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1. Questioni introduttive

1.1. Il titolo del corso: chiarificazione dei termini e indicazione delle questioni sottese

a) Credere nel Risorto

Questa espressione solleva molte questioni. Da una parte, infatti, richiama alcuni temi di
indole teologico-fondamentale e teologico-sistematica, quali l’accessibilità storica all’evento della
risurrezione, il fondamento reale e permanentemente valido della fede cristiana, la dimensione
salvifica della Pasqua e il suo realizzarsi nella missione della Chiesa. Da un’altra parte, rinvia a un
problema più vasto, quale il motivo per cui i primi testimoni, i discepoli, sono pervenuti alla fede.
Volendo pensare le questioni indicate, con H. Kessler, si possono porre alcuni punti fermi. Il
primo concerne quanto S. Tommaso afferma nei confronti della oculata fide. Per Tommaso, se gli
apostoli hanno visto il Cristo vivente dopo la risurrezione, è stato appunto oculata fide, cioè grazie
alla fede che vede (Summa Theologiae III, q. 55, a. 2 ad 1). Questa formula fa capire che, per
Tommaso, è la rivelazione di Dio ad avere la priorità, a rendere possibile la fede pasquale, ed è
questa che, a sua volta, dà la capacità di cogliere i segni storici come segni propri della risurrezione.
A riguardo, Kessler parla dell’esistenza dei discepoli, afferrata dalla nuova realtà del Risorto e del
suo Spirito.
In un secondo momento, Kessler chiede se i discepoli, per aver incontrato il Risorto, hanno
avuto dei vantaggi rispetto ai credenti di oggi. Posto che essi sono stati i primi testimoni a beneficio
delle generazioni successive, afferma che, anche per i cristiani di ogni tempo, è possibile un
incontro con il Risorto, nella fede e soprattutto nell’eucaristia. Per F.G. Brambilla, muta il segno
storico – prima la carne di Gesù e ora il pane spezzato –, ma permane il senso dell’incontro con il
Risorto.
L’ultimo punto fermo riguarda la fede nel Risorto oggi. Secondo J. Doré, relativamente alle
idee dei cristiani contemporanei, si possono rilevare due concezioni. Una, oggettivistica, pensa la
risurrezione di Gesù come un fatto empiricamente accertabile e ne sottolinea la realtà corporea,
senza però curarsi del suo significato salvifico. L’altra, soggettivistica, parla della presenza di Gesù
nella coscienza dei discepoli e dei credenti e tace sull’aspetto oggettivo. È necessaria una posizione
equilibrata che, posto l’aspetto oggettivo, metta in luce come la risurrezione di Gesù stia a
fondamento della nostra fede, della nostra speranza e della nostra risurrezione.

b) Attendere la sua venuta

La fede nel Risorto si accompagna a quella nella parusia, nel senso che ha come contenuto
intrinseco il credere nella parusia. Parusia (parusía) è l’astratto di pa/reimi. Questo verbo significa
anzitutto stare, essere presente e si riferisce sia a persone, sia a eventi (disgrazie) o oggetti ( beni);
significa pure divenire presente, venire. Parusia, quindi, vuol dire anzitutto presenza, ma anche
arrivo e venuta. La traduzione corrente con “ritorno” distoglie dal significato, in quanto presuppone
un’assenza attuale di Gesù Cristo e di Dio (A. Oepke).
Kessler osserva, con K. Barth, che è opportuno considerare in tre aspetti la parusia / venuta
di Gesù dopo la morte e la risurrezione: (a) la sua venuta limitata, ma fondamentale, nelle
apparizioni pasquali, in cui egli, facendosi incontro ai primi testimoni, si è rivelato nella loro
esperienza e nella loro testimonianza; (b) una venuta continua e nascosta, mediante lo Spirito Santo,
ad esempio nel prossimo sofferente o nella celebrazione eucaristica; (c) la sua venuta definitiva
nella gloria, la manifestazione potente della sua presenza già ora data nello Spirito Santo, la
manifestazione mediante cui il mondo sarà trasformato nel regno perfetto di Dio. L’attesa della
parusia definitiva del Signore glorioso è, perciò, la conseguenza e l’intensificazione della sua
presenza e attività attuale per mezzo dello Spirito, ancora nascosta sotto forme umili. Tutto il
mondo incontrerà senza veli Gesù Cristo che, già adesso, può incontrare velatamente.
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Dal punto di vista del suo futuro, la risurrezione di Gesù non è ancora conclusa e completata.
Essa perverrà al traguardo che persegue, solo quando il peccato e la morte saranno definitivamente
annientati, vale a dire con la risurrezione dei «molti fratelli» (Rm 8:29). La risurrezione di Gesù
fonda la nostra speranza: siamo «convinti che colui che risuscitato il Signore Gesù, risusciterà
anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi» (2Cor 4:14). Ed egli lo farà «per
mezzo del suo Spirito che [già] abita in voi» (Rm 8:11).
Tipiche della condizione dei cristiani sono le parole del Signore glorioso: «ecco: sto alla
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed
egli con me» (Ap 3:20). Il presente è, perciò, il tempo della vita cristiana o, come diceva H.U. von
Balthasar, della «esistenza nel mistero pasquale». L’esistenza cristiana ed ecclesiale è «un’esistenza
espropriata in lui». Infatti, «nessuno di noi […] vive per se stesso e nessuno muore per se stesso,
perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che
viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo […] Cristo è morto ed è ritornato alla vita:
per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14:7-9).

