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Andrea Perrone

Arktika
La sfida dell‟Artico
Il Polo Nord tra geopolitica e risorse energetiche

Con la prefazione di Tiberio Graziani

Fuoco Edizioni
© Fuoco Edizioni - www.fuoco-edizioni.it

Stampa Universal Book srl, Rende (CS)

Prima Edizione - Marzo 2010

ISBN 978-88-904658-1-9

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Prefazione

La storia geopolitica dell‟Artide - se si prescinde dai riferimenti degli


Antichi riguardo alla regione artica ed alle esplorazioni dei Vichinghi,
che con qualche difficoltà possiamo valutare in termini tipicamente geo-
politici - può essere suddivisa, in una prima approssimazione, in almeno
tre cicli.
Un primo grande ciclo, che potremmo denominare il ciclo delle grandi
esplorazioni e della prima marittimizzazione artica, può collocarsi tra il
1553, quando cioè il navigatore inglese Hugh Willoughby si mosse alla
ricerca del passaggio a Nord-Est, e la seconda metà degli anni venti del
XIX secolo.
Questo primo ciclo, durante il quale si svolge il processo di
“marittimizzazione” del Bacino artico, attuato mediante la costruzioni
di porti e la progettazione di rotte commerciali, rientra nell‟ambito della
ricerca di nuove vie verso l‟Oriente, un‟impresa sostenuta principal-
mente dalle nazioni europee.
Tra la fine del Settecento e gli inizi dell‟Ottocento gli attori regionali
sono il Regno di Danimarca e gli Imperi inglese e russo.
La rivalità tra la Russia e la Gran Bretagna, tra cioè una potenza di terra
ed una di mare, costituisce la chiave di lettura delle principali tensioni
geopolitiche che hanno luogo in questa regione nel corso dei primi anni
dell‟Ottocento.
Il trattato, siglato nel 1826, tra San Pietroburgo e Londra sulla delimita-
zione delle frontiere fra la Russia cosiddetta “americana” ed i possedi-
menti inglesi in America settentrionale, inaugura una nuova fase storica
della regione polare.
Tale accordo, volto a ridurre le frizioni tra le due entità geopolitiche,
non riuscì tuttavia nel suo intento.
La tensione geopolitica tra i due Imperi si attenuerà, almeno in questa
parte del Pianeta, solo nel 1867, quando la Russia, con lo scopo di con-
trastare il radicamento britannico nella zona artica, cederà l‟Alaska, per
7,5 milioni di dollari, agli emergenti Stati Uniti d’America.
Lungi dall'essere la Follia di Seward, come venne definita dal nome

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dell'allora Segretario di Stato nordamericano, l'acquisizione dell'Alaska
rappresentava, almeno per quell'epoca, il punto d'arrivo della politica
"nordica" di Washington.
Infatti gli Stati Uniti, intenzionati a proiettare la propria potenza verso il
Polo artico, avevano intavolato, negli stessi anni, alcune trattative con la
Danimarca in merito all'acquisto della Groenlandia.
Come noto, gli USA raggiunsero l'obiettivo strategico di controllare
gran parte del Circolo Polare Artico solo dopo la Seconda Guerra Mon-
diale, istallando proprio nell‟Isola Verde la base militare di Thule.
Con l‟ingresso del nuovo arrivato nel club delle nazioni circumpolari
cominciano a germinare le frizioni che contrassegneranno la successiva
storia geopolitica dell‟Artide.
È questo il ciclo della sovranità o delle rivendicazioni territoriali, che
iniziato per l‟appunto nel 1826 con una delimitazione di frontiere termi-
na nel 1991, con lo scioglimento dell‟URSS.
Esso è caratterizzato dalla enunciazione delle teorie sulla spartizione
della regione e dalla sua crescente militarizzazione, la quale, avviata nel
corso delle due guerre mondiali, fu, senza soluzione di continuità, pro-
seguita ed intensificata nel contesto della Guerra Fredda.
L‟importante funzione geostrategica dell‟area artica che ne fa, ancora
oggi, una delle principali piattaforme di dissuasione nucleare, venne
pienamente riconosciuta dai principali attori regionali, in primo luogo
dagli USA e dall‟URSS e secondariamente dal Canada, ed inserita nelle
rispettive dottrine geopolitiche del tempo.
Il terzo ciclo, che potremmo definire della identità regionale artica o
del multilateralismo e situare tra il 1990 ed i primi anni del secolo attua-
le, è contraddistinto dallo scarso impegno di Mosca - geopoliticamente
ripiegata su stessa dopo il collasso dell‟edificio sovietico - nel sostenere
i propri interessi regionali, dalle rinnovate tensioni tra il Canada e gli
USA, da una timida presenza dell‟Unione Europea, che enuncia la co-
siddetta “politica della dimensione Nordica”, e, in particolare, da alcune
iniziative internazionali o multilaterali.
Queste ultime, che si basano principalmente sulla comune identità arti-
ca, sull‟idea del “mediterraneo artico”, sul rispetto delle minoranza e
dell‟ambiente e sul cosiddetto sviluppo sostenibile, sono tese sia al raf-
forzamento dell‟internazionalizzatone dell‟area, sia all‟attenuamento
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degli attriti emersi in seno al ristretto club della nazioni circumpolari in
relazione alla sovranità.
Bisogna tuttavia osservare che sul piano dei reali rapporti di forza, in
particolare quelli concernenti gli ambiti militare e geostrategico, gli U-
SA detengono, nel corso di questo breve ciclo, il primato di nazione
egemone dell‟intera zona, sia direttamente, sia attraverso l‟Alleanza
Atlantica; gli altri attori recitano il ruolo marginale di semplici compar-
se.
L‟Artico è attualmente, nel quadro della strutturazione del nuovo siste-
ma multipolare, una delle aree più contese del Pianeta, in ragione non
solo delle risorse energetiche e minerarie presenti sotto il pack, della sua
particolare posizione geostrategica e degli effetti che il riscaldamento
globale potrebbe produrre riguardo alla sua maggiore praticabilità, ma
soprattutto a causa del ritorno della Russia quale attore globale.
Considerato per lungo tempo di limitato interesse geopolitico, a causa
principalmente della sua inaccessibilità, il Circolo Polare Artico è infatti
diventato - a far data dal 2 agosto 2007, quando l‟equipaggio di due sot-
tomarini deposero il tricolore russo sui fondali del Mar Glaciale Artico,
a 4.200 metri di profondità - una zona di crescenti contrasti, sia territo-
riali che strategici, tra i Paesi circumpolari e di grande interesse anche
per la Cina ed il Giappone.
Questa data, che molto probabilmente celebra l'inizio di una nuova era
geopolitica per la storia della regione artica, evidenzia innanzitutto il
rinnovato interesse dei Russi per la difesa del loro spazio continentale e
costiero, nonché la determinazione perseguita dal Cremlino di concorre-
re alla costituzione di un nuovo ordine planetario, dopo la lunga stagio-
ne del bipolarismo Est-Ovest ed il breve, e geopoliticamente catastrofi-
co, “momento unipolare”.
La “rivendicazione” russa dello spazio artico si inserisce, dunque, a pie-
no titolo nella Dottrina Putin volta a ristabilire, in una prospettiva multi-
polare, il giusto peso della Russia nell‟intero e complesso scacchiere
mondiale.
Una “rivendicazione”, o piuttosto un‟assunzione di responsabilità in
riferimento al nuovo scenario mondiale, che anche il Presidente Medve-
dev, attuale inquilino del Cremlino, pare sostenere con convinzione.
Mosca, dopo aver riacquistato prestigio nel Caucaso ed in Asia centrale,
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riannodato i rapporti con la Cina e soprattutto limitato, per quanto pos-
sibile, lo sfaldamento del suo “estero vicino”, si rivolge ora a Nord.
Ciò non deve affatto stupire, essendo il territorio russo, come ci ricorda
Pascal Marchand, il risultato di un processo storico contraddistinto da
due caratteri geografici: la continentalità, vale a dire l’espansione nella
massa continentale eurasiatica e la nordicità , cioè l’espansione verso
l‟Artico.
Queste due direttrici, oltre la spinta verso l‟Oceano Indiano, segneranno
ancora una volta il destino della Russia nel nuovo grande gioco del XXI
secolo.
È in questo quadro di riferimento che l‟Artico, la mitica dimora dei po-
poli vedici secondo gli studi effettuati dal politico ed intellettuale india-
no Bal Gangadhar Tilak, diverrà, come egregiamente esposto nel pre-
sente saggio, una delle principali poste in gioco del prossimo ventennio.

Tiberio Graziani
Direttore della Rivista di Studi Geopolitici Eurasia

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Introduzione

Da pochi anni assistiamo ad una sfida sempre più decisa tra le nazioni
prospicienti l‟Oceano Artico, che ha ormai assunto i caratteri di una
crescente militarizzazione della regione e minaccia di avere gravi con-
seguenze politiche globali.
Il processo di militarizzazione evidenzia che vi sono interessi conver-
genti nell‟Artico data la presenza di vaste risorse ed opportunità econo-
miche, ma che rimangono incerti i diritti di proprietà dei singoli Stati
derivanti dalle disposizioni della Convenzione ONU sul Diritto del Ma-
re (UNCLOS) di Montego Bay, ed è imprevedibile la condotta che cia-
scuno di essi potrebbe adottare all‟insorgere di eventuali conflitti di de-
limitazione.
Russia, Stati Uniti, Canada, Danimarca e Norvegia rivendicano, infatti,
maggiori poteri e diritti sui fondali del Mare Artico, territori sottomarini
ricchi di depositi di metalli quali: oro, argento, uranio, piombo, zinco e
rame oltre che diamanti ed in cui, inoltre, secondo recenti rilevazioni
dell‟Us Geological Survey, potrebbero trovarsi un quarto delle riserve di
petrolio e gas naturale del Pianeta.
Nel 1988, è stato scoperto un giacimento di 3,7 mila miliardi di metri
cubi di gas ed un milione di tonnellate di gas liquido: abbastanza per
rifornire il fabbisogno del mondo intero per un anno.
L'Oceano Artico si estende per 14 milioni di km quadrati. All‟interno
del Circolo Polare sono compresi, anche 3,4 milioni di chilometri qua-
drati di terra: il nord della Siberia, della Penisola scandinava,
dell‟Alaska, buona parte delle isole canadesi e quasi tutta la Groenlan-
dia. Regioni, queste, abitate complessivamente da 4 milioni di persone.
Ora, sul potenziale tesoro di idrocarburi nascosti sotto il Polo sono arri-
vate prepotentemente anche le compagnie private. La Artic Oil & Gas,
società che conta nel suo direttivo anche l‟ex senatore canadese Edward
Lawson, ha presentato, infatti, all‟ONU una richiesta per agire da
“agente di sviluppo” esclusivo della zona, che secondo l’azienda cela
nel sottosuolo 400 miliardi di barili di oro nero. Per l‟azienda, pur rico-
noscendo che i depositi di idrocarburi costituiscono un patrimonio co-

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mune dell‟umanità, la regione artica ha bisogno di un gestore privato,
che possa mettersi a capo di un consorzio internazionale di società pe-
trolifere interessate a spartirsi le risorse in modo equo.
La pressione internazionale sull‟area è aggravata dall‟impatto dello
scioglimento dei ghiacci polari, che renderà sempre più accessibili risor-
se e rotte di navigazione. E non è un caso che, negli ultimi tempi, il nu-
mero degli attori che tentano di inserirsi nella partita dell‟Artico sia si-
gnificativamente cresciuto. Tra questi figurano anche la Cina, che nel
2008 ha ottenuto lo status di osservatore presso il Consiglio dell’Artico
(Arctic Council), la Corea del Sud, che essendo un’importante potenza
mercantile guarda con interesse l‟aprirsi di potenziali rotte e si sta a sua
volta muovendo per diventare osservatore, ed il Giappone, il cui ingres-
so nell‟organo multilaterale è stato auspicato dallo stesso presidente
della commissione statunitense per la ricerca sull‟Artico.
Dinanzi a questi crescenti appetiti, un recente documento russo non ha
escluso l‟eventualità di un conflitto armato per le risorse dell‟Artico,
mentre un rapporto dell‟Unione Europea del novembre 2008 sottolinea
“potenziali conseguenze per la stabilità internazionale e gli interessi di
sicurezza europei”.
Da parte loro gli Stati Uniti hanno aggiornato la loro politica artica fin
dal 1994 e, recentemente, con una direttiva presidenziale diramata nel
gennaio 2009. Il nuovo documento sposta l‟accento dall‟interesse quasi
esclusivamente scientifico del passato a quello per l‟affermazione di
una più netta sovranità nell‟area. La direttiva, infatti, afferma che “gli
Stati Uniti sono una nazione artica, con forti e variegati interessi nella
regione... compresi ampi e fondamentali interessi di sicurezza naziona-
le”. Tra questi, si richiamano, oltre alle risorse, anche la libertà di navi-
gazione, la sicurezza marittima, l‟allerta antimissilistica e la dissuasione
strategica.
Gli USA, in realtà, sono attivi nell‟Artico da alcuni anni. Nel 2001 il
rompighiaccio USS Healy della Guardia Costiera americana ha esplora-
to la Dorsale sottomarina di Gakkel, dove di recente l‟U.S. Geologial
Survey ha realizzato un‟indagine sulla presenza di idrocarburi. Nel 2003
poi Washington ha fatto anche dei rilevamenti del fondale dell‟Oceano
Artico da cui si evince che gli USA potrebbero rivendicare diritti su 600
mila chilometri quadrati della piattaforma continentale che si estende
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Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

dall‟Alaska, nei quali è ritenuto esservi un tesoro in idrocarburi dal va-


lore stimato di 650 miliardi di dollari.
A queste prese di posizione si è aggiunta, il 5 gennaio 2010, la notizia
pubblicata sul New York Times che l’intelligence americana ed un team
di scienziati monitoreranno insieme i cambiamenti climatici in corso
nell‟Artide con l‟ausilio di satelliti spia e di sensori segreti.
La collaborazione, erede del programma Medea (Measurements of E-
arth Data for Environmental Analysis) iniziata nel 1992, e ripresa dopo
che l‟Amministrazione Bush l‟aveva cancellata nel 2001, gode del forte
appoggio del nuovo direttore della Central Intelligence Agency (CIA),
Leon E. Panetta. In particolare i satelliti spia scatteranno immagini, su
richiesta precisa degli scienziati, in sei aree del Circolo Artico, fra cui
quella di Fram Strait, giudicate particolarmente significative per seguire
lo scioglimento dei ghiacciai e gli spostamenti degli iceberg dal bacino
dell‟Artico all‟Atlantico settentrionale.
Al programma partecipano circa sessanta scienziati provenienti dal
mondo accademico, dall‟industria e dalle agenzie federali, tutti autoriz-
zati dalla National Academy of Sciences, un corpo d’élite che coadiuva
il Governo Federale.
Il Professore Norbert Untersteiner dell‟Università di Washington, spe-
cialista in calotte polari e membro di questa squadra mista di spie e
scienziati, ha sottolineato come lo scioglimento dei ghiacci artici aprirà
nuove rotte navali e nuove opportunità per la pesca, e permetterà di in-
dividuare depositi sottomarini di petrolio e gas per un valore di miliardi
di dollari. “Quello che accade nell’Artico può avere riflessi molto im-
portanti dal punto di vista economico e strategico. Lo scioglimento dei
ghiacciai è destinato a creare nuove rotte marittime e aprire la caccia
allo sfruttamento di nuovi giacimenti sottomarini di greggio e gas”.
Dal canto suo, anche la NATO ha dimostrato di voler volgere il suo
sguardo verso la regione artica, tanto che nel gennaio 2009 ha ospitato a
Reykjavik un seminario sulle “Prospettive della sicurezza nell‟Estremo
Nord” ed in quell‟occasione ha auspicato, tramite l‟allora Segretario
Generale, Jaap de Hoop Scheffer, la costituzione di una presenza milita-
re permanente nell‟Artico.
Il coinvolgimento della NATO deriva anche dal nuovo interesse per la
sicurezza energetica che l‟Alleanza si è data. Il nuovo Segretario, l‟ex
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Primo Ministro danese Anders Fogh Rasmussen, ha sottolineato come
lo scioglimento dei ghiacci in corso nell‟Artico provocherà dei cambia-
menti climatici che metteranno a rischio la vita di milioni di persone,
oltre al pericolo di un conflitto generalizzato per il controllo delle risor-
se della regione.
La risposta dell‟altro grande protagonista della sfida artica però, non si è
fatta attendere. L‟inviato russo a Bruxelles, Dmitry Rogozin, ha dichia-
rato che l‟Alleanza Atlantica “non ha alcun posto nell’Artico”.
Ma è già dal 2007 che il Cremlino punta a rafforzare la propria presenza
militare nella zona attraverso la ripresa dei pattugliamenti strategici con
bombardieri TU-95, ed occasionalmente, con i più evoluti e potenti TU-
160. Mentre a fine marzo 2009, il Consiglio per la Sicurezza russo ha
varato una nuova strategia, che stabilisce lo sviluppo delle risorse arti-
che come priorità entro il 2020 ed annuncia la creazione di una forza
speciale provvista di basi militari lungo la costa settentrionale della Fe-
derazione. Contemporaneamente, la Russia si prepara a varare leggi per
disciplinare la navigazione del Passaggio a Nord-Est, lungo la costa si-
beriana.
È nel contesto, comunque, della nuova strategia russa di rinascita nazio-
nale, in particolare, che si colloca la politica della Federazione nei con-
fronti dell‟Artico. Per comprendere le attuali scelte strategiche del
Cremlino è importante sottolineare in primo luogo la visione che i russi
hanno di questa regione.
La gran parte della popolazione considera infatti l‟Artide come parte
della Federazione stessa o comunque come un‟area strettamente legata
ad essa. Secondo la maggioranza degli analisti russi, inoltre, il controllo
dell‟Artico costituirebbe una sorta di compensazione per la perdita
d‟influenza su gran parte dell‟Europa centro-orientale, venuta meno
dopo la dissoluzione dell‟Unione Sovietica.
Anche la letteratura russa considera le acque costiere della Federazione
come “acque interne”, “acque storiche” o “acque chiuse”, soggette alla
sua piena sovranità. I russi si rifanno, in tutto o in parte, ai “diritti stori-
ci” sostenendo che il ghiaccio che ricopre le acque costituisce una strut-
tura simile alla terra. Già dal 1926, un decreto russo ha rivendicato i
territori e le isole situate all‟interno del settore tra 32˚ 04‟ 55‟‟ est e
168˚ 49’ 30’’ ovest, dalla costa fino al Polo Nord. Nel 1928 e nel 1950,
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Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

Mosca ha sostenuto la supremazia sulle zone oceaniche interne a questo


settore. Le dichiarazioni non sono mai state seguite da dichiarazioni
formali. Questi tentativi di rivalsa, nonostante abbiano radici profonde
nella storia russa e nel rapporto del Paese con l‟estremo Nord, si sono
ulteriormente rafforzate in virtù di una politica di stampo nazionalista e
di rinnovata potenza che ha connaturato prima la presidenza di Vladimir
Putin e successivamente quella di Dmitrijj Medvedev. Inoltre, questa
strategia è di notevole importanza per garantire la sicurezza nazionale,
sia in senso economico, sia in senso militare.
Per la Russia l‟Artico ha quindi una grande rilevanza ed a dimostrazio-
ne di quanto affermato è utile ricordare che due delle sue più importanti
città: Murmansk con 330.000 abitanti e Arkhangel‟sk con circa
300.000, entrambe dotate di ampi porti, si trovano a cavallo del Circolo
Polare Artico.
La Commissione Europea, dal canto suo, ha adottato nel novembre del
2008 il rapporto “L’Unione europea e la regione artica” con la quale si
delinea una visione degli interessi e degli obiettivi politici della UE su
tre direttrici: la protezione dell‟Artico e della sua popolazione, l‟uso
sostenibile delle sue risorse, e la governance multilaterale del Polo.
Il documento di Bruxelles, che rappresenta il primo passo verso una
politica artica europea, identifica, inoltre, dei percorsi per la formulazio-
ne di azioni coordinate da parte di tutti i Paesi membri.
Per quanto riguarda il Canada invece, l‟Artico comprende oltre il 40%
del territorio del Paese ed ospita oltre 100.000 abitanti. È parte fonda-
mentale dell‟identità nazionale ed è altresì un‟area di crescente impor-
tanza economica per i motivi già citati. Tanto che le autorità di Ottawa
hanno proposto rivendicazioni sulle acque dell‟Artico sin dal 1907.
Rispetto alla Russia, però il Canada non ha mai avanzato pretese sulle
acque coperte di ghiaccio al di la delle 12 miglia marine.
Tuttavia la linea di demarcazione artica è presente in tutte le mappe uf-
ficiali canadesi e come in Russia molti giuristi di Ottawa sostengono
che le caratteristiche uniche delle acque dell‟Artide ricoperte dai ghiacci
attribuiscono ai territori settentrionali del Canada uno status particolare.
Per questo Ottawa continua sulla strada dell‟affermazione della sovrani-
tà nell‟area, considerando il Passaggio a Nord-Ovest come acque inter-
ne, rivendicando il proprio status a titolo storico in nome dell‟uso delle
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acque artiche da parte delle popolazioni canadesi autoctone.
Nel dicembre 2008, il governo canadese ha presentato, infatti, un pro-
getto normativo teso ad ampliare la zona di applicazione della legge
sull‟inquinamento delle acque artiche, estendendo l‟obbligo di notifica
alle navi in transito dalle 100 alle 200 miglia.
Anche la Gran Bretagna, Paese non propriamente artico, non ha manca-
to negli ultimi tempi di avanzare rivendicazioni territoriali che riguar-
dassero il Polo.
Il 31 marzo 2009, infatti, Londra ha presentato una parziale richiesta
alla Commissione delle Nazioni Unite sui limiti della propria piattafor-
ma continentale, per quanto riguarda Rockall, una minuscola isola roc-
ciosa posta tra Irlanda ed Islanda in pieno Oceano Atlantico, la quale
conferirebbe al Paese la sua unica possibilità di rivalsa per l‟accesso
all‟Artico.
La Gran Bretagna, anche se ha annesso formalmente lo scoglio nel
1955, ha intavolato una serie di colloqui con Islanda, Irlanda e Dani-
marca per utilizzare congiuntamente Rockall allo scopo di penetrare
nell‟Artico per la corsa al controllo delle sue immense risorse.
Tutti gli Stati circumpolari hanno avviato le attività di rilevamento, al
fine di arrivare ad una mappatura dei fondali e depositare le proprie ri-
vendicazioni presso la Commissione delle Nazioni Unite sui Limiti del-
la Piattaforma Continentale.
La Russia, il cui fascicolo è già stato rifiutato nel 2001, rivendica, in
particolare, un‟area di 460.000 miglia quadrate e punta a dimostrare i
suoi diritti sulla catena di Lomonosov, mentre contesta la delimitazione
territoriale norvegese nel Mare di Barents depositata nel 2006.
Per dare forza alla propria posizione, il 2 agosto 2007 Mosca ha inviato
una missione scientifica nazionale (Arktika 2007) che ha fissato una
bandiera al titanio a 4.261 metri sul fondo del Mare Artico: la spedizio-
ne e l‟atto di appropriazione dei fondali artici hanno avuto
un‟importante valenza in ambito geopolitico poiché riaprono una que-
stione internazionale mai risolta riguardante la sovranità sui fondali del
Polo Nord.
Riconoscendo i pericoli crescenti di una guerra, gli Stati artici stanno
portando avanti parallelamente negoziati per prevenire ulteriori tensioni.
In particolare, il Consiglio Artico sta agendo da organo di gestione delle
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Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

discordie.
Ma i rischi di un conflitto per il controllo delle risorse energetiche e del-
le rotte marittime si fanno sempre più evidenti. Ed a prospettare un con-
fronto imminente sono non soltanto analisti militari danesi e inglesi, ma
anche esperti delle forze armate australiane, che prevedono l‟apertura di
ostilità tra gli Stati rivieraschi nel breve periodo.

