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COSMICO
Alessandra Arvonio
Trama del film:
Nell'anno 2067 il pianeta Terra si sta progressivamente trasformando in un ambiente
inabitabile per l'uomo: solo poche colture risultano ancora coltivabili, minacciate
costantemente dalla "piaga" che si nutre di azoto e quindi è destinata a crescere e
consumare l'ossigeno terrestre, rendendo quindi il pianeta inabitabile; il cibo
scarseggia e le tempeste di polvere rendono la vita quotidiana impossibile. Cooper,
ingegnere ed ex-pilota della NASA, vive e lavora nella sua fattoria con la famiglia.
La figlia Murph crede che la sua stanza sia infestata da un "fantasma" che sembra
cerchi di comunicare con lei in codice Morse. Durante una grande tempesta di
polvere, una manifestazione dell'anomalia gravitazionale che dà vita al "fantasma" di
Murph, reca un messaggio. Cooper intuisce possa trattarsi di codice binario e ottiene
così delle coordinate geografiche che conducono lui e Murph a una base segreta di
ricerca e di lancio della NASA, guidata dal professor John Brand e localizzata nel
centro NORAD.
Il tempo è trascorso anche sulla Terra. Murph è cresciuta e lavora come scienziata
alla NASA, aiutando Brand nel suo lavoro, che tuttavia sembra percorrere un vicolo
cieco. Solo in punto di morte, Brand confida alla ragazza di aver risolto
quell'equazione ben prima della partenza di Cooper e di aver capito che la sua
soluzione non permette di sviluppare le navi che avrebbero potuto portare in salvo gli
abitanti della Terra. L'unica salvezza per la specie umana è quindi rappresentata dal
"piano B" predisposto da Brand: far nascere una nuova popolazione umana su un
altro pianeta da embrioni congelati presenti a bordo dell'Endurance. Murph ne è
sconvolta, ma capisce altresì che il piano originario potrebbe ancora funzionare se si
avessero delle informazioni presenti solo all'interno di un buco nero e pertanto, però,
inaccessibili.
Poiché nessuno sull'Endurance conosce lo scopo reale della missione secondo i piani
di Brand, gli astronauti si trovano davanti al dilemma di dover scegliere quale pianeta
visitare, avendo a disposizione il carburante per raggiungere solo uno dei due pianeti
possibili, prima di tornare sulla Terra. Dopo una tesa votazione il gruppo decide di
raggiungere Mann e il suo pianeta, poiché è l'unico che ancora trasmette dati. Quando
Amelia, Cooper e Romilly sbarcano sulla superficie, scoprono un ambiente freddo e
coperto di ghiacciai. Mann è ancora vivo, lo risvegliano e nel suo accampamento
sono raggiunti dalla notizia della morte di Brand: Murph, che comunica in un
messaggio registrato ad Amelia della morte del padre, fa anche riferimento ai piani
dello scienziato e all'impossibilità di salvare la popolazione della Terra. Cooper, che
l'ascolta, decide di tornare al più presto sulla Terra, dopo aver lasciato gli embrioni
sul pianeta affinché nasca un seconda popolazione umana.
Tuttavia, il dottor Mann, che era stato informato del fatto che il Piano B fosse sin
dall'inizio l'unico obiettivo della missione, aveva falsificato i dati sull'abitabilità del
pianeta affinché giungessero a salvarlo. Non può permettere agli altri di tornare sulla
Terra e aggredisce prima Cooper, che rischia di morire per soffocamento. Mentre
Amelia riesce a salvarlo, un ordigno uccide Romilly nel laboratorio e Mann cerca di
acquisire il comando dell'Endurance. Sbaglia però la manovra di aggancio, causando
così un'esplosione in cui rimane ucciso e che danneggia seriamente la nave. Solo
l'esperienza e la determinazione di Cooper permettono a lui e ad Amelia di riprendere
il controllo del veicolo, consumando però una grande quantità di carburante.
È ormai impossibile tornare sulla Terra; l'unica opzione per portare a termine almeno
il piano B della missione è raggiungere il terzo pianeta, esplorato da Edmunds,
attraverso una manovra di fionda gravitazionale attorno al buco nero.
