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sviluppo sostenibile.
a cura di
Marta Costantini
Codice Forestale camaldolese
Prefazione
La Eremiticae Vitae Regula a Beato Romualdo Camaldulensibus Eremitis tradita, fu scritta
da Dom Paolo Giustiniani nel 1520 e stampata in Camaldoli. Nel 1575 Dom Silvano Razzi la
traduce dal latino alla lingua toscana, ed è proprio da La regola della vita eremitica stata data
dal beato Romualdo à i suoi Camaldolensi Eremiti. O vero le Constituzioni Camadolensi che
vengono ripresi alcuni dei passi più significati ed emblematici del profondo rapporto di
comunione che i monaci camaldolesi hanno intrattenuto con la Natura, e in particolare con le
foreste appenniniche.
Oltre alle regole caratterizzanti la vita quotidiana dei monaci-eremiti di san Romualdo,
nei 57 capitoli della regola ritroviamo, infatti, lo spirito e il rapporto di comunione con la
Natura, “intenta a raggiungere il proprio compimento armonico con l'Uomo e per mezzo
dell'Uomo”, secondo il piano salvifico delle Scritture giudaico-cristiane. In questa Regola in
particolare, come in quelle che l’hanno preceduta e seguita, tornano con insistenza le parole
“custodire e coltivare1”, termini che oggi acquistano una fondamentale attualità nei principi di
gestione forestale sostenibile e più in generale nel concetto di sviluppo sostenibile. Queste due
parole sono le stesse con le quali nel libro della Genesi il Creatore affida all'Uomo la Terra, e
riemerge così la dimensione biblica del progetto divino da realizzare in armonia con tutta la
Creazione. L'armonia ricercata come comunione si evidenzia anche in questo pensare alla
natura, e in particolare alla foresta, non come a qualcosa “in più” a cui provvedere, bensì a una
realtà con cui vivere e realizzare il proprio percorso spirituale. I monaci, generazione dopo
generazione, garantivano la vita alla foresta che garantiva a loro il silenzio, quel silenzio di cui
avevano vitale bisogno per poter ascoltare la voce di Dio e degli uomini, e della storia che
andavano scrivendo insieme in una sorta di compiaciuta reciprocità.
La custodia della foresta diventa ineludibile dei doveri del monaco e la Regola del
Giustiniani del 1520 offre la possibilità di cogliere gli aspetti normativi, i lineamenti
selviculturali e i caratteri spirituali di una gestione forestale e del territorio che non solo
appare alquanto significativa, ma pure di estrema attualità.
1
Cfr. Genesi Cap. 2,15.
Sommario
L’occupazione nelle cose temporali non deve distogliere il monaco dall’osservanza della salmodia.
............................................................................................................................................................ 27
Cap. 21- Della privata, cotidiana Salmodia degl’Eremiti. .............................................................. 27
Il lavoro deve rispettare le feste religiose ......................................................................................... 28
A proposito delle varie forme di digiuno e astinenza che devono osservare gli eremiti quando
lavorano. ............................................................................................................................................ 29
Cap. 32 - Della Quinta, et ultima forma del Digiuno, et Astinenza, la quale secondo la
consuetudine del presente tempo, hanno da osservare gl’Eremiti. .............................................. 29
Metafore usate nella Regola in cui si parla di piante......................................................................... 30
Cap. 43- Quale debba essere il Priore dell’Eremo, ò vero Maggiore. ............................................ 30
Cap. 50 - Qualmente à gl’Eremiti siano ministrate tutte le cose all’humana vita necessarie. ...... 30
p. 12:
E parimente fu egli (San Romualdo) il primo, che instituisse questa, che habbiam detto,
ammirabile sorte di Eremiti (la quale non si legge essere stata innanzi) nelle parti di Toscana,
nella più alta cima dell’Apennino, e infra selve altissime di sempre verdi Abeti: cioè nella sacra
Eremo Camaldolense. La dove si vede essere durata, in un modo medesimo, cinquecento anni,
o piu, per dono di Dio, & mediante le preci del beato institutore, l’osservanza della stretta vita
Eremitica.