Il Circolo Polare Artico

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Capitolo I

Il surriscaldamento globale e le sue conseguenze sull’Artico

Negli ultimi tempi il surriscaldamento globale in atto sta avendo delle


conseguenze sempre più negative sul clima del nostro Pianeta.
Il 16 ottobre 2009 un rapporto, il Catlin Arctic Survey, presentato a
Londra alla Royal Society of Arts dal professore Peter Wadhams del
Polar Ocean Physics Group dell‟Università di Cambridge ha mostrato
che l‟Artico sarà completamente navigabile entro vent‟anni.
Lo scienziato inglese sta studiando i ghiacci dell‟Emisfero nord dagli
Anni „60. Il rapporto che ha illustrato, confermandone la validità scien-
tifica, è basato sui rilevamenti di una spedizione effettuata a nord del
Canada dal primo marzo al sette maggio 2009 da un gruppo di tre esplo-
ratori britannici: Pen Hadow, Ann Daniels e Martin Hartley, che hanno
percorso 435 chilometri di ghiacci artici a piedi ed hanno effettuato
1.500 misurazioni grazie alla perforazione della banchisa ghiacciata per
misurarne lo spessore. I risultati della spedizione, i cui rilevamenti non
sarebbero stati visibili con i satelliti, dimostrano che in questo momento
la maggior parte del ghiaccio artico ha uno spessore molto più sottile
rispetto a quello rilevato negli ultimi anni.
Nei ghiacci più esterni è stata osservata una consistenza tecnicamente
detta “del primo anno”, ovvero particolarmente suscettibile allo sciogli-
mento e pari a 1,8 metri, mentre lo spessore verso l'interno è di circa 4,8
metri. Ciò significa che entro i prossimi vent‟anni l‟Artico dovrebbe
essere privo di ghiacci nel periodo estivo, dunque navigabile da navi
commerciali.
L‟assottigliamento progressivo dei ghiacci artici prenderà il via tra ap-
pena dieci anni. Secondo Wadhams, lo scioglimento dell‟Artico favorirà
ancora di più l‟accelerazione del riscaldamento globale ed avrà effetti
non prevedibili sugli ecosistemi. Le conseguenze di un Artico senza
calotta potrebbero essere davvero devastanti. “Senza il ghiaccio che
riflette i raggi solari l’Oceano Artico si scalderà ancora più velocemen-
te”, ha spiegato Martin Sommerkorn, consulente del Wwf Arctic Pro-

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gramme, “e i gas serra imprigionati nel permafrost verranno rilasciati
nell’atmosfera. Inoltre il livello del mare si alzerà e potrebbe provocare
inondazioni, affliggendo un quarto della popolazione mondiale”.
Gli effetti di tutti questi fenomeni avranno delle gravi conseguenze
sull‟economia planetaria, a causa dei cambiamenti climatici su agricol-
tura, foreste e risorse idriche. In conseguenza della disgregazione dei
ghiacciai si verificherà un innalzamento dei livelli dei mari, che provo-
cherà inondazioni e siccità.
Un altro rapporto, l‟Artic report card, pubblicato a ottobre 2009 dal Na-
tional Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) del Diparti-
mento USA del Commercio, ha evidenziato che i cambiamenti climatici
del Polo sono più evidenti che in tutto il resto del Pianeta. Tutto questo
è l‟epilogo di un processo in corso da qualche decennio. Infatti, già dal
mese di settembre 2007, l‟area coperta dai ghiacci artici aveva raggiun-
to il livello più basso mai registrato, da quando nel 1979 iniziarono i
rilevamenti satellitari. È stato osservato infatti che la maggior parte de-
gli effetti del surriscaldamento globale si sono verificati nell‟emisfero
settentrionale ed hanno colpito in particolare l‟ecosistema artico. La
regione è dunque estremamente vulnerabile ai cambiamenti climatici,
molto più dell‟Antartide, nella quale tali effetti, secondo gli esperti, si
produrranno in un arco di tempo più lungo. Molti scienziati spiegano
questa differenza con il fatto che gran parte della calotta glaciale antarti-
ca si trova sul Continente, dove le temperature raramente salgono sopra
lo zero termico, e non direttamente sull‟Oceano, come invece avviene al
Polo Nord, dove le temperature sono più miti durante il periodo estivo,
con conseguenti maggiori effetti sulla copertura di ghiaccio e neve e sui
mutamenti climatici.
Le ragioni per cui l‟Artico ha così tanta influenza sul clima mondiale
sono, quindi, sostanzialmente tre. In primo luogo, a causa del consisten-
te strato di neve e ghiaccio che ricopre la regione, la maggior parte
dell‟energia solare viene riflessa nello spazio, grazie al fenomeno defi-
nito come “albedo”, esattamente il contrario di quanto avviene nelle
regioni tropicali. I ghiacci marini, ad esempio, riflettono circa il 90%
dei raggi solari, al contrario dell‟acqua, che invece assorbe il calore.
Appare quindi evidente che le riduzioni dell‟albedo provocano il surri-
scaldamento degli oceani e di conseguenza un ulteriore scioglimento dei
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Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

ghiacci. Infine, qualsiasi rialzo anche della temperatura del permafrost o


permagelo (un fenomeno questo rappresentato dal perenne congelamen-
to del terreno), potrebbe portare alla riduzione dell‟albedo della regione,
contribuendo ulteriormente al riscaldamento terrestre ed aumentando la
concentrazione di gas ad effetto serra.
Intrappolato al di sotto del permafrost, che funge da copertura imperme-
abile, si trova gas metano, accumulatosi nel corso dei millenni. Ad oggi
questi giacimenti metaniferi sono naturalmente sigillati, verso l‟alto,
dalle vaste estensioni impermeabili ai gas dei terreni congelati. Come
conseguenza dello scioglimento del permafrost, la liberazione e quindi
lo sprigionamento di grandi quantità di metano nell‟atmosfera terrestre,
aggiungendosi agli altri gas che favoriscono l‟effetto serra, contribui-
rebbe ancor più al riscaldamento globale.
Sul medio periodo, inoltre, nei prossimi 30-50 anni, si teme che le ac-
que di fusione del permafrost possano contribuire in modo significativo
a “raffreddare” i mari artici e ad abbassarne la salinità, ponendo a ri-
schio l‟esistenza della Corrente del Golfo che funge da “regolatore ter-
mico” su scala globale. È scientificamente dimostrato che questo tipo di
evento si è già verificato nel passato, scatenando reazioni climatiche
anomale.
Nel periodo 1979-2000, la calotta artica aveva un estensione di 7,7 mi-
lioni chilometri quadrati, mentre nel 2007 si è abbassata ad appena 5,8
milioni. Le conseguenze di tutto questo sono di natura strategica ed eco-
nomica. Dal punto di vista strategico, come già accennato, lo sciogli-
mento del ghiaccio renderà percorribili nuove rotte navigabili rispetto al
passato e cambierà completamente la dinamica delle comunicazioni a
livello mondiale.
Finora l‟Artico rappresentava una barriera naturale tra il Continente a-
mericano e quello eurasiatico, attraversabile solo con i sommergibili o
mediante navi rompighiaccio, oltre che naturalmente con gli aerei. La
diminuzione della superficie di ghiaccio, rendendo navigabile l‟area,
aprirà un nuovo fronte, che dovrà quindi essere difeso e presidiato, tutto
ciò con effetti assai rilevanti per l‟equilibrio della sicurezza mondiale.
Dal punto di vista economico sono, invece, due gli effetti principali del
cambiamento climatico nell‟area. In primo luogo le nuove rotte possono
essere sfruttate anche come vie commerciali, con notevole risparmio di
19
tempo rispetto alle tradizionali tratte marittime. Esempi importanti in
questo senso sono: la Northern Sea Route, definita anche Passaggio a
Nord-Est, ed il famoso Passaggio a Nord-Ovest, una rotta di navigazio-
ne che, passando attraverso l‟Arcipelago artico canadese e proseguendo
attraverso lo Stretto di Bering, collega l‟Oceano Atlantico all‟Oceano
Pacifico con un vantaggio di sei o sette giorni rispetto alla rotta che ol-
trepassa il Canale di Panama, riducendo di migliaia di chilometri il pas-
saggio dal Giappone all‟Europa.
Sempre da un punto di vista economico, il cambiamento climatico ed il
conseguente scioglimento dei ghiacci permetterà nella regione artica un
più facile accesso alle risorse dell‟area. Subirà dunque notevole impulso
la pesca, ma soprattutto, come precedentemente accennato, l‟attività
estrattiva di petrolio, gas naturale e risorse minerarie.
Secondo lo United States Geological Survey World Assessment 2000,
infatti, si stima che, circa il 25% delle riserve mondiali di petrolio e gas
naturale non ancora scoperte, si trovi proprio sotto l‟Oceano Artico.
Questa percentuale equivarrebbe a circa 375 miliardi di barili di greg-
gio. Una quantità notevole, superiore alle stesse riserve dell‟Arabia Sau-
dita, stimate in 264,3 miliardi di barili. Nello stesso tempo sotto i ghiac-
ci polari vi sarebbero 47.3 triliardi di metri cubi di gas.
Di fronte a tali prospettive, strategiche ed economiche, appare inevitabi-
le il riaccendersi delle contese territoriali tra gli Stati rivieraschi, soprat-
tutto se consideriamo l‟instabilità dell‟area da un punto di vista politico
e l‟incertezza che ancora caratterizza la questione della determinazione
delle sovranità nazionali nella regione artica.
La progressione negativa nell‟estensione dei ghiacci aveva già indotto
in passato preoccupazioni sul futuro del Mare Glaciale Artico, con im-
portanti implicazioni economiche e geopolitiche. Ciò nondimeno fino
ad oggi non erano state fatte stime accurate sul futuro di questo mare, in
quanto in tutti i modelli matematici utilizzati finora venivano inseriti
valori sottostimati di riduzione dei ghiacci per il periodo 1979-2007
rispetto alla reale situazione che si è di fatto verificata in questi anni. I
nuovi calcoli dicono dunque che il Mare Glaciale Artico è ancora più in
pericolo del previsto.
Secondo uno studio dei climatologi dell‟Università di Los Angeles,
pubblicato dalla rivista scientifica Nature Geoscience, l’Oceano Artico
20
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

sarà libero completamente dai ghiacci alla fine dell‟estate del 2100.
Un‟analisi fatta sulla base di diciotto diversi modelli climatici e sulla
osservazione di quanto accaduto negli ultimi anni mostra che “l’Oceano
Artico sarà probabilmente libero dai ghiacci in settembre prima della
fine del secolo”. Lo scioglimento della calotta di ghiaccio che ricopre la
sola Groenlandia, in particolare, farebbe alzare il livello degli oceani di
circa sette metri.
Anche lo scienziato russo Vladimir Katsov è convinto che entro la fine
del secolo, in estate, la regione sarà completamente priva dei ghiacci. Il
rapporto del Consiglio Artico del 2004, The Arctic Climate Impact As-
sessment, ha invece previsto l’evento per il 2050.
Meno ottimista il premio Nobel ed ex vice Presidente americano Al Go-
re, che ha presunto il completo scioglimento estivo dei ghiacci artici per
il 2014.
Persino alcuni esperti del governo canadese, l‟11 agosto del 2008, han-
no rilevato che lo strato di ghiaccio dell‟Artico, che fino a quell‟estate
sembrava tornare ad assestarsi dopo lo scioglimento da record del 2007,
aveva iniziato a disintegrarsi rapidamente. In quell‟occasione gli esperti
erano rimasti stupiti dello stato del Mare di Beaufort: “non si era mai
vista nella storia un’apertura tra i ghiacci come questa”, aveva dichia-
rato Luc Desjardins, responsabile delle previsioni del Canadian Ice Ser-
vice. “Non rappresenta solo un record: è senza precedenti. Non somi-
glia a nulla di ciò che abbiamo visto fino a ora”.
Secondo gli specialisti la rotta del Passaggio a Nord-Ovest, che va dal
Nord dell'Isola di Baffin fino al Mare di Beaufort a sud dell'Isola di Vit-
toria, molto probabilmente diventerà completamente navigabile per la
terza estate consecutiva, un anno dopo che il mitico passaggio maritti-
mo ha attirato l‟attenzione mondiale aprendosi come mai prima.
Sempre il Canadian Ice Service ha segnalato anche l‟apertura nelle ac-
que nel Mare di Beaufort, a Nord del confine Yukon-Alaska, dove
l‟atteso aumento del traffico marittimo ha spinto la guardia costiera a-
mericana a creare due nuovi avamposti sulla costa a Nord dell‟Alaska
per rafforzare il sistema di osservazione delle navi di passaggio e le pro-
prie capacità di ricerca e soccorso.
Anche gli studi condotti dal geofisico Christian Haas, dell‟Università
dell‟Alberta, hanno rivelato una drastica riduzione fino al 50% dello
21
spessore del ghiaccio e predetto che presto il Polo Nord sarà completa-
mente privo di ghiaccio durante l‟estate.
Di fronte a questi mutamenti epocali i Paesi che si affacciano
sull‟Artico dovranno assolutamente provvedere alla sicurezza delle loro
coste. La Russia in particolare dovrà far fronte alle catastrofi che po-
trebbero colpire i suoi territori settentrionali, quando i ghiacci artici si
scioglieranno accompagnati dal permafrost che copre il Nord della Fe-
derazione. Nel giugno 2008 il Ministero delle Emergenze russo ha lan-
ciato l‟allarme, rivelando che il permafrost della Siberia occidentale si
sta riducendo velocemente al ritmo di 4 centimetri l‟anno, mettendo a
rischio installazioni militari e depositi di riserve energetiche. Con lo
scioglimento poi verrà rilasciato nell‟aria gran parte del gas metano in-
trappolato sotto la crosta gelata e l‟acqua andrebbe ad aumentare il vo-
lume dei fiumi provocando enormi alluvioni. Di fronte a questi catastro-
fici pronostici è evidente che oltre a poter sfruttare le immense ricchez-
ze energetiche ed economiche dell‟Artico, sorgeranno nuovi ed enormi
problemi per i territori e le popolazioni locali.

22
Capitolo II

La Russia rivendica i suoi diritti sul Polo

Il 2 agosto 2007 una missione scientifica russa, Arktika 2007, ha pianta-


to una bandiera al titanio, con i colori del vessillo nazionale, a 4.261
metri sul fondo del Mare Artico.
La spedizione ha avuto una grande rilevanza dal punto di vista geopoli-
tico e strategico poiché riapre una questione internazionale mai risolta
riguardante la sovranità sui fondali del Polo Nord.
Gli interessi per il controllo di questa regione sono numerosi: commer-
ciali, strategici, energetici e scientifici. Ma sono principalmente due i
fattori che stanno facendo precipitare la situazione nell‟area: la cosid-
detta “Nuova Guerra Fredda”, ovvero il confronto fra Stati Uniti e Fede-
razione Russa, ed il cambiamento climatico in corso con il relativo scio-
glimento dei ghiacci artici.
L‟Istituto Russo di Ricerche sull‟Artico e l‟Antartico di San Pietrobur-
go, che ha organizzato la spedizione, si proponeva due obiettivi: uno
scientifico, per studiare acqua e fondali artici, e l‟altro geo-politico, per
dimostrare che la cosiddetta “Dorsale Lomonosov”, una catena montuo-
sa sottomarina che si estende per 1.700 chilometri sotto il Mare Artico
passante per il Polo Nord, altro non è che una estensione geologica della
Russia, consentendo così a Mosca di rivendicare alle Nazioni Unite una
fetta enorme di ghiacci con i suoi tesori nascosti: gas e petrolio sopratut-
to.
Tesori naturalmente ambiti da tutti i Paesi che si contendono il Polo
Nord: il Canada, la Norvegia, la Danimarca e soprattutto gli USA che,
secondo i media russi, avrebbero seguito la missione di Mosca con un
aereo spia ed una nave rompighiaccio, un avvenimento che ricorda
quanto mai da vicino le continue provocazioni tra le rispettive unità mi-
litari ai tempi della Guerra Fredda.
I due batiscafi russi MIR-1 e MIR-2, che secondo il programma della
missione russa avrebbero dovuto compiere la prospezione sottomarina,
erano partiti il 24 luglio precedente dalla città portuale di Murmansk,

23
sul Mare di Barents, a bordo del rompighiaccio a propulsione nucleare
Rossiya, con a bordo il deputato di Edinaja Rossija - Russia Unita, fa-
moso esploratore polare e Vice-Presidente della Duma, Artur Nikolaye-
vich Chilingarov, che insieme alla nave appoggio Akademik Fedorov
era incaricata della missione.
Dopo il successo della missione, Anatoly Segalevich, capo dell‟Istituto
Oceanografico Russo, Chilingarov e gli altri componenti della spedizio-
ne sono stati insigniti dell‟onorificenza di “Eroe della Federazione rus-
sa” dal Presidente Vladimir Putin “per il coraggio e l’eroismo dimo-
strato in condizioni estreme e il completo successo della spedizione in
acque profonde all’estrema latitudine dell’Artico” .
La Federazione considera anche la Dorsale Mendeleev come un prolun-
gamento del suo territorio, tanto che nel 2005 ha inviato anche lì una
spedizione per effettuare studi e ricerche.
Secondo le autorità di Mosca, la Russia, che già negli Anni Settanta e
Anni Ottanta, ai tempi dell‟Unione Sovietica, aveva deciso l‟invio nella
zona di rompighiaccio a propulsione nucleare, sarebbe in possesso di
elementi comprovanti che il territorio del quale viene reclamata la so-
vranità è un'estensione geologica sommersa del cosiddetto “Scudo sibe-
riano”.
A completare il quadro finora delineato, il 17 ottobre 2009, la Russia ha
reso noto che a partire dal 2011 comincerà a costruire dei nuovi rompi-
ghiaccio nucleari indispensabili per difendere gli interessi della Federa-
zione nell‟Artico.
Mosca sostiene da tempo che la Federazione Russa ed il Polo Nord sono
parte della stessa piattaforma continentale e già ai tempi di Brezhnev in
Russia si parlava di Artico sovietico, anche se la comunità internaziona-
le non ha mai riconosciuto la sovranità esclusiva sulle acque del Polo
che, da sempre, sono dichiarate mare internazionale su cui tutti gli Stati
hanno eguali diritti.
Ma il Cremlino non ha mai smesso, comunque, di rivendicare i suoi
interessi nella zona, data la sua importanza strategico-economica, basti
pensare che nel 1995, l‟Ammiraglio russo V. Aleskin chiariva, con que-
ste parole, parafrasando una celebre locuzione del fondatore della geo-
politica, il britannico Halford John MacKinder - il suo pensiero riguardo
alla politica artica della Russia: “Colui che controlla l’Artico controlla
24
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

il Mondo” (“He who controls the Arctic controls the world”).


Inoltre, anche l‟ex consigliere per la Sicurezza Nazionale e Vicepresi-
dente della Commissione della Duma sulle Scienze, Andrej Kokoshin,
aveva dichiarato che la Russia dovrà difendere attivamente i propri inte-
ressi nell‟Artico con il potenziamento della Flotta settentrionale, delle
unità addette al controllo dei confini e la costruzione di aeroporti per
assicurare il pieno controllo della regione.
Nei primi mesi del 2008, l‟allora leader del Cremlino Vladimir Putin, a
bordo di un rompighiaccio a propulsione nucleare aveva invitato a com-
piere maggiori sforzi per garantire gli interessi strategici, economici,
scientifici e difensivi della Russia nell‟Artico.
Pochi giorni dopo la spedizione marina Arktika, per l’esattezza il 3 e 4
settembre 2007, l‟aviazione russa ha condotto un‟esercitazione sul Polo
con dodici bombardieri Tupolev TU-95MS, diretti dal comandante stes-
so dell‟aviazione strategica, il Generale Pavel Androsov, i quali hanno
sorvolato per ore la zona e lanciato missili da crociera per esercitazione.
Un disegno quello di Mosca che è proseguito anche a distanza di mesi.
Tanto che dopo la prima esercitazione aereo-strategica, anche il 30 set-
tembre ed il 12 novembre 2007, e poi ancora il 18 e 19 novembre 2009,
bombardieri russi del tipo Tu-95 Bear hanno sorvolato in lunghissimi
pattugliamenti oltre l‟Oceano Atlantico e l‟Oceano Pacifico anche
l‟Oceano Artico. Questa volta, però le manovre russe sono state seguite
dai caccia americani e della NATO F-15 (Eagle fighters) e, per quanto
riguarda, il sorvolo del 18-19 novembre da due caccia F-22 Raptor del
3d Wing provenienti dalla Elmendorf Air Force Base in Alaska.
Mentre nell‟ultima di queste esercitazioni strategiche, il 16 giugno
2009, le operazioni dei bombardieri russi sono state monitorate da due
Tornado britannici e da due caccia F-16 norvegesi.
La decisione di riprendere il sorvolo dell‟Artico da parte russa è stata
presa nell‟agosto 2007 dallo stesso Putin, inaugurando la prima missio-
ne di questo tipo dal collasso dell‟URSS del 1991. A questo proposito,
il 22 dicembre 2009 nel corso di una conferenza stampa a Mosca, il ge-
nerale russo Anatoly Zhikharev ha dichiarato che il numero dei bombar-
dieri strategici che compiono la perlustrazione dell‟Artico potrebbe es-
sere presto raddoppiato. “Di regola possono effettuare voli di pattuglia-
mento fino a quattro bombardieri strategici contemporaneamente. Tut-
25
tavia, in circostanze specifiche e per ordine del Comando generale, il
loro numero potrebbe essere aumentato fino a otto aerei”. Secondo lo
stesso generale, i bombardieri possono per 22 ore di seguito pattugliare
in volo i cieli grazie ai rifornimenti effettuati dalle cisterne aeree Il-78
Midas. “I nostri aerei possono anche svolgere missioni per rilevare e
individuare la posizione di portaerei straniere, nonché per fornire mis-
sioni di supporto alle attività delle stazioni polari russe in linea con il
concetto di sviluppo della nostra zona artica”.
Il 20 settembre 2007, dopo il ritorno della missione Arktika, il Ministero
delle Risorse Naturali russo ha annunciato che la catena montuosa sotto-
marina Lomonosov è parte della piattaforma continentale russa, “in ba-
se ai risultati preliminari sui campioni raccolti nel corso di due spedi-
zioni”. Sempre lo stesso giorno, il dicastero russo ha sottolineato:
“Oggi abbiamo avuto i risultati preliminari di una analisi di modello
della crosta terrestre raccolta durante la spedizione Arktika 2007, che
dimostrano come la struttura della cresta montuosa Lomonosov coinci-
de con quella della piattaforma continentale russa, e quindi ne fa par-
te”.
Il 12 maggio 2009, mentre il Partito liberale svedese annunciava la pos-
sibilità per il Paese di entrare a far parte della NATO, il Presidente russo
Dmitrij Medvedev firmava il decreto sulla Strategia di Sicurezza Nazio-
nale, un documento in 112 punti che chiarisce le posizioni della Federa-
zione in tema di difesa e politica nazionale ed internazionale per i pros-
simi undici anni.
Il testo presenta una Russia che punta ad affermarsi in ambito interna-
zionale tramite riforme che stimolino la crescita economica e scientifica
e garantiscano alla popolazione migliori standard di vita. Nel documen-
to il Cremlino non esclude la possibilità di conflitti futuri per
l‟approvvigionamento energetico, sottolineando l‟intenzione di usare le
materie prime come strumento negoziale nella politica estera del Paese.
Il paragrafo 11, in particolare, della Strategia di Sicurezza Nazionale
russa elenca i cosiddetti “terreni di scontro geopolitici”, ossia i luoghi
dove sono presenti le risorse energetiche che il Paese intende difendere,
e quindi i possibili scenari di conflitti futuri; nello specifico sono citati il
Medio Oriente, il Mare di Barents e altre zone dell‟Artico, il Mar Ca-
spio e l‟Asia Centrale.
26
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