L'avvicinamento al buco nero determinerà un ulteriore ritardo di cinquantuno anni
rispetto al tempo sulla Terra. Affinché Amelia possa farcela, però, è necessario
alleggerire la nave e Cooper e TARS si lasciano inghiottire dal buco nero.
Incredibilmente non vengono distrutti, ma si ritrovano in un tesseratto: un cubo
quadrimensionale in uno spazio di cinque dimensioni, creato da esseri avanzati
affinché Cooper possa interagire con Murph attraverso di esso. In effetti, Cooper
risulta essere l'autore dei messaggi che il "fantasma" comunicava alla bambina.
Riesce così a trasmettere sulla Terra i dati sulla singolarità raccolti da TARS che,
trovati dalla Murph ormai adulta, le consentono di completare la teoria. Conclusa la
trasmissione dei dati, il tesseratto comincia a collassare; Cooper viaggia indietro
attraverso il tunnel spaziale e si ritrova, con TARS, in orbita attorno a Saturno, dove
vengono raccolti da una nave umana. Cooper ritrova allora Murph, ormai anziana e
morente, che ha guidato l'esodo della popolazione umana nello spazio. Soddisfatta
che il padre abbia mantenuto la promessa di tornare da lei, Murph lo convince ad
andare alla ricerca di Amelia, che si trova con CASE sul pianeta di Edmunds, ormai
morto, e sta attuando il Piano B. Cooper ruba quindi uno shuttle e parte insieme a
TARS.
Nel 1905 Einstein ha pubblicato il primo di due importanti studi sulla teoria
della relatività, Elettrodinamica dei corpi in movimento, nel quale negava l'esistenza
del moto assoluto. Einstein sosteneva infatti che nessun oggetto dell'universo
poteva rappresentare un sistema di riferimento assoluto e universale fisso
rispetto al resto dello spazio. Inoltre qualsiasi corpo poteva essere considerato un
buon sistema di riferimento per lo studio delle leggi sul moto dei corpi.
Per Einstein il movimento era un concetto relativo, che poteva essere descritto in
qualsiasi sistema di riferimento inerziale: tutti gli osservatori che descrivono i
fenomeni fisici nei sistemi di riferimento giungono alle stesse leggi di natura. Questa
è l'ipotesi fondamentale (Principio di relatività) di tutta la teoria di Einstein: per
due osservatori in moto relativo uno rispetto all'altro a velocità costante valgono le
stesse leggi della natura. Le osservazioni di Einstein erano già state stabilite da
Newton, secondo il quale "il riposo assoluto non può essere determinato
dall'osservazione della posizione dei corpi nella nostra regione di spazio".
Nel 1915 Einstein ha formulato la teoria della relatività generale, valida anche per
sistemi in moto accelerato uno rispetto all'altro. La necessità di tale teoria era data
dall'apparente contrasto tra le leggi della relatività e la legge della gravitazione. Per
risolvere questi conflitti, Einstein ha sviluppato un approccio nuovo al concetto di
gravità, basato sul principio di equivalenza. Nella nuova formulazione, le forze
associate alla gravità sono equivalenti a quelle prodotte da un'accelerazione. Quindi è
teoricamente impossibile distinguere i due tipi di forze. L’analogia fra le due
relatività è evidente: la teoria della relatività ristretta stabiliva che una persona,
all'interno di una macchina a velocità costante su una strada liscia, non poteva in
alcun modo sapere se si trovava in quiete o in moto rettilineo uniforme; la teoria della
relatività generale affermava che una persona, all'interno della macchina in moto
accelerato, decelerato o curvilineo, non poteva stabilire se le forze che determinavano
il moto fossero di origine gravitazionale o se si trattava di forze di accelerazione
attivate da altri meccanismi.
Il relativismo di Pirandello
LUIGI PIRANDELLO nacque a Girgenti (l'attuale Agrigento) nel 1867 da una
famiglia borghese agiata di tradizioni risorgimentali. Dopo gli studi liceali, si iscrisse
all'Università di Palermo, e , successivamente, alla facoltà di Lettere a Roma. Si
trasferì all'Università di Bonn nel 1891 e si laureò in Filologia romanza. La sua
produzione poetica era già iniziata in Germania e proseguì, quando nel 1892, si
trasferì a Roma.
