You are on page 1of 13

FISIOLOGIA

Lezione n°2 del 28.02.2017


[M.I] – revisionata da Becco
Argomenti: Conclusione del meccanismo di feedback negativo, presentazione dei meccanismi di feedback
positivo e feed-forward. Inizio della fisiologia cellulare con la trattazione dei trasporti di membrana: la
diffusione semplice.

Nella lezione precedente è stata fatta un’introduzione alla fisiologia, nella quale è stata sottolineata
l’importanza di un tipo di studio che abbracci un approccio integrativo e meccanicistico; sono stati spiegati i
concetti di mezzo interno e di controllo omeostatico, con attenzione al significato di bilancio e di
meccanismo a feedback negativo.

Il professore precisa che le diapositive proiettate a lezione sono disponibili in Google Drive (accedere a Drive
con la mail istituzionale, scrivere nella barra di ricerca in alto “Fisiologia” e cliccare sulla freccetta presente
a destra nella barra di ricerca. Si apre un menù a tendina: dove si trova scritto “località” selezionare
“Unibs”). Le diapositive presenti per ora sono quelle dell’anno scorso, che per il 90% sono uguali a quelle che
useremo quest’anno, il professore comunque provvederà ad aggiornarle con l’ultima versione.

I meccanismi di regolazione a feedback (continuazione)


Il professore riassume quanto detto sul feedback negativo

Come già abbiamo sottolineato, la finalità primaria di tutti i sistemi fisiologici è quella di mantenere la
costanza (o potremmo dire ridurre al minimo la variabilità) del mezzo interno, dell’ambiente extracellulare.
Per questo scopo esistono meccanismi di controllo omeostatici che fanno in modo che le variabili
controllate subiscano scostamenti il più possibile limitati rispetto a un valore richiesto. Due dei molti
esempi che si possono fare per mostrare questo fatto sono la temperatura corporea e la glicemia.
Il circuito a feedback negativo è un meccanismo omeostatico di fondamentale importanza che ritroviamo
in tutti aspetti della fisiologia, finalizzato a fare in modo che l’uscita del sistema si discosti il meno possibile
dall’uscita richiesta/desiderata.
L’uscita viene misurata da un sensore che in fisiologia chiamiamo recettore che attraverso una via afferente
è in grado di inviare questa informazione al centro di controllo dove esiste un comparatore che misura la
differenza tra il valore richiesto e il valore effettivo misurato dal recettore. Se questa è diversa da zero, si
genera un segnale di errore che innesca una risposta che tende a riportare l’uscita effettiva verso il valore
desiderato.
Già la volta scorsa abbiamo spiegato cosa sia il guadagno, sottolineando che con questo meccanismo il
sistema manterrà un errore residuo, il che significa che la correzione non potrà essere perfetta, ma
implicherà sempre un errore più o meno grande che è quello che permette al sistema di controllo di
mantenersi attivo.

FEEDBACK POSITIVO
Il meccanismo a feedback negativo non è l’unico meccanismo a feedback presente nei sistemi fisiologici. Vi
sono diversi esempi nei quali il segnale a feedback passando attraverso il comparatore non viene sottratto
dall’uscita effettiva ma viene aggiunto ad essa. Si parla in questo caso di feedback positivo.
Il feedback positivo non è un meccanismo omeostatico perché non permette di regolare e di mantere
costante o di diminuire il più possibile le variazioni di una variabile regolata/controllata, ma è un sistema
che porta a instabilità.
Cosa accade: in presenza di uno stimolo iniziale che perturba il sistema, si produce uno scostamento
dell’uscita effettiva, la quale è sempre misurata dal recettore. Il segnale di feedback viene aggiunto alla
risposta effettiva, che quindi tenderà ad aumentare sempre di più rispetto al valore iniziale.
Questa deriva procede a una velocità sempre maggiore. Idealmente essa avanza con una velocità di tipo
esponenziale che porterebbe l’uscita effettiva a un valore infinito. Nei sistemi biologici questo ovviamente
non è possibile, si arriverà ad un punto di saturazione del sistema, ad un valore massimo oltre al quale la
variabile non potrà andare.
Dunque il sistema a feedback positivo è un sistema di controllo di una variabile nel quale uno stimolo
iniziale determina non il mantenimento di un certo valore desiderato ma una deriva, uno spostamento a
velocità sempre maggiore della variabile in uscita verso un valore massimo che normalmente è indicato
come valore di saturazione del sistema.

Quali esempi vi sono di questo meccanismo nei sistemi fisiologici?