edificij, ò per più larga osservanza di vita, alla forma, che hanno i Monasterij. Possono bene i
Padri, quando paia opportuno, ò necessario alla maggior parte de’ Romiti in quella parte
dell’Eremo, dove anco al presente sono congiunte più comuni officine insieme; far dell’altre
habitazioni, & officine quante vogliono, similmente comuni, ma sotto un medesimo tetto, per
uso degl’hospiti religiosi, ò di coloro, che stanno à i luoghi pertinenti all’Eremo. Ma in altra
parte dell’Eremo non si presuma di ciò fare in modo nessuno giamai. Procurino anco i Padri,
per conservazione della solitudine, & quiete dell’Eremo, che il Portinaio custodisca in modo, e
tenga sempre chiusa la porta, che non mai, se non quanto la necessità ne sforza, sia trovata
aperta. Et accioche non paia cosa infruttuosa chiudere da una parte il luogo, mentre da tutte
l’altre si può avere apertissima l’entrata; ricordinsi di mettere ogni possibile cura, e diligenza,
& di fare ogni opera, che quanto prima si potrà comodamente, si racchiuda, & si serri l’Eremo
intorno intorno, & insieme la Corona de gl’Abeti, con un muro conveniente; lasciando uno, ò
due luoghi aperti, con le sue porte, per l’occorrenze, & servizij dell’Eremo. Et in tanto sia
conservata, come sta hora, con un forte, & stabile chiuso, ò vero steccata di legname. E
similmente gl’orti delle Celle, nelle quali stanno alcuni Padri Rinchiusi, à i quali è necessaria
una profondissima solitudine, & molto più che à gl’aperti, quanto prima si può, siano
circondati di muro: accioche niuno, quando il Rinchiuso si sta alcuna volta per lo suo orticello,
si possa accostare, ne perturbare la di lui solitudine.
Sul valore del lavoro e sul ruolo sociale dell’operare con le mani
Cap. 35 - Dell’opera necessaria delle mani.
p. 155:
L’Operare, con le mani, tenendo silenzio; secondo l’ammonimento dell’Apostolo, se non ad
acquistarsi il vitto; a fuggire l’ociosità, che alla salute dell’anime è nimica; & à conservare
l’humilità, che è radice di tutte le virtù; quanto sia à tutti i Monaci, & particolarmente à
gl’Eremiti, i quali si sono appresi à piu stretto proposito di vita, non utile solamente, ma
necessario; ce l’insegna, & la Regola del beato Padre Benedetto, & ne ammaestra l’autorità del
santissimo dottore Agostino. Il quale contra il perverso dogma di certi Monaci, i quali
affermavano non convenirsi à i religiosi operare con le mani, scrisse un’operetta, veramente
d’oro, il cui titolo è, De opere Monachorum.