Secondo alcuni studiosi è proprio nelle terre dell‟Estremo Nord che po-
trebbe giocarsi il prossimo conflitto tra Russia e NATO.
Prima dell‟invasione della Georgia da parte della Russia, la guerra per
l‟Artico appariva piuttosto improbabile, ma dal momento in cui il Presi-
dente Medvedev ha approvato la nuova Strategia di Sicurezza e predi-
sposto un ammodernamento delle forze armate nazionali - ribadendo la
ferma volontà di mantenere o acquisire il controllo sulle risorse energe-
tiche dell‟area polare- lo scenario comincia a farsi quanto mai possibile.
Secondo la legge internazionale sono cinque gli Stati (Canada, Norve-
gia, Russia, Stati Uniti e Danimarca, tramite la Groenlandia), che,
all‟interno del territorio del Circolo Polare Artico, hanno il controllo su
una “zona economica” di 200 miglia al largo delle proprie coste con il
conseguente diritto di sfruttarne le risorse naturali (che siano gas natura-
le, petrolio o pesca).
La Danimarca, tuttavia, ha accordato alla Groenlandia un‟ampia autono-
mia in ambito legislativo, giudiziario e nella gestione delle risorse natu-
rali, a seguito del referendum del novembre 2008, fatto che potrebbe
privare l‟intera UE della possibilità di accampare diritti nell‟area.
Come detto, però i cambiamenti climatici e la conseguente possibilità di
accesso alle terre artiche hanno riaperto una questione internazionale
mai risolta riguardante la sovranità dei fondali marini del Polo Nord - da
sempre contesa tra i cinque Stati interessati - e che acquista ora
un‟importanza fondamentale in ambito geopolitico.
Nel dicembre 2001, la Russia ha presentato alle Nazioni Unite una do-
manda per fissare i limiti esterni della sua piattaforma continentale
dell‟Artico (le Dorsali Lomonosov e Mendeleev), insieme a quelle dei
Mari di Bering e di Okhotsk (per una superficie complessiva pari a 1,2
milioni di chilometri quadrati). La richiesta è stata fortemente contestata
dai Paesi confinanti ed in particolare dal Canada.
La Commissione ONU sui limiti della piattaforma continentale, che
include i rappresentanti di 21 Stati tra cui la Russia, nel quadro della
Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982, ha con-
cluso che i dati forniti da Mosca non erano sufficienti per valutare le
aree del Mare Glaciale Artico indicate come parte della piattaforma
continentale russa, e ha raccomandato ulteriori studi. Mosca si è impe-
gnata a presentare nuove prove documentali alle Nazioni Unite sui con-
27
fini esterni della sua piattaforma territoriale e a ricevere una risposta
entro il 2010. Lo scienziato russo Chilingarov ha dichiarato che la Fede-
razione è pronta a presentare nuovamente le sue rivendicazioni
sull‟Artico alle Nazioni Unite entro il 2013, dopo aver raccolto ulteriori
dettagli e informazioni.
La Russia è in possesso di sei rompighiaccio a propulsione nucleare ed
è attualmente l‟unica nazione ad avere una flotta atomica di questo tipo,
tale da permettergli un accesso alle acque artiche senza particolari pro-
blemi. Anche se, va sottolineato, queste navi sono tutte da rimodernare,
essendo per buona parte di origine ex sovietica. Si tratta, infatti, della
NS Arktika, vicina alla demolizione, della NS Rossija, in grado di navi-
gare solo sino al 2010, della NS Sibil, della NS Sovetskij Sojuz e della
NS Jamal, che dovrebbero terminare il loro corso tra il 2013 ed il 2017,
ed infine della NS Let Pobedy, varata invece nel 2007.
Per questo, il 16 ottobre 2008, il Primo Ministro Putin, incontrando il
responsabile della compagnia atomica di stato Rosatom, Sergej Kiriyen-
ko, ha chiesto l‟avvio di un piano di lungo termine per lo sviluppo di
una flotta di rompighiaccio nucleari che vada oltre i prossimi 15 anni.
Dal canto suo il vice direttore della compagnia di stato Atomflot, An-
drei Smirnov, nell‟ottobre 2009, ha precisato che la Russia sta pianifi-
cando, per i prossimi tre anni, delle nuove missioni nell'Artico con dei
rompighiaccio per compiere una ulteriore dettagliata analisi geologica
del fondo marino. Mosca prevede infatti di inviare un rompighiaccio
atomico ed una nave scientifica nella regione, entro l‟estate del 2010.
Smirnov ha poi ribadito che missioni analoghe avranno luogo anche nel
corso del 2011 e del 2012.
Durante il vertice del Consiglio di Sicurezza russo del settembre 2008,
il Presidente Medvedev ha approvato i fondamenti della politica russa
dell‟Artico per il 2020. Nel documento si è voluto affermare che la re-
gione ha una valenza strategica per la Federazione e diverrà la principa-
le fonte delle risorse primarie per il XXI secolo.
A questo scopo il Consiglio ha deciso un certo numero di priorità nazio-
nali: determinare i confini esterni della piattaforma continentale russa;
sviluppare le infrastrutture per i trasporti (inclusi quelli aerei), poiché la
rotta del Mar del Nord costituirà un elemento fondamentale di questa
politica, ma anche una rotta strategica di rilevanza nazionale; sviluppare
28
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

le risorse naturali della regione; favorire lo sviluppo delle informazioni


e delle telecomunicazioni, nonché sostenere la governance delle comu-
nità locali.
Il rafforzamento delle infrastrutture permetterà inoltre lo sfruttamento
dei giacimenti di petrolio e gas presenti nella regione. Un problema
quello della sicurezza e degli interessi nazionali che da anni assilla il
Cremlino.Infatti, il 17 settembre 2008, lo stesso Medvedev, di fronte al
Consiglio di sicurezza nazionale, ha dichiarato: “Il nostro compito prin-
cipale e fondamentale è quello di rendere l’Artico una fonte di risorse
per la Russia del 21° secolo. Lo sfruttamento di queste risorse garanti-
rà del tutto la sicurezza energetica russa. Dobbiamo introdurre una
legge sul confine meridionale della zona artica della Russia. È un no-
stro dovere nei confronti dei nostri discendenti, dobbiamo assicurare
gli interessi a lungo termine nazionali della Russia nella regione arti-
ca”.
La compagnia di Stato Gazprom si è subito attivata annunciando
l‟istituzione di una campagna di prospezioni nella regione per valutarne
le risorse energetiche.
A rincarare la dose è stato poi il Segretario del Consiglio di Sicurezza,
Nikolaj Patrushev, che ha ricordato come il 18 per cento dell‟Artico è
territorio russo, un risultato che è frutto dei nuovi risultati ottenuti dalle
ricerche geologiche nazionali.
Il 27 marzo 2009 dal Cremlino è giunta la notizia, a conferma delle de-
cisioni prese da Medvedev l‟anno prima, che Mosca intende dispiegare
unità dell‟esercito e del Servizio Federale di Sicurezza (l‟FSB, erede del
KGB) nella regione dell‟Artico, ricca di idrocarburi e nel mirino di vari
Paesi, Stati Uniti compresi.
Il Consiglio di Sicurezza russo, che ha pubblicato sul suo sito il docu-
mento “Linee guida per la politica statale della Federazione russa
nell‟Artico sino al 2020 e ulteriori prospettive”, ha confermato i progetti
di creazione di un raggruppamento speciale delle forze armate, “per
assicurare la sicurezza militare”.
Il dispiegamento militare avverrà seguendo le tre fasi politico strategi-
che tracciate dal Cremlino. La prima, entro il 2010, prevede di determi-
nare le frontiere nella regione artica “con metodi di studio geologici e
geografici”. Poi, tra il 2011 e il 2015, Mosca intende ottenere il ricono-
29
scimento internazionale di queste frontiere, per attivarle nell‟ottica della
produzione e del trasporto di risorse energetiche.
La terza e ultima tappa, dal 2016 al 2020, deve portare l‟Artico ad esse-
re “la base strategica delle risorse naturali” per la Russia.
Per il 2010 il Ministero delle Risorse Naturali russo ha fatto sapere che
la Federazione ha programmato di investire circa 1,5 miliardi di rubli,
pari a 49,7 milioni di dollari allo scopo di comprovare i suoi diritti sui
fondali dell‟Artide.

Le rivendicazioni territoriali dei Paesi artici

30
Capitolo III

Il regime giuridico dell’Artico e la Convenzione di Montego


Bay

Fin dalla prime esplorazioni artiche, gli Stati prospicienti il Polo Nord
cercarono di elaborare delle teorie che permettessero di determinare la
loro sovranità sull‟immensa distesa di ghiaccio e sulle numerose isole
del Mar Glaciale Artico o che comunque ne avvalorassero le rispettive
rivendicazioni territoriali.
Nel 1907, infatti, il senatore canadese Pascal Poirier, per tutelare i diritti
del suo Paese, elaborò una teoria definita “Arctic Sectoral Concept”.
Questa prevedeva che “qualunque Stato, i cui possedimenti territoriali
si affaccino sull’Oceano Artico, ha diritto ad estendere la sua sovranità
su tutti i territori che si trovano nelle acque comprese tra le linee che
congiungono rispettivamente l’estremo nord-orientale e quello occiden-
tale dello Stato con il Polo Nord”. Queste zone sono appunto definite
settori. La suddetta teoria presentata al parlamento di Ottawa aveva co-
me scopo quello di favorire le rivendicazioni del Canada rispetto agli
esploratori stranieri: da una parte per rifiutare i diritti accampati dalla
Norvegia sulle terre di Svedrup e dall‟altra per prevenire eventuali ri-
vendicazioni danesi sulle scoperte di Knud Johan Victor Rasmussen.
La teoria di Poirier, benché rigettata dall‟Assemblea nazionale di Otta-
wa, influenzò per tutti gli anni Venti la politica canadese.
Successivamente, durante la Prima Guerra Mondiale, iniziò la militariz-
zazione dell‟Artico, allorché le Nazioni dell‟Intesa equipaggiarono
l‟esercito zarista attraverso i porti di Arkhangelsk e Murmansk affaccia-
ti sul Mare di Barents. Lo scalo marittimo di Murmansk fu costruito nel
1916 proprio per garantire l’invio di materiale militare all’esercito russo
in difficoltà.
Nel 1918, poi la guerra civile fra Bianchi e Rossi intensificò le attività
militari degli eserciti occidentali, i quali inviarono dei corpi di spedizio-
ne internazionale costituiti da inglesi, americani, canadesi, italiani e ser-
bi, che sbarcarono nei due porti russi, aiutati dalle forze armate finlan-

31
desi, con l‟obiettivo di conquistare San Pietroburgo.
Nel 1925 e 1926, rispettivamente il Canada e l‟Unione Sovietica, fonda-
rono la loro legislazione sulla teoria del senatore Poirier e dichiararono
la sovranità sui territori all‟interno dei rispettivi settori. Gli scienziati
sovietici diedero il massimo supporto a questa teoria ed alcuni tentarono
addirittura di equiparare le distese di ghiaccio al suolo, sostenendo che
la sovranità doveva essere estesa anche a queste se si trovavano
all‟interno del settore.
Nel frattempo, in attesa di giungere ad un accordo generale su quale
doveva essere la normativa che avrebbe regolato la sovranità nella re-
gione, sorsero alcune intese, la cui applicazione era limitata solo a certe
zone dell‟area.
Il Trattato delle Spitzbergen, firmato a Parigi il 9 febbraio 1920 ed en-
trato in vigore nel 1925 con il relativo protocollo addizionale, rappre-
sentò appunto il primo tentativo, sia pur parziale, di ordinamento giuri-
dico dell‟Artico. Con esso, pur riconoscendo la formale sovranità nor-
vegese sull‟Arcipelago delle Spitzbergen, le odierne Svalbard, a metà
strada tra Norvegia e Polo Nord, si assicurava ai quarantuno Stati firma-
tari pari diritti nello sfruttamento delle risorse dell‟Arcipelago, tant‟è
che fino al 2000 sono stati attivi su queste isole i due insediamenti russi
di Barentsburg e Pyramiden, più o meno autonomi, con una popolazione
maggiore di quella stanziale norvegese.
Durante la Seconda Guerra Mondiale avvenne un‟ulteriore militarizza-
zione della regione artica, messa in atto con l‟attacco e la conquista del-
la Norvegia e della Danimarca da parte della Germania nazista, per
l‟apertura del cosiddetto “fronte artico”. Il fronte suddetto venne prece-
duto dalla breve guerra fra Russia e Finlandia, voluta dall‟URSS
nell‟inverno del 1939.
L‟entrata in guerra degli Stati Uniti, alla fine del 1941, trasformò
l‟interesse strategico del Polo. Infatti, questo divenne un elemento es-
senziale del controllo dell‟Atlantico del Nord attraverso il quale passa-
vano le rotte marittime fondamentali per rifornire prima la Gran Breta-
gna di materiale strategico, poi per inviare il corpo di spedizione ameri-
cano che avrebbe liberato l‟Europa dalla morsa di Hitler.
Per i tedeschi l‟obiettivo fondamentale delle campagne del 1940 contro
Danimarca e Norvegia era la distruzione delle stazioni meteorologiche
32
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

in Groenlandia, a Spitzberg e nell‟Isola Jan-Mayen, le quali garantivano


un viaggio sicuro dei convogli in partenza dagli Stati Uniti e dal Canada
diretti verso l‟Inghilterra e l‟Unione Sovietica.
Nel 1945, alla fine del conflitto mondiale, l‟URSS cercò di ottenere a
titolo di compenso, con il pretesto di realizzare un controllo congiunto
dell‟Arcipelago delle Spitzberg con la Norvegia, l‟Isola di Jan-Mayen.
Nello stesso tempo Mosca non sembrò aver fretta nel voler abbandonare
la contea di Finnmark, l‟estrema regione a nord della Norvegia, conqui-
stata dall‟Armata Rossa dopo la vittoriosa offensiva dell‟ottobre del
1944.
Dal canto loro gli Stati Uniti erano anch‟essi coscienti del valore strate-
gico della regione, tanto che nel 1949 insieme al Canada, favorirono
l‟ingresso di Danimarca e Norvegia nella NATO. Per tutta risposta
l‟Unione Sovietica decise di costruire una base nella Terra di Francesco
Giuseppe, un arcipelago situato nell'Oceano Artico, a nord di Novaja
Zemlja ed ad est delle Svalbard, da utilizzare per i suoi bombardieri
strategici.
In realtà la presenza sovietica in questo piccolo Arcipelago risaliva al
1926, quando le sue isole furono annesse a Mosca, e vi si insediarono
pochissimi abitanti soltanto per scopi militari e di ricerca.
Nel momento in cui, comunque, la Danimarca aderì al Patto Atlantico,
Washington ottenne il diritto di stoccare delle armi nucleari in Groen-
landia. Nel 1951 Stati Uniti e Danimarca conclusero un nuovo accordo
bilaterale di cooperazione difensiva secondo cui gli americani potevano
ottenere il controllo della Groenlandia senza alcuna contropartita. In
sostanza, la presenza di aerei e navi militari americane non sarebbe di-
pesa dall‟approvazione o meno da parte delle autorità danesi e le truppe
statunitensi non sarebbero state sottomesse che al diritto nazionale.
L‟accordo prevedeva, fra l‟altro, che gli USA godessero d‟una quasi
completa sovranità su tre basi in territorio danese: Narsarsuaq, nella
parte meridionale della Groenlandia, Kangerlussuaq a ovest, e Thule nel
nord-est.
La base di Thule era situata all‟intersezione delle due linee difensive
degli Stati Uniti in Groenlandia: la Blue West Line, collegata ai porti
dell‟Isola, e la Defense Early Warning (DEW) Line, costituita da una
serie di radar situati tra Canada e Unione Sovietica, installati con lo sco-
33
po di impedire un eventuale attacco aereo dall‟URSS.
Per l‟esattezza la Distant Early Warning Line, anche nota con il proprio
acronimo di DEW Line o Early Warning Line, era un sistema di radar
situato nelle regioni artiche del Canada, con alcune postazioni aggiunti-
ve situate nelle Aleutin, in Alaska, nelle Isole Fær Øer, in Groenlandia
ed in Islanda.
Concepita per individuare un attacco da parte dell'Unione Sovietica du-
rante la Guerra Fredda, la DEW Line divenne rapidamente obsoleta con
l'avvento dei missili balistici. La DEW Line era il complesso radar situa-
to più a nord ed il più avanzato dei tre sistemi radar costruiti nel corso
della Guerra Fredda che comprendevano anche la Pinetree Line e la
Mid-Canada Line, situate tra Canada e Stati Uniti, composte da 55 radar
fissi e 6 mobili. L‟Early Warning System comprendeva, invece, 63 sta-
zioni radar interconnesse con la base di Thule.
La DEW Line era strutturata principalmente da tre tipi di stazioni radar:
le più piccole, soprannominate Gap fillers, venivano controllate a di-
stanza e solo occasionalmente, nella breve estate artica, vi si recavano
delle squadre per effettuare opere di manutenzione; a queste si aggiun-
gevano delle basi di medie dimensioni che venivano servite da un mas-
simo di tre od occasionalmente quattro operatori e che di norma erano
occupate tutto l'anno; infine esistevano stazioni, di dimensioni più gran-
di, capaci di ospitare anche una dozzina di persone.
Questi complessi disponevano di sistemi radar del tipo AN/FPS-19 a
lungo raggio e rappresentavano la spina dorsale della DEW Line. Nono-
stante la fitta rete di stazioni, tuttavia, alcune aree rimanevano sempre
scoperte. Queste zone venivano tenute sotto controllo grazie a radar
doppler direzionali del tipo AN/FPS-23, simili a quelli utilizzati solo
alcuni anni addietro per la Mid-Canada Line. Per garantire un sistema di
comunicazioni efficace tra le singole stazioni le si dotò di un sistema di
comunicazioni radio per l‟epoca assolutamente all‟avanguardia.
Nonostante la DEW Line fosse stata completata in un tempo record e
dotata di tecnologie di punta, subì un destino simile a quello delle due
linee radar che la precedettero. Nel giro di pochi anni il sistema divenne
rapidamente obsoleto ed alcune delle sue stazioni radar furono abbando-
nate. Ciononostante il grosso degli impianti viene ancor oggi mantenuto
operativo allo scopo di conservare un controllo sullo spazio aereo artico
34
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

e per garantire al Canada la sovranità sui territori del Polo.


Nel 1985 alcune delle stazioni radar principali vennero ammodernate e
dotate di nuovi sistemi. Queste strutture vennero di seguito assegnate al
North Warning System che prese il posto della DEW Line e che era
composto da stazioni radar che facevano parte oltre della DEW Line
anche della Mid-Canada Line e della Pinetree Line.
Con la fine della Guerra Fredda nel 1990, molte delle stazioni radar
vennero abbandonate e tutti i complessi in territorio canadese vennero
consegnati alle autorità di Vancouver, mentre gli Stati Uniti mantennero
operative solo alcune delle loro stazioni in Alaska.
A causa degli elevati costi di smantellamento di queste strutture dismes-
se è sorta tra Stati Uniti e Canada una controversia su chi debba soste-
nere le spese di bonifica dei siti interessati. Nel corso degli anni queste
stazioni hanno prodotto, infatti una grande quantità di rifiuti che non è
stato possibile asportare a causa degli elevati costi e dell‟inaccessibilità
di molte di queste stazioni situate in aree remote. Il contenzioso fu risol-
to nel 1996 con un accordo che prevedeva un contributo da parte statu-
nitense di 100 milioni di dollari su di un totale complessivo di circa 600
milioni di dollari previsto per bonificare i siti abbandonati.
Ma la storia del controllo strategico dell‟Artico non si fermò soltanto a
questo. Nel 1958 il sottomarino atomico americano SS-571 Nautilus
attraversò il Polo navigando sotto i ghiacci attigui al Mare di Barents e
al Mare di Groenlandia. All‟exploit del Nautilus fece seguito immedia-
tamente quello di un altro sommergibile americano, denominato SSN-
578 Skat, che durante una missione del marzo del 1959 emerse diretta-
mente al Polo Nord.
I sovietici non rimasero, però con le mani in mano e dal 1961 furono
anche loro in grado di inviare missioni di pattugliamento artiche, con la
loro prima classe di sommergibili da attacco nucleare Project 658, se-
guiti poi dai francesi e dai britannici.
Durante tutta la Guerra Fredda nell‟Oceano Artico si svolsero senza
tregua operazioni navali con sommergibili americani da attacco SSN a
caccia degli SSBN sovietici armati di missili balistici intercontinentali.
Fra le molteplici teorie che vennero formulate per determinare la sparti-
zione della regione, la più discussa fu sicuramente la già citata Arctic
Sectoral Concept, dalla quale presero gradualmente le distanze tutti i
35
principali esperti del settore.
Il giurista internazionale canadese D. Pharand arrivò alla conclusione
che il principio della contiguità non poteva servire da base giuridica per
questa teoria e che quindi questa non era sostenuta da alcuna normativa.
Venne dunque globalmente riconosciuto che l‟Artico, in virtù della sua
natura fisica, era essenzialmente un mare e doveva quindi essere sogget-
to al diritto internazionale marittimo. Era questo il punto fondamentale
della questione, il principio che permise di sottomettere l‟Artico al regi-
me giuridico della Convenzione di Montego Bay, che rappresentò il
coronamento della Terza Conferenza sul Diritto Internazionale del Ma-
re, apertasi nel 1973 e conclusasi nel 1982 nella cittadina giamaicana.
In realtà i principali Paesi industrializzati, e fra tutti gli Stati Uniti, ave-
vano manifestato in modo netto la loro opposizione. Il problema non
riguardava l‟insieme della Convenzione, ma soltanto una delle dicias-
sette parti nelle quali si articola questo ampio documento giuridico.
La parte controversa era quella riguardante i fondali marini internazio-
nali e lo sfruttamento delle loro risorse minerarie, che prevedeva norme
e principi in netto contrasto con le idee sostenute dall‟Amministrazione
dell‟allora Presidente USA, Ronald Reagan.
Le obiezioni erano dirette al sistema previsto da Montego Bay, basato
sulla creazione di una commissione che controllasse e regolasse lo sfrut-
tamento delle risorse dei fondali marini che, secondo gli americani, era
troppo pesante, costoso ed oneroso per gli operatori nazionali.
L‟organo suddetto, denominato “Autorità Internazionale dei Fondi Ma-
rini”, risultava inoltre inaccettabile, per il fatto che introduceva degli
elementi di controllo internazionale su attività economiche che si vole-
vano riservare esclusivamente agli Stati. Inoltre, il governo statunitense
temeva che la Convenzione avrebbe limitato eccessivamente la libertà
d‟azione di Washington nelle acque internazionali. Per queste ragioni il
Governo USA non appose la sua firma alla ratifica; nemmeno dopo il
1994, quando la Convenzione fu integrata dall’Accordo per
l‟applicazione del paragrafo XI della stessa, che di fatto rendeva la re-
golamentazione dei fondi marini internazionali e dello sfruttamento del-
le loro risorse minerarie decisamente più compatibile con gli interessi
dei Paesi economicamente più sviluppati.
Questa situazione, però oggi impedisce agli Stati Uniti di far valere le
36
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

proprie rivendicazioni sull‟Artico attraverso i meccanismi previsti dal


Trattato stesso.
Secondo la Convenzione di Montego Bay o United Nations Conven-
tions on the Law of the Sea (UNCLOS), gli Stati costieri, nella porzione
di mare compresa tra la costa e la linea delle dodici miglia, denominata
mare territoriale, detengono piena sovranità, pari a quella che esercitano
sulla terraferma. In quest‟area si assicura il passaggio inoffensivo delle
navi straniere (ai fini della sicurezza nella navigazione, nel 1965 la legi-
slazione sovietica ha imposto l‟assistenza di unità rompighiaccio ed il
pilotaggio obbligatorio in alcuni stretti ove il mare è quasi permanente-
mente ghiacciato). Lo stesso avviene nella cosiddetta zona contigua,
cioè quella porzione di mare che si estende nelle successive dodici mi-
glia, in cui lo Stato costiero esercita i propri controlli ai fini fiscali, do-
ganali, di immigrazione e sanitari. La situazione è radicalmente diversa
nell‟area di mare che si estende tra la costa e la linea delle duecento mi-
glia. Questa è infatti denominata zona economica esclusiva ed al suo
interno non sussiste alcun pregiudizio alla libertà di navigazione, fermi
restando i diritti esclusivi dello stato costiero in tema di pesca e sfrutta-
mento delle risorse del fondo marino. Lo stesso limite vale per le piatta-
forme continentali. Se la piattaforma continentale di un Paese o, per
meglio dire, il suo prolungamento geologico sottomarino, supera le due-
cento miglia, questo limite può essere esteso fino ad un massimo di tre-
centocinquanta miglia dalle coste continentali. Spetta alla Commissione
per il Limiti della Piattaforma Continentale, una delle tre istituzioni cre-
ate dalla Convenzione del 1982, il compito di legittimare i limiti riven-
dicati dagli Stati. Le altre due sono: l‟Autorità Internazionale dei Fondi
Marini ed il Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare.
Le acque che non rientrano nelle aree appena descritte sono dette
“internazionali”. Questa rimane l‟unica zona in cui si esplica la libertà
dei mari e l‟eguale diritto degli Stati.
Il principio della libertà sancisce che uno Stato non può utilizzare gli
spazi marini fino al punto di sopprimerne ogni possibilità di utilizzo da
parte degli altri. Presupposto che vale anche per la pesca e per le risorse
minerarie, essendo entrambe esauribili. Quindi, secondo la Convenzione
di Montego Bay, i ghiacci dell‟Artide, ad eccezione di quelle aree com-
prese nelle zone economiche esclusive o nelle piattaforme continentali
37
degli Stati circostanti, sono di fatto acque internazionali sulle quali non
può vigere alcuna sovranità nazionale. La Convenzione è quindi il cor-
pus normativo che si applica nella regione artica ed è considerata, anche
dagli Stati che ancora non l‟hanno ratificata, come un testo guida in ma-
teria, tanto che buona parte delle norme in essa contenute sono entrate a
far parte anche del diritto consuetudinario.
In realtà la questione artica è però, tutt‟altro che risolta. Permangono
numerose situazioni di incertezza e quindi zone d‟ombra dove la Con-
venzione non funziona correttamente o dove gli Stati sostengono cia-
scuno un‟interpretazione diversa, ed a loro favorevole, delle norme. Gli
interessi in gioco sono infatti notevoli e nessuno sembra disposto a ri-
nunciare alle risorse energetiche e alle sue rivendicazioni territoriali.