Esempio 1: Il parto Durante il parto il feto, a seguito di un aumento della contrazione dell’utero, preme con
la testa contro la cervice uterina. La distensione della cervice provoca uno stimolo che porta al rilascio di
ossitocina da parte della neuroipofisi. (Sono presenti recettori a livello della cervice uterina che captano la
pressione, queste informazioni vengono inviate attraverso le vie nervose al SNC e attivano la neuroipofisi
attraverso i nuclei sopraottico e paraventricolare). Tra le varie funzioni di questo ormone vi è quella di
aumentare la contrazione dell’utero. Quest’ultima porterà a una ulteriore pressione del feto contro la
cervice uterina, nuovamente questa condurrà all’aumento della produzione di ossitocina, e così via.
Dunque siamo di fronte ad un sistema che si autorinforza: uno stimolo iniziale, anche modesto, porta a un
aumento progressivo della contrazione dell’utero fino a quando si ha il parto e il sistema si ferma.
Non si tratta dunque di un meccanismo mirato a mantenere costante un certo parametro, ma di un
processo che si autopotenzia fino a quando uno stimolo esterno lo ferma (in questo caso l’evento è il
parto).

Esempio 2: Il potenziale d’azione Una volta che la depolarizzazione raggiunge un certo livello (valore di
depolarizzazione), si innesca un processo che porta alla apertura completa di un certo tipo di canali
(tipicamente di quelli al sodio ma non solo) che porta al raggiungimento del potenziale di azione (evento
tutto/nulla). Una volta partito il sistema non può più essere arrestato fino a quando il potenziale d’azione
viene raggiunto. Vedremo il processo in dettaglio.

Esempio 3: Meccanismi di attivazione degli enzimi all’interno del sistema digerente Gli enzimi, soprattutto
quelli proteolitici, vengono inizialmente rilasciati in forma di zimogeni (forma inattiva) e devono essere
attivati successivamente all’interno del tubo digerente stesso. Gli enzimi pancreatici vengono attivati a
livello del duodeno, un esempio tra essi può essere il tripsinogeno che deve essere convertito nella forma
attiva tripsina. La conversione avviene attraverso un sistema di controllo a feedback positivo: inizialmente
si ha la trasformazione di una piccola parte degli zimogeni in enzimi attivi grazie all’enterochinasi, enzima
dell’orletto a spazzola.
Mano a mano che i precursori inattivi si trasformano in enzimi attivi, il meccanismo si autorinforza e si
amplifica: l’enzima attivo è sempre più presente e nel duodeno va ad attivare non soltanto il tripsigeno ma
anche tutti gli altri zimogeni che sono stati rilasciati nel succo pancreatico. Basta dunque convertire una
piccola quantità di zimogeno in enzima attivo perché questo inneschi un meccanismo a feedback positivo
che si autorinforza e porta all’attivazione di tutto lo zimogeno presente. A un certo punto il meccanismo si
ferma perché quando tutte le molecole di zimogeno sono state convertite in enzima attivo il sistema non
può più procedere nella conversione.

[Il professore precisa che qualche domanda sui meccanismi a feedback in genere viene proposta in sede
d’esame, ed esorta ad assicurarsi di aver compreso l’argomento e in caso contrario a fare domande perché
spesso purtroppo vengono fatti errori anche se si tratta di un argomento introduttivo.]

FEED-FORWARD
Dopo aver trattato il feedback positivo, torniamo ai sistemi di controllo tesi a mantenere una variabile ad
un certo livello.
E’ importante sottolineare il fatto che questi meccanismi sono in gran parte a feedback negativo, che ha
come peculiarità il fatto di correggere l’errore una volta che esso si è verificato.
Non sempre però questo è quello che accade: in alcuni casi il nostro organismo è in grado di operare un
sistema di controllo di tipo anticipatorio, che tende a ridurre le variazioni dell’uscita rispetto all’uscita
richiesta prima che l’errore si verifichi. Ciò avviene tutte le volte che il nostro organismo è in grando di
prevedere normalmente attraverso quello che possiamo chiamare modello interno, che una determinata
azione avrà come conseguenza quella di variare l’uscita, che desideriamo rimanga il più possibile costante.

In questo caso come funziona il sistema:


Attraverso la misura da parte di recettori di quelle che vengono chiamate variabili di stato (parametri
rilevanti per il controllo del sistema), e attraverso un modello interno presente nel nostro sistema, viene
predetto che un dato stimolo produrrà uno scollamento dell’uscita rispetto al valore richiesto. Vengono
quindi messi in atto dei segnali di controllo attraverso gli effettori che mirano a fare in modo che in futuro,
una volta iniziata l’azione, essa venga controllata in maniera adeguata. Il controllo è dunque anticipatorio,
perché viene messo in campo prima che si verifichi un segnale di errore.

Esempio 1: la coordinazione motoria durante una partita di tennis Quasi tutta la coordinazione motoria,
parliamo sia di movimenti rapidi che eseguiamo nella nostra quotidianità sia di controllo posturale, avviene
grazie a schemi appresi. Pensiamo ad una partita di tennis. Durante la partita il nostro scopo è cercare di
colpire una pallina che arriva velocemente nella nostra direzione. Mentre eseguiamo il movimento del
braccio, esso non viene controllato istante per istante sulla base di impulsi visivi, propriocettivi ed errori
che misuriamo durante l’atto motorio stesso. Non avremmo il tempo di procedere in questo modo e
raramente colpiremmo la pallina. Cosa accade in realtà: una volta imparato a giocare a giocare a tennis,
ogni volta che ci apprestiamo al gioco mettiamo in atto un controllo motorio anticipatorio sfruttando
programmi motori già interiorizzati e un modello interno che abbiamo sia del nostro corpo, sia
dell’ambiente esterno (pallina che si muove verso di noi con una certa velocità) che alla fine ci permette di
intercettare la pallina con la racchetta.
Esempio 2: la coordinazione motoria quando si afferra un oggetto: spesso compiamo questo movimento
senza accorgerci, molto rapidamente. Anche in questo caso non si ha un controllo istante per istante del
movimento della mano per raggiungere l’oggetto. Nella nostra vita abbiamo imparato ad eseguire
movimenti di prensione e manipolazione sulla base di modelli interni e una volta che vogliamo eseguire un
movimento mandiamo in esecuzione programmi già appresi con un meccanismo di feed-forward.