Entrando in contatto con il mondo culturale romano, conobbe Fleres e Capuana. Del
1893 è il suo primo romanzo, "L'esclusa"e nel 1894 pubblicò una raccolta di
racconti, Amori senza amore. Era l'anno in
cui sposava a Girgenti Maria Antonietta Portulano con la quale si stabilì a Roma. Nel
1897 divenne supplente di letteratura italiana presso l'Istituto Superiore di Magistero
di Roma, dove nel 1908 divenne docente di ruolo. Nel frattempo aveva già scritto una
commedia "Il nibbio" ridefinita "Se non così" nel 1915 e poi nel 1921 "La ragione
degli altri".
Nel 1903 la sua famiglia subì un tracollo economico in quanto il padre perse, a causa
di un allagamento, la miniera di zolfo nella quale aveva investito il suo patrimonio.
Da quel momento la moglie dello scrittore perse l'equilibrio psichico soffrendo di una
forte crisi che la portò alla follia (manifestata come una gelosia patologica). In quel
periodo mutò anche la condizione sociale di Pirandello che, per integrare il suo
stipendio di professore, tra il 1904 ed il 1915, intensificò la produzione di romanzi.
Negli anni della guerra Pirandello si schierò con coloro che vedevano il conflitto
come il compimento del processo risorgimentale. La prigionia del figlio Stefano e
l'aggravarsi della malattia mentale della moglie ( che fu ricoverata presso una casa di
cura fino alla sua morte), influenzeranno ulteriormente lo scrittore. Nel 1920 iniziò il
successo teatrale di Pirandello. Egli si dedicò interamente a quest'arte, abbandonando
nel 1922 la cattedra universitaria. Del 1921 è "Sei personaggi in cerca di autore",che
contribuì ad accrescere la fama del drammaturgo a tal punto che nel 1925 egli
divenne direttore del Teatro d'Arte a Roma.
Dopo il delitto Matteotti nel 1924 Pirandello si iscrisse al partito fascista, anche se il
suo atteggiamento verso la dittatura restò sempre ambiguo. Quando il regime rivelò il
suo carattere di vuota esteriorità egli smise di appoggiarlo evitando, però, di
manifestare apertamente la sua opinione (nel 1929 partecipò all'istituzione
dell'Accademia d'Italia). Negli ultimi anni lo scrittore pubblicò "Novelle per un anno"
(raccolta della sua produzione narrativa) e "Maschere nude" (raccolta di testi teatrali),
e partecipò con interesse allo sviluppo della cinematografia. Nel 1934 ottenne il
Nobel per la letteratura e nel 1936 morì lasciando incompiuto il suo capolavoro
teatrale: "I giganti della montagna".
« La verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola - Ah! - E la
seconda moglie del signor Ponza - Oh! E come? - Sì; e per me nessuna! nessuna! -
Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! - Nossignori. Per me, io sono colei che
mi si crede. (...) Ed ecco, o signori, come parla la verità. »
Dal contrasto tra la vita e la forma nasce il relativismo psicologico che si esprime in
due sensi: orizzontale, ovvero nel rapporto interpersonale, e verticale, ovvero nel
rapporto che una persona ha con se stessa.
Gli uomini nascono liberi ma il Caso interviene nella loro vita precludendo ogni loro
scelta: l'uomo nasce in una società precostituita dove ad ognuno viene assegnata una
parte secondo la quale deve comportarsi.
Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io
vorrebbe manifestarsi in modo diverso: solo per l'intervento del caso può accadere di
liberarsi di una forma per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile
liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal.
L'uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno se stesso, poiché ognuno
vive portando - consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente - una maschera
dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.
Queste riflessioni trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo Uno,
nessuno e centomila:
Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche
particolari;
Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono
le persone che ci giudicano;
L'incomunicabilità
I personaggi dei drammi pirandelliani, come il Vitangelo Moscarda del romanzo Uno,
nessuno e centomila e i protagonisti della commedia Sei personaggi in cerca di
autore, di conseguenza avvertono un sentimento di estraneità dalla vita che li fanno
sentire «forestieri della vita» [49], nonostante la continua ricerca di un senso
dell'esistenza e di un'identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la maschera,
o le diverse e innumerevoli maschere, con cui si presentano al cospetto della società o
delle persone più vicine.
