si poteva salire soltan­
to ad uno ad uno, ai suoi lati era conficcato ogni genere di
ferri. Vi si trovavano spade, lance, uncini, coltelli, spiedi, di
modo che, se uno saliva senza fare attenzione o senza guar­
dare verso l’alto, veniva dilaniato e le sue carni restavano
attaccate ai ferri4. 4. Ai piedi di questa scala stava disteso un
drago5 di mirabile grandezza che insidiava coloro che sali­
vano e li atterriva affinché non salissero. 5. Prima salì Saturo,
che, in seguito, si era consegnato spontaneamente a cau­
sa nostra (infatti era proprio lui ad istruirci nella fede), ma
che nel momento in cui fummo arrestati non era presente.
6. Arrivò in cima alla scala, si voltò e mi disse: «Perpetua,
ti sorreggo, ma bada che quel drago non ti morda*. E io gli
dissi: «Non mi farà del male, nel nome di Gesù Cristo6».
7. Al piedi della scala, (Il drago), come se mi temesse, sol­
levò lentamente la testa e, come se salissi il primo gradino,
gli misi il piede sulla testa e salii7.

1. Il giorno precedente al nostro combattimento, ho questa


visione. Vidi il diacono Pomponio venire alla porta del car­
cere e bussare forte. 2. Andai ad aprirgli: era vestito con
una tunica bianca senza cintura e calzava sandali intrec­
ciati. 3. Mi disse: «Perpetua, ti aspettiamo: vieni». Mi prese
per mano e ci avviammo per luoghi aspri e tortuosi. 4. A
stento arrivammo infine ansanti all’anfiteatro, mi condusse
in mezzo all’arena e mi disse: «Non temere, sono qui con te
e ti aiuto». E se ne andò. 5. Vedo una grande folla che guar-

299
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

ingentem adtonitum; et quia sciebam me ad bestias dam­


natam esse, mirabar quod non mitterentur mihi bestiae.
6. Et exivit quidam contra me Aegyptius foedus specie cum
adiutoribus suis, pugnaturus mecum. Veniunt et ad me
adolescentes decori, adiutores et fautores mei. 7. Et expo­
liata sum, et facta sum masculus; et coeperunt me faviso­
res mei oleo defricare, quomodo solent in agone; et illum
contra Aegyptium video in afa volutantem. 8. Et exivit vir
quidam mirae magnitudinis, ut etiam excederet fastigium
amphitheatri, discinctatus, purpuram inter duos clavos per
medium pectus habens, et galliculas multiformes ex auro
et argento factas, et ferens virgam quasi lanista, et ramum
viridem in quo erant mala aurea. 9. Et petiit silentium et
dixit: Hic Aegyptius, si hanc vicerit, occidet illam gladio;
haec, si hunc vicerit, accipiet ramum istum. Et recessit.
10. Et accessimus ad invicem et coepimus mittere pugnos;
ille mihi pedes adprehendere volebat, ego autem illi calci­
bus faciem caedebam. 11. Et sublata sum in aere, et coe­
pi eum sic caedere quasi terram non calcans. At ubi vidi
moram fieri, iunxi manus, ut digitos in digitos mitterem, et
apprehendi illi caput, et cecidit in faciem, et calcavi illi ca­
put. 12. Et coepit populus clamare et favisores mei psalle­
re. Et accessi ad lanistam et accepi ramum. 13. Et oscula­
tus est me et dixit mihi: Filia, pax tecum. Et coepi ire cum
gloria ad portam Sanavivariam. 14. Et experrecta sum. Et in­
tellexi me non ad bestias, sed contra diabolum esse pu­
gnaturam; sed sciebam mihi esse victoriam. 15. Hoc usque
in pridie muneris egi; ipsius autem muneris actum, si quis
voluerit, scribat.

300
PERPETUA

dava con occhi attoniti e, poiché sapevo di essere stata con­


dannata alle belve, mi stupivo che non mi venissero manda­
te contro. Mi si fece invece incontro per combattermi un
Egizio8, dall’aspetto ripugnante, con i suoi aiutanti. Mi si av­
vicinarono anche dei bei fanciulli, miei aiutanti e sostenitori9.
7. Venni spogliata e divenni maschio10. I miei assistenti
cominciarono a massaggiarmi con olio, come è usanza pri­
ma del combattimento, mentre vedo che l’Egizio si sta ro­
tolando nella polvere11. 8. S'avanzò un uomo di mirabile
statura12, (tale) da superare anche la sommità dell’anfitea­
tro, con un abito privo di cintura recante in mezzo al petto
un tessuto di porpora fra due strisce, con sandali intrec­
ciati d'oro e d’argento e portava una verga come un lani­
sta13 ed un ramo verde con mele d’oro. 9. Chiese il silenzio
e disse: «Se l’Egiziano vincerà costei, l’ucciderà con la spa­
da; se sarà lei a vincere, riceverà questo ramo». E si allon­
tanò. 10. Ci avvicinammo l’uno contro l’altro e cominciam­
mo a prenderci a pugni. Egli mi voleva afferrare per i piedi,
ma io gli prendevo a calci il viso. 11. Allora mi sollevò in
aria, ma cominciai a colpirlo così come chi non tocca ter­
ra. Ma appena mi accorsi di un indugio, congiunsi le mani
intrecciando le dita, gli afTeiTai la testa ed egli cadde col vi­
so a terra e gli calcai il piede sulla testa. 12. La folla co­
minciò ad acclamare mentre i miei assistenti cantavano di
gioia. Mi avvicinai al lanista e ricevetti il ramo.
13. Baciandomi mi disse: «Figlia, la pace sia con te». E mi
avviai in trionfo verso la porta Sanavivaria14. 14. Allora mi
svegliai. Compresi che avrei dovuto combattere non con le
belve, ma con il diavolo15, ma sapevo che la vittoria sareb­
be stata mia. 15. Questo è ciò che ho fatto fino al giorno
precedente il combattimento; quanto poi allo svolgimento
di esso, potrà scrivere altri, se lo vorrà.

301
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

NOTE

1 Possediamo del testo una redazione latina e una greca. Tira gli
studiosi prevale l’opinione che il testo sia stato composto tutto in lati­
no; per lo status quaestionis: C. Mazzucco, «E f u i fa tta maschio». La
donna nel cristianesimo primitivo, Firenze 1989, pp. 139-140.
2 Come per altre visioni della tradizione cristiana, anche per quel­
le contenute nella parte della Passio composta da Perpetua, si pone il
problema se esse siano trascrizioni ingenue di esperienze realmente
vissute oppure procedimenti letterari per esprimere un messaggio teo­
logico preciso. Su questa seconda lìnea è l'interpretazione di E. Corsini,
Proposte per una lettura della *Passio Perpetuae·, in Forma fu tu ri Studi
in onore del cardinale Michele Pellegrino, Torino 1975, pp. 481-541.
3 L’edizione critica è: Passio Sanctarum Perpetuae et Felicitatis
Latine et Graece, adnotavit C.I.M.I. Van Beek, Bonnael938.
4 La scala vista da Perpetua richiama quella di Giacobbe (Gn. 28, 12).
Il valore simbolico della scala non si esaurisce nel martirio, dal mo­
mento che gli attrezzi di tortura conficcati sui lati della scala possono e
devono essere evitati da chi sale; Corsini, cit., p. 497, suggerisce che
essa sia simbolo della via che porta alla divinità ed alla perfezione.
5 II cammino che porta a vedere nel «draco» una rappresentazione
del diavolo è lunghissimo. In Is. 27, 1 il dragone, chiamato Leviathan,
è un mostro degli abissi marini la cui sconfitta da parte di Dio è col­
legata al giorno del giudizio. In Ps. 74, 13 (secondo i LXX) si parla del­
le «teste» del «dragone». In Dn. 7 si trova l’idea che mostri provenienti
dalla acque salgano sulla terra per la battaglia finale con il Figlio dell’uo­
mo. Un’altra filière simbolica, originata dal fatto che i LXX traduceva­
no con δράκων il termine ebraico «tannin», consisteva nel vedere nel
«drago» un serpente terrificante ed un essere terrestre. La simbologia
confluisce in Ap. 12, 2: l’enorme drago rosso con sette teste e dieci cor­
na che insidia la donna e che viene scaraventato dal cielo sulla terra in
seguito alla sconfitta subita nello scontro con le schiere angeliche. In
Ap. 12, 9, «il drago», «il serpente antico» viene identificato esplicita­
mente con il diavolo e Satana (cfr. introd. p. 28 e Teyssèdre, Nascita,
cit., pp. 53-106; Ildiavolo, cit., pp. 165-173). La visione di Perpetua ri­
chiama quella di Erma [Mand. IV, 1, 5-9*) riguardante l’incontro con
θηρίον μέγιστον ώσεί κητός τι che simboleggia «la grande prova».
6 Sull’utilizzazione del nome di Cristo per vìncere le potenze: Iust.,
DiaL LXXXV, 1-3*; C.Cel. Vili, 58*.
7 Un'allusione alla profezia di Gn. 3, 15 (la donna schiaccerà la te­
sta del serpente ed egli le insidierà il calcagno) secondo l’antica ver­

302
PERPETUA

sione nordafricana, che ha «calcare» invece di «conterere» della Vulgata


(cfr. Mazzucco, cit., p. 146, n. 3). Inoltre il mettere il piede sulla testa
di un altro (come ha mostrato F. J. Dólger, Das Martyrium als Kam pf mit
dem Teufel «Antike und Christentum» 3 (1932), pp. 177-188), nel mon­
do biblico (los. 10, 24), come in quello ellenistico, era il modo topico
di raffigurare la vittoria; cfr. infra a proposito dell’Egiziano. Il signifi­
cato simbolico è evidente: il raggiungimento del martirio o della per­
fezione è, in primo luogo, una sconfitta del diavolo.
8 Nelle gare pitiche che si celebravano a Cartagine partecipavano
molti Egiziani (L. Robert, Une Vision de Perpétue martyre à Carthage
en 203, in Comptes rendus de l'Académ ie des Inscriptions et Belles
Lettres, Paris 1982, p. 177). Negli scritti cristiani l’Egitto è simbolo del
male e del peccato (Ap. 11,8; APt Vili*); tale simbologia costituisce il fi­
lo conduttore delle Omelie sull'Esodo di Origene (cfr. Ho. Ex. I, 1 e pas­
sini}. Non è escluso che Perpetua pensasse alla pelle scura del suo an­
tagonista, stabilendo così la correlazione simbolica nero=demonio
(sull’argomento cfr. Ps. Barn., Ep. 4, 9*).
9 Essi sono potenze angeliche che assistono Perpetua nella sua
lotta contro il demonio, come Erma è stato assistito dall’angelo Tigri.
10 La frase può essere interpretata in più modi: la sensibilità fem­
minile di Perpetua si ritrae dì fronte airìmmagine di se stessa nuda,
che di fronte alla folla, impegna un corpo a corpo con un atleta m a­
schio. Secondo una tipica situazione onìrica, a combattere contro
l'Egiziano è lei (si veda più sotto che il lanista le si rivolge con il ter­
mine «Figlia»), ma nello stesso tempo non è lei. Secondo alcuni stu­
diosi, a suggerire questa soluzione concorreva l'idea, presente nel II
secolo, che la perfezione non potesse essere raggiunta senza rinnega­
re o superare la femminilità, vista in modo negativo come fragilità e
debolezza sia fisica, sia morale (Vangelo di Tommaso 114; Vangelo di
Maria 9; Exc. Theod. 21,3; A tti d i Paolo e Tecla 40). Su questo tema
Mazzucco, cit., pp. 122-124. A. Gramaglla, Personificazioni e modelli
delfemminile nella transizione della cultura classica a quella cristiana,
in G. Galli (a cura di). Interpretazione e personificazione. Personificazioni
e modelli del femminile. Atti del Nono Colloquio sulla Interpretazione
(Macerata 6-8 aprile 1987), Genova 1988, pp. 17-164, suggerisce un'in­
terpretazione sganciata da modelli gnostici: «Il sentirsi maschio è sen­
za dubbio un momento di emancipazione psicologica per una donna
africana dell’epoca imperiale, ma è anche l’indice dì un substrato an­
cestrale per cui il prestigio della donna non è compatibile con la sua
femminilità e presuppone una metamorfosi del modo stesso di vede­
re se stessa» (p. 113).

303
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI 1-II1

11 Altro particolare tecnico: la polvere neutralizza l’olio e facilita la


presa.
12 Secondo 1’interpretazione di Corsini (cit, pp. 505-506), Pomponio
sarebbe figura del Cristo incarnato, mentre questo secondo perso­
naggio sarebbe figura del Cristo glorioso in veste di giudice. Indubbia­
mente qui si allude ad una figura superumana, di dignità superiore
agli altri «adiutores» menzionati fino a questo punto. Anche nella vi­
sione di Marcello (APt XXII*) interviene Cristo nello scontro finale con
la donna, figura del diavolo.
13 Se. l'allenatore dei gladiatori.
14 La porta da cui uscivano i gladiatori vittoriosi.
15 Anche Tertulliano, forse ricordandosi della visione di Perpetua,
evoca l’immagine del diavolo nelle vesti di un lottatore: «Et palestrica
diaboli negotium est: primos homines elisit. Ipse gestus colubrina vis
est, tenax ad occupandum, tortuosa ad obligandum, liquida ad ela-
bendum» (De spect. XVIII, 3).

304
TERTULLIANO
(seconda metà del II secolo, prima metà del III)

R primo testo è tratto dall'Apologeticum, opera che appar­


tiene al periodo in cui VAJricano era ancora nella Grande
Chiesa ed è stata composta nel 197. La questione del testo è
assai intricata; esso ci è pervenuto in due recensioni molto
diverse: laVulgata e la Fuldensis. R ms. di quest'ultima, ad
eccezione di un breve frammento, è andato perduto, ma le
sue lezioni sono parzialmente ricostruibili in quanto un filo­
logo cinquecentesco (Franciscus Modius) le aveva trascritte
su un esemplare della recensio vulgata. R problema critico
principale, su cui continuano ad esistere posizioni contra­
stanti, è quello di stabilire se le due recensioni siano ricon­
ducibili ad un unico archetipo o se riflettano due redazioni
successive dell’opera eseguite dallo stesso Tertulliano1.
R De spectaculis, da cui è tratto il secondo testo, non con­
tiene alcuna allusione storica che possa aiutare a fissarne
la data di composizione; da citazioni di essa presenti in al­
tre opere di Tertulliano, deduciamo che è stata composta pri­
ma del De cultu foeminarum, del De corona e del De idolo­
latria. R termine ad quem sarebbe dunque la composizione
del De cultu (202), mentre quello post quem sarebbe il 197,

305
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

data di composizione dell’Apologeticum2. L ’opera è un’ap­


passionata requisitoria contro gli spettacoli, tesa a dimo­
strare che essi sono contrari allafede, alla verità ed alla di­
sciplina cristiane.
R De paenitentia appartiene al periodo cattolico di Tertulliano
ed è stato composto, secondo alcuni, all’inizio del 2043; altri
preferiscono una datazione relativa e ritengono che il De pae­
nitentia segua la composizione del De patientia e preceda quel­
la del De cuitu foeminarum e i’Ad uxorem, trattati la cui com­
posizione è avvenuta comunque nei primi anni del ΙΠ secolo4.
L’argomento con cui Tertulliano difende la necessità di una pe­
nitenza successiva a quella battesimale è lo stesso di Erma5.
Segue un testo tratto da De idololatria. Per l'opera sono
state proposte differenti datazioni; Broun ne colloca la com­
posizione fra il 203 ed il 2066. Waszink, più prudente, indi­
ca un arco di tempo più ampio fra il 198 ed il 2087. In essa
Tertulliano non si limita al tema della venerazione degli ido­
li e delle immagini; critica, anzi, un significato così riduttivo
del termine anche se ammette che è quello più. largamente
accettato: «Plerique idololatrian simpliciter existimant his so­
lis modis interpretandam si quid aut incendat aut immolet
aut polluceat aut sacris aliquibus aut sacerdotiis obligetur»8.
Per Tertulliano ogni peccato è un atto di idolatria, perché es­
sendo un atto contro Dio è rivolto «ai demoni ed agli spiriti
immondi» a cui pure sono soggetti gli idoli9. Sulla base di ta­
le premessa, egli analizza i diversi aspetti della ramifica­
zione della religione pagana nella vita sociale e culturale,
criticando severamente la persistenza fra i cristiani di at­
teggiamenti e di abitudini che rappresentano una pericolo­
sa concessione all’idolatria10.
L'ultimo testo proviene dal De praescriptione haeretico­
rum; la composizione dell'opera si colloca nell'arco di tem­
po che va dal 197-198 al 206-207. Tertulliano vi tratta il con­
fronto con le eresie da un punto di vista originale che desu­

306
TERTULLIANO

me dalla propria esperienza giurìdica. Nel diritto romano la


praescriptio formulava un quesito che introduceva un prin­
cipio giuridico diverso da quello della intentio; principio che,
se accettato, era in grado di condizionare tutto il processo
successivo. Nel caso particolare, Tertulliano ritiene che prima
ancora di affrontare il dibattilo sul confronto dottrinale con gli
eretici sia necessario dimostrare se essi abbiano un qual­
che diritto sulle Scritture. La posizione di Tertulliano è che
le Scritture appartengono legittimamente soltanto atta Chiesa
cattolica, l’unica inoltre ad essere depositaria della dottrina
apostolica11.

307
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

T e r t u l l ia n i A p o l o g e t ic u m

XXII, 1-12; ed. Dekkers, pp. 128, 1 - 130, 5812

1. Atque adeo dicimus esse substantias quasdam spirita­


les. Nec novum nomen est: sciunt «daemonas» philosophi,
Socrate ipso ad daemonis arbitrium exspectante. Quidni?
Cum ipsi daemonium a pueritia adhaesisse dicatur, dehor­
tatorium plane a bono. 2. Omnes sciunt poetae, etiam vul­
gus indoctum in usum maledicti frequentat. Nam et
Satanan, principem huius mali generis, proinde de propria
conscientia animae eadem exsecramenti voce pronuntiat.
Angelos quoque etiam Plato non negavit. Utriusque nominis
testes esse vel magi adsunt. 3. Sed quomodo de angelis qui­
busdam sua sponte corruptis corruptior gens daemonum
evaserit, damnata a Deo cum generis auctoribus et, quem
diximus, principe, apud litteras sanctas ordo cognoscitur.

4. Nunc de operatione eorum satis erit exponere. Operatio


eorum est hominis eversio; sic malitia spiritalis a primor­
dio auspicata est in hominis exitium. Itaque corporibus qui­
dem et valetudines infligunt et aliquos casus acerbos, ani­
mae vero repentinos et extraordinarios per vim excessus.
5. Suppetit illis ad utramque substantiam hominis adeun­
dam mira subtilitas et tenuitas sua. Multum spiritalibus
viribus licet, ut invisibiles et insensibiles in effectu potius
quam in actu suo appareant, si poma, si fruges nescio quod
aurae latens vitium in flore praecipitat, in germine exani­
mat, in pubertate convulnerat, ac si caeca ratione tempta­
tus aer pestilentes haustus suos offundit.

308
TERTULLIANO

A p o l o g e t ic o

1. Ed anche noi affermiamo che ci sono alcune sostanze


spirituali. Non si tratta neppure di un nome nuovo: i filo­
sofi conoscono «i demoni», lo stesso Socrate attendeva che
il suo demone manifestasse la sua volontà. Perché no? Si
racconta infatti che un demonio, che lo dissuadeva senza
dubbio dal bene, gli si fosse attaccato dalla fanciullezza13.
2. Tutti i poeti li conoscono ed anche la gente ignorante li
usa costantemente quando lancia maledizioni. Essa pro­
nuncia, sulla base di un’intuizione propria dell’anima, an­
che il nome di Satana, principe di questa stirpe malvagia,
con gli stessi accenti di imprecazione14. Pure Platone am­
mise l’esistenza degli angeli15. Gli stessi magi16 attestano
l'esistenza degli uni e degli altri. 3. Ma nelle sante Scritture
si legge il racconto di come da un gruppo di angeli volonta­
riamente corrotti sia sorta una stirpe ancor più corrotta di
demoni e di come sia stata condannata da Dio con i suoi
capi e con quel principe di cui dicevamo17.
4. Per ora sarà sufficiente spiegare come essi agiscono.
Il loro operato consiste nella rovina degli uomini; pertanto la
malizia spirituale fin dagli inizi18 si è dedicata a distrugge­
re l’uomo. E così infliggono ai corpi malattie e accidenti do­
lorosi, ed alle anime, usando loro violenza, improvvisi e in­
soliti turbamenti. 5. La loro straordinaria e tenue sottigliezza
consente loro di penetrare in entrambe le sostanze che co­
stituiscono l’uomo. Alle potenze spirituali è concesso molto:
invisibili ed impalpabili si fanno vedere negli effetti, piutto­
sto che in azione: quando un non so quale invisibile soffio
corrotto rovina gli alberi fruttiferi e le messi, li fa morire in
germe, li danneggia durante la crescita o quando l'aria viziata
in modo inspiegabile effonde le sue esalazioni pestilenziali.

309
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

6. Eadem igitur obscuritate contagionis adspiratio dae­


monum et angelorum mentis quoque corruptelas agit furo­
ribus et amentiis foedis aut saevis libidinibus et erroribus va­
riis, quorum iste potissimus, quo deos istos captis et cir­
cumscriptis mentibus commendat, ut et sibi pabula pro­
pria nidoris et sanguinis curet simulacris et imaginibus.

7. Et quae illis accuratior pascua est, nisi ut hominem a


recogitatu verae divinitatis avertant praestigiis falsae divi­
nationis? Quas et ipsas quomodo operentur expediam.

8. Omnis spiritus ales est: hoc et angeli et daemones.


Igitur momento ubique sunt. Totus orbis illis locus unus
est: quid ubi geratur tam facile sciunt quam annuntiant.
Velocitas divinitas creditur, quia substantia ignoratur. Sic
et auctores interdum videri volunt eorum, quae annuntiant.
Et sunt plane malorum nonnumquam, bonorum tamen
numquam. 9. Dispositiones etiam Dei et tunc prophetis
contionantibus exceperunt et nunc lectionibus resonanti­
bus carpunt. Ita et hinc sumentes quasdam temporum sor­
tes aemulantur divinitatem, dum furantur divinationem.

10. In oraculis autem quo ingenio ambiguitates tempe­


rent in eventum, sciunt Croesi, sciunt Pyrrhi. Ceterum te­
studinem decoqui cum carnibus pecoris, Pythius eo modo
renuntiavit, quo supra diximus: momento apud Lydiam fue­
rat. Habent de incolatu aeris et de vicinia siderum et de
commercio nubium caelestes sapere paraturas, ut et plu­
vias, quas iam sentiunt, repromittant. 11. Benefici plane et
circa medicinas valetudinum. Laedunt enim primo, dehinc
remedia praecipiunt ad miraculum nova sive contraria; po­
st, quae desinunt laedere et curasse creduntur.

310
TERTULLIANO

6. Con lo stesso occulto contagio, l’alito degli angeli e


dei demoni corrompe anche le menti con furori e follie ri­
pugnanti, con smanie terribili ed errori di ogni sorta ed il
più importante di questi consiste nel raccomandare code­
sti dèi alle menti sedotte e raggirate allo scopo di procurar­
si la pastura che è loro propria: il fumo ed il sangue delle
vittime immolate alle statue ed alle immagini.
7. E quale alimento è per loro più ambito del distogliere
l’uomo dal pensare al vero Dio con gli inganni delle loro
menzognere divinazioni? Racconterò quali siano e come rie­
scano a compierle.
8. Ogni spirito è alato: questo vale per gli angeli e i de­
moni. Pertanto in un attimo sono dappertutto. Il mondo in­
tero è per loro un sol luogo; è per loro altrettanto facile co­
noscere quanto annunciare ciò che avviene ovunque19. La ve­
locità viene creduta un attributo della natura divina perché
si ignora la loro sostanza. Essi vogliono così sembrare ogni
tanto anche autori di ciò che annunciano. E lo sono dav­
vero talvolta dei mali, ma mai dei beni. 9. In passato hanno
anche appreso le disposizioni di Dio attraverso le predizio­
ni dei profeti ed ora le carpiscono durante la recitazione del­
le letture. In tal modo, con il trarre anche da qui alcune
predizioni dei tempi, millantano una natura divina, mentre
sono ladri di predizioni.
10. Tuttavia, con quale ingegnosità adattino negli ora­
coli i loro doppi sensi con gli eventi, lo sanno i Creso, lo san­
no i Pirro20. D'altra parte se Apollo Pithio potè annunciare
che una testuggine era stata fatta cuocere con carne di pe­
cora21, lo fece nel modo che abbiamo detto: in un attimo
era stato in Lidia. I demoni che abitano l’aere e che vivono
nella vicinanza delle stelle e a contatto con le nubi hanno
la possibilità di conoscere in anticipo gli eventi atmosferici
di modo che possono promettere l’arrivo delle piogge che
già percepiscono. 11. Sono certo benefìci anche per la cura

311
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

12. Quid ergo de ceteris ingeniis vel etiam viribus fallaciae


spiritalis edisseram, dum oracula profitetur, dum miracula
exercet, phantasmata Castorum et aquam cribro gestatam et
navem cingulo promotam et barbam tactu irrufatam, ut nu­
mina lapides crederentur, ut Deus verus non quaereretur?

D e s p e c t a c u l is
XIII, 1-5; XXVI-XXVII; ed. Turcan, pp. 216, 1 - 220, 20;
292, 1 - 300, 2324

XIII, 1. Satis, opinor, implevimus ordinem, quot et quibus


modis spectacula idololatriam committant: de originibus,
de titulis, de apparatibus, de locis, de artificiis, quo certi
sumus nulla ex parte competere nobis ea, qui bis idolis re­
nuntiavimus. 2. Non quod idolum sit aliquid, ut apostolus ait,
sed quod quae faciunt daemoniis faciunt, consistentibus
scilicet in consecrationibus idolorum, sive mortuorum si­
ve, ut putant, deorum. 3. Propterea igitur, quoniam utra-
que species idolorum condicionis unius est, dum mortui et
dii unum sunt, utraque idololatria abstinemus. 4. Nec mi­
nus templa quam monumenta despuimus: neutram aram
novimus, neutram effigiem adoramus, non sacrificamus,
non parentamus; sed neque de sacrificato et parentato edi­
mus, quia non possumus cenam Dei edere et cenam dae­
moniorum. 5. Si ergo gulam et ventrem ab inquinamentis
liberamus, quanto magis augustiora nostra, oculos et au­
res, ab idolothytis et necrothytis voluptatibus abstinemus,

312
TERTULLIANO

delle malattie. Infatti, per prima cosa, recano danno, poi,


perché si gridi al miracolo, prescrivono rimedi inusitati o
contrari al male22; in seguito, si crede che abbiano guarito
le malattie che hanno smesso di infliggere.

12. A che scopo dunque dilungarmi sulle altre astuzie e sul­


le loro capacità di inganno spirituale, quando spacciano
oracoli, quando esibiscono miracoli quali le apparizioni fan-
tasmatiche di Castore, l’acqua portata con un setaccio, la
nave tirata da una cintura, la barba diventata rossa al sem­
plice tatto23, e questo nell’intento di far apparire le pietre
dèi e per non far ricercare il vero Dio?

G l i spettacoli

XIII, 1. Penso di aver completato in modo soddisfacente la


trattazione su quanti e in quali modi gli spettacoli si ren­
dono colpevoli di idolatria: a causa delle loro origini, dei lo­
ro titoli, delle loro cerimonie, dei luoghi che li ospitano, dei
loro artifici; siamo pertanto sicuri che essi non possono
adattarsi sotto nessun aspetto a noi che abbiamo rinun­
ciato per due volte agli idoli25. 2. Non perché, come affer­
ma l’apostolo, l’idolo sia qualche cosa (I Cor. 8, 4), ma perché
il culto che gli viene reso è reso ai demòni che vi stabili­
scono la propria dimora certamente al momento della con­
sacrazione26 degli idoli, siano essi dedicati a uomini defun­
ti sia, come credono, a dèi. 3. Di conseguenza ci asteniamo
da ambedue le forme di idolatria per la ragione che ambe­
due le specie di idoli hanno la stessa natura, essendo
tutt’uno i morti e gli dèi. 4. Proviamo disprezzo per i templi
non meno che per le tombe: ignoriamo gli altari di entram­
bi; non veneriamo i simulacri né degli uni né delle altre;

313
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

quae non intestinis transiguntur, sed in ipso spiritu et ani­


ma digeruntur: quorum munditia magis ad Deum pertinet
quam intestinorum.

XXVI, 1. Cur ergo non eiusmodi etiam daemoniis pen


trabiles flant? Nam et exemplum accidit Domino teste eius
mulieris quae theatrum adiit et inde cum daemonio rediit.
2. Itaque in exorcismo, cum oneraretur immundus spiritus
quod ausus esset fidelem aggredi, constanter: Et iustissime
quidem, inquit, feci: in meo eam inveni. 3. Constat et alii
linteum in somnis ostensum eius diei nocte qua tragoedum
audierat, cum exprobratione nominato tragoedo, nec ultra
quintum diem eam mulierem in saeculo fuisse. 4. Quo uti­
que et alia documenta cesserunt de his qui cum diabolo
apud spectacula communicando a Domino exciderunt. Nemo
enim potest duobus dominis servire. Quid luci cum tenebris?
quid vitae et morti?

XXVII, 1. Odisse debemus istos conventus et coetus eth­


nicorum, vel quod illic nomen Dei blasphematur, illic quo­
tidiani in nos leones expostulantur, inde persecutiones de­
cernuntur, inde temptationes emittuntur. 2. Quid facies in
illo suffragiorum impiorum aestuario deprehensus? Non

314
TERTULLIANO

non facciamo sacrifici, non offriamo libagioni ai morti e nem­


meno mangiamo di quanto viene sacrificato né di quanto
viene offerto ai defunti, perché non possiamo partecipare
alla mensa di Dio ed alla mensa dei demòni. 5. Se dunque
evitiamo di lordare la gola ed il ventre, tanto più dobbiamo
tener lontane le nostre parti più nobili - le orecchie e gli oc­
chi - dal piaceri consacrati agli idoli ed al morti: essi non
passano attraverso gli intestini, ma vengono assimilati dal­
lo spirito e dall'anima la cui purezza riguarda Dio più di
quella degli intestini.

XXVI, 1. Perché dunque in gente simile27 non potrebbe­


ro introdursi i demòni? Infatti - e Dio ne è testimone - av­
venne il caso di una donna che andò a teatro e se ne tornò
con un demonio. 2. E siccome, durante l’esorcismo, lo spi­
rito immondo veniva tormentato perché aveva osato attac­
care ima fedele, quello disse con fermezza: «Ma ho agito con
tutto il diritto: l’ho trovata nel mio!»28 3. Risulta che ad un’al­
tra donna fu mostrato in sogno un lenzuolo nella notte del­
lo stesso giorno in cui aveva ascoltato un attore tragico, il cui
nome (nel sogno) veniva pronunciato con rimprovero: dopo
cinque giorni quella donna non era più di questo mondo29.
4. A questa si aggiungono senz’altro anche altre testimo­
nianze relative a coloro che, con l’entrare in comunione
con il diavolo assistendo agli spettacoli, si allontanarono da
Dio30. Nessuno infatti può servire due padroni (Mt. 6, 24).
Che cosa ha in comune la luce con le tenebre (Π Cor. 6, 14)?
La vita con la morte?

XXVII, 1. Dobbiamo odiare codeste adunanze e riunioni


di pagani proprio perché là viene bestemmiato il nome di Dio,
là vengono ogni giorno pretesi i leoni contro di noi, là vengo­
no decise le persecuzioni, di là provengono le prove. 2. Cosa fa­
rai una volta sorpreso in quel ribollire di empie acclamazio-

315
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

quasi aliquid illic pati possis ab hominibus (nemo te co­


gnoscit Christianum), sed recogita quid de te flat in caelo.
3. Dubitas enim illo momento quo in diaboli ecclesia furis
omnes angelos prospicere de caelo et singulos denotare,
quis blasphemiam dixerit, quis audierit, quis linguam, quis
aures diabolo adversus Deum ministraverit? 4. Non ergo
fugies sedilia hostium Christi, illam cathedram pestilentia-
riam ipsumque aerem qui desuper incubat, scelestis vocibus
constupratum? Sint dulcia licebit et grata et simplicia, etiam
honesta quaedam: nemo venenum temperat felle et ellebo­
ro, sed conditis pulmentis et bene saporatis, et plurimum
dulcibus id mali inicit. Ita et diabolus letale quod conficit
rebus Dei gratissimis et acceptissimis imbuit. 5. Omnia il­
lic seu fortia, seu honesta, seu sonora, seu canora, seu sub­
tilia, proinde habe ac si stillicidia mellis de libacunculo ve­
nenato; nec tanti gulam facias voluptatis quanti periculum
per suavitatem.

D E ΡΑΕΝΙΤΕΝΉΑ
VII, 7-10; ed. Munier, pp. 172, 24 - 174, 4133

7. Sed enim pervicacissimus hostis ille numquam malitiae


suae otium facit; atquin tunc maxime saevit, cum homi­
nem plene sentit liberatum; tunc plurimum accenditur, cum
extinguitur. 8. Doleat et ingemiscat necesse est, venia pec­
catorum permissa, tot in homine mortis opera diruta, tot
titulos dominationis retro suae erasos. Dolet quod ipsum
et angelos eius Christi servus ille peccator iudicaturus est.
9. Itaque observat, oppugnat, obsidet, si qua possit aut ocu­
los concupiscentia carnali ferire, aut animum illecebris sae­
cularibus irretire, aut fidem terrenae potestatis formidine

316
TERTULLIANO

ni? Non perché là tu possa subire qualcosa dagli uomini (nes­


suno ti conosce come Cristiano), ma pensa a che cosa acca­
drà di te in cielo. 3. Dubiti infatti che, nello stesso momento
in cui imperversi nella Chiesa del diavolo31, tutti gli angeli
non guardino dal cielo e non prendano nota ad uno ad uno
di chi ha bestemmiato, di chi ha ascoltato, di chi ha messo
al servizio del diavolo contro Dio la lingua o le orecchie? 4.
Non fuggirai dunque gli scanni dei nemici di Cristo, quella
cattedra32 pestifera e la stessa aria che grava su di essi vio­
lata da clamori scellerati? Vi potranno essere cose dolci, gra­
dite, semplici, perfino oneste: nessuno mischia un veleno al
fiele ed all’elleboro, ma a pietanze condite e ben saporite ed è
soprattutto con il dolce che questo veleno si confonde. Nello
stesso modo il diavolo impregna del suo preparato micidiale le
cose di Dio più piacevoli e care. 5. In quei luoghi quanto vi è
di forte, di onesto, di armonia di suoni e di canti, di arguto,
consideralo come miele stillante da un dolcetto avvelenato e
non pensare che la tua golosità di piaceri valga quanto il pe­
ricolo che corri a causa della loro soavità.

La p e n it e n z a

7. Infatti, quell'ostinatissimo nemico, non concede mai tre­


gua alla sua malvagità. Ebbene, infierisce nel modo peggiore
proprio quando sente l’uomo completamente liberato34: pren­
de fuoco più vivamente proprio quando viene spento. 8. È
necessario che si addolori e gema, quando, accordato il per­
dono dei peccati, vede distrutte nell’uomo tante opere di mor­
te, cancellati tanti titoli della sua dominazione di un tempo.
Si addolora perché quel peccatore, (ora) servo di Cristo giu­
dicherà lui ed i suoi angeli35. 9. E così lo osserva, lo assale, lo
assedia per vedere di riuscire a ferire i suoi occhi con la con­

317
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

evertere, aut a via certa perversis traditionibus detorquere;


non scandalis, non temptationibus deficit. 10. Haec igitur ve­
nena eius providens Deus, clausam licet ignoscentiae ia-
nuam et intinctionis sera obstructam, aliquid adhuc per­
misit patere; collocavit in vestibulo paenitentiam secun­
dam, quae pulsantibus patefaciat, sed iam semel, quia iam
secundo, sed amplius numquam, quia proxime frustra.

D e id o l o l a t r ia
14, 1 - 15, 6; ed. Waszink, pp. 48, 1 - 52, 2739

14, 1. Sed enim plerique iam induxerunt animo agnoscen­


dum esse, si quando, quae ethnici, faciunt, ne nomen bla­
sphemetur. Porro blasphemia, quae nobis omni modo devi­
tanda est, haec, opinor, est, si qui nostrum ad iustam bla-
sphemiam ethnicum deducat aut fraude aut iniuria aut
contumelia aliave materia dignae querellae, in qua nomen
merito percutitur, ut merito irascatur et dominus. 2. Cete­
rum si de omni blasphemia dictum est: vestri causa nomen
meum blasphematur, perimus universi, cum totus circus
scelestis suffragiis nullo merito nomen lacessit. Desinamus,
et non blasphemabitur. Immo dum sumus, blasphemetur in
observatione, non in exorbitatione disciplinae, dum proba­
mur, non, dum reprobamur. 3. O blasphemiam martyrii af­
finem, quae tunc me testatur Christianum, cum propterea
me detestatur! Benedictio est nominis maledictio custodi­
tae disciplinae. Si hominibus, inquit, velim placere, servus
Christi non essem. ‘Sed idem alibi iubet, omnibus placere
curemus, quaemadmodum ego, inquit, omnibus per omnia

318
TERTULLIANO

cupiscenza carnale, oppure a imprigionare il suo animo con


le attrattive del secolo, oppure ad annientare la sua fede con
la paura del potere terreno, oppure a distoglierlo dalla via ret­
ta con dottrine perverse36; non gli mancano né gli scandali, né
le tentazioni37. 10. Dio, allora, prevedendo questi suoi vele­
ni, una volta chiusa la porta del perdono e dopo aver tirato
il chiavistello del battesimo, concesse che venisse ancora
aperta un poco. Egli ha messo nel vestibolo una seconda pe­
nitenza che potesse aprire a coloro che bussavano38; ma que­
sto una sola volta, perché è già la seconda e in seguito non più
perché la volta precedente è stata inutile.

L ’id o l a t r ia

14, 1. Infatti molti si sono ormai convinti che è ammissibi­


le40 se talvolta fanno le stesse cose dei pagani, affinché non
si bestemmi il nome (cfr. I Tim. 6, l)41. Ma la bestemmia che
bisogna in ogni modo evitare è, secondo il mio parere, quan­
do qualcuno di noi induce un pagano ad una bestemmia
legittima per una frode, per un’ingiuria, per un’offesa o per
un altro motivo di fondata lagnanza: in questo caso il no­
me viene meritatemente coperto di improperi e ne conse­
gue che, meritatamente, si adira anche il Signore. 2. D’altra
parte, se di ogni bestemmia è stato detto: «Il mio nome è be­
stemmiato a causa vostra» (Rm. 2, 24), siamo tutti perdu­
ti, dal momento che l’intero circo con scellerate impreca­
zioni42 attacca immeritatamente il nome (di cristiani).
Smettiamo (di essere cristiani) ed il nome non verrà be­
stemmiato. Ma, fintantoché lo siamo, sia bestemmiato per
l’obbedienza alla disciplina e non per il suo abbandono, per­
ché siamo approvati e non perché siamo riprovati. 3. O be­
stemmia che è prossima al martirio! Essa testimonia che

319
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

placeo' 4. Nimirum Saturnalia et Kalendas Ianuarias cele­


brans hominibus placebat! An modestia et patientia? An
gravitate, an humanitate, an integritate? Proinde cum di­
cit: omnibus omnia Jactus sum, ut omnes lucrifaciam, num-
quid idololatris idololatres, numquid ethnicis ethnicus, num-
quid saecularibus saecularis? 5. Sed etsi non prohibet nos
conversari cum idolatrie et adulteris et ceteris criminosis
dicens: ceterum de mundo exiretis, non utique eas habenas
conversationis immitit, ut, quoniam necesse est et convi­
vere nos, et commisceri cum peccatoribus, idem et com­
peccare possimus. Ubi est commercium vitae, quod apo­
stolus concedit, ibi peccare, quod nemo permittit. Licet con­
vivere cum ethnicis, commori non licet. Convivamus cum
omnibus, conlaetemur ex communione naturae, non su­
perstitionis; pares anima sumus, non disciplina, compos­
sessores mundi, non erroris. 6. Quodsi nobis nullum ius
esset communionis in huiusmodi cum extraneis, quanto
scelestius est haec inter fratres frequentare! Quis hoc su­
stinere aut defendere potest? Iudaeis dies suos festos ex­
probrat spiritus sanctus: sabbata, inquit, vestra et nume-
nias et ceremonias odit anima mea. Nobis, quibus sabbata
extranea sunt et numeniae et feriae a deo aliquando dilec­
tae, Saturnalia et lanuariae et Brumae et Matronales fre­
quentantur, munera commeant, strenae, consonant lusus,
convivia constrepunt. 7. O melior fides nationum in suam
sectam, quae nullam sollemnitatem Christianorum sibi vin­
dicat! Non dominicum diem, non pentecosten, etiam si nos-
sent, nobiscum communicassent; timerent enim, ne Christiani
viderentur. Nos ne ethnici pronuntiemur, non veremur.

320
TERTULLIANO

sono cristiano proprio quando per la stessa ragione mi ese­


crai La benedizione del nome è là maledizione dell’osser­
vanza della disciplina. Se volessi piacere agli uomini - dice
l’Apostolo - non sarei servo di Cristo (GaL 1, 10). «Ma altro­
ve egli stesso ordina di applicarsi a piacere a tutti, come io
- dice - piaccio a tutti in tutto (/ Cor. 10, 32-33J43. 4. Non c’è
dubbio: piaceva agli uomini celebrando i Saturnali e le
Calende di Gennaio! O forse per la sua dolcezza e per la sua
pazienza? Non per la dignità, l’umanità, l’onestà? E allora,
quando dice: «Mi sono fatto tutto con tutti, per guadagnare
tutti» (I Cor. 9, 22), forse che è diventato idolatra con gli ido­
latri, pagano con i pagani, mondano con gli uomini mon­
dani? 5. Certo, anche se non proibisce di frequentare gli
idolatri, gli adulteri e gli altri peccatori dicendo altrimenti
dovreste uscire dal mondo (I Cor. 5, 10), non scioglie certo
le briglie della convivenza a tal punto che - visto che è ne­
cessario sia vivere, sia mescolarsi con i peccatori - possia­
mo anche peccare con essi. Dove vi è vita in comune, che
l’Apostolo ammette, là vi sono occasioni di peccato, che nes­
suno permette. È concesso convivere con i pagani, ma non
morire44 con essi. Viviamo, dunque, insieme con tutti, con­
dividiamo la gioia della comunanza della natura, non della
superstizione; siamo uguali nell’anima, non nella discipli­
na; pari nel possedere il mondo, non l'errore. 6. Ma se non
abbiamo alcun diritto a una comunanza siffatta con gli
estranei, quanto più è sacrilego praticare queste cose fra
fratelli45! Chi potrebbe tollerare o difendere questo? Lo Spirito
Santo rimprovera ai Giudei le loro feste dicendo: «L’anima
mia odia i vostri sabati, i noviluni e le cerimonie» (Js. 1, 14).
Noi a cui sono estranei i sabati, i noviluni, le feste, una vol­
ta care a Dio, celebriamo i Saturnali, le feste di Gennaio,
del solstizio di inverno, i Matronali con andirivieni di doni,
di strenne, con giochi rumorosi, con clamori conviviali. 7.
Quanto è migliore la fedeltà delle nazioni ai propri princì-

321
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU l-III

Si quid et carni indulgendum est, habes non dicam tuos


dies tantum, sed et plures. Nam ethnicis semel annuus dies
quisque festus est, tibi octavo quoque die. Excerpe singulas
sollemnitates nationum et in ordinem exsere: pentecosten
implere non poterunt.

15, 1. Sed luceant, inquit, operae. At nunc lucent t


bernae et ianuae nostrae. Plures iam invenias ethnicorum
fores sine lucernis et laureis quam Christianorum. De ista
quoque specie quid videtur? Si idoli honor est, sine dubio
idoli honor idololatria est. Si hominis causa est, recogite­
mus omnem idololatrian in hominis causam esse; 2. reco­
gitemus omnem idololatrian in homines esse culturam, cum
et ipsos deos nationum homines retro fuisse etiam apud
suos constet. Itaque nihil interest, superioris an huius sae­
culi viris superstitio ista praestetur. Idololatria non prop­
ter personas, quae opponuntur, sed propter officia ista dam­
nata est, quae ad daemonas pertinent. 3. ‘Reddenda sunt
Caesari quae sunt Caesaris.’ Bene, quod apposuit: et quae
sunt dei deo. Quae ergo sunt Caesaris? Scilicet de quibus
tunc consultatio movebatur, praestandusne esset census
Caesari an non. Ideo monetam ostendi sibi dominus po­
stulavit et de imagine, cuius esset, requisivit et, cum au-
disset Caesaris, reddite, ait, quae sunt Caesaris Caesari et
quae sunt dei deo, id est imaginem Caesaris Caesari, quae
in nummo est, et imaginem dei deo, quae in homine est, ut
Caesari quidem pecuniam reddas, deo temetipsum. 4.
Alioquin quid erit dei, si omnia Caesaris? ‘Ergo inquis, ho-

322
TERTULLIANO

pi! Una fedeltà che non rivendica a sé nessuna solennità


dei cristiani: esse non condividerebbero con noi né la do­
menica, né la Pentecoste anche se le conoscessero: avrebbero
infatti il timore di apparire cristiani. Noi invece non temia­
mo di essere dichiarati pagani.
Se bisogna concedere qualche cosa alla carne, hai non
dirò soltanto i tuoi giorni, ma anche di più. Infatti per i pa­
gani ciascuna festività ricorre una sola volta aH’anno, men­
tre per te ogni sette giorni. Prendi i giorni festivi delle na­
zioni e mettili uno dietro l’altro: non potranno uguagliare
la Pentecoste46.

15, 1. Ma è scritto: «Le opere risplendano» (Mt. 5, 16).


contrario ora risplendono i nostri negozi e le nostre porte.
Ormai potresti trovare più porte senza lucerne e corone tra
i pagani che non fra i Cristiani47. Che cosa ti sembra an­
che di questo caso? Se è un onore rivolto ad un idolo, non
vi è dubbio che onorare un idolo sia un atto di idolatria. Se
lo si fa a causa di un uomo48, ricordiamoci che ogni idola­
tria è a motivo di un uomo. 2. Ricordiamoci che ogni idola­
tria consiste nel culto reso a uomini, poiché è ammesso an­
che dai pagani che gli stessi dèi delle nazioni siano stati un
giorno degli uomini. Non importa nulla quindi se codesta
superstizione sia rivolta a uomini appartenenti a questa età
o ad una età precedente. L’idolatria è condannata non a
causa delle persone poste innanzi agli occhi (per essere ado­
rate), ma a causa di quegli omaggi che riguardano i demo­
ni. 3. «Bisogna dare a Cesare le cose di Cesare», e ben dice
in aggiunta «e le cose di Dio a Dio» (Mi. 22, 16-21 e parai.).
Quali sono dunque le cose di Cesare? Chiaramente ciò che
era allora in discussione, se si dovessero pagare o no le tas­
se a Cesare. 4. Così il Signore chiese che gli venisse mo­
strata una moneta e domandò di chi fosse l’immagine e
quando ebbe udito che si trattava di quella di Cesare dis-

323
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

nor dei est lucernae pro foribus et laurus in postibus?’ Non


utique quod dei honor est, sed quod eius, qui pro deo eiu-
smodi officiis honoratur quantum in manifesto est salva
operatione quae est in occulto ad daemonia perveniens. 5.
Certi enim esse debemus, si quos latet per ignorantiam lit­
teraturae saecularis, etiam ostiorum deos apud Romanos,
Camam a cardinibus appellatam et Forculum a foribus et
Limentinum a limine et ipsum Ianum a ianua; et utique sci­
mus, licet nomina inania atque conficta sint, cum tamen
in superstitionem deducuntur, rapere ad se daemonia et
omnem spiritum immundum per consecrationis obliga­
mentum. 6. Alioquin daemonia nullum habent nomen sin-
gillatim, sed ibi nomen inveniunt, ubi et pignus.