Esempio 3: il controllo posturale: pensiamo al momento in cui apriamo una porta tirandola verso di noi. Se
ci venisse chiesto quale movimento stiamo compiendo ci verrebbe da dire che stiamo esercitando una
trazione dei muscoli del braccio. Tuttavia, dato che come ci insegna la fisica ad ogni azione corrisponde una
reazione uguale e contraria, spostare la porta verso di noi significa anche determinare il movimento del
nostro corpo verso la porta, c’è una forza che ci spinge in avanti. Se questa non venisse compensata ogni
volta che apriremmo una porta andremmo a sbattervi contro. É quello che succede quando la porta è
chiusa e non riusciamo ad aprirla. Ma normalmente per quale motivo non andiamo a sbattere contro la
porta?
Ciò è dovuto al controllo anticipatorio: ogni volta che apriamo la porta si ha la contrazione dei muscoli
posteriori dell’arto e del tronco prima di quella dei muscoli del braccio. Questi muscoli hanno significato
posturale e tendono a stabilizzare tutto il resto del corpo.
É una situazione differente da quella in cui un compagno arriva alle nostre spalle e ci dà un colpetto: in
questo caso oscilliamo in avanti e la correzione viene fatta attraverso il sistema a feedback negativo, una
volta che l’errore è avvenuto. Ma ogni volta che possiamo prevedere una perturbazione perché eseguiamo
un controllo volontario, attiviamo con un meccanismo a feed-forward finalizzato a impedire che la variabile
controllata cambi (nel caso specifico il centro di massa, che viene portato anteriormente oltre la base di
appoggio e ciò porta a una perdita di equilibrio).

Dunque ogni volta che un evento può essere predetto sulla base dell’esperienza precedente, vengono
messi in atto dei meccanismi di controllo a feed-forward/anticipatorio che tendono a ridurre il più possibile
l’errore prima che questo si verifichi.
Si tratta spesso di sistemi di controllo approssimativi, che non portano a una stabilizzazione perfetta,
precisa della variabile controllata per cui quasi sempre sono affiancati da meccanismi a feedback che
correggono in modo fine gli errori.

Esempio 4: il sistema vegetativo: se parliamo di glicemia abbiamo un meccanismo a feedback negativo che
abbiamo già nominato, che vede operare le cellule delle isole di Langherans: se il valore della glicemia
supera un certo valore questo stimola le cellule beta a produrre quantità maggiori di insulina che attraverso
il sistema endocrino va ad attivare un gran numero di effettori periferici che tendono a ridurre la
concentrazione di glucosio nel sangue. Si tratta di un sistema a feedback negativo, che corregge un errore
una volta che l’errore si è verificato.
Esiste anche un altro meccanismo: l’introduzione nel tubo digerente di un pasto ricco di glucosio, produce
una stimolazione della mucosa dell’intestino tenue, che rilascia sostanze dette incretine le quali stimolano
la produzione di insulina da parte del pancreas prima che i valori di glicemia si siano effettivamente alzati.
Ciò avviene in previsione del fatto che un pasto ricco di carboidrati produrrà successivamente, con un certo
ritardo, un aumento della glicemia e dunque per evitarne un picco. Il meccanismo permette solo una
correzione parziale: successivamente entreranno in gioco nelle cellule beta del pancreas meccanismi a
feedback negativo che andranno a regolare in maniera più fine e precisa il livello di glucosio nel sangue.

Esempio 5: lo sforzo fisico: durante l’attività fisica l’aumento della frequenza cardiaca e della respirazione
precedono l’effettiva necessità metabolica dei muscoli o l’insorgere di una ipertermia o ipossia. Questo
perché vi sono adattamenti del sistema cardiovascolare e respiratorio in previsione di un errore che si
verificherà successivamente. Anche in questo caso si ha l’intervento di meccanismi a feedback negativo che
intervengono a perfezionare di gran lunga il controllo di queste variabili.
Dunque riassumendo: I meccanismi anticipatori/a feedforward tendono a minimizzare il più possibile lo
scollamento della variabile controllata dal valore desiderato prima che tale scollamento si verifichi.
I meccanismi di feed-forward e di feedback negativo lavorano in parallelo: c’è una correzione iniziale da
parte del sistema a feed-forward che poi viene perfezionata da sistemi a feedback negativo per correggere
l’errore residuo che rimane.