38
Capitolo IV

I protagonisti della contesa e le reazioni alla spedizione russa

La spedizione russa nell‟Artico dell‟agosto 2007 ha messo immediata-


mente in allarme tutti gli Stati che hanno interessi nell‟area. Tre di essi,
il Canada, gli Stati Uniti e la Danimarca, hanno reagito con fermezza ai
tentativi d‟ingerenza russi: visto che le loro coste circondano, assieme a
quelle della Federazione, l‟Oceano Artico e sono dunque direttamente
coinvolti nella determinazione della sovranità nell‟area.
Nella politica estera canadese la “dimensione nordica” è sempre stata
molto rilevante, poiché la storia di questo Paese è strettamente legata
all‟Artico ed all‟esplorazione nella regione. Dopo la Russia, inoltre, il
Canada è il più grande Paese del Mondo: il suo territorio infatti si esten-
de per dieci milioni di chilometri quadrati dall‟Isola di Pelée, nel Lago
Erié, alla latitudine d‟Ajaccio, fino all‟Estremo Nord in direzione di
Ellesmere, all‟83˚ 09‟. Buona parte delle sue terre si trovano a nord del-
la linea dell‟Isoterma a 10°C di luglio. Per questo, le autorità di Ottawa,
hanno sempre sostenuto che un‟ampia porzione della regione artica ap-
partiene loro di diritto.
Nel 1946, l‟allora Ambasciatore canadese negli USA, Lester B. Pear-
son, utilizzò la “Teoria dei settori” del senatore Poirier quale base di
sostegno a queste rivendicazioni. Lo sviluppo e la protezione delle ri-
sorse energetiche nel nord del Paese, inoltre, ed il sostegno alle rivendi-
cazioni territoriali sul Passaggio a Nord-Ovest e sull‟Artico erano anco-
ra uno degli obiettivi del programma, presentato dal Partito Conservato-
re canadese alle elezioni federali del 2006. Una strategia politica che
risale almeno a vent‟anni prima (1986): quando il Comitato parlamenta-
re per le relazioni internazionali di Ottawa affermò che il Grande Nord
doveva far parte integrante della politica estera del Paese, poiché “gli
interessi di questa regione sono di importanza vitale per la sovranità e
la sicurezza del Canada”.
Non stupisce quindi che, alla missione russa nell‟Artico, le autorità ca-
nadesi abbiano risposto in maniera decisa ed energica. Il Ministro degli

39
Esteri, Peter Mackay, ha commentato infatti la spedizione Arktika 2007
con queste parole: “Non c’è questione riguardo alla sovranità canadese
sull’Artico. Noi abbiamo chiarito molto tempo fa che queste sono acque
canadesi e questa è nostra proprietà. Non si può al giorno d’oggi anda-
re in giro a piantare bandiere. Questo non è il quattordicesimo o il
quindicesimo secolo”. Ed ancora: “La questione della sovranità
sull’Artico non esiste. È chiaro. È il nostro paese. Sono le nostre acque.
Loro si sbagliano, se credono che piantare una bandiera sul fondo
dell’oceano cambi qualcosa”.
Nel luglio 2007, circa tre settimane prima della spedizione russa, era
stato il Primo Ministro canadese, Stephan Harper, leader del Partito
Conservatore, ad affermare la sovranità del suo Paese sull‟Artico, soste-
nendo l‟importanza dello sviluppo delle “risorse settentrionali”. Per
Harper infatti le priorità erano essenzialmente tre: giuridica, il diritto
internazionale e il diritto marittimo devono garantire gli interessi del
Canada; economica, legata alle risorse minerarie e fossili, oltre che alla
circolazione marittima; ed infine militare, per la difesa degli interessi
nazionali. Contemporaneamente il governo canadese stanziava cinque
miliardi di euro per portare da sei a otto il numero delle navi classe Po-
lar utilizzabili per il pattugliamento della zona, allestire un porto in ac-
que profonde nei pressi di Iqualuit e creare un sistema di sorveglianza
che consenta l‟individuazione dei sottomarini e delle imbarcazioni non
canadesi nell‟area.
Nell‟agosto dello stesso anno il Primo Ministro ha annunciato anche il
progetto di installare una nuova base militare per l‟addestramento in
condizioni climatiche proibitive a Risolute Bay, l‟Arctic Warfare
Training Center, e di rimettere in funzione il porto nei pressi delle anti-
che miniere di zinco di Nanisivik, per permettervi l‟accesso e lo stazio-
namento di nuove unità navali.
A quanto detto sino ad ora bisogna aggiungere che, il 7 agosto 2007, c‟è
stata una risposta anche di tipo operativo dell‟esercito canadese, che ha
avviato un‟operazione di dieci giorni, chiamata Nanook 07, la quale ha
impiegato un numero ingente di uomini e mezzi per eseguire esercita-
zioni in ambiente artico.
Tutti questi interventi logistico-militari necessari per affrontare un con-
testo più che mai insicuro come quello artico, rientrano nella proposta
40
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

conservatrice per la difesa del territorio polare canadese, riassunta nel


documento “Canada First Defence Strategy”. Questo prevede anche
l‟incremento del numero dei rangers canadesi, vale a dire la forza che
presidia la zona settentrionale del Paese, da 4.700 a 5.000. In seconda
battuta la direttiva istituisce, inoltre, un‟ulteriore unità di 1.000 soldati
riservisti, i quali potranno contare sul supporto logistico offerto dalla
creazione del già citato Arctic Warfare Training Center.
La spesa pubblica legata alle nuove esigenze militari sarà pari per Otta-
wa all‟1,3% del PIL, a fronte dell‟attuale 1%, entro il 2025. Tutto que-
sto fermento dimostra che l‟interesse canadese per la sicurezza
nell‟Artico è aumentato notevolmente in conseguenza della spedizione
russa del 2 Agosto 2007.
I dati sono molto chiari a riguardo: nel 2002 l‟esercito canadese ha com-
piuto la sua prima esercitazione in ambiente artico dopo più di
vent‟anni; nell‟estate del 2005 il governo di Ottawa ha riconosciuto uf-
ficialmente la questione della sicurezza nella regione artica come una
delle priorità del Paese. Per questo nel 2006 e nel 2007 le esercitazioni
militari nell‟area sono state rispettivamente tre e quattro. È importante
infine rilevare che il Canada, avendo ratificato la Convenzione di Mon-
tego Bay solo nel 2003, ha tempo fino al 2013 per presentare eventuali
rivendicazioni, concernenti l‟estensione della sua piattaforma continen-
tale.
Oltre alla presenza militare permanente, Ottawa ha un quartier generale
avanzato a Yellowknife, capitale dello Stato dei Territori del Nord-Est,
situata a circa quattrocento chilometri dal Circolo Polare Artico, dove è
stato anche posizionato uno squadrone di aerei da trasporto e dalla quale
dipendono settanta uomini di stanza presso la Canadian Forces Station
Alert sull‟Isola di Ellesmere posta tra l‟Oceano Artico e la Baia di Baf-
fin.
È comunque chiaro che per il Canada la difesa dell‟Artico e ancor più
per quel che riguarda le questioni strategiche, rientra nel quadro della
cooperazione con gli Stati Uniti. In seno alla NATO, di cui il Canada è
uno dei membri fondatori, Ottawa fa parte di un gruppo regionale
“Canada-Stati Uniti”, in cui i membri si riconoscono in una visione co-
mune d‟intenti.
Nel 1985 un accordo fra Ottawa e Washington ha portato ad un‟intesa
41
per attuare uno stretto coordinamento tra i due Stati nel quadro del siste-
ma d‟allerta Nord (Nord Warning System), che ha come fine di raggrup-
pare, completare e pianificare il dispositivo di difesa dello spazio aereo
dell‟America del Nord dai missili da crociera agli aeroplani.
Successivamente, nel maggio 2006, il Canada ha rinnovato l‟accordo
NORAD (North American Aerospace Defence Command) che lo lega
agli USA nella difesa aerospaziale, ma la novità è che con questa intesa
Ottawa può usufruire anche dell‟allerta marittima statunitense, integran-
do e completando così il precedente accordo. L‟intesa rivela ancora una
volta l‟incapacità del Canada di difendere da sola la sua integrità territo-
riale e le sue amplissime frontiere, e l‟evidente dipendenza strategica
dagli Stati Uniti.
Anche la reazione del governo di Washington alla spedizione russa, ri-
vela comunque un‟indecisione americana riguardo la sua strategia
nell‟Artico. Tuttavia, nell‟autunno 2007, anche gli Stati Uniti hanno
effettuato una grande esercitazione militare sul Continente nord-
americano, che si è estesa fino alla regione artica.
Dagli Anni Settanta gli USA non hanno sostanzialmente più una politi-
ca complessiva per la regione dell‟Estremo Nord, compresa tra
l‟Alaska, l‟Oceano Artico ed il Mare di Barents. Tanto che Washington
possiede una sola nave rompighiaccio attiva, mentre Mosca ne ha di-
ciotto.
Nel settembre 2006 gli Stati Uniti hanno abbandonato la loro presenza
militare in Islanda, ed a partire dal 2009 l‟aeronautica francese e quella
norvegese hanno deciso di collocare i loro aerei da combattimento nella
base di Keflavik.
Tuttavia Washington non si è data per vinta e ha deciso di rafforzare la
US Navy per le missioni artiche e con il sostegno della NATO ha deciso
di coinvolgere anche gli altri Stati membri dell‟Alleanza Atlantica per il
pattugliamento congiunto del Polo.
A sottolineare le crescenti preoccupazioni degli Stati Uniti per
l‟inadeguatezza della propria flotta rompighiaccio polare e la necessità
di una maggiore sorveglianza dell‟Artico, il 6 agosto 2008, l‟allora Con-
sigliere per la Sicurezza Nazionale, Michael Chertoff, si è recato in gran
segreto in Alaska per assistere alle operazioni della Guardia Costiera
americana. Una mossa per ribadire che l‟interesse degli Stati Uniti si è
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Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

spostato dalla ricerca scientifica alla sovranità ed alla sicurezza delle


acque dell‟Alaska confinanti con la Russia ed il Canada. Chertoff, coa-
diuvato dal comandante della US Coast Guard, l‟Ammiraglio Thad W.
Allen, ha sostenuto la necessità che gli Stati Uniti debbano rafforzare la
flotta rompighiaccio se vogliono mantenere la capacità di pattugliare e
salvaguardare le acque artiche, anche in considerazione del forte am-
pliamento della flotta russa, che comprende anche il probabile acquisto
di una portaelicotteri anfibia di costruzione francese Classe Mistral, la
quale consentirebbe di aumentare considerevolmente le capacità di pro-
iezione navale di Mosca.
Sia Chertoff, che Allen hanno poi osservato che l‟Artico è chiaramente
aperto al commercio come mai prima d‟ora, grazie al progressivo scio-
glimento dei ghiacci. Calcolando che ci vogliono fra gli otto ed i dieci
anni per costruire uno rompighiaccio “è chiaro che siamo a un punto di
crisi in cui dobbiamo per forza decidere”.
Come già affermato in precedenza, parlando del regime giuridico delle
acque del Polo Nord, il Senato USA non è mai riuscito a ratificare la
Convenzione di Montego Bay sul diritto internazionale del mare.
L‟ex Amministrazione del repubblicano George W. Bush, pur sembran-
do decisamente schierata a favore della ratifica, non è stata in grado di
farla votare, a causa della diffidenza di alcuni esponenti conservatori.
Le cose potrebbero, però essere destinate a cambiare rapidamente. John
Bellinger, consulente legale per il Dipartimento di Stato, ha infatti re-
centemente affermato che gli Stati Uniti non staranno certo fermi men-
tre gli altri Paesi si spartiscono l‟Artico.
Se la Convenzione venisse ratificata, il governo americano potrebbe,
infatti estendere la sovranità oltre le coste dell‟Alaska ed esercitare fi-
nalmente pressioni diplomatiche sul comitato responsabile di determi-
nare i limiti della piattaforma continentale. Questa posizione è sostenuta
anche dal senatore repubblicano moderato Richard Lugar della Com-
missione Relazioni Internazionali, secondo il quale la ratifica è indi-
spensabile, per evitare che la Russia si veda riconosciute le proprie ri-
vendicazioni senza l‟America al tavolo delle trattative.
La ratifica della Convenzione è rimasta bloccata per anni al Congresso
americano, poiché i contrari a questa ritenevano che potesse danneggia-
re le operazioni navali ed industriali degli Stati Uniti.
43
Tuttavia, il 31 ottobre 2007, la Commissione Affari Esteri del Senato
USA ha votato con 17 voti a favore e 4 contrari la Convenzione, rin-
viando la decisione al Senato stesso dove dovrebbe essere confermata
con i due terzi dei voti per ottenere la ratifica finale. Ma questo non è
ancora avvenuto.
Alcuni esponenti repubblicani ed altri senatori, invece, contrari alla rati-
fica, hanno dichiarato che questa, innanzitutto, minaccerebbe la sicurez-
za degli Stati Uniti, poiché enfatizzerebbe troppo l‟utilizzo pacifico de-
gli oceani. Secondo, imporrebbe dei limiti alle operazioni di intelligence
dei sottomarini americani nelle acque territoriali di altri Paesi.
Altri hanno criticato le disposizioni contenute nella Convenzione poiché
provocherebbero delle restrizioni alla sovranità statunitense, imporreb-
bero dei nuovi obblighi in materia ambientale ed impedirebbero lo svi-
luppo commerciale dei fondali marini. Aggiungono poi che l‟intesa im-
porrebbe regole globali in grado di scoraggiare l‟estrazione sottomarina
di minerali come il cobalto e il manganese.
I sostenitori della Convenzione ritengono, invece che proprio il trattato
assicurerà alle forze armate a stelle e strisce in futuro il passaggio nelle
acque territoriali di altri Paesi senza aver bisogno di permessi e garanti-
rà la libertà di navigazione per l‟industria navale di tutto il Mondo.
Prendere parte all‟accordo garantisce agli Stati Uniti un posto al tavolo
per la risoluzione delle dispute come quelle che potrebbero sorgere per
l‟apertura di nuove rotte marittime nell‟Artico. “Dobbiamo entrare a
far parte della Convenzione”, ha osservato l’ex presidente della Com-
missione Affari Esteri del Senato, il senatore del Delaware ed attuale
Vice Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. “L’industria petrolifera e
del gas è unanime nel sostegno alla Convenzione. Non sono a cono-
scenza di una qualsiasi industria dell’oceano che ha espresso opposi-
zione a questo trattato”.
Al di là di questo rilevante impedimento giuridico, il governo america-
no ha cercato di rispondere ad Arktika 2007 con una propria spedizione
effettuata solo pochi giorni dopo. Il 6 agosto 2007, infatti, il rompi-
ghiaccio della Guardia Costiera USS Healy ha lasciato Seattle per diri-
gersi verso il Mare di Bering, con l‟obiettivo di compiere degli studi sul
surriscaldamento globale e sulle sue conseguenze nella regione artica.
L‟Healy è una delle quattro unità rompighiaccio americane operative ed
44
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

è l‟unica in grado di compiere normalmente missioni di questo tipo.


Già nell‟aprile del 2001 nel corso di forum per discutere delle conse-
guenze di un Artico libero dai ghiacci si era sottolineato che le unità e
gli armamenti della marina americana non erano adatti all‟ambiente po-
lare. Ad oggi la situazione non è cambiata e l‟inferiorità degli Stati Uni-
ti, rispetto alla Federazione Russa, permane. Mosca ha infatti attualmen-
te, come già precedentemente accennato, in forza diciotto unità rompi-
ghiaccio, e può vantare, soprattutto, una maggiore esperienza operativa
nella regione. Fra l‟altro, la Russia è l‟unico Stato al Mondo a produrre
anche rompighiaccio a propulsione nucleare.
In risposta alle azioni russe, canadesi ed americane, il governo danese
ha lanciato una sua spedizione artica il 12 agosto 2007, quando una
squadra internazionale di quaranta scienziati, tra cui dieci danesi, è par-
tita dalle Isole Svalbard (che appartengono alla Norvegia) alla volta del
Polo Nord, a bordo del rompighiaccio svedese Oden. L’obiettivo della
missione era quello di provare che la Dorsale di Lomonosov, al contra-
rio di quanto affermato dai russi, è un‟estensione sottomarina della Gro-
enlandia, territorio di fatto appartenente alla Danimarca. Il governo da-
nese ha tempo fino al 2014 per presentare tale rivendicazione di fronte
alla commissione delle Nazioni Unite che si occupa della delimitazione
delle piattaforme continentali. In realtà già nel 2004 il governo di Cope-
naghen aveva stanziato 25 milioni di dollari a favore di ricerche che
potessero fornire le prove necessarie a dimostrare tale teoria. Anche la
Danimarca ha chiarito di non essere intenzionata a subire passivamente
l‟azione degli altri Paesi artici, pur non avendo compiuto azioni di forza
e nonostante non possa contare su un apparato militare paragonabile a
quello russo od americano.
In base alle norme del diritto internazionale, nessun Paese attualmente
può controllare il Polo Nord o la regione che circonda l‟Oceano Artico.
I cinque Stati che si affacciano sull‟Artide: Russia, Stati Uniti, Canada,
Norvegia e Danimarca, sono limitati alla sorveglianza delle 200 miglia
marine di Zona Economica Esclusiva (ZEE) adiacente alle loro coste.
Dopo la ratifica della Convenzione sulla Legge del Mare dell‟Onu
(United Nations Convention on the Law of the Sea - UNCLOS), uno
Stato ha a sua disposizione dieci anni per fare delle richieste
sull‟estensione della piattaforma continentale, che se approvate dalle
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Nazione Unite concedono i diritti esclusivi di sfruttamento delle risorse
estratte dal fondo marino sottostante.
Finora quasi tutti gli Stati che si affacciano sull‟Artico hanno ratificato
la UNCLOS. La Norvegia ha riconosciuto la Convenzione nel 1996, la
Russia nel 1997, il Canada nel 2003, la Danimarca nel 2004. Tutti que-
sti Stati hanno fatto richieste per ottenere il controllo di una porzione
dei fondali marini dell‟Artico.
Nel 1925, basandosi sulla “Teoria dei settori” del Senatore Poirier, il
Canada è diventato il primo Paese a estendere i suoi confini verso nord
fino al Polo, almeno sulla carta, tra i 60° ed i 141° di longitudine ovest,
una richiesta che non è stata, però universalmente riconosciuta.
Il 15 aprile 1926, la Russia sovietica fissò la sua rivendicazione territo-
riale per legge a 32° 04‟ 35‟‟ Est a 168° 49‟ 30‟‟ Ovest. In questo modo
il Presidium del Soviet Supremo dell‟URSS inglobò un‟area che andava
da Murmansk e dalla Penisola di Chukchi fino al Polo Nord asserendo
che fosse parte integrante della sua piattaforma continentale.
Anche la Norvegia (da 5° Est a 35° Est), ha avanzato alcune richieste
simili, così come hanno fatto gli Stati Uniti (170° Ovest a 141° Ovest).
La Danimarca ha sempre difeso la sua sovranità su tutta la Groenlandia,
richiesta che venne riconosciuta dagli Stati Uniti nel 1916 e da una corte
internazionale nel 1933. In virtù perciò di tale approvazione, Copena-
ghen potrebbe chiedere oggi la porzione dell‟Artico, che va da 60° O-
vest a 10° Ovest.
La Cina, nuovo protagonista degli scenari internazionali, le cui coste
non sono bagnate dall‟Oceano Artico, sta tentando di far sue le opportu-
nità economiche rappresentate dalle nuove rotte marittime aperte e dalle
ricchezze nascoste nel Polo. La terza missione esplorativa dell‟Artico è
salpata da Shangai l‟11 luglio del 2008 a bordo del rompighiaccio Xue-
long (Dragone di neve) e ha terminato le sue analisi il 25 settembre del-
lo stesso anno. La spedizione, secondo il responsabile scientifico del
progetto: il Professor Zhang Haisheng, prevedeva lo studio delle risorse
marittime della regione e delle qualità dell‟atmosfera.
Gli scienziati cinesi hanno effettuato analisi delle condizioni meteorolo-
giche e geologiche con l‟impiego di un elicottero, di una imbarcazione e
di un robot subacqueo. “Un compito importante è quello di osservare
gli effetti dei cambiamenti di superficie del ghiaccio polare sul clima
46
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

del nostro Paese”.


Quella del 2008 non è stata, come accennato, l‟unica presenza di Pechi-
no al Polo. Già dal 1 al 9 settembre 1999 si tenne la prima missione
scientifica cinese nel Mare di Bering, che inaugurò il Chinese Arctic
and Antarctic Scientific Program, e raccolse, in particolare, numerose
informazioni sulle condizioni atmosferiche, ecologiche, geologiche e
della fauna marina dell‟Artico. Nella seconda spedizione, messa in atto,
invece nel 2003 nel Mare di Chukchi, gli scienziati hanno analizzato le
interazioni della regione polare sul clima globale e studiato l‟influenza
dei cambiamenti climatici del polo sul clima cinese. In quell‟occasione
la Cina ha impiantato nella regione un osservatorio permanente The
China Arctic Yellow River Station presso Ny-Alesund a nord-ovest
dell‟Isola di Spitzbergen.
.

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Capitolo V

Le controversie territoriali aperte

Alla disputa fra gli Stati membri della NATO e la Russia per il controllo
strategico dell‟Artide si aggiungono diverse diatribe territoriali fra la
Russia e singoli Paesi confinanti con la regione.
Tra i Paesi che si affacciano direttamente sull‟Oceano Artico e che
quindi hanno il diritto di rivendicarne una parte come zona economica
esclusiva ed eventualmente come estensione della propria piattaforma
continentale, secondo il diritto internazionale, la Norvegia è l‟unico Sta-
to a non aver partecipato alle recenti dispute sulla sovranità. Questo è
dovuto in larga misura alla forte cooperazione economica instaurata con
la Federazione Russa in questi ultimi anni.
Fin dal 2002, infatti, i due governi hanno prodotto una serie di dichiara-
zioni che sanciscono una partnership volta allo sviluppo dell‟attività di
estrazione di risorse energetiche nell‟Artico.
Le compagnie petrolifere norvegesi Statoil e Norsk Hydro hanno alme-
no trentacinque anni d‟esperienza nel campo dell‟estrazione degli idro-
carburi in condizioni estreme, maturati operando sulla piattaforma con-
tinentale a nord della Norvegia. Oslo, attraverso le sue piattaforme off-
shore nel Mare del Nord, è il secondo esportatore di greggio al Mondo
dopo l‟Arabia Saudita. Tale competenza potrebbe rivelarsi molto utile
per i colossi dell‟industria estrattiva russa, quali Rosneft e Gazprom, se
procederanno nel loro sviluppo verso nord. Questo spiega dunque il
basso profilo assunto sino ad ora dal governo norvegese nei confronti
delle recenti manovre russe in territorio artico, anche se non va dimenti-
cato che con Mosca, nonostante le ottime relazioni intrattenute recente-
mente, Oslo ha ancora aperta la questione della sovranità su un‟ampia
area del Mare di Barents.