D e p r a e s c r ip t io n e h a e r e t ic o r u m

40, 1-7; ed. Kroymann, pp. 51, 1 - 52, 2852

1. Sed quaeritur: a quo intellectus interpretetur eorum,


quae ad haereses faciant? A diabolo scilicet, cuius sunt par­
tes intervertendi veritatem, qui ipsas quoque res sacra­
mentorum divinorum in idolorum mysteriis aemulatur.
2. Tingit et ipse quosdam, utique credentes et fideles suos:
expositionem delictorum de lavacro repromittit et, si adhuc
memini, [Mithra] signat illic in frontibus milites suos.
Celebrat et panis oblationem et imaginem resurrectionis in­
ducit et sub gladio redimit coronam. 3. Quid, quod et sum-

324
TERTULLIANO

se: «Date a Cesare le cose di Cesare e a Dio le cose di Dio»,


cioè l'immagine di Cesare, che si trova sulla moneta, a
Cesare e l’immagine di Dio, che è nell’uomo, a Dio al fine
di rendere il denaro a Cesare ed a Dio te stesso49. 4. Del re­
sto, che cosa sarà di Dio, se tutte le cose sono di Cesare?
«Dunque, dici che le lucerne sulle porte e le corone sugli
stipiti sono un onore reso a Dio?» No, non dico un onore re­
so a Dio, ma a colui che viene onorato come Dio attraver­
so codesti omaggi con un rito all'apparenza corretto, ma
che raggiunge occultamente i demoni. 5. Infatti, sebbene
qualcuno non lo sappia per ignoranza della letteratura del
secolo, noi sappiamo con certezza che presso i Romani vi
sono anche gli dèi della porta: Cama, che prende il nome
dai cardini; Forcula dai battenti; Limentino dalla soglia e lo
stesso Giano dalla porta50; e sappiamo quindi che, per quan­
to i nomi siano vani e fittizi, tuttavia, quando sono usati
nella superstizione, i demòni e tutti gli spiriti immondi se
ne appropriano servendosi del vincolo della consacrazione.
6. Del resto i demòni non hanno nomi propri, ma trovano
il nome là dove vi è anche il pegno51.

La p r e s c r iz i o n e contro g u e r e t ic i

1. Ma si pone la domanda: da chi viene spiegato il signifi­


cato di quei passi che favoriscono gli eretici? Naturalmente
dal diavolo, che ha la funzione di sconvolgere la verità e che,
nei misteri idolatrici, imita anche gli stessi riti dei misteri
divini53. 2. Anch’egli ne battezza alcuni54, evidentemente
quelli che credono in lui e gli sono fedeli: promette l’espia­
zione dei peccati in seguito al lavacro e, se ricordo ancora,
(Mitra)55 in quell’occasione imprime un segno sulla fronte
dei suoi soldati56. Egli celebra anche l’offerta del pane e fa

325
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-Ill

mum pontificem in unis nuptiis statuit? habet et virgines,


habet et continentes. 4. Ceterum si Numae Pompilii super­
stitiones revolvamus, si sacerdotalia officia et insignia et
privilegia, si sacrificantium ministeria et instrumenta et va­
sa, <si> ipsorum sacrificiorum ac piaculorum et votorum
curiositates consideremus, nonne manifeste diabolus mo­
rositatem illam Iudaicae legis imitatus est? 5. Qui ergo ipsas
res, de quibus sacramenta Christi administrantur, tam ae-
mulanter adfectavit exprimere in negotiis idololatriae, utique
et idem et eodem ingenio gestiit et potuit instrumenta quo­
que divinarum rerum et sacramentorum Christianorum
sensus de sensibus, verba de verbis, parabolas de parabo­
lis, profanae et aemulae fidei attemperare. 6. Et ideo neque
a diabolo inmissa esse spiritalia nequitiae, ex quibus etiam
haereses veniunt, dubitare quis debet, neque ab idololatria
distare haereses, cum et auctoris et operis eiusdem sint,
cuius et idololatria. 7. Deum aut fingunt alium adversus
creatorem, aut si unicum creatorem confitentur, aliter eum
disserunt quam in vero est.

326
TERTULLIANO

comparire un’immagine della resurrezione e, sotto una spa­


da, pone una corona57. 3. E che dire del fatto che stabili­
sce che il suo sommo sacerdote si sposi una sola volta? Ha
anche i vergini e i continenti58. 4. Del resto se esaminiamo
le superstizioni di Numa Pompilio; se ripensiamo ai compi­
ti, alle insegne, ai privilegi dei sacerdoti, ai ministeri, ai va­
si sacri e airarmamentario di coloro che compiono i sacrifìci;
se consideriamo l’artificiosità dei sacrifìci, delle espiazioni
e dei voti, non appare forse evidente che il diavolo ha imitato
la pedanteria della legge giudaica? 5. Colui che dunque ha
cercato di riprodurre con simulazione, a servizio dell’idola­
tria, le stesse cose con cui vengono compiuti i misteri di
Cristo, è indubbiamente lo stesso che, con uguale astuzia,
ha desiderato ardentemente ed ha potuto adeguare ad una
fede empia e rivale anche gli strumenti dei riti divini e dei
misteri dei Cristiani: significato da significato, parola da pa­
rola, immagine da immagine59. 6. E chi dovrebbe porre in
dubbio che gli spiriti maligni da cui provengono anche gli
eretici siano stati mandati dal diavolo? E chi dovrebbe du­
bitare che gli eretici siano differenti dall’idolatria, dal mo­
mento che appartengono allo stesso autore ed alla stessa
attività da cui proviene anche l’idolatria? 7. Gli eretici o si
foggiano un dio diverso dal creatore o, se confessano un
unico creatore, lo dicono diverso da come è in realtà.

NOTE

1 Status quaestionis in Tertulliano, Apologetico, tr. di E. Buonaiuti,


introduzione, revisione e commento di E. Paratore, Bari 1972, pp. XVII-
XXVIII; Tertulliano, Apologia del cristianesimo, introduzione e note di
C. Moreschini, Milano 1984, pp. 63-66.
2 Tertullien, Les spectacles. Introduction, texte critique, traduc-
tion et commentaire de M. Turcan (SC 332), Paris 1986, pp. 37-44.
3 R- Braun, Deus Christianorum. Recherches sur le vocabulaire doc-

327
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

trinai de Tertullien, Paris 19772, p. 204.


4 Tertullien, La pénitence. Introduction, texte critique, traduction
et coiranentalre de C. Munler (SC 316), Paris 1984, pp. 7-12.
5 Erma, Posi., Mand. IV, 3, 4*.
6 R. Braun, Chronoìogia Tertullianea. Le «De carne Christi» et le «De
idololatria’, In Id., Approch.es, cit., pp. 85-95.
7 Tertullianus, De Idololatria, Criticai Text, Translation and
Commentaiy by J.H. Waszink and J.M.C. Winden, Leiden-New York-
Kobenhavn-Kóln 1987, pp. 10-13; la traduzione si basa su questa edi­
zione critica.
8 De idolo. II, 1.
9 Ibid. I, 5. Sul tema cfr. J.C.M. Winden, Idolum and Idololatria in
Tertullian, «Vigiliae Christianae», 36 (1982), pp. 108-114.
10 Per un quadro più generale: introd. pp. 70-72.
11 Sulla praescriptio, più dettagliatamente in Quinto Settimio
Fiorente Tertulliano, Opere scelle, a cura di C. Moreschini, Torino 1974,
pp. 32-38.
12 La traduzione è condotta sul testo critico di E. Dekkers (CCSL
I), Tumholti 1954.
13 Nella prospettiva di Tertulliano in cui il demone non può che
essere una presenza negativa, il demone di Socrate, che lo tratteneva
talvolta dal compiere determinate azioni (sul carattere inibitorio dell’azio­
ne del demone socratico: G. Cambiano, Daimonion e diabolé nel ritrat­
to platonico d i Socrate, in Autunno, cit., voi I, pp. 15-22), non poteva
che distoglierlo dal bene. Sulla concezione tertullianea della figura di
Socrate: J. J.Geffcken, Sokrates und das alte Chrìstentum, Heidelberg
1908, pp. 25-27.
14 Tertulliano allude qui alla frequente imprecazione «malumt»;
Satana era lo spirito del male per eccellenza, che Tertulliano chiama
spesso «malus» tout court. Per questo era possibile interpretare l’im­
precazione come un riferimento a Satana (cfr. la nota ad locum di
Moreschini, cit., p. 195, n. 200).
15 Plat., Symp. 202 d; cfr. introd. pp. 64-65.
16 Propriamente i sacerdoti persiani (Apul., A p o i 25-26), ma in ge­
nere i maghi e gli astrologhi (cfr. F. Cumont, Les religione orientales
dans le paganisme romain, Paris 1929, pp. 151-152).
17 Più esplicito ed esteso il riferimento alle tradizioni enochiche in
De cult.foem . I, 3; Tertulliano ne difende qui l'autenticità parlando di
esse nei termini di scriptura (cfr. introd. p. 63, n. 145).
18 Cfr. Io. 8, 44.

328
TERTULLIANO

19 In una tradizione talmudica anonima troviamo espresse le stes­


se Idee: 1 demòni sono alati, si spostano d a un’estFemltà all'altra del­
la terra e prevedono l’avvenire (J. Klener, Dèmonologie talmudique et
ashkénaze, in Anges et démons, cit., p. 184; L. Ginzberg, The legends
oftheJèw s, voi. V, Philadelphia 1968, p. 108. Anche la demonologia fi­
losofica, sia pure in modo meno mitologico, esprime rappresentazioni
simili: Epln. 985 b: «Ora, siccome 11cielo è pieno di esseri animati, i
demoni fanno da interpreti l’uno con l'altro, con tutti gli dèi superiori,
e con ogni altro essere, potendo essi con lieve sforzo passare dalla ter­
ra ad ogni regione del cielo, grazie alla posizione intermedia che oc­
cupano fra i viventi» (tr. G. Reale, Milano 1991, p. 1780). Sulla rap­
presentazione del demonio alato: Teyssèdre, il diavolo, c it, pp. 266 sgg.
20 Creso e Pirro ottennero responsi oracolari ambigui; la loro er­
rata interpretazione si risolse a loro danno (cfr. Moreschini, cit. p. 197,
n. 205).
21 Herod. I, 47; Cic., Diuin. II, 116.
22 Allusione alla medicina «antitetica· di cui sopra, Tat., Orai. 16*.
23 Cic., D e n o t deor. II. 2. 5-8; Valerio Massimo Vili, 5; Uv. XXIX,
14, 5; Svet., Vita Ner. 1: si tratta di episodi d a cui si evinceva la po­
tenza benefica degli dèi.
24 L’edizione critica è quella di Turcan, cit. sopra.
25 Allusione al rito battesimale che prevedeva prima di entrare in
acqua la rinuncia al diavolo ed alle sue pompe (Turcan, p. 217); sul
rituale battesimale di Cartagine nel III secolo: Tertulliano, Λ battesi­
mo. Introduzione, traduzione e note di P. Gramaglie, Roma 1979, pp.
62-76.
26 Essa consisteva nel rituale con cui si riteneva di attirare il dio nel­
la statua che lo rappresentava. Per 11 significato del termine in
Tertulliano: R. Braun, Sacralitè et sainteté, in Approches, c it, pp. 339-
340. Ancora utile: C. Clerc, Les théortes relatiues au culle des images
chez les auteurs grecs du Ih siècle après J.-C., Paris 1915, pp. 152-
153.
27 Nel paragrafo precedente, Tertulliano aveva biasimato coloro
che «In diaboli ecclesia» (XXV, 5) avevano reso agli attóri ed ai gladia­
tori omaggi simili a quelli che nei luoghi sacri sono resi a Dio.
28 Sul potere del cristiani sui demòni negli esorcismi Apoi. XIII,
4; 15.
29 Sulla funzione degli exem pla: H. Petré, L ’exem plum chez
TertuRien, Dijon 1940.
30 D e sp ect VIII, 9: «Ceterum et plateae et forum et balneae et sta-

329
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

buia et ipsae domus nostrae sine idolis omnino non sunt: totum sae­
culum Satanas et angeli eius repleverunt»; poco oltre, forse accor­
gendosi di aver detto troppo, ma mantenendo un’ambiguità di fondo
fra la contaminazione che proviene dal peccato come atto positivo e
quella, per così dire, «di contatto», aggiunge: «Loca nos non contami­
nant per se, sed quae in locis fiunt, a quibus et ipsa loca contamina­
ri altercati sumus: de contaminatis contaminamur».
31 De spect. XII, 7: l’anfiteatro è il tempio dei demòni, «tot illic im­
mundi spiritus considunt quot homines capit».
32 Pare essere il nome tecnico riservato a sedili, con lo schienale
alto, collocati sotto il portico superiore dei teatri e degli anfiteatri, cfr.
Turcan, c it, p. 111.
33 L'edizione critica è quella di Munier, cit.
34 Cioè in seguito al battesimo.
35 Un’allusione a I Cor. 6, 3.
36 Nell’enumerazione si possono riconoscere il peccato di impu­
rità, apostasia e eresia; quei peccati che il De pudicitia, scritto du­
rante il periodo montanlsta e dedicato allo stesso tema, giudica irre­
missibili. Nel De poenitentia vi è un’altra lista di peccati gravi (Vili, 1)
che però non coincide con la precedente: «Le moraliste ne prétend pas
foumir une liste complète de tous les péchés graves. Il donne plutòt
un exemple de faute à éviter, soit à la lumière du texte sacré, soit à
l’épreuve de l’expérience concrète» (Munier, cit., p. 71).
37 Manca un approfondimento sulla psicologia del peccato, alla
luce dell’influenza esercitata dal demonio sugli uomini, come farà più
tardi Origene.
38 Non si tratta forse soltanto di una metafora: secondo B.
Poschmann, Poenitentia, cit., pp. 290-295; 310-320, Tertulliano fa­
rebbe riferimento al modo in cui si svolgeva il rito di riconciliazione
(il vestibulum sarebbe quello della domus ecclesiae).
39 L’edizione critica è quella dì Waszink, cit. sopra n. 7.
40 II signlcato di agnoscendum equivale a approbandum, secondo
l’uso giuridico; cfr. più dettagliatamente in Waszink, c it, p. 230.
41 Come a proposito degli spettacoli, anche qui Tertulliano mette
in campo avversari cristiani che sostengono la loro posizione appel­
landosi alla Scrittura. Essi difendono uno stile di vita che li rende me­
no «visibili» socialmente all’intemo della città per non provocare l’odio
dei pagani contro di loro, come sarebbe raccomandato anche
dall’Apostolo.
42 Per questo significato del termine «suffragia», cfr. la nota di
Waszink ad loc. (p. 231).

330
TERTULLIANO

43 È l’obiezione dell’interlocutore fittizio di Tertulliano.


44 Allude alla morte spirituale causata dal peccato.
45 I cristiani dunque non si limitavano a partecipare ai festeggia­
menti dei pagani, ma 11organizzavano anche fra di loro.
46 Essa durava i cinquanta giorni successivi alla Pasqua.
47 Anche qui. come nel caso delle feste. Tertulliano sottolinea che
i Cristiani assumono tali comportamenti non perché costretti dalle cir­
costanze, ma spontaneamente, anzi distinguendosi per zelo dai paga­
ni. Al carattere idolatrico dell’usanza delle corone è dedicato il De co­
rona-, cfr. in particolare D e cor. VII, 7-9. Sulla polemica dei cristiani
contro l’uso delle corone fra la fine del II secolo e inizi del III, cfr.
Tertulliano, La corona. Introduzione, traduzione e note di P. A.
Gramaglla, Roma 1980, p. 146.
48 Si usavano le corone anche in occasione di feste in onore
dell’imperatore.
49 II ragionamento sottinteso è: dal momento che l’esposizione del­
le corone è un atto di culto idolatrico, esso impegna tutta la persona e,
dunque, sottrae al vero Dio ciò che gli è dovuto. Cosi facendo, si di-
sobbedlsce alla prescrizione evangelica che, invece, era invocata dagli
avversari di Tertulliano proprio per difendere l’uso delle corone.
50 I nomi degli dèi citati derivano dagli oggetti della loro protezio­
ne con un gioco di parole Intraducibile in italiano. Sviluppo slmile in De
cor. XIII, 9.
51 Termine di carattere giuridico. Il nome dell’idolo costituisce il
punto di contatto fra il luogo di culto ed il demonio e rappresenta la
garanzia (il «pignus» appunto) che egli riceverà il culto da parte degli
uomini.
52 11testo critico utilizzato per la traduzione è quello di E. Kroymann
(CSEL LXX), Lipsiae 1942, pp. 41-58.
53 II tema del demonio aemulus et interpolator è veramente cen­
trale nella demonologia tertullianea; esso, come si è visto, è frequente
anche negli apologeti greci (vedi introd. pp. 67-68), tuttavia nell'ope­
ra deU'Africano viene applicato come principio esplicativo di una gam­
ma di realtà e di comportamenti molto più vasta e diversificata; dagli
artifici della vanità femminile con cui vengono alterati i lineamenti (De
cult Joem I, 8, 2-3), fino agli innumerevoli modi con cui il diavolo imi­
ta la divinità e le manifestazioni della vera religione (cfr. De cor. VII, 8:
•È il diavolo che ha tirato fuori gli idoli per scimmiottare Dio e anche in
questo caso fu già fin dalle origini un falsificatore di Dio»). Un tale am­
pliamento delle attività diaboliche va di pari passo con l'allargamento

331
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

dell'area semantica del termine «idololatria» (cfr. sopra). Sul tema cfr.
J. Fontaine, Sur un titre de Satan chez Tertullien: ·diabolus interpola­
to!r», in Studi in onore d i A. Pincherle, «Studi e materiali di Storia delle
Religioni», 38 (1967), pp. 197-216.
54 Cfr. De bapt. V, 4.
55 L'editore ritiene Mtthra un'aggiunta della tradizione successiva,
mentre il soggetto qui come sopra e come in seguito continua ad es­
sere il diavolo.
56 F. J. Dòlger, Die Sphragis der Mythrasmysterien, «Antike und
Christentum» 1 (1929), pp. 88-91: si trattava di un tatuaggio o di qual­
che altro segno fisico visibile.
57 I significati di «redimere» non danno senso; nella sua traduzio­
ne e commento del testo R. Refoulè (SC 46, Paris 1956, p. 145, n. 5)
suggerisce «redimire» (posare, cingere), senza nascondere tuttavia le
difficoltà paleografiche e grammaticali insite in tale proposta. Come
sappiamo da De cor. XV, 3, Tertulliano stabiliva un'analogia fra questo
rituale e il martirio (Gramaglia, c it, pp. 221-223).
58 II tema della continenza pagana come frutto deU'lmitazione dia­
bolica e come sottile strumento di perdizione - al pari della lussuria -
per perdere gli uomini è trattato anche in A d uxor. I, 6, 5.
59 Gli eretici alterano le Scritture «vel detractione vel adiectione
vel trasmutatlone» (De praesc. 38, 4-5).

332
CIPRIANO
(2107-258)

H De lapsis ed il De unitate sono espressione della diffìcile si­


tuazione in cui venne a trovarsi Cipriano da poco eletto ve­
scovo di Cartagine. La persecuzione di Decio e le vaste de­
fezioni dal cristianesimo che ne erano seguite avevano crea­
to il problema dei lapsi, di coloro cioè che, per salvare i beni
e la vita, avevano accettato di sacrificare agli dèi. Mentre an­
cora la persecuzione era in atto, essi premevano per essere
riammessi nella Chiesa senza un'adeguata penitenza, talo­
ra avvalendosi del fatto di aver già ottenuto il perdono, scrit­
to o orale, dei martiri e dei confessori. I lapsi formarono un
partito contro il loro vescovo sotto la guida del presbitero
Novato e di Felicissimo, eletto diacono dallo stesso Novato.
Nei due scritti, Cipriano non ha di mira soltanto lo scisma
della sua Chiesa causato in ultima analisi da un eccessivo
lassismo, ma deve fare i conti anche con quello che, nello
stesso tomo di tempo, divideva la Chiesa romana a causa
dell’eccessivo rigorismo di Novaziano. Il De lapsis ed il De
unitate riflettono dunque la ricerca di un difficile equilibrio
fra due posizioni opposte.
Soltanto il primo scritto sarebbe stato scritto prima del
concilio che si tenne a Cartagine nell’aprile-maggio del 251
e letto all’assemblea dei vescovi in quell’occasione, mentre
la seconda opera sarebbe stata composta immediatamente
dopo1.

333
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-I1I

La Lettera 69, indirizzata a Magno, risponde al quesito


se coloro che ritornano alla Chiesa dopo essere stati battez­
zati da Novaziano e dai suoi debbano essere ribattezzati
Nella prima parte della lettera (1-12), Cipriano espone i suoi
argomenti a sostegno della non validità del battesimo degli
eretici per poi passare ad esaminare l'altro interrogativo po­
stogli da Magno. Questi gli aveva chiesto se coloro che ricevono
il battesimo durante una malattia e che quindi non sono sta­
ti immersi nell’acqua salutare, ma soltanto aspersi2 possa­
no essere considerati cristiani autentici al pari degli altri. Pur
dichiarando di esprimere un’opinione personale, Cipriano di­
fende la piena legittimità di qμestaforma di battesimo, là do­
ve sia accompagnata da unafede sincera.

T. C . C y p r ia n i D e l a p s is
24-25; ed. Bénevot, pp. 36, 1 - 38, 28 3

24. Unus ex his qui sponte Capitolium negaturus ascen­


dit, postquam Christum negavit obmutuit. Poena inde coe­
pit unde coepit et crimen, ut nec rogare iam posset qui ver­
ba ad precum misericordiam non haberet.

Alia in balneis constituta - hoc enim crimini eius et ma­


lis deerat, ut et ad balneas statim pergeret quae lavacri vi­
talis gratiam perdidisset - illic ab inmundo spiritu inmun-
da correpta laniavit dentibus linguam, quae fuerat vel pa­
sta inpie vel locuta. Postquam sceleratus cibus sumptus
est, in perniciem suam rabies oris armata est: ipsa sui car­
nifex extitit nec diu superesse postmodum potuit. Doloribus
ventris et viscerum cruciata defecit.

334
CIPRIANO

G u A postati

24. Fra questi4, uno che era salito di sua volontà al


Campidoglio per abiurare, dopo aver rinnegato Cristo, per­
se la parola. Il castigo cominciò là dove era iniziato il delit­
to in modo che colui che non aveva parole per invocare mi­
sericordia non fosse più in grado di pregare.
Una donna che si trovava ai bagni5 - infatti, al suo de­
litto ed ai suoi mali mancava mancava soltanto che, dopo
aver perduto la grazia del lavacro che dona la vita, si diri­
gesse subito proprio ai bagni - in quel luogo fu afferrata, lei
immonda, da uno spirito immondo e si lacerò a morsi la lin­
gua di cui si era servita per consumare il pasto sacrilego e per
pronunciare l’abiura. Dopo che ebbe inghiottito l’empio ci­
bo6, la bocca rabbiosa divenne un’arma per la sua rovina:
lei stessa divenne il proprio carnefice, né in seguito potè so­
pravvivere a lungo. Morì torturata da dolori al ventre.

335
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-11I

25. Praesente ac teste me ipso accipite quid evener


Parentes forte fugientes, dum trepidi minus consulunt, sub
nutricis alimento parvulam filiam reliquerunt. Relictam
nutrix detulit ad magistratus. Illi ei aput idolum quo po­
pulus confluebat, quod camem necdum posset edere per
aetatem, panem mero mixtum, quod tamen et ipsum de
immolatione pereuntium supererat, tradiderunt. Recepit
filiam postmodum mater. Sed facinus puella commissum
tam loqui et indicare non potuit quam nec intellegere prius
potuit nec arcere. Ignoratione igitur obreptum est ut sa­
crificantibus nobis eam secum mater inferret. Sed enim
puella mixta cum sanctis, precis nostrae et orationis in-
patiens, nunc ploratu concuti, nunc mentis aestu fluc­
tuabunda iactari, velut tortore cogente quibus poterat in­
diciis conscientiam facti in simplicibus adhuc annis rudis
anima fatebatur. Ubi vero sollemnibus adimpletis calicem
diaconus offerre praesentibus coepit, et accipientibus ce­
teris locus eius advenit, faciem suam parvula instinctu di­
vinae maiestatis avertere, os labiis obdurantibus premere,
calicem recusare. Perstitit tamen diaconus et reluctanti li­
cet de sacramento calicis infudit. Tunc sequitur singultus
et vomitus: in corpore adque ore violato eucharistia per­
manere non potuit, sanctificatus in Domini sanguine1po­
tus de pollutis visceribus erupit. Tanta est potestas Domini,
tanta maiestas; secreta tenebrarum sub eius luce detecta
sunt: sacerdotem Dei nec occulta crimina fefellerunt.

336
CIPRIANO

25. Ascoltate il fatto di cui sono stato spettatore e t


stimone. Due genitori, forse nell’agitazione della fuga, tra­
scurarono i loro doveri e abbandonarono la loro figlia, co­
sì piccola da essere ancora tenuta a balia. La nutrice portò
la piccina, che le era stata lasciata, dai magistrati. Essi,
davanti all’idolo verso cui il popolo affluiva, le fecero man­
giare pane misto a vino avanzato dalle libagioni degli apo­
stati, dal momento che, per la sua giovane età, non pote­
va ancora mangiare carne. In seguito la madre riebbe la
figlia. Ma la piccola, che non sapeva esprimersi, non potè
rivelare il delitto commesso come prima non aveva potu­
to né comprenderlo, né impedirlo. Il non saperlo ci ingannò
a tal punto che la madre portò con sé la figlia ad una no­
stra celebrazione. Allora la bimba, mentre si trovava con
i santi7, insofferente delle nostre preghiere ed invocazio­
ni, ora era squassata dal pianto, ora in preda al tremito
era scossa dall’eccitazione8: la sua anima semplice per
l’ancor tenera età confessava con quei segni che le erano
possibili la consapevolezza del delitto, come se fosse co­
stretta da un carnefice. Quando poi, al termine della ce­
lebrazione, il diacono iniziò a offrire ai presenti il calice e,
serviti tutti gli altri, giunse alla piccola, essa, intuendo la
presenza della maestà divina, cominciò a girare il viso
dall’altra parte, a serrare le labbra, a rifiutare il calice. Il dia­
cono tuttavia insiste e, malgrado la sua resistenza, le fa
bere un poco del sacramento del calice; ne conseguono
singhiozzo e vomito. L’eucarestia non potè restare nel cor­
po e nella bocca contaminata, la bevanda resa sacra col
sangue del Signore venne fuori dallo stomaco impuro9.
Tanto grande è la potenza di Dio, tanto grande la sua mae­
stà: i segreti nascosti nelle tenebre furono manifestati sot­
to la sua luce e gli occulti delitti non poterono ingannare il
sacerdote di Dio.

337
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

D e e c c l e s ia e c a t h o l i c a e u n it a t e
3; ed. Bénevot, pp. 250, 43 - 251, 7010

3. Cavenda sunt autem non solum quae sunt aperta adque


manifesta, sed et astutae fraudis subtilitate fallentia. Quid
vero astutius quidve subtilius quam ut, Christi adventu de­
tectus ac prostratus inimicus, postquam lux gentibus ve­
nit et sospitandis hominibus salutare lumen effulsit - ut
surdi auditum gratiae spiritalis admitterent, aperirent ad
Deum oculos suos caeci, infirmi aeterna sanitate revale­
scerent, clodi ad ecclesiam currerent, muti claris vocibus
et precibus orarent - videns ille idola derelicta et, per ni­
mium credentium populum, sedes suas ac templa deserta,
excogitaverit novam fraudem ut sub ipso christiani nomi­
nis titulo fallat incautos? Haeresis invenit et schismata qui­
bus subverteret fidem, veritatem corrumperet, scinderet
unitatem. Quos detinere non potest in viae veteris caecita­
te, circumscribit et decipit; novi itineris errore rapit de ipsa
ecclesia homines et, dum sibi adpropinquasse iam lumini
adque evasisse saeculi noctem videntur, alias nescientibus
tenebras rursus infundit ut, cum evangelio Christi et cum
observatione eius et lege non stantes, Christianos se vocent,
et ambulantes in tenebris habere se lumen existiment: blan-
diente adversario adque fallente qui, secundum apostoli vo­
cem, transfigurat se velut angelum lucis, et ministros su­
bornat suos velut ministros iustitiae, adserentes noctem
pro die, interitum pro salute, desperationem sub obtentu
spei, perfidiam sub praetexto fidei, antichristum sub voca­
bulo Christi; ut dum verisimilia mentiuntur, veritatem sub­
tilitate frustrentur. Hoc eo fit, fratres dilectissimi, dum ad ve­
ritatis originem non reditur, nec caput quaeritur, nec ma­
gistri caelestis doctrina servatur. .

338
CIPRIANO

S u l l ' u n it à d e l l a C h i e s a c a t t o l ic a

3. Bisogna, d’altra parte, evitare non soltanto gli errori evi­


denti e manifesti, ma anche tenersi lontani da quanto può
indurre in errore con le sottigliezze della frode e dell’astu­
zia. E, in verità, quale sottile astuzia è maggiore di questa?
Dopo che la luce venne alle genti e lo splendore salutare
brillò per gli uomini chiamati alla redenzione - a tal punto
che i sordi poterono accogliere l’ascolto della grazia spiri­
tuale, i ciechi aprire gli occhi verso Dio, i malati riacqui­
stare una salute eterna, gli zoppi correre alla Chiesa, i mu­
ti pregare a voci distinte - il nemico scoperto ed abbattuto
dalla venuta di Cristo, allorché vide, per il numeroso popo­
lo dei credenti, abbandonati gli idoli e deserti i luoghi ed i
templi suoi, escogitò un nuovo inganno per indurre in er­
rore gli sprovveduti fregiandosi dello stesso nome cristia­
no. Inventò le eresie e gli scismi con cui stravolgere la fede,
corrompere la verità, spezzare l’unità11. Raggira ed ingan­
na coloro che non può trattenere nella cecità dell’antica via,
per un nuovo errato cammino rapisce dalla stessa Chiesa
gli uomini e, mentre credono di essersi ormai avvicinati al­
la luce ed esser sfuggiti alla notte del secolo, ecco che cir­
conda ancora una volta di altre tenebre coloro che non san­
no. Così essi che non sono saldi nel vangelo di Cristo e non
ne rispettano la legge, continuano a chiamarsi cristiani;
camminano nelle tenebre e pensano di possedere la luce.
È l’avversario che li blandisce e li inganna, lui che, secondo
quanto dice l’Apostolo (77Cor. 11, 14-15), si trasforma in an­
gelo di luce e fa apparire i suoi ministri come ministri di giu­
stizia. Costoro chiamano la notte giorno, la morte salvezza,
introducono la disperazione con il pretesto della speran­
za12, l’incredulità sotto il fregio della fede, l’Anticristo sotto
il nome di Cristo, con le loro sofisticherie vanificano la verità,

339
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

LXIX
E p is t u l a

15-16; ed. Hartel, pp. 764, 1 - 765, 4*3

15. Quod si aliquis in illo movetur quod quidam de his qui


aegri baptizabantur spiritibus adhuc inmundis tempta­
bantur, sciat diaboli nequitiam pertinacem usque ad aquam
salutarem valere, in baptismo vero omne nequitiae suae vi­
rus amittere. Quod exemplum cernimus in rege Pharaone,
qui diu reluctatus et in sua perfidia demoratus tam diu re­
sistere potuit et praevalere donec ad aquam veniret: quo
cum venisset, et victus est et extinctus. Mare autem illud
sacramentum baptismi fuisse declarat beatus apostolus
Paulus dicens: Nolo enim vos ignorare, fratres, quia patres
nostri omnes sub nube fuerunt, et omnes per mare transie­
runt, et omnes in Moyse baptizati. sunt et in nube et in mari.
Et addidit dicens: haec autem omniafigurae nostraefuerunt
Quod hodie etiam geritur, ut per exorcistas voce humana
et potestate divina flagelletur et uratur et torqueatur dia­
bolus, et cum exire se et homines Dei dimittere saepe di­
cat, in eo tamen quod dixerit fallat et id quod per Pharaonem
prius gestum est eodem mendacio obstinationis et fraudis
exerceat. Cum tamen ad aquam salutarem adque ad bap­
tismi sanctificationem venitur, scire debemus et fidere quia
illic diabolus opprimitur et homo dicatus Deo divina indul­
gentia liberatur. Nam si scorpii et serpentes qui in sicco
praevalent, in aquam praecipitati praevalere <non> possunt
aut sua venena retinere, <sic> possunt et spiritus nequam,
qui scorpii et serpentes appellantur et tamen per nos data

340
CIPRIANO

mentre dicono menzogne che ad essa assomigliano.


Carissimi fratelli, questo accade quando non ci si rivolge
alla fonte della verità, né se ne cerca il principio, né si ser­
ve la dottrina del celeste maestro.

L ettera 69

15. Se qualcuno è sconcertato dal fatto che alcuni di quel­


li che venivano14 battezzati durante un malattia15, erano
ancora preda degli spiriti immondi16, sappia che la malva­
gità del diavolo persiste ostinata fino all’acqua salutare, ma
che nel battesimo perde tutto il veleno della sua malvagità.
Ne è un esempio il re Faraone che, a lungo riluttante e osti­
nato nell’incredulità, potè resistere ed avere la meglio sol­
tanto finché giunse all’acqua: una volta arrivatovi fu vinto e
distrutto. Il beato apostolo Paolo afferma che quel mare è
stato il simbolo del battesimo: «Non voglio che voi, fratelli,
ignoriate che tutti i nostri padri furono sotto la nuvola, tut­
ti attraversarono il mare e tutti furono battezzati in Mosè, sia
nella nuvola, sia nel mare» (I Cor. 10, 1-2). E aggiunse: «Tutte
queste cose furono per noi un simbolo» (/ Cor. 10, 6). Ancora
oggi avviene che il diavolo venga flagellato, afflitto e tor­
mentato attraverso gli esorcisti da parole umane e dalla po­
tenza divina; benché dica spesso di uscire e di lasciare li­
beri gli uomini di Dio17, tuttavia per il fatto stesso di affer­
marlo, mente e continua a comportarsi con la stessa ostinata
menzogna fraudolenta di cui ha dato prova un tempo at­
traverso Faraone. Allorché tuttavia ci avviciniamo all'acqua
salutare ed alla santificazione del battesimo, dobbiamo sa­
pere e credere che là il diavolo viene sconfìtto e che l’uomo
consacrato a Dio viene liberato dal perdono divino. Infatti
se gli scorpioni ed i serpenti sono molto forti quando sono

341
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-II1

a Domino potestate calcantur, permanere ultra <non pos-


sunt> in hominis corpore, in quo baptizato et sanctificato
incipit spiritus sanctus habitare.

16. Hoc denique et rebus ipsis experimur, ut necessi


te urguente in aegritudine baptizati et gratiam consecuti
careant inmundo spiritu quo antea movebantur et lauda­
biles ac probabiles in ecclesia vivant plusque per dies sin­
gulos in augmentum caelestis gratiae per fidei incrementa
proficiant, ut contra saepe nonnulli de illis qui sani bapti­
zantur, si postmodum peccare coeperint, spiritu inmundo re-
deunte quatiuntur: ut manifestum sit diabolum in bapti­
smo fide credentis excludi, si fides postmodum defecerit re­
gredi.

342
CIPRIANO

all’asciutto, immersi nell’acqua <non>18 possono avere il


sopravvento o trattenere il veleno, <così> anche gli spiriti
malvagi, che sono chiamati scorpioni e serpenti19 e che, tut­
tavia, vengono calpestati attraverso di noi per la potenza
data dal Signore, <non possono> più rimanere nel corpo
dell’uomo in cui lo Spirito santo inizia a abitare dopo la san­
tificazione del battesimo.
16. Infine noi facciamo esperienza delle stesse cose: c
loro che, sotto il pungolo della necessità, sono stati battezzati
in stato di malattia ed hanno ricevuto la grazia, non hanno
più lo spirito impuro da cui prima erano turbati, vivono nel­
la Chiesa degni di lode ed approvazione ed ogni giorno di più
progrediscono nel possesso della grazia celeste attraverso
l’approfondimento della fede. Di frequente, invece, altri, che
sono stati battezzati in salute, sono agitati per il ritorno del­
lo spirito immondo se in seguito hanno ripreso a peccare. È
chiaro che il diavolo è allontanato nel battesimo dalla fede
di chi crede, ma ritorna se la fede viene meno20.

NOTE

1 Sui problemi sollevati dalla cronologia delle due opere, cfr. lo sta­
tus quaestionis in San Cipriano, Opere, a cura di G. Toso, Torino 1980,
p. 171 e Moreschini-Norelli, Storia, cit., p. 528.
2 Ibid. 12, 1: «Non loti sunt sed perfusi».
3 Cyprian, De Lapsis and De Ecclesiae Catholicae Unitate, Text and
Translatlon by M. Bénevot, Oxford 1971.
4 Fra coloro che avevano subito castighi per la loro abiura e di cui
si parla alla fine del cap. XXIII.
5 I bagni erano un centro importante della vita sociale dell'impero;
Tertulliano (De spect Vili, 6-9) aveva già messo in guardia i cristiani dal
pericolo di frequentare questi ambienti così ricchi di immagini degli
dèi e quindi densi di presenze demoniache. Sempre secondo Tertulliano,
la predilezione dei demòni per le acque (sorgenti che scorrono al buio,
torrenti selvaggi, piscine termali, canali e cisterne che hanno fama di

343
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

portare disgrazia) dipende dal voler scimmiottare le parole di Gn.1, 2


(De bapt. V, 1-4). In A Th 42 si narra un episodio simile riguardante
una donna che viene posseduto al bagno da un demonio lussurioso.
E troviamo un parallelo anche in ambito pagano: Eunapio (Vit Soph.
17) narra che Porfirio cacciò via da un bagno un demonio che gli in­
digeni chiamavano Kausatha. Sullle credenze greche e cristiane rela­
tive a dèi e demoni delle acque: Bócher, c it. pp. 50-51.
6 Cioè, la lingua contaminata dai demòni.
7 Fra coloro che non erano penitenti e che quindi potevano avvi­
cinarsi all’Eucarestia.
8 Le preghiere, le Invocazioni del Nome, quasi come esorcismi in­
diretti torturano i demòni; in un’omelia di Origene ci imbattiamo in
uno stesso episodio di cui veniamo a conoscenza per cosi dire in pre­
sa diretta: fra i presenti si sentono delle grida che il predicatore rico­
nosce come provenienti da un indemoniato: «E poiché, mentre si pro­
nunciavano queste parole, uno dei presenti è stato riempito da uno
spirito immondo e si è messo a gridare a tal punto da far correre gen­
te, diciamole anche noi. Infatti mentre Anna diceva: «Ha esultato 11
mio cuore nel Signore» (I Re. 2, 1), lo spirito avverso non ha potuto
sopportare 11 nostro grido di gioia nel Signore, ma lo vuole cambiare
per sostituirvi la tristezza e per impedirci di dire: «Ha esultato il mio
cuore nel Signore»; ma noi non cl facciamo ostacolare e diciamo in­
vece sempre di più: «Ha esultato il mio cuore nel Signore». E lo dicia­
mo proprio per questo, perchè vediamo che gli spiriti immondi ne so­
no tormentati, perché con ciò molti si convertono a Dio, molti si pen­
tono, molti arrivano alla fede e non vi è nulla che Dio compia senza
motivo, né permette che avvenga alcunché invano. In effetti sono mol­
ti quelli che non credono nel Verbo, né accettano la spiegazione del­
la dottrina, ma quando diventano preda del demonio, allora si con­
vertono, affinché: dove il peccato ha abbondato, là sovrabbondi la gra­
zia (Rm. 5, 20) e dove ha operato una potenza maligna là in seguito
operi di più la grazia di Dio, perché una volta che la grazia di Dio ha
scacciato lo spirito maligno, vi introduce lo Spirito Santo e l’anima
che era stata riempita dallo spirito immondo si riempirà dopo dello
Spirito Santo» (Ho.Re.L. I, 10).
9 Questa parte del racconto riprende 11 motivo topico dell’incon­
ciliabilità dell’eucarestia con uno stato peccato, tema che troviamo In
altri testi: APt II (Rufìna si accosta all'eucarestia da adultera e viene col­
pita da paralisi); ATh 51 (un giovane adultero riceve l'eucarestia ma im­
mediatamente gli si paralizza una mano e non riesce a portarla alla
bocca). La concezione sottesa a tutti questi racconti è quella realisti­

344
CIPRIANO

ca di Erma: le potenze positive e quelle maligne sono reali presenze


all’interno dell’uomo e si contendono 11suo spazio Interiore, In modo ta­
le che l’una esclude l’altra.
10 L’edizione critica utilizzata è Sancti Cypriani Episcopi Opera.
De ecclesiae catholicae unitate (CCSL III, 1), edldlt M. Bénevot, Tumholti
1972.
11 Cipriano ripropone qui come anche altrove (cfr. D e unit. XII)
un’idea che aveva già una lunga tradizione: l'eresia come le divisioni
della Chiesa sono viste come qualcosa Introdotta nella Chiesa dall’ester­
no e in un secondo tempo rispetto ad una situazione originarla ed idea­
le caratterizzata dall’ortodossia e dalla concordia (cfr. Simonetti,
Ortodossia, cit., p. 11). Nell’elaborazione di questa reinterpretazione
del proprio passato, finalizzata a bisogni di autodefìnizlone e di orien­
tamento in una situazione diventata complessa ed incerta la demono­
logia recita una parte di primo plano. Sull'ecclesiologia non sempre
coerente di Cipriano, si veda la sintesi di E. Gallicet, Cipriano e la chie­
sa, in La concezione della chiesa nell'antica letteratura cristiana, Genova
1986, pp. 27-43.
12 Un accenno al rigorismo di Novaziano che negava la possibilità
di una seconda penitenza.
13 L’edizione critica è: S. Tasci Caecili Cypriani, Opera omnia, re­
censuit et commentarlo critico Instruxit G. Hartel (CSEL III), Vindobonae
1868.
14 Secondo The Letters o f St. Cyprian o/Carthage, Translated and
Annotated by G.W. Clarke (Ancient Christian Writers, 47), voi. IV, New
York-Mahwah 1989, p. 188. n. 51, accolgo la lezione «baptizabantur»
che è altrettanto attestata dalla tradizione.
15 I cristiani cosiddetti «clinici»; sulle discussioni suscitate da co­
storo nella Chiesa antica (Clarke, cit., p. 177).
16 Cipriano sembra riferire un’ulteriore fonte di sospetto riguardo
ai «clinici»: la constatazione che dopo essere stati battezzati in quel
modo i demòni tornavano a tormentarli. In altre parole, continuava­
no ad essere malati. Poiché nella mentalità antica la malattia era spes­
so associata alla presenza demoniaca, il fatto sembrava depositare
contro l'efficacia di questa forma di battesimo (Clarke, c it, p. 188, n.
51).
17 Saxer, Vie liturgique, cit., pp. 113-115, ritiene questo testo, In­
sieme a A d Donatum V, A d Demetrianum XV, una testimonianza della
presenza di rituali esoreistici durante il catecumenato.
18 II testo secondo la sua lectio difficilior è del tutto incomprensibile;
traduco secondo le varianti accolte da Clarke, cit., n. 14.

345
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

19 Le immagini utilizzate implicano un riferimento a Mt 12, 43 o Le.


11, 24 (gli spiriti impuri che abitano i luoghi deserti è un’idea già pre­
sente nel giudaismo: Lv. 16, 8; 17, 7; Is. 13, 21; 34, 14).
20 Ai casi citati da Magno per esprimere i suoi dubbi sui «clinici»,
Cipriano contrappone altri fatti riguardanti persone battezzate con il ri­
to completo e che, pur tuttavia erano ritornate ad essere preda del
demòni; l’intenzione, espressa nella conclusione, è quella di richia­
mare l’attenzione sulla fede e non sui segni. Come ho già accennato
nell’introduzione (pp. 88-91), nei testi apologetici e propagandistici
l'insistenza sull'efficacia degli esorcismi cristiani ne mette del tutto in
ombra gli aspetti liturgici ed istituzionali; ben presto e parallelamente
al processo di marginalizzazione dei fenomeni carismatici in atto nel­
la Chiesa più antica si dovette porre il problema dell’assprbimento di
tale attività taumaturgica all'interno di un rituale controllato e gestito
dalle figure istituzionali delle Chiese. Una tappa importante in questo
senso fu senza dubbio la sua collocazione aU’intemo del complesso
iter liturgico che sfociava nel battesimo ed in certo senso subordinar­
lo ad esso. D’altro canto il processo stesso che portò all’elaborazione
di un rituale così articolato e permeato dalla fobia demoniaca, come
quello descritto da Teodoto (Exc. Theod. 77-84*) e dalla Traditilo apo­
stolica esprimeva e creava aspettative di liberazione dalla temuta pre­
senza demoniaca legate all'atto liturgico in se stesso, anzi addirittura
all’osservanza scupolosa delle procedure corrette dello stesso; Magno
esprime appunto una concezione del genere. Non si deve pensare che
simili posizioni esprimano le idee dei «simpliciores»; nella lettera di de­
nuncia di Novaziano che Cornelio, vescovo di Roma, invia a Fabio, ve­
scovo di Antiochia, tra le altre accuse, leggiamo anche questa: «Il pun­
to di partenza del suo credere è stato Satana che è entrato ed ha di­
morato in lui per un tempo abbastanza lungo. Ammalatosi gravemente
e ritenendo di essere sul punto di morire, venne soccorso dagli esorcisti
e, nello stesso letto ove giaceva, ricevette il battesimo per infusione,
se si può affermare che un uomo siffatto abbia ricevuto il battesimo.
Scampato dalla malattia, non completò i riti che sono necessari se­
condo il canone della Chiesa, cioè non fu segnato dal vescovo; non
avendo ricevuto questo, come può avere ottenuto lo Spirito Santo?» (in
Eus., Hist. EccL IV, 43, 14-15). D ’altro canto, la prudenza ed il tono
conciliante con cui Cipriano espone il suo punto di vista lasciano tra­
sparire quanto la sua posizione fosse scarsamente condivisa.

346
FIRMILIANO
(ΠΙ secolo)

Vescovo di Cesarea di Cappadocia dal 238 al 268, amico


di Origene, Firmiliano fu accanto a Cipriano nella lotta con­
tro Novaziano e contro Stefano, vescovo di Roma, succes­
sore di Cornelio, che si era pronunciato a favore della vali­
dità del battesimo degli eretici. La lettera, originariamente
scritta in greco, esprime non soltanto l’opinione di Firmiliano,
ma anche quella emersa in due sinodi delle Chiese della
sua regione. Essa contiene un’accesa confutazione delle te­
si espresse da Stefano in una lettera precedente. Il docu­
mento esprimeva la solidarietà dei vescovi di Asia alla po­
sizione di Cipriano in un momento delicato, quando a
Cartagine, nel settembre del 256, si riuniva il sinodo dei ve­
scovi africani da cui sarebbe uscita una posizione opposta
a quella romana.