N.B. I meccanismi a feed- forward/anticipatori sono anche detti a catena aperta.

I meccanismi a catena chiusa sono invece i meccanismi a feedback, positivo e negativo.

I meccanismi a feed-back positivo non sono meccanismi omeostatici, generano instabilità e richiedono
un intervento esterno per essere bloccati.

Gli esempi che abbiamo fatto sono:

CARATTERISTICHE GENERALI DEI SISTEMI DI CONTROLLO OMEOSTATICI

Concludiamo le caratteristiche generali dei sistemi di controllo omeostatici aggiungendone due importanti:
[n.d.r. le prime due caratteristiche sono state viste nella precedente lezione]

3) Non può essere mantenura una costanza assoluta dell’ambiente interno. Ciascuna variabile regolata
presenta un ambito più o meno esteso di variabilità normale fisiologica.
Teniamo presente infatti che molte volte perché un cambiamento interno inneschi una reazione di
controllo occorre che questo cambiamento superi un certo valore soglia. Questo consente alla variabile
controllata di avere una certa variabilità intrinseca.

4) Il setpoint (termine tecnico per “uscita desiderata”) di una variabile controllata può essere
fisiologicamente aumentato o diminuito (servocontrollo).
Ciò significa che un sistema di controllo a feedback negativo può essere utilizzato non soltanto per
mantenere costante una variabile, ma può anche essere utilizzato per far variare quella variabile come
desiderato.
Esempio: la temperatura Se misuriamo la temperatura
corporea durante le varie ore della giornata o in una donna nel
periodo preovulatorio e postovulatorio vediamo che essa non
è costante: abbiamo un ritmo circadiano per cui la
temperatura raggiunge dei valori minimi nelle ore precedenti
al risveglio, mentre durante le ore di veglia sale fino a un
massimo per poi tornare verso valori più bassi verso sera.
Non si tratta di errori del sistema di controllo, ma è il sistema
di controllo della temperatura che, presentando un ritmo
circadiano dovuto soprattutto a variazioni ormonali, cambia il
setpoint. É il sistema di controllo stesso che lo decide, in
questo caso a livello ipotalamico: l’ipotalamo abbassa/alza il
setpoint e l’organismo dunque abbassa/alza la temperatura
mediante meccanismi a feedback negativi.

MECCANISMI DI CONTROLLO OMEOSTATICI: CATEGORIE

- Risposte locali: il meccanismo agisce localmente, sensori ed effettori sono in prossimità gli uni agli
altri. Un esempio è la regolazione del flusso ematico locale di un tessuto che viene regolato in
modo molto preciso sulla base delle sue necessità metaboliche. Se il metabolismo di un tessuto
aumenta anche il flusso ematico locale aumenta, attraverso una vasodilatazione delle arteriole. Si
tratta di un meccanismo locale perché ciascuna cellula del tessuto decide autonomamente di
quanto flusso ematico ha bisogno sulla base delle proprie necessità senza preoccuparsi di ciò che
avviene negli altri distretti dell’organismo.
Ad esempio: se inizio a contrarre il muscolo bicipite, il flusso ematico locale aumenterà
successivamente perché sarà il muscolo bicipite stesso a determinare, attraverso vari meccanismi,
una vasodilatazione locale che aumenta il flusso, senza occuparsi di ciò che avviene in altri tessuti.

- Controllo riflesso: esiste una distanza anche notevole tra sensore (recettore) ed effettore che viene
messo in azione. Un esempio è quello della pressione arteriosa. Il riflesso barocettivo controlla a
breve termine la pressione arteriosa, e ha i propri recettori a livello dei grossi vasi. Questi inviano
informazioni al centro di controllo nel tronco dell’encefalo che attraverso meccanismi ad effettori
lunghi (nervi principalmente) agisce su tutti i vasi del nostro corpo.
Si tratta di un meccanismo riflesso lungo, in cui recettori ed effettori possono essere situati anche a
distanze molto elevate. Il centro di controllo può essere situato in una posizione completamente
diversa.
I controlli riflessi/lunghi possono essere di due tipi:
A) ormonale;
B) nervoso.

OSSERVAZIONI

- I meccanismi locali si appoggiano su meccanismi di tipo paracrino (una cellula genera il segnale,
questo diffonde passivamente all’intorno della cellula che ha prodotto il segnale e va ad attivare
recettori situati sulle cellule vicine). Ricordiamo che esiste anche un meccanismo di tipo autocrino
in cui la cellula che rilascia il segnale possiede essa stessa dei recettori in grado di riconoscere la
molecola che viene rilasciata come segnale. Nei meccanismi di controllo lunghi invece abbiamo un
segnale che nel caso della trasmissione nervosa viaggia lungo nervi ed è finalizzato ad attivare
specifiche cellule in contatto sinaptico con la fibra nervosa, nella trasmissione ormonale abbiamo
una cellula endocrina che rilascia nel torrente circolatorio un segnale di tipo broadcast inviato a
tutte le cellule del nostro corpo e captato soltando dalle cellule del nostro corpo che possiedono un
recettore specifico.
- I meccanismi di controllo riflesso/lunghi di tipo ormonale sono in grado di attivare effettori anche
molto distanti l’uno dall’altro e anche in numero elevatissimo, ma hanno lo svantaggio di essere
estremamente lenti. Al contrario la trasmissione nervosa è finalizzata ad attivare specifiche cellule
(quelle che contraggono contatto sinaptico con la fibra nervosa attivata). Avremo una risposta più
mirata e localizzata, e molto più rapida perchè la velocità con cui un impulso nervoso viaggia è di
gran lunga maggiore di quella con cui gli ormoni possono viaggiare all’interno del sistema
circolatorio.