pp. 157, 158:
Ne anche opera alcuna fatta per mano de gl’Eremiti, si può vendere. Conciosia, che per antiche
Constituzioni è prohibito scrivere libri, ò vero fare quale altra si voglia cosa per prezzo. Ma è
ben vero che si permette tanto à gl’aperti, quanto à i rinchiusi Eremiti, come cosa solita farsi
sempre nell’Eremo, fare di que’ segnacoli, i quali usano di adoperare coloro, che dicono un
certo numero di orazioni del Signore, ò salutazioni Angeliche; la quale sorte d’orazioni
chiamano Corona del Signore, ò vero della Vergine: ma con questo però, che ciascuno sia
tenuto tutte le Corone simili, che farà, quantunque siano (eccetto tre, ò quattro, le quali egli
steso possa havere per se) non appresso di se tenerle, ne dare ad alcuno, ò promettere; ma
assegnarle al Maggiore, ò à colui, il quale sarà da esso Maggiore à questo deputato. Di maniera,
che siano, non per mano di coloro, che le fanno, ma del Maggiore solamente, ò del fratello, dal
Maggiore ò ciò deputato, distribuite. La qual cosa si dee intendere in modo, che non solo dare
à gli strani, ne promettere: ma che anche gli sia prohibito poterle donare, ò promettere à
gl’Eremiti stessi. Questo ancora sia diligentemente osservato, che chi fa simili corone non
possa, ne chiedere, ne ricevere, nodi d’Abeti, de i quali si fanno; ne di quegl’instrumenti, con i
quali si lavorano da nessun’altro mai, che dal Maggiore, ò dal fratello à questo deputato: anzi
ne anch’essi fra loro presumano di darsene, ò accomodarsi l’un l’altro, senza licenza del
Maggiore. E se alcuno sarà trovato haver chiesto, ò ricevuto da alcun’altro simili nodi, ò vero
instrumenti: ò vero alcuna cosa, quantunque minima haver dato à coloro, da i quali haveranno
ciò ricevuto, eziando in nome di limosina, nell’avvenire per ispazio d’un anno intero siagli
proibito fare simili corone: & nondimeno sia con debita correzzione punito dal Maggiore. Ma
franno bene à seguitare gl’Eremiti opere piu violi, & piu sbiette, che non sono queste: e quelle
massimamente, che piu riguardano la comune utilità dell’Eremo, e la bellezza.
pp. 158, 159, 160:
La notte ne’ tempi, d’inverno, quando più alte sono cadute le nevi, il Sagrestano, alquanto
innanzi, che con l’usato suono chiami i fratelli alle notturne vigilie, dia cinque tocchi alla
campana: i quali uditi, tre, per ciascuna settimana, deputati Conversi, escano: & in quel
mentre, avanti, che i fratelli vengano alla Chiesa, procurino, quanto possono di nettare, e
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spedire le vie dalle nevi. […] Ne tempi poi di state, tutte le vie. & piazze, & altri comuni luoghi
ò con comune fatica di tutti; ò vero quanto à cascuno distribuirà il Maggiore, s’ingegni di tener
pulito, & nettare. Di maniera, che non si permetta, vi sia niente d’immondo, è disordinato. […]
Non manchino di lavorare gl’orti, ne i quali tutte le cose, che nascono siano per ogni modo
comuni a tutti, ma nondimeno niuno ardisca gettare, ò portare fuori di essi orti, ne pietre, ne
radici, ò altra cosa inutile, ò immonda, nelle vie, ò vero piazze: ma simili cose immonde curino
di portare più tosto fuori dell’Eremo, dove non offendano gl’occhi di chi passando le veggia.
Avvezzinsi gl’Eremiti, e si esercitino in scrivere libri, lavorargli di minio, legargli; tessere
cistelle, panieri, sporte, & piccoli cilicij; far corone del Signore, e della Madonna, & altre opere,
e lavori cosi fatti. A cucire imparino tutti in modo, che ciascuno sappia racconciarsi le cose
vecchie: & quell’arte, che ciascuno sa, quella eserciti, ma sempre con havere prima havuto la
benedizione del Maggiore. E se alcuno sarà dotato di si fatto ingegno, e valetudine, che per
fabricare Celle sappia, & possa fare lo scarpellino, murare, lavorare di legname, & far finestre
di vetro; in quella opera ciascuno si eserciti, & sia adoperato, nella quale massimamente è
perito. E chi non sa nessuna di simili arti esercitare, serva à coloro, che le sanno, & esercitano:
& si occupino in portar pesi, quando di ciò fa bisogno. […] In tutte le cose adunque, nelle quali
possono essi Eremiti operare con le mani, tanto quei, che sono venuti all’Eremo, essendo
nobili, quanto quelli, che vi sono venuti da più bassa, & humile vita, sarà cosa lodevole
(potendosi fare commodamente, ne altro richieggia il bisogno della cosa) che non conducano
altri operarij: ma essi stessi, se possono, à certe hore prescritte, & giorni, operino, & lavorino.