La contesa russo-norvegese sul Mare di Barents

Il Mare di Barents è parte del Mar Glaciale Artico ed è localizzato a

49
nord della Norvegia e della Russia. È delimitato a ovest dal Mar di Nor-
vegia, a nord-ovest dalle Isole Svalbard, a nord-est dalle Terre di Fran-
cesco Giuseppe e ad est dall‟Isola Novaja Zemlja.
Grazie alla corrente nord-atlantica il Mare di Barents ha una produzione
biologica elevata rispetto ad altri mari che si trovano alla medesima lati-
tudine ed è dunque molto pescoso. Il suo fondale custodisce, inoltre,
importanti giacimenti di petrolio e gas naturale. Le suddette caratteristi-
che hanno sempre posto, quindi, questo mare al centro di una contesa
territoriale tra Russia e Norvegia; entrambi i Paesi hanno sempre cerca-
to infatti di sancire il diritto allo sfruttamento esclusivo delle sue risorse,
sia ittiche, che più recentemente, energetiche.
Con il Trattato di Spitzbergen del 9 febbraio 1920, firmato da quaranta
nazioni, era stata risolta la questione della sovranità territoriale sulle
Isole Svalbard a favore della Norvegia. Finora i governi di Mosca e di
Oslo non sono ancora giunti però, ad un accordo per la delimitazione
dei confini marittimi nel Mare di Barents. L‟intesa del 15 febbraio
1957, relativa alla delimitazione delle piattaforme continentali nel Va-
rangerfjord, ha lasciato aperta la controversia concernente i diritti di
pesca e di estrazione dal fondale marino nella regione. Infatti, la zona
economica esclusiva dichiarata dalla Norvegia per 200 miglia a largo
della propria linea costiera internazionale ed intorno alle Isole Svalbard,
secondo il principio dell‟equidistanza, entra in rotta di collisione con
quella dichiarata dalla Russia. Il governo di Mosca sostiene, infatti, che
per delimitare le rispettive zone economiche nell‟area in questione si
debbano considerare due speciali circostanze: in primis il fatto che nel
Mare di Barents, fin dal 1926, l‟Unione Sovietica aveva applicato il cri-
terio della divisione in settori o “Arctic Sectoral Concept” che, anche
secondo l‟attuale governo russo, costituisce un precedente storico rile-
vante; in secondo luogo va tenuto conto delle dimensioni dei territori
dei due Stati. Si è pertanto determinata in quest‟area una sovrapposizio-
ne delle due zone economiche nella cosiddetta “Grey Zone”, che si e-
stende all‟incirca per 155.000 chilometri quadrati. Questa attualmente è
sottoposta all‟applicazione di un regime transitorio congiunto russo-
norvegese nel quale, in base ad un accordo bilaterale Grey Zone Agree-
ment tra i due Paesi, siglato nel 1978, si è cercata una soluzione com-
promissoria per eliminare le ambiguità ed i limiti dei precedenti accordi
50
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

di pesca bilaterali. L‟accordo, senza implicare la rinuncia alle rispettive


rivendicazioni, stabilisce un regime transitorio di sfruttamento congiun-
to delle risorse ittiche locali. Sempre in quest‟area si è inoltre creata
un‟enclave di alto mare di 62.400 chilometri quadrati, denominata Loo-
phole, in cui vige la libertà di pesca anche per paesi terzi.
La cooperazione in materia di pesca sembra dunque funzionare nel Ma-
re di Barents, nonostante le rivendicazioni siano tuttora molto accese,
specialmente per quanto concerne, invece, lo sfruttamento delle risorse
energetiche.
A livello più generale, il profilo cooperativo è stato istituzionalizzato
sin dal 1996, con il Barents Euro-Arctic Council, del quale fanno parte
Canada, Stati Uniti, Danimarca, Norvegia, Russia, Svezia, Finlandia ed
Islanda e sono osservatori: Unione Europea, Cina, Corea del Sud e
Giappone.
La situazione nel Mare di Barents appare tuttavia lontana dalla norma-
lizzazione, nonostante le basi per la cooperazione poste in questi ultimi
anni. Anche in questo caso sono gli interessi economici a farla da pa-
drone: l‟immenso giacimento di gas di Shtokman (32.000 miliardi di
metri cubi di gas naturale e 31 milioni di tonnellate di gas condensato) e
quello di petrolio di Prirazlomnoye (610 milioni di barili) sono parte del
potenziale russo per lo sviluppo economico del Paese nei prossimi anni.
Sul Mare di Barents si affaccia inoltre uno dei principali porti della Rus-
sia: Murmansk. Questa città, con i suoi 320.000 abitanti, è la più grande
del Mondo tra quelle che si trovano a nord del Circolo Polare Artico ed
è di fatto il centro principale per lo smistamento delle risorse estratte dai
fondali del Mare di Barents, grazie anche al fatto che la baia ove sorge è
libera dai ghiacci per tutto l‟anno. Appare chiaro quindi che il governo
russo difficilmente sarà disposto ad effettuare concessioni di carattere
politico ed economico in un‟area così vitale per il Paese.

Le contese russo-americana e russo-giapponese sul Pacifico

Anche il versante Pacifico della regione artica vede Mosca al centro di


controversie ancora irrisolte. Costituite sia da contese con gli Stati Uniti
nel Mare di Bering, sia da dispute col Giappone sul Mare di Okhotsk.
La linea di confine che separa la Russia dagli Stati Uniti nello stretto di
51
Bering è detta International Data Line e fu tracciata nel 1867, quando
l‟allora zar russo Alessandro II vendette l‟intero Alaska e le Isole Aleu-
tine agli americani, per sette milioni di dollari. Gli accordi di allora pe-
rò, non specificavano il tipo di linea che avrebbe dovuto separare le due
potenze, né, tanto meno, il tipo di proiezione della mappa utilizzata per
definire il confine marittimo. A questo si deve aggiungere che nessuna
delle due parti ha mai prodotto la mappa utilizzata durante i negoziati. I
due Paesi, utilizzando due tipi diversi di proiezioni cartografiche, inter-
pretavano di fatto l‟accordo del 1867 in due distinte maniere. Si vennero
così a creare due diverse linee di confine, che provocavano una sovrap-
posizione delle due aree di sovranità e quindi una porzione di mare con-
tesa e rivendicata da entrambi i governi. La situazione si complicò ulte-
riormente a partire dal 1977 quando, sia Mosca, sia Washington, allar-
garono a 200 miglia le rispettive zone economiche esclusive. Il conten-
zioso portò a vivaci negoziati che terminarono il 1 giugno 1990, quando
Stati Uniti ed Unione Sovietica firmarono un accordo, il Baker-
Shevardnadze Agreement, risultato poi decisamente favorevole a Wa-
shington. Questo infatti, pur prevedendo che entrambi i Paesi rinuncias-
sero a parte delle porzioni di oceano rivendicate, lascia sotto il controllo
americano un‟area dello stretto di Bering relativamente ampia. Tale area
è maggiore di quella alla quale gli USA avrebbero avuto diritto se si
fosse prodotto un accordo secondo il tradizionale criterio
dell‟equidistanza (cioè come prescrive in questi casi la Convenzione di
Montego Bay sul Diritto Internazionale del Mare).
L‟Accordo del 1990 rappresenta quindi un notevole vantaggio per gli
Stati Uniti in termini economici. Nella parte americana del Mare di Be-
ring e in quello di Chukchi, si stima, infatti, vi siano 24 miliardi di barili
di petrolio e 126.000 miliardi di metri cubi di gas naturale, oltre a una
grande abbondanza di risorse ittiche. Proprio per tali ragioni l‟accordo è
stato prontamente ratificato dal Congresso. La Duma russa, al contrario,
si è sempre rifiutata di ratificare l‟intesa, sostenendo che l‟accordo era
stato negoziato dall‟Unione Sovietica e che quindi non corrispondeva ai
nuovi interessi della Federazione. La Duma teme infatti che la Russia
perda 50.000 chilometri quadrati di giurisdizione marittima, con danni
notevoli alla pesca (stimati in 200.000 tonnellate annue) e allo sfrutta-
mento futuro delle risorse marine.
52
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

Mosca ha più volte proposto di rinegoziare l‟accordo per garantire così


alle imbarcazioni da pesca russe una certa quota di pesce oltre la linea
di confine in modo da bilanciare gli scompensi creati nel 1990, ma Wa-
shington ha sempre rifiutato tali richieste, poiché contesta alla Russia
un‟ingiustificata estensione delle linee diritte di base, dalle quali si mi-
sura la larghezza del mare territoriale. A supportare le rivendicazioni
statunitensi si sono schierati apertamente Gran Bretagna, Norvegia e
Giappone, attratti dalla prospettiva di accorciare le rotte commerciali fra
Europa e Asia.
Negli ultimi anni, però le azioni dei pescherecci russi nell‟area di confi-
ne hanno destabilizzato sempre di più la situazione ed hanno innalzato il
livello della tensione, arrivando addirittura, in numerose occasioni, allo
scontro con la guardia costiera statunitense.
In conclusione, quindi: Washington non ritiene l‟accordo rinegoziabile
e lo applica deliberatamente; Mosca invece si rifiuta di ratificarlo alle
condizioni attuali e le navi russe sconfinano in quella che gli americani
considerano la loro zona economica esclusiva. La questione è pertanto
assolutamente aperta e la tensione probabilmente rimarrà alta.
La Russia, oltre alla contesa con il governo americano, è impegnata in
un altro confronto diplomatico lungo i suoi confini orientali, quello con
il governo giapponese per il controllo delle Isole Kurili.
L‟Arcipelago venne posto sotto la giurisdizione di Mosca sin dalla fine
della Seconda Guerra Mondiale, nonostante il Giappone continuasse a
rivendicare la propria sovranità sulle isole meridionali.
Durante la presidenza Eltsin vennero compiuti numerosi passi in avanti,
per quanto concerne le negoziazioni tra i due Paesi e la Russia avviò un
piano di cooperazione con il governo di Tokio nell‟area, tanto che nel
1998 si era giunti addirittura ad un accordo in materia di pesca e di ri-
sorse ittiche. Con l‟arrivo di Putin alla guida del Cremlino le tensioni
diplomatiche sono, però riprese. L‟allora Presidente russo ha chiarito
che Mosca non intende cedere parte del suo territorio al Giappone.
Questa decisione consente alla Russia di continuare a detenere il con-
trollo dell‟intero Mare di Okhotsk, racchiuso tra la costa siberiana, la
Penisola della Kamchatka, l‟Isola di Sakhalin e le Isole Kurili, tutti ter-
ritori già sotto la sovranità di Mosca. Naturalmente, questo si traduce in
ingenti guadagni economici ed in importanti vantaggi strategici per il
53
controllo e la difesa da parte russa delle importanti rotte pacifiche.

La disputa sull’Isola di Hans

L‟Isola di Hans è situata nello Stretto di Nares, un canale navigabile che


collega l‟Isola di Ellesmere (la parte più a nord di Nunavut, Canada) e
la Groenlandia.
Hans è un isolotto disabitato di 1,3 km quadrati situato al centro del ca-
nale Kennedy nello Stretto di Nares, alla frontiera marittima tra Canada
(Isola Ellesmere nel territorio del Nunavut) e Danimarca (nord della
Groenlandia), e unisce la Baia di Baffin con il Mare di Lincoln.
Hans è la più piccola delle tre isole del canale (le altre due sono l‟Isola
Franklin e l‟Isola Crozier). La sovranità sull‟Isola è oggetto di disputa
tra Canada e Danimarca dal 1973. La Danimarca rivendica, difatti, il
territorio che avrebbe scoperto nel 1852, mentre il Canada afferma che
l‟Isola è stata scoperta da un esploratore britannico e che geologicamen-
te appartiene al suolo canadese.
L‟interesse crescente per il piccolo lembo di terra è legato al riscalda-
mento globale, con gli esperti che stimano un allungamento della navi-
gabilità del canale dai venti giorni del 2004 ai centocinquanta previsti
nel 2080, con la possibilità anche dello sfruttamento del petrolio custo-
dito nell‟area.
Nel 1973 il Canada e la Danimarca hanno negoziato le coordinate geo-
grafiche della loro piattaforma continentale e stabilirono un trattato di
delimitazione che è stato poi ratificato dalle Nazioni Unite il 17 dicem-
bre del 1973 ed entrato in vigore dal 13 marzo 1974.
Il Trattato elenca 127 punti (latitudine e longitudine) dalla Stretto di
Davis ed al punto estremo del Canale di Robeson, dove lo Stretto di
Nares ginge al Mare di Lincoln a formare il confine tra i due Stati. Il
Trattato non ha, tuttavia, tracciato una linea di demarcazione dal punto
122 (80 ° 49 '2 - 66 ° 29' 0) al punto 123 (80 ° 49 '8 - 66 ° 26' 3), una
distanza di 875 m (0,54 miglia). L‟Isola di Hans è situata infatti nel cen-
tro di quest‟area priva di una normativa giuridica a riguardo.
Delle bandiere danesi furono piantate sull‟Isola nel 1984, nel 1988, nel
1995 e nel 2003. L’azione è stata contestata dal governo canadese, e
successivamente l‟ex ministro della Difesa di Ottawa, Bill Graham ha
54
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

effettuato una sosta, senza preavviso, sull‟Isola durante un viaggio ver-


so l'Artico nel luglio 2005.
Il Canada continua ad affermare che l‟Isola è parte del suo territorio,
come dimostrano le mappe topografiche del 1967. Tuttavia, i funzionari
federali che hanno preso in rassegna, nel luglio 2007, le più recenti im-
magini satellitari, hanno ammesso che in realtà Hans è morfologicamen-
te divisa a metà. Questo rende controversa la proprietà dell‟isolotto,
mettendo in gioco anche le questioni relative al diritto alla pesca ed
all‟accesso per il Passaggio a Nord-Ovest.

La disputa sul Mare di Beaufort

Il Mare di Beaufort, in onore all‟idrografo irlandese Sir Francis Beau-


fort, fa parte dell‟Oceano Artico e si estende su una superficie di circa
450.000 chilometri quadrati a nord delle coste dell’Alaska (Stati Uniti),
dello Yukon e dei Territori del Nord-Ovest, entrambi appartenenti al
Canada continentale e ad ovest delle isole artiche canadesi. Il suo confi-
ne settentrionale è determinato da una linea immaginaria fra Point Bar-
row in Alaska e Lands End sull‟Isola del Principe Patrick.
La prima esplorazione del Mare di Beaufort risale al 1914 e venne com-
piuta dal canadese Vilhjalmur Stefansson.
Il fiume Mackenzie, così come altri corsi d‟acqua minori, sono i tributa-
ri di un mare che ospita numerose colonie di uccelli marini ed è un im-
portante luogo di riproduzione nonché tappa di migrazioni per balene e
beluga, essendo lontano dalle rotte commerciali.
Il Mare di Beaufort è perennemente ricoperto dalla banchisa che si scio-
glie nelle zone più meridionali solo in estate, per un periodo che va dai
2 ai 5 mesi. Ha nel suo sottosuolo grandi riserve di petrolio e gas, che
sono state esplorate a partire dagli anni 1960, ma sfruttate solo a partire
dal 1986.
Per non influire negativamente sulla riproduzione delle balene lo sfrut-
tamento di questi giacimenti è autorizzato internazionalmente solo in
inverno.
Il Mare di Beaufort è oggetto di disputa fra i Paesi che vi si affacciano
riguardo alla distanza del confine delle acque internazionali: tra il terri-
torio canadese dello Yukon e lo Stato americano dell‟Alaska.
55
In particolare, il Canada rivendica il principio secondo il quale il confi-
ne marittimo dovrebbe seguire il confine terrestre. La posizione ameri-
cana, invece, è che il confine marittimo dovrebbe estendersi lungo un
percorso equidistante dalle coste dei due Stati.
Uno dei principali motivi della contesa sul Mare di Beaufort è che l‟area
contesa dovrebbe possedere delle riserve di idrocarburi molto significa-
tive. Gli Stati Uniti hanno già affittato otto lotti di terreno del fondale
subacqueo per cercare ed eventualmente sfruttare le riserve di petrolio
che possono esistere nell‟area. E il Canada per tutta risposta ha presen-
tato le sue formali proteste a livello diplomatico.
Nessun accordo è stato raggiunto fino ad oggi, proprio perché gli Stati
Uniti hanno firmato, ma non ratificato la Convenzione delle Nazioni
Unite sul Diritto del Mare. Se il Trattato dovesse un giorno essere ratifi-
cato, la questione sarebbe probabilmente risolta in tribunale.
Il 20 agosto 2009 il Segretario al Commercio canadese Gary Locke, ha
annunciato una moratoria sulla pesca nel Mare di Beaufort, che com-
prende anche la controversia sulle acque.
Il giornalista Randy Boswell, infine, che gestisce il sito internet Cana-
da.com, ha dichiarato che l‟area contesa riguarda un quadrato 21.436
chilometri (8.276 ab.) e rappresenta una sezione del Mare di Beaufort di
circa venticinque mila chilometri quadrati, sottolineando che il Canada
ha già depositato una “nota diplomatica” agli Stati Uniti nel mese di
aprile, quando gli USA avevano annunciato di voler intraprendere anche
loro una moratoria sulla pesca in quelle acque sottintendo così la loro
sovranità in queste acque.

Il Passaggio a Nord Ovest e la contesa fra Stati Uniti e Canada

Lo status giuridico di una sezione del Passaggio a Nord Ovest, è parti-


colarmente controverso. Il Canada ritiene che faccia parte delle sue ac-
que interne in base alla Convenzione delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti
e la maggior parte delle nazioni marittime li considerano, invece come
uno stretto internazionale, il che significa che le navi straniere hanno il
diritto al cosiddetto “passaggio in transito”. In questo caso, il Canada
avrebbe il diritto a emanare il regolamento sulla pesca e l‟ambiente, far
rispettare le proprie leggi fiscali ed anti contrabbando, così come le
56
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

norme destinate alla sicurezza della navigazione, ma non possedere il


diritto di chiudere il passaggio. E‟ bene specificare che le normative
ambientali autorizzate nel quadro dell‟UNCLOS non sarebbero così
severe come quelle eventualmente ammesse se il Passaggio a Nord-
Ovest appartenesse al Canada.
Qualora fosse accessibile questa rotta marina consentirebbe, partendo
dall‟Europa, di giungere in Oriente attraversando l‟Arcipelago Artico
canadese.
Il passaggio è attualmente praticabile solo durante il periodo estivo e
mediante l‟uso di rompighiaccio o comunque navi dotate di scafi adatti
ad affrontare il ghiaccio.
Ottawa ritiene di essere l‟unico stato titolare dell‟esercizio del diritto
alla sovranità sul passaggio. Per il Canada, infatti, farebbe parte del suo
mare territoriale. Nonostante parte del Passaggio a Nord-Ovest si trovi
ben oltre il limite delle dodici miglia marine fissato dalla Convenzione
di Montego Bay per delimitare il mare territoriale, il Canada giustifica il
fatto facendo propria la teoria secondo la quale un insieme di isole mol-
to ravvicinate alla costa può essere considerato come parte del territorio
e, quindi, all‟interno della linea utilizzata per il calcolo del mare territo-
riale. L‟interpretazione trova le sue basi in un precedente giuridico, una
sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell‟Aja nel 1951, che il
governo di Ottawa ha sempre citato a suo favore.
La posizione statunitense, supportata dalla maggior parte della comunità
internazionale, sostiene al contrario che le acque adiacenti le isole cana-
desi, ma al di fuori del mare territoriale di Ottawa, debbano considerarsi
come uno stretto utilizzabile per la navigazione internazionale. Di con-
seguenza, sempre secondo Washington ed in linea anche con Bruxelles,
il passaggio dovrebbe essere assoggettato alla normativa del diritto in-
ternazionale marittimo, la quale in questo caso prevede il libero passag-
gio delle imbarcazioni.
Il governo degli Stati Uniti, nel corso degli anni, ha violato numerose
volte quelle che Ottawa considera acque interne. Navi americane hanno
attraversato il Passaggio a Nord-Ovest, con lo scopo di valutarne la per-
corribilità, essendo tale rotta potenzialmente sfruttabile per il trasporto
di idrocarburi dai giacimenti dell‟Alaska al resto del Paese. Nel 1985 fu,
ad esempio, una nave rompighiaccio statunitense, la Polar Sea, a sfidare
57
il Canada, navigando nelle acque oggetto di controversia senza permes-
so. L‟incidente diplomatico portò nel 1988 ad un accordo tra i due go-
verni, che impegnava le navi americane a richiedere l‟autorizzazione
per la navigazione attraverso il Passaggio, ma che allo stesso tempo non
consentiva al Canada di negare l‟accesso a nessuna di esse.
L‟attuale leader del governo canadese, Stephen Harper, ha citato questi
esempi come violazioni di sovranità nazionale, sostenendo dunque la
necessità di una politica di maggiori controlli nell‟area a tutela degli
interessi del Canada.

Le rotte del Passaggio a Nord-Ovest

58
Capitolo VI

Le prospettive strategiche della NATO e la Base di Thule

E‟ stato il 12 gennaio 2009, che l‟allora Presidente USA George W.


Bush ha approvato un piano strategico per l‟Artico e precisamente la
direttiva presidenziale per la sicurezza nazionale n. 66 (National Secu-
rity Presidential Directive No. 66). In questo documento vengono espo-
sti i seguenti punti chiave: “Gli Stati Uniti hanno ampi e fondamentali
interessi di sicurezza nazionale nella regione artica e sono pronti a o-
perare autonomamente o in collaborazione con altri Stati per tutelare
questi interessi. Questi interessi sono le questioni riguardanti la difesa
missilistica e di allerta rapida; lo sviluppo dei sistemi di mare e di aria
per il trasporto marittimo strategico, la deterrenza strategica, la pre-
senza marittima e le operazioni di sicurezza marittima per garantire la
libertà di navigazione e di sorvolo. Gli Stati Uniti hanno anche i fonda-
mentali interessi di sicurezza nazionale nel prevenire gli attacchi terro-
ristici, che potrebbero aumentare la vulnerabilità degli Stati Uniti nella
regione artica. Gli Stati Uniti devono mantenere la mobilità globale
delle loro navi militari e civili e degli aeromobili in tutta la regione ar-
tica e danno mandato al Senato di agire positivamente sulla adesione
degli USA all’UNCLOS (Convenzione di Montego Bay). L’adesione
assicurerà i diritti sovrani degli Stati Uniti sulle preziose risorse natu-
rali”.
La direttiva era di fatto un aggiornamento della precedente (1994) ed
era finalizzata a condizionare la nuova Amministrazione USA del de-
mocratico Barack Obama con le sue disposizioni.
In un certo senso, ha rappresentato un messaggio forte al neo-eletto Pre-
sidente americano a non trascurare gli interessi statunitensi nella regio-
ne ed a chiedere una ratifica rapida dell‟UNCLOS.
Anche se la questione del controllo dell‟Artico potrebbe apparire isola-
ta, in realtà, da un punto di vista strategico è strettamente legata al pro-
getto per la dislocazione del sistema antimissilistico americano (Scudo
Spaziale) in Europa centro-orientale ed a una possibile militarizzazione

59
della regione in chiave antirussa. Un disegno quello di Bush sullo Scudo
antimissile in atto sin dalla sua prima elezione presidenziale e finalizza-
to a dislocare una componente dello stesso nella base di Thule
(Groenlandia), tanto che, il 6 agosto 2004, Stati Uniti, Danimarca e
Groenlandia avevano firmato a Igaliku (sud della Groenlandia) un ac-
cordo per ammodernare la base radar americana di Thule posta nel nord
-ovest dell‟Isola.
La stazione radar di Thule, istituita in base ad un accordo in materia di
difesa tra Washington e Copenaghen che risale al 1951, fu utilizzata
come posto di prima allerta contro eventuali attacchi sovietici durante la
Guerra Fredda. La base ha rappresentato uno dei principali anelli della
Distant Early Warning (DEW), successivamente modernizzata e rim-
piazzata negli Anni Ottanta dal North Warning System (NWS), assieme
ad un‟altra dozzina di basi dotate anche di ordigni nucleari e con un to-
tale circa di 60.000 militari dislocati. Tuttavia la funzione principale di
Thule era quella di costituire l‟elemento centrale del Balistic Missile
Early Warning System (BMEWS), un sistema realizzato nel 1959 per
segnalare eventuali attacchi missilistici dall‟ex Unione Sovietica.
Situata nella contea di Avannaa, Thule è la base aerea più a nord in pos-
sesso dell‟United States Air Force, ed è posizionata a 1.118 km a nord
del Circolo Polare Artico ed a 1.524 km a sud del Polo Nord. Secondo il
censimento condotto nel 2005, la base era abitata da 235 persone. Nel
1953 gli Stati Uniti comprarono l’area e gli inuit che abitavano nella
zona furono costretti dal governo danese a trasferirsi a 130 km a nord,
dove ora si trova la cittadina di Qaanaaq.
Grazie alla sua collocazione strategica tra Europa e Nordamerica, essa
adempie tuttora ad una fondamentale missione di sorveglianza
nell‟emisfero nord.
L‟accordo per l‟ammodernamento della base di Thule venne firmato nel
2004 dall’allora Segretario di Stato americano Colin Powell, dal Mini-
stro degli Esteri danese dell‟epoca Per Stig Moeller e dal suo omologo
groenlandese Josef Motzfeldt. Alla cerimonia per la firma Powell di-
chiarò: “Insieme faremo fronte alle sfide di sicurezza del Ventunesimo
secolo, dalla difesa antimissile al terrorismo internazionale”. Tre mesi
prima, il 20 maggio 2004, il Ministro degli Esteri danese aveva già an-
nunciato l‟intesa affermando che il suo Paese avrebbe concesso al Pen-
60
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

tagono la possibilità di riattivare la base.