- Il tipo di risposta che viene generata da un segnale non dipende dal segnale stesso ma dal recettore
situato sull’effettore. Per esempio l’adrenalina o la noradrenalina agiscono sui vasi in modo diverso
a seconda che sul vaso sia presente un recettore alfa o un recettore beta.
(Nella maggior parte dei vasi è
presente un recettore alfa e questo
porta a vasocostrizione, ma laddove è
presente un recettore beta ad esempio
nei muscoli, si può avere
vasodilatazione). Questi ormoni
dunque non sono di per sé
vasocostrittori o vasodilatatori.

Ciò vale anche per i neurotrasmettitori: il glutammato è normalmente eccitatorio ma in alcune


situazioni, ad esempio nella retina, ha un’azione inibitoria; il GABA normalmente è un
neurotrasmettitore inibitorio, ma in alcuni casi può indurre una depolarizzazione, come vedremo.

- Spesso i vari sistemi di controllo hanno un comportamento bidirezionale in virtù del fatto che anche
a riposo esiste un tono di base che può essere modulato in entrambe le direzioni.
Abbiamo detto che l’azione dell’ortosimpatico è vasocostrittrice perché la maggior parte dei
recettori è di tipo alfa, ma questo non significa che l’ortosimpatico è in grado di indurre solamente
vasocostrizione. L’ortosimpatico, anche a riposo, in condizioni normali, presenta una frequenza di
scarica di base, un tono ortosimpatico, che mantiene un certo livello di vasocostrizione dei vasi.
Aumentando il tono di base produrremo una vasocostrizione, ma riducendo il tono di base avremo
una vasodilatazione.
Dunque l’ortosimpatico, che ha una azione vasocostrittrice, in realtà è in grado di modulare
bidirezionalmente la variabile controllata (in questo caso il livello di vasocostrizione) .

Lo stesso vale per il parasimpatico per quanto riguarda la frequenza cardiaca. Esiste un tono di base
del parasimpatico che mantiene la frequenza cardiaca ad un certo valore, ma se aumentando il
parasimpatico potremo avere una riduzione della frequenza cardiaca, riducendolo si potrà anche
avere un aumento della frequenza cardiaca.
FISIOLOGIA CELLULARE

I TRASPORTI DI MEMBRANA : LA DIFFUSIONE SEMPLICE

Si tratta di un aspetto centrale per lo studio della


membrana, ma anche per comprendere gli scambi di
molecole tra capillari e interstizi, lo scambio dei gas a
livello degli alveoli polmonari.. e molti altri casi.

Definizione: La diffusione semplice è un meccanismo che


si verifica ogni volta che all’interno di una soluzione è
presente una differenza di concentrazione tra un punto
e un altro: il sistema spontaneamente determina un
flusso netto di sostanza dalla zona a maggiore
concentrazione a quella a minore concentrazione.
Questo processo, passivo (che non richiede spesa
energetica), procede fino a quando la concentrazione
sarà uguale in tutti i punti della soluzione.

Perché avviene la diffusione semplice?


La diffusione semplice dipende fondamentalmente dal moto Browniano delle molecole in soluzione, ovvero
dall’agitazione termica alla quale ciascuna molecola è sottoposta e per la quale essa continua ad agitarsi in
maniera casuale muovendosi in tutte e tre le direzioni dello spazio.
L’agitazione termica dipende dalla temperatura: maggiore è la temperatura della soluzione più rapidi e
ampi saranno i movimenti caotici e casuali della molecola in soluzione.

In che modo ciò determina la diffusione semplice?


Supponiamo idealmente che in una soluzione vi siano due compartimenti, e che inzialmente tutte le
molecole si trovino in uno solo di essi. A causa dell’agitazione termica i movimenti casuali delle molecole in
tutte le direzioni faranno sì che un certo numero di molecole presenti nel compartimento 1 si spostino nel 2
(inizialmente il contrario non può avvenire in quanto nel compartimento 2 non ci sono molecole). A mano a
mano che le molecole si spostano da 1 a 2, statisticamente vi saranno un certo numero di molecole che dal
compartimento 1 continueranno a passare al compartimento 2 e un certo numero di molecole che si
sposteranno al contrario dal compartimento 2 all’1. Se la concentrazione di 1 è maggiore della
concentrazione di 2 ovviamente il numero di soluti che passano da 1 a 2 sarà sempre maggiore rispetto a
quelli che passano in direzione opposta. Questo processo proseguirà fino a quando la concentrazione dei
due compartimenti sarà uniforme, e dunque il flusso in una direzione sarà esattamente uguale al flusso
nell’altra direzione.
Anche nella condizione di equilibrio continueremo ad avere un certo numero di molecole che da un
compartimento passano all’altro e viceversa, ma il numero di molecole che si spostano in una direzione e il
numero di molecole che si spostano nella direzione opposta è uguale statisticamente, dunque il flusso
netto sarà pari a zero.