347
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

T. C . C y p ria n i E p is tu la L X X V
10; ed. Hartel, pp. 816, 17 - 818, 71

Volo autem vobis et de historia quae apud nos facta est ex­
ponere ad hoc ipsum pertinente. Ante viginti enim et duos
fere annos temporibus post Alexandrum imperatorem mul­
tae istic conflictationes et pressurae acciderunt vel in com­
mune omnibus hominibus vel privatim Christianis: terrae
etiam motus plurimi et frequentes extiterunt, ut et per
Cappadociam et per Pontum multa subruerent, quaedam
etiam civitates in profundum recepta dirupti soli hiatu de­
vorarentur, ut ex hoc persecutio quoque gravis adversum
nos nominis fleret, quae post longam retro aetatis pacem
repente oborta de inopinato et insueto malo ad turbandum
populum nostrum terribilior effecta est. Serenianus tunc
fuit in nostra provincia praeses, acerbus et dirus persecu­
tor. In hac autem perturbatione constitutis fidelibus et huc
atque illuc persecutionis metu fugientibus et patrias suas re­
linquentibus atque in alias regionum partes transeuntibus
(erat enim transeundi facultas eo quod persecutio illa non
per totum mundum sed localis fuisset), emersit istic subi­
to quaedam mulier quae in extasin constituta propheten se
praeferret et quasi sancto spiritu plena sic ageret. Ita au­
tem principalium daemoniorum impetu ferebatur ut per
longum tempus sollicitaret et deciperet fraternitatem, ad­
mirabilia quaedam et portentosa perficiens et facere se ter­
ram moveri polliceretur: non quod daemoni tanta esset po­
testas ut terram movere aut elementum concutere vi sua
valeret, sed quod nonnumquam nequam spiritus praesciens
et intellegens terrae motum futurum id se facturum esse
simularet quod futurum videret. Quibus mendaciis et lae­
tationibus subegerat mentes singulorum ut sibi oboedirent
et quocumque praeciperet et duceret sequerentur, faceret
quoque mulierem illam cruda hieme nudis pedibus per aspe-

348
FIRMILIANO

C ip r i a n o , Le t t e r a 75, 10

Voglio dunque raccontarvi un episodio accaduto da noi che


riguarda questo stesso argomento. All’incirca ventidue an­
ni fa, dopo l’imperatore Alessandro2, avvennero qui numerosi
conflitti e tribolazioni che colpirono, in generale, tutti gli uo­
mini e, in particolare, i cristiani: vi furono anche numerosi
e frequenti terremoti tali da causare molte distruzioni nella
Cappadocia e nel Ponto; furono inghiottite perfino alcune
città dalle profonde voragini apertesi nel suolo; in seguito a
questo si scatenò contro di noi, a causa del nome, una gra­
ve persecuzione; essa, sorta in modo repentino dopo un lun­
go periodo di pace, divenne più terribile per sconvolgere il
nostro popolo in quanto la prova era inaspettata e nuova.
Era allora governatore della nostra provincia Sereniano, du­
ro e spietato persecutore3. Trovatisi in questo scompiglio, i
fedeli fuggirono chi di qua chi di là per il timore della perse­
cuzione, abbandonando la patria e rifugiandosi in altre regioni
(lo si poteva fare perché la persecuzione non era generale
ma locale). Improvvisamente spuntò qui una donna che, in
stato d’estasi, si presentava come profetessa agendo come
se fosse ripiena di Spirito santo. Era trascinata a tal punto
dall’impeto dei demòni più potenti che per lungo tempo riu­
scì a turbare e ad ingannare i fratelli con atti straordinari e
prodigiosi e con la promessa di far tremare la terra: non per­
ché il demone avesse tanto potere da essere in grado di scuo­
tere la terra o di sconvolgere gli elementi con la sua forza,
ma perché talvolta lo spirito malvagio riesce a prevedere ed
a capire che sta per verificarsi un terremoto e fa credere di es­
sere lui a causare ciò che (invece) ha soltanto previsto4. Con
queste menzogne e millanterie, (lo spirito malvagio) era riu­
scito a soggiogare5 la mente di alcuni perché gli obbedisse­
ro e lo seguissero ovunque avesse ordinato di andare e li

349
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

ras nives ire nec vexari in aliquo aut laedi illa discursione,
diceret etiam se in Iudaeam et Hierosolymam festinare fin­
gens tamquam inde venisset. Hic et unum de presbyteris
rusticum, item et alium diaconum fefellit, ut eidem mulie­
ri commiscerentur: quod paulo post detectum est. Nam su­
bito apparuit illi unus de exorcistis vir probatus et circa re­
ligiosam disciplinam bene semper conversatus, qui exhor­
tatione quoque fratrum plurimorum qui et ipsi fortes ac lau­
dabiles in fide aderant excitatus erexit se contra illum spi­
ritum nequam revincendum: qui subtili fallacia etiam hoc
paulo ante praedixerat venturum quendam aversum et
temptatorem infidelem. Tamen ille exorcista inspiratus Dei
gratia fortiter restitit et esse illum nequissimum spiritum
qui prius sanctus putabatur ostendit. Atqui illa mulier quae
prius per praestigias et fallacias daemonis multa ad de­
ceptionem fidelium moliebatur, inter cetera quibus pluri­
mos deceperat etiam hoc frequenter ausa est, ut et invoca­
tione non contemptibili sanctificare se panem et euchari­
stiam facere simularet et sacrificium Domino <non> sine
sacramento solitae praedicationis offerret, baptizaret quoque
multos usitata et legitima verba interrogationis usurpans, ut
nihil discrepare ab ecclesiastica regula videretur.

350
FIRMIL1ANO

conducesse. Inoltre fece sì che la donna camminasse du­


rante i rigori invernali a piedi nudi nella neve alta, senza
sentire dolore o subire danno da quel modo di camminare; di­
ceva anche, fìngendo, di affrettarsi6 verso la Giudea e
Gerusalemme come se di lì provenisse. Costui ingannò an­
che un prete di campagna7 ed un diacono persuadendoli a
giacere con quella donna, cosa che dopo poco si scoprì. Infatti,
presto gli si parò dinnanzi uno degli esorcisti8, uomo di virtù
provata e di vita irreprensibile riguardo alla disciplina reli­
giosa. Egli, stimolato anche dalle esortazioni di numerosi
fratelli, anch’essi di fede intrepida e degna di lode, si levò
contro quello spirito maligno per sconfiggerlo. Questi, poco
prima, con sottile inganno aveva predetto che sarebbe ve­
nuto un infedele nemico e tentatore. Tuttavia quell’esorci­
sta, ispirato dalla grazia di Dio, gli resistette con coraggio e
dimostrò che quello che prima era ritenuto santo, era inve­
ce uno spirito maligno. E quella donna che prima con le il­
lusioni ingannevoli del demonio aveva molto brigato per in­
gannare 1fedeli, fra le altre cose osò fare dì frequente anche
questo: fìnse di consacrare il pane con un’invocazione non
disprezzabile9, di celebrare l’eucarestia e di offrire a Dio il
sacrifìcio, < non >10 senza le formule di rito; osò anche bat­
tezzare numerose persone usurpando le legittime parole
d’uso nelle domande in modo da non sembrare allontanar­
si in nulla dalla regola della Chiesa.

NOTE

1 L’edizione critica è: S. Tasci Caecili Cypriani, Opera omnia, re­


censuit et commentario critico instruxit Guilelmus Hartel (CSEL III,
pars Ι-ΙΙ), Vindobonae 1868.
2 Alessandro Severo mori nei primi mesi del 235; Firmiliano scri­
ve dunque la lettera non prima dell’autunno 256 (se si fa un calcolo
inclusivo).

351
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

3 La testimonianza di Firmiliano è confermata da documenti epi­


grafici (CJL 3.6932, 6945; 12.195); cfr. su questo punto Clarke, cit., p.
265, n. 47.
4 Firmiliano riprende un tema tradizionale; cfr. Tert., A p o i XXII*.
® Il racconto prosegue mettendo al centro 11demonio come agente
in prima persona.
® Il verbo «festinare» potrebbe suggerire l'attesa di un evento im­
minente, forse un'attesa di carattere millenarista. Anche la menzione
di Gerusalemme farebbe pensare ad uno sfondo montanista di que­
st'episodio (Clarke, cit., p. 265), che Invece Firmiliano si sforza di ri­
condurre alla sola conseguenza della persecuzione.
7 «Rusticum» potrebbe essere anche un nome proprio; usato
me aggettivo manifesta l’intenzione di Firmiliano di giustificare in qual­
che modo il presbitero e forse è da leggere sullo sfondo dell’idea più
volte incontrata che il diavolo miete più facilmente le sue vittime fra
ignoranti e «simpliciores».
® Questa è la più antica testimonianza relativa ad un esorcista co­
me appartenente ad un «ordo». Il breve profilo che Firmiliano offre del
personaggio rivela quali fossero le aspettative nutrite da un vescovo
riguardo a queste figure carismatiche che potevano diventare concor­
renti dell’autorità vescovile. Firmiliano presenta il successo contro il
demonio radicato nel contesto di una vita morale e di un'obbedienza ec­
clesiastica Irreprensibili, espressione di un carisma esercitato non in
modo individualistico, ma sottomesso al volere delle parti migliori e
più responsabili della Chiesa.
9 L’espressione presuppone il fatto che l’offìciante potesse p
nunciare l’anafora anche in una forma personale (Iust., ΙΑ ρ . 67; TraeL
Apost. 9.
È Indispensabile accettare la congettura «non» dell'editto
Oxoniensis, 1682.

352
ORIGENE
(185?- 254?)

I testi sono presentati secondo la cronologia delle opere da


cui sono tratti; il De principiis è stato composto ad Alessan­
dria fra il 229 e il 230; il libro XX del Commento al Vangelo
di Giovanni appartiene alla parte di tale opera composta a
Cesarea fra il 238 e il 2441. Le omelie furono pronunciate
nella stessa cittàfra il 239 e il 2472. L ’individuazione dell’or­
dine in cui fiirono pronunciati i diversi gruppi di omelie è un
problema intricato perché è collegato alla questione se esi­
stesse, nella Chiesa di Cesarea, un ordo lectionum3. Per l'ar­
gomento di cui ci occupiamo tale questione non è significati­
va ed ho preferito presentare i testi secondo l’ordine dei libri
della Scrittura. Il Contra Celsum è stato composto nel 249.

353
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

O r ig e n is D e p r in c ip iis
Praef. 6; 8; ed. Koetschau, pp. 13, 13-17; 15, 8-154

6. De diabolo quoque et angelis eius contrariisque virtutibus


ecclesiastica praedicatio docuit quoniam sint quidem haec,
quae autem sint vel quomodo sint, non satis clare exposuit.
Apud plurimos tamen ista habetur opinio, quod angelus
fuerit iste diabolus, et apostata effectus quam plurimos an­
gelorum secum declinare persuaserit, qui et nunc usque
angeli ipsius nuncupantur.

8. In hoc enim libello incorporeum daemonium dixit pro


eo, quod ipse ille quicumque est habitus vel circumscrip­
tio daemonici corporis non est similis huic nostro crassio­
ri et visibili corpori; sed secundum sensum eius, qui com­
posuit illam scripturam, intellegendum est quod dixit, id
est non se habere tale corpus quale habent daemones (quod
est naturaliter subtile quoddam et velut aura tenue, et prop­
ter hoc vel putatur a multis vel dicitur incorporeum), sed
habere se corpus solidum et palpabile.

1, 5, 2-3; pp. 70, 1 - 73, 6

2. Tum deinde sciendum est quia omne quod rationabile


est et rationis terminos statutaque declinat, sine dubio
per praevaricationem recti iustique efficitur in peccato.
Est ergo omnis creatura rationabilis laudis et culpae ca­
pax; laudis, si secundum rationem, quam in se habet, ad
meliora proficiat, culpae, si rationem recti tenoremque
declinet; propter quod recte etiam poenis ac suppliciis
subiacet. Quod etiam de ipso diabolo et his, qui cum ipso
sunt et dicuntur eius angeli, sentiendum est. Exponendae
tamen sunt etiam appellationes eorum, ut sciamus, quae

354
ORIGENE

I P r in c ip i

6. Sul diavolo e i suoi angeli (Mt. 25, 41) e sulle potenze av­
verse, la predicazione ecclesiastica5 ha affermato che esi­
stono, ma non ha spiegato in modo abbastanza chiaro qua­
li siano e come siano. Tuttavia, è opinione della maggior
parte che il diavolo sia stato un angelo e che, divenuto apo­
stata, abbia persuaso moltissimi angeli ad allontanarsi con
lui e questi sono ora chiamati suoi angeli.

8. Infatti in questo piccolo libro6 (il Salvatore) dice de­


monio incorporeo per affermare che, quali che siano il modo
d’essere ed i contorni del corpo dei demoni, questo non è
simile al nostro corpo spesso e visibile; bisogna intendere
le sue affermazioni secondo l’intenzione dell’autore di quel­
lo scritto: il Salvatore ha affermato, cioè, di non avere un
corpo uguale a quello dei demoni (che è qualcosa di natu­
ralmente sottile, come un soffio leggero, e per questo è ri­
tenuto e detto da molti incorporeo7), ma di avere un corpo
solido e tangibile.

2. Bisogna poi sapere che ogni essere razionale che si al­


lontana dai limiti fissati dalla ragione finisce certamente per
peccare, in quanto trasgredisce ciò che è retto e giusto. Ogni
creatura razionale è dunque soggetta alla lode ed alla colpa;
alla lode, se progredisce verso il meglio secondo la ragione
di cui è dotata, alla colpa, se si allontana dalla ragione e dal­
la perseveranza nel bene; e per questo subisce giustamen­
te pene e supplizi. Si deve pensare altrettanto anche del dia­
volo e di quelli che lo accompagnano e che sono chiamati
suoi angeli Bisogna tuttavia spiegare anche i loro nomi8,

355
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

sint lsta de quibus nobis sermo movendus est.


Diaboli igitur nomen et Satanae et maligni in multis scrip­
turae locis designatur, qui et inimicus dei esse describitur.
Necnon et quidam angeli diaboli nominantur, sed et prin­
ceps mundi huius, qui utrum ipse sit diabolus an alius quis,
nondum manifeste declaratum est. Principes quoque huius
mundi quidam dicuntur sapientiam quandam habentes quae
destruetur, sed utrum ipsi sint isti principes, qui et illi sunt
principatus, adversum quos nobis est conluctatio, an alii sint,
non facile mihi ab aliquo pronuntiandum videtur. Post prin­
cipatus autem etiam potestates quaedam nominantur, ad­
versum quas conluctatio nobis est et agon geritur, sed et ad­
versus principes mundi huius et rectores tenebrarum harum;
quaedam etiam spiritalia malitiae in caelestibus ab ipso
Paulo nominantur. Quid autem dicendum est etiam de spi­
ritibus malignis et de daemonibus inmundis, qui in evange-
liis nominantur? Tum deinde appellantur etiam quaedam
simili nomine caelestia, sed quae dicuntur genuflectere vel
esseflexura in nomine Iesu, sed et terrestria et inferno, quae
per ordinem Paulus enumerat. [...]

3. Igitur tot et tantis ordinum officiorumque nominibu


cognominatis, quibus certum est subesse substantias, re­
quirendum est, utrum conditor et creator omnium deus
quosdam quidem ex his ita sanctos fecerit ac beatos, ut
nihil possint recipere omnino contrarium, et quosdam ita
fecerit, ut possint tam virtutis quam malitiae effici capaces;
aut si putandum est quod alios ita fecerit, ut omnino inca­
paces sint ad virtutem, et alios malitiam quidem nequa­
quam posse recipere, solummodo autem posse in beatitudine
permanere, alios vero tales, qui possint utraque recipere.
Ut autem etiam ex ipsis nominibus prima nobis inquisitio
moveatur, consideremus si sancti angeli, ex quo sunt, sem-

356
ORIGENE

per sapere chi sono questi esseri dei quali tratteremo.


In molte parti della Scrittura compare il nome di diavo­
lo, di Satana, del maligno che è detto anche nemico di Dio
(Mt. 25, 41; Ap. 12, 9; Ilo. 2, 13; Mt. 13, 39). Vengono inol­
tre nominati anche gli angeli del diavolo (Mt. 25, 41) e il prin­
cipe di questo mondo (Io. 12, 31), ma non è spiegato con
chiarezza se sia il diavolo o un altro. Alcuni poi sono detti
prìncipi di questo mondo, che posseggono una sapienza che
verrà distrutta [I Cor. 2, 6), ma se essi siano identici a quei
principati contro i quali dobbiamo combattere (Eph 6, 12),
oppure siano altri, non mi sembra che possa essere chia­
rito facilmente da nessuno. Dopo questi principati vengono
nominati anche alcune potenze contro cui dobbiamo lottare
ed ingaggiare battaglia, così anche contro i prìncipi di questo
mondo e i signori di queste tenebre; Paolo nomina inoltre
certi spiriti maligni nei cieli (Eph. 6,12). E che cosa dire poi
degli spiriti maligni e dei demoni immondi che sono nomi­
nati nei Vangeli ? Alcuni esseri vengono poi designati con
nome simile celesti- ma di loro si dice che si inginocchiano
o si inginocchieranno nel nome di Gesù9 - altri terrestri ed
infernali che Paolo enumera in tale ordine (PhiL 2, 10). [...]

3. Dal momento che è nominato un così grande nume


di ordini e di ministeri, ai quali corrispondono certamente al­
trettante sostanze, bisogna indagare se Dio, autore e creato­
re di tutti, ne abbia creati alcuni così santi e beati da non po­
tere accogliere assolutamente nulla di negativo e altri tali da
poter accogliere la virtù quanto il vizio; oppure se si deve cre­
dere che ne abbia creati alcuni del tutto incapaci della virtù,
altri che non sono in grado di accogliere in nessun modo la
malvagità, ma che possono soltanto rimanere nella loro con­
dizione beata, altri ancora invece tali da potere accogliere sia
il male, sia il bene10. Per iniziare la nostra ricerca partendo da­
gli stessi nomi, consideriamo se gli angeli santi (Me. 8, 38)

357
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

per sancti fuerunt et sancti sunt sanctique erunt, et neque


receperunt umquam neque recipere poterunt peccati locum.
Tum deinde etiam hi, qui sancti principatus appellantur,
consideremus si statim ut creati a deo sunt, principatum
exercere coeperunt in aliquos, qui eis essent subiecti, et il­
los tales creatos et ad hoc factos, ut essent subditi et su­
biecti. Similiter autem et potestates quae appellantur utrum
tales et in hoc ipsum creatae sunt, ut exercerent potesta­
tem, an meritum aliquod istud est et praemium virtutis, per
quod ad potestatem istam dignitatemque venerunt Necnon
et hi, qui throni (vel sedes) appellantur, an istam beatitudi-
nis sedem stabilitatemque simul cum substantiae suae pro­
latione meruerint, ut ex voluntate sola hoc possideant crea­
toris; vel quae appellantur dominationes hoc, quod domi­
nantur, non per profectus sui meritum eis fuerit additum,
sed conditionis praerogativa donatum sit et ideo sit ab eis
inseparabile quodammodo ac naturale.

Quod utique si ita recipiamus, ut putentur sancti an­


geli et sanctae potestates et beatae sedes gloriosaeque vir­
tutes et magnificae dominationes substantialiter potesta­
tes istas ac dignitates et glorias possidere: consequens sine
dubio videbitur etiam ea, quae in contrariis officiis nomi­
nata sunt, ad hunc modum intellegi debere; ita ut princi­
patus illi, adversum quos est nobis conluctatio, illud ipsum
obluctans ac resistens omni bono propositum non post-
modum recepisse declinantes a bono per arbitrii libertatem
putentur, sed cum ipsis simul substantialiter extitisse; si­
militer, etiam potestates et virtutes, nec esse in eis iunio-
rem substantia sua posterioremque malitiam; illis quoque,
quos mundi tenebrarum rectores et principes appellavit, hoc
quod principantur et obtinent tenebras, non ex perversita­
te propositi, sed ex conditionis necessitate descendere.
Eadem quoque etiam de spiritalibus nequitiae et de spiritibus

358
ORIGENE

sono sempre stati santi dall’inizio, lo sono e lo saranno e se


non hanno mai accolto peccato né potranno (mai) accoglier­
lo. Consideriamo poi anche coloro che sono chiamati santi
principati (CoL 1, 16), indagando se, una volta creati da Dio,
iniziarono subito ad esercitare la loro signoria su altri esseri
a loro soggetti e se questi furono creati tali per essere loro
sudditi e sottomessi. Allo stesso modo dobbiamo indagare se
anche quelle che vengono chiamate potenze siano state crea­
te tali appunto per questo, per esercitare il dominio, oppure
se non abbiano ottenuto tale potere e dignità per un qualche
merito e come premio della virtù. E parimenti bisogna chie­
dersi se anche quegli esseri che sono chiamati troni abbiano
meritato sede beata e stabile nello stesso momento in cui fu
prodotta la loro sostanza, possedendo tale prerogativa per la
sola volontà del creatore; e se l’esercizio del dominio da par­
te delle dominazioni sia stato loro attribuito per merito dei lo­
ro progressi oppure sia stato donato come loro prerogativa e
sia loro in qualche modo inseparabile e connaturato11.
Se dunque riteniamo che gli angeli santi, le sante domi­
nazioni, i troni beati, le virtù gloriose, le magnifiche domi­
nazioni posseggano tali poteri, dignità e glorie sostanzial­
mente, ne consegue senza dubbio che si dovrà pensare ne­
gli stessi termini anche di quelle creature che hanno com­
piti contrari. Si dovrà dunque pensare che quelle potenze
contro cui dobbiamo combattere abbiano ottenuto la volontà
di combattere e contrastare il bene non per aver abbando­
nato il bene a causa del loro libero arbitrio, ma perché essa
fa parte della loro natura da quando sono esistiti. Ugualmen­
te dovremo concludere per le potenze e le virtù la cui mal­
vagità non è posteriore alla loro sostanza. Lo stesso vale an­
che per coloro che sono chiamati i signori ed i prìncipi del
mondo delle tenebre (Eph. 6, 12): essi hanno il dominio sul­
le tenebre non a causa della loro volontà perversa, ma per­
ché ciò consegue in modo necessario dalla loro condizione.

359
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

malignis et daemonibus inmundis consequentiae ipsius ra­


tio coget intellegi.

Quodsi haec ita de malis contrariisque virtutibus intelle­


gi videtur absurdum, sicut certe absurdum est, ut causa ma­
litiae ipsarum, remota ab arbitrii sui proposito, conditori ea­
rum necessario adscribatur: quomodo non etiam de bonis
sanctisque virtutibus cogimur similia confiteri, id est quia
non substantiale sit in ipsis bonum, quod utique in solo
Christo et in spiritu sancto evidenter ostendimus, sine du­
bio utique et in patre. [...] Unde superest ut in omni creatu­
ra sui operis suorumque motuum fuerit quod virtutes istae,
quae vel principatum agere in aliis vel potestatem exercere
vel dominationem videntur, ex merito, et non per conditio­
nis praerogativam praelatae sint et superpositae his, quibus
praeesse vel his, in quos potestatem exercere dicuntur.

I, 6, 3; pp. 82, 20 - 84, 21

Sciendum tamen est quosdam eorum, qui ex illo uno prin­


cipio, quod supra diximus, dilapsi sunt, in tantam indigni­
tatem ac malitiam se dedisse, ut non solum indigni habiti
sint institutione hac vel eruditione, qua per carnem huma­
num genus adiutorio caelestium virtutum instituitur atque
eruditur, sed e contrario etiam adversarii et repugnantes
his, qui erudiuntur atque imbuuntur, existant. Unde et ago­
nes quosdam atque certamina omnis haec habet vita mor­
talium, reluctantibus scilicet et repugnantibus adversum
nos his, qui sine ullo respectu de statu meliore dilapsi sunt,
qui appellantur diabolus et angeli eius ceterique ordines ma­
litiae, quos apostolus de contrariis virtutibus nominavit.

360
ORIGENE

La coerenza logica costringe alle stesse considerazioni per


quanto riguarda gli spiriti della malvagità, gli spiriti maligni,
i demoni immondi (Le. 7, 31; 4, 33).
Ma se tale conclusione a proposito delle potenze avver­
se pare assurda - come è senza dubbio assurdo, che la cau­
sa della loro malvagità, staccata dalla loro volontà, debba
essere necessariamente attribuita al loro creatore12 - come
non essere costretti a pensare altrettanto delle buone e san­
te potenze? Nemmeno in loro è sostanziale il bene che ab­
biamo dimostrato chiaramente essere tale soltanto in Cristo,
nello Spirito Santo e ovviamente nel Padre. [...] Ne consegue
che la condizione di ogni creatura dipende dalle sue azioni
e movimenti e che le potenze, che esercitano su altre la lo­
ro signoria potestà e dominio, sono state preposte a coloro
su cui governano per i loro meriti e non per prerogativa del­
la loro condizione13.

Bisogna sapere14 tuttavia che alcuni di coloro che caddero


dall’unico principio di cui abbiamo detto prima, si sono ab­
bandonati ad una così grande indegnità e malizia che non
soltanto sono stati ritenuti indegni di quell'educazione e di
quella istruzione con cui, per mezzo del corpo, il genere
umano viene ammaestrato con l’aiuto delle potenze celesti,
ma arrivano addirittura ad avversare e combattere coloro
che vengono istruiti e formati. Per questo la vita di tutti noi
mortali conosce lotte e battaglie, perché combattono e lottano
contro di noi coloro che sconsideratamente sono caduti da
una condizione superiore; quelli che sono chiamati il dia­
volo e i suoi angeli (Mt. 25, 41) e gli altri ordini del male che
l’Apostolo ha nominato tra le potenze malvagie.

361
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

Iam vero si aliqui ex his ordinibus, qui sub principatu


diaboli agunt ac malitiae eius obtemperant, poterunt ali­
quando in futuris saeculis converti ad bonitatem, pro eo
quod inest in ipsis liberi facultas arbitrii, an vero permanens
et inveterata malitia velut in naturam quandam ex consue­
tudine convertatur: etiam tu qui legis probato, si omnimo­
dis neque in his quae videntur temporalibus saeculis neque
in his quae non videntur et aeterna sunt penitus pars ista
ab illa etiam finali unitate ac convenientia discrepabit. Interim
tamen tam in his quae videntur et temporalibus saeculis
quam in illis quae non videntur et aeterna sunt omnes isti
pro ordine, pro ratione, pro modo et meritorum dignitatibus
dispensantur: ut in primis alii, alii in secundis, nonnulli
etiam in ultimis temporibus et per maiora ac graviora sup­
plicia nec non et diuturna ac multis, ut ita dicam, saeculis
tolerata asperioribus emendationibus reparati et restituti
eruditionibus primo angelicis tum deinde etiam superiorum
graduum virtutibus, ut sic per singula ad superiora provec­
ti usque ad ea quae sunt invisibilia et aeterna perveniant,
singulis videlicet quibusque caelestium virtutum officiis qua­
dam eruditionum specie peragratis. Ex quo, ut opinor, hoc
consequentia ipsa videtur ostendere, unamquamque ratio­
nabilem naturam posse ab uno in alterum ordinem tran­
seuntem per singulos in omnes, et ab omnibus in singulos
pervenire, dum accessus profectuum defectuumve varios
pro motibus vel conatibus propriis unusquisque pro liberi
arbitrii facultate perpetitur.

III, 2, 2-7; pp. 247, 1 - 255, 26


2. Nos vero rationem diligentius intuentes, haud ita esse


arbitramur, considerantes ea, quae manifeste ex corporali
necessitate descendunt. An vero putandum est quod dia­
bolus esuriendi vel sitiendi causa nobis existat? Neminem

362
ORIGENE

Se15 poi fra questi ordini che agiscono sotto il dominio del
diavolo e obbediscono alla sua malizia, alcuni potranno un
giorno nei secoli futuri convertirsi al bene dal momento che
sono dotati di libero arbitrio o se, invece, la loro malvagità
costante ed inveterata si trasformi per la consuetudine co­
me in una natura16, esaminalo anche tu che leggi, se co­
munque né in questi secoli temporali e visibili, né in quelli in­
visibili ed eterni (II Cor. 4, 18) questa parte discorderà del
tutto da quell’unità ed armonia finali. Frattanto, tuttavia,
sia in questi secoli temporali e visibili, sia in quelli invisibi­
li ed eterni tutti sono governati secondo l’ordine, la natura,
la misura e la dignità dei meriti. In tal modo, alcuni per pri­
mi, altri in seguito, altri proprio negli ultimi tempi e attra­
verso pene più gravi e dolorose, lunghe e sopportate, per
così dire, per molti secoli, recuperati da castighi più aspri
e rinnovati dagli insegnamenti, (tutti) saranno reintegrati,
dapprima, fra gli angeli, in seguito fra le potenze degli or­
dini superiori, per progredire attraverso i vari gradi fino al­
le realtà invisibili ed eterne, dopo avere percorso ad uno ad
uno gli uffici delle potenze celesti a mo’ di istruzione. A mio
avviso, da questo consegue che ciascuna delle nature ra­
zionali può passare da un ordine all’altro e arrivare a tutti
attraverso ciascuno e a ciascuno attraverso tutti, dal mo­
mento che ogni creatura a causa del libero arbitrio è sog­
getta a vari progressi ed a regressioni, secondo i propri mo­
vimenti e sforzi17.

2. Invece18 noi, che ne esaminiamo più attentamente la ra­


gione e che consideriamo ciò che manifestamente dipende
dalle necessità corporali, non pensiamo che le cose stiano co­
sì. Bisogna forse pensare che il diavolo ci induca ad aver

363
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

puto esse qui hoc audeat confirmare. Si ergo esuriendi et


sitiendi non nobis ipse fit causa, quid illud, cum uniu­
scuiusque aetas ad virilitatis tempus advenerit et natura­
lis caloris incentiva suggesserit? Consequens sine dubio est
ut, sicut esuriendi et sitiendi causa diabolus non est, ita
ne eius quidem motus, qui adultae aetati naturaliter sug­
geritur, id est adpetendi coitus desiderium. Quam causam
non utique semper a diabolo moveri certum est, ita ut pu­
tandum sit quia, si diabolus non esset, huiuscemodi ad­
mixtionis desiderium corpora non haberent. Tum deinde
consideremus si, ut superius ostendimus, cibus hominibus
non ex diabolo sed naturali quodam appetitur instinctu,
utrum posset fieri ut, si diabolus non esset, humana expe­
rientia tanta in percipiendo cibo disciplina uteretur, ut num-
quam penitus excederet modum, id est ut vel aliter quam
res posceret vel amplius quam ratio indulgeret acciperet,
et numquam eveniret hominibus in servando cibi modo
mensuraque delinquere. Ego quidem non arbitror haec ab
hominibus ita potuisse servari, etiamsi nulla diaboli pro-
vocasset instinctio, ut in percipiendo cibo modum discipli-
namque nullus excederet, priusquam id usu longo atque
experientia didicissent. Quid igitur est? In escis quidem et
potu possibile erat delinquere nos etiam sine diaboli inci­
tamentis, si forte minus continentes vel minus industrii
fuissemus inventi: in adpetendo vero coitu vel naturalibus
desideriis temperandis putandum est quod non simile ali­
quid pateremur? Arbitror autem quod eadem rationis con­
sequentia etiam in ceteris naturalibus motibus possit in­
tellegi cupiditatis vel irae vel tristitiae vel <in> omnibus om­
nino, quae per intemperantiae vitium modum mensurae
naturalis excedunt.
Evidens igitur ratio est quia, sicut in bonis rebus hu­
manum propositum solum per se ipsum inperfectum est
ad consummationem boni (adiutorio namque divino ad per-

364
ORIGENE

fame e sete19? Non credo che qualcuno osi affermarlo. Se


dunque non è il diavolo a farci provare fame e sete, che di­
remo degli stimoli deH’ardore naturale che sentiamo quan­
do giungiamo all’età virile? È certo logico che, come il diavolo
non è la causa della fame e della sete, così neppure dell’im­
pulso stimolato naturalmente dall’età adulta, cioè il desi­
derio dell’unione carnale. È chiaro che non può esserne
sempre il diavolo la causa fino al punto di credere che, se
il diavolo non ci fosse, i corpi non sentirebbero il desiderio
di tale unione. Se, come abbiamo già detto, gli uomini de­
siderano il cibo non a causa del diavolo, ma per un istinto
naturale, esaminiamo ora una possibilità: se il diavolo non
ci fosse, l’uomo riuscirebbe, nell’assumere il cibo, a disci­
plinarsi a tal punto da non superare mai assolutamente la
misura, cioè a non prenderne diversamente da quanto la
situazione richieda o di più di quanto la ragione consenta,
senza che mai accada agli uomini di peccare nel modo e
nella quantità del cibo? Anche se il diavolo non li provo­
casse incitandoli, non credo che gli uomini possano osser­
vare tali limiti a tal punto da cibarsi senza superare la mi­
sura, prima di averlo appreso attraverso l'esperienza di una
lunga consuetudine. Che diremo dunque? Nel mangiare e
nel bere potremmo peccare anche senza alcun incitamen­
to del diavolo20, nel caso fossimo meno temperanti ed at­
tenti: dobbiamo pensare che le cose andrebbero altrimenti
per quanto riguarda l’appetito sessuale e la moderazione
degli impulsi naturali? Ritengo inoltre che lo stesso coe­
rente ragionamento possa essere esteso agli altri impulsi
naturali: la cupidigia, l’ira, la tristezza e a tutti gli altri sen­
timenti che per il vizio dell’intemperanza eccedono la mi­
sura naturale.
È dunque evidente che, come la volontà umana da sola
è insufficiente al perseguimento del bene (ogni cosa rag­
giunge la perfezione con l’aiuto divino21), allo stesso modo.

365
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

fecta quaeque perducitur): ita etiam in contrariis initia qui­


dem et velut quaedam semina peccatorum ab his rebus,
quae in usu naturaliter habentur, accipimus; cum vero in-
dulserimus ultra quam satis est, et non restiterimus ad­
versum primos intemperantiae motus, tunc primi huius de­
licti accipiens locum virtus inimica instigat et perurget om­
ni modo studens profusius dilatare peccata, nobis quidem
hominibus occasiones et initia praebentibus peccatorum,
inimicis autem potestatibus latius ea et longius et si fleri
potest absque ullo fine propagantibus.
Ita denique in avaritiam lapsus efficitur, cum primo ho­
mines parum quid pecuniae desiderant, deinde augescen-
te vitio cupiditas increscit. Post haec iam etiam cum caeci­
tas menti ex passione successerit, mimicis virtutibus sug­
gerentibus ac perurgentibus, pecunia iam non desideratur,
sed rapitur et vi aut etiam sanguinis humani profusione
conquiritur. Ad certiorem denique rei fidem, quod inmensi-
tates istae vitiorum a daemonibus veniant, contemplari et
ex eo facile potest, quod nihil minus his, qui corporaliter a
daemonibus vexantur, etiam illi patiuntur, qui vel immo­
deratis amoribus vel irae intemperantia vel nimietate tristi­
tiae perurgentur. Nam et in nonnullis historiis refertur quod
in insaniam quidam ex amore deciderint, alii ex iracundia,
nonnulli etiam ex tristitia vel nimio gaudio; quod arbitror
eo accidere, quia contrariae istae virtutes, id est daemones,
loco sibi in eorum mentibus dato, quem intemperantia prius
patefecerit, sensum eorum penitus possederint, maxime
cum nulla eos ad resistendum virtutis gloria concitarit. [...]

4. Cogitationes, quae de corde nostro procedunt (vel m


moria quorumcumque gestorum vel quarumlibet rerum cau-
sarumque contemplatio), invenimus quod aliquotiens ex
nobis ipsis procedant, aliquotiens a contrariis virtutibus

366
ORIGENE

quando compiamo il male, riceviamo l’avvio e, in un certo


senso, i germi dei peccati da quelle cose di cui secondo na­
tura facciamo uso: se accondiscendiamo più del necessa­
rio e non resistiamo ai primi moti dell' intemperanza, allo­
ra la potenza nemica prende spunto da questa prima man­
canza, incita ed incalza, sforzandosi in ogni modo di ag­
gravare smodatamente i peccati. Sono dunque gli uomini a
offrire l’occasione e l’avvio ai peccati, ma sono le potenze
nemiche che li dilatano in lungo ed in largo e, se fosse lo­
ro possibile, senza alcun limite.
Così dunque si cade neU’avarizia: si comincia in un pri­
mo momento a desiderare un po' di denaro, poi, con l’ag­
gravarsi del vizio, cresce la cupidigia. In seguito, quando
ormai la passione ha accecato la mente, sotto la pressione
dei suggerimenti delle potenze nemiche, ecco che non ci si
limita a desiderare il denaro, ma lo si ruba e lo si conqui­
sta con la violenza o perfino con spargimento di sangue. Per
essere più sicuri che l’eccesso di questi vizi proviene dai de­
moni, è facile osservare che coloro che sono oppressi da
amori smodati, da ire intemperanti, da tristezze eccessive
non soffrono meno di quelli che sono tormentati dai demo­
ni nel corpo. Infatti, alcune storie raccontano di taluni im­
pazziti per amore, di altri per la collera, di altri ancora per
la tristezza e l’eccessiva gioia. Penso che ciò accada perché
queste potenze avverse, cioè i demoni, entrati22 nelle men­
ti di costoro a causa dell’intemperanza che prima ha aper­
to loro la porta, hanno preso completamente possesso dei
loro sensi, soprattutto quando la considerazione della glo­
ria che attende la virtù non li spinge più a resistere. [...]

4 .1pensieri che vengono dal nostro cuore (Me. 7, 21) (o il


ricordo di atti compiuti o la riflessione su qualsiasi cosa o
causa) sappiamo che talvolta procedono da noi, talvolta so­
no provocati dalle potenze avverse, talvolta sono mandati

367
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOU I-III

concitentur, interdum etiam a deo vel a sanctis angelis in-


mittantur. [...]
Nihil tamen aliud putandum est accidere nobis ex his,
quae cordi nostro suggeruntur bonis vel malis, nisi com­
motionem solam et incitamentum provocans nos vel ad bo­
na vel ad mala. Possibile autem nobis est, cum maligna vir­
tus provocare nos coeperit ad malum, abicere a nobis pra­
vas suggestiones et resistere persuasionibus pessimis et
nihil prorsus culpabiliter gerere; et rursum possibile est ut,
cum nos divina virtus ad meliora provocaverit, non sequa­
mur, liberi arbitrii potestate nobis in utroque servata.

5. Nec tamen putandum est quod singuli quique adve


sum omnia haec decertent. Inpossibile enim id esse arbi­
tror ulli hominum, quamvis ille sit sanctus, ut adversum
omnia haec simul possit habere certamen. Quodsi ullo mo­
do id accidat, quod certe fieri non potest, inpossibile est ut
id prorsus ferre possit humana natura sine maxima sub­
versione sui. Sed sicut, verbi gratia, quinquaginta aliqui mi­
lites si dicant sibi imminere certamen adversum alios quin­
quaginta, non ita intellegendum est quod unus ex ipsis ad­
versum quinquaginta dimicaturus sit, sed recte quidem di­
cit, unusquisque ipsorum quia certamen nobis est adver­
sum quinquaginta, omnibus tamen adversum omnes: ita
etiam hoc audiendum est, quod apostolus dicit, quod uni­
versis athletis vel militibus Christi conluctatio et certamen
est adversum omnia ista, quae enumerata sunt; omnibus,
singulis tamen vel cum singulis, futuro certamine, vel cer­
te prout probatum fuerit ab agonis ipsius iusto praeside
deo. Arbitror namque quia certa mensura sit humanae na­
turae, etiamsi Paulus ille sit, de quo dicitur: Vas electionis
est mihi iste aut Petrus, adversum quem portae inferi non
praevalent, aut si Moyses c illo sit, amicus dei, quorum nul-

368
ORIGENE

da Dio o dai santi angeli. [...]23

Dobbiamo, tuttavia, pensare che da quanto, sia di be­


ne, sia di male, viene suggerito al nostro cuore non provie­
ne nuH’altro che uno stimolo, un incitamento che ci spin­
ge verso il bene o verso il male. Ma quando una potenza
maligna comincia ad incitarci al male, abbiamo la possibi­
lità di allontanare da noi le sue suggestioni perverse, di re­
sistere ai suoi consigli malvagi e di non commettere asso­
lutamente nulla di male. D'altro canto, è possibile, quando
ima potenza divina ci spinge verso il meglio, non seguirla,
perché in ambedue i casi conserviamo la prerogativa del li­
bero arbitrio. [...]24
5. Ma non dobbiamo pensare che il singolo debba com
battere contro tutte queste potenze25. Credo infatti che non
sia possibile a nessun uomo, per quanto santo sia, di at­
taccare battaglia contro tutte queste potenze simultanea­
mente. E se in qualche modo ciò accadesse - ma certo non
può accadere - la natura umana non potrebbe sopportare
tanto senza andare incontro alla più completa distruzione.
Ma facciamo un esempio: se cinquanta soldati dicono che ne
affronteranno in battaglia altri cinquanta, non si deve in­
tendere che uno di loro combatterà contro cinquanta; non­
dimeno è giusto che ciascuno di essi dica che la battaglia
è contro cinquanta, ma nel senso che tutti combattono con­
tro tutti. Allo stesso modo bisogna intendere anche le pa­
role dell’Apostolo, quando dice che tutti gli atleti ed i sol­
dati di Cristo devono combattere contro tutte le potenze che
sono state menzionate; tutti combatteranno, tuttavia, uno
contro uno e, comunque, come deciderà Dio, giusto arbitro
di questo combattimento. Ritengo infatti che la natura uma­
na abbia limiti precisi, anche se si tratta di Paolo di cui è
detto: «Costui è per me un vaso di elezione» (Act. 9, 15), o
di Pietro contro cui le porte dell'inferno non prevalgono (Mt.

369
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

lus prorsus omnem simul adversarum virtutum catervam


posset sine sui aliqua pernicie tolerare, nisi forte illius so­
lius virtus operetur in eo qui dixit: Confidite, ego vici mun­
dum. Propter quem confidenter etiam Paulus dicebat: Omnia
possum in eo, qui me confortat Christus, et iterum: Amplius
autem quam omnes illi laboravi, non autem ego, sed gratia
dei mecuTTL

Propter hanc ergo virtutem, quae utique humana non


est, operantem et loquentem in se, Paulus dicebat: Certus
sum autem quia neque mors neque vita neque angeli neque
principatus neque potestates neque praesentia neque Jutu­
ra neque virtus neque altitudo neque profundum neque alia
ulla creatura poterit nos separare a caritate dei, quae est in
Christo Iesu domino nostro. Sola enim per se humana na­
tura non arbitror quia possit adversum angelos et excelsa et
projunda et aliam creaturam habere certamen; sed cum sen­
serit praesentem in se dominum et inhabitantem, confi­
dentia divini adiutorii dicet: Dominus inluminatio mea et sal­
vator meus, quem timebo? Dominus protector vitae meae, a
quo trepidabo? Dum adpropiant super me nocentes, ut edant
cames meas, qui tribulant me inimici mei, ipsi infirmati sunt
et ceciderunt. Si consistant adversum me castra, non time­
bit cor meum; si insurgat in me proelium in hoc ego spera­
bo. Unde ego arbitror quod numquam fortassis homo per
se ipsum virtutem contrariam vincere potest, nisi usus fue­
rit adiutorio divino. [...]
6. Nec sane arbitrandum est quia huiuscemodi certa­
mina corporum robore et palaestricae artis exercitiis pera­
gantur, sed spiritui adversum spiritum pugna est, simili­
ter ut Paulus designat adversum principatus et potestates
et mundi huius rectores tenebrarum nobis imminere certa­
men. Ipsa vero certaminum species ita intellegenda est, cum
damna, cum pericula, cum obprobria, cum criminationes

370
ORIGENE

16, 18), o di Mosè, amico di Dio (Ex. 33, 11); nessuno di lo­
ro potrebbe sopportare senza detrimento l’attacco simulta­
neo della massa delle potenze contrarie, a meno che non
agisca in lui la potenza dell'unico che ha detto: «Abbiate fe­
de: io ho vinto il mondo» (Io. 16, 33). A causa sua Paolo, pie­
no di fede, diceva: «Io posso tutto in colui che mi conforta,
Cristo» (PhiL 4, 13); e ancora; «Ho lavorato più di tutti, non
io, ma la grazia di Dio che è con me» (I Cor. 15, 10).
A causa di questa potenza, non certamente umana, che
agiva e parlava in lui. Paolo diceva: «Sono certo che né mor­
te, né vita, né angeli, né principati, né potenze, né cose pre­
senti, né futuro, né forza, né altezza, né profondità, né al­
cuna altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio, che
è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm. 8, 38). Non credo che
da sola la natura umana possa affrontare la lotta contro gli
angeli, contro altezze e profondità e le altre creature, ma
quando sente che il Signore è presente e dimora in lei, fi­
duciosa dell’aiuto divino, dirà: «Il Signore è la mia luce ed il
mio salvatore, di chi avrò timore? Il Signore protegge la mia
vita, di chi avrò paura? Quando si avvicinano coloro che vo­
gliono farmi del male e nutrirsi delle mie carni, i nemici che
mi affliggono sono diventati deboli e sono caduti. Se si er­
gerà contro di me un accampamento, il mio cuore non te­
merà; se si scatenerà contro di me la battaglia, io spererò
nel Signore» (Ps. 26, 1). Per questo io penso che forse l’uomo
non può vincere da solo una potenza avversa senza un aiu­
to divino26. (...]
6. Non bisogna certo pensare che tali combattimenti
affrontino con la forza fisica e l'allenamento atletico, ma è
lotta dello spirito contro lo spirito, come quella descritta da
Paolo, quando dice che ci attende una lotta contro i princi­
pati, le potestà e gli arconti di questo mondo di tenebre (Eph.
6, 12). Questo tipo di lotta bisogna intenderlo così: quando
vengono suscitati contro di noi mali, pericoli, ingiurie, ac-

371
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

excitantur adversum nos, non id agentibus adversariis po­


testatibus, ut haec tantummodo patiamur, sed ut per haec
vel ad iram multam vel ad nimiam tristitiam vel ad despe­
rationem ultimam provocemur, vel certe, quod est gravius,
conqueri adversum deum fatigati et victi taediis compella­
mur, tamquam humanam vitam non aeque iusteque mo­
derantem; ut per haec vel infirmemur in fide vel decidamus
ab spe vel transferri cogamur a veritate dogmatum et im­
pium aliquid de deo sentire suadeamur. [...]
7. Ex quibus omnibus illud ostenditur, quod omnia hae
quae fiunt in hoc mundo, quae media aestimantur, sive il­
la tristia sint sive quoquomodo sunt, non quidem a deo fiunt
nec tamen sine deo, dum malignas et contrarias virtutes
talia volentes operari non solum non prohibet deus, sed et
permittit facere haec, sed certis quibusque et temporibus
et personis; sicut et in ipso Iob dicitur quia ad certum tem­
pus paratus est cadere sub alios, et domus ipsius deprae­
dari ab iniquis. Propterea docet nos scriptura divina omnia
quae accidunt nobis tamquam a deo illata suscipere, scien­
tes quod sine deo nihil fit. Quod autem haec ita sint, id est,
quod nihil sine deo fiat, quomodo possumus dubitare, do­
mino et salvatore evidenter pronuntiante et dicente: Nonne
duo passeres asse veneunt, et unus ex ipsis non cadet su­
per terram sine patre vestro, qui in caelis est?.

III, 3, 1-5; pp. 256, 6 - 262, 16

1. Docere nos volens sanctus apostolus magnum aliquid et


reconditum de scientia et sapientia in prima ad Corinthios
epistola ait: Sapientiam autem loquimur inter perfectos; sa­
pientiam vero non huius mundi neque principum huius mun­
di qui destruuntur, sed loquimur dei sapientiam in mysterio ab-

372
ORIGENE

cuse, ci vengono inflitti dalle potenze nemiche non solo per far­
ci soffrire, ma anche per provocare in noi grande ira, insop­
portabile tristezza, estrema disperazione, di modo che, sfi­
niti e disgustati, siamo spinti - cosa più grave - a lamentar­
ci con Dio, in quanto ingiusto reggitore della vita umana. Il lo­
ro scopo è di indebolire la nostra fede, di farci perdere la spe­
ranza, di costringerci ad abbandonare la verità delle nostre
dottrine per convincerci a pensare di Dio cose empie. [...]

7. Da tutti questi esempi risulta che tutto quanto a


viene nel mondo e che viene ritenuto moralmente indiffe­
rente27, sia gli accadimenti tristi, sia di altra natura, non
proviene da Dio e, tuttavia, nemmeno senza Dio, perché Dio
non soltanto non proibisce l’operato delle potenze avverse
e maligne, ma anche lo consente in tempi determinati e per
certe persone: così a proposito di Giobbe è detto che in un
dato momento egli era pronto perché cadesse nelle mani di
altri e la sua casa fosse danneggiata dai malvagi (Job 1, 12
sgg.). Perciò la Scrittura divina ci insegna ad accogliere tut­
te le cose che ci accadono come se venissero da Dio, sa­
pendo che nulla accade senza di Lui. Come possiamo du­
bitare che le cose stiano così, che cioè nulla accade senza
Dio, quando ascoltiamo le chiare parole del Signore e
Salvatore: «Non si vendono due passeri per un asse? Eppure
nessuno di loro cade a terra senza che lo voglia il Padre vo­
stro, che è nei cieli» (Mt. 10, 29).

1. Il santo Apostolo ci offre un insegnamento grande e mi­


sterioso sulla scienza e sulla sapienza quando, nella Prima
Epistola ai Corinzi, scrive: «Ma noi parliamo della sapienza fra
i perfetti: non la sapienza di questo mondo, né del principe
di questo mondo, destinati alla distruzione, ma parliamo

373
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

sconditam, quam praedestinavit deus ante saecula in gloriam


nostram, quam nano prìndpum huius mundi cognovit. Si enim
cognovissent, numquam dominum maiestatis crucifixissent
In quo ostendere volens sapientiarum differentias, describit
esse quandam sapientiam huius mundi, et esse quandam sa­
pientiam prìndpum huius mundi, aliam vero esse dei sapien­
tiam Sed et hoc cum dicit: Sapientiam prìndpum huius mun­
di, non arbitror eum unam aliquam omnium prìndpum huius
mundi sapientiam dicere, sed singulorum principum pro­
priam quandam mihi videtur indicare sapientiam. Et rur­
sum cum dicit: Sed loquimur dei sapientiam in mysterio ab­
sconditam quam praedestinavit deus ante saecula in gloriam
nostram, requirendum est si eandem dicit dei sapientiam
hanc, quae abscondita est ac temporibus aliis et generatio­
nibus non innotuit filiis hominum, sicut nunc revelata est
sanctis apostolis eius et prophetis, quae erat et illa ante ad­
ventum salvatoris sapientia dei, ex qua sapiens erat Salo­
mon, a quo Salomone plus esse quod docet salvator, ipsius
salvatoris sermo pronuntiat, cum dicit: Et ecce plus <a>
Salomone hic; in quo ostenditur quia hi, qui docebantur a
salvatore, plus aliquid docebantur quam scierat Salomon. Si
enim quis dicat quia sciebat quidem salvator amplius, non ta­
men etiam aliis tradebat plura quam Salomon, quomodo con­
venit et consequenter dictum putabitur etiam illud, quod in
subsequentibus ait: Regina austri surget in iudicio et con­
demnabit homines generationis huius, propter quod venit afi­
nibus terrae audire sapientiam Salomonis, et ecce plus a
Salomone hic? Est igitur sapientia mundi huius, est et sa­
pientia per singulos fortasse prindpes mundi huius. De ipsa
vero unius dei sapientia illud sentimus indicari, quod minus
quidem in antiquioribus et veteribus operata sit, amplius ve­
ro et manifestius revelata per Christum est. Verum de sa­
pientia dei in locis propriis requiremus.