Imperoche, cosi facendo, fuggiranno l’ociosità, & seguiteranno l’humiltà. Et oltre ciò, verranno
a domare con l’assiduità dell’opera, l’insolenza del corpo, ò vero della carne, & piu
conserveranno, e meglio, libero l’Eremo della frequenza de’ secolari.
Cap. 9 – Del conservare interamente il voto della Povertà
pp. 44, 45:
Andando i Romiti à recreazione alle vigne, se recheranno nel tornare, all’Eremo uve, ò altre
frutte, non possano portarle in Cella, per loro proprio uso, ma le portino al Maggiore,
acchioche siano compartite secondo il suo volere, ò date a chi egli comanderà. E ancorche
ciascuno Eremit si lavori da se l’orto della Cella à se deputata, le cose nondimeno tutte, che in
essi orti nasceranno, sieno comuni à tutti: & senza altra licenza possa ciascuno, di qualunque
orto corre di tutte quelle cose, che ha bisogno, servando tuttavia una certa modesta
discrezione.
Cap- 50 – Qualmente à gll’Eremiti siano ministrate tutte le cose all’humana vita
necessarie
pp. 226, 227:
Oltra di questo, procurisi fra l’altre cose, che habbia similmente ciascuna Cella instrumenti da
lavorare gl’orti, da tagliare legne, & altre cose comuni (perche forse esercita alcun’arte) ha
bisogno di alcuni instrumenti per quella, con charità, e diligenza, sia proveduto, che gli habbia.
E tali instrumenti di alcun’arte non sia prohibito portare da una Cella all’altra: ma quelli, che
comunemente à ciascuna Cella sono deputati, niuno ardisca portare da Cella à Cella. Circa i
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quali instrumenti di qualunque arte, accioche al tutto siano comuni, & in uso à tutti
accomodati: & non abbondi uno, & un altro n’habbia mancamento, osservisi in tutto il
trigesimo secondo il Capitolo della regola: & a quelli che (come a suo luogo si è detto) dal
Maggiore, e Capitolo à questo sarà deputato, raccolgasi tutti, e custodisca.
p. 113:
Similmente con quelli, i quali sono occupati in altre opere, massimamente spettanti alla
comune utilità, potrà havendo discrezzione, non di tutti, ma di alcuna parte tal volta
dispensare di detti salmi; ma guardi nondimeno di non indurre dissipazione. […] Ma andando
alcuni fuori dell’Eremo, per alcuna piccola del giorno, ò all’Hospizio di Fonte Buono, ò altrove,
non in tutto sono assoluti dall’obbligazione della consueta Salmodia; ma, ò il tutto adempiano,
ò almeno tanta parte dicano di salmi quanta ne ricerca, secondo il giudicio della loro
coscienza, quella parte del giorno, che dimorano nell’Eremo; se già alcuno per forte in
andando, ò tornando, non fusse troppo affaticato, e stracco.
Cap. 33 - Della Discrezione, et cura, che si de havere verso i deboli; vecchi, stracchi dalle
fatiche, et infermi.
p. 146:
Et à quelli, che, ò vero nell’Eremo, ò fuori per ubidienza, ò comune utilità si esercitano in fatica
di mani; ò vero, fatto alcun faticoso viaggio, ritornano all’Eremo; ò vero per altra qual si voglia
cagione si trovano faticati, e lassi; si habbia non in tutto, ma alquanto, di pia relassazione, &
moderato rispetto di discrezione.
p.148:
E cosi ancora à quelli che sono al tutto deboli, à i più delicati; à i molto stracchi per fatica di
viaggio, ò di altra qual si voglia opera; & a i vecchi, infermi, & convalescenti, sia usata pietosa
cura, & prudente discrezione in tutte le cose; acciochè, & all’humana fragilità, con piena
charità si proveggia, & nondimeno non si habbia mai cura della carne in delizie.
Contro l’oziosità.