Se vogliamo rappresentare le variazioni di


concentrazione nei due compartimenti al passare del
tempo t :

Dal grafico si osserva il compartimento 1 vedrà una


diminuzione di concentrazione di tipo esponenziale,
mentre il compartimento 2 vedrà un aumento di
concentrazione sempre di tipo esponenziale, fino a
quando le due concentrazioni saranno assolutamente
identiche.
È un meccanismo di tipo passivo: una volta che una differenza di concentrazione viene a crearsi, ciò genera
un flusso netto di sostanza/di soluto seguendo il gradiente di concentrazione.

Qual è la velocità di flusso netto con cui queste molecole si spostano?


Esiste a tal proposito la legge di Fick sulla diffusione (che descrive il fenomeno in ambiente libero, ad
esempio una soluzione acquosa):

- dc = gradiente di concentrazione (quanto varia la concentrazione per uno spostamento infinitesimale)


dx
N.B. non usiamo una differenza di concentrazione semplicemente (C1 –C2) perché la concentrazione della
sostanza cambia in modo continuo tra un punto e un altro quindi dobbiamo utilizzare una notazione
differenziale.
Nella situazione iniziale basterebbe misurare la differenza di concentrazione tra il compartimento 1 e 2
(sarà quello che avverrà in presenza di membrane biologiche, lo vedremo in seguito)

- D = coefficiente di diffusione, che determina quanto facilmente una sostanza diffonde a parità di
condizioni, ovvero a parità di superfici di scambio e a parità di gradiente di concentrazione.

Da cosa dipende D?
Dm = RT . 1
6πη r

- R è la costante dei gas (molecole in soluzione hanno un comportamento idealmente identico a quello di
un gas) ;

- T è la temperatura assoluta (è facile intuire la relazione che sussiste tra temperatura e diffusione
semplice: maggiore è la temperatura maggiore è l’agitazione termina delle molecole, dunque la loro
velocità e la facilità con cui queste diffondono);

- 6π è una costante;

- r è il raggio della molecola;

- η è la viscosità del mezzo nel quale la molecola si sposta.

- Possiamo notare che il numeratore misura in qualche modo l’energia cinetica della molecola, dunque la
velocità con cui la molecola continua a spostarsi all’interno della soluzione.

- Il denominatore è proporzionale alla difficoltà con la quale la molecola può spostarsi all’interno del
mezzo. Essa dipende dal raggio della molecola (molecole più piccole diffondono più facilmente di
molecole più grosse) ma anche dalla viscosità del mezzo. Tuttavia dato che nel nostro organismo la
viscosità del mezzo è quella del plasma e del liquido interstiziale (leggermente superiore a quella
dell’acqua distillata) e anche la temperatura si mantiene grossomodo attorno ai 37°C, concludiamo che i
fenomeni di diffusione semplice che avvengono nell’organismo dipendono essenzialmente dal raggio della
molecola.
Un esempio che ci mette in evidenza questo aspetto è quello del saccarosio (L’esempio non riguarda
il nostro corpo perchè qui il saccarosio come tale non è presente se non nel tubo digerente prima che
venga digerito). Il saccarosio ha un peso molecolare pari circa a 10 volte quello dell’ossigeno e infatti il suo
coefficiente di diffusione è circa 10 volte inferiore. Questo significa che a parità di gradiente di
concentrazione una molecola di saccarosio diffonde circa 10 volte meno velocemente rispetto a una
molecola di ossigeno. (É ovvio che il peso molecolare non corrisponde esattamente al raggio di una
molecola, ma comunque può darci un’idea del suo ingombro sterico)

N.B. La legge di Fick ha segno negativo. Ciò è dovuto al fatto che la diffusione semplice avviene secondo
gradiente/segue il gradiente di concentrazione. La molecola si sposta da un ambiente a più alta
concentrazione a uno a più bassa concentrazione dunque il gradiente è negativo, e così anche il segno della
diffusione. (Se le molecole si spostassero da regioni a minore concentrazione a regioni a maggiore
concentrazione il gradiente sarebbe positivo).

Il meccanismo di diffusione semplice è centrale per lo scambio di soluti nel nostro organismo: è il
meccanismo mediante il quale, ad esempio, le sostanze nutritizie dal capillare vanno verso la cellula. La
cellula consuma materiali come il glucosio (dunque la concentrazione di glucosio al suo interno è inferiore
rispetto all’interstizio) ed esso come conseguenza si sposta dall’interstizio alla cellula.
L’urea al contrario si muoverà in direzione opposta: la concentrazione che abbiamo nella cellula è superiore
rispetto a quella che abbiamo nel capillare è superiore e dunque il flusso di questa sostanza procede dalla
cellula al capillare.
Questo avviene anche a livello degli alveoli polmonari: l’ossigeno passa dall’alveolo al capillare perché
nell’area alveolare la concentrazione di ossigeno è superiore rispetto a quella che abbiamo nel plasma del
sangue venoso che arriva al polmone. La CO2 al contrario si sposta nella direzione opposta, dal plasma
all’alveolo perché la sua concentrazione nel plasma del sangue venoso è superiore a quella presente
nell’alveolo.