Il progetto dello Scudo Spaziale prevede un centro di comando in Colo-
rado (la base di Cheyenne Mountain a Colorado Springs) e le stazioni
radar in Groenlandia (Thule), in Norvegia (base di Vardo) ed in Gran
Bretagna (base di Fylingdales), oltre a due siti d‟intercettazione situati
in California (Base di Vanderbeg) ed in Alaska (Fort Greely). Il sistema
è inoltre legato in mare alle fregate Aegis e in cielo agli apparecchi
dell‟Air Borne Laser in corso di realizzazione. Farebbero parte di que-
sto complesso in futuro anche la stazione radar di Brdy in Repubblica
Ceca e dieci batterie antimissilistiche a Redzikowo, nel nord della Polo-
nia.
Dal 2008 il complesso di rilevamento satellitare di Thule è in grado i
trasmettere istantaneamente i dati balistici, navali e aerei rilevati al cen-
tro di studi con sede in California (Stati Uniti). In questo modo la Gro-
enlandia è d‟ora in poi integrata nelle strategie statunitensi di rilevamen-
to elettronico e costituisce un prolungamento dei dispositivi situati nella
sede britannica di Fylingdales, legata al Comando strategico Usa. La
base di Thule è situata in gran parte a 250 metri sotto il livello del
ghiaccio. È composta di 25 chilometri di strade, ed è una vera e propria
città-caserma in grado di ospitare 20.000 persone e diversi bombardieri
provvisti di armamento nucleare.
Thule possiede anche un porto dotato di acque profonde in grado di ac-
cogliere sottomarini nucleari di attacco (SNA), sottomarini nucleari lan-
ciamissili (SNLE) ed altre imbarcazioni di superficie.
Attualmente, il radar di Thule ha un raggio di copertura di 5.000 km,
che si spinge fino a parte del territorio russo. La base, appartiene
all‟821° Air Base Group dell‟US Air Force.
Bush si era già rivolto, il 24 gennaio 2001, al governo autonomo gro-
enlandese, contrario all‟utilizzazione della base nell‟ambito del progetto
USA dello Scudo, chiedendo direttamente al Primo Ministro della Gro-
enlandia Jonathan Motzfeld un “dialogo aperto alla cooperazione su
soggetti di interesse comune, come la base di Thule”.
Il 4 marzo 2003 la Danimarca si era detta favorevole alla richiesta degli
Stati Uniti di mettere a disposizione la stazione radar in Groenlandia per
portare avanti il progetto. “La posizione del governo di fronte alla richi-
esta di includere la stazione radar di Thule nel sistema di difesa anti-
61
missile è positiva”, aveva affermato in un rapporto la coalizione di
centro-destra all‟epoca al governo di Copenaghen.
Nel febbraio 2003 anche la Gran Bretagna aveva dato il via libera a
Washington che chiedeva di mettere a sua disposizione la stazione radar
di Fylingdales (Nord Yorkshire) per lo stesso programma. L'Amminis-
trazione Bush si era impegnata, nel 2002, a rendere operativo entro il
2004, cioè prima della fine del mandato presidenziale e prima delle
elezioni di novembre, un nucleo iniziale di difesa anti-missile, ancora
parziale, in Alaska. Ma oggi con la nuova Amministrazione democ-
ratica del Presidente Obama qualcosa è cambiato. I costi elevati per la
realizzazione del progetto e le difficoltà economiche degli USA per la
crisi economica globale, oltre al coinvolgimento militare in Iraq e Af-
ghanistan, stanno mettendo seriamente in forse il progetto del Pen-
tagono. Peraltro la nuova strategia statunitense non costituisce una con-
tinuazione del progetto BMD (Ballistic Missile Defense), sviluppato
dalla precedente Amministrazione, visto che per volontà del Presidente
Obama il famigerato Scudo Spaziale verrà sostituito con un programma
meno dispendioso che si basa sull‟impiego di un sistema antibalistico
navale basato su missili a lunga gittata RIM-161 Standard Missile 3
(SM-3). In Polonia verrà schierata solo una batteria missilistica del sis-
tema MIM-104 Patriot.
Le recenti proposte di Washington tese a ridimensionare ed ad allegger-
ire il progetto dello Scudo sembrano, però preoccupare lo stesso il
Cremlino, nonostante le aperture e lo spirito di collaborazione espresso
da entrambe le parti.
Il 29 settembre 2009 Mosca, attraverso il suo rappresentante perma-
nente presso la NATO, Dmitrij Rogozin, ha chiesto infatti garanzie che
il nuovo Scudo antimissile USA, che sostituirà quello previsto nell‟Eu-
ropa centro-orientale, non sarà diretto contro la Russia. “Se i nostri col-
leghi americani dicono di voler ammodernare il sistema antimissile
solo per colpire i bersagli a media e breve gittata dobbiamo avere ga-
ranzie in questo senso. Se questo sistema antimissile assume un carat-
tere mobile ci saranno le garanzie che esso - un sommergibile o una
nave a bordo dei quali saranno installati missili intercettori - non ar-
riverà nelle acque dei nostri mari settentrionali?”. Il diplomatico russo
ha espresso anche il timore che gli elementi del nuovo Scudo americano
62
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

possano raggiungere l‟Oceano Artico, il Mare del Nord ed il Mar Bal-


tico. Egli aveva inoltre osservato che sussistono molti problemi sulla
natura delle garanzie da parte americana, specialmente dopo le dichiara-
zioni rilasciate il 18 settembre 2009, dal Segretario di Stato Usa, Hillary
Clinton, che aveva difeso a spada tratta le scelte di Obama, respingendo
al mittente le critiche dell‟opposizione repubblicana, secondo cui la
Casa Bianca ha fatto pericolose concessioni a nemici come l‟Iran ed a
Paesi inaffidabili come la Russia, irritando invece amici ed alleati sicuri.
In un discorso alla Brookings, uno dei più prestigiosi think-tank di
Washington, la Clinton si era detta convinta che il nuovo sistema
prospettato, con strutture mobili e missili a corto e medio raggio,
“renderà l’America più forte e maggiormente in grado di difendere le
nostre truppe, i nostri interessi ed i nostri alleati”. Secondo il Segre-
tario di Stato, “non stiamo accantonando la difesa missilistica. Stiamo
spiegando la difesa missilistica prima che l'Amministrazione
(precedente di George W.) Bush lo avesse pianificato”. Proprio per
questo qualche settimana prima, l‟11 agosto, Mosca ha avvertito Wash-
ington che sta lavorando ad un nuovo sistema missilistico superficie-
aria, l‟S-500 Samoderzhets, capace di difendere il Paese anche da attac-
chi spaziali, che gli USA saranno in grado di effettuare entro pochi de-
cenni. L‟annuncio era stato fatto dal comandante dell‟aeronautica mili-
tare russa Generale Aleksandr Zelin. “Le aviazioni di Stati stranieri,
prima di tutto quella degli USA, acquisiranno la capacità di condurre
attacchi sincronizzati, di alta precisione e su scala globale pratica-
mente su qualsiasi obiettivo della Federazione russa entro il 2030”. A
suo avviso si tratta di una minaccia “non virtuale, ma molto reale”.
Il sistema S-500, che avrà un raggio d‟azione di 3.500 km, “sarà iper-
ciò n grado di distruggere qualsiasi missile balistico e apparecchio su-
personico”.
La spedizione russa del 2007 nella regione artica non è stata percepita
soltanto dagli USA come una nuova minaccia alla sicurezza internazi-
onale, ma anche dall‟Alleanza Atlantica e dai suoi Paesi membri.
L‟allora Segretario Generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, ha
affermato che, nonostante un conflitto militare nella regione sia, a breve
termine, improbabile, tuttavia vi dovrà essere una maggiore presenza
militare occidentale nell‟area artica a causa dell‟aumento delle attività
63
di esplorazione e di controllo delle risorse energetiche, oltre che per la
necessità di garantire il soccorso alle navi commerciali in transito. “Il
cambiamento climatico non è un’idea del tutto infondata, è già una
realtà, una realtà che porta con sé alcune nuove sfide, anche per la
NATO”.
E proprio i cambiamenti climatici previsti dagli scienziati con il conse-
guente scioglimento dei ghiacci, ha ricordato Scheffer, trasformeranno
le rotte artiche in un‟alternativa al passaggio per il Canale di Suez o per
quello di Panama.
In un certo senso, il discorso di Scheffer è stato definito come una prima
risposta dell‟Alleanza Atlantica alle mosse della Russia di rivendicare
una sfera di interessi privilegiati nella regione artica. Ciò significa che
la Federazione avrà probabilmente a che fare non più con i singoli Stati
che si affacciano sulla regione e con i loro interessi, ma con tutti i mem-
bri dell‟Alleanza Atlantica, fungendo quest‟ultima da piattaforma per il
coordinamento delle politiche nell‟area e quindi come unico interlocu-
tore con il quale confrontarsi. È‟ peraltro utile ricordare che in base
all‟Articolo 5 dell‟Alleanza tutti gli Stati membri della NATO per il
principio della solidarietà militare e del mutuo soccorso debbono uni-
formarsi allo spirito di collaborazione strategico-militare, ovvero della
difesa collettiva: “Le parti concordano che un attacco armato contro
una o più di esse, in Europa o in America settentrionale, deve essere
considerato come un attacco contro tutte e di conseguenza concordano
che, se tale attacco armato avviene, ognuna di esse, in esercizio del
diritto di autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall’Articolo
51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attac-
cate prendendo immediatamente, individualmente o in concerto con le
altre parti, tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l’uso della
forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell’area Nord
Atlantica”.
È inoltre utile ricordare che la decisione per Bruxelles di enunciare per
la prima volta il Circolo Polare Artico come zona per le operazioni
dell‟Alleanza, si è avuta diciassette giorni dopo che l‟Amministrazione
Bush uscente aveva enunciato la Direttiva Presidenziale Numero 66
sulla Sicurezza Nazionale. Una direttiva che ha esplicitamente di-
chiarato che gli “Stati Uniti hanno vasti e fondamentali interessi di
64
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

sicurezza nazionale nella regione artica”. Questi interessi includono,


come già visto, questioni come il sistema anti-missilistico e la dinamica
avanzata, lo spiegamento dei sistemi mare e aria per il trasporto marit-
timo strategico, la dissuasione strategica, la presenza marittima, le op-
erazioni di sicurezza marittima e la garanzia di libertà di navigazione e
sorvolo.
Già dal 2007, peraltro, gli Stati Uniti, coadiuvati dal Regno Unito,
hanno iniziato ad effettuare delle esercitazioni congiunte nei fondali
dell‟Oceano Artico, allo scopo di creare un percorso alternativo finaliz-
zato al passaggio dei propri sommergibili militari tra l‟Atlantico ed il
Pacifico, evitando così il transito attraverso il Canale di Panama.
Ma c'è ancora un‟altra spiegazione per la presenza militare nordameri-
cana e dei suoi alleati nell‟Artico. Sotto la calotta polare, infatti, un sot-
tomarino rimane invisibile ai rilevamenti satellitari fino all‟ultimo mo-
mento. In questo modo, un attacco od una risposta ad un attacco nu-
cleare sarebbe improvvisa ed inevitabile. In altre parole, l‟Artico è
l‟unico luogo dove la Russia è meno vulnerabile ad un controllo preven-
tivo avversario, persino ai satelliti ed ai missili intercettori USA, e può
mantenere così la deterrenza e la sua capacità di ritorsione in caso di
conflitto nucleare. Pertanto, il Cremlino sta cercando di salvaguardare la
capacità di poter lanciare i suoi missili intercontinentali dai sottomarini
per ottenere la leadership della sua Flotta strategica nella regione artica.
Una posizione questa che collide con le prospettive annunciate da
Scheffer e dalla NATO che sembrano invece andare nella direzione op-
posta, e cioè spingere la Federazione lontano dal Polo. La posizione di
Canada, Danimarca, Islanda, Norvegia, Stati Uniti e del Regno Unito,
così come quella della Finlandia e della Svezia (questi ultimi due Stati
aspirano ad entrare a tutti gli effetti nell‟Alleanza Atlantica) sembrano
voler puntare infatti a questo obiettivo.
Da parte sua la stessa Danimarca, in linea con i dettami di Bruxelles e
con la sua politica di salvaguardia degli interessi nell‟Artico, ha deciso
di favorire una sua più decisa militarizzazione della regione. Secondo le
prospettive militari danesi l‟incremento delle attività nell‟Artico cam-
bierà il valore geo-strategico dell‟area e comporterà un maggiore coin-
volgimento delle forze armate danesi.
Copenaghen ha deciso perciò di sostenere gli USA nell‟ampliamento
65
della base militare a Thule e nello stesso tempo avviare nella regione
estesi pattugliamenti dell‟Aviazione e della Marina. Inoltre sarà creata
una speciale task-force, l’Artic Response Force, facendo ricorso alle
capacità militari danesi già predisposte ad operazioni nell'Artico. Il pi-
ano prevede l‟uso di aerei da combattimento per “la sorveglianza e il
pattugliamento della sovranità del territorio metropolitano e di quello
che circonda la Groenlandia”. Nel giugno 2009, poi, otto partiti rappre-
sentati nell‟Assemblea Nazionale danese hanno raggiunto un accordo
sulla politica di difesa da adottare fra il 2010 e il 2015, con riferimento
alla crescente importanza strategica della Groenlandia.
Dopo Copenaghen, anche Stoccolma sembra intenzionata a rafforzare la
sua presenza nella regione. La Svezia presenta comunque un esercito
già ben armato e dotato di un aviazione con mezzi all‟avanguardia.
Nella zona a cavallo del Circolo Polare Artico, l‟esercito svedese pos-
siede due reggimenti specializzati che presidiano in modo permanente
l‟area composti di soldati regolari, riservisti e militari di leva.
In base ai dati pubblicati nel 2008 l‟esercito svedese possiede una
guarnigione nell‟Artico di 3.478 uomini - che è più che dell‟intero con-
tributo canadese in Afghanistan. Il presidio svedese nella regione è cos-
tituito da artiglieria, fanteria meccanizzata, carri armati, forze speciali e,
naturalmente, una scuola invernale di guerra. Stoccolma è dotata inoltre
nella regione di una base aerea permanente a Lulea, con uno staff di 650
uomini e dei caccia moderni.
Dopo Scheffer anche l‟attuale Segretario Generale della NATO, il
danese Anders Fogh Rasmussen, ha posto, come già accennato, l‟Artico
fra le priorità dell‟Alleanza Atlantica per il XXI secolo.
Il 15 settembre 2009 Rasmussen, dopo aver proposto una collaborazi-
one più decisa con Mosca in seno all‟Alleanza Atlantica, ha lanciato
comunque un monito alla Russia sul controllo dell‟Artico e delle sue
risorse. Il cambiamento climatico, ha osservato, avrà un impatto sulla
sicurezza globale. “Potrebbe portare a battaglie per via della scarsezza
di alcune risorse, in particolare la mancanza di acqua potabile e la
mancanza di cibo, porteranno a conflitti armati. Vedremo un aumento
di rifugiati climatici, e ciò destabilizzerà la situazione in regioni che
sono già instabili”. E poi senza mezzi termini ha ricordato che “fra
qualche anno, le rotte polari saranno aperte alla navigazione. Avremo
66
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

nuove strade per le risorse energetiche e in questa regione del mondo ci


sarà più accesa competizione. Secondo Rasmussen poi, lo scioglimento
dei ghiacci del Polo “potrebbe portare ad un conflitto”. Un preciso
riferimento alla politica russa di rivendicazione delle Dorsali artiche
Lomonosov e Mendeleev, decisa il 2 agosto del 2007 con la deposizione
di una bandiera al titanio sotto i ghiacci del Polo Nord.
Il primo ottobre 2009 Rasmussen è tornato sulla questione. Durante un
incontro congiunto sulla pirateria, i cambiamenti climatici ed i cyber-
attacchi, organizzato a Londra dal gigante assicurativo Lloyd e dalla
NATO, il Segretario ha tenuto un discorso in cui ha ribadito:
“Sappiamo che il ghiaccio artico si sta ritirando. In realtà l'Artico si
sta riscaldando più velocemente di qualsiasi altra parte del mondo.
Questo non è necessariamente una minaccia. Per molti versi, è l'occa-
sione, con l’apertura del Passaggio a Nord-Ovest, di tagliare di 4.000
miglia nautiche il percorso dall’Europa all’Asia. Potete scommettere
che molte aziende hanno fatto i loro calcoli. Ma non si possono dimen-
ticare le implicazioni per la sicurezza. Un’intera parte del Nord Amer-
ica sarà molto più esposta. Le accresciute spedizioni rappresentano una
maggiore necessità di ricerca e soccorso. E ci sarà competizione per le
risorse che erano state, fino ad ora, coperte dal ghiaccio”.
Differenti sono state invece le dichiarazioni norvegesi dalle quali si è
appreso che, dati i buoni rapporti diplomatici tra Oslo e Mosca sanciti
dagli accordi di cooperazione di Barents del 1993, il governo norvegese
potrebbe proporsi come mediatore tra la Russia e l‟Europa. La Norvegia
ha tenuto fino a poco tempo fa la presidenza di turno del Consiglio
Artico, posizione che le ha consentito di ottenere non solo un ruolo cen-
trale nelle discussioni riguardanti la gestione delle risorse artiche, ma
anche la possibilità di diventare in futuro un partner di Mosca in pro-
getti di cooperazione scientifica.
Tuttavia già nel 2008 la Norvegia ha acquistato 48 caccia Lockheed F-
35 in grado per la loro autonomia di pattugliare l‟Artico.
A marzo dello stesso anno, Oslo ha partecipato ad un‟importantissima
esercitazione militare artica, che ha coinvolto 7.000 soldati di tredici
Stati, durante la quale un Paese immaginario chiamato Northland si era
impossessato delle piattaforme petrolifere off-shore. Le manovre hanno
provocato una decisa protesta delle Russia. Protesta che si è fatta
67
nuovamente sentire in giugno, dopo che la Svezia aveva tenuto la sua
più grande esercitazione militare nel nord del Paese dalla fine della Sec-
onda Guerra Mondiale alla quale hanno partecipato circa 12.000 soldati,
50 aerei e numerose navi da guerra.
Di recente è emerso poi, in una relazione commissionata dai cinque
Ministri degli Esteri dei Paesi dell‟Europa del Nord (Norvegia, Svezia,
Danimarca, Finlandia e Islanda), che questi sono pronti a unire le loro
forze militari, di sorveglianza marittima e satellitare, per garantire il
controllo della NATO sull‟Artico e sul Baltico. Il rapporto è stato re-
datto dall‟ex Ministro degli Esteri norvegese ed attuale membro dell‟e-
secutivo della Commissione Trilaterale, Thorvald Stoltenberg, il quale
ha presentato tredici del document, poi approvati dai capi della diplo-
mazia dei cinque Paesi.
A partire dal 2009 alcuni membri dell‟Alleanza, come Danimarca,
Spagna e Stati Uniti, hanno deciso di dispiegare aerei da combattimento
in Islanda, ormai priva di copertura aerea dopo la chiusura della base
statunitense di Keflavik. La Germania e gli stessi USA hanno dichiarato
che dispiegheranno i loro velivoli da caccia a partire dal 2010. Altri
Paesi, come Canada, Italia e Polonia hanno espresso il loro interesse nel
prendere parte alle operazioni di air policing. Da parte loro i Ministri
della Difesa finlandesi, norvegesi e svedesi hanno proposto a Finlandia
e Svezia, Paesi che ancora non sono membri della NATO, di giungere
ad un‟intesa per lo scambio di dati con il sistema di difesa aerea dell‟Al-
leanza Atlantica.
Questa struttura dovrebbe essere preposta a controllare, in particolare,
due aree: il Mar Baltico e l‟Atlantico settentrionale, l‟Oceano Artico ed
il Mar di Barents, attraverso un sistema unificato. L‟idea punta a con-
tenere la crescente potenza della Russia sia nel Baltico, che nell‟Artico.
Altre proposte includono l‟idea dell‟utilizzo di un sistema satellitare per
fronteggiare eventuali attacchi informatici e la creazione di una unità di
risposta ad eventuali catastrofi, provocate dallo scioglimento dei ghiacci
eterni o dal rischio di collisioni delle navi.
La Svezia, in particolare, sta da tempo valutando il suo eventuale in-
gresso nell‟Alleanza. Stoccolma infatti ha aderito soltanto al Partenari-
ato Euro-Atlantico o Euro-Atlantic Partnership Council (EAPC) che
rappresenta un forum di regolare consultazione, coordinamento e dia-
68
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

logo tra la NATO ed i partner esterni.


Alle decisioni prese dai Paesi dell‟Europa settentrionale si sono aggi-
unte anche quelle del Canada che, a meno di una settimana dall‟annun-
cio del successo della missione russa nell‟Artico, è passato al contrat-
tacco. Infatti, il Primo Ministro canadese, Stephen Harper, è stato in
visita per tre giorni nei territori canadesi sul Mar Glaciale. La visita,
programmata da tempo, ha assunto un significato particolare dopo l‟av-
venuta spedizione russa, poiché il Canada non ha nascosto di avere
un‟agenda attiva riguardante l‟Artico. Il Governo canadese ha program-
mato investimenti per sette miliardi di euro per il potenziamento della
flotta di rompighiaccio e nove di queste imbarcazioni sono in fase di
ultimazione o vicine al varo. Nello stesso tempo, entro il 2014, il Cana-
dian Forces Maritime Command si doterà di cinque pattugliatori artici
Classe Polar.
L‟atteggiamento assunto dal Canada in questi ultimi anni e via via sino
a oggi ha evidenziato che il ruolo dell‟attuale governo di Ottawa è
quello di guidare il confronto con la Russia nell‟Artico per conto degli
Stati Uniti e naturalmente della NATO, in quello che si prospetta un
vero e proprio scenario di guerra.
Dal canto suo l‟Ammiraglio James G. Stavridis, alla guida del Comando
statunitense in Europa (USEUCOM) e del Supremo Comando Alleato
in Europa (SACEUR) ha osservato, il 9 ottobre 2009 al Royal United
Services Institute (RUSI) di Londra, che l‟Estremo Nord rappresenta
un‟area di crescente preoccupazione strategica. “Guardo all’Estremo
Nord e penso che potrebbe essere sia una zona di conflitto, ma non lo
spero”.
“I relitti della Guerra Fredda non muoiono facilmente”, ha puntualiz-
zato Jonathan Eyal, direttore degli studi per la sicurezza internazionale
del RUSI. Controllare le ampie riserve di petrolio è considerato dai russi
come la pietra di volta per riprendere un po‟ della loro vecchia gloria,
ciò significa che l‟Artico diverrà presto un‟area d‟attrito internazionale.
O nell‟Artico oppure altrove, trovare punti d‟incontro con Mosca con-
tinuerà a essere difficile per la NATO, che ancora è considerata con
profondo sospetto dalla Russia.
Dal canto loro i russi, per bocca del Ministro degli Esteri Sergej Lavrov,
hanno confermato le loro buone intenzioni affermando che Mosca in
69
realtà “sarà un partner attendibile e trasparente nell’Artico”, a cui
hanno fatto seguito appelli alla cooperazione e alla salvaguardia della
pace. Messaggi analoghi sono arrivati per tutto il 2009 dall‟Alleanza
Atlantica e dai suoi funzionari, ma sempre segnati da una forte preoccu-
pazione e interesse per tutto ciò che sta accadendo nella regione. Tanto
che al di là delle buone parole l‟Artico viene costantemente monitorato
da tutti i protagonisti della contesa.
Infatti, ancora una volta, il 20 gennaio 2010, durante un volo di pattug-
liamento della regione, due bombardieri strategici russi Tu-95MS Bear,
decollati dalla base aerea di Engels, sono stati intercettati e seguiti da
sei aerei della NATO: quattro caccia F-16 Fighting Falcon dell‟Aero-
nautica norvegese e due Tornado ADV britannici.
In quest‟ultimo caso la Russia ha voluto precisare che i suoi aerei hanno
effettuato il volo in stretta conformità con le leggi internazionali
sull‟uso dello spazio aereo in acque neutrali e senza penetrare nello
spazio aereo di altri Stati. Ma è chiaro che tutti hanno a cuore il con-
trollo dell‟area e intendono muoversi per impedire che l‟uno o l‟altro
Paese possa avere il pieno controllo strategico in una regione così ricca
di risorse energetiche ed attività commerciali.
Dall‟11 al 21 maggio 2009, la NATO ha tenuto la sua annuale eserci-
tazione militare in Europa, Joint Warrior, al largo della costa della Sco-
zia, nel Mare del Nord, in uno specchio di acque adiacente al Mare Gla-
ciale Artico. Più di venti navi da guerra, settantacinque aerei e centinaia
di soldati appartenenti a Danimarca, Gran Bretagna, Olanda, Belgio e
Stati Uniti sono stati dieci giorni intenti a simulare diversi scenari di
combattimento, in un area che presto potrebbe divenire particolarmente
calda.
All‟altra estremità dell‟Artico, poi dal 15 al 26 giugno dello stesso
anno, gli Stati Uniti hanno effettuato in Alaska l‟esercitazione Northern
Edge 2009, con la partecipazione di oltre duecento aerei, tra cui B-52, F
-22 e F-16, coadiuvati dalle navi del Carrier Strike Group 3 della por-
taerei USS John C. Stennis.