374
ORIGENE

della sapienza di Dio nascosta nel mistero che Dio ha prede­


stinato alla nostra gloria prima dei secoli e che nessuno dei
prìncipi di questo mondo ha conosciuto» (J Cor. 2, 6-8)28. Qui
vuole mostrare differenti sapienze e spiega che vi è una sa­
pienza di questo mondo, una sapienza dei prìncipi di questo
mondo e una sapienza di Dio. Non credo che quando dice: la
sapienza dei prìncipi di questo mondo29, intenda dire che ve
ne sia una comune a tutti i prìncipi di questo mondo, ma che
ve ne sia una particolare di ognuno dei prìncipi. E ancora,
quando dice: «Ma parliamo della sapienza di Dio nascosta,
che Dio ha predestinato per la nostra gloria prima dei seco­
li», dobbiamo indagare se egli identifichi questa sapienza di
Dio, che è rimasta nascosta e che negli altri tempi e genera­
zioni non fece conoscere agli uomini come ora è stata rivela­
ta ai suoi Scinti apostoli e profeti, con quella sapienza di Dio
che esisteva anche prima della venuta del Signore, di cui era
sapiente Salomone, ma che è superata dall’insegnamento del
Salvatore, secondo quanto egli stesso dice: «Ed ecco qui c’è
più di Salomone» (Mt. 12, 42). Da qui risulta evidente che co­
loro che erano istruiti dal Salvatore imparavano di più di
quanto sapesse Salomone. Se infatti qualcuno sostiene che,
certo, il Salvatore sapeva di più, ma che tuttavia non inse­
gnava anche agli altri più di quanto sapesse Salomone, co­
me si concilia con questo e come ritenere coerenti anche le
parole successive: «La regina del mezzogiorno si leverà nel
giorno del giudizio e condannerà gli uomini di questa gene­
razione, perché essa era venuta dai limiti della terra per ap­
prendere la sapienza di Salomone, ed ecco qui c’è più di
Salomone»? (Mt. 12, 42). Vi è dunque una sapienza di que­
sto mondo ed anche, forse, una sapienza dei singoli prìncipi di
questo mondo. Sulla sapienza dell’unico Dio sappiamo che
ha operato di meno fra gli antichi, mentre si è rivelata di più
e più chiaramente attraverso Cristo30. Tuttavia indaghere­
mo sulla sapienza di Dio al momento opportuno.

375
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

2. Nunc vero quoniam quidem in manibus est tractatu


de contrariis virtutibus, qualiter moveant etiam ea certa­
mina, quibus falsa scientia humanis mentibus inseritur et
seducuntur animae, dum se putant invenisse sapientiam,
necessarium puto discernere atque distinguere, quae sit
sapientia mundi huius et quae principum mundi huius, ut
per hoc qui sint etiam patres huius sapientiae, immo vero
sapientiarum harum, possimus advertere. Arbitror igitur,
sicut supra diximus, sapientiam esse huius mundi aliam
quandam praeter illas sapientias, quae sunt principum huius
mundi, per quam sapientiam intellegi videntur et con-
prehendi ea, quae huius mundi sunt. Quae tamen nihil in
se habet, ut possit aliquid vel de divinitate vel de mundi ra­
tione vel de quibuscumque excelsioribus rebus vel de bo­
nae ac beatae vitae institutione sentire, sed est talis, verbi
causa, ut est omnis ars poetica vel grammatica vel rheto­
rica vel geometrica vel musica, cum quibus adnumeranda
est fortassis etiam medicina. In his omnibus sapientiam
mundi huius inesse censendum est.
Sapientiam vero principum huius mundi intellegimus, ut
est Aegyptiorum secreta quam dicunt et occulta filosofìa et
Chaldeorum astrologia et Indorum de scientia excelsi polli­
centium, sed et Graecorum multiplex variaque de divinita­
te sententia. Igitur in scripturis sanctis invenimus princi­
pes esse per singulas gentes, sicut in Danihelo legimus prin­
cipem quendam esse regni Persarum et alium principem re­
gni Graecorum, quos non homines esse sed virtutes qua­
sdam, evidenter ex consequentia ipsius lectionis ostendi­
tur. Sed et in Hiezechihelo propheta princeps Tyri virtus es­
se quaedam spiritalis manifestissime designatur. Hi ergo et
alii huiusmodi princeps huius mundi, habentes singuli sa­
pientias suas et adstruentes dogmata sua variasque sen­
tentias, ut viderunt dominum et salvatorem nostrum pol­
licentem et praedicantem se ob hoc venisse in hunc mun-

376
ORIGENE

2. Ora, poiché stiamo trattando delle potenze contrar


in che modo esse ci contrastano con l’introdurre nelle men­
ti degli uomini una falsa scienza e con il trarre in errore le
anime che pensano di aver trovato la sapienza, ritengo ne­
cessario distinguere la sapienza di questo mondo, dalla sa­
pienza dei prìncipi di questo mondo, per poter individuare
anche quali siano gli autori di questa sapienza, anzi di que­
ste sapienze. Come abbiamo detto, ritengo dunque che la
sapienza di questo mondo sia diversa dalle sapienze dei prìn­
cipi di questo mondo e che, per mezzo suo, possiamo com­
prendere le cose di questo mondo. Essa, tuttavia, non ha
in sé nulla che ci possa far capire qualche cosa di Dio, del­
la economia del mondo, di tutte le realtà più elevate, dei
princìpi della vita retta e beata; ma è tal quale, ad esempio,
la poesia, la grammatica, la retorica, la geometria, la mu­
sica e, a queste, vi è forse da aggiungere la medicina31.
Bisogna pensare che la sapienza di questo mondo consista
in tutte queste discipline.

Per quanto riguarda invece la sapienza dei prìncipi di que­


sto mondo, pensiamo che sia quella che chiamano la segre­
ta ed occulta filosofìa degli Egiziani, l’astrologia dei Caldei,
la saggezza degli Indiani che promettono la conoscenza del­
le realtà superiori, le molteplici e varie opinioni dei Greci sul­
la divinità. Nella sacra Scrittura troviamo infatti che ci so­
no prìncipi per ogni popolo, come leggiamo in Daniele che
vi è un prìncipe del regno dei Persiani e un altro del regno
dei Greci (Dn. 10, 13.20); è inoltre mostrato chiaramente dal
contesto che essi non sono uomini, ma potenze32. Ed anche
il profeta Ezechiele indica in modo chiarissimo che il prìnci­
pe di Tiro è una potenza spirituale (cfr. Ez. 28). Questi prìn­
cipi, dunque, insieme ad altri prìncipi di questo mondo, che
avevano ciascuno la loro sapienza e che professavano le lo­
ro diverse dottrine ed opinioni, quando videro che il nostro

377
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

dum, ut destrueret omnia quaecumque illa essent falsi no­


minis scientiae dogmata, continuo quis obtegeretur intrin­
secus ignorantes, insidiati sunt ei; adstiterunt enim reges
terrae, et principes convenerunt in unum adversus dominum
et adversus Christum eius. Quibus eorum insidiis cognitis et
his, quae adversum filium dei moliti sunt, intellectis, cum
dominum gloriae crucifixerunt, ait apostolus quia sapientiam
loquimur inter perfectos, sapientiam autem non huius sae­
culi neque principum huius saeculi, qui destruuntur, quam
nemo principum huius mundi cognovit. Si enim cognovissent,
numquam dominum maies tatis crucifixissent.

3. Quaerendum sane est, utrum istae sapientiae prin


pum huius mundi, quibus homines inbuere nituntur, insi­
diandi et laedendi studio ingerantur hominibus ab adver­
sariis virtutibus, an tantummodo erroris causa adhibean­
tur, id est, non laedendi hominis prospectu, sed quia haec ve­
ra esse ipsi illi mundi huius principes arbitrentur, ideo etiam
ceteros docere cupiant ea, quae ipsi vera esse opinantur:
quod et magis arbitror. Sicut enim, verbi causa, Graecorum
auctores vel uniuscuiusque haeresis principes cum prius
ipsi errorem falsae doctrinae pro veritate susceperint et hanc
esse veritatem apud semet ipsos iudicaverint, tunc demum
etiam ceteris haec eadem persuadere conantur, quae apud
semet ipsos vera esse censuerint: ita putandum est facere
etiam principes huius mundi, in quo mundo certae quaeque
spiritales virtutes certarum gentium sortitae sunt principa­
tum et propter hoc mundi huius principes appellatae sunt.
Sunt praeterea etiam aliae praeter hos principes spe­
ciales quaedam mundi huius energiae, id est virtutes ali­
quae spiritales, certa quaeque inoperantes, quae ipsae si­
bi pro arbitrii sui libertate ut agerent elegerunt, ex quibus

378
OFUGENE

Signore e Salvatore prometteva e predicava di essere venu­


to in questo mondo per distruggere tutte quelle dottrine che
usurpavano il nome di scienza, subito gli tesero insidie, poi­
ché ignoravano chi si nascondesse in lui33; infatti si levaro­
no i re della terra e i prìncipi si riunirono contro il Signore e
contro il suo Cristo (Ps. 2, 2). Avendo conosciuto le loro insi­
die ed avendo compreso le loro trame contro il Figlio di Dio
quando crocifìssero il Signore della gloria, l’Apostolo dice:
«Parliamo della sapienza fra i perfetti, ma non della sapien­
za di questo mondo né dei prìncipi di questo mondo, desti­
nati alla distruzione, ma parliamo della sapienza di Dio che
nessuno dei prìncipi di questo mondo ha conosciuto. Se in­
fatti l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifìsso il re del­
la gloria» (J Cor. 2, 6-7).
3. Bisogna certo ricercare se le sapienze che i prìncipi
questo mondo cercano di inculcare negli uomini siano pre­
sentate dalle potenze avverse con l’intenzione di insidiarli e
danneggiarli o non siano comunicate soltanto per errore34,
cioè non con l’intento di ledere, ma perché sembrano vere
agli stessi prìncipi di questo mondo che sono desiderosi di
insegnare anche agli altri ciò che ritengono vero35; questa
ipotesi mi convince di più. Infatti, ad esempio, i filosofi gre­
ci o i capi di qualsiasi eresia, non appena hanno accolto es­
si stessi come verità l’errore di una falsa dottrina ed hanno
giudicato in se stessi che questa è la verità, cercano di per­
suadere anche gli altri di ciò che hanno ritenuto essere ve­
ro; allo stesso modo bisogna pensare che si comportano an­
che i prìncipi di questo mondo, in cui alcune potenze spiri­
tuali hanno ottenuto in sorte il principato di determinate
genti e perciò sono chiamate prìncipi di questo mondo36.
Oltre questi prìncipi vi sono poi alcune forze speciali di
questo mondo37, cioè potenze spirituali, che svolgono de­
terminate attività che esse stesse hanno scelto di fare, gra­
zie al loro libero arbitrio; fra queste vi sono gli spiriti che

379
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

sunt isti spiritus, qui inoperantur sapientiam huius mundi:


verbi causa, ut sit propria quaedam energia ac virtus, quae
inspirat poeticam, alia, quae geometriam, et ita quaeque
singulas quasque huiuscemodi artes disciplinasque com­
moveant. Denique quam plurimi Graecorum opinati sunt ar­
tem poeticam sine insania non posse constare; unde et in hi­
storiis eorum refertur aliquotiens eos, quos vates appellant,
subito insaniae cuiusdam spiritu esse subpletos. Quid au­
tem dicendum est etiam de his, quos divinos appellant, a qui­
bus per inoperationem daemonum eorum, qui eis praesunt,
versibus arte modulatis responsa proferuntur? Sed et hi,
quos magos vel maleficos dicunt, aliquotiens daemonibus in­
vocatis supra pueros adhuc parvae aetatis, versu eos dicere
poèmata admiranda omnibus et stupenda fecerunt. Quae
hoc modo geri arbitranda sunt, quod sicut sanctae et inma-
culatae animae, cum se omni affectu omnique puritate vo­
verint deo et alienas se ab omni daemonum contagione ser­
vaverint et per multam abstinentiam purificaverint se et piis
ac religiosis inbutae fuerint disciplinis, participium per hoc
divinitatis adsumunt et prophetiae ceterorumque divinorum
donorum gratiam promerentur: ita putandum est etiam eos,
qui se opportunos contrariis virtutibus exhibent, id est in­
dustria vita vel studio amico illis et accepto, recipere eorum
inspirationem et sapientiae eorum ac doctrinae participes ef­
fici. Ex quo fit ut eorum inoperationibus repleantur, quorum
se prius famulatui subiugarint.
4. De his sane, qui de Christo aliter docent quam scri
turarum regula patitur, non otiosum est intueri, utrum in­
sidioso proposito adversum Christi fidem nitentes contra­
riae virtutes fabulosa quaedam simul et impia dogmata com­
mentatae sint, an vero etiam ipsae audito verbo Christi et ne­
que evomere id valentes ex arcanis conscientiae suae ne­
que pure sancteque retinere, per vasa opportuna sibi et, ut
ita dicam, per prophetas suos diversos errores contra re-

380
ORIGENE

operano la sapienza di questo mondo; ad esempio, vi è una


particolare forza e potenza che ispira la poesia, un’altra la
geometria e così via per le altre arti e discipline dello stesso
tipo. Per questo molti Greci hanno ritenuto che non vi po­
tesse essere poesia senza follia; da ciò deriva anche quanto
viene talvolta narrato nelle loro storie a proposito dei cosid­
detti vati che all’improvviso vengono pervasi da uno spirito
di follia. Cosa si dirà, d’altra parte, anche di quelli che chia­
mano indovini che, per effetto di quei demoni che li guidano,
rivelano i loro responsi in versi modulati con arte? Anche
coloro che chiamano maghi e stregoni, dopo aver invocato
talvolta i demoni sopra bambini ancora in tenera età, li fecero
pronunciare poemi tali da suscitare l’ammirazione e lo stu­
pore di tutti. Bisogna pensare che tutto avvenga in questo
modo: come le anime Scinte e pure che si sono votate a Dio
di tutto cuore e con ogni purezza, che si sono mantenute
estranee da ogni contagio demoniaco, che si sono purificate
attraverso una lunga astinenza e si sono istruite con dottri­
ne pie e religiose, per questo partecipano della divinità e me­
ritano il dono della profezia e la grazia degli altri doni divi­
ni, allo stesso modo bisogna pensare che anche coloro che si
mostrano ben disposti verso le potenze avverse con un’atti­
vità, una condotta e uno zelo favorevoli e accetti a costoro, ne
ricevono l’ispirazione e sono resi partecipi della loro sapien­
za e dottrina. Così succede che sono ripieni dell’attività di
coloro al cui servizio si sono sottomessi.
4. A proposito di quelli che insegnano su Cristo dottri
diverse da quanto consente la regola delle Scritture, non sarà
superfluo considerare, se le potenze contrarie abbiano esco­
gitato dottrine fantastiche ed insieme empie, con l’intenzione
insidiosa di ostacolare la fede di Cristo, oppure se le stesse
potenze contrarie, udita la parola di Cristo, incapaci sia di ri­
gettarla dall’intimo della loro coscienza, sia di mantenerla in
modo puro e santo, abbiano introdotto differenti errori con-

381
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

gulam christlanae veritatis induxerint. Et magis putandum


est quod apostatae et refugae virtutes, quae a deo recesse­
rint, vel ipsa mentis suae propositique nequitia vel invidia
eorum, quibus veritate cognita ad illum gradum, unde il­
lae dilapsae sunt, praeparatur ascensus, ad impediendos
huiuscemodi profectus errores hoc falsae doctrinae decep-
tionesque conponunt.

Manifeste ergo et ex multis indiciis demonstratur quod


humana anima, dum in hoc corpore est, recipere potest di­
versas energias, id est inoperationes, spirituum diversorum
malorum ac bonorum; et malorum quidem duplici specie,
id est vel tunc, com penitus ex integro eorum possederint
mentem, ita ut nihil omnino eos quos obsederint intellege­
re vel sentire permittant, sicut exemplo sunt hi, quos vulgo
energumenos vocant, quos amentes et insanos videmus,
quales et illi erant, qui in evangelio a salvatore curati esse
referuntur, vel cum sentientem quidem et intellegentem ani­
mum cogitationibus variis et sinistris persuasionibus ini­
mica suggestione depravant, ut exemplo est ludas ad pro­
ditionis facinus diaboli inmissione provocatus, sicut scrip­
tura declarat dicens: Cum autem iam immisisset diabolus
in cor Iudae Scariothis ut traderet eum
Boni vero spiritus recipit quis energiam vel inoperatio-
nem, cum movetur et provocatur ad bona et inspiratur ad
caelestia vel divina; sicut sancti angeli et ipse deus inope­
ratus est in prophetis, suggestionibus sanctis ad meliora
provocans et cohortans, ita sane ut maneret in arbitrio ho­
minis ac iudicio, si sequi velit aut nolit ad caelestia et divi­
na provocantem. Unde et ex hoc manifesta discretione di-
noscitur, quando anima melioris spiritus praesentia mo­
veatur, id est, si nullam prorsus ex imminenti adspiratio-
ne obturbationem vel alienationem mentis incurrat nec per­
dat arbitrii sui iudicium liberum; sicut exemplo sunt om-

382
ORIGENE

tro la regola della verità cristiana servendosi degli strumenti a


loro favorevoli e, per così dire, dei loro profeti. È meglio cre­
dere che le potenze apostate e ribelli che si sono allontanate da
Dio, sia per la malvagità della loro intelligenza e volontà, sia
per l'invidia di coloro per i quali attraverso la conoscenza del­
la verità è predisposta la risalita alla condizione da cui esse
sono cadute, inventano gli errori e gli inganni di una falsa dot­
trina, per impedire agli uomini tali progressi38.
Risulta evidente da molti segni che l'anima umana, fin-
tanto che è nel corpo, può ricevere diverse azioni, cioè atti­
vità, di spiriti differenti, sia malvagi, sia buoni; fra i malvagi
ve ne sono di due specie: gli spiriti che posseggono intera­
mente e completamente l’intelletto, a tal punto da non con­
sentire a coloro che ne sono posseduti né di capire, né di pen­
sare alcunché, come accade ad esempio al cosiddetti energu­
meni, die vediamo in preda alla pazzia ed alla follia, al pari
dì quelli che, secondo il Vangelo, sono stati guariti dal Salvatore.
Inoltre vi sono gli spiriti che attraverso l'ostile suggestione di
pensieri molteplici e persuasioni funeste corrompono l'animo
in grado di pensare e capire, come, ad esempio, nel caso di
Giuda che fu spinto al delitto di tradimento dall’azione del dia­
volo, come afferma la Scrittura: «Quando il diavolo aveva già
messo nel cuore di Giuda Scariota di tradirlo» (Jo. 13, 2)39.
Accoglie l’azione e l’attività di uno spirito buono chi è
mosso ed invitato al bene e ispirato verso le realtà celesti e
divine; così i santi angeli e Dio stesso agiscono nei profeti,
invitandoli ed esortandoli alle realtà superiori con sante
ispirazioni, ma in tal modo da lasciare al libero volere dell’uo­
mo la decisione di seguire o no colui che lo invita alle realtà
celesti e divine. Se un’anima è sotto l’influenza della pre­
senza di uno spirito buono, lo si distingue chiaramente dal
fatto che, quando è ispirata, non subisce nessuna altera­
zione o alienazione della mente né perde la libertà di giudi­
zio della sua volontà40. Ne sono un esempio tutti i profeti

383
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

nes vel prophetae vel aspostoli, qui divinis responsis sine


ulla mentis obturbatione ministrabant. [...]
5. Illud quoque consequenter requirendum puto, ex qu
bus causis humana anima nunc quidem a bonis, nunc au­
tem moveatur a malis. Cuius rei causas suspicor esse qua­
sdam antiquiores etiam hac nativitate corporea, sicut de­
signat Iohannes in matris ventre tripudians et exultans,
cum vox salutationis Mariae ad aures Elisabeth matris eius
adlata est, et ut declarat Hieremias propheta, qui antequam
plasmaretur in utero matris cognitus erat deo, et antequam
e vulva procederet sanctificatus ab eo est et puer adhuc
prophetiae gratiam cepit. Et rursum e contrario manifeste
ostenditur ab adversariis spiritibus quosdam a prima sta­
tini aetate possessos, id est nonnullos cum ipso daemone
esse natos, alios vero a puero divinasse historiarum fides
declarat, alii a prima aetate daemonem, quem Pythonem
nominant, id est ventriloquum, passi sunt. Pro quibus om­
nibus ab his, qui dei providentia regi omnia quae in hoc
mundo sunt adserunt, sicut nostra quoque continet fides,
ut mihi videtur, non aliter poterit responderi ita, ut absque
omni iniustitiae culpa divina providentia demonstretur, ni­
si priores quaedam fuisse eis causae dicantur, quibus an­
tequam in corpore nascerentur animae aliquid culpae con­
traxerint in sensibus vel motibus suis, pro quibus haec me­
rito pati a divina providentia iudicatae sint. Liberi namque
arbitrii semper est anima, etiam cum in corpore hoc, etiam
cum extra corpus est; et libertas arbitrii vel ad bona semper
vel ad mala movetur, nec umquam rationabilis sensus, id
est mens vel anima, sine motu aliquo esse vel bono vel ma­
lo potest. @uos motus causas praestare meritorum verisimile
est etiam prius quam in hoc mundo aliquid agant; ut pro
his causis vel meritis per divinam providentiam statim a
prima nativitate, immo et ante nativitatem, ut ita dicam,
vel boni aliquid vel mali perpeti dispensentur.

384
ORIGENE

e gli apostoli che erano ministri degli oracoli divini senza


alcuna alterazione dell’intelligenza. [...]
5. Credo che di conseguenza si debba ricercare inolt
per quale ragione l’anima umana sia mossa ora dagli spi­
riti buoni, ora da quelli malvagi. Suppongo che la causa sia
precedente anche alla nascita corporea, come appare da
Giovanni che gioisce ed esulta nel grembo della madre,
quando il saluto di Maria giunge alle orecchie di sua ma­
dre Elisabetta (Le. 1, 41), e come dimostra il profeta Geremia,
che era conosciuto da Dio prima di essere plasmato nell'ute­
ro materno e prima di uscire dalla vulva (Ier. 1, 5), fu santi­
ficato e, ancora bambino, ricevette la grazia della profezia41.
È poi evidente che, al contrario, alcuni sono stati possedu­
ti dalle potenze avverse subito nella loro prima infanzia, cioè
sono nati con un demone, altri, secondo racconti attendi­
bili, hanno divinato dalla fanciullezza, altri ancora sono sta­
ti soggetti, fin dai primi anni di vita, a quel demone chia­
mato Pitone, cioè ventriloquo. Per tutti questi motivi, quan­
ti affermano, secondo la nostra fede, che tutte le realtà ter­
rene sono governate dalla provvidenza di Dio, per dimo­
strare che la provvidenza divina non è responsabile di nes­
suna ingiustizia, non potranno, a mio avviso, dire altro se
non che vi sono stati motivi precedenti per cui le anime,
prima della loro nascita nel corpo, si sono rese colpevoli nei
loro pensieri o movimenti a causa dei quali sono state giu­
stamente condannate a subire tale sorte. L’anima possiede
sempre infatti il libero arbitrio, sia quando è nel corpo, sia
quando è fuori di esso. Il libero arbitrio è attirato sempre
sia verso il bene, sia verso il male e mai il senso della ra­
gione, cioè l’intelligenza o l’anima, può essere senza movi­
menti verso il bene o verso il male. È verosimile che i mo­
vimenti siano stati cause di meriti e demeriti anche prima di
agire nel mondo; così per questi meriti e per queste cause la
divina provvidenza, subito dalla nascita e, per così dire, pri-

385
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-I1I

6. Et haec quidem dicta sint de his, quae videntur h


minibus vel a prima statim nativitate vel etiam antequam
in hanc lucem prorumpant evenire. De his vero, quae a di­
versis spiritibus animae, id est humanis cogitationibus,
suggeruntur, quae vel ad bona vel ad contraria provocent,
interdum etiam in hoc existere quaedam anteriores corpo­
reae nativitatis causae putendae sunt. Interdum vero vigi­
lans mens et abiciens a se quae mala sunt, bonorum ad se
adiutorium provocat; vel e contrario neglegens et ignava,
dum minus cauta est, locum dat his spiritibus, qui velut
latrones ex occulto insidiantes inruere humanas mentes,
cum locum sibi datum per segnitiam viderint, moliuntur,
sicut ait Petrus apostolus quia adversarius vester diabolus
tamquam leo rugiens circuit, quaerens quem transvoret.
Propter quod die noctuque cor nostrum omni custodia con­
servandum est, et locus non est dandus diabolo, sed omnia
agenda sunt, quibus ministri dei (hi videlicet spiritus, qui
ad ministerium missi sunt eorum, qui ad hereditatem salu­
tis vocati sunt) inveniant in nobis locum et delectentur in­
gredi hospitium animae nostrae et habitantes apud nos, id
est in corde nostro, melioribus nos consiliis regant, si ta­
men habitaculum cordis nostri virtutis et sanctitatis cultu
invenerint exornatum.

III, 6, 5; pp. 286, 10 - 287, 13

Propterea namque etiam novissimus inimicus, qui mors ap­


pellatur, destrui dicitur, ut neque ultra triste sit aliquid,
ubi mors non est, neque diversum sit, ubi non est inimi­
cus. Destrui sane novissimus inimicus ita intellegendus est,
non ut substantia eius quae a deo facta est pereat, sed ut

386
ORIGENE

ma di essa ha stabilito che gli uomini subissero del bene o


del male.
6. Quanto detto finora riguarda ciò che accade agli u
mini o subito nei loro primi anni di vita o addirittura pri­
ma che essi vengano alla luce. Per quanto riguarda inol­
tre ciò che viene suggerito aH’anima, cioè i pensieri, dalle
diverse potenze e che la spingono sia verso il bene, sia ver­
so il male, anche per questo è necessario pensare che tal­
volta esistano cause precedenti alla nascita corporea.
Talvolta la mente che sta in guardia e che allontana da sé
il male, si attira l'aiuto degli spiriti buoni; al contrario se è
negligente42 e pigra, nel momento in cui è meno attenta,
dà spazio a quegli spiriti che, come ladroni, stanno in ag­
guato nell’ombra e tramano per precitarsi sulle menti uma­
ne, se si accorgono che per indolenza viene loro offerto un
varco, come dice l’apòstolo Pietro: «11vostro nemico, il dia­
volo, si aggira come un Icone, alla ricerca di qualcuno da
divorare» (J Pi.. 5, 8). Per questo bisogna custodire con ogni
riguardo, notte e giorno, il nostro cuore e non dobbiamo
offrire spazio al diavolo, ma dobbiamo fare di tutto perché
i ministri di Dio (vale a dire quegli spiriti che sono inviati
al servizio di coloro che sono stati chiamati ad ereditare la
salvezza) trovino dimora in noi, rallegrandosi dell’ospita­
lità della nostra anima e abitando presso di noi, cioè nel
nostro cuore43, ci guidino con migliori consigli, se tutta­
via trovano l’abitazione della nostra anima ornata dall’eser­
cizio della virtù e della santità.

Infatti, per questo è scritto che verrà distrutto anche l’ulti­


mo nemico, che è chiamato morte (J Cor. 15, 26J44, affinché
non ci sia più nulla di triste, quando non ci sarà la morte,
né di diverso, quando verrà meno l’avversario. Bisogna cer­
to intendere la distruzione dell’ultimo nemico non nel senso

387
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

propositum et voluntas inimica, quae non a deo sed ab ipso


processit, intereat. Destruetur ergo, non ut non sit, sed ut ini­
micus et mors non sit.

Nihil enim omnipotenti inpossibile est, nec insanabile est


aliquid factori suo; propterea enim fecit omnia, ut essent; et
ea, quae facta sunt, ut essent, non esse non possunt. Propter
quod immutationem quidem varietatemque recipient, ita ut
pro meritis vel in meliore vel in deteriore habeantur statu;
substantialem vero interitum ea, quae a deo ad hoc facta
sunt, ut essent et permanerent, recipere non possunt.

O r ic e n i s C o m m e n t a r i i i n I o h a n n e m
XX, 182-183; ed. Preuschen, p. 355, 4-1746

182. Πρώτος γάρ χοϊκός έκεΐνος, τφ πρώτος άποπεπτωκώς τών


κρειττόνων και έπιτεΰυμηκώς έτέρας παρά την κρείττονα ζωής
ζωήν άξιος γεγονέναι τοΰ άρχήν αυτόν είναι ούτε κτίσματος ού­
τε ποιήματος άλλα πλάσματος κυρίου, πεποιημένον εγκατα-
παίζεσϋαι ύπό τών αγγέλων αύτοΰ. Καί ημών δε ή προηγούμενη
ΰπόστασίς έστιν έν τω κατ ’ εικόνα τοΰ κάσαντος· ή δε έξ αιτίας
έν τω ληφΰέντι από τοΰ χοΰ της γης πλάσματι.

183. Και εί μεν ώσπερει έπιλα-βόμενοι της έν ήμϊν κρείττονος


ουσίας ΰποτάξομεν έαυτούς τφ άπό τοΰ χοΰ πλάσματι, καί τό
κρεϊττον τήν εικόνα τοΰ χοϊκοϋ λήψεται. Εί δε συνέντες το
ποιηι3εν κατ ’εικόνα κοά το ληφύεν άπό τοΰ χοΰ της γης, δλοι προ-
σνεΰοιμεν έπί τούτον, οΰ κατ ’ εικόνα γεγόναμεν, έσόμειϊα καί

388
ORIGENE

che scomparirà la sua sostanza creata da Dio, ma nel sen­


so che verranno meno l’intenzione e la volontà nemica che
costui derivò non da Dio, ma da se stesso. Egli sarà dun­
que distrutto, non per non esistere più, ma per non esiste­
re più in quanto nemico e morte45.
Infatti all’Onnipotente nulla è impossibile (Iob 42, 2) e
non vi è nulla di irreparabile per il creatore; egli ha fatto
tutte le cose perché esistessero; e le cose che sono state
create per esistere non possono non esistere. Per questo le
creature potranno ricevere il mutamento e la molteplicità
in modo da trovarsi in una condizione migliore o peggiore
secondo i meriti; ma esse, che sono state create da Dio per
esistere e durare, non possono subire la distruzione della
loro sostanza.

C o m m e n t o a l V a n g e l o d i G io v a n n i

182. Infatti è costui (se. il diavolo) quel primo terrestre (cfr.


I Cor. 15, 47)47 che, essendo caduto per primo48 dalle realtà
superiori ed avendo desiderato una vita diversa da quella
superiore, ha meritato di essere inizio non della creazione
e nemmeno della produzione, ma soltanto di ciò che è sta­
to plasmato dal Signore per essere deriso dai suoi angeli (Iob
40, 14)49. La nostra ipostasi principale50 consiste nell’es­
sere a immagine (Gn. 1, 26) del creatore; quella che provie­
ne dalla colpa consiste in ciò che è plasmato a partire dal­
la polvere della terra (cfr. Gn. 2, 7).
183. Se dunque, quasi immemori della nostra sostan
migliore, ci sottoponiamo a ciò che è plasmato dal fango,
anche la parte migliore di noi assumerà l’immagine del ter­
restre51. Se, invece, comprendiamo ciò che è stato fatto a
immagine e ciò che è stato preso dalla polvere della terra e

389
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

καύ’ όμοΐωσιν ϋεου, πασαν την πρός ύλην καί σώματα προ­
σπάθειαν καί την πρός τινα τών καί)’ όμοΐωσιν άπολείψαντες.

XX, 198-200; ρ. 357, 18-27

198. Είς ταΰτα δέ ό Ήρακλέων φησί· Πρός οΰς ό λόγος, έκ της


ουσίας τοΰ διαβόλου ήσαν ώς έτέρας οΰσης της τοϋ διαβόλου
ουσίας παρά την τών άλλων λογικών ουσίαν. 199. "Ομοιον δέ έν
τούτω μοι πεπονθέναι φαίνεται τω έτέραν ουσίαν φάσκοντι
όφΰαλμοΰ παρορώντος καί έτέραν όρώντος, καί έτέραν ουσίαν
άκοής παρακουούσης καί ΰγιώς άκουούσης. 200. Ώ ς γάρ έν
τούτοις ούχ ή ούσία διάφορος, αλλά τι αίτιον έπισυμβέβηκεν τοΰ
παρακούειν καί τοΰ παροραν, ούτως παντός τοΰ πεφυκότος λόγω
παρακολουύεΐν ή παρακολουΰητικη ούσία ή αυτή έστιν, είτε
παραδέχεται τόν λόγον είτε άνανεύει πρός αύτόν.

XX, 250-255; ρρ. 364, 34 - 365, 25

250. Πάντως γοϋν καν τοΰτο έχη ό διάβολος δόγμα άληύές περί
αύτοΰ έννοών οτι λογικός έστιν, καί δτι τό τοιόνδε μέν άνΰρωπός
έστιν, τό τοιόνδε δέ άγγελος, καί τό τοίον μέν σώμα, καί ποιόν σώ­
μα, άλλο δέ τι ετερον σώματος. 251. ’Αλλ’ ΐνα καί τό τελευταΐον
μή λέγη καί μή έννοη, αλλά ίε αύτάρκη τα πρώτα πρός τό μή &ν
δύνασΰαι είναι άληύές περί αύτοΰ τό δτι ούδέν άληιϊές φρονεί.
252. ' Ημείς μέν ουν τοΰ ' Εν rfj άληΰεία ούχ εστη κενάκούομεν
ούχ ώς φύσιν τοιαύτην έμφαίνοντος, ούδέ τό αδύνατον περί τοΰ
έστηκέναι αύτόν έν άληϋεία παριστάντος· ό δέ ' Ηρακλέων είς
ταϋτά φησι τό· Ού γάρ έκ της αλητείας ή φύσις έστιν αύτοΰ, άλλ ’
έκ τοΰ έναντίου τη άληΰεία, έκ πλάνης καί άγνοιας. 253. Διό,
φησίν, ούτε στηναι έν άληθεία ούτε σχεΐν έν αύτώ αλήθειαν δύ-

390
ORIGENE

ci rivolgiamo interamente verso colui ad immagine del qua­


le siamo stati fatti, riusciremo anche ad essere a somiglianza
(Gn. 1, 26)52 di Dio, dopo aver abbandonato ogni attacca­
mento non soltanto alla materia ed al corpo, ma anche ad
alcuni esseri che sono a somiglianza (di Dio).

198. A questo proposito Eracleone53 dice: «Il discorso è rivol­


to a coloro che erano della sostanza del diavolo»54, come se
la sostanza del diavolo fosse diversa da quella degli altri es­
seri razionali. 199. A mio avviso, questo argomento è per­
suasivo come quello che sostiene che l’occhio che vede nude
è di sostanza diversa da quella dell'occhio che ci vede, e che
l’orecchio che sente male è di natura diversa da quella dell’orec­
chio che sente bene. 200. Come in questo caso non vi è di­
versità di sostanza, ma è sopraggiunto un qualche accidente
a danneggiare l’udito e la vista, così in ogni essere, che è por­
tato per natura a seguire il logos, la sostanza che lo può seguire
è la stessa, sia che accetti il logos, sia che lo rifiuti.

250. Il diavolo dovrebbe avere almeno questo pensiero veri­


tiero su se stesso: comprende che è dotato di logos e che ta­
le è sia l’uomo, sia l’angelo, che una certa cosa è un corpo e
di quale tipo, che la talaltra è differente da un corpo. 251. Ma
anche se costui55 non dice e non pensa le ultime affer­
mazioni, le prime sono sufficienti a far sì che non sia vero
che il diavolo non pensi nulla di vero. 252. Noi dunque non
comprendiamo le parole: Non è restato nella verità (Io. 8,
44), come se mostrassero una natura particolare e l’im­
possibilità per lui (se. il diavolo) di rimanere nella verità.
Invece Eracleone dice a tale proposito: «Infatti la sua natu­
ra non proviene dalla verità, ma dal contrario della verità,

391
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

ναται, έκ της αύτοΰ φύσεως ΐδιον εχων τό ψεύδος, φυσικώς μή


δυνάμενός ποτε αλήθειαν είπεΐν λέγει δ ’ οτι ού μόνος αύτός
ψεύστης έστίν, άλλα καί ό πατήρ αύτοΰ, ιδίως πατήρ αύτοΰ
έκλαμβάνων τήν φύσιν αύτοΰ, έπείπερ έκ πλάνης καί ψεύσματος
συνέστη. 254. Ταΰτα δε δλα ρύεται τον διάβολον παντός ψόγου
καί έγκλήματος καί μέμψεως- ούδείς γάρ εύλόγως άν ψέξαι ή
έγκαλέσαι ή μέμψαιτο τφ μή πεφυκότι πρός τα κρείττονα.
'Ατυχής ούν μάλλον ή ψεκτός ό διάβολος κατά τόν ' Ηρακλέωνά
έστιν. ’ Ιστέον μέντοι γε οτι ώσπερ ό διάβολος έν τι) άληΰεία ούχ
εστηκεν, οτι ούκ εστιν άλήύεια έν αύτω, ούτως καί οί έκ πατρός
τοϋ διαβόλου οντες έν τη άλη-θεία ούχ έστήκασιν, δτι άλήύεια
ούκ εστιν <έν> αύτοϊς. 255. Πάντες δε τοιοΰτοι οί ετι ποιοΰντες
άμαρτίας, καν λέγωσιν είναι Χριστοΰ· Πας γάρ ό ποιων τήν
αμαρτίαν έκ τοΰ διαβόλου γεγέννηται.

O r ig e n is H o m u a e i n N u m e r o s

VII, 6; ed. Baehrens, pp. 47, 30 - 48, 2758

Cum ergo talibus te armaveris telis, sequens Iesum ducem


non verearis gigantes illos; videbis enim, quomodo eos tibi
subiciet Iesus; et sicut patres calcaverunt cervices gentium,
ita et tu calcabis super cervices daemonum. Ipse enim dicit
his, qui eum fideliter sequuntur: Ecce, dedi vobis potesta­
tem calcandi super serpentes et scorpiones et super omnem
virtutem inimict Vult enim semper Iesus res mirabiles fa­
cere, vult de locustis vincere gigantes, et de his, quae in ter­
ris sunt, coelestes superare nequitias. Et fortasse hoc erat,
quod dicebat in evangeliis, quia qui credit in eum, non so­
lum faciet illa, quae ipse fecit, sed et maiora inquit horum

392
ORIGENE

dall’errore e dall’ignoranza». 253. Per questo, egli afferma,


(il diavolo) «non può stare nella vérità, né possederla, per­
ché la menzogna gli appartiene in proprio per la sua natura
ed è incapace per natura di dire la verità». Aggiunge poi che
«non soltanto costui è menzognero, ma anche suo padre, in­
tendendo, in un senso particolare, per padre suo (Io. 8, 44J56,
la sua natura, perché egli è costituito di errore e di menzo­
gna»57. 254. Ma tutto ciò sottrae il diavolo ad ogni rimpro­
vero, accusa e biasimo, nessuno infatti avrebbe ragione di
rimproverare, accusare e biasimare chi per natura non può
rivolgersi alle realtà superiori. Per Eracleone, dunque, il dia­
volo è più sfortunato che riprovevole. Bisogna invece sapere
che, come il diavolo non è rimasto nella verità perché la ve­
rità non è in lui, così anche coloro che provengono dal loro
padre, il diavolo, non sono rimasti nella verità, poiché non
vi è verità in essi. 255. Sono tutti così coloro che commet­
tono peccati anche se dicono di essere di Cristo: Infatti, chiun­
que commette peccato proviene dal diavolo (I Io. 3, 8).

O m e l ie s u i n u m e r i

Armato di queste armi59 e guidato da Gesù, non hai timo­


re di quei giganti (cfr. JVm.13, 33)60; vedrai infatti come Gesù
te li sottometterà; come i padri hanno schiacciato la testa
delle nazioni, così anche tu schiaccerai la testa dei demo­
ni. In effetti Gesù stesso dice a coloro che lo seguono fe­
delmente: «Ecco vi ho dato il potere di calpestare serpenti
e scorpioni ed ogni potenza del nemico» [Le. 10, 19). Gesù
vuole compiere sempre azioni mirabili: vuole vincere i gi­
ganti servendosi di locuste (cfr. Wm. 13, 33) e trionfare su­
gli spiriti malvagi che sono nel cielo (Eph. 6, 12) per mezzo
delle creature terrestri. A questo forse si riferiva Gesù quan-

393
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

fadet. Vere enim maius mihi videtur si homo in carne po­


situs, fragilis et caducus, fide tantum Christi et verbo eius
armatus superet gigantes, daemonum legiones. Quamvis
ipse sit, qui vincit in nobis, plus tamen esse dicit, quod per
nos vincit quam quod per se vincit. Tantum est, ut nos ar­
mis istis semper simus armati et conversatio nostra sem-
per in coelis sit. Omnis motus noster, omnis actus, omnis co­
gitatio, omnis sermo coelestis sit. Quanto enim nos illuc ar­
dentius adscendimus, tanto illi praecipites inde descendent;
et quanto nos augemur, tanto illi inferiores se flent. Vita
nostra si sancta sit, si secundum Deum sit, illis conferet
mortem; si segnis et luxuriosa sit, potentes eos adversum
nos et gigantes faciet. Quanto ergo nos virtutibus cresci­
mus, tanto illi inferiores efficiuntur et fragiles, sicut e con­
trario si nos infirmemur et terrena requiramus, illi fortio­
res fiunt. Et quanto nos dilatamur in terris, tanto illis spa­
tia in coelestibus largiora concedimus. Unde hoc magis aga­
mus, ut nobis augescentibus illi minuantur, nobis ingre-
dientibus illi pellantur, nobis adscendentibus illi cadant;
sicut ille cecidit, de quo dicit Dominus in evangelio: Ecce,
vidi Satanan sicut fulgur cadentem de coelo, ut illis inde
proiectis introducat nos illuc Dominus Iesus et percipere
regnum suum coeleste concedat.

394
ORIGENE

do diceva nei vangeli che chi credeva in lui, non avrebbe fat­
to soltanto le cose che egli stesso faceva, ma che ne avreb­
be compiute di più grandi (Io. 14, 12). A me pare proprio
impresa più grande se l’uomo, rivestito dal corpo, fragile e
mortale, armato soltanto della fede in Cristo e della sua pa­
rola, riesce a sconfìggere i giganti, le schiere dei demoni.
Sebbene sia Gesù stesso a vincere in noi, egli tuttavia dice
che vincere attraverso noi è impresa più grande del vincere
attraverso di sé. Questo soltanto: teniamo sempre in pugno
queste armi e che il nostro modo di vivere sia sempre cele­
ste (cfr. PhiL 3, 20). Ogni nostra attività, ogni azione, ogni
pensiero, ogni parola appartenga al cielo. Quanto più ar­
dentemente ci innalziamo lassù, tanto più costoro ne di­
scenderanno precipitosamente; e quanto più noi aumen­
tiamo, tanto più essi diventeranno piccoli. Se la nostra vita
è santa e secondo Dio, arrecherà loro la morte; se è indo­
lente e lussuriosa li renderà giganteschi e potenti contro di
noi. Quanto noi, dunque, sviluppiamo le virtù, tanto quel­
li diventano deboli e più fragili e, al contrario, se noi siamo
deboli e cerchiamo le cose terrene, quelli diventano più for­
ti. E quanto più noi guadagniamo spazi sulla terra, spazi
altrettanto vasti concediamo loro in cielo61. Pertanto lavo­
riamo di più affinché, mentre noi cresciamo, quelli dimi­
nuiscano, mentre noi entriamo, essi escano, mentre noi sa­
liamo, essi cadano, come è caduto colui di cui il Signore di­
ce «Ecco ho visto Satana che cadeva dal cielo come il ful­
mine» (Le. 10, 18), affinché il Signore ci faccia entrare là on­
de costoro sono stati scacciati e ci conceda di ricevere il re­
gno suo celeste.

395
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

O r ig e n is H o m i u a e i n I o s u e
Vili, 2-4; ed. Baehrens, pp. 337, 1 - 340, 16

2. His auditis verisimile est auditores dicere; quo mihi haec?


Quid mihi confert, si cognoscam quod victi sunt hi, qui ha­
bitabant Gai, quasi non similia aut etiam potentiora bella
vel gesta sint vel gerantur? Haec fuit cura Spiritus sancti, ut
relictis tot et tantarum nobilium excidiis urbium proelium
civitatis Gai scriptum sacris voluminibus mandaretur?
Temerarium fortasse sit, quod facimus, tam ardua et tam
difficilia Scripturae sanctae loca explanare conantes; sed si
nos orationibus vestris iuvetis, non solum culpam effugie­
mus audaciae, verum et devotionem nostram amplexus
Pater Verbi Deus dabit verbum in adapertionem oris nostri,
quo et vos aedificemini et nos non indevoti pareamus.
Orantes ergo et intenti animis audite.

Primo propter peccata victi sumus et hi, qui habitabant


Gai, quamplurimos ex nobis interfecerunt. Gai interpreta­
tur Chaos. Chaos autem locum vel habitaculum esse novi­
mus contrariarum virtutum, quarum rex et princeps dia­
bolus est. Adversus hunc veniens Iesus in duas partes di­
vidit populum et alios quidem in primis statuit, alios in po­
sterioribus, qui ex insperato post terga veniant inimicorum.
Et vide, si non prima pars est populi illa, de qua dicit: Non
veni nisi ad oves perditas domus Istrahel et de qua dicit
Apostolus: Gratia autem et pax omni homini operanti bonum,
Iudaeo primum, tunc etiam et Graeco, id est Gentili poste­
riori. Iste ergo populus est, qui in primis statuitur et quasi
fugiens cum Iesu. Posterior vero populus est, qui ex genti­
bus congregatur, quique ex insperato venientes - quis enim
speraret gentes salvari? - acrius post tergum adversarios
caedunt; et sic uterque populus mediam turmam daemo-

396
ORIGENE

O m e l ie s u Giosuè

2. Dopo aver ascoltato queste parole, è probabile che i pre­


senti dicano: che me ne viene? Cosa mi interessa sapere
che gli abitanti di Gai (Jos. 8, 1 sgg.) sono stati sconfìtti, co­
me se non fossero state combattute e non si combattano
guerre simili ed anzi più importanti? Fu questa la preoc­
cupazione dello Spirito santo, di trascurare le distruzioni
di tante nobili città e di tramandare, nei libri sacri, la bat­
taglia della città di Gai? Ammettiamo che sia forse temera­
rio il tentativo di spiegare passi così ardui e diffìcili della
Scinta Scrittura; ma se mi aiuterete con le vostre preghiere,
non sfuggiremo soltanto al peccato di essere temerari, ma
Dìo, Padre della Parola, accogliendo la nostra devozione, ci
darà la parola ed aprirà la nostra bocca (Eph. 6, 19): così
voi sarete edificati e noi non appariremo irriverenti. Ascoltate
dunque in preghiera e con attenzione.
Prima siamo stati vinti a causa dei nostri peccati e gli
abitanti di Gai hanno ucciso moltissimi di noi. Gai signifi­
ca Caos62. Sappiamo inoltre che il caos è il luogo e la di­
mora delle potenze avverse, di cui il diavolo è re e guida.
Venendo contro costui, Gesù63 divide il popolo in due par­
ti e mette gli uni in testa e gli altri in coda perché attacchi­
no all’improvviso alle spalle dei nemici. E considera se la
prima parte del popolo non sia quella di cui è detto: «Non
sono venuto che per le pecore perdute di Israele (Mt. 14,
24)», e della quale l’Apostolo dice: «Grazia e pace ad ogni
uomo che opera il bene, giudeo prima, ora anche greco (Rm.
2, 10)», cioè al Gentile in secondo momento. Questo, dunque,
è il popolo che è posto in testa e che quasi fugge con Gesù.
In coda vi è il popolo riunito fra le genti, il quale giunge ina­
spettatamente - chi infatti sperava nella salvezza delle gen­
ti? - e che con più violenza abbatte gli avversari prenden-

397
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

num conclusam sternit et vincit. [...]