Cap. 36 - Del fuggire l’ociosità, et perdimento del tempo: et dell’acquistare il bene della
quiete, et stabilità.
p. 160:
Niuna cosa maggiormente deono schivare, & fuggire gl’Eremiti, che l’ociosità. La quale, come
dice il beato Benedetto, è nimica dell’anima. Imperoche questa molto piu suole insidiare alla
vita de gl’Eremiti, che à quella de’ Cenobiti non fa. E se una sol volta da alcuno è ricevuta, &
intromessa nell’Eremitica Cella, à fatica potrà mai, ò vero non senza gran studio, & fatica, via
discacciarla. Percioche, oltre, che ella stessa, da se, & per se è perversa, & à noi tutti
gl’instrumenti delle buone opere toglie di mano fraudolentemente; in colui nondimeno pare
che molto sia piu perniciosa, che apre sempre l’uscio a tutte le tentazioni. Onde non
immeritamente dice la scrittura Divina, Molti mali ha insegnato l’ociosità. Deono dunque con
sommo studio gl’Eremiti, secondo l’auttorità [dei] Padri, sempre fare alcun’opera; accioche il
Diavolo gli trovi sempre occupati, ne trovar possa luogo in loro di tentargli. Ingegnisi pertanto
ciascuno, all’hore gongrue, & à ciò deputate, attendere, è di maniera essere intento, & solecito
con le mani ad alcun’opera; & parimente à certe altre hore alla lezzione, horazione, & altre
discipline dell’anima: cioè hora à i corporali esercizij, & hora à i spirituali; che ogni spazio del
giorno, e della notte gli paia sempre insufficiente, & breve, & creda sempre, che più gl’avanzi
dell’opera, che del tempo.
anco arrecare uve fresche dalle vigne dell’Eremo: & oltre a quelle, che per alcun giorno si
ministrano; à ciascuno Eremita, si da una mezza forma (cioè una bigoncia) d’uve fresche; le
quali essi sogliono conservare appiccate per tutta la vernata. Le quali frutte, quando una volta
sono state date ne’ tempi opportuni, ciascuno di quelle si serve; & l’usa, secondo che à
ciascuno piu è à cuore, e gl’aggrada.
Cap. 7 - Chi siano quei, che debbano essere deputati all’Hospizio di Camaldoli.
p. 32 ,33:
Et da santi scrittori sappiamo essere stato diffinito, che lo studio, & affetto della santa
contemplazione debba sempre essere nella volontà: & l’occupazione della pia
amministrazione alcuna volta in necessità: Per tanto non aborriscano sottrarsi gl’Eremiti, i
quali à simili cure, & amministrazioni saranno giudicati più atti dal Capitolo; non in perpetuo,
ma per alcun breve tempo; sottentrare ben volentieri al peso, & sollecitudine di queste
amministrazioni: sapendo, che intermessa alcuna volta la quiete dell’assidua contemplazione,
ella si ripiglia poi più ferventemente; & più dolce, & più perfettamente si possiede. Ne’ tempi
dunque, che fa bisogno, cioè quando gl’uffici, i ministerij, e diversi pesi della santa Ubidienza
nell’Eremo sono dal Capitolo distribuiti; ò veramente quantunque volte parrà, che la necessità
il riecheggia; siano deputati all’Hospizio di Fonte Buono, per un’anno, del numero de
gl’Eremiti, al meno due Sacerdoti; & se ciò non si potesse fare comodamente, uno di loro possa
essere eletto dal Capitolo del numero de’ Cenobiti. De’ quali due, Quelli, à cui sarà dato dal
carico dal Capitolo, il quale sia per ogni modo del numero de gl’Eremiti, senza alcun nome di
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prelazione, ò grado di preminenza, di tutti quelli, i quali dimoreranno in detto Hospizio habbia
cura: il quale con tutti gl’altri, che quivi stanno non altrimenti, che quelli, i quali riseidono
nell’Eremo ubidisca sempre al Maggiore in tutte le cose con ogni humiltà. Et suo ufficio sia
reggere, & governare in pace, Charità, & regolare osservanza la famiglia, che sta in quel luogo,
& haver cura, & sollecitudine di tutte le cose spirituali. […] Ma quanto all’amministrazione
delle cose temporali, non se ne impicci: ne vi si intrometta, se non quanto ricercherà la
necessità di reggere la famiglia. Et ancho questo non faccia da per se, ma mediante coloro, i
quali sono deputati all’amministrazione delle cose temporali.
pp. 34, 35.