70
Capitolo VII

L’Artico e le istituzioni internazionali

La cooperazione internazionale nell‟Artico si è sviluppata alla fine degli


Anni Ottanta e ha fatto emergere una nuova identità regionale, in verità
ancora molto debole, attraverso numerose iniziative di carattere politico
e diplomatico.
Fino a quel momento infatti, la regione artica, come del resto quasi tutto
il Globo, si era ritrovata divisa tra i due rivali della Guerra Fredda: la
NATO, che includeva cinque degli Stati artici (Stati Uniti, Canada,
Danimarca, Islanda e Norvegia) ed il Patto di Varsavia, organizzazione
di fatto guidata dall‟Unione Sovietica.
Con il tempo, però la situazione è andata modificandosi e, con l‟arrivo
degli Anni Ottanta, gli Stati artici svilupparono un interesse crescente
per le questioni legate all‟ambiente ed alla cooperazione nella regione.
In particolare, fu nell‟ottobre del 1987 che un discorso del Presidente
sovietico Mikhail Gorbaciov, conosciuto come “il discorso di Mur-
mansk”, diede l‟impeto iniziale alla cooperazione intergovernativa. Le
proposte del Presidente sovietico inaugurarono un nuovo periodo per la
regione che verrà denominato “Processo di Rovaniemi” e che porterà
nel 1991 alla creazione della Strategia di Protezione Ambientale
dell‟Artico (AEPS).
Lo sviluppo delle relazioni internazionali e della cooperazione, che il
Processo di Rovaniemi ha messo in atto, può essere scisso in tre compo-
nenti fondamentali. In primo luogo tale sviluppo ha prodotto un incre-
mento della cooperazione tra le organizzazioni delle popolazioni autoc-
tone, considerate per la prima volta come veri e propri attori internazi-
onali, e le autorità regionali e sub-nazionali, attraverso organismi quali
il Consiglio Nordico (Northern Forum).
Decisamente più importante è la seconda componente, quella di un fo-
rum di cooperazione internazionale. Gli Stati artici hanno, infatti, com-
piuto numerosi sforzi di collaborazione volti alla definizione dell‟Artico
come distinta regione internazionale. Il prodotto più importante di

71
questi sforzi per la cooperazione è il Consiglio Artico (Arctic Council),
sorto nel 1996, come massimo forum in materia di cooperazione inter-
nazionale artica ed attualmente sotto la presidenza norvegese. Il Consig-
lio, oltre ad avere come membri le delegazioni di tutti gli Stati artici,
prevede la partecipazione permanente di un certo numero di organiz-
zazioni transnazionali delle popolazioni autoctone. I suoi obiettivi sono
la promozione della sostenibilità ambientale e la creazione di un ordine
sociale stabile nell‟area artica.
Le questioni più delicate, come la politica di sicurezza, non vengono
invece trattate in questo forum e rimangono di competenza nazionale.
Vi sono state, tuttavia, alcune intese riguardanti le questioni ambientali
connesse alle attività militari, ma solo all‟interno di iniziative di tipo
bilaterale o trilaterale. Un esempio di ciò è l’Arctic Military Environ-
mental Cooperation, un forum creato da Stati Uniti e Russia nel 1996.
È quindi possibile affermare che troppo pochi sforzi sono stati fatti per
dotare il Consiglio Artico di funzioni sostanziali. Notevoli risultati sono
stati, invece, raggiunti nel campo della cooperazione scientifica, come
testimonia la creazione nel 1990 dell‟International Arctic Science Com-
mitee.
La terza componente riguarda il cambiamento della natura delle relazi-
oni tra l‟Artico ed il mondo esterno. In questo senso la rilevanza mili-
tare che l‟area ha acquisito durante la Guerra Fredda è stata integrata dal
suo ruolo strategico nell‟economia globale, basato sulla ricchezza delle
sue risorse naturali, attualmente sempre più in primo piano. Questa rile-
vanza economica, però pone un freno alla cooperazione internazionale
nella regione, la quale rimane limitata a questioni strategicamente meno
importanti. In sintesi possiamo dunque interpretare il “Processo di Ro-
vaniemi” e l‟AEPS come un sofisticato meccanismo con il quale i gov-
erni nazionali possono recuperare il controllo sulla cooperazione inter-
nazionale nell‟artico e riaffermare i loro interessi come stati sovrani.
Le istituzioni ed i principali attori, che operano nella regione artica, pos-
sono essere quindi suddivisi in cinque categorie:

1. Gli Stati artici: Canada, Danimarca (includendo in essa la Groenlan-


dia, che ha ottenuto una parziale autonomia, ad eccezione della politica
estera e della sicurezza, con il referendum del 2009, e le Isole Fær Øer),
72
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti.


2. Le Organizzazioni internazionali governative: Consiglio Artico e il
Consiglio Euro-Artico di Barents.
3. Le Organizzazioni internazionali non governative: Arctic Athabaskan
Council, Greenpeace International, International Arctic Science Com-
mittee e il Northern Forum.
4. Le Organizzazioni sub-nazionali: province, contee, municipalità e
organizzazioni delle popolazioni autoctone di uno stato.
5. Le società internazionali, ovvero le compagnie petrolifere e miner-
arie.

Vediamo ora il ruolo svolto e la funzione di alcune delle più importanti


organizzazioni internazionali governative e non governative.

Il Consiglio degli Stati del Mar Baltico (Council of the Baltic Sea
States - CBSS)

La sua nascita risale al 5-6 marzo 1992 a Copenaghen durante una ri-
unione dei Ministri degli Affari Esteri degli Stati della regione. È costi-
tuito da un forum politico per la cooperazione regionale intergoverna-
tiva. Ed è stato creato allo scopo di rispondere ai cambiamenti geopoli-
tici nella regione del Mar Baltico dopo la fine del conflitto Est-Ovest. I
membri del Consiglio sono gli undici Stati baltici più la Commissione
Europea.
Dal 1998, il Consiglio dispone di un segretariato internazionale perma-
nente con sede a Stoccolma. La presidenza di turno dura un anno. Stati
Uniti, Francia, Italia, Paesi Bassi, Slovacchia, Ucraina e Regno Unito
hanno iniziato a far parte del Consiglio in qualità di osservatori a partire
dal 2006.

Il Consiglio Euro-Artico di Barents (Barents Euro-Arctic Council -


BEAC)

Il forum di cooperazione intergovernativo del Mare di Barents, o Con-


siglio Euro-Artico del Mar di Barents (Barents Euro-Arctic Council -
BEAC) è stato creato nel 1993 allo scopo di favorire la cooperazione fra
73
il nord della Scandinavia ed il nord-ovest della Russia, e per sviluppare
nuove iniziative e proposte in quella regione, oltre ad assicurare il pro-
gresso economico e sociale per garantire lo scambio interregionale e
contribuire allo sviluppo pacifico e stabile della regione. È costituito da
sei Stati membri (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia e
Svezia), più la Commissione Europea ed altri nove Paesi in qualità di
osservatori (Germania, Canada, Francia, Italia, Giappone, Paesi Bassi,
Polonia, Gran Bretagna e Stati Uniti).
La presidenza di turno ha la durata di due anni.
La Federazione Russa ha acquisito la presidenza nel novembre 2007 per
il periodo 2008-2009, e sarà sostituita dalla Svezia nel 2010-2012 e
dalla Norvegia nel 2013-2015.

Il Consiglio nordico (Northern Forum)

La cooperazione nordica si realizza attraverso l‟intermediazione di due


organizzazioni: il Consiglio Nordico ed il Consiglio Nordico dei Minis-
tri.
Il Consiglio Nordico è stato fondato nel 1952 e ha come scopo la coop-
erazione interparlamentare fra cinque Stati: Danimarca, Finlandia, Is-
landa, Norvegia e Svezia, e tre territori autonomi: Isole Fær Øer
(Danimarca), Groenlandia (Danimarca) e le Isole Åland (Finlandia).
Il Consiglio è costituito da 87 membri. I rappresentanti sono membri dei
rispettivi parlamenti nazionali, designati dai loro rispettivi partiti poli-
tici. Non esiste una procedura per l‟elezione diretta del Consiglio Nor-
dico. È diretto da un segretariato che divide i suoi locali con il Segre-
tariato del Consiglio Nordico dei Ministri a Copenaghen. Il Consiglio
Nordico dei Ministri è stato istituito nel 1971 ed è destinato alla coop-
erazione intergovernativa fra i Paesi membri. Esso consiste, sullo stesso
modello del Consiglio dei Ministri dell‟Unione Europea, in una serie di
riunioni regolari organizzate fra i ministri omologhi dei vari Paesi mem-
bri.
La presidenza del Consiglio Nordico e del Consiglio Nordico dei Minis-
tri si svolge sempre a rotazione su base annuale fra i cinque Stati mem-
bri. Il sistema di rotazione prevede che uno stesso Stato non può simul-
taneamente controllare la presidenza dei due Consigli.
74
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

Il Consiglio dell’Artico (Arctic Council)

La dichiarazione di Ottawa del 1996 ha istituito ufficialmente il Consig-


lio dell‟Artico in quanto forum intergovernativo per fornire un “mezzo
per promuovere la cooperazione, il coordinamento e l’interazione tra
gli Stati dell’Artico, con la partecipazione delle comunità autoctone e
gli altri abitanti che popolano questa regione sulle questioni artiche, in
particolare le questioni dello sviluppo durevole e della protezione
dell’ambiente”.
Gli Stati membri del Consiglio dell‟Artico sono: il Canada, la Dani-
marca (con la Groenlandia e le Isole Fær Øer), gli Stati Uniti, la Finlan-
dia, l‟Islanda, la Norvegia, la Federazione Russa e la Svezia.
La presidenza è a rotazione su base biennale. Lo statuto di osservatori è
aperto anche gli Stati non artici, alle organizzazioni mondiali intergov-
ernative ed interparlamentari, nonché alle organizzazioni non governa-
tive (ONG).

La Politica per la “dimensione nordica”

Istituita nel 1997, la Politica per la dimensione nordica (Northern Di-


mension) costituisce un programma dell‟Unione Europea che ha per
obiettivo la collaborazione transfrontaliera fra la UE, l‟Islanda, la
Norvegia e la Federazione Russa.
I componenti ribadiscono la loro responsabilità per la prosperità
dell‟Europa del Nord, il suo sviluppo durevole ed il benessere della sua
popolazione. Riconoscono, inoltre, il valore della loro vicinanza
geografica, della loro interdipendenza economica e del patrimonio cul-
turale comune.
La dimensione nordica garantisce il suo sostegno ai numerosi Consigli
regionali del Nord menzionati precedentemente e punta ad incrementare
le sinergie tra i diversi Stati e istituzioni della regione. È anche espres-
sione regionale dell‟Accordo sui quattro spazi comuni con la Russia.
Gli Stati Uniti ed il Canada fanno parte anch‟essi dell‟organizzazione,
ma con la qualifica di osservatori.
Le sue attività principali sono orientate verso alcuni obiettivi specifici
come la cooperazione economica, la libertà, la giustizia, la sicurezza, la
75
ricerca, l‟educazione, la cultura, l‟ambiente, sicurezza nucleare, risorse
naturali, benessere sociale e la salute.

L’Anno Polare Internazionale (API)

L‟Anno Polare Internazionale costituisce un altro esempio di collabora-


zione internazionale per quel che concerne l‟Artico. Il quarto API è
stato organizzato fra il marzo 2007 e lo stesso mese del 2009. Esso rap-
presenta un programma di collaborazione scientifica per quanto
riguarda il Polo, la cui nascita risale al 1882-1883. Le successive edizi-
oni si svolsero nel 1932-1933 e nel 1957-1958.
La ricerca scientifica di questo programma si articola seguendo sei
grandi tematiche: l‟evoluzione climatica e ambientale della regione po-
lare, la conoscenza dei cambiamenti umani ed ecologici, le relazioni fra
la regione artica e il resto del mondo, la biodiversità polare (marina e
terrestre), l‟osservazione spaziale che si occupa della posizione
geografica unica del Polo ed infine il processo culturale, sociale e
storico delle comunità umane presenti nella regione. Alla quarta edizi-
one dell‟API sono stati presentati più di duecento progetti, alla presenza
di migliaia di scienziati provenienti da oltre sessanta Paesi.

76
Capitolo VIII

I nuovi flussi commerciali attraverso l’Oceano Artico

Nel corso dei prossimi dieci o quindici anni, come detto, lo sciogli-
mento dei ghiacci renderà praticabili nuove rotte commerciali attraverso
l‟Artide. Attualmente infatti, nell‟area la navigazione è ancora proibi-
tiva per le navi non scortate dai rompighiaccio, tanto da non risultare
economicamente conveniente. La situazione sta, però mutando molto
velocemente e la Russia, così come altri Paesi, si sta preparando a
sfruttare a pieno queste nuove tratte.
Le previsioni indicano che il traffico marittimo nella regione passerà da
tre milioni di tonnellate di merci nel 2005 ai quattordici milioni nel
2015. Tra le tante possibili vie marittime che si apriranno nella regione
artica due sono quelle principali e più importanti: il Passaggio a Nord-
Est, o Northern Sea Route, e la tratta attraverso il famoso Passaggio a
Nord-Ovest.
Il Passaggio a Nord-Est è una rotta che, partendo dal Mare del Nord,
prosegue nel Mare Glaciale Artico lungo la costa della Siberia e, at-
traversato lo stretto di Bering e il Mar di Bering, raggiunge l‟Oceano
Pacifico. Il primo a ipotizzare l‟esistenza di questa via marittima fu Se-
bastiano Caboto, figlio del famoso Giovanni, che divenuto cittadino
inglese, ebbe l‟idea di effettuare una spedizione per trovare il passaggio.
Il primo esploratore che tentò di solcare la tratta fu, però l‟inglese Hugh
Willoughby, che nel 1553 guidò una missione che, dopo aver avvistato
l‟Arcipelago della Novaja Zemlja, riuscì a raggiungere la Lapponia, ma
la sua nave rimasta bloccata fra i ghiacci per mesi comport la morte di
tutto l‟equipaggio.
Il primo, a percorrere completamente il passaggio fu invece l‟esplora-
tore svedese Adolf Erik Nordenskiöl che, partito da Göteborg il 4 luglio
1878, con la baleniera Vega, dopo essere rimasto anche lui bloccato dai
ghiacci nei pressi dello stretto di Bering nel settembre dello stesso anno,
se ne liberò dieci mesi dopo, riuscendo a raggiungere infine il porto di
Yokohama.

77
Paragonata alle rotte tradizionali, attraverso il Canale di Suez o quello
di Panama, il Passaggio a Nord-Est offre una considerevole riduzione
della distanza da percorrere (circa il 40%) nei viaggi dall‟Europa verso
la costa occidentale degli Stati Uniti, quella nord-orientale dell‟Asia e
l‟Estremo Oriente. Per esempio la tradizionale rotta meridionale
(attraverso il Canale di Suez) da Amburgo a Yokohama è di 11.430
miglia; la Northern Sea Route riduce questa distanza a sole 6.900
miglia.
Nelle condizioni attuali la rotta è accessibile solo durante il periodo es-
tivo ma, secondo le previsioni degli scienziati, nei prossimi 20 o 30 anni
potrebbe divenire accessibile durante tutto l‟anno, naturalmente a navi
con caratteristiche adeguate.
La Northern Sea Route ha quindi le potenzialità per divenire un‟opzione
importante nei commerci marittimi, specialmente se consideriamo l‟in-
stabilità politica in Medio Oriente e la congestione che caratterizza i
canali di Suez e di Panama. La Russia, però, nonostante abbia aperto la
rotta alle navi straniere, deve ancora risolvere alcune questioni fonda-
mentali per renderla competitiva ed attrattiva.
Il Passaggio a Nord-Ovest attraversa invece l‟Arcipelago canadese, col-
legando gli Oceani Atlantico e Pacifico.
Tra la fine del XV e il XX secolo, gli europei hanno cercato di stabilire
una rotta commerciale marina che passasse a nord e ad ovest del conti-
nente europeo. Gli inglesi chiamarono la rotta Passaggio a Nord-Ovest,
mentre gli spagnoli la battezzarono Stretto di Anián.
Il desiderio di trovare questa rotta motivò l‟esplorazione europea di en-
trambe le coste del Nord America.
Nel 1539 Hernán Cortés incaricò Francisco de Ulloa di navigare lungo
l‟odierna Baja California alla ricerca dello Stretto che si supponeva con-
ducesse al Golfo di San Lorenzo.
L‟8 agosto 1585, fu invece l‟esploratore inglese John Davis che entrò
nello Stretto di Cumberland vicino alla costa dell‟Isola di Baffin.
Nel 1609, Henry Hudson navigò lungo il fiume che oggi porta il suo
nome alla ricerca anche lui del passaggio. Hudson in seguito esplorò
l‟Artico canadese e scoprì anche la Baia che prese il suo nome.
Nel 1845 una ben equipaggiata missione di due navi, guidata da Sir
John Franklin, tentò di forzare il passaggio attraverso i ghiacci artici
78
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

dalla Baia di Baffin al Mare di Beaufort. La spedizione, però non riuscì


a rientrare. Diverse spedizioni di soccorso e squadre di ricerca es-
plorarono senza successo l‟Artico canadese tra i due corpi d‟acqua ap-
erta, producendo alla fine la carta nautica di un possibile passaggio.
Del viaggio sono state ritrovate poche tracce, comprese registrazioni
che indicano che le navi vennero bloccate dalla morsa di ghiaccio nel
1845 vicino all‟Isola di Re William, a circa metà strada del passaggio, e
non furono in grado di disincagliarsi nell‟estate successiva. Non è chi-
aro il motivo per cui tutti i 134 membri della spedizione, pur ben equi-
paggiata e ben rifornita, perirono.
Il Passaggio a Nord-Ovest venne, infine, conquistato solo nel 1906,
quando l‟esploratore norvegese Roald Amundsen completò un viaggio
di tre anni a bordo del Gjøa, un natante per la pesca delle aringhe con-
vertito con la stazza di sole quarantasette tonnellate. Alla fine di questo
viaggio, entrò nella città di Circle (Alaska), ed inviò un telegramma che
annunciava il suo successo. La sua rotta tuttavia non era pratica dal
punto di vista commerciale: in aggiunta al tempo che occorreva, alcune
delle sue acque erano troppo poco profonde.
Il primo passaggio in una sola stagione venne effettuato nel 1944,
quando la St. Roch, un veliero della Reale Polizia canadese, riuscì
nell‟impresa.
A causa della densità del ghiaccio, attualmente le navi tradizionali non
possono percorrere la tratta senza l‟assistenza di un rompighiaccio. Le
cose però, sono destinate a cambiare nel corso dei prossimi anni e già
nel settembre 2009 si sono avute le prime avvisaglie.
L‟11 settembre dello stesso anno il quotidiano statunitense New York
Times ha dedicato grande spazio alla storica traversata dell'Artico com-
piuta in quei giorni da due cargo tedeschi della Beluga Shipping Com-
pany di Brema, partiti dalla Corea del Sud alla volta dell‟Olanda.
L‟articolo del giornale USA dal titolo “Dall’Asia all’Europa tramite il
passaggio a Nord-Est”, rammentava che quella che per secoli è apparsa
come un‟impresa impossibile, è ora diventata realtà, complici il riscal-
damento globale e lo scioglimento dei ghiacci.
Le due navi da trasporto hanno percorso per la prima volta la rotta che
attraversa l‟Oceano Artico lungo le coste siberiane, da sempre ritenuta
impraticabile perché ricoperta perennemente dal ghiaccio.
79
Negli ultimi anni, gli esperti di navigazione avevano notato l‟apertura di
un varco e proprio da quel corridoio di mare sono passati i due cargo
Fraternity e Foresight, previo permesso delle autorità russe. Le due
navi con un dislocamento di 12.000 tonnellate, al comando rispetti-
vamente del capitano Aleksander Antonov e del capitano Valerij Durov,
sono salpate dal porto russo di Vladivostok, dirette verso lo stretto di
Bering, per l‟ultima tratta del loro viaggio. Levata l‟ancora il 23 luglio
2009 dal porto sudcoreano di Ulsan, i due cargo hanno atteso nel porto
russo di Vladivostock il via libera delle autorità russe per quasi quattro
settimane. Finalmente dopo un viaggio di trentadue giorni hanno raggi-
unto il porto di Rotterdam nel settembre successivo, accorciando il
viaggio da Oriente ad Occidente di ventitre giorni e risparmiando ris-
petto alle rotte tradizionali circa duecento tonnellate di carburante.
Già durante l‟estate 2008 la Beluga, osservando le foto da satellite che
dimostravano l'assenza di ghiacci sulla rotta, avevano chiesto alla Rus-
sia i permessi di transito, ma Mosca aveva tardato e gli unici due mesi
disponibili prima del ritorno del freddo (agosto e settembre) erano
trascorsi senza alcun risultato. L‟anno dopo la compagnia tedesca si è
mossa in anticipo e ha ottenuto la concessione al transito in tempo utile.
Dalla Corea del Sud all‟Olanda, il passaggio a Nord-Est consente un
risparmio di 3.000 miglia marine, rispetto alla rotta che passa per il Ca-
nale di Suez e di 5.000, rispetto a quella attraverso il Canale di Panama.
Per la prima volta nella storia della marina commerciale moderna si è
avuta la possibilità di solcare contemporaneamente il Passaggio a Nord-
Ovest (nell‟Artico canadese), e quello a Nord-Est (Siberia.
La compagnia Beluga ha una tradizione di innovazione nel campo della
navigazione commerciale. Nel dicembre 2007, infatti, la Beluga Skysail
è stata la prima nave da trasporto dotata di un aquilone di 160 metri
quadri che ha permesso un risparmio del 20% sul carburante, pari a
mille dollari al giorno in meno dei costi di combustibile.
Nel quadro della nuova strategia di sicurezza nazionale russa prevista
fino al 2020 la Russia sta preparando una normativa ad hoc per il Pas-
saggio a Nord-Est. A questo riguardo, infatti, il 13 febbraio 2009, il re-
sponsabile russo per le questioni dell‟Artico e dell‟Antartico, e noto
esploratore Artur Chilingarov, ha reso noto che la Duma ha allo studio
una nuova legge federale per regolare il passaggio delle navi lungo la
80
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

Northern Sea Route. La legislazione permetterà anche di determinare le


frontiere esterne della navigazione marittima e formalizzerà lo status
della tratta come la rotta per il trasporto nazionale della Federazione
nell‟Artico. La legge proibirà rigorosamente anche lo scarico di
sostanze dannose per l‟ambiente. Un gruppo di ispettori saranno abilitati
alla eventuale espulsione delle navi dalla rotta, nel caso in cui quest‟ul-
time non dovessero attenersi alle norme stabilite dalla nuova normativa.
E che Mosca sia pronta a mettere in atto i suoi progetti è dimostrato
dalla notizia resa nota il 26 dicembre 2009 che, la più grande com-
pagnia di spedizioni russa la Sovcomflot, inizierà ad inviare per mare,
nel periodo estivo, il petrolio e il gas della Federazione verso l‟Oriente.
La decisione è stata presa durante un incontro fra il Primo Ministro
Putin ed il responsabile della compagnia, Sergej Frank. Quest‟ultimo ha
precisato che la Sovcomflot sta progettando l‟invio di bastimenti carichi
di idrocarburi russi proprio lungo il Passaggio a Nord-Est (Northern Sea
Route), dall‟Oceano Atlantico al Pacifico, attraversando l‟Artico. Tutta-
via Mosca, per realizzare tutto questo, dovrà modernizzare non solo,
come abbiamo visto, i suoi rompighiaccio nucleari, ma anche i suoi
porti artici. Un problema segnalato di recente dal Primo Vicepremier,
Sergej Ivanov, che ha sottolineato l‟importanza di collegare in modo
efficace gli scali marittimi russi ai centri di produzione, “ad eccezione
di quelli di Murmansk, Pecenga e Salekhard” che già lo sono, gl‟altri
porti della Federazione non sono infatti collegati via treno o tramite una
condotta petrolifera con altri porti o con il resto della Russia.