La reazione al relativismo
Reazione passiva
L'uomo accetta la maschera, che lui stesso ha messo o con cui gli altri tendono a
identificarlo. Ha provato sommessamente a mostrarsi per quello che lui crede di
essere ma, incapace di ribellarsi o deluso dopo l'esperienza di vedersi attribuita una
nuova maschera, si rassegna. Vive nell'infelicità, con la coscienza della frattura tra la
vita che vorrebbe vivere e quella che gli altri gli fanno vivere per come essi lo
vedono. Accetta alla fine passivamente il ruolo da recitare che gli si attribuisce sulla
scena dell'esistenza. Questa è la reazione tipica delle persone più deboli come si può
vedere nel romanzo Il fu Mattia Pascal.
Il soggetto non si rassegna alla sua maschera però accetta il suo ruolo con un
atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. Ne fanno esempio varie opere di
Pirandello come: Pensaci Giacomino, Il giuoco delle parti e La patente. Il
personaggio principale di quest'ultima opera, Rosario Chiàrchiaro, è un uomo cupo,
vestito sempre in nero che si è fatto involontariamente la nomea di iettatore e per
questo è sfuggito da tutti ed è rimasto senza lavoro. Il presunto iettatore non accetta
l'identità che gli altri gli hanno attribuito ma comunque se ne serve. Va dal giudice e,
poiché tutti sono convinti che sia un menagramo, pretende la patente di iettatore
autorizzato. In questo modo avrà un nuovo lavoro: chi vuole evitare le disgrazie che
promanano da lui dovrà pagare per allontanarlo. La maschera rimane ma almeno se
ne ricava un vantaggio.
Reazione drammatica
L'uomo, accortosi del relativismo, si renderà conto che l'immagine che aveva sempre
avuto di sé non corrisponde in realtà a quella che gli altri avevano di lui e cercherà in
ogni modo di carpire questo lato inaccessibile del suo io.
Vuole togliersi la maschera che gli è stata imposta e reagisce con disperazione. Non
riesce a strapparsela ed allora se è così che lo vuole il mondo, egli sarà quello che gli
altri credono di vedere in lui e non si fermerà nel mantenere questo suo atteggiamento
sino alle ultime e drammatiche conseguenze. Si chiuderà in una solitudine disperata
che lo porta al dramma, alla pazzia o al suicidio. Da tale sforzo verso un obiettivo
irraggiungibile nascerà la voluta follia. La follia è infatti in Pirandello lo strumento di
contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale, l'arma che fa
esplodere convenzioni e rituali, riducendoli all'assurdo e rivelandone l'inconsistenza.
Solo e unico modo per vivere, per trovare il proprio io, è quello di accettare il fatto di
non avere un'identità, ma solo centomila frammenti (e quindi di non essere "uno" ma
"nessuno"), accettare l'alienazione completa da se stessi. Tuttavia la società non
accetta il relativismo, e chi lo fa viene ritenuto pazzo. Esemplari sono i personaggi
dei drammiEnrico IV, dei Sei personaggi in cerca d'autore, o di Uno, nessuno e
centomila.
Luigi Pirandello, benché inizi a lavorare a Uno, nessuno e centomila già da tempo,
riesce a completare le proprie fatiche letterarie (anche per l'avvio della fortunatissima
carriera teatrale) solo nel 1926, quando l'opera è pubblicata prima a puntate sulle
pagine della rivista "Fiera letteraria", e successivamente in volume. Come ne Il fu
Mattia Pascal il tema centrale è quello dell’identità, o per meglio dire delle
molteplici identità dell'io narrante, che, ricorrendo spesso al monologo tra sé e sé,
indaga sulle molte sfaccettature della propria intima natura. E, in accordo con
il saggio pirandelliano sull'umorismo, a questa autoanalisi introspettiva si
accompagnano sempre le tinte del grottesco, che invita a riflettere (spesso
amaramente) sulla condizione umana.