All’amministrazione poi delle cose temporali sia deputato uno del numero de gl’Eremiti, se
nell’Eremo sarà chi sia Idoneo; & se nó un professo della congregazione, ò dell’ordine, il quale
col consueto vocabolo sia chiamato Camarlingo, ò vero più convenientemente secondo la
Regola di s.Benedetto, Cellelario di fonte buono. E questo tale habbia in tutto la cura, &
amministrazione delle cose temporali, & sei volte l’anno, cioè, ogni due mesi una volta, ò più
spesso, ò più di rado, secondo, che parrà al Maggiore, & à i Romiti, sia tenuto rendere diligente
conto delle sue amministrazioni à coloro, i quali a questo, haveranno eletti il Maggiore, &
gl’Eremiti. Il quale Camarlingo ubidisca al detto Maggiore in tutte le cose: & no permetta che à
g’Eremiti in niun modo manchino le cose necessarie. E quanto à gli altri ministri, ne possa il
detto Camarlingo havere, e tenere, e Religiosi, & Laici quanti à lui parrà: ma niuno però senza
il consenso del Maggiore, ò del Capitolo dell’Eremo. Sia, oltre ciò, nel medesimo luogo un altro
del numero de gl’Eremiti deputato, il quale sia col solito vocabolo chiamato dispensatore.
L’ufficio del quale sia, tutte le cose da mangiare di qualunque sorte, le quali sono recate da
diversi luoghi, custodire con buona cura, e discretamente dispensarle: mandando all’Eremo
sollecitamente quelle, che vi si hanno à mandare, e dando quivi con chiarità quelle, che sono
necessarie alla famiglia di Camaldoli: & parimente ministrare à gl’hospiti; & all’Opere, &
mercenarij quello, che si dee dar loro, senza tardita, & senza mormorazione. Comandare, &
aver cura, che i famigli, garzoni, & operarij, & ciascun’altro faccia l’opera, & ufficio suo
sollecitamente: essere loro sopra, & curare, che niun di essi per negligenza lasci l’opera sua, ò
la faccia agiatamente. Ma perché un solo non può havere conveniente cura di molte cose
diverse, però si faccia un altro del numero de’ conversi, o commessi, il quale habbia cura della
Cella, ò vero Cantina, cioè custodia del pane, & del vino; & l’uno, & l’altro distribuisca, secondo
diverse necessità, in quel modo, che ò gli sarà imposto da i superiori, ò gli dettera la propria
discrezione, ma sopra tutto sia il detto Dispensatore liberale verso quegli, che sono veramente
poveri, & veramente forestieri, & hospiti.
p.36:
Ma quanto alla cucina è necessario deputar due, uno del numero de’ Conversi, il quale per i
fratelli, che quivi stanno, & per gl’hospiti, & peregrini, habbia cura di cuocere, & affettare le
vivande, & i cibi à tempo convenevole, & con ogni nettezza, e diligenza. Et l’altro il quale sia del
numero de’ Conversi, ò comessi faccia la cucina di sotto, & prepari gl’alimenti necessarij per i
garzoni, operarij, lavoratori, & altri ministri, & serventi. E finalmente sia deputaro (il che si è
lasciato di fare alcuna volta, fuori di quello, che conviene) uno all’ufficio della porta, il quale
sappia benignamente pigliare, & rendere le risposte. L’ufficio del quale Portinanio sia
custodire, e tenere sempre la porta chiusa, eccetto che quando per necessità bisognasse fare
altrimenti: essere sempre alla porta, acchioche possa udire subito coloro, che vengono. Non
mettere dentro nessuno, se prima non l’harà fatto sapere à chi è quivi Superiore, ò à chi ha
cura di simili cose. Non lasciar mai aperta la porta, per la quale si va al molino più facilmente,
se già per bisogno di esso molino, ò per necessità de’ giumenti non bisognasse alcuna volta
lasciarla per alquanto spazio aperta. […] Quanto à gl’altri servizij necessari nel medesimo
luogo, come sono esercitare il molino, fare il pane, lavorare l’horto, governare i buoi, e gl’altri
giumenti, con i quali si portano dove bisognano, le cose necessarie, & se altri vi sono simili
bisogni; se non vi saranno Conversi, ò comessi, à i quali si possano imporre convenevolmente
questi servizij; commentansi à famigli secolari, salariati, & condotti à un tanto l’anno.