3. Post omnia autem etiam rex Gai in tigno gemino di


tur esse suspensus. Hoc in loco mysterium tegitur quam-
plurimos latens, sed orantibus vobis temptabimus haec non
nostris opinionibus, sed divinae Scripturae testimoniis ape­
rire. In superioribus diximus regem Gai diabolo posse con­
ferri; hic quomodo in ligno gemino crucifixus sit, operae pre­
tium est noscere. Crux Domini nostri Iesu Christi gemina
fuit. Mirus tibi sermo fortasse et novus videtur quod dico:
crux gemina fuit, hoc est gemina ratione constat et duplici;
quia visibiliter quidem filius Dei in came crucifixus est, in­
visibiliter vero in ea cruce diabolus cum principatibus suis
et potestatibus affixus est cruci. Non tibi hoc videbitur ve­
rum, si tibi horum testem produxero Apostolum Paulum?
Audi ergo, de his quid ipse pronuntiat: Quod erat inquit con­
trarium nobis, tulit illud de medio, affigens cruci suae, exuens
principatus et potestates traduxit libere, triumphans eas in
ligno crucis, licet in aliis exemplaribus habeatur: triumphans
eas in semet ipso, sed apud Graecos habetur in ligno.

Ergo duplex ratio Dominicae crucis: una illa, qua dicit


Apostolus Petrus quod Christus crucifixus nobis reliquit exem­
plum, et haec secunda, qua crux illa trophaeum de diabo­
lo fuit, in quo et crucifixus est et triumphatus. Ideo denique
et Apostolus Paulus dicebat: Mihi autem absit gloriari nisi
in cruce Domini mei Iesu Christi, per quem mihi mundus cru­
cifixus est et ego mundo. Vides quia et hic Apostolus dupli­
cem crucis prodidit rationem. Duo enim sibi contraria di­
cit esse crucifixa, se sanctum et peccatorem mundum, ad il­
lam formam sine dubio, quam superius diximus, Christi et
diaboli. Nos enim mundo crucifigimur tunc, cum veniens
princeps huius mundi in nobis non invenit quicquam; et no-

398
ORIGENE

doli alle spalle; in tal modo, i due popoli, dopo aver accer­
chiato la schiera dei demoni, li atterrano e li vincono. [...]
3. In seguito è anche scritto che il re di GaiJu appeso
un legno doppio (los. 8, 29). In queste parole si nasconde
un mistero che sfugge alla maggior parte, ma con le vostre
preghiere tenteremo di svelarlo ricorrendo non alle nostre
opinioni, ma alle testimonianze della Scrittura. Abbiamo
detto prima che il re di Gai può essere paragonato al dia­
volo; vale ora la pena di indagare come sia stato crocifìsso
sul legno doppio. La croce del nostro Signore Gesù Cristo
fu doppia. Le mie parole ti sembreranno sorprendenti e nuo­
ve: la croce fu doppia, cioè, essa ha un doppio significato: il
Figlio di Dio è stato crocifìsso nella carne in modo visibile,
mentre in modo invisibile il diavolo è stato inchiodato alla
croce con i suoi principati e le sue potenze (CoL 2, 14). Questo
non ti sembrerà vero se ti porterò la testimonianza dell’Apo-
stolo Paolo? Ascolta dunque ciò che egli stesso dice: «Quello
che ci era contrario, lo ha tolto di mezzo inchiodandolo al­
la sua croce, egli ha spogliato i principati e le potenze e ne
ha fatto spettacolo, trionfando su di loro sul legno della cro­
ce» (in altri esemplari si trova: trionfando su di loro in se
stesso, ma in greco si trova nel legno).
La croce del Signore ha dunque un doppio significato:
uno è quello di cui ci parla l’Apostolo Pietro: il Cristo croci­
fisso ci ha lasciato un esempio (IPt. 2, 21); l'altro è dire che
quella croce fu il trofeo della vittoria di Cristo sul diavolo,
trofeo sul quale Ju crocifìsso e trionfò64. Per questo dunque
anche l’Apostolo diceva: «Per me non ci sia altro vanto che
nella croce del Signore mio Gesù Cristo, per mezzo del qua­
le il mondo è crocifìsso per me ed io per il mondo» (Gal. 6,
14). Vedi che anche qui l’Apostolo ha mostrato il doppio si­
gnificato della croce. Dice che sono stati crocifìssi due op­
posti: lui stesso che era santo e il mondo peccatore, senza
dubbio, secondo quell’interpretazione di Cristo e del diavo-

399
IL DIAVOLO E I SUOI ANGEU - SECOLI I-III

bis mundus crucifigitur, cum peccati concupiscentias non


recipimus.

4. Sed si qui forte est attentior auditorum, potest dicer


forma quidem rerum gestarum videtur esse conveniens, sed
adhuc illud me movet quod diabolus et exercitus suus,
quantum ad historiae figuram ostenditur, interemptus est;
et quomodo videmus adhuc et diabolum et contrarias pote­
states in tantum valere adversum servos Dei, ut etiam Apo­
stolus Petrus cum ingenti cautela praemoneat et dicat ob­
servandum esse quia: adversarius noster diabolus sicut leo
rugiens circuit, quaerens quem transvoret? Videamus ergo,
si et in hoc dignum aliquid sancti Spiritus eloquiis possu­
mus invenire.

Adventus Christi unus quidem in humilitate completus


est, alius vero speratur in gloria. [...] Propter quod intelligi-
mus quampluiima primo hoc adventu eius adumbrari, quo­
rum adimpletio atque perfectio in secundo consummetur ad­
ventu. Et Apostolus Paulus dicit quia: resuscitavit nos cum
eo, simulque sedere fecit in coelestibus. Et utique nondum
videmus credentes aut resuscitatos esse iam, aut in coele­
stibus consedisse, sed adumbrata sunt quidem haec nunc
per fidem, quia mente et spe a terrenis et mortuis operibus
elevamur et cor nostrum erigimus ad coelestia et aetema,
implebitur tamen hoc in secundo eius adventu, ut ea, quae
nunc fide et spe praesumpsimus, tunc etiam rerum effectu
corporaliter teneamus.

Ita ergo et de diabolo intelligendum est quod victus est


quidem et crucifixus est, sed his, qui cum Christo crucifixi
sunt, omnibus autem credentibus et universis pariter po-

400
ORIGENE

lo, di cui ho detto prima. Infatti noi siamo crocifissi per il


mondo e quando il principe di questo mondo viene, non trova
nulla in noi (Io. 14, 30) e il mondo è crocifisso per noi, quan­
do non accogliamo le passioni peccaminose.
4. Ma un ascoltatore più riflessivo potrebbe dire: ques
interpretazione dei fatti sembra appropriata, ma mi turba
ancora una questione: se il diavolo ed il suo esercito, se­
condo la spiegazione tipologica della storia, sono stati di­
strutti, come si spiega allora che sia il diavolo, sia le po­
tenze avverse sono ancora così forti contro i servi di Dio, a
tal punto che anche l’Apostolo Pietro ci mette in guardia
con grande cautela e ci dice di vigilare perché it diavolo, no­
stro avversario, va in giro come un leone ruggente cercando
qualcuno da divorare (I Pt. 5, 8)? Vediamo dunque se anche
su questo possiamo trovare qualche cosa degna delle pa­
role dello Spirito Santo.
La prima venuta di Cristo si è compiuta neU’umiltà, ma
ne attendiamo una seconda nella gloria. [...] Pertanto in­
tendiamo che da questa sua prima venuta sono adombra­
te molte cose il cui compimento e perfezione saranno portati
a fine nella seconda venuta. L’Apostolo dice che ci ha risu­
scitato con lui e ci ha fatto sedere nei cieli (Eph 2, 6). Ma noi
non vediamo ancora che i credenti sono stati risuscitati e
fatti sedere nei cieli; tuttavia attraverso la fede possediamo
l’ombra di questi beni, perché siamo innalzati con il pen­
siero e la speranza dalle realtà terrene e mortali e ci rivol­
giamo con tutto il cuore alle realtà celesti ed eterne. Ma que­
sto si compirà alla sua seconda venuta: le realtà di cui ora
abbiamo un presentimento nella fede e nella speranza, le
possederemo in quel momento anche concretamente nella
loro realtà effettiva.
Così dunque dobbiamo intendere per quanto riguarda il
diavolo; egli è stato vinto e crocifìsso, ma per coloro che so­
no crocifìssi con Cristo, cioè tutti i credenti e tutti i popoli.

401
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

pulis tunc erit crucifixus, cum complebitur illud, quod di­


cit Apostolus, quia: sicut in Adam omnes moriuntur, ita et
in Christo omnes vivificabuntur. Est ergo in hoc etiam re­
surrectionis futurae mysterium. Nam et tunc dividetur po­
pulus in duas partes, erunt et tunc quidam primi et alii po­
stremi, qui cum ad Iesum in unum conspiraverint, iam tunc
ultra omnino non erit diabolus, quia iam non erit mors.

XV, 5-6: pp. 389, 8 - 391, 8

5. [...] Hoc ergo modo omnes cepisse in proelio dicitur


omnes peremisse, quia per Dominum factum est, ut invale­
sceret cor eorum et occurrerent in proelium contra Istrahel,
ut exterminarentur. Dum enim non veniunt inimicae virtu­
tes, quae peccata operantur in nobis, nec provocant nos ad
peccandum nec lacessunt ad dimicandum, interfici non
possunt nec exterminari. Ideo ergo Deus dicitur permitte­
re, immo et incitare propemodum adversarias virtutes exi­
re adversum nos in proelium, ut et nos victoriam capiamus
et illae interitum consequantur. Unde mihi videtur esse in­
finitus quidam numerus contrariarum virtutum pro eo quod
per singulos paene homines sunt spiritus aliqui, diversa in
his peccatorum genera molientes. Verbi causa, est aliqui
fornicationis spiritus, est et irae; spiritus alius est avari­
tiae, alius vero superbiae. Et si eveniat esse aliquem homi­
nem, qui his omnibus malis aut etiam pluribus agitetur,
omnes hos vel etiam plures in se habere inimicos putan­
dus est spiritus. Unde et per singulos plures esse credendi
sunt, quia non singula singuli homines habent vitia vel pec­
cata committunt, sed plura ab unoquoque videntur admit­
ti. Et iterum non est putandum quod unus fornicationis
spiritus seducat eum, qui, verbi gratia, in Britannis forni­
catur, et illum, qui in India vel in aliis locis, neque unum

402
ORIGENE

sarà crocifisso allorquando si compiranno le parole


dell’Apostolo: Come siamo morti tutti in Adamo, cosi saremo
anche tutti vivificati in Cristo (I Cor. 15, 22). In esse è conte­
nuto il mistero della resurrezione futura. Infatti, anche in
quel momento il popolo verrà diviso in due parti e alcuni sa­
ranno primi ed altri ultimi e quando si accorderanno insie­
me per formare un solo popolo in Gesù, allora non vi sarà
più il diavolo, perché non vi sarà più la morte (Ap. 21, 4)65.

5. [...] Così dunque, (Giosuè) combattendo si impadronì


tutti e uccise tutti, perché il Signore fece sì che il loro cuore
(se. dei re nemici di Israele) si ingagliardisse e attaccasse­
ro battaglia contro Israele, per essere sterminati (Ios. 11, 20).
Infatti se le potenze nemiche che suscitano in noi i peccati,
non ci istigano a peccare e non ci incitano alla lotta, non
possono essere né uccise, né sterminate. In tal senso, quin­
di, si dice che Dio permette, anzi, quasi incita le potenze
nemiche a combatterci, affinché noi otteniamo la vittoria ed
esse la morte. Di conseguenza credo che vi sia un numero
infinito di potenze nemiche perché quasi tutti gli uomini
hanno qualche spirito che suscita in loro i diversi tipi di
peccati66. Ad esempio, vi sono spiriti della fornicazione e
dell’ira; uno dell’avarizia e un altro della superbia. E se suc­
cede che un uomo sia agitato da tutte queste passioni o da
altre ancora, bisogna pensare che questi possiede dentro
di sé tutti questi spiriti ostili ed anche di più. Di conse­
guenza è necessario credere che siano moltissimi per ogni
uomo, perché nessuno ha un solo vizio o commette un so­
lo peccato, ma ognuno ne accoglie moltissimi67. E parimenti
non bisogna ritenere che un unico spirito della fornicazio­
ne seduca un uomo che commette il peccato, ad esempio, in
Britannia e un altro che lo commette in India o altrove, né

403
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

esse irae spiritum, qui diversis in locis diversos homines


agitet; sed puto magis principem quidem fornicationis spi­
ritum unum esse, innumeros vero esse, qui in hoc ei offi­
cio pareant et per singulos quosque homines diversi spiri­
tus sub eo principe militantes ad huiuscemodi eos pecca­
ta sollicitent. Similiter et iracundiae spiritum principem
unum esse arbitror, innumeros vero esse sub ipso agentes,
qui per singulos quosque homines huiusce vitii peccata suc­
cendant. Similiter et avaritiae unum esse principem, sic et
superbiae et ceterorum malorum. Et ideo non unus princi­
patus dicitur in contrariis virtutibus ab Apostolo, sed plu-
res, adversum quos pugnam sibi esse et nobis omnibus scri­
bit. Esse tamen reor horum omnium principem, velut emi-
nentiorem quendam in nequitia et in scelere celsiorem, qui
totum mundum, quem isti ad peccata singuli quique per
peccatorum species pro parte sollicitant, solus velut om­
nium principum dux et totius nefandae militiae magister
exagitet; cuius figuram, cum Iabin discuteremus, pro par­
vo intelligentiae nostrae captu in superioribus patefecimus.

6. Puto sane quia sancti quique repugnantes adversu


istos incentores peccatorum spiritus et vincentes eos atque
eorum unumquemque superantes imminuant exercitum
daemonum et velut quam plurimos eorum interimant. Verbi
causa ut, si qui caste pudiceque vivendo fornicationis spi­
ritum superaverit, non ultra fas sit illum spiritum, qui ab
illo sancto victus est, impugnare iterum alium hominem,
sed sicut illi spiritus, qui rogabant Iesum, ne in abyssum
mitterentur, quod tunc interim Dominus pro praesenti di­
spensatione concessit, ita consequens videtur quod singu­
li quique nequam spiritus, cum vincuntur a sanctis, vel in
abyssum vel in exteriores tenebras vel quisque ille locus iis
dignus est, abducantur a iusto iudice Christo agonis huius

404
ORIGENE

esiste un unico spirito dell’ira che sconvolge i diversi uo­


mini nei diversi luoghi; ritengo piuttosto che esista un solo
spirito, principe della fornicazione, ma che siano innume­
revoli gli spiriti a lui sottoposti per tale ufficio, i quali, agli
ordini di tale principe, eccitano i singoli uomini a commet­
tere peccati dello stesso genere. Allo stesso modo penso che
esista un solo principe spirito dell’ ira, ma sono innumere­
voli gli spiriti che agiscono ai suoi ordini istigando nei sin­
goli uomini i peccati derivanti da tale vizio. Analogamente
vi è un unico principe dell’avarizia, lo stesso per la superbia
e per i restanti peccati. Infatti l’ Apostolo dice che fra le po­
tenze avverse non vi è un solo principato, ma moltissimi e
che è necessario lottare contro tutti costoro (Eph. 6, 12), lui
e noi. Ritengo che vi sia un principe di tutti costoro che li
supera nella malvagità e nel delitto: egli, da solo, quasi co­
me capo di tutti i principi e guida dell’intero esercito fune­
sto, sconvolge il mondo intero, mentre i singoli spiriti, ri­
partiti fra i diversi tipi di peccato, lo agitano per la parte
che loro compete. Quando in precedenza abbiamo indagato
su Iabin secondo la nostra modesta capacità di comprende­
re, abbiamo mostrato che era figura di quel principe.
6. Sono certo che quando i santi combattono vittorios
mente contro questi spiriti che istigano i peccati e trionfa­
no su ciascuno di loro, indeboliscono l’esercito dei demoni,
quasi come se ne uccidessero moltissimi. Ad esempio, se
uno ha vinto lo spirito di fornicazione vivendo castamente e
pudicamente, lo spirito, vinto da quel santo, non può tor­
nare ad assalire un altro uomo68. Come è avvenuto per que­
gli spiriti che chiedevano a Gesù di non mandarli nell'abis­
so (Le. 8, 31) - cosa che allora il Signore ha momentanea­
mente concesso in conformità all’economia di questo seco­
lo -, sembra logico che anche i singoli spiriti malvagi vinti dai
santi siano gettati nell'abisso o nelle tenebre esterne (Mt. 8,
12) o in qualunque luogo degno di loro da Cristo69 che, co-

405
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

vitae mortalium praeside; et inde esse quod plurimo dae­


monum numero iam devicto ad credulitatem gentes venire
relaxantur; qui utique nullatenus sinerentur, si integrae
eorum, sicut prius fuerant, subsisterent legiones.

O r ig e n is H o m i l ia e i n E z e c h ie l e m
XIII, 1-2; ed. Baehrens, pp. 440, 1 - 448, IO70

1. Praecipitur nobis ab episcopis discutere sermonem prin­


cipis Tyri, ut laudes eius culpasque dicamus, nec non ius-
sum est de Pharaone rege Aegypti aliqua retractemus.

Plangitur itaque princeps Tyri, nec putandum est hunc


hominem esse. In medio quippe Cherubin nullus hominum
est creatus et in paradiso Dei, si simpliciter litteram sequi­
mur, hominum nullus est enutritus. Et cum in paradiso de­
liciarum, sicuti diximus, nemo fuerit, nunc dicitur prince­
ps Tyri in paradiso deliciarum natus atque nutritus. Quis
iste est princeps Tyri? Veniamus ad Danielem et occasio­
nem intelligentiae reperientes dicamus non esse principes
corporeos de quibus nunc quaeritur, post Danielem ab
Apostolo petamus exemplum, deinde rursum prophetarum
testimonia vocemus. His omnibus etiam ille copulandus est
locus, qui a Moyse in Deuteronomio non tacetur.

Age, nunc replicemus exempla incipientes a Daniele.


Princeps ait vester Michael, ibique rursum, princeps Istrahel,
et in consequenti Michael adiuvabat principem regni gen­
tium. Ad haec addat Apostolus: Gloria autem et honor et pax
omni operanti bonum, Iudaeo primum et Graeco. Et adiuva-
re principem Istrahelitarum principem regni Graecorum for-

406
ORIGENE

me un giudice giusto, presiede a queste battaglie della vita


umana. E dal fatto che un grandissimo numero di demoni
sia stato già vinto, deriva anche che le nazioni sono lascia­
te libere di arrivare alla fede; ma certo essi non l’avrebbero
permesso in nessun modo se le loro schiere fossero rima­
ste intatte come prima.

O m e u e s u E z e c h ie l e

1. Siamo stati esortati dai vescovi71 ad esaminare il discorso


sul principe di Tiro per trattarne le lodi e le colpe e ci è sta­
to ordinato di tornare su qualche aspetto a proposito di
Faraone, re d’Egitto.
Il principe di Tiro è compianto [Ez. 28, 12), ma non do
biamo pensare che sia un uomo. Nessun uomo infatti è sta­
to creato in mezzo ai Cherubini, né è stato allevato, se se­
guiamo il semplice senso letterale72, nel paradiso di Dio. Ma
benché, come abbiamo detto, nessuno sia stato nel paradi­
so delle delìzie, qui si dice che il principe di Tiro nacque e fii
allevato nel paradiso delle delizie73. Chi è questo principe
di Tiro? Veniamo a Daniele che ci offre l’opportunità di ca­
pire che i prìncipi su cui ora indaghiamo non sono prìnci­
pi corporei; dopo Daniele, cerchiamo un esempio presso
l’Apostolo, infine invochiamo ancora la testimonianza dei
profeti. A tali testimonianze bisognerà poi aggiungere le pa­
role di Mosè nel Deuteronomio.
Avanti, consideriamo ora gli esempi cominciando da
Daniele. Egli dice: Il principe vostro Michele (Dn. 10, 21);
inoltre, nello stesso passo, ripete: il principe di Israele, e in
seguito: Michele aiutava il principe del regno (Dn. 10, 13)
delle nazioni. A queste parole l'Apostolo aggiunge: «Gloria,
onore e pace a chiunque compie il bene, in primo luogo

407
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

tasse iam factum est; in adventu quippe Domini mei Iesu


Christi princeps Istrahel adiuvit principem regni Graecorum,
ut gentes consequerentur salutem et illi credendo salva­
rentur. Atque ita in hunc modum dicitur quidam princeps
Persarum, sicut dictus est Michael princeps Istrahelitarum,
et alius Graecorum. Non sunt ergo hi homines, nec secun­
dum locorum vocabula in quibus imperant nominantur.

Unde et Apostolus quasi non de hominibus disputans


ait: Sapientiam enim loquimur inter perfectos, sapientiam ve­
ro non huius saeculi neque principum saeculi istius, qui de­
struuntur, sed loquimur Dei sapientiam in mysterio abscon­
sam quam praedestinavit Deus ante saecula in gloriam no­
stram, quam nullus principum saeculi istius cognovit; si enim
cognovissent, numquam Dominum gloriae crucifixissent.

Et quia principes istius saeculi crucifixerunt Salvatorem


et Dominum, prophetia testis est dicens: Adstiterunt reges
terrae et principes convenerunt in unum adversus Dominum,
et adversus Christum eius. Unde et alibi in Psalmis scribitur:
Ego d ixi dii estis et filii Excelsi omnes; vos autem ut homi­
nes moriemini, et tamquam unus de principibus cadetis. Et est
ibi sermo de nullo penitus principe corporali. Si igitur est
quidam princeps regni Persarum, si est princeps Istrahelita­
rum Michael, consequenter et Tyri princeps est, et de his
nunc principibus propheticus sermo loquitur.

Quoniam autem et de Moyse testimonium polliciti su­


mus, ausculta quod sequitur: Quando dividebat Altissimus
gentes, cum disseminavitfilios Adam, statuitfines gentium se­
cundum numerum angelorum Dei — sive, ut melius habet,
secundum numerum filiorum Istrahel — et facta est pars

408
ORIGENE

Giudeo, poi Greco» (R m 2, 10). Forse è già accaduto che il


principe degli Israeliti abbia aiutato il principe del regno dei
Greci: senza dubbio, in occasione della venuta del Signore
nostro Gesù Cristo il principe di Israele aiutò il principe dei
Greci per consentire alle nazioni di ottenere la salvezza e di
essere salvate credendo in lui74. Pertanto uno è detto prin­
cipe dei Persiani nello stesso modo in cui Michele è detto
principe degli Israeliti e un altro dei Greci. Costoro, dun­
que, non sono uomini, né sono nominati secondo il nome
dei luoghi su cui comandano75.
Anche l’Apostolo, come se non parlasse di uomini, dice:
«Infatti parliamo della sapienza fra i perfetti, ma non la sa­
pienza di questo mondo, né dei principi di questo mondo,
ma parliamo della sapienza di Dio nascosta nel mistero che
Dio ci ha predestinato per la nostra gloria prima dei secoli
e che nessuno dei prìncipi di questo mondo conobbe; se
l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifìsso il Signore
della gloria» (/ Cor. 2, 6-7).
Del fatto che i prìncipi di questo mondo crocifìssero il
Salvatore e Signore, ne sono testimoni le parole del profe­
ta: «I regni della terra si levarono ed i principi si allearono
contro il Signore e contro il suo Cristo» (Ps. 2, 2). Anche al­
trove è scritto nei Salmi: «Io dissi: siete dèi e tutti figli
dell’Eccelso; morirete tuttavia come uomini e cadrete come
uno dei prìncipi» (Ps. 81, 6-7). E là il discorso non riguar­
da assolutamente alcun principe corporeo. Se dunque c’è
un principe del regno dei Persiani, se c’è Michele, principe
degli Israeliti, di conseguenza c’è tinche il principe di Tiro
ed è su questi prìncipi che vertono ora le parole profetiche.
Poiché abbiamo promesso di portare la testimonianza di
Mosè, ascolta quanto segue: «Quando l’Altissimo divideva
le nazioni, quando disperse i figli di Adamo, stabilì i confi­
ni dei territori delle genti secondo il numero degli angeli -
o meglio: secondo il numero dei figli di Israele76 - e la par-

409
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

Domini populus eius Iacob. Alii principi facta est pars Tyrus,
alii Babylon, aliis aliae nationes, atque ita in hunc modum
principes possederunt omnes fines gentium. Si quis autem
putat legens in Scripturis quasi de hominibus dictum, in-
telligat altius spiritalis et a nullo diiudicatus. Dignoscuntur
enim quaedam de Nabuchodonosor rege Assyriorum, quae
non conveniunt personae eius. Dixit enim: Fortitudine Ja­
ciam, et sapientia intellectus auferamflnes gentium, et com­
movebo civitates inhabitatas, et orbem terrarum omnem com­
prehendam et Adscendam super sidera caeli et nubes et re­
liqua, et Ero similis Altissimo. Haec Nabuchodonosor.

Sic et princeps Tyri et Pharao. Neque enim in tantum


agitatus est furiis verus et corporeus Pharao, ut diceret:
Mea sunt flumina, et ego feci ea. Hoc autem ante lectum
est in prophetia quae est adversum Pharao; neque um-
quam principem illum, id est corporeum Pharao, draco­
nem nuncupasset, dicens: Ecce, ego super Pharaonem dra­
conem qui sedet in medio fluminum Aegypti, qui dicit: mea
sunt flumina, et ego feci ea. Verum hoc in loco proprio re­
servetur quod nunc idcirco adsumpsimus, ut per notio­
nem Scripturarum manifestius fieret id quod videbatur oc­
cultum. Adversum hos principes est nobis pugna. Et bea­
ti Apostoli qui missi fuerant ad praedicandum, quando ab
his qui fines gentium possederant, homines abducebant,
patiebantur insidias. Verbi gratia dictum sit: ingressi sunt
Apostoli Tyrum persecutus est eos princeps TyrU adscen-
derunt Antiochiam impugnavit eos princeps regni Syriae;
iste erat qui bellabat adversum eos, non omnes qui puta­
bantur, ut ludas proditor.

410
OFUGENE

te del Signore divenne il suo popolo Giacobbe» (Dt. 32,8-9).


Ad un altro principe fu assegnata come parte Tiro, ad un
altro Babilonia, agli altri le altre nazioni e così in tal modo
i prìncipi possedettero tutti i territori delle genti. Se, leg­
gendo le Scritture, qualcuno ritiene, invece, che le parole
si riferiscano ad un uomo, che lo spirituale, che non è giu­
dicato da nessuno (I Cor. 2, 15) comprenda in modo più
profondo. In effetti, del re degli Assiri, Nabuccodonosor, si
conoscono aspetti che non si addicono alla sua persona,
poiché disse: «Agirò con la forza e con la sapienza del mio
intelletto travolgerò i confini delle genti, distruggerò le città
abitate, avrò in pugno tutta la terra» (Is. 10, 13-14): inol­
tre: «Salirò sopra le stelle e nubi del cielo» e il seguito; infi­
ne: «Sarò simile all’Altissimo». Questo per Nabuccodonosor.
Ma è così anche per il principe di Tiro e il Faraone. Infatti
il vero Faraone corporeo non può essere stato così pazzo da
dire: «I fiumi sono miei, sono io che li ho creati» (Ez. 29, 3).
Tuttavia questo è stato letto prima nella profezia pronun­
ciata contro Faraone ed essa non avrebbe mai chiamato
quel principe, cioè il Faraone corporeo, dragone77, dicen­
do: «Eccomi sopra il dragone Faraone che siede in mezzo ai
fiumi di Egitto e che dice: I fiumi sono miei, sono io che li ho
creati». Ma sia riservato al momento opportuno ciò di cui ci
siamo appena appropriati affinché, attraverso la conoscen­
za delle Scritture, divenga più chiaro quanto prima appa­
riva nascosto. Noi dobbiamo combattere contro questi prìn­
cipi. Anche i beati Apostoli, inviati a predicare, quando sot­
traevano uomini a coloro che possedevano i territori delle
genti, erano vittime di insidie. Ad esempio, è scritto: gli
Apostoli entrarono in Tiro (Act. 21, 3) e il principe di Tiro li
perseguitò; salirono ad Antiochia (Act. 11, 19) ed il princi­
pe del regno di Siria mosse loro guerra; a combattere con­
tro di loro non erano tutti quelli che si credeva, ma costui,
come nel caso del traditore Giuda (Le. 6, 16).

411
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-II1

Quomodo enim ille non principaliter prodidisse putandus


est Salvatorem, sic etiam Apostolis omnibusque qui perse­
cutionem passi sunt, alius fuit princeps persecutionis.
Scriptum est quippe de Iuda: Et post buccellam introivit in
illum Satanas. Non est enim nobis pugna adversum carnem
et sanguinem, licet videantur ex came et sanguine qui nos
persequuntur. Non eos oderimus, quin potius diligamus,
licet inimici nobis velint permanere, misereamur eorum,
daemonium habent, patiuntur insaniam. Non tam hi sunt
adversum nos, qui nos persequuntur, quam illi qui corda
eorum repleverunt. Verum Domini deprecemur auxilium,
ut infirmos habeant conatus tanti adversarii contra huma­
nam animam dimicantes, et dicamus: Nisi quia Dominus
erat in nobis, in eo cum exsurgerent homines in nos, forsitan
vivos deglutissent nos.

Igitur est quidam princeps Tyri et prophetia non de Hiram


nos docet - hoc quippe nomen in tertio Regnorum libro
scriptum est -, non de alio principe Tyri neque de quoquam
homine non nos humana docent eloquia, divina sed quae­
dam ineffabilia et sacrata sub personis hominum. Pharao
homo est; aliud quiddam erudior intelligere Pharaonem. Et
Nabal Carmeli homo est et Hiram homo, sed aliud sub eo­
rum doceor effigie. Quis est tantus et talis qui a corporali­
bus conscendat, qui a visibilibus invisibilia contempletur
et possit unumquodque horum secundum Dei intelligere
voluntatem?

2. Quis est ergo princeps iste, discamus, ut cognosce


tes lamentationem, etiam quod nunc super ea dicitur, evi­
temus. Plangitur princeps Tyri. Quam bonus Deus, qui etiam
eos qui se negaverunt, deflet! Et hoc venit ex amoris affec­
tu. Nemo quippe plangit quem odit; et qui plangitur, plan-

412
ORIGENE

Infatti, come non bisogna credere che sia stato soprat­


tutto lui a tradire Gesù, così anche riguardo a tutti gli
Apostoli che subirono persecuzioni, bisogna pensare che fu
un altro il prìncipe della persecuzione. Su Giuda è scritto:
«E dopo il boccone, entrò in lui Satana» (io. 13, 27)78. Infatti
la nostra battaglia non è contro il sangue e la carne (Eph. 6,
12), anche se coloro che ci perseguitano paiono di carne e
sangue. Non dobbiamo odiarli, anzi amiamoli piuttosto; an­
che se vogliono restare nostri nemici, abbiamo pietà di loro:
hanno un demonio, sono vittime della pazzia. Non sono tan­
to costoro a scatenare la persecuzione contro di noi, quan­
to quelli che hanno invaso il loro cuore. Ma, tuttavia, invo­
chiamo l’aiuto del Signore, affinché gli sforzi di così forti av­
versari, nemici dell’anima umana, rimangano impotenti e
diciamo: «Se il Signore non fosse stato con noi, nel momento
in cui gli uomini si levarono contro di noi, ci avrebbero in­
ghiottiti vivi» (Ps. 123, 1-3).
Pertanto il prìncipe di Tiro e la profezia non ci istruisce su
Chiram - questo nome tuttavia appare nel terzo libro dei Re
(/ Re. 7, 13) - né su un altro principe di Tiro, né su qualsi­
voglia uomo; non siamo ammaestrati da parole umane, ma
divine che esprimono, servendosi di figure umane, realtà inef­
fabili e sacre. Faraone è un uomo; ma vengo istruito a com­
prendere che Faraone è qualcosaltro. Anche Nabal di Carmelo
(I Sam. 25, 3) è un uomo e lo è Chiram, ma attraverso la lo­
ro figura mi viene insegnato altro79. Chi possiede tante e ta­
li qualità da elevarsi dalle cose corporee, da allontanarsi dal­
le realtà visibili per contemplare quelle invisibili e poter com­
prendere ciascuna di esse secondo la volontà di Dio?
2. Impariamo dunque chi è questo principe, affinché, c
noscendo il lamento, possiamo evitare anche quanto ora è
detto sull’argomento, il principe di Tiro è compianto (Ez. 28,
11). Quanto è buono Dio che piange anche coloro che lo han­
no respinto! E questo nasce da un sentimento di amore.

413
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

gitur quidem ut mortuus, verum quasi adhuc quaeratur,


quasi vivis desiderio sit, diligitur. Et Hierusalem quando
plangitur, scriptum est: Et factum est postquam captus est
Istrahel, et desolata est Hierusalem, sedit Hieremias flens
et lamentans lamentationem istam super Hierusalem et ait:
Quomodo sedet sola civitas quae abundabat populis? Facta
est ut vidua, quae multiplicata erat in nationibus, princeps
in regionibus facta est in tributum Plangitur et Nabuchodo-
nosor. Ubi sunt haereses? Ubi sunt qui aiunt istos in per­
ditionem creatos esse? Criminantur Creatorem, ut se cri­
minibus absolvant. Accipe lamentationem istam super re­
gem Babylonis, et dices: Quomodo cessavit qui repetebat,
quomodo quievit qui exigebat? In regem Babylonis ista di­
cuntur: Quomodo cecidit de caelo Lucifer, qui mane orieba­
tur? contritus est in terram. Et ille de caelo cecidit et iste si­
gnaculum similitudinis, corona decoris, in paradiso delicia­
rum nutritus.

Ecce, omnes de caelo cecidisse, non descendisse refe­


runtur; Dominus vero meus de caelo descendit et qui de­
scendit, ipse est Filius hominis. At non sic Satanas; non
enim descendit de caelo neque ei mali quicquam acciderat,
si descendisset. Audi Iesum dicentem: Videbam Satanam
quasifulgur de caelo cadentem non descendentem. Verum
non solus Salvator e caelo descendit; cotidie multitudo de­
scendit et adscendit super Filium hominis. Videbitis enim
caelum apertum et angelos Dei adscendentes et descenden­
tes super Filium hominis. Et tu exspecta adscensionem tuam.
Tantum a ruina consurge et audi: Exsurge Hierusalem a
ruina tua, spera quia sis adscensurus in caelum, et cave
ne tibi quoque dicatur: Numquid qui cadit non resurget? aut

414
ORIGENE

Nessuno certo piange colui che odia; colui che viene pian­
to, viene pianto come morto, nondimeno è ancora, in certo
modo, ricercato e amato, come se lo si desiderasse ancora
fra i vivi. E a proposito del lamento su Gerusalemme è scrit­
to: «Dopo che Israele fu condotto in schiavitù e Gerusalemme
fu resa deserta, avvenne che Geremia si mise a sedere e pian­
gendo pronunciò su Gerusalemme questo lamento e disse:
Come sta solitaria la città che un tempo era popolosa? È co­
me una vedova colei che si era moltiplicata fra le nazioni,
sovrana fra le province è sottoposta al tributo» (Lam. 1, 1).
Anche Nabuccodonosor è compianto. Dove sono gli eretici?
Dove sono quelli che sostengono che costoro sono stati crea­
ti per la perdizione? Accusano il Creatore per assolversi dai
propri delitti80. «Intona questo lamento sul re di Babilonia
dicendo: In che modo è finito l’oppressore? In che modo chi
riscuoteva tributi è ridotto al silenzio?» (Js. 14, 12). Contro
il re di Babilonia sono pronunciate queste parole: «Come ca­
de dal cielo Lucifero, che sorge con la luce del mattino? Egli
è stato gettato sulla terra» (Is. 14, 12). Costui è caduto dal
cielo ed anche questo sigillo di similitudine, corona d’onore,
allevato nel paradiso di delizie (Ez. 28, 12).
Ecco, è scritto che tutti sono caduti, non che sono disce­
si. Invece il mio Signore è disceso dal cielo e colui che è di­
sceso costui è il Figlio dell’Uomo (Io. 3, 13). Ma non è così per
Satana, egli infatti non discese dal cielo, né gli sarebbe suc­
cesso qualcosa di male se fosse disceso. Ascolta le parole di
Gesù: «Vedevo Satana che cadeva dal cielo come il fulmine»
(Le. 10, 18), non che scendeva. Invero non soltanto il
Salvatore discese dal cielo; ogni giorno una moltitudine sa­
le e discende sul Figlio dell’uomo. Infatti vedrete il cielo aper­
to e gli angeli di Dio che salgono e discendono sul Figlio dell'uo­
mo (Io. 1, 52). Attendi anche tu la tua ascensione. Soltanto,
rialzati dalla caduta e ascolta: Alzati, Gerusalemme dalle tue
rovine (Is. 51, 17), spera di salire al cielo e guarda che non si

415
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

aversus non convertetuf? Vae, qui convertuntur conversione


pessima, dicit Dominus. Et iste itaque de his unus est qui
ruerunt, et plangitur ab homine princeps, cum princeps
hominem flere debuerit. Homo est Ezechiel et filius homi­
nis; qui vero plangitur Nabuchodonosor est rex Babylonis.
Accipe et tu lamentationem tuam super regem Babylonis
et dices: Quomodo quievit, qui repetebat?, et reliqua.
Considera in quantam spem vocatus sis, o homo qui car­
ne circumdatus dicis: Quasi lac me emulsisti, coagulasti au­
tem me ad similitudinem casei, cute et carnibus me vestisti,
ossibus et nervis me contexisti Tu ergo qui de conditione
tua dicebas, ecce plangis, et ille qui came non est indutus,
a te plangitur; vocatus es enim in eam spem de qua ille ce­
cidit. Peccato Istrahel salus gentibus subintravit.

Audebo aliquid sacratius dicere: in locum angelorum qui


ruerunt, tu adscensurus es, et mysterium quod illis ali­
quando creditum est tibi credendum erit, de quo dicitur:
Quomodo cecidit Lucifer, qui mane oriebatuf? Tu vero lux
factus es mundi, tu pro illo factus es Lucifer; unus de stel­
lis erat Lucifer qui de caelo ruit, et tu, si tamen de semine
es Abraham, inter stellas caeli computaberis. Eduxit enim
Abrahamforas, et dixit ei Deus: Respice, sic erit semen tuum.
Hoc autem tunc erit, quando stellae cadent ut folia de cae­
lo et erit alia gloria solis, et alia gloria lunae, alia gloria stel­
larum; stella enim ab stella differt in claritate; sic et resur­
rectio mortuorum. Verum noli gloriari adversum istiusmodi
ramos, qui infidelitate ceciderunt et fracti sunt, tu, quia fide
stas, fide et adscendes. Et per hoc quod plangis principem
Tyri et ea cum lamentatione deploras quae superius inter­
posuimus, edocere, ne forte in his bonis repertus quae prin-

416
ORIGENE

dica anche di te: «Forse chi cade non si rialza? O, allonta­


nato, non può ritornare?» (Ier. 8, 4). Guai a coloro il cui ri­
torno (Ier. 8, 5) è completamente perverso, dice il Signore.
Costui, dunque, è uno di quelli che sono caduti e, benché
principe, è pianto da un uomo, mentre dovrebbe essere il
principe a piangere l’uomo. Ezechiele è un uomo e figlio di
uomo; tuttavia è Nabuccodonosor, re di Babilonia, ad esse­
re pianto. Intona anche tu il tuo lamento sul re di Babilonia
dicendo: «Come è finito colui che esigeva tributi?», e il resto
(Is. 14, 4). Considera a quale grande speranza sei chiama­
to, o uomo che, avviluppato dalla carne, dici: «Mi hai mun­
to come il latte, mi hai cagliato come formaggio, mi hai vestito
di pelle e di carne, mi hai munito di ossa e nervi» (Job 10,
10-11). Dunque, tu che parlavi della tua condizione, ecco
che piangi e l’oggetto del tuo pianto è colui che non è rive­
stito di carne; infatti sei chiamato a quella speranza da cui
egli è caduto. Attraverso il peccato di Israele è giunta la sal­
vezza alle genti (Rm. 11, 11).
Oserò accennare ad una verità più profonda: stai per sa­
lire al posto degli angeli caduti81 e il mistero che un tempo
è stato loro affidato dovrà essere aifidato a te, secondo le pa­
role: «Come è caduto Lucifero, figlio dell’aurora?» (Js. 14, 12).
Sì, tu sei diventato luce del mondo (Mt. 5, 14), sei diventato
Lucifercfi2 al posto suo; Lucifero che è caduto dal cielo era
una delle stelle e tu, se però provieni dal seme di Abramo,
sarai annoverato fra le stelle del cielo. Infatti Dio condusse
filari Abramo e gli disse: Guarda così sarà il tuo seme (Gn.
15, 5). Ma tutto questo avverrà quando le stelle cadranno
dal cielo come foglie [Mt. 24, 29) e vi sarà una diversa gloria
del sole e una diversa gloria della luna, una diversa gloria
delle stelle; infatti ogni stella ha una lucentezza diversa dall’al­
tra; e così sarà la resurrezione dei corpi (/ Cor. 15, 41-42). Ma
non ti vantare contro quei rami che per infedeltà sono cadu­
ti e sono stati tagliati (dr. Rm 11, 18); tu, poiché sei fermo nel-

417
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

ceps Tyri habuit, etiam tu incipias ruere, si paululum fue­


ris gloriatus, et non custodieris omni custodia cor tuum.

O r ig e n is H o m i u a e i n L u c a m
XXXV, 3-13; ed. Rauer, pp. 197, 12 - 204, 2484

3. Quaedam mihi sunt secretiora tangenda, ut intellega­


mus alium esse adversarium, alias tres personas, id est
principem, iudicem, exactorem Legimus - si tamen cui pla­
cet huiuscemodi scripturam recipere - iustitiae et iniquita­
tis angelos super Abrahae salute et interitu disceptantes,
dum utraeque turmae suo eum volunt coetui vindicare.
Quod si cui displicet, transeat ad volumen, quod titulo
Pastoris inscribitur, et inveniet cunctis hominibus duos
adesse angelos: malum, qui ad perversa exhortatur, et bo­
num, qui ad optima quaeque persuadeat. [...]

5. Videamus ergo primum, quis sit adversarius, cu


quo iter faciamus. Semper nobiscum est adversarius: infe­
lices nos atque miserabiles! Quotiescunque peccamus, ad­
versarius noster exsultat sciens, quoniam habet facultatem
apud principem saeculi huius, qui se miserat, exsultandi
et glorandi, eo quod adversarius, verbi gratia huius vel il­
lius, eum fecerit principi saeculi huius esse subiectum per
talia totque peccata, per hoc illudve delictum. Evenit au­
tem interdum, ut, si quis fuerit praeparatus armatura Dei et
ex omni parte se texerit, conetur quidem adversarius vul­
nus inferre, sed facultatem non habeat percutiendi. Semper
nobiscum adversarius graditur, nunquam nos deserit, quae-

418
ORIGENE

la fede, per la fede anche salirai. Dal fatto che piangi il prin­
cipe di Tiro e pronunci il lamento che abbiamo detto sopra,
impara che anche tu, se sei nella condizione di avere gli stes­
si beni del principe di Tiro, cominci a cadere, se ti vanterai un
poco e non custodirai il tuo cuore con ogni cura (Ρτου. 4, 23J83.

O m e l ie s u L u c a

3. Sono costretto a toccare dottrine più misteriose, per com­


prendere che 1’ avversario e i tre personaggi, cioè il prìnci­
pe, il giudice, l’esattore (Le. 12, 58), rappresentano realtà
diverse. Leggiamo - se tuttavia a qualcuno è accetto un tal
genere di scrittura - che gli angeli di giustizia e di iniquità
disputano sulla salvezza o sulla rovina di Àbramo perché
entrambe le schiere lo vogliono rivendicare alla loro parte85.
Chi non trova accettabile questo scritto, ricorra al libro che
reca il titolo di Pastore e vi troverà che ad ogni uomo sono
vicini due angeli: uno malvagio che lo esorta al male, l’al­
tro buono che lo persuade a compiere il bene86. [...]

5. Consideriamo dunque chi sia 1’ avversario con cui s


mo in cammino. L’avversario è sempre con noi: ah noi, sven­
turati ed infelici! Ogni volta che pecchiamo, il nostro avver­
sario esulta perché può esultare e gloriarsi davanti al prin­
cipe di questo mondo che l’ha inviato; infatti, l’avversario,
ad esempio, di questo o quell’uomo, è riuscito ad assogget­
tarlo al principe di questo mondo per mezzo di tali e tanti
peccati, per mezzo di questo e quel delitto. Ma talvolta av­
viene che se uno è munito dell’armatura di Dio (Eph. 6, 11)
ed è protetto da ogni parte, l’avversario tenterà di ferirlo, ma
non sarà in grado di colpirlo. L’avversario cammina sempre
con noi, non ci lascia mai, cerca l’occasione di tenderci insidie,

419
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOU I-III

rit occasionem insidiarum, si quomodo nos subvertere queat


et in principali cordis nostri malam subiciat cogitationem. [...]
6. Quando vadis ad principem. Quisnam iste princeps est?
Quando dividebat Altissimus gentes, quando disseminabatf i­
lios Adam, statuit terminos nationum secundum numerum an­
gelorum Dei, et facta est pars Domini populus eius Iacob, Ju­
niculus haereditatis eius IsraheL Igitur principibus, id est an­
gelis, ab exordio terra divisa est. Daniel quippe manifestius,
quos Moyses angelos nominarat, principes esse testatur di­
cens: princeps regni Persarum et princeps regni Graecorum et
Michael princeps vester, sunt itaque principes gentium. Et
unusquisque nostrum secum habet adversarium cohaeren­
tem, cuius opus est ducere nos ad principem et dicere: O
princeps, verbi gratia regni Persarum, iste, qui sub te erat,
tibi eum, ut fuerat, custodivi; nullus eum de reliquis princi­
pibus ad se potuit transducere, ne ille quidem, qui ad hoc se
venisse iactabat, ut de cunctis haereditatibus Persarum sive
Graecorum omniumque nationum raperet homines et hae-
reditati Dei faceret esse subiectos. (...]

7. Christus Dominus noster omnes principes vicit et ter­


minos eorum transiesns captivos populos ad se transtulit in
salutem. Et tu de parte alicuius principis eras; venit Iesus et
rapuit te de potestate perversa et Deo Patri obtulit. [...]
Quando, inquit, vadis cum eum adversario tuo. Signanter
ait: tuo. Neque enim omnes omnium sunt adversarii, sed
singuli singulos habent, qui ubique eos sequantur et sint
comites. Quando vadis cum adversario tuo ad principem.
Non cum articulo principem posuit, ne certum videretur
ostendere, sed sine articulo, ut e pluribus unum esse mon­
straret, quod apud Graecos magis intellegitur. [...J

420
ORICENE

per trovare il modo di abbatterci, insinuando nella parte es­


senziale87 del nostro cuore un pensiero malvagio. [...]
6. Quando vai da un principe: chi è mai questo principe?
«Quando l’Altissimo divideva i popoli, quando disperdeva i
figli di Adamo, stabilì i confini delle nazioni secondo il nu­
mero degli angeli di Dio; la parte del Signore fu il suo popo­
lo, Giacobbe e il lotto della sua eredità, Israele» (Dt. 32, 8-9).
Dunque, dall’inizio la terra venne divisa fra i prìncipi, cioè
gli angeli. In effetti, Daniele testimonia più chiaramente che
quelli che Mosè aveva chiamato angeli sono prìncipi, quan­
do dice: il principe del regno dei Persiani e il principe del regno
dei Greci e il vostro principe, Michele (Dtl 10, 20-21). Essi so­
no dunque prìncipi delle nazioni. Ad ognuno di noi è avvin­
to un avversario il cui compito è di condurci dal principe per
dire: «O principe - ad esempio del regno dei Persiani - ecco­
lo: ti era sottomesso ed io te l’ho custodito così come era;
nessuno degli altri prìncipi ha potuto trascinarlo a sé, nep­
pure quello che si vantava di essere venuto allo scopo di
strappare gli uomini dall’eredità dei Persiani, dei Greci e di
tutte le altre nazioni per renderli soggetti all’erediià di Dio. [...]

7. Il nostro Signore Cristo ha vinto tutti i prìncipi e, va­


licando i loro confini, ha portato in salvo presso di sé i po­
poli prigionieri. Anche tu appartenevi all’eredità di un prin­
cipe; è venuto Gesù e ti ha strappato dal potere del male e
ti ha offerto in dono a Dio Padre. [...]
La Scrittura dice: «Quando vai con il tuo avversario» e
sottolinea tuo. Infatti tutti non sono avversari di tutti, ma
ciascuno ne ha uno che lo segue ovunque come un com­
pagno. «Quando vai con il tuo avversario da un principe».
Non è scritto principe con l’articolo perché non si pensi ad
un personaggio determinato; è scritto senza articolo per mo­
strare che si tratta di uno fra tanti88, cosa che si capisce
meglio in greco89. [...]