81
La Northern Sea Route e la rotta marittima classica Oriente-Occidente
Capitolo IX

Risorse energetiche e compagnie petrolifere

Lo sfruttamento delle risorse energetiche della regione artica è un‟op-


erazione molto difficile da realizzare a causa delle caratteristiche cli-
matiche ed ambientali. Non sono in molti coloro che possiedono le
competenze tecnologiche e l‟esperienza necessaria per estrarre idrocar-
buri dai fondali marini della piattaforma artica.
I colossi statali dell‟energia russa Gazprom e Rosneft, ad esempio,
hanno un‟esperienza limitata riguardo ad operazioni così complesse.
La compagnia norvegese StatoilHydro possiede al contrario le capacità
e le tecnologie necessarie. La StatoilHydro ha dimostrato di saper effet-
tuare con successo trivellazioni in condizioni climatiche ed ambientali
estremamente rigide, nella fattispecie per lo sfruttamento del giacimento
di Snøhvit nel Mare di Barents.
In aggiunta alla compagnie norvegesi, potrebbero beneficiare dello
sviluppo delle risorse energetiche artiche anche le multinazionali anglo-
americane del petrolio e del gas, come la statunitense Exxon e la britan-
nica British Petroleum. Ma le tensioni fra Stati Uniti e Gran Bretagna da
una parte e Russia dall‟altra per le ingerenze politiche di Washington e
Londra nella sfera d‟influenza russa, non giocano a loro favore. Tanto
che già durante la presidenza Putin il Cremlino ha voluto riportare il
controllo dello Stato sulle compagnie e sulle risorse energetiche, in con-
trapposizione con le scelte dell‟era Eltsin, quando quest‟ultimo negli
Anni „90 portò avanti una politica di svendita totale a beneficio delle
multinazionali straniere delle proprietà statali ex sovietiche.
Dopo oltre dieci anni di difficili trattative, nel 2007, comunque il co-
losso russo del gas ha raggiunto un accordo con la francese Total, che è
divenuta partner strategico di Gazprom per lo sviluppo del gigantesco
giacimento di Shtokman, nel Mare di Barents, contenente 3.700-3.900
miliardi di metri cubi di gas naturale. Total controllerà il 25% della
nuova società russo-francese che sarà costituita a hoc per progettare,
costruire e finanziare il progetto ed alla quale apparteranno le infrastrut-

83
ture produttive del sito, mentre la licenza operativa più il metano pro-
dotto a Shtokman rimarranno in mano a un‟altra sussidiaria, di cui Gaz-
prom controllerà il 100 per cento.
La compagnia di Stato russa ha raggiunto poi un accordo con la
norvegese StatoilHydro, che ha ottenuto il 24% della società russo-
francese, attingendo alle quote di Gazprom, che si riserverebbe comun-
que il 51 per cento dei profitti. L‟intesa raggiunta con la società
norvegese per sviluppare il gigantesco giacimento ha assunto chiara-
mente connotazioni strategiche e politiche.
Dopo la firma dell‟accordo l‟ex presidente Putin aveva telefonato all‟al-
lora Primo Ministro norvegese Stoltenberg, sottolineando che la coop-
erazione generale russo-norvegese aveva ricevuto un impulso dalla col-
laborazione congiunta a Shtokman. Gli interessi energetici fra Mosca e
Oslo sono infatti molto forti. Ma si è tentato anche di stabilire degli ac-
cordi con la Norvegia sulle rivendicazioni territoriali. Putin ha firmato
una legge che ratifica un trattato con Oslo, in grado di stabilire i limiti
esterni del fiordo norvegese di Varanger. Tuttavia per risolvere la con-
tesa sui 155 mila chilometri quadrati della zona del Mare di Barents è
necessario un accordo definitivo non ancora sviluppato. L‟area contesa,
ricca di idrocarburi, si trova ad occidente del giacimento di Shtokman.
La prima fase del progetto Shtokman richiederà investimenti compresi
tra 15 e 18 miliardi di dollari: la quota di Total sarebbe di 3-4,5 miliardi.
La produzione di gas, che la Russia vuole utilizzare per potenziare le
proprie esportazioni di energia verso l‟Europa (è in corso la costruzione
di un nuovo gasdotto nel Baltico tra Russia e Germania), comincerà nel
2013, mentre l‟anno dopo sarà avviata la produzione del gas naturale
liquefatto, destinato in prevalenza al mercato americano.
L‟accordo tra Total e Gazprom è stato firmato a Mosca il 13 giugno
2007. Per gli analisti, la scelta di Total, finora considerata un outsider
del settore energetico russo, rappresenterebbe una mossa politica del
Cremlino, che in questo modo cercherebbe di consolidare le relazioni
con Parigi in funzione anti-anglosassone.
Quello di Shtokman è considerato il più grande giacimento di gas del
Mondo: le sue riserve sarebbero sufficienti a soddisfare l‟intero fabbi-
sogno mondiale per più di un anno, con una riserva di gas naturale valu-
tata in 3,8 trilioni di metri cubi.
84
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

L‟apertura del giacimento potrebbe costare complessivamente trenta


miliardi di dollari di cui il 70 per cento sarà finanziato tramite crediti.
Secondo i piani, nel 2020, il campo Shtokman dovrebbe fornire l‟undici
per cento della produzione complessiva di Gazprom.
Inizialmente è prevista un‟estrazione annuale di 23,7 miliardi di metri
cubi di gas naturale che dopo potrebbe raggiungere persino il triplo. Gli
esperti stimano che il campo potrà fornire gas per almeno 50 anni.
Il governo russo intende, comunque, esportare gran parte di questo gas
in Europa, attraverso il gasdotto Nord Stream e ha avanzato l‟ipotesi di
poterne esportare una parte come gas liquido naturale (Gnl).
Gazprom ha dichiarato che meno del 5% della piattaforma artica è stata
esplorata ed è certa che vi saranno nuove importanti scoperte. Infatti,
lungo le coste settentrionali russe sono stati individuati molti giacimenti
di gas: a Severo-Kildin, Murmansk e Ponor nel Mare di Barents, Rusa-
nov e Leningrad in quello di Kara, ad occidente della Penisola di Jamal,
nella Siberia occidentale.
Nel 2009 il Ministero delle Risorse Naturali russo ha stimato in 418
milioni di tonnellate i depositi di petrolio già esplorati e 9,24 miliardi
per quelli da esplorare. Per il gas invece le cifre sono rispettivamente di
7,7 milioni di metri cubi già scoperti e di 88,3 stimati in giacimenti an-
cora da esplorare. Purtroppo i costi per sfruttare i giacimenti, per le
condizioni estreme del clima e la profondità di trivellazione, sono an-
cora elevatissimi.
La stessa Gazprom ha giudicato che i costi di produzione di mille metri
cubi di gas estratto nel bacino della Penisola di Jamal sono di circa 91
dollari, rispetto ai 7-10 dollari necessari per estrarne dai giacimenti
classici.
Il 15 ottobre 2009 anche la compagnia petrolifera di stato russa Rosneft,
ha reso noto il suo programma per l‟utilizzo di almeno trenta depositi
offshore di oro nero dell‟Artico. A comunicarlo, durante il primo forum
economico internazionale tenutosi nella città di Murmansk, è stato il
presidente di Rosneft, Sergej Bogdanchikov, che ha sottolineato come
nell‟Artico vi siano riserve di petrolio pari a 18 miliardi di tonnellate.
Bogdanchikov non ha mancato, però di citare un rapporto del Ministero
delle Risorse naturali in cui sono riportate le stime per i costi di esplora-
zione della regione artica equivalenti a circa 9-9,5 trilioni di rubli (pari a
85
307-324 miliardi di dollari).
Rosneft ha in programma di produrre 80-100 milioni di barili di petrolio
dall‟enorme giacimento di Vankor (Siberia orientale), dal 2010. Lo
sfruttamento poi dei giacimenti della Penisola di Jamal permetterà alla
Russia di imporsi sui mercati del gas di Nord America, Asia e Pacifico,
nonché nel BRIC (Brasile, Russia, India e Cina).
Le dorsali sottomarine di Lomossov e Mendeleev potrebbero essere ric-
che di minerali, ma la grande attrattiva è costituita dai giacimenti di gas
idrato che si troverebbero tra i sedimenti marini della piattaforma conti-
nentale nella pianura abissale rivendicata dalla Federazione e nei bacini
Podvodnikov e Makarov.
Il gas idrato è un gas che in natura si presenta in forma solida. Si ritiene
che la sua concentrazione sia tremila volte superiore a quella del metano
nell‟atmosfera. E benché non venga ancora estratto si ritiene probabile
che in futuro questo gas divenga un‟importante fonte di combustibile.
Le rivendicazioni russe comprendono, comunque anche la parte più
vasta del bacino sommerso Fram, che si trova tra la Dorsale di Gakkel e
quella di Lomonosov, ed è il più profondo dell‟Artico.
In diverse regioni dell'Artide russo l'industria mineraria occupa un posto
di rilievo. In Siberia si estraggono nichel, minerali ferrosi ed apatite
nella Penisola di Kola, mentre nella valle del fiume Lena si sfruttano le
miniere di diamanti.
Dagli Anni Sessanta nella Siberia nordoccidentale e nei pressi di Jakuck
sono stati aperti vasti giacimenti di petrolio e gas naturale. Fra gli altri
principali prodotti delle miniere artiche della Russia si annoverano oro,
stagno, mica, carbone e tungsteno.
La Svezia anche ha cominciato a estrarre minerali ferrosi a Kiruna e in
altre zone a nord del Circolo polare fin dall‟inizio del XX secolo, men-
tre la Norvegia possiede un'importante miniera di ferro a Kirkenes, sulle
coste settentrionali del Paese. In Groenlandia si estraggono piombo,
zinco e molibdeno; in passato grandi quantità di criolite provenivano
dalle miniere di Ivigtut.
Nell‟Isola di Spitzbergen, una delle principali dell‟Arcipelago delle
Svalbard, vi sono numerose miniere di carbone.
L'industria mineraria canadese produce, invece, uranio, rame, nichel,
zinco, piombo, amianto, minerali ferrosi, petrolio e gas naturale.
86
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

L‟estrazione di petrolio su larga scala lungo le pendici


La parte occidentale dell‟Artico russo è considerata una delle aree più
importanti nell‟ambito dell‟industria estrattiva di idrocarburi, con i suoi
8,2 miliardi di tonnellate di petrolio e gas.
Nel Mare di Barents, all‟interno dell‟area sotto la sovranità russa, sono
siti oltre al giacimento di Shtokman (32.000 miliardi di metri cubi di
gas naturale e 31 milioni di tonnellate di gas condensato), anche i pozzi
petroliferi di Prirazlomnoye (610 milioni di barili). Entrambi sono con-
trollati dalla compagnia di Stato russa Gazprom.
Anche nel bacino di Kara, sempre in quest‟area, la Russia detiene im-
portanti riserve energetiche, probabilmente anche superiori a quelle di
Shtokman. Nei prossimi decenni, la produzione di petrolio e gas in
queste zone dovrebbe superare quella delle regioni russe storicamente
attive nell‟estrazione degli idrocarburi, ma ora in forte declino, come
quella del Volga o la zona degli Urali.
Ad ogni modo, nonostante le potenzialità appena descritte, il bacino
Timan-Pechora è attualmente l‟unica porzione del Mare di Barents nella
quale i russi stanno effettivamente ad oggi estraendo petrolio e gas.
Anche la zona orientale dell‟Artico russo potrebbe contenere alcuni gia-
cimenti sottomarini importanti, soprattutto nel Mare di Laptev, ma i dati
geologici a riguardo sono ancora scarsi.
Nonostante le difficoltà tecniche ed economiche, queste ultime dovute
alla crisi globale, il governo russo ha fatto sapere, comunque che, in
accordo con la società Gazprom, sta progettando uno sfruttamento inte-
grale del Mare Artico con l‟impiego di una serie di piattaforme in grado
di montare delle centrali nucleari off-shore, che permetteranno alla
compagnia di stato di sfruttare anche i giacimenti più remoti tra il Mare
di Barents e quello di Kara. Un prototipo di queste centrali, su un totale
di quattro da realizzare, dovrebbe essere pronto già per il 2010
Il gas sarà raccolto poi su una piattaforma, la cosiddetta “floating pro-
duction unit”, progettata dall‟azienda francese Doris, la quale in caso di
emergenza, può essere staccata dall‟impianto d‟estrazione, che rimane
sott‟acqua e mettersi al riparo quando è minacciata, ad esempio, da
qualche iceberg.
Sono allo studio anche degli speciali sottomarini capaci di estrarre
petrolio e gas ed un prototipo sarebbe già in costruzione nel cantiere di
87
Severodvinsk SevMash (Mar Bianco), con l‟obiettivo di essere comple-
tato entro il 2010.
Attualmente, il petrolio estratto da giacimenti sottomarini rappresenta
solo lo 0,5% della produzione interna complessiva di greggio della Rus-
sia. Entro il 2020, però la Federazione ha intenzione di incrementare
l‟output di petrolio e gas naturale estratti dai fondali marini, sino a rag-
giungere il 20% della produzione interna totale.
L‟Artico giocherà un ruolo chiave in questa strategia, sempre che la
Russia riesca effettivamente a portare avanti i progetti di estrazione
nell‟area. Per fare ciò Mosca dovrà risolvere una serie di ostacoli. In
primis vi è il problema della scarsità dei dati geologici raccolti dal gov-
erno russo sulla regione artica. Dopo il collasso dell‟Unione Sovietica
nel 1991-92, infatti, la Russia ha sospeso i fondi per le esplorazioni ge-
ologiche. La decisione presa dal Cremlino ha avuto conseguenze pesanti
sull‟industria energetica russa, tanto che agli inizi del 2007 la porzione
dell‟Artico sotto il controllo russo possedeva soltanto 58 pozzi di trivel-
lazione rispetto ai 1.500 dei norvegesi nello stesso settore.
Un altro problema che la Russia deve assolutamente affrontare è quello
di carattere tecnologico ed infrastrutturale al quale una risposta potrebbe
essere quella dell‟apertura a joint venture con compagnie straniere,
come nel caso di quella realizzata per Shtokman.
Entro il 2020, secondo le stime di Rosneft, i progetti già avviati per lo
sfruttamento di giacimenti sottomarini richiederanno ben quarantanove
piattaforme.
Un ulteriore ostacolo che la Russia dovrà superare è quello economico.
I costi necessari allo sviluppo dei progetti di sfruttamento delle riserve
di idrocarburi, sia continentali che sottomarine, sono infatti particolar-
mente alti, benché alcuni esperti valutino il potenziale di risorse artiche
russo in circa 7.000 miliardi di dollari.
Ad ogni modo queste stime si basano sui prezzi attuali di petrolio e gas
naturale. In questo senso il futuro dello sfruttamento delle risorse ener-
getiche nell‟area sarà determinato dalle dinamiche dei prezzi degli idro-
carburi nei prossimi vent‟anni.

88
Appendice

Caratterizzazione geografica e storica

L‟Artico o Artide è la regione del Globo circostante il Polo Nord. Esso


comprende l‟Oceano Artico e lambisce le aree estreme del Continente
euro-asiatico e dell‟America settentrionale, investendo direttamente,
Russia, Norvegia (Svalbard), Canada, Stati Uniti (Alaska), Danimarca
(Groenlandia, che ha acquisito di recente con un referendum una
maggiore autonomia da Copenaghen), Svezia, Finlandia ed Islanda.
Al contrario dell‟Antartico, un continente circondato da mari e oceani,
l‟Artico o più esattamente l‟Oceano Artico è una distesa di acqua e
ghiacci circondata da terre che ha evidenti analogie con il Mar Mediter-
raneo. La definizione “Artico Mediterraneo” o “Mediterraneo polare”
attribuita all‟Artico venne originariamente utilizzata dall‟esploratore
canadese Vilhjalmur Stefansson (1879-1962).
L‟isoterma di 10°C (50°F) di luglio è considerata il confine di questa
regione. Ad eccezione delle aree continentali e delle numerose isole,
l‟Artico è essenzialmente un oceano di 14.090 milioni di chilometri
quadrati di estensione, sopra il quale galleggia una massa di ghiaccio
con uno spessore medio di tre metri, formatasi a causa delle basse tem-
perature che provocano il congelamento delle acque marine superficiali.
Il Mare Glaciale Artico è un mare situato interamente nella regione del
Polo Nord. Quasi racchiuso dalla terraferma, questo Mare è circondato
dalle terre di Europa, Asia, Nordamerica e Groenlandia (per un totale di
45.389 km di linee di costa), e da numerose isole. Ai suoi bordi si tro-
vano alcuni mari periferici: Mare di Barents, Mare di Beaufort, Mare
dei Chukchi, Mare di Kara, Mare di Laptev, Mare Siberiano Orientale,
Mare di Lincoln, Mare di Wandel, Mare di Groenlandia, e il Mare di
Norvegia.
Il clima del Polo si caratterizza per le temperature estremamente basse e
per la loro durata. Le stagioni si riducono a un lungo inverno glaciale
durante il quale la luce è assente, con la presenza di venti che possono
essere di forte intensità (venti catabatici) e favorire così l‟abbassamento

89
ulteriore delle temperature. Quest‟ultime variano da una zona all‟altra e
sono variazioni dovute principalmente alla presenza del mare. La tem-
peratura media durante l‟inverno è di -33 ˚C sulla calotta glaciale della
Groenlandia, mentre sulle coste vicine raggiunge i -7 ˚C.
Le regioni più fredde sono situate nella Siberia Nord-orientale. Le pre-
cipitazioni sono piuttosto flebili e inferiori ai 250 mm l‟anno. La ban-
chisa con gli iceberg costituisce un ostacolo importante per la navigazi-
one sul Mare Artico e rappresenta l‟insieme dei ghiacci della regione
polare frutto del congelamento delle acque del mare.
Una dorsale sottomarina, la Dorsale di Lomonosov, divide il Mare Gla-
ciale Artico in due bacini: quello Euroasiatico (o di Nansen), che è pro-
fondo da 4.000 a 5.450 metri, e quello Nordamericano, profondo circa
4.000 metri. La topografia del fondo oceanico è segnata da dorsali, pi-
anure abissali, fosse e bacini.
Nella terminologia geografica inglese e russa, questo Mare viene con-
siderato come un oceano (Oceano Artico).
I porti principali di questo Mare sono le città russe di Murmansk e Ar-
changel‟sk (Arcangelo) in Russia, Churchill in Canada, e Prudhoe Bay
in Alaska (USA).
La navigazione spesso è possibile solo d'estate, quando il ghiaccio las-
cia libera una parte dell'acqua.
Il ghiaccio copre la maggior parte della superficie del Mare per tutto
l‟anno, e di conseguenza le temperature sono sottozero per la maggior
parte del tempo. L‟Artico è una grande sorgente di aria fredda che si
muove verso l‟equatore, incontrando nel suo passaggio aria più calda
alle medie latitudini e provocando piogge e nevicate. La sua posizione
polare fa sì che l'inverno sia lungo e per la maggior parte nell'oscurità.
In tale periodo, il tempo è freddo stabile e il cielo generalmente pulito.
In estate, la notte si riduce quasi a zero, ma la maggiore radiazione so-
lare non fa alzare di molto le temperature. Il tempo è nebbioso, con de-
boli cicloni che portano pioggia e neve.
Le profondità marine pari a -4.000 metri sono meno estese di quanto si
credeva un tempo, poiché non ricoprono che un quarto della superficie
totale. È stato dimostrato infatti, da ricerche sovietiche, che le depres-
sioni citate sono presenti soltanto in due grandi bacini separati da una
stretta dorsale (dorsale di Lomonosov), che si allunga dalle isole della
90
Andrea Perrone - Arktika. La sfida dell’Artico

Nuova Siberia fino alla Terra di Ellesmere, a profondità comprese fra i -


950 metri e i -1.500 circa. La piattaforma continentale, in cui la profon-
dità è inferiore ai -200 metri, si estende al largo della Scandinavia e
della Russia, ed è molto più stretta ai bordi del continente americano.
I fondali più bassi dell‟Artico si trovano in corrispondenza della vasta
estensione della piattaforma continentale lungo le coste siberiane e
scandinave. Il punto più profondo misura 5.450 metri.
Lungo i Continenti il Mar Glaciale Artico si suddivide in un certo nu-
mero di mari secondari, più o meno separati dagli arcipelaghi costieri:
Mar di Groenlandia, fra la Groenlandia e lo Spitzbergen (o Svalbard);
Mar di Barents, fra le Spitzbergen e la Nuova Zemlja; Mar di Kara, fra
la Nuova Zemlja e la Penisola di Tajmyr; Mar dei Laptev, al largo del
delta del fiume Lena; Mare della Siberia orientale, al di là delle isole
della Nuova Siberia; Mare di Chukchi, a nord dello Stretto di Bering;
Mare di Beaufort, infine, a largo dell‟Alaska e del delta del fiume
Mackenzie.
Da sempre scarsamente popolato, l‟Artide non è mai stato sotto il
dominio politico di alcuna nazione, nonostante siano numerosi i Paesi
che rivendicano la sovranità su parte di esso.
L‟interesse per quest‟area infatti, inizialmente solo scientifico e
geografico, è cresciuto gradualmente durante il XX secolo ed in ma-
niera esponenziale nel corso della Guerra Fredda, divenendo nel frat-
tempo anche strategico ed economico.
La prima spedizione artica ufficiale, intrapresa nel 1881-82, fu organiz-
zata nell‟ambito del primo Anno Polare Internazionale, sotto il comando
del luogotenente Adolphus W. Greely.
Un altro esploratore, l‟americano Robert Edwin Peary, fu il primo uomo
a raggiungere il Polo Nord, con slitte trainate da cani nel 1909.
Quattro scienziati sovietici poi, guidati da Ivan Dmitrjevi Papanin, nel
1937, dopo aver stabilito una base di ricerca su una piattaforma di
ghiaccio staccatasi dalla banchisa, raggiunsero anch‟essi il Polo, seguiti
da un‟altra missione sovietica nel 1940 realizzata con la nave rom-
pighiaccio Sedov.
L‟importanza militare dell‟Artico si è rivelata nel corso della Seconda
Guerra Mondiale. Fra il 1941 e il 1944 la rotta artica fu la via più breve
per i rifornimenti di materiale bellico anglo-statunitense all‟Unione So-
91
vietica. L‟organizzazione dei quaranta convogli che partirono dall‟Is-
landa o dalla Scozia per Murmansk e Arcangelo, assunse il carattere di
una vera operazione bellica. Alcuni subirono perdite consistenti per op-
era della marina e dell‟aviazione tedesca con base in Norvegia, in parti-
colare nel 1942.
In totale dal 1941 al 1945, 775 navi (78 delle quali colate a picco)
trasportarono attraverso la rotta artica 4.300.000 tonnellate di materiale
bellico (su un totale di 17.000.000 di tonnellate di rifornimenti alleati
all‟URSS.
I dubbi sul carattere di “spazio oceanico” dell‟Artico furono definiti-
vamente fugati a partire dal 1958, quando il sottomarino nucleare statu-
nitense Nautilus, a propulsione nucleare, navigò per primo sotto l‟O-
ceano Artico dallo stretto di Bering all‟Islanda, passando sotto il Polo
Nord in circa dieci giorni. Tra il 1957 e il 1958 le attività di cooperazi-
one scientifica nelle regioni artiche aumentarono in misura notevole in
occasione dell‟Anno Geofisico Internazionale.
Con la fine della Guerra Fredda le rivendicazioni sull‟Artico sembra-
vano destinate ad allentarsi per lasciare spazio ad un graduale processo
di cooperazione ed alla formazione di istituzioni comuni per il controllo
dell‟area. In questi ultimi anni invece, per le motivazioni precedente-
mente elencate, in questa zona del Pianeta sono riprese in maniera sem-
pre più decisa nuove tensioni internazionali che forse nei prossimi anni
sfoceranno, per l‟importanza della posta in gioco, probabilmente, in veri
e propri confronti armati.

92
Indice

Prefazione pag. 5

Introduzione 9

Capitolo I
Il surriscaldamento globale e le sue conseguenze sull‟Artico 17

Capitolo II
La Russia rivendica i suoi diritti sul Polo 23

Capitolo III
Il regime giuridico dell'Artico e la Convenzione di Montego Bay 31

Capitolo IV
I protagonisti della contesa e le reazioni alla spedizione russa 39

Capitolo V
Le controversie territoriali aperte 49

Capitolo VI
Le prospettive strategiche della NATO e la Base di Thule 59

Capitolo VII
L‟Artico e le istituzioni internazionali 71

Capitolo VIII
I nuovi flussi commerciali attraverso l'Oceano Artico 77

Capitolo IX
Risorse energetiche e compagnie petrolifere 83

Appendice 89

93
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Nella stessa collana:

Luca Donadei - Europa a mano armata, 2^ Ed.

Alessandro Lattanzio - Potere globale

Alessandro Lattanzio - Atomo rosso

Gianluca Ansalone - Vent’anni senza Muro

Fabrizio Di Ernesto - Portaerei Italia, 2^ Ed.

Antonio Grego - Figlie della stessa lupa

M. Alberizzi, C. Biffani e G. Olimpio - Bandits

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