1.2. Posizione del tema

1.2.1. Interrogativi: «che cosa posso conoscere? Che cosa dovrei fare? In che cosa posso
sperare?» (I. Kant)

I tre interrogativi provengono dalle pagine finali di I. Kant, nella Critica della ragion pura.
G. O’Collins riprende le domande in due riflessioni e le interpreta nel senso della conoscenza
storica, del bene comune e della bellezza infinita da contemplare nel futuro escatologico.
Nella prima riflessione, in Jesus Risen, O’Collins riprende gli interrogativi in un dialogo con
la prospettiva della risurrezione come promessa in J. Moltmann. Nella seconda riflessione, in Easter
faith, O’Collins affronta le domande nelle pagine sulla relazione tra la conoscenza storica e la fede
pasquale. La fede cristiana riconosce certi eventi speciali della storia come lo strumento tramite cui
l’autocomunicazione rivelante e salvifica di Dio è giunta agli esseri umani. La fede cristiana non
può, quindi, fare a meno della conoscenza storica. Tuttavia, bisogna che la teologia si chieda, ad
esempio, di quanta conoscenza storica si ha bisogno e chi deve fornirla. Infatti, la conoscenza
storica, da sola, non basta: è necessaria una interrelazione tra questa, l’amore e la speranza.

1.2.2. Contesti: accademico, pratico, liturgico

Per O’Collins, nella teologia contemporanea, ci sono tre stili, tre contesti nei quali fare
esperienza del Risorto e cercare l’intelligenza della fede pasquale: accademico, pratico, liturgico. La
fede si esprime come conoscenza, azione e culto e cerca (fides quaerens intellectum) la conoscenza
o la comprensione scientifica, la giustizia sociale, l’adorazione.
A proposito della fede pasquale, si può parlare di esperienza personale del Risorto nello
studio, nella vita e nel culto, per mezzo dello Spirito Santo. La morte e la risurrezione di Gesù sono
un mistero profondo nel quale possiamo essere totalmente coinvolti con la vita e con il culto, molto
più che un problema “là fuori”, al quale possiamo trovare risposta tramite le prove a nostra
disposizione. L’evento passato, la risurrezione di Gesù, fonda le nostre esperienze del presente e le
nostre speranze per il futuro.

1.2.3. Premesse fondamentali: azione di Dio, lettura dei testi biblici, analogia

La prima premessa fondamentale riguarda alcune questioni teoretiche sull’azione di Dio, da


considerare con l’aiuto di O’Collins e di Kessler. Ad esempio, i due teologi fanno osservare che la
razionalità scientifica e strumentale, nella nostra moderna società occidentale, riconosce come
criterio l’oggettività verificabile in ogni momento. In ogni caso, di un’azione di Dio non si può
sapere nulla. Mentre quindi, per la fede ebraico-cristiana, Dio è colui che agisce nella relazione con
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l’uomo, per il pensiero scientifico e strumentale, oggi dominante, vale il principio che si conosce
solo l’azione dell’uomo nella relazione con Dio e nulla dell’azione di Dio. Si può rischiare
l’eliminazione del discorso sull’azione di Dio, per concentrarsi, invece, su ciò che fanno gli uomini.
La seconda premessa concerne la lettura dei testi biblici, dal momento che, per DV 24, lo
studio della Scrittura è l’«anima della sacra teologia».
La terza premessa si articola intorno alla domanda su come comunicare il mistero della
risurrezione. In risposta, devono essere considerate le analogie: analogie con la vita risorta di Gesù
e analogie con il modo principale in cui i testimoni del NT asseriscono di avere conosciuto la
risurrezione di Gesù, vale a dire le apparizioni. L’analogia, cercando un grado di somiglianza e non
di identità pura e semplice, fa posto alla novità e fa apprezzare ciò che è nuovo, collegandolo a ciò
che è vecchio e già conosciuto. Gli stessi verbi impiegati dai primi cristiani, nel loro messaggio
pasquale, hanno incorporato delle analogie: e)gei/rw (svegliato) e a)ni/sthmi (alzato, rimesso in piedi).

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