Inizialmente Vitangelo Moscarda (Gengé per gli amici) ci viene presentato come un
uomo del tuttocomune e normale, senza nessun tipo di angoscia né di tipo esistenziale
né materiale: conduce una vita agiata e priva di problemi grazie alla banca (e alla
connessa attività di usuraio) ereditata dal padre. Un giorno questa piatta tranquillità
viene però turbata: l’elemento disturbatore è un banale e innocente commento
pronunciato dalla moglie di Vitangelo riguardo al fatto che il suo naso penda un po’
da una parte. Da questo momento la vita del protagonista cambia completamente,
poiché Gengé si rende conto di apparire al prossimo molto diverso da come egli si è
sempre percepito. Così decide di cambiare radicalmente il suo stile di vita, nella
speranza di scoprire chi sia veramente, e a quale proiezione di sécorrisponda il suo
animo. Nel processo di ricerca per trovare sé stesso compie azioni che vanno contro a
quella che era stata la sua natura sino a quel momento: sfratta una famiglia di
affittuari per poi donare loro una casa, si sbarazza della banca ereditata dal padre
(inimicandosi ovviamente familiari e parenti), e inizia ad ossessionare chi gli sta
vicino, con discorsi e riflessioni oscure che lo fanno passare per pazzoagli occhi della
comunità. La situazione si aggrava al punto che la moglie abbandona la casa
coniugale, e, insieme ad alcuni amici, inizia un'azione legale contro Vitangelo col
fine d’interdirlo. Gli rimane fedele in un primo momento solo un’amica della moglie,
Anna Rosa, che poco dopo però, spaventata dai ragionamenti di Vitangelo, arriva
addirittura a sparargli, senza ucciderlo ma ferendolo in modo serio. Vitangelo, il cui
"io" è ormai completamente frantumato nei suoi "centomila" alter ego, sembra
trovare una tregua ai propri patimenti solo nel confronto con un religioso, Monsignor
Partanna, che lo sprona a rinunciare a tutti i suoi beni terreni in favore dei meno
fortunati. Il tormentato protagonista pirandelliano, rifugiatosi nell'ospizio ch'egli
stesso ha donato alla città, riesce così a trovare un po’ di pace e di serenità solo
nella fusione totalizzante (e quasi misticheggiante) con il mondo di Natura, l'unico in
cui egli può abbandonare senza timori tutte le "maschere" che la società umana gli ha
a mano a mano imposto.
Gli effetti della Grande Guerra sull‘economia e sulla società italiana furono
drammatici. Le cifre della bilancia commerciale per il 1919 rivelarono che le
esportazioni coprivano solo il 36% delle importazioni. Il costo della vita era 4 volte
superiore a quello del 1913, mentre il deficit di bilancio aveva raggiunto livelli senza
precedenti. Incombevano l’enorme aumento del debito pubblico; la necessità di
riconvertire a non facili e immediati processi produttivi normali del tempo di pace
quei settori industriali che proprio durante la guerra avevano raggiunto eccezionali
livelli di profitto e di concentrazione; le difficoltà di fronteggiare l’aumento dei
prezzi mentre i salari diminuivano e gli stipendi dei dipendenti pubblici erano
bloccati dallo Stato; la contraddizione di dover accelerare la smobilitazione
dell’esercito per alleggerire le finanze pubbliche, ma senza poter prevenire
l’automatico surplus di disoccupati che, lasciata l’uniforme, non trovavano lavoro
nella vita civile. Al momento dell‘armistizio c‘erano oltre 3.000.000 di uomini sotto
le armi e 500.000 prigionieri in mano agli austriaci. La rapida smobilitazione
produsse 2.000.000 di disoccupati già alla fine del 1919.
I lavoratori organizzati erano decisi a proteggere il posto di lavoro e il loro tenore di
vita contro le devastazioni della disoccupazione e dell‘inflazione.
- IL BIENNIO ROSSO
Mai come allora apparve più concreta in Italia la possibilità della rivoluzione. Nel
1919 si registrarono 1663 scioperi industriali e 208 scioperi agricoli. L’impennata dei
prezzi, causata dalla congiuntura internazionale e dai debiti dell’Italia, fece scoccare
la scintilla a La Spezia l’11 giugno 1919, in seguito alla serrata dei commercianti per
protestare contro l’aumento dell’imposta sui consumi. Fra giugno e luglio il moto si
estese rapidamente dal nord al centro-sud; dove la forza pubblica aprì il fuoco, lo
scontro si radicalizzò.