421
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

8. Unusquisque enim nostrum non habet proprium prin­


cipem; sed si quis Aegyptius est, habet Aegypti principem,
qui Syrus, sub Syrorum principe est, et unusquisque sub
suae gentis est principe, si tamen hucusque processisse me
sufficit et non ab hac disputatione ad aliam transire maiorem,
ut ceteras quoque gentes esse commemorem. Unde dicitur;
Videte Israhel secundum camem. Prudenti coepisse dixisse
est; licet et hoc ipsum temerarium sit super tali re in popu­
lo coepisse sermonem. Qui te vult, inquit, ducere ad princi­
pem suum et ab alio principe transducere, quando vadis
cum adversario tuo ad principem in via, da operam, ut libe­
reris ab eo. Nisi omni studio laboraveris, ut libereris, dum
adhuc viam carpis, antequam ingrediaris ad principem, priu­
squam princeps tradat te iudici ab adversario praeparatum,
postea frustra conaberis. [...]

9. Da ergo operam, ut libereris ab adversario tuo sive a


principe, ad quem te trahit adversarius. Da operam ut ha­
beas sapientiam, iustitiam, fortitudinem, temperantiam, et
tunc complebitur: Ecce homo et opera eius antefaciem suam
Nisi dederis operam non poteris adversarii pactum infrin­
gere, cuius amicitia inimicitia est in Deum. [...]

12. Singuli exactores proprios habemus, omnis vero m


titudo pluribus traditur, secundum id, quod in Isaia scrip­
tum est: Populus meus, exactores vestri spoliant vos et, qui
potentes sunt, dominantur vestri - dominantur exactores, si
debuerimus aliquid. Si autem habuerimus fiduciam et fron­
te libera dixerimus: Servavi praeceptum iubens: reddite om­
nibus debita, cui tributum tributum cui timorem timorem
cui vectigal, vectigal, cui honorem honorem - si omnibus
universa reddidero, venio ad exactorem et intrepida mente
respondeo: Nihil tibi debeo.

422
ORIGENE

8. Infatti ciascuno di noi non ha un proprio principe; ma


un Egiziano è sottomesso al principe dell’ Egitto, un Siriano
al principe della Siria e ciascuno è sottomesso al principe
della sua gente; mi basta tuttavia essere arrivato fino a que­
sto punto, senza procedere oltre e menzionare anche tutte
le altre genti. Sta scritto anche: «Vedete Israele secondo la
carne» (/ Cor. 10, 18). Per il saggio l’aver cominciato a trat­
tare tale argomento è come averlo trattato; per il popolo è
forse pericoloso anche l'averlo iniziato90. «Quando vai con
il tuo avversario da un principe, mentre sei in cammino,
sforzati di liberarti da lui»: ti vuole portare dal suo princi­
pe, facendotene abbandonare un altro. Se non avrai fatto
ogni sforzo per liberarti da lui, mentre sei ancora in cammi-
no91, prima di arrivare dal principe e prima che questi ti
consegni, così predisposto dal tuo avversario, al g iu d ic i2,
in seguito sarà mutile ogni tuo tentativo. [...]
9. Sforzati, dunque, di liberarti dal tuo avversario o dal
principe verso cui l’avversario ti trascina. Sforzati di pos­
sedere la sapienza, la giustizia, la forza, la temperanza ed
allora si compiranno le parole: «Ecco l’uomo e le sue opere
sono davanti a lui» (Is. 62, 11). Se tu non ti sforzi non potrai
spezzare il patto dell’avversario, la cui amicizia è inimicizia
contro Dio (Io. 14, 6). [...]
12. Ciascuno di noi ha il suo esattore: una folla perta
to viene consegnata a un gran numero di esattori93, secon­
do quanto sta scritto in Isaia: «Mio popolo, i vostri esattori
vi saccheggiano e i potenti hanno il dominio su di voi» (/s.
3, 12); gli esattori dominano, se siamo loro debitori. Ma se
abbiamo fede e possiamo dire a fronte alta: «Ho osservato
il precetto che dice di rendere a ognuno il dovuto, a chi spet­
ta il tributo, il tributo; a chi il timore, il timore; a chi l'impo­
sta, l'imposta; a chi l’onore, l'onore (J?m. 13, 7)»; se ho reso a
tutti tutto il dovuto, posso andare dall’esattore e risponde­
re con coraggio: «Non ti devo nulla».

423
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

13. Venit exactor ad reposcendum - resisto ei; scio eni


quia, si nihil debuero, in me non habet potestatem. Quod si
debitor fuero, mittet me exactor meus in carcerem, illo ordi­
ne, qui praedictus est. Adversarius enim me ducit ad prin­
cipem, princeps ad iudicem, iudex tradet exactori, exactor
mittet in carcerem

O r ig e n is C o n t r a C e l s u m
VI, 42-43; ed. Koetschau, pp.110, 19-111, 7; 113, 12-2197

42. ' Εξής δε τούτοις άπό άλλης αρχής ό Κέλσος τοιαΰτά φησι
καΰ’ ημών Σφάλλονται δε άσεβεστατα άττα καί περί τήνδε την
μεγίστην άγνοιαν, ομοίως άπό ϋείων αινιγμάτων πεπλανημένην,
ποιοϋντες τφ ϋεώ εναντίον τινά, διάβολόν τε καί γλώτττ) ’Εβραία
Σατανάν όνομάζοντες τόν αύτόν. “Αλλως μέν ούν παντελώς ύνητά
ταϋτα καί ούδ ' δσια λέγειν, δπ δή ό μέγιστος ϋεός, βουλόμενός
τι άνϋρώπους ώφελησαι, τόν άντιπράσσοντα εχει καί άδυνατεΐ.
Ό τοΰ ϋεοΰ παΐς άρα ήττάται ύπό τοΰ διαβόλου, καί
κολαζόμενος ύπ ' αύτοΰ διδάσκει καί ημάς των ύπό τούτω
κολάσεων καταφρονεΐν, προαγορεύων ώς άρα ό Σατανάς καί
αύτός ομοίως φανείς έπιδείξεται μεγάλα εργα καί ϋαυμαστά,
σφετεριζόμενος τήν τοΰ ϋεοΰ δόξαν- οίς ού χρή <πλανηόη>ναι
βουληϋέντας άποτρέπεσϋαι πρός εκείνον, άλλα μόνω πιστεύειν
έαυτψ. ταϋτα μέν γε έστίν άντικρυς άνϋρώπου γόητος,
έργολαβοΰντος καί προφυλαττομένου τούς άντιδοξοΰντάς τε καί
άνταγείροντας.

[...] Καί διηγούμενος γε τά 'Ομηρικά έπη φησί λόγους είναι


τοΰ ϋεοΰ πρός τήν ύλην τούς λόγους τοΰ Διάς πρός τήν "Ηραν,
τούς δε πρός τήν ΰλην λόγους αίνίττεσάαι ώς άρα εξ άρχής αύτήν
πλημμελώς εχουσαν διαλαβών άναλογίαις πσί συνέδησε καί έκό-
σμησεν ό ϋεός, καί δτι τούς περί αύτήν δαίμονας, δσοι ύβρισταί,

424
ORIGENE

13. L’esattore viene a riscuotere, ma io gli resisto; so i


fatti che se non gli devo nulla, egli non ha potere su di me94.
Ma se gli sono debitore, il mio esattore mi manderà in carcere,
seguendo il procedimento che è stato detto prima. L’avversa­
rio mi conduce dal principe, il principe dal giudice, il giudice
mi consegnerà all’esattore95, l’esattore mi metterà in carcere?6.

C o ntro C elso

42. Dopo queste parole, così Celso parla contro di noi, pren­
dendo spunto da un altro argomento: «Essi commettono er­
rori sacrileghi anche per la loro enorme ignoranza che si­
milmente li fa deviare dagli enigmi divini98, quando si crea­
no un avversario di Dio dandogli il nome di diavolo e, se­
condo la lingua ebraica, di Satana99. Invece questo è un
pensiero del tutto mortale ed è blasfemo dire che il Dio su­
premo, mentre vuole fare del bene agli uomini, trova un av­
versario che lo rende impotente. Così il figlio di Dio è scon­
fìtto dal diavolo e, punito da lui, insegna anche a noi a di­
sprezzarne i castighi; egli ha predetto che Satana, appa­
rendo simile a lui, mostrerà grandi opere e prodigi ed usur­
perà la gloria di Dio100; (ha detto che) non dobbiamo, trat­
ti in inganno da essi, rivolgerci a Satana, ma che dobbia­
mo credere soltanto in lui. Invero queste sono sfacciata­
mente le pretese di un uomo e di un mago alla ricerca di
profitto che vuole premunirsi contro chi gli è rivale nelle
opinioni e nella questua».
[...] Celso commenta 1versi di Omero101 e dice: «Le parole
di Giove ad Era sono le parole di Dio alla materia102 e si­
gnificano che Dio ha unito ed ordinato la materia che in
principio era in preda al disordine, dividendola sulla base
di certe corrispondenze, e ha bandito quei demoni che si

425
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

τούτους άπορριπτεϊκολάζων αύτούς ττ\ δεϋρο όδώ. [...]

43. "Ορα ούν εί μή ό έγκαλών ήμϊν <ώς> σφαλλομενο


ασεβέστατα καί άποπεπλανημένοις ϋείων αινιγμάτων αυτός
σαφώς σφάλλεται, μή κατανοήσας οτι τά πολλφ ού μόνον
' Ηρακλείτου καί Φερεκύδου αρχαιότερα άλλα καί ' Ομήρου
Μωϋσέως γράμματα είσήγαγε τόν περί τοΰ πονηρού τούτου καί
έκπεσόντος τών ουρανίων λόγον. Ό γάρ οφις, παρ ’ δν ό παρά
τώ Φερεκύδη γέγονεν ’ Οφιονεύς, αίτιος γενόμενος τοΰ έκβληΰήναι
τοΰ θείου παραδείσου τόν άνθρωπον, τοιαΰτά τινα αίνίσσεται,
έπαγνελία ϋεότητος καί μειζόνων άπατήσας τό ύηλύτερον γένος·
ώ συνη κολουϋη κέναι λέγεται καί ό άνήρ.

VI, 55; ρ. 126, 10-31

[...] ' Ημείς δέ φαμεν οτι κακά μεν, τήν κακίαν καί τάς άπ’ αύτης
πράξεις, ό θεός ούκ έποίησε. Πώς γάρ οίόν τ ’ ήν το περί κρίσεως
κήρυγμα παρρησίαν εχειν, διδάσκον κολάζεσύαι μεν έπί ταΐς
κατά κακίαν πράξεσι κατ ’ άναλογίαν τών ήμαρτημένων τούς
φαύλους, μακαρίους δ’ είναι καί τεύξεσθαι τών άπό ϋεοΰ γερών
τούς κατ’ άρετήν βιώσαντας ή τάς κατ’ άρετήν πράξεις
ποιήσαντας, εί τα όντως κακά πεποιήκει ό θεός; Ευ οίδα δτι ρητά
τινα παραλήψονται της ραφής οί καί ταΰτα βουλόμενοι τολμάν
φάσκειν άπό ΰεοϋ γεγονέναι, μή δυνάμενοι εν ύφος άποδείξαι
της γραφής, αίτιωμένης μεν τούς άμαρτάνοντας άποδεχομένης
δε τούς εύ πράττοντας καί ούδέν ήττον κάκεΐνα λεγούσης, άτινα
περισπάν δοκεΐ <ούκ> όλίγα οντα τούς άμαιϊώς τά ύεια ράμματα
άναγινώσκοντας. Έκτίιϊεσιϊαι δε νΰν τάς περισπώσας λέξεις,
πολλάς τυγχανούσας, καί τάς έρμηνείας αύτών πολλής κατα­
σκευής δεομένας ούχ ήγησάμην είναι άρμόζον τη προκειμένη
συντάξει.

426
ORIGENE

trovavano intorno ad essa e che erano arroganti, condan­


nandoli a venire su questa terra». [...]

43. Considera dunque se colui che ci accusa di esse


caduti «in errori sacrileghi e di deviare dai misteri divini»,
non cada egli stesso chiaramente in errore, allorché non
comprende che i libri di Mosè, molto più antichi non sol­
tanto di Eraclito e Ferecide, ma anche di Omero, narrano
di questo essere malvagio caduto dal cielo103. Infatti «il ser­
pente», da cui deriva anche l’Ofìoneo di Ferecide 104, signi­
fica cose simili dal momento che è stato la causa della cac­
ciata dell’uomo dal paradiso di Dio, avendo ingannato la
dorma con la promessa della divinità e di beni superiori; ed
essa è stata seguita anche dall'uomo105.

[...] Noi sosteniamo che Dio non ha creato i mali, la malva­


gità e le azioni che ne derivano. Se fosse stato Dio a creare
i veri mali106, come avrebbe potuto annunciare apertamente
il giudizio e insegnare che i malvagi sono puniti per le loro
cattive azioni secondo i loro peccati, mentre coloro che han­
no vissuto ed agito virtuosamente sono beati e riceveranno
la ricompensa da Dio? So bene che chi desidera affermare
che anche i mali provengono da Dio citerà detti sparsi del­
la Scrittura107, ma non sarà in grado di mostrare una serie
coerente di testi della Scrittura; essa accusa i peccatori e
approva coloro che agiscono bene e ripete non di meno an­
che quelle affermazioni che, non essendo poche, sembrano
turbare i lettori ignoranti della Scrittura divina. Non credo
che sia conveniente alla presente esposizione citare qui i
passi inquietanti, che non sono pochi, la cui esegesi richiede
una lunga trattazione.

427
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

Κακά τοίνυν, εί μέν τα κυρίως ούτως ονομαζόμενα έξακούοι


τις, ό θεός ού πεποίηκεν, άλλα τοΐς προηγουμένοις αύτοΰ εργοις
όλίγα ώς πρός την τών δλων διάταξιν τυγχάνοντα έπηκολούΰησεν,
ώσπερ έπακολουύεϊ τοΐς προηγουμένοις τοΰ τέκτονος εργοις τα
έλικοειδή ξέσματα καί πρίσματα καί τοΐς οίκοδόμοις ποιεΐν
δοκεΐν τα παρακείμενα ταΐς οίκοδομαΐς ώσπερεί κόπρια άποπίπ-
τοντα τών λίύων καί της κονίας.

VIII, 24-25; ρρ. 240, 27 - 241, 9; 241, 21 - 242, 5

24. [...] Εί μέν ούδέν ταϋτά έστι τά είδωλα, τί δεινόν κοινωνησαι


της πανϋοινίας; εί δ ’ είσί τινες δαίμονες, δηλονότι καί ούτοι τοΰ
ϋεοΰ είσιν, οίς καί πιστευτέον καί καλλιερητέον κατά νόμους
καί προσευκτέον, ΐν ’ ευμενείς ώσι. Χρήσιμον δ ’ είς ταΰτα δλον
τόν περί είδωλούύτων λόγον, είρημένον παρά τω Παύλφ έν τη
προτέρα πρός Κορινθίους έπιστολή, λαβεϊν είς χεΐρας καί σαφήνι­
σαν έν φ καί πρός τό μηδέν είναι εΐδωλον έν κόσμω άπαντών την
από τοΰ χρήσύαι τοΐς είδωλοΰύτοις βλάβην κατεσκεύασεν,
άποδεικνύς τοΐς άκοΰειν τών έκεΐ δυναμένοις δτι πάντως ού
φονέως χείρον τι πράττει ό τών είδωλούύτων μεταλαμβάνων,
άπολλύς τούς αύτοΰ αδελφούς, δι ’ οΰς Χριστός άπέΰανε. Καί
μετά τοΰτο τιθείς δαιμονίοις θύεσθαι τά θυόμενα, παρίστησι
κοινωνούς τών δαιμόνιων γίνεσύαι τούς μεταλαμβάνοντας δαι­
μόνιων τραπέζης- παρίστησί τε δτι αδύνατόν έστι τον αύτόν
τραπέζης κυρίου μετέχειν καί τραπέζης δαιμόνων. [...]

25. ’ Επεί δέ φησιν έν τούτοις ό Κέλσος δτι καί οί δαίμονές


είσι τοϋ ϋεοϋ, καί δια τοΰτο πιστευτέον έστιν αύτοΐς καί καλ-
λιερητέον κατά νόμους καί προσευκτέον, ΐν ’ εύμενεΐς ώσι, δι-
δακτέον καί περί τούτου τούς βουλομενους δτι ό τοΰ θεοΰ λόγος

428
ORIGENE

Dio dunque non ha creato il male, se uno intende il ter­


mine in senso proprio, ma esso è una conseguenza delle
sue opere principali ed è poco se paragonato all’ordine
dell’universo, come i trucioli e la segatura accompagnano
il lavoro principale del falegname e come, intorno alle co­
struzioni, gli scarti delle pietre che cadono a terra e la pol­
vere sembrano opera dei costruttori108.

24. [...] (Celso) «Se questi idoli non sono nulla, che cosa vi è
di terribile a prendere parte al banchetto109? Se invece so­
no demoni, è chiaro che anche costoro appartengono a Dio,
bisogna aver fede in loro, offrire sacrifìci secondo le leggi e
rivolgere loro preghiere perché siano benevoli». In risposta a
tali affermazioni, è utile prendere in mano e spiegare tutto
quanto dice Paolo a proposito degli idolotiti nella Prima
Lettera ai Corìnzi; in essa, rispondendo all’opinione che l'ido­
lo non è nulla nel mondo (/ Cor. 8, 4), egli dimostra il danno
derivante dagli idolotiti, spiegando a coloro che là sono in
grado di capire che colui che riceve una parte delle vittime
dei sacrifìci compie un delitto grave quanto l’omicidio, per­
ché fa perire i suoi fratelli per i quali Cristo è morto (I Cor.
8, 4.2). E in seguito, dopo aver stabilito che i sacrifìci sono
rivolti ai demòni, afferma che prendere parte alla mensa dei
demòni (/ Cor. 10, 20-21) significa entrare in comunione con
loro; aggiunge anche che è impossibile per la stessa perso­
na partecipare contemporaneamente alla mensa del Signore
ed alla mensa dei demòni. [...]
25. E poiché qui Celso dice che «i demoni appartengono
Dio»110 e che per questo «bisogna aver fede in loro, offrire sa­
crifìci secondo le leggi e pregarli affinché siano benevoli», è
necessario insegnare a chi lo desidera che il Logos di Dìo non

429
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

ούδέν τών φαύλων άναγορεύειν βούλεται κτήμα θεοΰ τυγχάνειν,


ανάξιον αυτό κρίνων τηλικούτου κυρίου. Διόπερ ού πάντες μέν
άνθρωποι χρηματίζουσιν άνθρωποι θεοΰ, μόνοι δέ οί άξιοι τοΰ
θεοΰ- όποιος ήν Μωϋσης καί ’ Ηλίας, καί εΐ τις άλλος άναγέγραπ-
ται άνϋρωπος ϋεοΰ ή παραπλήσιος έστι τοϊς άναγεγραμμένοις.
Ούτως δέ καί ού πάντες άγγελοι άγγελοι λέγονται είναι τοϋ ϋεοΰ
άλλά μόνοι οί μακάριοι, οί δ’ έκτραπέντες έπί τήν κακίαν άγγε­
λοι τοΰ διαβόλου ονομάζονται, ώσπερ οί φαΰλοι άνθρωποι
άνθρωποι αμαρτίας ή υίοί λοιμοί ή υίοί αδικίας. Έπεί ούν καί
άνθρωποι οί μέν είσι σπουδαίοι οί δέ φαΰλοι, διό καί οί μέν τοΰ
ϋεοΰ οί δέ τοΰ διαβόλου είναι λέγονται, άλλά καί άγγελοι οί μέν
τοϋ ϋεοΰ οί δέ τοΰ πονηροΰ, δαίμονες δέ ούκέτι διχώς, πάντες γάρ
άποδείκνυνται είναι φαΰλοι. [...]

VIII, 28; ρρ. 243, 23 - 244, 2

Εί μεν δη κατά τι πάτριον ιερείων τινών άπέχονται τών τοιώνδε,


πάντως άφεκτέον καί ζώων απάντων βρώσεως· fiπερ καί
Πυϋαγόρα δοκεΐ, ψυχήν τιμώντι καί τα ταύτης όργανα. Εί δ ’,
δπερ φασίν, όπως μή συνεστιώνται δαίμοσι, μακαρίζω της σοφίας
αύτούς, οτι βραδέως συνιάσιν οντες άεί συνέστιοι δαιμόνων■καί
τότε δή μόνον φυλάσσονται τοϋτο, όπόταν ίερεΐον ϋυόμενον
βλέπωσιν· δταν δε σίτον έσϋίωσι καί οίνον πίνωσι καί ακρο-
δρύων γεύωνται καί αυτό ύδωρ καί αύτόν άέρα άναπνέωσιν, ούκ
αρα παρά τινων δαιμόνων εκαστα τούτων λαμβάνουσιν, οίς κατά
μέρη τό ειτιμελες έκάστφ προστέτακται;

VIII, 31; ρρ. 246, 26 - 247, 15

[...] Καί ημείς μέν γάρ φαμεν ού χωρίς προστασίας αοράτων, ΐν ’


ούτως ονομάσω, γεωργών καί άλλων οικονόμων ού μόνον τών

430
ORIGENE

vuole che venga definito proprietà di Dio nulla di malvagio


giudicandolo indegno di un così grande Signore. Infatti non
tutti gli uomini sono uomini di Dio, ma soltanto quelli degni
di Dio, quali erano Mosè ed Elia e ogni altro che la Scrittura
definisce uomo di Dio (cfr. Dt. 23, 1) o che è simile a quelli
che sono (così) definiti. Allo stesso modo non tutti gli angeli
sono detti angeli di Dio (M t 22, 30), ma soltanto quelli bea­
ti, mentre gli angeli che si sono rivolti al male, sono chiamati
angeli del diavolo (Mt. 25, 41); così gli uomini malvagi che
vengono chiamati uomini del peccato, o figli della pestilenza
o figli dell’iniquità1n . Per il fatto che gli uomini sono gli uni
buoni, gli altri malvagi, vengono chiamati gli uni di Dio, gli
altri del diavolo; anche gli angeli, gli uni sono di Dio, gli al­
tri del diavolo; i demoni invece non possono essere chiama­
ti in due modi, perché tutti dimostrano di essere malvagi.

(Celso) «Se dunque seguono una tradizione patria112 quan­


do si astengono da vittime di tal genere, dovrebbero aste­
nersi completamente dal cibarsi della carne di ogni essere
animato, come faceva Pitagora per riguardo all’anima ed ai
suoi organi. Ma se, come dicono, è per non mangiare con i de­
moni (I Cor. 10, 20), mi congratulo con la loro sapienza, per­
ché hanno compreso tardivamente che sono sempre com­
mensali dei demoni. Essi poi si astengono soltanto quando
vedono una vittima immolata; ma quando mangiano il pa­
ne, bevono il vino, gustano i frutti, perfino quando bevono
l’acqua e respirano, forse che non ricevono tutto questo da
taluni demoni a cui è stata affidata partitamente la cura di
ciascuna di queste cose?113».

[...] Anche noi in effetti diciamo che è sotto il patronato, per


così dire, di invisibili coltivatori e di altri esseri che ammi-

431
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

άπό γης φυόμενων άλλα καί παντός ναματιαίου ΰδατος καί άερος
την γην φέρειν τα ύπό «ρύσεως λεγάμενα διοικεΐσθαι, καί τό ύδωρ
έν ταΐς πηγαΐς καί τοΐς αύύιγενέσι ποταμοΐς όμβρεΐν καί
φέρεσθαι, καί τον αέρα άδιάφΰορον τηρεΐσθαι και ζωτικόν τοΐς
άναπνέουσιν αυτόν γίνεσθαι. Ού μην τούς αοράτους φαμέν εί­
ναι δαίμονας· άλλ’ , εί χρή άποτολμήσαντα λέγειν τινά, εί μή ταϋ-
τα δαιμόνων έστιν έργα, φήσομεν δτι λιμοί καί άφορίαι σταφυλής
καί άκροδρύων καί αύχμοί άλλα καί ή τοΰ άέρος διαφθορά έπί
λύμη τών καρπών έσθ’ ότε δέ καί τω τών ζώων θανάτφ καί τω
κατά τών ανθρώπων λοιμώ. Πάντα ταΰτα δαίμονες αύτουργοΰ-
σι δήμιοι, κρίσει τινί θείςι λαβόντες έξουσίαν έν καιροΐς τισι
ταΰτ ’ ένεργεΐν είτε είς έπιστροφήν άνθρώπων, έπί τήν χύσιν της
κακίας έξοκειλάντων, εΐτε καί εις γυμνάσιον τοΰ λογικοΰ γένους·
ΐν ’ οί μέν καί έν τοΐς τοσούτοις εύσεβεΐς μένοντες καί μηδαμώς
χείρους γινόμενοι φανεροί τέως τοΐς μή βλέπουσιν αύτών την έξιν
άοράτοις καί όρατοΐς θεαταΐς γένωνται, οί δ ’ έναντίως μέν διακεί-
μενοι κλέπτοντες δε την τής κακίας έπίδειξιν έλεγχθέντες ύπό τών
συμβαινόντων όποιοι είσιν αύτοί τε έαυτών συναισθηθώσι καί
δήλοι τοΐς, ΐν ’ οΰτως ονομάσω, θεαταΐς γένωνται.

VIII, 58-61; ρρ. 274, 21 - 277, 26

58. "Οτι μην έν τοΐσδε μέχρι τών έλαχίστων εστιν δτφ δέδοται
εξουσία, μάΰοι τις αν έξ ών Αιγύπτιοι λέγουσιν, δτι αρα τοΰ
άνϋρώπου τό σώμα έξ καί τριάκοντα διειληφότες δαίμονες ή ϋεοί
τινες αίϋέριοι εις τοσαΰταμέρη νενεμημένον (οί δε καί πολύ
πλείους λέγουσιν) άλλος αλλο τι αύτοΰ νέμειν έτητέτακται. Καί
τών δαιμόνων ϊσασι τα ονόματα έπιχωρίψ φωνή, ώσπερ Χνουμην
καί Χναχουμην καί Κνάτ καί Σικάτ καί Βιού καί Έρού καί

432
ORIGENE

nistrano non soltanto le piante, ma anche l’acqua sorgiva


e l’aria, che la terra produce quanto è detto amministrato
dalla natura e l’acqua, sotto forma di pioggia, finisce nelle
sorgenti e nei fiumi che ne nascono e l’aria si conserva pu­
ra e vivificante per chi la respira114. Tuttavia, non affer­
miamo che questi esseri invisibili sono dei demoni. Ma se
dobbiamo azzardare a dire quali siano, se non sono que­
ste115, le opere dei demoni, diremo che sono le carestie, la
sterilità della vigna e degli alberi, la siccità, la corruzione
dell’aria che danneggia i frutti e che è causa talvolta di mor­
te per gli animali e di peste per gli uomini116. Artefici di tut­
te queste cose sono i demoni che, come carnefici pubblici,
secondo un giudizio divino, hanno ottenuto il potere, in cer­
ti momenti, di compiere tutto questo, sia per la conversio­
ne degli uomini che cadono nel vortice della malvagità, sia
per esercitare la stirpe degli esseri razionali; così, da una
parte, coloro che sono rimasti pii in tali prove, senza dive­
nire peggiori, possono manifestarsi agli spettatori visibili ed
invisibili che fino a quel momento non potevano vedere le
loro qualità, dall’altra, coloro che hanno disposizioni con­
trarie, ma che nascondono le espressioni della loro malva­
gità, nelle prove mettono a nudo la loro natura, sia pren­
dendone consapevolezza essi stessi, sia manifestandola, per
così dire, agli spettatori.

58. (Celso) «Che anche sulle realtà più trascurabili si eser­


citi l’autorità di un qualche essere, lo possiamo apprende­
re dagli Egiziani, i quali affermano che trentasei demoni o dèi
eterei si sono presi il corpo dell’uomo, distinto in altrettan­
te parti - altri parlano di un numero molto maggiore di de­
moni - e che ciascuno di loro è stato preposto alla guida di
una parte di esso. Essi conoscono anche i nomi dei demo-

433
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-1II

Έρεβίου καί 'Ραμανόρ καί 'Ρειανοόρ οσα τε άλλα τη εαυτών


γλώσστ] όνομάζουσι- καί δή έπικαλοϋντες αύτούς Ιώνται τών
μερών τά παϋήματα. Τί ουν κωλύει τούτους τε καί τούς άλλους
δεξιούμενον, ανχρηζτ} τις, ύγιαίνειν μάλλον ή νοσεΐν καί εύτυ-
χεΐν μάλλον ή δυστυχεΐν καί βασανιστηρίων καί κολαστηρίων ώς
οίόν τε άπηλλάχϋαι;

[...] Τοσοΰτον δ’ άρα κατέγνωκε της είς τον tìeòv τών δλων
άσχίστου καί αδιαιρέτου τιμής, ώς μή αυτάρκη πιστεύων τον
ϋεόν μόνον προσκυνούμενον καί μεγαλοφώνως τιμώμενον
παρέχειν τώ τιμώντι άπ ’ αύτοΰ τοΰ σέβειν αύτόν δύναμιν κωλυ-
τικην της τών δαιμόνων κατά τοΰ όσιου έπιβουλής· ού γάρ
έώρακε, τίνα τρόπον τό έν όνόματι τοΰ ’ Ιησοΰ ύπό τών γνησίως
πιστευόντων καλούμενον ούκ ολίγους άπό νόσων καί δαιμονι­
σμών καί άλλων περιστάσεων ίάσατο.
59. Είκός δ ’ δτι γελάσεται μεν ό τά Κέλσου άσπαζόμενο
λεγόντων ημών δτι έν τώ όνόματι Ίησοϋ παν γόνυ κάμψει έπου-
ρανίων καί επιγείων καί καταχθονίων, καί πάσα γλωσσά ύπάγε-
ται τω εξομολογεΐσϋαι δτι κύριος ’Ιησούς Χριστός εις δόξαν
ϋεοΰ πατρός· γελάσας δε ένεργεστέρας αποδείξεις λήψεται ταΰι> ’
ούτως έχειν ή περί ών ονομάτων ιστορεί τοΰ Χνουμήν καί τοΰ
Χναχουμήν καί τοΰ Κνάτ καί τοΰ Σικάτ καί τών λοιπών τοΰ
Αίγυπτιακοΰ καταλόγου, ώς καλουμένων καί ίωμένων τά τών
μερών παϋήματα. Καί δρα γε, τίνα τρόπον ήμας άποτρέπων πι-
στεύειν έπί τόν τών δλων ι3εόν διά ’ Ιησοΰ τοΰ Χριστοΰ, έπί πί-
στιν διά τήν τοΰ σώματος ημών θεραπείαν καλεΐ εξ καί τριάκον­
τα βαρβαρικών δαιμόνων, οΰς μόνοι Αιγυπτίων μάγοι καλοΰντες
ούκ οίδ’ δπως έπαγγέλλονται ήμϊν τά κρείττονα. "Ωρα δ’ ήμΐν
κατά τόν Κέλσον μαγγανεύειν μάλλον καί γοητεύειν ήπερ χρι-
στιανίζειν, καί άπείρω τινί αριθμώ δαιμόνων μάλλον πιστεύειν
ή τώ αύτοΟεν έμφανεϊ καί ζώντι καί έναργεΐ ΰεω τώ έπί πάσι διά
τοΰ πολλή δυνάμει έπισπείραντος τόν καιϊαρόν τής ϋεοσεβείας
λόγον τη πάση τών ανθρώπων οικουμένη, ού ψεύσομαι δέ

434
ORIGENE

ni nella loro lingua: Chnumèn, Chnachumèn, Knat, Sikat,


Biù, Erù, Erebìu, Ramanòr, Reianòr e tutti gli altri che no­
minano nella loro lingua; quando sono invocati, essi gua­
riscono le malattie delle diverse parti (del corpo)117. Che co­
sa dunque vieta di onorare questi come gli altri, se si pre­
ferisce stare in salute piuttosto che ammalarsi, avere una
vita felice piuttosto che essere infelici, sfuggire per quanto
è possibile alle torture ed ai supplizi?»
[...] Egli (se. Celso) disconosce l’onore unico ed indivisi­
bile che si deve al Dio dell’universo e non crede che Dio so­
lo, adorato ed onorato con magnificenza, sia sufficiente a
dare a colui che lo onora, per il fatto stesso che lo onora, il
potere di respingere gli attacchi dei demoni contro il giusto;
egli infatti non ha visto in quale modo l’invocazione «nel no­
me di Gesù» da parte dei veri credenti ha guarito non pochi
dalle malattie, dalle possessioni diaboliche e da altri mali118.
59. È chiaro che un seguace delle dottrine di Celso
derà a sentirci dire: «Nel nome di Gesù si piegherà ogni gi­
nocchio nei cieli, sulla terra ed agli inferi ed ogni lingua è
indotta a confessare che Gesù Cristo è Signore per la gloria
di Dio Padre» (PhiL 2, 10-11). Pur ridendo, dovrà prendere
atto che le prove che le cose stiano così sono più evidenti di
quanto si racconta sui nomi di Chnumèn, Chnachumèn,
Knat, Sikat e degli altri della lista egiziana, la cui invocazio­
ne guarirebbe le malattie delle parti del corpo. Considera
inoltre in quale modo egli ci distolga dal credere nel Dio
deU’universo attraverso Gesù Cristo e ci inviti a credere, per
guarire il nostro corpo, in trentasei demoni barbari che sol­
tanto i maghi egiziani invocano promettendoci non so qua­
li meraviglie. Secondo Celso, dovremmo diventare maghi e
stregoni piuttosto che essere cristiani, credere in un nume­
ro infinito di demoni piuttosto che credere al Dio supremo
che è evidente di per se stesso, vivente e manifesto, che con
grande potenza ha seminato la pura dottrina della religione

435
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

προστιθείς καί λέγων δτι καί τών άλλων λογικών καί δεομένων
διορθώσεως καί θεραπείας καί μεταβολής της άπό της κακίας.

60. ' Υπιδόμενος γοϋν ό Κέλσος τον είς μαγείαν δλισθον τών
τά τοταϋτα μεμαθηκότων καί συναισθηθείς πως βλάβης περί
τους άκούοντας έσομένης φησίν· εκείνο μέντοι φυλακτέον, οπως
μή τις συνών τούτοις -tfj ϋεραπεία tfj περί αύτά συντακρ, φιλο-
σωματήσας τε taxi των κρειττόνων άποστραφείς λήϋτ) κατασχεύί}.
Χρή γίχρ ίσως ούκάιαστέϊν άνδράσι σοφοΐς, οι δή φασι διότι τών
μέν περίγειων δαιμόνων τό πλεϊστον γενέσει συντετηκός καί προ-
σηλωμένον αΐματι καί κνίσστ] καί μελωδίαις καί άλλοις τισι
τοιούτοις προσδεδεμενον κρεΐττον ούδεν δύναιτ’ αν τοΰ
όεραπεΰσαι σώμα καί μελλουσαν τύχην άνϋρώπω καί πόλει
προειπεΐν, καί δσα περί τάς ϋνητας πράξεις ταΰτα ΐσασί τε καί
δύνανται. [...]

Έγώ δ ’ εΐποιμ’ αν δτι ούδ’ έναργές έστι τό τούς δαίμονας


τούτους δπως ποτέ θεραπευόμενους δύνασθαι θεραπεύειν τά σώ­
ματα- αλλά χρή τήν θεραπείαν τών σωμάτων, εί μέν άπλούστε-
ρον βούλοιτό τις ζην καί κοινότερον, έφόδω ιατρική θεραπεύειν,
εί δέ βέλτιον καρά τούς πολλούς, εύσεβεία τη είς τόν έπί πάσι
θεόν καί ταΐς πρός έκεΐνον εύχαΐς.
61. [...] ’Αλλάδήλοντώκαίέπ’ ολίγον παρακολουθεΐν δυ-
ναμένφ δτι τό άπλαστον μέν καί άπερίεργον ήθος διά τοϋτο θεώ
τφ έπί πδσιν άνακείμενον άποδεκτόν έσται θεώ καί πάσι τοΐς
έκείνω οίκειουμένοις- το δέ δι ’ ύγείαν σώματος καί φιλοσωματίαν
καί τήν έν μέσοις πράγμασιν ευτυχίαν περιεργαζόμενον δαιμόνων
ονόματα καί ζητοΰν, πώς κηλήσει τισίν έπφδαΐς τούς δαίμονας,
ώς μοχθηρόν καί ασεβές καί δαιμονικόν μάλλον ή άνθρωπικόν
καταλείψει ό θεός οίς είίλετο ό τά τοιάδε λέγων δαίμοσι,
διασπαραχθησόμενον ύπό τών ύφ ’ έκάστου ΰποβαλλομένων λο­
γισμών ή καί άλλων κακών. Είκός γάρ αύτούς άτε φαύλους δντας
καί, ώς Κέλσος ώμολόγησε, προσηλωμένους αΐματι καί κνίσση

436
ORIGENE

in tutto il mondo abitato dagli uomini e - non mentirò se ag­


giungo - fra gli altri esseri razionali che hanno bisogno di
correzione, guarigione e conversione dal peccato119.
60. Celso però, paventando che coloro che sono a cono­
scenza di tali arti scivolino verso la magia ed essendo con­
sapevole del danno che in qualche modo ne potrebbe deri­
vare ai suoi uditori, dice: «Quando si pratica con codesti de­
moni, bisogna tuttavia evitare di restare avvinti dal culto
che riguarda costoro e, per amore del corpo, di essere te­
nuti lontani dai beni superiori, dimenticandosi di essi. È
forse conveniente infatti non negar fede ai sapienti che di­
cono che la maggior parte dei demoni terrestri, attaccati al­
le cose create, inchiodati al sangue, al fumo, agli incante­
simi e legati a pratiche dello stesso genere, non possono fa­
re nulla di meglio che guarire il corpo e predire la sorte
all’uomo ed alla città; affermano pure che essi sanno e pos­
sono soltanto quanto riguarda le attività mortali»120. [...]
Io direi invece che non è chiaro nemmeno che code
demoni, pur ricevendo un culto, siano in grado di guarire i
corpi; per la guarigione del corpo è necessaria la medicina,
se si preferisce la vita semplice e comune; se si aspira in­
vece ad una vita superiore a quella dei molti, è necessaria la
pietà verso il Dio supremo e rivolgere a Lui le preghiere.
61. (...) Ma è chiaro anche per chi abbia un minimo di
intelligenza che la condotta semplice e priva di vane curio­
sità di colui che si dedica, così facendo, al Dio dell’univer­
so sarà gradita a Dio e a quelli che sono vicini a lui. Invece,
se per seguire la salute fìsica, l’amore del corpo, il succes­
so nelle cose indifferenti121, l’uomo si affatica a indagare i
nomi dei demoni e cerca con quali formule incantarli, egli
sarà abbandonato da Dio come essere malvagio, empio e
demoniaco, piuttosto che umano, a quei demoni che egli ha
scelto pronunciando quei nomi, per essere tormentato sia
dai pensieri che essi suggeriscono, sia da altri mali. È na-

437
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

καί μελφδίαις καί άλλοις τισ'ι τοιούτοις μηδέ πρός τούς ταΰτα
αύτοϊς χαριζομένους πίστιν τηρεΐν καί οίονεί δεξιάς. "Αλλων γάρ
αύτούς καλούντων κατά τών θεραπευσάντων καί πλείονος
α'ίματος καί κνίσσης καί ής δέονται θεραπείας ώνουμένων αύτών
την δουλείαν, έπιβουλεύσαιεν αν τώ χθες αύτούς θεραπεύσαντι
καί της φίλης αύτοϊς θοίνης μεταδιδόντι.

VIII, 64; ρ. 280, 1-22

"Ενα ούν τον έπί πάσι θεόν ήμΐν έξευμενιστέον καί τοΰτον ΐλεω
εύκτέον, έξευμενιζόμενον εύσεβεία καί πάση αρετή. Εί δέ καί
άλλους τινάς βούλεται μετά τον έπί πδσιν έξευμενίζεσθαι θεόν,
κατανοησάτω οτι ώσπερ τφ κινουμένφ σώματι ακολουθεί ή τής
σκιάς αύτοΰ κίνησις, τον αύτόν τρόπον τώ έξευμενίζεσθαι τόν
έπί πάσι θεόν επεται εύμενεϊς έχειν πάντας τούς έκείνου φίλους
αγγέλους καί ψυχάς καί νεύματα. Συναίσθονται γάρ τών άξίων
τοΰ παρά τοΰ θεοΰ εύμενισμοΰ, καί ού μόνον καί αύτοί εύμενεϊς
τοϊς άξίοις γίνονται άλλά καί συμπράττουσι τοϊς βουλομένοις
τόν έπί πάσι θεόν θεραπεύειν καί έξευμενίζονται καί συνεύχον-
ται και συναξιοΰσιν· ώστε τολμάν ήμας λεγειν ότι άνθρώποις
μετά προαιρέσεως προτιθεμένοις τά κρείττονα εύχομένοις τφ θεφ
μυρίαι όσαι άκλητοι συνεύχονται δυνάμεις ίεραί, συμπαρέχου-
σαι τώ έτακήρφ ημών γενει καί, ΐν ’ ούτως ει'πω, συναγωνιώσαι
δι’ οΰς όρώσιν άντιστρατευομένους καί άνταγωνιζομένους
δαίμονας τη σωτηρία μάλιστα τών έαυτούς άνατιθέντων θεφ καί
μή φροντιζόντων τής τών δαιμόνων έχθρας, έάν έκεΐνοι έξα-
γριαίνωσι πρός τόν άνθρωπον, φεύγοντα μέν αύτών τάς διά
κνίσσης καί αϊματος θεραπείας παντί δέ τρόπφ λόγων καί
πράξεων σπεύδοντα οίκειοΰσθαι καί ένοΰσθαι τώ έπί πάσι θεφ

438
ORIGENE

turale infatti che, essendo malvagi e, come Celso ammette,


avidi del sangue e del fumo dei sacrifìci, degli incantesimi
e di altre cose di tal genere, essi non rimangono fedeli, né
mantengono, per così dire, gli impegni neppure verso chi fa
loro tali doni. Infatti se qualcuno li invoca contro quelli che
li hanno adorati e riesce ad ottenere i loro servigi con una
maggiore quantità di sangue, fumo e culto di cui hanno bi­
sogno, essi potrebbero tramare contro colui che ieri li ono­
rava facendoli partecipi del banchetto a loro gradito.

Pertanto noi dobbiamo propiziarci unicamente il Dio su­


premo e dobbiamo pregarlo di essere benigno, rendendoce­
lo favorevole con la pietà e tutte le virtù. Se Celso volesse
rendersi propizi, oltre al Dio supremo, anche altri esseri,
dovrebbe comprendere che, come il movimento del corpo è
seguito dalla sua ombra, nello stesso modo, alla benevo­
lenza del Dio supremo segue quella di tutti coloro che lo
amano: gli angeli, le anime e gli spiriti. Essi conoscono co­
loro che sono degni del favore di Dio e non sono soltanto
propizi verso coloro che ne sono degni, ma anche collabo-
rano con quelli che vogliono rendere il culto al Dio supre­
mo, sono pieni di benevolenza, pregano e intercedono con lo­
ro. Cosicché osiamo dire che quando gli uomini aspirano
con tutto il cuore alle realtà superiori e pregano Dio, una
miriade di potenze sante, senza essere invocate122, prega­
no con loro, assistono la nostra stirpe mortale. Esse, per
così dire, combattono con noi, perché vedono i demoni com­
battere e lottare soprattutto contro la salvezza di coloro che
si votano a Dio e non si curano dell’inimicizia dei demoni, an­
che quando si inaspriscono contro l’uomo che ne rifugge il

439
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

διά τοΰ καταλύσαντος μυρίους δαίμονας ’ Ιησοΰ, ήνίκα περιτ|ει


ίώμενος καί έπιστρέφων τούς καταδυναστευομένους ύπό τοϋ
διαβόλου.
ORIGENE

culto con il fumo dei sacrifìci ed il sangue, per dedicarsi con


ogni mezzo, con parole e azioni, a vivere in familiarità e unio­
ne con il Dio supremo, per mezzo di Gesù che ha sconfìtto
un numero infinito di demoni, quando andava dappertut­
to guarendo e convertendo quelli che erano caduti nelle ma­
ni del diavolo (Act. 10, 38).

NOTE

1 P. Nautin, Orlgène. Sa vie et son oeuvre, Paris 1977, p. 410.


2 All'Interno di questo arco temporale sono state proposte data­
zioni differenti: Nautin, cit, p. 410: 239-242; Monaci Castagno, Origene,
c it, p. 64: 245-247.
3 status quaestionis: Monaci Castagno, Origene, c it, pp. 50-60.
4 L’edizione citata è quella di P. Koetschau (GCS 5), Leipzig 1913.
5 In Praef. 2, esorta ad osservare «l’insegnamento ecclesiastico,
tramandato attraverso l'ordine apostolico e mantenuto nelle chiese fi­
no al presente: bisogna tenere per vero ciò che non si discosta In nul­
la dalla tradizione ecclesiastica ed apostolica». Le idee demonologiche
sintetizzate da Origene, per quanto largamente condivise, sono una
«opinio» da cui egli non si sente legato, proprio perché esse non possono
essere ricondotte all'insegnamento apostolico. Sul tema cfr. R.C. Baud,
Les T è gle s » de la théologie d'Origène, «Recherches de Sciences
Religleuses» 55 (1967), pp. 161-208.
6 Origene discute il termine άσώματον, sostenendo che esso non
si trova nelle Scritture: compare nella Doctrina Petri (forse 11Kerygma
PetrQ, In una frase attribuita a Gesù: «Non sum daemonium incorpo­
reum». Il libro - osserva Origene - non è accolto fra i «libri ecclesiasti­
ci» ed Inoltre usa il termine in senso improprio. L'excursus sul termi­
ne rompe lo schema della prefazione e questo elemento, fra altri, ha
condotto a formulare l’ipotesi che l’opera sia frutto di successive re­
dazioni (J. Rius-Camps, EI Peri Archon d'Origenes. Radiografia del pri-
mer Tractat de Teologia dogmàtico-sapiencial Barcelona 1985; Los di­
versos estratos redaccionales del Peri Archon de Origenes, «Recherches
Augustiniennes» 22 (1987), pp. 5-65; di diverso avviso G. Dorlval,
NouveU.es remarques sur la form e du Traité des Principes d'Origène,
«Recherches Augustiniennes» 22 (1987), pp. 68-108).

441
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

7 Sul corpo dei demòni Origene si allinea con la concezione tra


zionale che attribuisce ai demòni un corpo sottile costituito di aria (cfr.
anche C. CeL V, 5; IV, 92); soltanto Dio, il Figlio e lo Spirito santo so­
no incorporei (De pr. II, 2, 2; III, 5, 4).
® L’inventario accurato dei nomi è importante, perché i nomi ri-
mandono ad esseri e funzioni diversi e sono l’unica traccia su cui l’ese-
geta può basarsi per ricostruire l'organigramma complesso delle po­
tenze avverse. Egli è convinto che l’insieme delle potenze avverse cor­
risponda, sia pure al negativo, a quello delle potenze celesti (Co. M t
XVII, 2; «Io credo che tutti i nomi delle potenze contrarie siano ugua­
li a quelli delle potenze di Dio») e che la conoscenza di tali misteri è ri­
servata soltanto a chi ne è degno. Non ne furono degni 1sacerdoti che
interrogarono Gesù cercando di sapere in nome di quale potenza egli
compiva i miracoli, anche se essi erano già a conoscenza di molte co­
se riguardanti le potenze, sia per averle ricevute da tradizioni antiche,
sia da tradizioni segrete (Ibid.). Origene ricava dalle stesse parole di
Gesù la certezza che i Giudei possedessero su tali argomenti, sulla ba­
se di antiche tradizioni e libri segreti, un sapere esoterico ignorato dai
«molti». In Le. 11, 15, i Giudei mostrano qualche conoscenza riguardo
a Beelzebul, capo di demòni; essi - osserva Origene - non potevano
derivarle dalle Scritture in cui questo nome non è tramandato; d’altro
canto, la risposta di Gesù conferma implicitamente l’esistenza di tale
potenza (Co. Io. XIX, 92-97).
9 E questo dunque induce a pensare che siano potenze negative; per
l’importanza di PhiL 2, 9 per la dottrina dell’apocatastasi, cfr. infra.
10 Origene vuole presentare la posizione di quegli gnostici, di scuo­
la valentiniana, che avrebbero sostenuto l’esistenza di tre nature: una
ilica, destinata alla perdizione, l’altra spirituale destinata alla salvez­
za ed una terza, quella psichica, in grado di determinare il proprio de­
stino orientandosi verso il bene o verso il male. Origene - come altri
eresiologi antichi - insiste molto sul fatto che le antropologie gnostica
e marclonita eliminassero del tutto il libero arbitrio. Tale descrizione
ha condizionato anche la visione dei moderni fino a tempi recenti. Una
conoscenza più approfondita delle correnti gnostiche, da una parte, e,
dall'altra, una valutazione più critica di Origene in quanto interprete de­
gli gnostici hanno contribuito a sfumare il quadro interpretativo; cfr. lo
status quaestionis in E. Norelli, Marcione e gli gnostici sul libero arbi­
trio e la polemica di Origene, in L. Perrone (a cura di), il cuore indurito
del Faraone, Bologna 1992, pp. 1-30; A. Monaci Castagno, L'interpre­
tazione origeniana di Me. 4, 10-12: aspetti e problemi della difesa del
libero arbitrio, Ibid., pp. 85-104 e infra.

