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Morto Piero Ostellino AVEVA 82 ANNI

Guidò il «Corriere» dal 1984 al


1987
Convinto liberale e garantista, aveva fondato il Centro Einaudi di
Torino ed era stato corrispondente da Mosca e da Pechino. Contrastò
sempre lo statalismo dirigista
di ANTONIO CARIOTI

Piero
Ostellino (1935-2018), direttore del «Corriere» dal 1984 al 1987 (Imagoeconomica)
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Era una personalità forte Piero Ostellino, scomparso all’età di 82 anni:
giornalista e uomo di cultura, direttore del «Corriere della Sera» tra il giugno
1984 e il febbraio 1987, si distingueva per spirito polemico tra i più
appassionati sostenitori del pensiero liberale. Il suo punto di riferimento
filosofico era la scuola illuminista scozzese, autori insigni come John Locke,
David Hume, Adam Smith, di cui apprezzava la fede nell’individuo e la
consapevolezza profonda dell’imperfezione umana. Diffidava invece
dell’Illuminismo francese , specie della mentalità «geometrica» che aveva
prodotto l’intransigenza giacobina e il Terrore rivoluzionario.
Nato a Venezia il 9 ottobre 1935, Ostellino si era laureato in Scienze
politiche all’Università di Torino. Nella città piemontese, all’inizio degli anni
Sessanta, nemmeno trentenne era stato tra i fondatori del prestigioso Centro di
ricerca Luigi Einaudi e della rivista ad esso collegata, «Biblioteca della Libertà».
Due importanti oasi di studio, ricerca e riflessione a presidio dei valori
occidentali, che proprio in quel periodo vivevano in Italia una fase di eclissi,
accentuata in seguito dall’effetto delle agitazioni studentesche e operaie nel
biennio 1968-69.
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Penna colta e spesso acuminata, Ostellino aveva intrapreso la carriera
giornalistica molto giovane ed era approdato al «Corriere della Sera» nel
1967. Ben presto aveva fatto valere le sue doti e nel 1973 era diventato
corrispondente da Mosca, in piena epoca brežneviana. Mai tentato da
indulgenze verso l’ideologia comunista o il sistema sovietico, si era tuttavia
accostato a quella realtà con spirito laico, cercando di individuare i meccanismi
concreti che muovevano la società dell’Urss e regolavano la vita dei suoi
cittadini, senza lasciarsi guidare dai pregiudizi né tanto meno influenzare dalla
propaganda del regime. Ne era scaturito anche un libro di notevole
successo, Vivere in Russia (Rizzoli, 1977).
Dopo l’Urss era venuta nel 1979 la Cina del dopo Mao, avviata verso le
riforme radicali promosse da Deng Xiaoping, che Ostellino aveva seguito in
presa diretta a Pechino con attenzione e curiosità. Anche da quell’esperienza
aveva tratto un saggio, Vivere in Cina (Rizzoli, 1981). Quindi era tornato sul
mondo sovietico, all’epoca in piena stagnazione pregorbacioviana, con il
volume In che cosa credono i russi? (Longanesi, 1982).
Terminata l’esperienza di corrispondente dall’estero, nel 1984
Ostellino era giunto alla guida del quotidiano di via Solferino e vi era
rimasto per quattro anni, in una fase di ripresa del nostro Paese, dopo le
difficoltà economiche e il sangue versato nel decennio precedente, ma nella
quale già si intravedevano i sintomi della crisi che in seguito avrebbe
determinato la disgregazione degli equilibri politici tradizionali. Crisi di cui il
direttore del «Corriere della Sera» aveva colto le avvisaglie, convinto com’era
che senza una rivoluzione liberale, fondata sulla competizione aperta in ogni
settore, l’Italia corresse rischi molto seri.
Quando poi la partitocrazia si era inabissata con l’inchiesta Mani
pulite, Ostellino, non più direttore ma sempre commentatore autorevole del
«Corriere», aveva osservato con preoccupazione il fallimento di ogni tentativo
riformatore. Attraverso la sua rubrica settimanale «Il dubbio» registrava
regolarmente, a volte con sarcasmo, l’incoerenza di forze e di leader che
evocavano i valori liberali, ma si dimostravano, a destra come a sinistra, del
tutto incapaci di praticarli.
Lo angustiava soprattutto la permanenza di una logica dirigista e
corporativa, assistenzialista e autoritaria, che vedeva come piombo nelle ali
dell’Italia. Prendeva di mira con assiduità anche gli eccessi del giustizialismo, le
frequenti intromissioni in campo politico di certa magistratura: gli appariva un
grave pericolo compromettere le garanzie processuali in nome di un’esigenza
di moralizzazione della vita pubblica. A tal proposito, da appassionato
juventino, ovviamente non aveva gradito per nulla Calciopoli. Oltre che per i
bianconeri, faceva il tifo per il cittadino spremuto e angariato, tanto che non
esitò a intitolare Lo Stato canaglia un libro di denuncia edito da Rizzoli nel
2009.
Anche dopo aver lasciato il «Corriere» per «il Giornale», nel 2015,
Ostellino continuava a sognare un’Italia liberale che assomigliasse di più alle
democrazie anglosassoni, davvero rispettosa dei diritti individuali. Purtroppo
non ha potuto vederla.
10 marzo 2018 (modifica il 10 marzo 2018 | 19:21)
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