Questi scambi avvengono in maniera esclusivamente passiva sulla base di una differenza di concentrazione.
Il flusso di soluto che passa da un compartimento all’altro dipende dal gradiente di concentrazione.

Possiamo chiederci: è possibile che meccanismi così importanti come gli scambi a livello del microcircolo
dipendano esclusivamente dal meccanismo passivo che coinvolge movimenti casuali delle molecole in
soluzione? È efficiente questo meccanismo?
La risposta è sì, è estremamente efficiente se le distanze in gioco sono piccole. Dobbiamo qui richiamare la
relazione di Einstein:

In questa relazione compare il tempo di diffusione. Teniamo presente che si tratta di un valore statistico,
inteso come il tempo che impiegano la metà delle molecole a percorrere almeno la metà della distanza x.
Il tempo di diffusione è proporzionale al quadrato della distanza e inversamente proporzionale al
coefficiente di diffusione. Ciò significa che se raddoppio la distanza il tempo di diffusione quadruplica, se
triplico la distanza, il tempo diventa nove volte ecc.. dunque aumentando la distanza il tempo di diffusione
aumenta molto rapidamente.

Quali sono le distanze alle quali la diffusione semplice viene utilizzata come mezzo unico per gli scambi di
soluti tra compartimenti diversi? Si tratta di distanze molto piccole. Abbiamo detto che ciascuna cellula in
generale si trova a una distanza non maggiore a 50 micron dal capillare più vicino. Questa è dunque la
distanza che le molecole devono percorrere per diffondere dal capillare alla cellula o viceversa. Anche nel
caso delle sinapsi si hanno fenomeni di diffusione semplice: i neurotrasmettitori vengono rilasciati a livello
del bottone sinaptico nella fessura sinaptica e devono raggiungere mediante diffusione semplice il
recettore situato sulla membrana della cellula postsinaptica.
Quali sono i tempi necessari alla diffusione? Si tratta di tempi molto piccoli. Per percorrere 1 micron
(diametro di un mitocondrio) a una sostanza con un coefficiente di diffusione simile a quello dell’ossigeno e
dell’anidride carbonica basta un millisecondo. Per viaggiare per una distanza di 10 micron (che è la
dimensione di una piccola cellula) il tempo aumenta in maniera quadratica a 100 millisecondi.
Dunque la diffusione semplice è estremamente rapida per brevi distanze: pensiamo che il sangue che
fluisce attraverso un capillare sistemico lungo 1-2 mm impiega circa un paio di secondi.
In una giunzione neuromuscolare dove lo spazio sinaptico è attorno a 1 decimo di micron, il tempo di
diffusione scende a 5 microsecondi. (Il ritardo sinaptico ovvero il tempo che effettivamente il
neurotrasmettitore impiega per raggiungere la membrana post-sinaptica è pari a 1-2 millisecondi, ciò è
dovuto alla presenza di altri fattori oltre alla diffusione semplice. Vediamo che in proporzione essa incide
davvero molto poco sul ritardo sinaptico. Lo vedremo nel dettaglio nelle prossime lezioni).
Riassumendo possiamo dire che a livello cellulare e per brevi distanze i processi di diffusione semplice sono
estremamente efficaci, aumentando la distanza il tempo aumenta rapidamente e l’efficacia del processo
diventa scadente per la relazione di Einstein, da qui la necessità di avere un sistema circolatorio che
permetta il trasferimento di sostanze da un punto all’altro del nostro corpo quando le distanze sono
elevate.

Diffusione in presenza di membrane lipidiche


Fino ad ora abbiamo considerato la diffusione in campo libero, ma nel processo di diffusione semplice da
capillare a ambiente intracellulare ad esempio, troviamo interposta la membrana plasmatica. La membrana
plasmatica è composta da un doppio strato di fosfolipidi che possiedono teste polari idrofiliche e code
apolari idrofobiche. Le teste polari, potendo interagire facilmente con l’acqua, saranno rivolte verso
l’ambiente acquoso, dunque verso l’ambiente extracellulare e citoplasmatico, mentre le code saranno
contenute tra le due file di teste a contatto le une con le altre e al riparo dall’ambiente acquoso. Una
sostanza idrofilica non potrà passare facilmente attraverso la membrana; è il caso degli ioni, degli
amminoacidi o del glucosio. Al contrario una sostanza liposolubile dunque lipofilica come il colesterolo, vi
passerà con facilità.