442
ORIGENE

11 La soluzione di tali quaestiones è affrontata in De pr. I, 8, 1 sgg.;


sul metodo adottato da Origene nelle sue dimostrazioni si vedano i la­
vori di L. Perrone, Sulla preistoria delle •quaestiones» nella letteratura pa­
tristica. Presupposti e sviluppi del genere letterariofino al IV sec., «Annali
di Storia dell’Esegesi» 8 (1991), pp. 485-505; La •parrhèsia» diMosè:
l'argomentazione di Origene nel Trattato sul libero arbitrio e il metodo
delle *quaestiones et responsiones», in fi cuore, cit., pp. 31-64.
12 Questo è un punto decisivo dell’argomentazione origeniana, cfr.
anche C. Cel. VI, 55*.
13 Alla trattazione che fa appello alla coerenza logica segue (De pr.
1,5,4) quella scritturistica con la disamina di un dossier scritturisti-
co (Ez. 26; Is. 14; Le. 10, 18) che rappresenta un costante punto di ri­
ferimento per la demonologia origeniana, soprattutto quando essa si
sforza di dimostrare, contro gli gnostici, che il diavolo non è tale per
natura, ma in seguito al suo volontario abbandono della condizione
angelica (cfr. Ho. Ez. XIII* e introd. p. 102, n. 252).
14 L’Ep. 124 che Girolamo inviava all’amico Avito era accompa­
gnata dalla sua traduzione del De principiis e conteneva l’indicazione dei
passi dell’opera più inaccettabili da un punto di vista dottrinale. La
traduzione eseguita da Girolamo è perduta; possediamo soltanto quel­
la di Ruflno, accusato dal primo di averne fatto una traduzione cen­
surata; suH'attendibilità di tale traduzione: Origene, Traité des Principes
(SC 252, 253, 268, 269, 312). Introduction, texte critique de la ver-
sion de Rufin, Traduction par H. Crouzel et M. Simonetti, voli. I-II,
Paris 1978; voli. III-IV, Paris 1980; voi. V, Paris 1984; voi. I, pp. 23-
29; N. Pace, Ricerche sulla traduzione di Rufino del *De principiis» di
Origene, Firenze 1990. Pur tenendo conto che i frammenti gerolimia-
ni «opposent à sa (se. di Rufino) partialité une partialité inversée»
(Crouzel, cit., p. 29), essi rimangono preziosi, soprattutto là dove of­
frono citazioni dell’opera. In Ep. 124, 3, troviamo un passo corrispon­
dente a quello di Rufino in De pr. I, 6, 3 da «sciendum» fino a «exi-
stunt»: «Quelli poi che non avranno meritato di tornare, per mezzo
dell’umanità da (loro) assunta, alla condizione primitiva, diventeranno
il diavolo e i suoi angeli e i demoni pessimi, e in relazione alla varietà
delle loro colpe otterranno in sorte nei vari mondi uffici diversi» (Origene,
IPrincìpi, a cura di M. Simonetti, Torino 1968, p. 205, n. 21).
15 A questo passo corrisponde in Ep. 124, 3: «Anche i demoni ed i
reggitori delle tenebre, se in uno o più mondi vorranno convertirsi al be­
ne, diventeranno uomini e così torneranno all’antico principio. Così
istruiti nel corpo umano con supplizi e castighi che subiranno per più
o meno tempo, torneranno ai fastigi angelici. Di qui conseguentemen­

443
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

te si dimostra che tutte le creature razionali possono mutare da una


condizione all'altra, non una sola volta e in un momento ma più volte:
noi e gli angeli diventeremo demoni, se ci comporteremo con trascu­
ratezza; di contro i demoni, agendo virtuosamente, potranno tornare al­
la dignità di angeli» (tr. Simonettl, ctt., p. 205, n. 23). L'inizio del pas­
so di Girolamo trova conferma nel greco di Iustin., Ep. ad Mennam.
Mansi IX, 529. Ep. 124, 3 corrisponde complessivamente a De pr. I, 5-
6 nella traduzione di Rufino. In questa la vicenda delle creature ra­
zionali è descritta alla luce del concetto che vede la condizione Anale del­
le creature assimilabile a quella iniziale, contraddistinta cioè dall'unità
delle creature razionali con Dio. La diversità delle creature successi­
va al moti del libero arbitrio è Inerente all’arco di tempo, sla pure lun-
ghissslmo e comprendente mondi successivi, che separa 11 principio
dalla fine. Girolamo, dal canto suo, pone l’accento sulla successione
del mondi e sul continuo ricominciare della vicenda salvifica, a causa
dell’ uso errato del libero arbitrio, sempre possibile. D a tale presenta­
zione vengono messe in piena evidenza le tendenze centrifughe impli­
cite nella posizione origenlana.
16 Un parallelo di questo passo in Co. Io. XX, 174 ove si tra
dell’Anticristo, il cui padre è il diavolo e che, come lui, è menzognero
non, però, a causa della sua sostanza, ma έκ μεταβολής ιδίας προοαρέσεως
τοιοϋτον τεγενημενον καί οΰτως, ΐνα καινως ονομάσω, πεφυσιωμένον; l'idea
che l'esercizio iterato del male potesse crlstallzzarsl in un’abitudine In
modo tale da minare l’effettivo esercizio successivo della libertà ha co­
me sfondo la riflessione aristotelica sul carattere (έξις): Eth. Ili, 7; è lo
stesso sfondo delle considerazioni di Clemente Alessandrino (Strom.
II, 115, 3-117, 3*). Della visione aristotelica, 1cristiani non potevano ov­
viamente accettare l’immutabilità del carattere (Eth. Ili, 7, 1114 a:
«Così anche per l’ingiusto e l'incontinente aU'inizio era possibile non
diventare tali: perciò lo sono volontariamente; ma una volta che lo so­
no diventati non è più possibile non esserlo», tr. M. Zanatta, Milano
1986, p. 217). Nella stessa direzione si muove anche Origene: in C.
CeL III, 69 viene espressa la convinzione che al Logos è possibile ope­
rare la conversione anche di coloro in cui la malvagità è diventata co­
me una natura. Il termine usato φυσιωθήναι è lo stesso che nel passo
di Co. Io XX, 174, citato sopra. Riprendendo la stessa terminologia di
Co. Io. Origene sembra qui risolvere In senso favorevole all’universa­
lità della salvezza il dubbio espresso nel D e pr. Per Origene la sostan­
za del diavolo non differisce in nulla da quella degli altri esseri razio­
nali: l’essere diavolo - piuttosto che uomo o angelo - è secondo una
terminologia stoica, un «accidente» rispetto alla sua natura di creatu­

444
OFUGENE

ra di Dio (Co. Io. II, 97); il male è άνυπόστατον, vale a dire che non ha
sussistenza, che non era al principio,, né rimarrà nell'eone futuro (Co.
Io. II, 93 e in/ra). La salvezza finale del diavolo è coerente con le strut­
ture profonde del pensiero di Origene, tuttavia non mancano alcuni
testi che paiono andare in senso contrario e che hanno spinto alcuni
a ritenere che egli avrebbe avuto su tale punto opinioni contradditto­
rie o confuse (H. Crouzel, L ’H adès et la Géhenne selon Ortgène,
«Gregorianum» 59 (1978), p. 329; Id., Ortgène, Paris 1984, p. 337). Uno
dei testi origenianl (in greco) più esplicito è Ho. Ier. XVIII, 1, ma esso va
inserito nella valutazione complessiva della predicazione origeniana
sulla natura e durata delle pene dopo la morte, argomenti in cui le
preoccupazioni pastorali prendono il sopravvento sulle esigenze co­
noscitive (cfr. Monaci, Origene, cit., pp. 221-256). Un altro testo con­
troverso è un lungo frammento, conservato dall’Apoiogia di Origene,
di una lettera inviata da Origene, che in quel momento si trovava in
viaggio, ai suoi amici alessandrini. In essa, fra le altre cose, egli ricor­
da di aver avuto un dibattito pubblico con un eretico, dibattito che era
stato tachigrafato e poi interpolato dall'eretico. Il Maestro alessandri­
no si lamenta inoltre «Quidam eorum qui libenter habent criminari
proximos suos, adscribunt nobis et doctrinae nostrae crimen bla-
sphemiae, quod a nobis numquam audierunt. De quo ipsi viderint,
nolentes observare mandatum illud quod dicit, maledici regnum Dei
non possidebunt (I Cor. 6, 10) dicentes me patrem malitiae ac perdi­
tionis et eorum, qui de regno eiciuntur, id est diabolum, dicere esse
salvandum: quod ne aliquis quidem mente motus et manifeste insa­
niens dicere potest» (Ruf., De adulteratione librorum Origenis 7). Secondo
la traduzione di Rufino, Origene respinge con decisione la dottrina che
alcuni gli attribuiscono: che il diavolo «debba essere salvato»; essa è
dottrina diversa dal modo origenlano di prospettare la salvezza del de­
monio perché è per lui inaccettabile che vi siano creature per natura
destinate alla perdizione o alla salvezza. Ma Girolamo, in Apologia ad­
versus libros Rufini II, 18, traduce lo stesso passo nel modo seguente:
«Ergo cum propter timorem Dei caveamus in quempiam maledicta con­
ferre, recordantes illius dicti: n o n fiiit ausus iudicium inferre blasphe-
miae (Iud. 9), quod dicitur de Michael contra diabolum et in alio loco:
Dominationes quidem reprobant, glorias autem blasphemant (Iud. 8),
quidam eorum qui libenter causationes repperiunt adscribunt nobis
et doctrinae nostrae blasphemiam. Super qua ipsi viderint quomodo
illud audiant. Neque ebriosi neque maledici regnum D ei possidebunt
(/ Cor. 6, 10), licet patrem malitiae et perditionis eorum qui de regno
Dei eiciuntur dicant posse salvari, quod ne mente quidem quis cap-

445
IL DIAVOLO E 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

tus dicere potest». Con la sua traduzione, Girolamo vuole dimostrare


che quella di Rufino è parziale perché ha taciuto il vero contenuto del­
la lettera; secondo il riassunto dello stesso Girolamo, in essa Origene
denigrava Demetrio, il suo vescovo ad Alessandria, ed inveiva contro 1
vescovi ed 1sacerdoti «totius orbis» che l’avevano scomunicato, dicen­
do inoltre di non volere ricambiare le loro maledizioni, lui che «in tan­
tum cautus sit ad maledicendum ut ne diabolo quidem audeat male­
dicere» [Ibid. II, 18). Dal confronto delle due traduzioni dello stesso
brano, emergono due differenze di sostanza; secondo la traduzione di
Girolamo, sono coloro che accusano Origene di aver pronunciato ma­
ledizioni a sostenere la possibilità che il demonio si possa salvare; la co­
sa inoltre viene recisamente negata da Origene. Per quanto riguarda
la prima questione, mi sembra fondata la proposta di Nautin, Origene,
cit., p. 163, n. 50): egli pensa che Girolamo disponesse di una copia
diversa da quella di Rufino e, su questo punto, errata. Cfr. anche H.
Crouzel, A Letterfrom Origen >to Friends of Alexandria· in D. Neiman-
H. Schatkin (edd.), The Heritage o f thè Early Church, «Orientalia
Christiana Analecta» 195 (1973), pp. 145; P. Lardet, L'Apologie de
Jéróme contre Rufin. Un commentaire, Leiden-New York-Kòln 1993,
pp. 193-199. Girolamo dice, inoltre, di aver letto un testo greco con­
tenente un dialogo di Origene con il valentiniano Candido, in cui i te­
mi della possibile salvezza del demonio e della polemica antignostica so­
no in sintonia con quanto si evince dalle opere origeniane (e da De
adulL Kb. Orig., 7): «Adserit Candidus diabolum pessimae esse naturae
et quae saivari numquam possit. Contra hoc recte Origenes respon­
dit non eum periturae esse substantiae, sed voluntate propria cor­
ruisse et posse salvari. Hoc Candidus vertit in calumniam, quasi
Origenes dixerit diaboli naturam esse salvandam. Quod ille falso oble-
cerat, hic refutat» (C. Ruf. II, 19).
17 Questa visione dinamica del cosmo razionale richiama quella
di Plutarco: T. Mikoda, A Comparison of thè Demonologies o f Origen
and Plutarch, in Origeniana V, Leuven 1992, pp. 326-332.
18 Nel paragrafo precedente, Origene ha raccolto un dossier di te­
stimonianze per chiarire «secundum scripturas», «quomodo contrariae
virtutes vel ipse diabolus reluctantur humano generi, provocantes et in­
stigantes ad peccatum», concludendo con l’osservazione che i «simpli­
ciores» addossano alle potenze contrarie la responsabilità dei loro pec­
cati.
19 La trattazione di Origene dipende In larga misura dall’etica stoi­
ca; gli istinti che l’uomo condivide con gli altri essere animati fanno
parte dell’ordine perfetto del cosmo. NeH’uomo sono sottoposti ad un

446
ORIGENE

principio direttivo o egemonico che è la ragione; i Greci - osserva Origene


in Co. Io. XX, 184, ove la terminologia è più precisa - distinguono un
desiderio «onesto» (άστεΐον βούλησιν) che si chiama εύλογον δρεξιν ο
«appetito razionale» da quello disonesto che si chiama αλογον δρεξιν
oppure appetito irrazionale o sfrenato. Soltanto quest’ultimo è colpe­
vole. La diversità fra la prospettiva stoica e quella origeniana risiede
nell'individuazione della causa che dà luogo all'appetito irrazionale e
sfrenato. Origene sottolinea la differenza molto chiaramente in Co. Io.
XX, 378: (cfr. introd. p. 104). Sui rapporti fra Origene e lo stoicismo
cfr. J. Stelzenberger, Die Beztehungen derJrùhchristliche Sittenlehre
zur Ethik der Stoa, Mùnchen 1933, pp. 245-276; M. Spanneut, Lestoì-
cisme des Pères de l'Eglise, Paris 1957, pp. 232-234; H. Crouzel, Origène
et la phUosophie, Paris 1962, pp. 35-45; M. L. Colish, The Stole Tradition
Jrom Antiqutty to thè Early Middle Ages, Leiden 1985, voi. I, pp. 42 sgg.
20 II desiderio di salvaguardare la responsabilità morale dell’uo-
mo porta Origene a prospettare un’ipotesi che però, secondo la sua
stessa prospettiva, di fatto non si verifica, perché le potenze avversa­
rie stanno sempre in agguato spiando la minima occasione per far pec­
care gli uomini.
21 Sotto forma di un’ assistenza angelica: «Unde ego arbitror quod
numquam fortassis homo per se ipsum virtutem contrariam vincere
potest, nisi usus fuerit adiutorio divino» (Depr. III, 2, 5); cfr. anche in­
fra.
22 L’espressione latina «loco... dato» è un'allusione a Eph. 4, 27,
che è un un punto di riferimento fondamentale per la riflessione ori­
geniana sul peccato. Origene le intende in senso forte: il diavolo agi­
sce all'interno dell’anima in cui si è creata una sorta di fessura, di spa­
zio fisico per contenerlo (cfr. De pr. III, 2, 4). Qui vediamo agire il mo­
dello interpretativo del peccato che abbiamo visto nel Pastore di Erma
(cfr. sopra e infra).
23 Segue una lista di testimonia di questa affermazione.
24 Segue anche in questo caso una lista di testimonia.
25 Poco prima aveva aveva citato Eph. 6, 12 sgg.
26 Segue la dimostrazione scritturistica con l’esegesi dell’episodio
della lotta di Giacobbe con l’angelo (Gn. 32, 24).
27 Origene riconosce che dietro le circostanze tristi della vita (per­
secuzioni, malattie, disgrazie) vi sia l’operato dei demòni (cfr. anche in­
fra). Esse, però, contrariamente al senso comune, non sono «nudi» in
senso proprio, altrimenti bisognerebbe pensare che il male proviene da
Dio, dal momento che Egli permette ai demòni di agire. Sono piuttosto
αδιάφορα, termine che Origene desume dallo stoicismo e che indica la

447
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

sfera di realtà che sfugge al controllo dell'uomo e che quindi non di­
pende da lui. Come gli stoici, Origene definisce «bene» soltanto la virtù
e «male» il suo contrario. Ma gli stoici ritenevano che il conseguimento
della virtù, per quanto difficile, dipendesse dallo sforzo costante dell’uo­
mo di adeguarsi alla Natura, mentre per Origene «il bene dell'essere ra­
zionale è la mescolanza della sua libera scelta con la potenza divina
che coopera con colui che ha scelto il bello» (Co. Ps. 4, in Pfiil. 26, 7).
L’aggressione demoniaca all'uomo, attraverso le realtà sensibili, è «ma­
le» soltanto quando incrina la fede in un Dio giusto reggitore del mon­
do. Ma questo ricade sotto la responsabilità umana. Da questo punto di
vista il modello di comportamento non è l'apatia del saggio stoico che dà
il suo assenso alla sofferenza in quanto contribuisce al bene dell’uni­
verso, ma l’atteggiamento di abbandono alla volontà di Dio di Giobbe,
che pure messo alla prova da un satana (in cui la tradizione cristiana
successiva avrebbe visto Satana), non perde la sua fede.
28 11passo paolino così spesso citato da Origene anche per difen­
dere la necessità di riservare ai perfetti le dottrine più speculative del
suo pensiero, viene ora minuziosamente commentato per stabilire a
quali esseri spirituali siano riconducibili i vari aspetti del sapere, tec­
nico, artistico, filosofico, teologico. Sullo sfondo vi è la discussione cui
accennavo già nelVintroduzione (pp. 81-82).
29 Origene appartiene al filone esegetico di I Cor. 2, 6, che consi­
dera questi arconti come potenze malvagie (Pesce, Paolo, cit., p. 24).
30 Origene intende sottolineare la superiorità della nuova economia
su quella veterotestamentaria; tema che rischiava di rimanere in om­
bra in un periodo in cui la lotta contro l’esclusione dell’AT da parte
degli eterodossi portava a porre l’accento sulla unione e continuità dei
due Testamenti. Sul tema cfr. M. Harl, Origene et lajonction réuélatri-
ce du Verbe incamè, Paris 1958; G. Sgherri, Chiesa e Sinagoga nelle
opere di Origene, Milano 1982.
31 Origene toglie ogni carattere demoniaco a quelle discipline che
facevano parte del curriculum di studi che egli considerava propedeu­
tico allo studio della Scrittura, come leggiamo in una lettera inviata
ad un suo allievo conservata in PhiL 13 (qui però Origene attribuisce un
valore propedeutico anche alla filosofìa greca); queste discipline «tec­
niche» riguardano realtà «indifferenti» (cfr. sopra) e come tali permes­
se. L’aggiunta della medicina pare a prima vista strana, in quanto non
sembra essere coerente con le altre enumerate prima; ma Origene ha
forse qui in mente la posizione di Taziano, che la comprendeva nella
sua condanna radicale delle pratiche magiche (Orat. 17*). In C. Cel.
VIII, 60* la indica come efficace alternativa ai rimedi magici.

448
ORIGENE

32 Sulle considerazioni esegetiche che portavano Origene a soste­


nere l’esistenza di queste potenze cfr. Ho. Ez. XIII*; esse sono presen­
tate talvolta in senso completamente negativo: ad esse era stato affidato
il governo delle nazioni, ma «non servaverunt suum principatum», per­
tanto, a causa della loro praevaricatio, sono maledette da Dio (Ho. Ex.
Vili, 2). Sempre negativa la funzione di questi angeli nella nuova eco­
nomia: essi si oppongono alla predicazione del Vangelo (Ho. Gn. IX, 3;
XVI, 2); per quanto sconfìtti da Cristo essi cercano di trattenere gli uo­
mini sotto il loro potere (Ho. Le. XXXV·). Sugli angeli delle nazioni: J.
Daniélou, Les sourcesjulves de la doctrine des anges des natlons chez
Origène, «Recherches de Sciences Religieuses» 38 (1951), pp. 132-137;
E. Peterson, Le problème du nationalisme dans le christianisme des
premiere siècles, «Dieu vivant» 22 (1952), pp. 88 -106. Origene ritiene
che la guida delle nazioni sia affidata anche ad angeli buoni; il loro
potere prima della venuta di Cristo era molto limitato: l'angelo degli
Egiziani, ad esempio, riusciva a convertire alla fede in Dio soltanto un
proselite: «Ma ora popoli di credenti arrivano alla fede di Gesù e gli an­
geli, cui le chiese sono state affidate, fortificati dalla presenza del
Signore, portano molti proseliti al fine di riunire in tutta la terra la co­
munità dei cristiani» (Ho. Le. XII). Origene non esclude inoltre che fra
i prìncipi di questo mondo alcuni possano essere stati colpiti dalla po­
tenza e dalla divinità di Gesù e che quindi si siano convertiti. Come si
spiegherebbe altrimenti che alcuni popoli e che alcune città al com­
pleto abbiamo avuto, riguardo al cristianesimo, un atteggiamento mol­
to più favorevole di altri? (Co. /o. XIII, 411-413). Al mondo reale, divi­
so in territori e sfere di influenza sottomesse a capi di vari livelli che
difendono strenuamente confini e prerogative, corrisponde un mondo
angelico simmetrico: se in quello avviene un cambiamento è perché
esso è già avvenuto in questo.
33 Questa idea è tradizionale (cfr. sopra Ignat., Ep. Eph. 19, 1-3* e
A1X, 7-15*); a Origene non doveva però sfuggire la difficoltà posta da
quei passi evangelici In cui i demòni scacciati da Gesù lo riconoscono
come Figlio di Dio. Talvolta, la sua esegesi accoglie questo dato senza
difficoltà (Ho. Ex. III, 3; Vili, 6); in Ho. Le. VI il problema è posto espli­
citamente. Dopo aver affermato, proprio sulla scorta del passo di Ignazio,
che le nozze di Maria con Giuseppe servirono a tenere nascosto al prìn­
cipe di questo mondo 11concepimento verginale, Origene tenta di spie­
gare per quale ragione, invece, lo spirito impuro ha riconosciuto il
Signore: esso viene delinito «minor in malitia», «qui vero metior est in
scelere et versipellis et nequam, ex eo ipso, quod in malo malor est,

449
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

impeditur nosse filium Dei». Il grado di malvagità sarebbe dunque cor­


relato in senso proporzionalmente inverso al grado di conoscenza; per­
ciò, mentre un demonio, per così dire, di secondo rango era in grado di
riconoscere il Signore, questo era impossibile a Satana in persona. La
fragilità di questa soluzione è la prova più evidente delle difficoltà che
potevano nascere dal tentativo di armonizzare in una dottrina coerente
i molteplici e spesso contraddittori testi scritturistici riguardanti le po­
tenze.
34 SI coglie qui una certa oscillazione nella presentazione degli an­
geli delle nazioni; prima sono stati accusati di aver crocifìsso Cristo al
fine di conservare il potere sul loro sottoposti; ciò dipende dalla gran­
de varietà di condizioni che gli angeli delle nazioni possono occupare;
alcuni sono caduti già nell’antica economia; altri, alla venuta di Cristo,
si sono convertiti; altri ancora invece si sono ostinati nel cercare di ri­
guadagnare il potere sui loro sottoposti. Impediva un giudizio com­
pletamente negativo l'idea, comune ad esponenti del paganesimo (co­
me Celso), che le peculiarità culturali dei popoli (le tradizioni religio­
se, il diritto, i costumi, la lingua) derivassero dalla diversità degli esseri
divini che li guidavano e proteggevano.
35 Gli angeli delle nazioni avevano compiti di istruzione: C. CeI.
VI, 17, 157; VII, 2. 6.
36 Origene insiste molto sul fatto che questi angeli ricoprono tale
ufficio sulla base dei loro meriti: Ho. Nm. XI, 4; Ho. Ios. XXIII, 3 e sopra
Depr. I, 5. 3*.
37 Lo sviluppo che segue sembra contraddire quanto detto sopra
sulla sapienza di questo mondo (cfr. sopra n. 32). In un primo mo­
mento gli spiriti ispiratori di queste scienze non sono presentati in mo­
do negativo, ma essi assumono caratteri nettamente diabolici nella se­
conda parte del passo. In Ho. Nm. XVIII, 3 troviamo affrontato lo stes­
so problema, ma in modo più chiaro; Origene spiega Sir. 1,1: Ogni sa­
pienza viene da Dio, e servendosi di altre citazioni bibliche dimostra
far parte della «sapienza di Dio» le tecniche degli artigiani, dei co­
struttori, la geometria, la musica, la medicina: «Oiigo totius scientiae
ab ipso (se. Dio) acceperit exordium, vitio autem humanae malitiae,
adspirantibus et subripientibus etiam daemonibus, in perniciem ver­
sa sint, quae pro utilitate concessa sunt». In questa prospettiva 1’ars poe­
tica, pur provenendo da Dio, può essere corrotta da un uso errato e
manipolata dai demòni.
3® Origene condivide con gli altri scrittori del suo tempo l’idea che
dietro al diffondersi delle eresie vi sia una strategia diabolica che ten­
ta di ostacolare il diffondersi della fede di Cristo e il progresso dell’ani­

450
ORIGENE

ma verso la conoscenza della verità e verso quella condizione che un


tempo era stata loro; sul motivo della gelosia delle potenze, cfr. sopra
e infra.
39 Su Giuda cfr. Ho. Ez. XIII, 1*.
40 Qui Origene ha di mira la mantlca pagana (cfr. C. Cel. VII, 3) e
forse anche il profetismo estatico del montanismo.
41 Questi due passi, insieme a Gn. 25, 22 (Dio che predilige
Giacobbe ad Esaù già prima della nascita) rappresentano una sfida
alla visione di un mondo umano ed angelico in cui tutto è regolato dal­
la libera scelta delle creature e dalla giustizia di Dio, perciò Origene vi
toma sopra spesso prospettando, secondo le circostanze, due solu­
zioni: il ricorso alla preesistenza delle anime oppure l'argomento della
prescienza divina (cfr. sul tema: A. Monaci Castagno, L ’interpretazione,
cit., pp. 92-98; L ’idea della preesistenza dette anime e l’esegesi di Rm
9, 9-21, In Origeniana Π, Bari 1980, pp. 69-78; M. Harl, La prèexistence
des àmes. In Orìgeniana IV, Innsbruck 1987, pp. 238-258).
42 Sulla negligenza come fonte del peccato Iniziale che ha causa­
to l’allontamento delle creature razionali da Dio: De pr. I, 4, 1; I, 6, 2;
II, 9, 2.
43 Erma, Post., Mand. VI, 2, 1-4*.
44 La morte è assimilata al peccato (Co. Mt. XII, 33), ma anche al
diavolo: Ho. Lu. IX, 11; Ho. Ios VIII, 4; Co. Rm. 1,18; V, 3. Il passo di I
Cor. 15, 24-28 è al centro della riflessione origeniana sulla fine; il suo
commento alla Lettera paollna è andato perduto (salvo alcuni fram­
menti), tuttavia egli cita spesso il passo paolino nelle sue altre opere e
ciò ha consentito a J. Rius-Camps, La hipótesis origeniana sobre e ljìn
ùltimo (peri telous). Intento de valoración. In U. Blanchl-H. Crouzel
(edd.), A rche e Telos. L'antropologia religiosa d i Origene e d i Gregorio
d iN issa. Analisi storico-religiosa, Milano 1981, pp. 58-117, di tentare
la ricostruzione del commento origeniano a tale passo.
45 Questo è il testo più esplicito a favore della salvezza del diavo­
lo; altri cenni in Co. Io. VI. 295-296; XIX, 141-142; XX, 236; XXXII,
30-33; Co. Mt. XIII. 17; X, 3; l’atteggiamento di Origene è, in genere,
molto prudente perché tali argomenti «a nobis cum magno metu et
cautela dicuntur, discutientibus magis et pertractantibus quam pro
certo ac definito statuentibus» (De pr. I, 6, 1); anche prudenze eccle­
siastiche ebbero la loro parte, soprattutto dopo la rottura con Demetrio,
il suo vescovo, e il suo allontanamento da Alessandria, cfr. Co. Mt. S.
16: «Haec prolixius et manifestius tradere per atramentum et cala­
mum et chartam visum mihi est non cautum»; Co. Rm. II, 4. Prima di
Origene, l'idea che il diavolo possa convertirsi si affaccia anche in

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

Clemente, Strom. I, 17, 83. Non dobbiamo dimenticare le Omelie


Pseudoclementine, che In alcune parti (XIX-XX) presentano un modo di
procedere molto simile a quello origeniano. SI tratta di un testo che
deve essere trattato con circospezione per le complesse vicende legate
alla sua tradizione. Composto nel IV secolo esso riprenderebbe, come
le Recognitiones, una Grundschrift del III secolo (cfr. Jones, The Pseudo-
Clementines, cit.). In questo testo troviamo le stesse considerazioni con
le quali Origene introduce la discussione sui demòni; vi appare la con­
sapevolezza che la questione sull’origine e la natura delle potenze av­
verse sia destinata a rimanere Insoluta se si prendono In considera­
zione le Scritture: da esse si evince soltanto l'esistenza di esse. La que­
stione è pertanto condotta secondo 1procedimenti propri della filoso-
fia, analizzando via via diverse Ipotesi che vengono accolte o respinte
sulla base della loro coerenza con gli assunti di partenza. La conclusione
è che, volendo salvaguardare la bontà di Dio ed il libero arbitrio, anche
il diavolo alla fine non può non salvarsi. I punti di contatto che le
Recognitiones mostrano con il pensiero di Origene sono stati indicati da
E. C. Brooks, Origen and thè Clementine Recognitions, in Origeniana
V, cit, pp. 154-157. Sulla lettura del De pr. nei secoli successivi, cfr.
il dossier di documenti raccolti in Origene, Tratte des Principes.
Introduction et traduction par M. Harl-G. Dorival-A. Le Boulluec, Paris
1976, pp. 253-300.
46 L’edizione è quella di E. Preuschen (GCS 4), Leipzig 1903.
47 II passo è uno dei testi origenianl più significativi da cui emer­
ge la dottrina della «doppia creazione·. Il maestro alessandrino accosta
I Cor. 15, 49: E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre,
cosi porteremo l'immagine dell'uomo celeste, a Gn. 1, 26 (Facciamo l'uo­
mo a nostra immagine...) e Gn. 2, 7 (la plasmazione dell’uomo con la
polvere), riferendoli a due atti distinti: la prima creazione, essendo «a
immagine» di Dio, riguarda la creazione delle nature razionali, la se­
conda riguarda la creazione dei corpi. Fra l’una e l'altra è intervenuto
II peccato delle creature razionali che si sono allontanate di loro vo­
lontà dàU'unlone con Dio (su questo tema: H. Crouzel, Théologie de
l'image de Dieu chez Origène, Paris 1956; G. Sfameni Gasparro,
Restaurazione dell'immagine del celeste e abbandono dell'immagine del
terrestre nella prospettiva origeniana della doppia creazione, in U.
Bianchi (a cura di) Arche e Telos, Milano 1981, pp. 231-266). La ca­
duta del νόες è però talvolta vista anche nel peccato di Adamo; in tale
prospettiva la condizione di Adamo prima del peccato sarebbe figura
della condizione originarla delle creature razionali, mentre la caccia­
ta dal paradiso sarebbe simbolo della caduta di esse nel mondo terre­

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ORIGENE

no (cf. P. Pisi, Peccato di Adamo e caduta del noes nell’esegesi orige­


niana, In Origeniana IV, cit., pp. 322-335).
48 La «priorità» del peccato del diavolo è suggerita ad Origene pro­
prio dalla seconda parte di Io. 8, 44 (Egli è stato omicidafin da princi­
pio). versetto che Origene è appunto arrivato a commentare in questa
sezione delll’opera. Oltre all’esegesi che pone il peccato diabolico all'ori­
gine della creazione sensibile, ve ne è anche un'altra, più aderente al
dettato biblico: il diavolo è «omicida fin dal principio» perché ha in­
dotto Adamo a peccare (per Origene il peccato equivale alla morte): Co.
Io. XX, 221; Co. Rm. V, 1; sulla base delle parole di Paolo: Tutti muoio­
no in Adamo (I Cor. 15, 22), Origene riteneva che «Adamo» stesse ad
indicare il genere umano nella sua totalità (Co. Io. XX, 224). La se­
conda esegesi non si colloca sullo stesso livello della prima; questa
viene presentata come un significato «più misterioso» (Ibid. 226) della
stessa espressione evangelica, che però Origene presenta come un’opi­
nione personale e come un'ipotesi che sottomette al giudizio di chi leg­
ge (Ibid. 234-235).
49 Origene aveva già trattato l’argomento all’inizio del Commento
(I, 96-98) nella lunga sezione dedicata ai significati di άρχή: in Iob 40,
19 (secondo la LXX) Origene vedeva riferite al drakon di Iob 40, 25, le
parole: αρχήν πλάσματος κυρίου, e ciò lo spingeva a chiedersi se il dra­
gone non simboleggiasse «colui che è diventato degno, per essere caduto
dalla sua vita pura, di essere incatenato prima di tutti alla materia ed
al corpo» (Ibid. 97) e colui che è «principio dei molti esseri che sono in
un corpo». SuH'utlllzzazione di Iob. 40, 19, cfr. De orat. 26, 5; De pr.
Ili, 6, 3.
50 II termine rimanda alla condizione originaria, dunque quella ve­
ra ed essenziale dell’uomo in quanto creatura razionale (sul significato
del termine in Origene e nella tradizione filosofica: Origene, Commento
al Vangelo di Giovanni, a cura di E. Corsini, Torino 1968, p. 172, n. 56).
51 Cioè l'immagine del diavolo; il possesso del corpo non coincide
per Origene con il possesso dell’immagine del terrestre (altrimenti que­
sta sarebbe connaturata all’uomo), ma è frutto della sottomissione vo­
lontaria alle esigenze ed al desideri della carne.
52 L’essere a «somiglianza» di Dio è superiore dell’essere «a imma­
gine» e rappresenta la meta Anale del cammino verso Dio.
53 Secondo la notizia di Clemente Alessandrino, Strom. IV, 71, 1
sarebbe stato il discepolo più stimato di Valentino. Per primo ha af­
frontato il commento continuato del Vangelo di Giovanni alla luce del­
le idee gnostiche e utilizzando l’interpretazione allegorica. Di tale com­
mento conosciamo soltanto i brani citati da Origene nel suo Commento

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

allo stesso libro evangelico (J. M. Poffet, La m èthode exègètiquè


d ’Héracleon et d ’Origène commentateurs de Jn. 4: Jésus, la Samaritaine
et les Samarttains, Fribourg 1985).
54 II versetto commentato è lo. 8, 44: «Voi (se. i giudei) siete progenie
del diavolo che è vostro padre e volete fare i desideri del padre vostro».
Eracleone riteneva che la prima parte del versetto fosse rivolta agli uo­
mini Ilici o materiali, quelli che per natura sono destinati alla morte
ed alla distruzione; la seconda parte del versetto (come si evince dal
frammento riportato in Co. Io. XX, 213-216) che implica la libertà sa­
rebbe stato rivolto agli uomini psichici i quali «sono diventati Agli del dia­
volo per posizione», cioè sulla base di una libera scelta. Più oltre (Ibid.
218), Eracleone precisa che Gesù «chiama figli del diavolo costoro non
perché il diavolo ne generi alcuni, ma perché facendo le opere del dia­
volo si sono assimilati a lui». Sull'antropologia eracleoniana ed, in par­
ticolare, sull'interpretazione dell'elemento psichico vi sono valutazioni
diverse: M. Slmonetti, Eracleone. gli psichici e il Trattato Tripartito, in
Ortodossia cit, pp. 205-243.
55 Poco prima, Origene aveva prospettato le posizioni di tre inter­
locutori fittizi.
56 In Co. Io. XX, 171, Origene ammette che il testo evangelico con­
tiene un’ambiguità; l'espressione έκ τοΰ πατρός τοΰ διαβόλου può esse­
re intesa come se vi fosse un padre del diavolo di cui sono figli anche
coloro che desiderano fare le sue opere; oppure si può intendere τοϋ
διαβόλου come apposizione di τοϋ πατρός. Il primo significato è quello
prescelto da Eracleone, mentre Origene ritiene preferibile il secondo.
57 Nel pensiero di Eracleone, il diavolo è nettamente distinto dal
demiurgo; mentre questi regna sugli psichici ed è egli stesso di tale
natura (Co. Io. XIII, 60), il diavolo appartiene alla natura ilica (Co. Io. XIII,
95: il diavolo è un a parte della totalità della materia).
58 L'edizione utilizzata per queste omelie e per quelle su Giosuè è:
W. A. Baehrens (GCS 7), Leipzig 1921.
59 Cioè le armi spirituali descritte in Eph 6, 12-17.
60 Gli esploratori mandati da Giosuè nella terra di Canaan riferi­
scono di avere visto «giganti», al cui confronto essi apparivano come
«locuste».
61 La sconfitta dei demòni viene presentata realisticamente come
una lotta per la conquista di uno spazio vitale: «Sunt quaedam adver­
sariarum potestatum gentes diabolicae, adversum quas nobis certamen
geritur et agones in hac vita desudantur. Quantascumque ergo ex his
gentes pedibus nostris subdiderimus {Ios. 1, 3) quantoscumque in cer­
tamine vicerimus, ipsorum regiones, ipsorum provincias et regna Iesu

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ORIGENE

nobis Domino distribuente capiemus» (Ho. Ios. I, 6). La battaglia contro


gli spiriti dei peccati è una battaglia privata nel senso che ciascuno de­
ve sconfìggere prima di tutto in se stesso il suo demonio; tuttavia l’esi­
to positivo o negativo della lotta ha conseguenze che di fatto oltrepas­
sano l'individuo: lo spirito definitivamente sconfitto non può danneg­
giare altri uomini (cfr. sopra Ho. Ios. XV, 6* e Ho. Le. XXXV*; Ho. Ier. L.
Ili, 2); è questo un altro modo In cui le credenze demonologiche pote­
vano essere utilizzate per attivare forti legami di solidarietà reciproca e
stimolare il senso di appartenenza ad una comunità di cui l’afferma­
zione ed 11successo sono presentati come 11risultato dell’operato di tut­
ti. Questo vale in modo particolare per il martirio: la morte dei martiri ope­
ra la «dissoluzione delle potenze malefiche», quasi che ne attutisse la vi­
rulenza anche nel tendere insidie ad altri; è come - afferma Origene -
se uno uccidesse o Incantasse un serpente velenoso: ne sono benefica­
ti quelli che avrebbero potuto esserne morsi, ma anche quelli, che già
feriti, vengono a sapere che possono essere guariti dal vedere la bestia
uccisa o calpestarne il cadavere, «molte persone, in virtù di una poten­
za ineffabile, traggono da essa (la morte dei martiri) un grande vantag­
gio» (Co. Io. Vi, 281-283; cfr. anche C. CeL Vili, 43-44).
62 L’interpretazione dei nomi propri ebraici è uno dei procedimenti
più usati da Origene per individuare il significato allegorico di un pas­
so scritturistlco.
63 La traduzione del nome ebraico in latino dovrebbe essere «Iosue»
(così la Vulgata di Girolamo); ma qui Origene (ed il suo traduttore la­
tino Rufino) segue il testo greco del LXX che riporta ’ Ιησοϋς. In tal mo­
do, viene rafforzata l’interpretazione che vede in Giosuè la figura di
Gesù.
64 Sullo stesso aspetto: Co. Mt. XII, 40; XIII, 9; Ho. Gn. IX, 3; tal­
volta la liberazione dell’uomo dal dominio del demonio è vista come il
risultato del riscatto pagato da Cristo con la sua morte al demonio:
Co. Io. VI, 53; Co. Mt. XII, 28; XVI, 8; C. CeL I, 31; VII, 17. Sul tema,
cfr. M. Simonetti, La morte d i Gesù in Origene, «Rivista di Storia e
Letteratura Religiosa», 8 (1972), pp. 3-41.
65 Cfr. sopra n. 45.
66 II passo contiene la presentazione più completa sul tema degli
spiriti dei peccati (cfr. però anche Co. Io. XX, 326-334; Co. firn IX, 42);
ma non era la prima volta che Origene ne trattava cosi a lungo con il
suo pubblico, perché ricorda di averne fatto una trattazione simile an­
che in un’omelia a Ps. 101, 8 (Ho. Ios. XV, 6). Doveva però presumere
che queste idee non fossero molto familiari al suo pubblico (Ibid.: «Se
a qualcuno fa difficoltà o ritiene incredibile quanto ho detto.... «), per­

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

ché espone dettagliatamente le «prove» bibliche ed extrabibliche delle


sue affermazioni. Egli cita un libellus, «qui appellatur testamentum
duodecim patriarcharum, quamvis non habeatur in canone...» (ibid.).
Nel testo che possediamo, possiamo leggere la trattazione degli spiri­
ti dei peccati in Test Ruben II, 1-III, 7, ove si tratta dei sette spiriti
deH’inganno o dell’erTore che Beliar ha messo contro l'uomo (altri cen­
ni nel Test. Giuda XIII, 3; Test. Issachar IV. 4). Dalla spiegazione di
Origene emerge un mondo diabolico molto più organizzato di quanto si
possa dedurre dalla fonte che egli cita; in particolare si parla soltanto
di sette spiriti e non di un «numero infinito» come sostiene Origene.
D'altro canto, dalla localizzazione di tre del sette spiriti in altrettanti
parti del corpo [Test. Ruben III, 4-5), se ne poteva dedurre l’idea che
vi fossero almeno sette spiriti per ogni uomo ed anche molti di più co­
me poteva essere dedotto anche da Me. 5, 9 e parali. Inoltre, consta­
tata la somiglianza dei meccanismi psicologici sulla base dei quali 1
diversi peccati si insinuano nell’anima dei singoli, se ne poteva de­
durre una certa coordinazione nell’operato di questi spiriti: di qui for­
se l’idea dei principes che li comandano. Sul tema cfr. S. T. Bettencourt,
Doctrina ascetica Origenis, seu quid docuerit de ratione animae huma­
nae cum daemonibus, Roma 1945, pp. 139-143.
67 Un'altra immagine frequente per spiegare la compromissione
deH’anima con i vari spiritus è quella dell’adulterio: all'anima pura
da ogni peccato che riconosce come unico sposo Cristo, viene con­
trapposta l’immagine della meretrice che ha come suoi numerosi
amanti i demoni preposti al singoli vizi (Ho. Ex. VIII, 5; Ho. Lv. XII,
7). Origene presenta la conseguenza della fornicazione dell'anima
con i vari spiritus nel termini di una vera e propria - diremmo noi -
perdita di centro: l’uomo che appartiene esclusivamente a Dio è uno;
l’uomo che ha fatto spazio in se stesso agli spiriti dei peccati è divi­
so e molteplice ed è trascinato nelle direzioni più diverse dai demò­
ni che lo posseggono (Ho. Re. L. I, 5; Ho. Lv. V, 12).
68 Origene stabilisce uno stretto parallelismo tra i culti idolatrici ed
i peccati; come nel fumo e nel sangue delle vittime i demòni trovano 11
loro nutrimento (cfr. De orat. XLV; C. CeL VII, 5), così nell'anima del
singoli essi trovano nutrimento nei peccati (Ho. Gn. I, 17; Ho. Is. Vili,
1-2; Ho. lud. Ili, 3); ogni peccato ripete l’atto di consacrazione di se
stesso allo spirito dei peccati corrispondente, pari all’atto di iniziazio­
ne misterica (Ho. Nm. XX, 4). Di conseguenza evitare i singoli peccati
significa, molto realisticamente, togliere il nutrimento vitale allo spi­
rito corrispondente. Questo significa in un certo senso «farli morire», ma
«senza distruggere la loro sostanza» (Ho. Ios. Vili, 7).

456
ORICENE

69 Nemmeno altrove Origene determina meglio il luogo ove i demò­


ni sconfitti vanno a finire; d’altro canto la sua esistenza è resa neces­
saria dal fatto che il giudizio e la punizione del diavolo e dei suoi demò­
ni avverrà soltanto alla fine di questo mondo (Ho. Ex. Vili, 6).
70 Origenis Homiliae in Ezechiel (GCS 8) hrsg. von W. A. Baehrens,
Leipzig 1925.
71 Nella predicazione di Origene troviamo altri casi In cui l’omelia
soddisfa richieste particolari; per 11quadro liturgico della predicazione
cfr. Monaci Castagno, Origene, c it, pp. 50-57.
72 Un significato letterale che Origene interpreta in modo molto
rigido, proprio per rendere più evidente la necessità del ricorso all'al­
legoria; su questo procedimento cfr. M. Simonetti, Lettera e/o allegoria.
Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma 1985, p. 85.
73 Origene argomenta nello stesso modo di Tertulliano secondo
cui le parole di Ezechiele «ad suggillatlonem angeli, non ad illius prin­
cipis proprie pertinere manifestum est eo, quod nemo hominum in pa­
radiso Del natus sit, ne ipse quidem Adam, translatus potius illuc,
nec cum Cherubin positus in monte sancto, id est sublimitate caelesti,
de qua satanan Dominus quoque cecidisse testatur, nec Inter lapides
Igneos demoratus, Inter gemmantes siderum ardentium radios, unde
etiam quasi fulgur deiectus est satanas» (Adv. Marc. II, 10, 3); cfr. an­
che Ibid. V, 11, 11 ove compare Is. 14, 14.
74 Cfr. sopra De pr. III, 3, 2*.
75 Come dimostra il nome proprio del principe di Israele, Michele.
7® L’inciso rimanda al testo ebraico che reca l’espressione «figli di
Israele» e forse è un’aggiunta del traduttore latino, Gerolamo. Origene
non ignora la differenza che su questo punto esisteva fra il testo gre­
co della L X X e quello ebraico, tuttavia preferisce quasi sempre la pri­
ma anche nelle opere di cui possediamo il testo greco (cfr. Origène,
Homélies sur Ézéchiel (SC 352). Texte latin, introductlon, traductlon
et notes par M. Borret, Paris 1989, p. 404, n. 3).
77 II cenno non è sviluppato, ma certo al pubblico di Origene, a
tuato ad associare il mostro marino ad una potenza malefica, il ter­
mine doveva rendere ancora più evidente l'identificazione del Faraone
con una potenza avversa (per la simbologia del dragone cfr. De pr. Ili,
2, 1 e sopra n. 49). Nel Faraone Origene vede spesso simboleggiato il
diavolo, che domina su questo mondo di cui l’Egitto è simbolo (Ho. Ex.
I, 1 e passim). In Ho. Nm. XI, 4 il riferimento di nomi di prìncipi e di
re «ad malos angelos et ad virtutes contrarias» viene enunciato come
principio esegetico generale soprattutto per quei personaggi che, nell’AT,

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

contrastano e combattono i Agli di Israele.