Niuno, oltre ciò, se non il Camarlingo, ò vero Cellelario di Camaldoli, il quale è deputato
all’amministrazione delle cose temporali, ò il suo Coaiutore se l’haverà, possa senza licenza
del Maggiore dell’Eremo andare ad alcuno delle circonvicine castella, villa, ò altra qual si
voglia abitazione d’huomini. Anzi ne anche in essi monti, e selve, le quali pertengono
all’Eremo, oltre alla distanzia d’un miglio si possa discostare. Ma infra questa distanza d’un
miglio, & in questi boschi, e prati con licenza di colui, il quale in detto Hospizio haverà la
principal cura, possano tutti andare à lor piacimento: & insino all’Aia, & ad eguale distanza,
volendo possano andare à hore competenti senza altra benedizione.
Cap. 44 – Dello eleggere i ministri, et ufficiali dell’Eremo
pp. 193, 194:
Eleggasi ancora uno del numero de’ Monaci, il quale sia chiamato Cellerario dell’Eremo, il
quale sia come compagno del Camarlingo di Camaldoli: il principale ufficio del quale
Cellerario sia tenere appresso di se, & custodire tutti i danari, che in qualunque modo saranno
nell’Eremo, & quelle spendere, & dispensare nelle cose opportune, ma però sempre con la
benedizione del Maggiore. Percioche, secondo il tenore de’ Privilegij, nell’Eremo nessun’altro,
ne anche esso Maggiore in niun modo può alcuna somma di danari tenere, ne havere appresso
di se. Similmente è ufficio del medesimo, havere appresso di se tutte le cose, che si hanno
giornalmente à distribuire à gl’Eremiti, tanto nel vitto quanto nel vestito, & nelle masserizie
necessarie per la Cella, ò in qualunque altra cosa, ò vero usi opportuni, e necessari. Sarà anco
ufficio del cellerario provedere diligentemente, che in ciascuna Cella siano tutte le cose
necessarie, i stramenti del letto, i consueti vasi, e tutte l’altre cose opportune: & altresi
provedere, che à ciascuno Eremita, siano distribuite legne, quanto fa di bisogno, à tempo
conveniente: & cosi anco, che habbiamo le vestimenta, delle quali ciascuno abbisogna,
secondo l’ordinato modo. Sia anco studioso, & sollecito del vitto de’ fratelli Eremiti: accioche
tutte le cose siano loro amministrate alla debita hora, misura, qualità, & ben condite, &
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affettate, secondo che di sotto si dirà à suo luogo, & che in quella tavola, la quale, & in cucina, &
appresso il detto Cellario sempre debbe essere, troverà descritto. Sarà anco ufficio del
medesimo amministrare fedelmente quella parte de’ beni temporali, la quale fu anticamente
alle necessità de gl’infermi deputata: & non convertirla in altro uso, senza il consenso di tutti
gl’Eremiti, che in quelle cose, che appartengono alla casa de gl’infermi (cioè all’infermeria) ò à
loro proprij: & in questa, & in ogni altra sua amministrazione niuna cosa fare, ne ordinare, se
non quello, che gli comanderà, ò permetterà il Maggiore. E quelle cose, che si haranno da fare
fuori dell’Eremo, procurare diligentemente, che piu tosto siano fatte da altri, che per se stesso:
& cosi fare tutte l’altre cose simili sollecitamente.