Per misurare la liposolubilità/lipofilicità delle sostanze, come vediamo nel grafico sull’asse delle ascisse,
normalmente viene utilizzato il coefficiente di distribuzione olio di oliva/acqua (la solubilità dell’olio di
oliva e dei fosfolipidi di membrana non è molto differente). Si tratta di un coefficiente che ci indica quanto
facilmente una sostanza si scioglie all’interno dei lipidi. Sull’asse delle ordinate è presente invece il
coefficiente di permeabilità della membrana per queste sostanze. Dal grafico si nota che tanto maggiore è
la capacità di sciogliersi nei lipidi tanto maggiore è il coefficiente di permeabilità della membrana, e anche il
fatto che a parità di coefficiente di distribuzione olio di oliva/acqua una molecola più grossa ha un minore
coefficiente di permeabilità rispetto a una molecola più piccola.
Facciamo il confronto ad esempio tra etanolo e urea: l’urea è un prodotto del catabolismo, è una molecola
piccola che passa attraverso la membrana anche se non molto facilmente, l’etanolo ha grossomodo la
stessa dimensione, ma una capacità di attraversare la membrana decisamente maggiore. Ciò dipende dalla
sua liposolubilità di gran lunga maggiore. (In virtù di quest’ultima l’etanolo infatti comincia ad essere
assorbito molto velocemente nello stomaco, ancor prima di arrivare all’intestino tenue).

Nel caso in cui sia presente una membrana lipidica dunque la legge di Fick assume questo aspetto:

- non è presente il gradiente di concentrazione, ma semplicemente la differenza di concentrazione


tra interno ed esterno della membrana, perché si suppone che la concentrazione dai due lati sia
costante;
- la velocità di flusso è direttamente proporzionale alla superficie attraverso la quale lo scambio ha
luogo;
- d è lo spessore della membrana che ha poca rilevanza perché le membrane biologiche hanno tutte
più o meno lo stesso spessore;
- P è il coefficiente di permeabilità è connesso al coefficiente di diffusione, ma moltiplicato per k =
livello di solubilità nei lipidi (coefficiente di distribuzione olio di oliva/acqua)
- Il coefficiente di diffusione Dm è il medesimo visto per la diffusione in campo libero.

Possiamo fare alcune considerazioni che verranno riprese l’anno prossimo in maniera più dettagliata con lo
studio del sistema respiratorio: O2 e CO2 sono molecole estremamente liposolubili oltre a essere
estremamente piccole. Esse dunque diffondono in maniera molto efficace.
Quando parliamo di gas un valore rilevante che compare è la pressione parziale del gas nei vari
compartimenti. La legge di Henry stabilisce una relazione molto semplice tra concentrazione del gas e la
sua pressione parziale: il coefficiente di proporzionalità è α, che prende il nome di coefficiente di solubilità.
Esso è inversamente proporzionale alla temperatura e diventa uguale a 0 alla temperatura di ebollizione
del liquido. Notiamo che il coefficiente di solubilità della CO2 è circa 4 volte quello dell’ossigeno.
La CO2 infatti è notoriamente più solubile di O2 (24 volte).

Legge di Henry:

Dunque concludiamo che: per i gas in soluzione la velocità di flusso attraverso la membrana alveolare viene
espressa in funzione delle differenze di pressione e non delle differenze di concentrazione.
Il valore delle concentrazioni può comunque essere ricavato mediante la legge di Henry.
La legge di Fick per i gas assumerà questo aspetto:
Legge di Graham sulla diffusione
Ad una data temperatura, la velocità di diffusione in un gas è inversamente proporzionale alla radice
quadrata del peso molecolare. La velocità di diffusione è limitata dalla solubilità del gas, in quanto a parità
di P questa determina la quantità di gas disciolto, determinando il gradiente di concentrazione.

Quindi nella legge di Fick

Nel caso di CO2 e O2 vediamo che dal punto di vista


della solubilità l’anidride carbonica risulta favorita
perché ha una solubilità maggiore, dal punto di vista
del peso molecolare è invece favorito l’ossigeno.
Dalla combinazione di questi due fattori risulta
infine che l’anidride carbonica è 24 volte più solubile
dell’ossigeno. Essa diffonde meglio dell’ossigeno.

Riassumendo La legge di Fick dipende:


- Per una sostanza in soluzione da raggio e liposolubilità;
- Per un gas (per il quale utilizziamo differenze di pressione e non di concentrazione) dalla solubilità in
acqua del gas e dalla radice quadrata del peso molecolare.

Come viene mantenuto il gradiente di concentrazione?


Abbiamo detto che nel momento in cui si ha una differenza di concentrazione tra due punti di una sostanza,
si ha un flusso di molecole dalla regione a più alta concentrazione alla regione a più bassa concentrazione
senza spendere energia. Tuttavia se il meccanismo verrà lasciato procedere, esso porterà ad avere la stessa
concentrazione in tutti i punti del sistema, e si bloccherà. Per mantenere il gradiente di concentrazione è
necessario invece spendere energia metabolica. Si parla di differenza di potenziale chimico, che è una
misura del lavoro che occorre per spostare 1 mole di soluto contro gradiente di concentrazione, dunque
per creare il gradiente che poi permetterà meccanismi di diffusione passiva.

You might also like