78 Qui il commento di Origene lascia in ombra la responsabilità di
coloro che concretamente tradiscono e perseguitano i cristiani. Quando,
tuttavia, il passo relativo a Giuda è commentato estesamente, viene
sottolineata la sua responsabilità (Co. Io. XIX, 245). Sull' interpreta­
zione della figura di Giuda: G. Lettieri, Origene, Agostino e il mistero di
Giuda. Due esegesi di Ioti. XIII in conflitto, in L. Padovese, Atti del V
Simposio di Efeso su S. Giovanni apostolo, Roma 1995, pp. 169-213.
79 Origene si preoccupa di precisare che il significato allegorico
non elimina la storicità dei personaggi citati. Sul rapporto storia-alle-
gorìa: Simonetti, Lettera, cit, p. 84; sulle difficoltà suscitate dal me­
todo allegorico nella Chiesa del III secolo cfr. Monaci, Origene, cit., pp.
95-127.
80 L'insistenza sul motivo del pianto intende suggerire la conclu­
sione che se queste potenze fossero state malvagie per natura e quin­
di destinate alla perdizione, non vi sarebbe stato motivo di piangerne
la caduta.
81 Cfr. Ho. Nm. VII, 6*.
82 Cioè, secondo il greco, «portatore di luce».
83 Parole forti, se si pensano rivolte ai «prìncipi» della Chiesa, cioè
ai vescovi che gli avevano chiesto di commentare il passo.
84 Origenes Werke (GCS 9): Die Homilien zu Lukas in der Ùber-
setzung des Hieronymus und die griechischen Reste der Homilien und
des Lukas-Kommentars, hrsg von M. Rauer, Berlin 1959.
85 M. R. James, The Testament of Abraham, Cambridge 1892, p. 26
era convinto che Origene conoscesse il Testamento di Abramo, ma che,
in Ho. Le. XXXV, lo confondesse con 1’ Assunzione di Mosè e con
VApocalisse di Pietro che trattavano della stessa topica del viaggio
deU’anima. A Qumràn sono stati rinvenuti alcuni frammenti di un
Testamento di Amram, ove si narra della disputa che avviene presso
il letto di morte di Amram fra l’angelo buono e l’angelo maligno
dall’aspetto terrificante per il possesso del suo corpo. Tenendo pre­
sente che il nome del padre di Mosè, secondo i LXX e la loro tradizio­
ne manoscritta, era trascritto ’Αμράνο ’Αμβράμ; ’Αβράμ; ’Appóv(es.
Ex. 6, 20; I Chr. 5, 28). è verosimile quanto ipotizza J. T. Milik, 4. Q„
cit, secondo cui il testo al quale Origene si riferirebbe sarebbe appunto
il Testamento di Amram Lo studioso considera anche l’espressione
utraeque turmae una correzione posteriore, come è verosimile consi­
derando la grande divergenza delle lezioni (ibid. p. 87). All’origine vi
sarebbe stata l’espressione greca δύο είρειν (utrumque eirein), che tra­
slitterava il vocabolo aramaico che significa «spiriti», «vigilanti», voca­

458
ORIGENE

bolo ancora familiare a Origene ed al suo traduttore, Girolamo, ma del


tutto Impenetrabile per i copisti latini successivi che l’avrebbero tra­
sformata in modo irriconoscibile in utraeque turmae.
86 Erma, Mand. VI, 2, 1*; Origene teneva questo scritto in grande
considerazione, anche se la sua posizione in relazione all’ispirazione
divina di tale testo è oscillante (cfr. Borret, cit, p. 426, η. 1).
87 Ho. Ex. IX, 4: «... Pars Illa quae... pretiosior omnium, quod qui­
dam principale cordis appellant, alii rationabilem sensum, aut intel­
lectualem substantiam, vel quocumque modo appellari potest in no­
bis portio nostri illa, per quam capaces esse possumus Dei». Nell’an­
tropologia di Origene è: «le principe des sens spirituels, de cet oeil, de
cette ouie, de ce toucher, de ce gout et de cet odorat spirituels qui nous
font percevoir les réalités sumaturelles» (Crouzel, Théologie, cit., pp.
159-160).
88 Origene cerca di delineare partendo da appigli anche minimi
del testo una gerarchia demoniaca; come gli spiriti dei peccati faceva­
no capo, divisi per genere di peccati ad un «principe», così gli «avversari»
dipendono dagli angeli delle nazioni che in questo passo appaiono co­
me potenze negative. Non è chiaro il rapporto fra queste due burocra­
zie, come d’altro canto non era chiaro neppure nel Pastore il rapporto
fra «spiriti dei peccati» e gli «angeli di iniquità».
89 Aggiunta del traduttore Girolamo.
90 La speculazioni relative alle potenze sono riservate al perfetti:
cfr. sopra n. 8; un motivo di ulteriore prudenza può essere visto nel
fatto che l’esegesi di Origene poteva sembrare troppo simile a quella
riferita da Ireneo, a proposito della stessa parabola, e attributa a
Carpocrate e al suoi discepoli (Adu. Haer. I, 25, 4). Per entrambi, i per­
sonaggi della parabola rappresentavano potenze m a lign e ed ambedue
ponevano l'accento sulla temporaneità della punizione. Per Carpocrate
ciò era funzionale alla dottrina della reincarnazione.
91 Cioè, Intende Origene, durante la vita terrena.
92 Come viene spiegato nei paragrafi 10-11 della stessa omelia, il
«giudice» simboleggia Cristo che giudica la quantità e la natura dei
peccati di ciascuno e ne stabilisce la pena in proporzione: cfr. sul te­
ma: Monaci Castagno, Origene, cit., pp. 234-235.
93 Origene non dice esplicitamente che gli esattori sono potenze
maligne, ma vi si riferisce costantemente utilizzando il termine evan­
gelico che le simboleggia (anche prima, nel caso degli «avversari»). Il
predicatore vuole qui forse mantenere volutamente un’ambiguità di
espressione in argomenti che ritiene pericolosi per il suo pubblico.
94 Origene riprende il tema del viaggio dell’anima dopo la morte.

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IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

quale ha descritto in Ho. Ps. XXXVI, VII (cfr. Visto Pauli 14*); i due pas­
si si differenziano perché In questo è più netta l'affermazione che l'ani­
ma del giusto si sottrae all'attacco degli angeli maligni.
95 II termine latino, come quello greco, usato da Le. 12, 58 e da
Is. 3, 12 (πράκτωρ) Ìndica sia colui che esige 11debito, le imposte, sia
colui che ha il compito di eseguire il giudizio, nei casi di insolvenza e
assume quindi 11 significato di «punitore», «esecutore·.
96 Come si comprende dai paragrafi successivi, non si tratta di
una condanna eterna: «Infatti chi deve poco, non uscirà dal carcere
prima di aver pagato il più piccolo quarto d ’asse (Le. 12, 59), chi sarà de­
bitore di una gran somma, si vedrà addebitare un numero infinito di se­
coli per saldare il suo debito. Per questo sforziamoci di liberarci dall’av­
versario, mentre slamo in cammino...» (Ibid.).
97 Origenes W erke (GCS 2): Gegen Celsus V-VIII, hrsg. von P.
Koetschau, Leipzig 1899. Con gli otto libri del C. CeL, Origene intendeva
confutare 11Discorso vero composto da Celso nel 177-180. Questo scrit­
to polemico contro i Cristiani è perduto ad eccezione delle parti citate
da Origene. Non sappiamo chi fosse Celso di cui neppure Origene co­
nosceva più l'identità.
98 Sono gli enigmi contenuti nei miti religiosi dei popoli e nelle pa­
role oscure dei filosofi più antichi, che soltanto l'interpretazione alle­
gorica può decifrare, interpretazione che, secondo Celso, i cristiani
non sarebbero in grado di applicare. Sul confronto fra 1diversi modi
di intendere l’interpretazione allegorica: A. Le Boulluec, Les représen-
tations du texte chez les philosophes grecs e t l'exègèse scripturaire
d'Origène. Influences et mutations, in Origeniana V, cit., pp. 101-118.
99 Contro il dualismo dei cristiani: C. CeL Vili, 11. Sulle difficoltà
causate ad una mentalità filosofica greca dalla credenza cristiana sul
diavolo, cfr. Athen., Leg. 24*. Anche Clemente Alessandrino, là dove
si sforza di Individuare nella tradizione filosofica greca paralleli e/o
plagi della dottrina cristiana sul diavolo ed sugli spiriti malvagi cri­
stiani (Strom. V, 92, 5; V, 127, 4), presuppone implicitamente l'esi­
stenza di una discussione in merito.
10° Allusione all’Anticristo; sul grado di conoscenza che Celso ave­
va delle Scritture cristiane, cfr. G. Rinaldi, Biblia gentium, Roma 1989,
pp. 61-64.
101 Π. XV, 18-24; Celso ha citato Eraclito, Ferecide, il mito gre
relativo ai Titani ed ai Giganti e quello egiziano su Tifone, Horus e
Osiride, alcuni versi deH’iliade come testimonianze dell'esistenza di
lotte e contrapposizioni all’interno del mondo divino ed ora ne offre of­
fre l'interpretazione corretta.

460
ORIGENE

102 L’equivalenza Zeus=Dio, Era=materia è fatta risalire da Origene


a Crlsippo in C. Cel. IV, 48.
103 Sulla teoria del plagio, cfr. Introd. pp. 66-67.
104 Secondo Origene, non sono stati 1 cristiani a fraintendere
Ferecide (come vorrebbe Celso), ma sarebbe stato Ferecide stesso ad
Ispirarsi al racconto geneslaco quando racconta dello scontro fra i due
eserciti, l'imo comandato da Crono, l'altro comandato da Ofloneo, per
il possesso del cielo. Ofloneo, sconfltto, fu scacciato dal cieli e preci­
pitò nell'Oceano.
105 L’accenno al serpente di Gn. 3, 1 sgg. apre una lista di testi­
monia biblici veterotestamentari (Ex. 12, 23; Lv. 16, 8; Iob 1, 6; 40, 1;
Ez. 26-32; Is. 14, 4 sgg.), che ricopre quella di De pr. Ili, 2, 1. Da essi
- conclude Origene con un'allusione al passo platonico di Phtl. 246
b-c - si possono apprendere Insegnamenti sull'origine del male e sul­
la maniera in cui alcuni esseri persero le ali al seguito di colui che le
perse per primo.
106 cfr. sopra n. 27.
107 cioè gli gnostici e 1marcioniti che si facevano forti di tali pas­
si per affermare l’esistenza di due dèi, l’uno malvagio, il demiurgo, che
veniva identificato nel Dio dell’AT, l'altro buono, rivelato da Gesù.
108 Tema topico nelle filosofie provvidenzialistiche del tempo: Max.
Tyr., Or. XLI, 4; Marco Aur., Vili, 50.
109 Celso riprende un testo classico della lotta dei cristiani con­
tro gli idoli, ritorcendolo però contro di essi. Egli In sostanza sostiene
che la partecipazione ai sacrifici potrebbe essere considerata un άδιάφο-
pov; ma Origene, in D e orat. XLV, nega esplicitamente la sostenibilità
della posizione di «alcuni· (cristiani? Lo stesso Celso?), che ritengono
«una cosa indifferente fare sacrifici».
HO Origene nega che dal nome si possa inferire l’appartenenza di
questi esseri a Dio; egli Insiste sull’argomento anche altrove (C. C e l
V, 5): 11nome di «demone· non è μέσον, come quello di uomini che può
riferirsi sia ad uomini buoni, sia malvagi; esso è assegnato - si riferi­
sce evidentemente all'uso biblico della LXX - soltanto a potenze ma­
lefiche prive del «corpo più spesso·.
I H Tali appellativi sono frequenti; cfr. ad esempio: IR e . 10, 27;
Ez. 18, 10; II Re. 3, 24.
112 Nella prospettiva di Celso, ogni popolo ha il diritto di restare
dele alle proprie tradizioni ed egli giudica severamente chi le abban­
dona per seguire quelle altrui (C. C e l V, 41). Da tale punto di vista, 1
cristiani appaiono doppiamente colpevoli; in primo luogo, perché essi
per aderire al cristianesimo che non è espressione di nessun popolo, si

461
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-IU

sono allontanati dalle tradizioni patrie; In secondo luogo, perché han­


no abbracciato le credenze ed 1costumi di un popolo come quello ebrai­
co che mette le proprie tradizioni al di sopra di tutte le altre e che per­
ciò è riprovevole (C. Andresen, Logos und Nomos. Die Polemik des
Kelsos wlder das Christentum, Berlin 1955, pp. 194-195).
113 Su questa idea cfr. sopra pp. 198, n. 19; Dillon, Middle
Platonists, cit, pp. 90; 171; 318 e passim.
114 Ho. Ier. X. 6; Ho. Gn. XXIII, 2; Ho. N m XIV, 2.
115 Accetto la correzione di H. Chadwick (Origen, Contra Celsum,
Cambridge 1953, p. 474, n. 7); Koetschau: τινα, εΐπερ ταΰτα.
116 Stesse osservazioni in Tert., ApoL XXII, 6*.
117 I trentasei demoni sono 1decani che regnano sulle diverse par­
ti dello zodiaco cfr. W. Gundel, Dekane, in P. W., Suppl. VII (1940), p.
118. Sulla base della corrispondenza fra il macrocosmo dell'universo ed
11microcosmo dell’uomo si riteneva che questi demoni regnassero su
altrettante parti del corpo; cfr. A.-J. Festugière, La réuélation d’Hermès
Trismegiste, voi. I, Paris 1950, p. 139; idee simili anche nella gnosi ove
queste potenze sono considerate malefiche (Filoramo, Aspetti, cit., p.
208), come del resto talvolta anche nel mondo ellenistico.
118 In quest’opera Origene ripete spesso l’argomento tradizionale
della superiorità degli esorcismi e dei miracoli cristiani su quelli elle­
nici [Ibid. I, 6; 24-25; 60). Non bisogna dimenticare che sullo sfondo
permane la distinzione fra ciò che è veramente male o bene e ciò che In­
vece è «indifferente». Il giusto, in quanto tale è al riparo soltanto dal
vero male, cioè quello che deriva dall’uso distorto del libero arbitrio,
cosa che ricade sotto il dominio dell'uomo. Parallelamente nelle gua­
rigioni ed i miracoli di Cristo, in quanto si esercitano su aspetti «acci­
dentali» (cfr. sopra n. 27) - e le malattie sono appunto fra questi - va
ricercato un significato più profondo (Co. Io. X, 66; VI, 166).
119 Allude agli angeli delle nazioni (cfr. sopra nn. 32; 34) e, in una
prospettiva di salvezza universale, anche al demòni.
120 Questo frammento, insieme a quelli immediatamente succes­
sivi, paiono introdurre un certo ridimensionamento al culto dei de­
moni, rivelando il fondo platonico del pensiero di Celso; egli sembra
distinguere i demoni terrestri, su cui riverbera il disprezzo che il pla­
tonismo nutriva versa le realtà sensibili, da altri demoni che, invece,
«non hanno nessun desiderio e nessun bisogno» {Ibid. Vili, 63). Egli
ricorda, inoltre, che la meta finale dell’anima è la conoscenza di Dio
«vuoi con questi (se. i demoni), vuoi senza di questi». Origene ha qui
buon gioco a sottolineare le contraddizioni implicite in ima posizione
che, da una parte, difende gli oracoli e 1culti tradizionali strettamen­

462
ORIGENE

te collegati al culto demonico, ma, dall’altra, rivela un certo distacco


e diffidenza riguardo agli stessi ed al comportamenti che essi suscita­
no. È possibile che Celso ammettesse l'esistenza di più livelli all’inter­
no del mondo demonico; al livello più basso starebbero appunto i de­
moni terrestri, forse gli stessi scaraventati sulla terra che compaiono
in VI, 42*. Sulle differenze esistenti Ira 1demoni nelle filosofie del tem­
po, cfr. sopra Clem. Alex., Protr. II, 40, 1*. Non sembra che Celso con­
siderasse malvagi 1demoni terrestri; in altri pensatori del tempo, an­
che se difficilmente integrabile all’intemo di uno schema demonologl-
co platonizzante, l’esistenza di demoni malvagi è ammessa (cfr. introd.
pp. 65-66).
121 Riprende il tema degli adiqfora.
122 Qui risiede la differenza principale fra la concezione di Celso e
quella di Origene; il primo riusciva a conciliare il monoteismo con la
pluralità degli dèi tradizionali raffigurandosi un mondo divino organiz­
zato gerarchicamente in modo slmile a quello terreno. Come in questo
gli onori tributati ai funzionari intermedi non tolgono nulla alla signoria
dell'unico re, così in quello divino gli onori tributati al demoni non smi­
nuiscono il Dio supremo. Anche per Origene l’ordinamento dell’univer­
so e la protezione del singoli sono affidati ad una pluralità di esseri spi­
rituali, ma egli nega che svolgano le loro funzioni a seguito di preghie­
re e culti; l'unico culto ammesso è quello dedicato a Dio (C. CeL V, 5).

463
INDICI
INDICE DEI TESTI

A poca lisse d i Pa olo 11-12 288


14-16 290

Ascensione d i Isa ia 1, 1 - li, 6 146


VII, 9-12 147
X, 8-15 148

ATENAGORA
S upplica p e r i cristia ni XXIV, 2 - XXVII, 2 186

Atti, d i G iovanni 30-32; 36 260


41-42 262
54 264
56-57 264
114 266

A tti d i P ie tro V III 276


XXII 278

CIPRIANO
G li apostati 24-25 334
L ’unità d ella chiesa ca ttolica 3 338
Lettera 69, 15-16 340

CLEM ENTE ALESSANDRINO


Protrettico I, 7, 4-6 246
11,40,1 - 4 1 , 4 246
XI. I l i , 1-3 248

467
IL DIAVOLO G 1 SUOI ANGELI - SECOLI I-III

Stromati. I. 18. 1-4 250


II. 111,3-4 252
1 1 .1 1 3 .3 - 114,2 220
II, 114. 3-6 224
1 1 .1 1 5 .3 - 117,3 252
E stra tti d a Teod oto 72-84 236

ERMA
I l Pastore. Visioni IV. 1, 5-9 128
P recetti IV, 3, 4-5 128
V, 1, 1-4 130
VI. 2, 1 - 4, 6-9 130
XI, 1-3; 11-12; 14; 17 132
XII, 5, 1 - 6, 1 134

FI UMILIANO
In Cipriano, Lettera 75, 10 348

GIUSTINO
P rim a A p o log ia 54, 1-10 154
58, 1-3 156
62. 1 158
66, 3-4 158
Seconda A p olog ia 5, 1-6 160
8. 1-5 160
D ialogo co n Trifone 85, 1-3 162

IGNAZIO
Lettera a gli E fesin i 19, 1-3 118
Lettera a i R om a n i 7, 1-3 118

IPPOLITO
C onfutazione d i tutte le eresie V, 26, 1-24 208

IRENEO DI LIONE
Esposizione d ella predicazion e apostolica 11-12 202
16; 18 203
C ontro g li eretici I, 5, 1-4 228

Lettera d i B a rna ba 4 .9 -1 0 124


18, 1-2 124

468
INDICE DEI TESTI

ORIGENE
I P rin cip i pref., 6; 8 354
I. 5, 2-3 354
I, 6, 3 360
III, 2, 2-7 362
III, 3, 1-5 372
III, 6. 5 386
C om m ento a l Vangelo d i G iovanni XX, 182-183 388
XX, 198-200 390
XX, 250-255 390
Omette sul Numeri VII, 6 392
Omelie su Giosuè Vili, 2-4 396
XV, 5-6 402
Omelie su Ezechiele XIII, 1-2 406
Omelie su Luca XXXV, 3-9.12 418
Contro Celso VI, 42-43 424
VI, 55 426
Vili, 24-25 428
Vili, 28; 31 430
Vili, 58-61 432
Vili, 64 438

Passione d i P erp etu a e Felicita IV, 3-7 298


X, 1-15 298

TAZIANO
Discorso ai Greci 7-8 172
15-17 174

TERTULLIANO
Apologetico XXII, 1-12 308
Gii spettacoli XIII, 1-5 312
La penitenza VII, 7-10 316
L'idolatria 14, 1 - 15. 6 318
La prescrizione contro gli eretici 40, 1-7 324

469
INDICE DELLE CITAZIONI
E ALLUSIONI BIBLICHE

Genesi 12. 23 282, 461


33, 11 371
1, 1 283
1, 2 344
1, 26 389, 391, 452 LEvm co
2, 4 b -7 216
2. 7 211, 391, 452 16. 8 29, 461, 346
2. 8 209 17, 7 346
2, 9 209
2, 10 211
2. 11 216 N umeri
2, 16 204, 215
3, 1-24 19, 179 13, 33 393
3, 1 461 24, 17 122
3, 15 302
6, 1-4 17. 167
15, 5 417 D eutbro f
25, 22 451
28, 12 302 23, 1 431
32. 24 447 32, 17 29
49, 10-11 155 32, 8-9 411, 421

E sodo Giosuè

4. 24 282 1, 3 455
6, 20 458 8, 1 397

470
INDICE DELLE CITAZIONI E ALLUSIONI BIBLICHE

8. 25-26 112 10, 10-11 417


8, 29 399 18. 11-14 29
10, 24 303 40, 1 461
11, 20 403 40. 14 102, 189
40, 19 453
40, 25 453
I Samuele 42. 2 389

25, 3 413
S almi

IR e 2 ,2 379, 409
2, 9 50
2, 1 344 8 .6 175
7, 13 413 18. 6 157
10, 27 461 21, 22 241
23, 7 163
23, 10 165
II Re 26, 1 371
36, 40 295, 296
3, 24 461 37. 14 282
9, 35 285 74, 13 302
18, 2. 21 149 74. 14 28
81, 6-7 409
90, 13 239
I C ronache 96, 5 62
101. 8 455
5, 28 458 109, 1 213
21, 1 31 117, 19-20 213
123, 1-3 413

T obia
P roverbi
3, 8 30
4, 16 30 4 ,2 3 419

G iobbe Sapienza

1. 6 31,461 2,23 -2 4 179, 180


1, 12 373

471
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-III

S iracide (E cclesiastico ) Ezechiele

1. 1 450 18, 10 461


2 1 .2 7 31 26-32 442, 461
26, 28 sgg . 102
28 377
I saia 28. 11 294, 413
28. 12 407, 415
I, 14 321 28. 14 180
1, 16-20 167 29, 3 411
3, 12 423, 460
5, 14 29
7, 14 157 D aniele
10, 13-14 411
10, 15 139 7 302
I I , 6-9 34 10, 13 407
13, 21 346 10, 13, 20 377
14, 4-21 103, 443. 461 10, 20-21 421
14. 4 417 10, 21 407
14, 12-14 102, 179
14, 12-15 294
14. 12 180, 415, 417 O sea
14, 14 204, 457
27. 1 28. 302 13, 14 29
34, 14 29
45, 5 233
46, 9 233 A mos
51, 17 415
53, 2-3 163 4, 11 277
62, 11 423

SOFONIA
G eremia

1. 15 295
1, 5 385
8, 4-5 417
18, 1-11 139
Z accaria

3, 2 31
L amentazioni
9, 9 166

1. 1 415
472
INDICE DELLE CITAZIONI E ALLUSIONI BIBLICHE

M atteo 1. 39 35
2, 1 SGG. 36
2. 6 237 3. 8-12 35
5, 8 225 5, 1-13 35
5, 14 417 5, 9 456
5. 16 323 6, 14-16 285
6. 13 296 6, 17-29 284
6, 24 315 7, 18-23 37
7, 7 253 7, 21 367
7. 15 166 8, 38 357
7, 23 277 9, 14-29 35
8, 12 293, 405 9 ,2 8 143
10. 29 373 13 47
11, 2-6 38 13, 21-23 48
U. 6 39 13. 25 48
12. 22 36 13, 26 47
12. 24-29 38 14. 24 40
12. 28 38 16, 15 239
12, 42 375
12,43 346
12. 45 225 L uca
13. 39 357
14. 3-12 284 1. 41 385
14, 24 397 2, 13 122
17, 14 36 2. 14 237
16, 18 369 3, 19-20 284
19, 17 25 4, 33 361
21, 1 SGG. 166 6. 16 411
22, 16-21 323 7, 31 361
22, 30 431 8. 31 294, 405
24 47 10. 18 180, 395, 443, 415
24, 29 417 10, 19 239, 393
25, 41 102, 355, 357, 11. 15 442
361, 431 11, 20 38
26, 27 40 11, 24 346
26, 57 sgg . 281 12. 58 419, 460
12. 59 460
13, 25 277
M arco 21 47
22, 19-20 159
1, 12-13 34 22. 20 40
1, 21-26 35 23, 7 281

473
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

G iovanni 20, 29 282


21, 3 411
1. 52 415
3, 13 415
4, 10 121 Romani
6, 33 121
7, 34. 36 53 2. 10 409
7, 42 121 2, 24 319
8. 21 53 3. 8 42
8, 44 137, 256, 283, 328, 5, 20 344
391, 453, 454 6, 1 42
10, 1 237 6. 3 239
10, 11-14 237 6, 4 119
10, 12 166 7. 20 46
12. 26 53 8. 9 46
12, 31 52, 152, 197, 357 8, 15 46
13, 2 149, 383 8. 21-37 43
13. 27 413 8, 23 40
13, 36 53 8, 38 371
14. 2 53 9, 9-21 451
14, 3 53 11. 11 417
14,6 423 11. 18 417
14. 12 395 12. 6 40
14, 30 291, 295, 296, 401 13. 7 423
16. 11 52 13. 12 46
16, 33 371
17. 14 241
I C om m i

Α τπ 1, 7 40
2. 6 448
3, 1-10 271 2, 6-7 409
4, 1-4 271 2, 6-8 375
5, 12-16 271 2. 9 213
8, 5-8 271 2, 12 40
8. 9-24 143 2, 15 411
9, 15 369 3, 6 40
9, 42-43 271 4, 6-8 42
10, 38 441 5, 5 42
11. 19 411 5. 10 321
13. 10 283 6, 3 330

474
INDICE DELLE CITAZIONI E ALLUSIONI BIBLICHE

6 ,9 40 Galati
6, 10 445
6, 13-18 41 1, 4 40
7, 5 42 1, 10 321
8. 4 429 4, 9 41, 44
8, 4 313 6, 14 399
9, 22 321
10, 1-2 341
10, 1-7 41 E fesini
10, 6 341
10, 18 423 2, 1-2 4
10, 20-21 429, 431 2, 2-3 281
10, 32-33 321 2, 6 401
10, 6 341 3, 10 152
15, 1-28 41 4, 27 45, 46, 447
15, 3-4 40 6, 10-13 46
15, 10 371 6, 11 175, 419
15, 22 403, 453 6. 12 359, 371, 393,
15, 24 41 405, 421, 447
15, 24-28 451 6, 12-17 454
15, 26 387 6, 19 397
15, 41, 42 417
15, 47 389
15, 49 241, 452 F ilippesi

2, 9 442
I I Corinti 2, 10-11 435
2, 10 357
1, 22 40 3. 18-21 43
2. 11 42 3, 20 395
4. 4 197 4, 13 371
4, 13 40
4. 18 363
5, 5 40 Colossesi
6. 7 46
6, 14 315 1, 15 165
10, 4 46 1, 16 359
11, 14-15 339 2, 6-15 44
12, 1-5 286 2, 13 239
12, 7-8 42 2, 13-15 44
2, 14 399

475
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI l-lll

l TESSALONICESI 3, 19 23
5.8 112,387.401
2, 18 41 5,8-9 282
3, 5 42
4, 15-17 43
5, 19 40 Π Pietro

3,3 48
Π T essalonicesi

2, 5-6 48 I Giovanni
2. 8-12 48
2. 13 357
2, 18-21 48
/ T imoteo 3.8 393
4.3 48
4, 1-2 48
6. 1 319
Π G iovanni

Π Timoteo 7 48

3, 1-5 48
Giuda

E bret 5-6 23
8 445
2, 7 175 9 445
2. 14 57
6, 4-5 57
A pocalisse

Giacomo 1, 17-18 48
1,20 180
1, 15 280 1.20 20
2. 19 239 2,9 55
4, 7 137 3, 9 55
5,6-14 49
6, 1. 3. 5. 7 285
l P ie tro 7, 7 289
7, 14 49
2 . 21 399 9, 1-11 138

476
INDICE DELLE CITAZIONI E ALLUSIONI BIBLICHE

11, 15 49 16. 14 50
11, 8 303 19, 13-16 49
12. 2 302 19, 13-21 51
12, 4 20, 49 19, 15 2Θ5
12, 9 49, 50, 302, 357 19, 17 285
12. 10-12 49 20, 1 294
13. 1 137 20. 4 51
13. 2 50 20. 10 51
13. 11 50 21. 4 403
15, 3-4 49 22. 1-7 49
16, 13 50, 137 22. 17 285

477
INDICE TEMATICO

Abisso luogo di punizione per i Gabriele 209


demòni 20, 405; per le ani­ Michele 18, 209, 409
me empie 289 (v. Tenebra) Raffaele 18, 29, 30
Abito bianco/nero simbolo del­ Uriele 20, 26
le virtù e dei peccati 283 (v. Arcangeli; Spiriti; Dottrina
Abramo 417 dei due spiriti; Stelle)
Achamoth 229-233 Angeli malvagi si sono uniti al­
Acqua 241, 343 le donne 17, 18, 19. 21. 22,
Adamo 27, 63. 215, 280; A. 23, 63, 161, 189, 203; pec­
bam bino 202, 249 (v. Èva) cato angelico 171, 309; han­
Adiaphoron 106, 373 no insegnato le arti magiche
Aldilà 267, 289 (v. Magia); le tecniche;
Albero della vita 27, 209; A. del­ l’astrologia 17, 19, 175, 203;
la conoscenza 209 la scrittura 19; combattono
Angeli buoni creati prim a contro gli uomini 237, 419-
dell’uomo 173; soviintendo- 421; punizione degli A. 18;
no ai fenomeni naturali ed A. della madre Eden 209; A.
alla provvidenza particolare delle nazioni 377, 407-419;
161, 167, 187, 431: inter­ A. della morte 150; i quat­
cedono per gli uom ini 17, tro A. che dominano il mon­
439; com battono a fianco do simboleggiati dai fiumi
degli uomini 237; accompa­ genesiaci Phison, Eon, Tigri
gnano le anime dopo la mor­ e Eufrate 225; settanta pa­
te 289; il loro aspetto 289; stori 20; A. destinati agli
ricoprono diversi ministeri empi e il loro aspetto 289;
secondo i meriti 359; A. del A. dell’ingiustizia 147; A.
Padre 209; A. della giustizia dell’iniquità 131, 419; A.
131, 419; A. della luce 24; delle tenebre 24; A. dello
A. della penitenza 57, 144 Sheol 148; A. invidioso e ge­
Nomi loso dell'uomo 203, 204
Amen 209 (v. Fine)
Baruch 209, 215 N omi
Esadeo 209 Achamoth 209

478
INDICE TEMATICO

Adonai 209 Atti apocrifi 92-98


Asbel 18 Avarìzia 2 1 1
Azazel 28
Babel 209, 213; Balena 129
Bel 209 Barnaba Ps, 56. 255
Belias 209 Baruch I I 63, 137
Gadriel 19 Basilide 100 (v. Appendici)
Karkamenos 209 Battesimo libera dai demòni
Kauithan 209 239-241, 346; B. degli ere­
Lathen 209; Naas 209, 215 tici 349; liturgia battesima­
Penemu 18 le 88-89; v. Esorcismi
Pharaoth 209 Bestie simbolo demoniaco 50-51
Sael 209
Satan 209 Cafarnao 35
Tartaruco 293 Caos 267, 397
Yequn 18 Cieli 231 (v. Firmamento; Topo­
(v. Cristo; Dottrina dei due grafìa celeste)
spiriti; Magia; Potenze; Clementine Ps, 102, 197
Principatu Prìncipi; Satana; Concupiscenza 189, 277
Spiriti; Stellei) Consacrazione 325
Anima abitata dai demòni 45, Conversione 263
131, 225, 253; d a spiriti Corpo dell'uomo, sotto la guida
buoni e malvagi 383-387; di 36 demòni 435
v. Appendici Costantino 110
Anticristo/i 48 Creazione dell'uomo 177, 202;
Antipatia 177, 182 secondo gli gnostici 231
Antonio, Vita di 111 Cristo la su a venuta e la croce
Apocalisse 49-53 hanno sconfìtto le potenze
Apocalisse di Mosè 63, 280 malvagie 40-43, 49, 57, 119,
Apocalisse di Sqfonia 295 237, 251, 279, 397-401,
Apostasia 337 421; ha liberato gli uomini
Apostolo gemello di Cristo 279; dal fato 119
taumaturgo ed esorcista 93, Croce (v. Oisto); Segno di C. 89,
261-263, 265-267; distrug­ 243
ge u n tempio pagano 263 Culti pagani v. Demòni
Appendici 219, 221
Apuleio 167, 296, 328 Decani 462
Arcangeli 18, 31, 202 Dèi v. Demòni
Amobio 1 1 0 Demiurgo 78 (v. Vanto del D.)
Aruspici 68, 100 Demòni terminologia 15; anime
Ascensus gloriosus 148, 221 dei giganti: v. Giganti: elen­
Asclepio 69, 157, 166 co dei nomi delle potenze
Astrologia 99-100, 122 355-357; sono creature ra­
(v. Demòni; Angeli malvagi) zionali cadute 103-104, 355;

479
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-II1

circondano la materia e agi­ Reianòr 435


scono attraverso di essa 177, Sikat 435
187, 427; riflessi della m a­ (v. A n g e li m alvagi; Prìn cipi;
teria 175; il corpo dei D. 175, Spirito
309, 355; sono alati 69, 311; D em oni nella tradizione filosofi­
sono i veri destinatari dei ca greca 64-65, 247; ad es­
culti pagani 61-72, 193, 325, si è stata affidata partita-
429; operano nelle statue mente la cura di tutto 431;
193, 325, 429; artefici di fin­ appartengono a Dio e biso­
te guarigioni e di predizioni gna pregarli 431
68-69, 311-313, 437, 438; D e s ce n s u s a b s co n d itu s v.
non sono le anime dei morti Ascensus
167, 175; hanno inventato i D e s e rto luogo di residenza di
miti 67, 155; e i nomi degli Satana 34, 112
dèi 168; inventano le eresie D estra/sinistra esseri di D / S
ed agiscono negli eretici 76- 231; potenze di D / S 237;
80, 157, 381; plagiano le luoghi di D /S 267
Scritture 67, 155, 165; imi­ D ia vo lo angelo accusatore 31;
tano i culti cristiani 159, dotato di logos 389-391; la
325-327; sono responsabili sua caduta 173, 355, 359;
delle persecuzioni 73-76, salvezza finale 104, 361-363
160, 168; di omicidi e stupri (v. Fine); eserciti del D. 31-
167; delle malattie 36, 177, 33. 108, 173, 401, 405; abi­
179, 261, 265, 309; delle ca­ ta aU'intemo dell’uomo 45;
lamità naturali 106, 309, prende possesso degli uo­
349, 409; si nutrono del mini 265; combatte gli uo­
sangue e del fumo dei sacri­ mini per concessione divina
fìci 68. 168, 247, 249, 311, 403; istiga le eresie e gli sci­
437; dei peccati degli uomi­ smi 55, 327, 339-341, 351;
ni 105-107, 457; lotta con­ alla disobbedienza verso i
tro i D. 108, 369-371, 393- vescovi 55; al peccato 253,
397; attaccano l'anim a (v. 271 (v. Tentazione); all'adul­
Anima)·, non si possono pen­ terio 147, 265; la su a igno­
tire 175; sono simboleggiati ranza 119, 148, 151, 450;
dai briganti 237, 387 padre dei malvagi 283; ne­
N omi mico 56, 277, 357; maligno
Asmodeo 29 277; straniero 151; arciere
Biù 435 282; cacciatore e bestia fe­
Chnachumèn 435 roce 282; lupo 277; tiranno
Chnumèn 435 247; morte 251; interpreta
Erebiu 435 erroneamente la Scrittura
Erù 435 325-327; secondo alcuni, ha
Knat 435 dato agli uomini la filosofia
Ramanòr 435 82-83, 100, 251

480
INDICE TEMATICO

N omi Encratism o 280


Belkira 147 Epifanio 77, 171, 227
Belial 24, 26, 33 Eracleone 389-393
Beliar 24, 28, 27, 33, 147, E rm a 56-58, 282
151 E rm ia 81
Belzebul 37 Erode 277
Kosmokrator 233 E sd ra I V 63, 137
Leviathan 28, 302 Esorcismo 72-73, 177, 261, 265;
Lucifero 294, 417-419 E. giudaici 165, 169; E. pre­
Malkira 146, 149 battesimali 90; schema de­
Mastema 22, 32 gli E. 35 (v. Nom e)
M atanbekus 147 Esorcista 90-91, 346, 351
Sammael 146, 150 E te ro d o s s i/ a 55 (v. D em òn i-
Satana 24, 26, 30, 38, 41, D iavolo)
203, 309 E tiope 279
Semeyaza 31 E ucarestia 86, 337, 351
(v. A n g e li m alvagi; D em òn i; E usebio d i C esarea 110, 153,
Dragone; Prìncipe; Serpente; 166, 171
Tenebra) È v a 19, 215, 247, 280
D ilu vio 21
D iogneto 199 F a ra on e: 277, 341, 413, 414
D ocetisti 56 (v. Re)
D on n a personificazione del dia­ Febbre 28
volo 279; D. possedute 85, F etore 117, 293
87, 261, 315, 335, 337, 349; F iglio dell’Uomo 28
si sono unite agli angeli (v. Filone 257
Angeli malvagi); D. sconfìgge F ilosofia v. D iavolo
il drago in visione 299, 301; Filostrato 72, 270
si trasform a in uom o 301 ; F in e sconfìtta delle potenze 25-
sim bolo della C hiesa 138; 28, 39, 389, 403; gli uom
Madre 239; D. serpente 209 ni prenderanno il posto de­
D ottrina dei due spiriti 125, 24; gli angeli caduti 395, 419;
delle due vie 299 Dio dimorerà sulla terra 26,
D ragone 49, 51, 247, 299 27; segni della F. 47-48
D ubbiosi 133, 138 F irm a m e n to 147, 189, 289
(v. Topografia celeste)
Ebdom ade 231, 233 Fuoco 51; cavallette di F. 129;
E d en 209 quello eterno attende i
E g itto / E g iz ia n i luogo di resi­ demòni 163, 267; sensibile
denza del demonio e simbo­ e intelligibile 241 (v. Fine)
lo di potenze avverse 29,
279, 301, 414 Geenna 151
E lem enti del mondo 41, 44 G elosia 148, 229, 231, 233
E loh im 211 Gesù guaritore ed esorcista 35-39

481
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI I-III

Giardino 202; v. Pa ra diso M a teria secondo gli gnostici 77,


Giganti 18, 189, 203, 393; Libro 197, 229 (v. Spirilo; Principe;
dei G. 18 Dem òni)
Giobbe 31, 373 M essia 27
Giovanni, vangelo di 52-54 M ira c o li v. E s orcism i; C on ver­
G irolam o 443-444 sione; M. pagani 61
G iuda 277, 383 M inucio F elice 70
G iu d iz io individuale 53, 291; M itra 159, 325
universale 27 M o lti (v. S em plici)
M orte conseguenza del peccato
Id o la tria definizione 306 (v. 19, 175; M. e gli inferi
D em òni) quanto potenze maligne 51;
Id o li (v. D em òni) M. = diavolo 403
Ignazio 54-56 M ostri primigeni 28 (v. Dragone)
H ìco 78
Im pu rità 21, 36 N abuccod on osor 414, 415
Ippolito 73, 87, 207 N ero 56, 277; negra 279
Invid ia v. G elosia N icola iti 55
N oè 20-22
L a p si 83-87, 335 N om e: potenza del N. 165, 169,
Lattanzio 109-110, 196 241, 263; N. delle potenze
Libro d e i G iubilei 16, 26, 281 355-357
Libro d i E n och 16-20,63, 102,
197 O gdoade 231
L ib e ro a rb itrio 100, 105-106, Olio 241; di ringraziamento 89
173, 191, 255 O ra coli 68, 98, 311-313
Lilith 28
L u ce figli della L, 24, 26, 32; Pa n e 241; P. esorcizzato 89
principe della L. 24; angeli Pa olo 40-46
della L. 125 Paradiso 231; simbolo degli an­
Luciano 199 geli 209, 407
Pecore simbolo degli Ebrei 20
M a g ia in segnata dagli angeli Peniten za 55, 129:319-321
malvagi 147 (v. A n g e li m al­ Persecuzione/Persecutori 72-75,
vagi) critica d ella M. e dei 413 (v. M artirio)
maghi 177, 267 Peste 28
M a le non è stato creato da Dio Platone 64-66, 309, 328
429 P lerom a 231
M a la ttia v. D em òn i Plu tarco 65, 182, 256
M anasse 146-147 P om pa rinuncia alla P. del dia­
M arciane 75 volo 88, 90
M a ria 119, 449 Preesisten za 105, 385-387
M a rtiri/ m a rtirio 51, 119, 299- Pregh iera 439
301; 455 Prin cipa ti 41

482
INDICE TEMATICO

P rin c ip e del m ondo 55, 119, 187; S. malvagio che dimo­


125; delle potenze dell’aria ra nell’uomo e scaccia la spi­
45; della materia 189; P. di rito santo 131
questo m ondo 373-381, Spirito santo 241
409 Statue (v. Dem òni)
Provvid en za generale e partico­ Stella 19, 180, 418
lare 189 (v. A n g e li buoni)
P s e u d o p ro fe ta 135, 141, 143, Teatro 70
349 Tenebra/e principe della T. 24;
T. esteriori 293; figli delle T.
Q um ràn 24, 32 24, 26, 33; tuniche di
277; abisso di T. 277
R e simbolo del diavolo 457 T e n ta z io n e 317, 361-373 (v.
R egn o di Dio 39 (v. Fine) Libero arbitrio)
R egu la f id e i 355 Teofilo d i A n tioch ia 257
R is o caratteristica del diavolo Testa m en ti d ei D odici
269 P a triarchi 16, 22, 27 107,
R egione interm edia 231, 233 126, 140, 141, 149, 282,
Rodane 136 456
Testam ento d i A bram o 294
S acrifìci (v. D em òni) Testam ento d i A m ra m 295,
Sapien za dei prìncipi di questo 458
mondo 373-381 Tim ore 57, 167, 233
S em plici più facilmente vittime Tobia 29-30
del diavolo 195, 199, 277, Topografia celeste 33, 148, 231
282, 351 (v. Firm am ento)
S e rp e n te 207, 203, 247, 302; Tra ditio A postolica 87-91
simboleggia il piacere 251, Tych e 95
257
S im on M ago 76, 93, 169, 275 U om o d ivino 269
S in ottici 33-39
S hed im 28 Valentino 75, 88, 225
Socrate 309, 328 V a n to del demiurgo 217, 233;
Sosta n za : spirituale, psichica, degli arconti 148
ilica 229-231 Vaso 139, 277, 283
S petta coli 313-317 V ia g g io celeste dell’anim a 53,
S piriti sovrintendono le diverse 267, 289-293, 423
scienze 448; S. dei peccati Vigilanti (v. A n g e li malvagi)
24, 283, 289, 403-407; S. Visione 75, 270, 279, 286, 299-
dell’inganno 33; gli S. non 301
abitano l’anima 255; S. im­ Vita d i A d a m o e d È va 63, 204
puri 37; S. che dom ina la
materia 187; contrario a Dio Yared 19

483
SIGLE

ANRW Aufstieg und Niedergang der Rómischen Welt


CCSL Corpus Christianorum, Series Latina
CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
CSSA Corpus Scriptorum, Series Apocryphorum
GCS Die griechischen christlichen Schriftsteller der ersten
(drei) Jahrhunderte
PW Pauly-Wissowa, Real-Encyclopàdie der classischen Altertum
RAC Reallexicon fùr Antike und Christentum
SC Sources Chrétiennes
TU Texte und Untersuchungen

484
BIBLIOGRAFIA

F onti*

D ie Apostolischen Vdter, Neubearbeitung der Funkschen Ausgabe


von K. Bihlmeyer, 3. Auflage (...) mit einem Nachtrag von W.
Schneemelcher, T. I: B am abas; Ignatius, Tubingen 1970.
D ie A p o s to lis c h e n Vàter, I: D e r H irt d es H erm a s, hrsg. von M.
Whittaker (GCS 4 8 2), Berlin 1967 (2).
Saint Justin, A p o log ie s. Introduction, texte critique, traduction
commentaire et index pax A. Wartelle, Paris 1987.
Justin, D ia logu e a ve c Tryphon. Texte grec, traduction, introduc­
tion, notes et index par G. Archambault. voli. 2. Paris 1909.
Tatiani, Oratio ad. Graecos. Recensuit E. Schwartz (Texte und Unter-
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Ascensio Isaiae. Textus: cura P. Bettiolo; A. Giambelluca Kossova;
C. Rinaldi; E. Norelli; L. Perrone. Commentarius: cura E. Norelli
(CSSA 7,8), Tum hout 1995.
Athénagore, Supplique a u su/et des Chrétiens e t sur la résurrection
d es m orts. Introduction, texte et traduction par B. Pouderon
(SC 379), Paris 1992.
Irénée de Lyon, C ontre les H érésies. Livre I. Tome II: texte et tra­
duction. Édition critique par A. Rousseau et L. Doutrelau (SC
264), Paris 1979.
Hippolytus, R efiita tio O m nium Haeresium, hrsg. von P. Wendland
(GCS 26, 3). Leipzig 1913.
Clemens Alexandrinus. Protrepticus und Paedagogus, hrsg. von O.
Stàhlin (GCS 12), Leipzig 1936.
Clemens Alexandrinus, E xcerpta e x Theodoto, hrsg. von O. Stàhlin
(GCS 17), Leipzig 1906.

‘ Edizioni critiche da cui provengono i testi tradotti e commentati, ri­


portate secondo l’ordine cronologico degli autori antichi.

485
IL DIAVOLO E I SUOI ANGELI - SECOLI Ι-ΙΙΙ

Clemens Alexandrinus, Stromata. B. II: I-VI; B. III: VII-VIII, hrsg.


von O. Stàhlin (GCS 15; 17), Leipzig 1906; 1909.
A cta Iohannis, cura E. Junod et J.-D. Kaestli (CSSA 1) T. I: prae-
fatio-textus; T. II: Textus alii; Commentarius; Indices, Tumhout
1983.
V ouaux L., Les A ctes de Pierre, Paris 1922.
Visio Pauli, in A p o cry p h a Anecdota, edited by M. R. James (Texts
and Studies), Cambridge 1893, voi. II, 3, pp. 1-57.
Passio S anctarum Perpetuae et Felicitatis Latine et graece, adnota-
vit C. I. Μ. I. V an Beek, Bonnae 1938.
Tertulliani A p o lo g e tic u m in Tertulliani Opera, cura et studio E.
Dekkers (C C SL I), Tum holti 1954.
Tertullien, Les spectacles. Introduction, texte critique, traduction
et commentaire de M. Turcan (SC 332), Paris 1986.
Tertullien, L a Pénitence. Introduction, texte critique, traduction et
commentaire de C. M unier (SC 316), Paris 1984.
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503
INDICE GENERALE

Introduzione ..................................................... Pag. 9

I P r e m e s s a ....................................................... » 9
1.1 II problema .......................................... » 9
1.2 Limiti cronologici e impostazione
della presente ra c c o lta ......................... » 12

II Le tradizioni pseudoepigrafiche
e l ’A ntico T estam ento .................................... » 15
II. 1 II dominio degli angeli e dei demòni
sulla storia e sull’uomo ....................... » 15
11.2 La sconfìtta delle poten ze..................... » 25
11.3 Un mondo ben organizzato................... » 28

III II I s e c o l o ..................................................... » 33
III. 1 I Vangeli sinottici.................................. » 33
111.2 P a o lo ..................................................... » 40
111.3 La demonologia sul finire
del primo se c o lo .................................... » 47

IV I secoli II e III ............................................... » 54


IV. 1 La prima metà del II secolo ................. » 55
IV. 2 Gli intellettuali...................................... » 59
IV.2.a II confronto con i culti
e le religioni dell’im p e ro ............. » 59
IV.2.b I demòni ed il potere politico . . . » 72
IV.2.c L’eresia dei demòni e i demòni
dell’eresia .................................. » 75
IV.2.d Diversificazioni
di un paradigma ....................... » 80
IV. 3 La gerarchia ecclesiastica..................... P a g . 82
IV. 4 II problema della ricezione negli altri
ambienti sociali e cu ltu rali................... ....» 91
IV. 5 La demonologia filosofica...............; . . » 99
IV.6 Satana alla corte e nel d e s e r to .................» 109
IV.7 Considerazioni conclusive ................... ....» 111

Il diavolo e i suoi angeli


Testi e traduzioni

I g n a z i o ....................................................................» 117

Le t t e r a d i B a r n a b a ............................................ ....» 123

E r m a ......................................................................» 127

A s c e n s i o n e d i I s a i a ...................................................» 145

Giu s h n o ............................................................. ... » 153

T a z i a n o ................................................................... » 171

A tenagora ......................................................... ... » 185

Ir e n e o d i L i o n e ...................................................... » 201

G iu s t in o ΟΝοεπεο .................................................. » 207

Is id o r o ................................................................... » 219

Va l e m t n o ........................................................... ... » 223

L a scuola valenijniana ...................................... ... » 227

Te o d o t o ............................................................. ... » 235

C l e m e n t e A l e s s a n d r i n o ...................................... ... » 245

Α τ π d i G i o v a n n i ...................................................... » 259
Α τ π d i P ie t r o ..................................................... P a g . 275

Apocalisse d i P a o l o .................................... ... » 286

P e r p e t u a .................................................................. .... » 297

T e r t u l l i a n o ................................................. ... » 305

Cip r ia n o ........................................................ » 333

F ir m iu a n o ...................................................... » 347

O r i g e n e .................................................................. .... » 353

In d ic e d e i t e s t i .......................................................... .... » 467


I n d ic e d e lle c it a z io n i e d e lle a llu s io n i b ib lic h e . . » 470
I n d ic e t e m a t i c o .......................................................... .... » 478
S ig le ................................................................................ » 484
B ib lio g r a f ìa ............................................................... .... » 485

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