pp. 199, 200:
[…] Distribuiti che saranno tutti gl’ufficij, & ministerij dell’Eremo, conseguentemente il di
medesimo, se si puo fare, ò vero il seguente, si deono deputare i Ministri, che hanno à stare, &
ministrare, ne i luoghi pertinenti all’Eremo: questo osservato, che innazi à gl’altri si eleggano,
come s è detto à suo luogo, gl’ufficiali, & ministri di Camaldoli: & appresso, de gl’altri luoghi;
cioè di Camaldoli di Firenze, & de gl’altri: E cosi i Ministri dell’una, & altra vigna, cioè della
Musolea, & della vigna detta de’ Romiti, à questo modo li confermino ogni anno, ò vero
eleggano di nuovo, che tutti senza fallo, dal primo all’ultimo, siano deputati, & eletti di anno in
anno à ciascuno ufficio, & ministerio, dal Maggiore con il consenso del Capitolo.
Cap. 49 - De i luoghi pertinenti all’Eremo, e de i Romiti, che in quelli deono essere deputati
p. 221:
Conciosia, che potrà detto Capitolo dell’Eremo in alcun luogo à i deputati fratelli (secondo
parrà, che cotal luogo richieggia) dare varie constituzioni. Ma nondimeno sempre s’ingegnino
conservare (quanto più far si pote) il rigore della vita Eremitica. Ma coloro, à i quali non
saranno date altre constituzioni, osservino queste presenti, dal sacro Eremo state ordinate.
Ma in que’ luoghi, ne’ quali non sogliono essere deputati Sacerdoti, ma alcuni de’ fratelli
Conversi, ò vero commessi, si come all’una, & l’altra vigna; que’ tali fratelli Conversi, ò vero
commessi, che quivi saranno deputati; percioche massimamente attendono alle fatiche, &
esercizij corporali; sodisfaranno, se ne i digiuni osserveranno la cenobitica consuetudine.
Quando nondimeno vorranno fare alcuna cosa di più, con la benedizione del Signore faccianla
volontariamente. Ma in tutte l’altre cose (come meglio parrà loro, che si possa) ingegninsi
sempre (se non in tutto di osservare) d’immitare almanco, nelle cose, che possono, la
conversazione Eremitica, & custodire queste instituzioni.
Cap. 50 - Qualmente à gl’Eremiti siano ministrate tutte le cose all’humana vita necessarie.
pp. 222, 223:
Si come è i figlioli di Levi, i quali non havevano parte in terra con gl’altri figliuoli d’Israel: ma il
Signore era la parte sua, & funicolo della sua heredità; furono dati luoghi campestri vicini alla
Città, ne i quali potessono pascere i loro bestiami: & parimente à tutti i figliuoli d’Israel fu data
la terra montuosa, e campestre dalla quale ricogliessono non solamente grano, vino, & olio,
ma fieno ancora da pascere i loro giumenti: cosi à gl’Eremiti, i quali, quasi Tribu di Levi, hanno
eletto non haver parte in terra, per poter cantare quel detto del Salmo, Dominus pars
hereditatis meae, & calicis mei: e quasi figliuoli d’Israel, alla santa osservanza della religione,
abbandonate tutte le cose del secolo, come in terra di pro missione, lasciati tutti gl’obbrori
d’Egitto, sono pervenuti: si deono dare non solamente i spirituali aiuti da i quali, come da
frumento, ò vero pane, siano confermati: dal vino letificato, & esilarato dall’olio l’huomo
interiore; il quale di giorno in giorno si rinuova in cognizione di Dio; ma anco da i luoghi
campestri il fieno; cioè i temporali commodi di questa vita, à pascere, e sostentare i loro
giumenti, cioè i corpi, che si corrompono. Imperoche i bestiami de i figliuoli di Levi, cioè i
corpi de’ servi di Dio, ne i luoghi sotto, & vicini alle Città, deono essere pasciuti.