Fra il settembre e il novembre del 1919, i contadini dell‘Italia centrale e meridionale
iniziarono spontaneamente l‘occupazione delle terre povere o non coltivate. Lungo
l‘intera penisola, una violenta lotta di classe divampò in forme che assunsero
l‘aspetto di una vera e propria guerra civile.
Nell’interno del Partito Socialista si rafforzava l’ala massimalista, cioè quella
corrente che propugnava il programma massimo per rovesciare il sistema
capitalistico. Avvalendosi delle tensioni sociali, provocherà l’incremento della
violenza e l’occupazione delle fabbriche. L’esito di questa prova di forza portò
certamente alcuni vantaggi economici agli operai, ma i sindacati di sinistra più di
tanto non furono in grado di ottenere.
Gli scioperi del 1919 e del 1920, guidati dai socialisti, crearono ondate di
risentimento fra il ceto medio, che vedeva nelle agitazioni un disturbo e una minaccia
al proprio stato. Il sistema dell‘istruzione pubblica, inoltre, continuava a sfornare
diplomati e laureati senza che si provvedesse in pari tempo a uno sbocco adeguato nel
campo professionale. La disoccupazione, l‘inflazione e le diffuse attese che la guerra
aveva generato tra tutte le classi sociali avevano creato una situazione esplosiva.
Il 29 luglio 1920 l’anarchico Bruno Filippi, che sognava “la rivoluzione sovietica”,
fece esplodere alcune bombe a Piazza Fontana, a Milano, a Via Paleocapa, poi al
Palazzo di Giustizia, sempre a Milano. E ancora nel capoluogo lombardo, sempre ad
opera dell’attivissimo anarchico, una nuova bomba il 31 agosto. Infine, lo stesso
attentatore, nel porre un nuovo ordigno, il 7 settembre a Palazzo Marino, gli esplose
in mano dilaniandolo. Né gli attentati cessarono con la morte del Filippi; infatti altri
gravi episodi di terrorismo funestarono la vita italiana. Il più grave ebbe luogo la sera
del 23 marzo 1921, quando una bomba esplose nel teatro Diana a Milano, causando
la morte di 21 spettatori e il ferimento di un altro centinaio.
La Nazione di Firenze il 2 marzo 1921 titolava: “Le strade di Firenze insanguinate
dalla guerra civile”. Il giornale riportava che verso la fine di febbraio e i primi di
marzo del 1921 “giorni di rivolte armate e di conflitti tragici si conclusero con un
bilancio di diciotto morti e oltre cinquecento feriti”.
Il giorno dopo, altri quindici morti e cento feriti.
Da Lenin partivano messaggi incitanti al terrorismo. L’ordine era di essere
“implacabili in modo esemplare. Bisogna incoraggiare il terrore di massa. Fucilate
senza domandare niente a nessuno e senza stupide lentezze”. Sono solo alcuni estratti
del Komsomolskaja Pravda, riportati da Andrea Bonanni, corrispondente a Mosca del
Corriere della Sera. A queste direttive, l’Italia trovò masse diseredate che, aspirando
ad una più equa giustizia sociale, fecero proprie le indicazioni che provenivano da
Est.
Il Governo non era in grado di intervenire efficacemente per annientare la violenza e
riportare l’ordine.
In tre anni si cambiarono sette governi e cioè: dal governo Orlando si passò a quello
di Nitti (23/6/1919); di nuovo Nitti (21/5/1920); Giolitti (15/6/1920); Bonomi
(4/7/1921); Facta (26/2/1922); di nuovo Facta (1/8/1922).
Tutto ciò denota la grave crisi che attanagliava lo “Stato liberale” e la sua capacità a
controllare una situazione di guerra civile che andava di giorno in giorno
sviluppandosi sempre più sanguinosamente.
- I FASCI DI COMBATTIMENTO
L’essersi posti contro i combattenti fu il grave errore dei socialisti prima e dei
socialcomunisti poi. Da questi reduci, spontaneamente, nacquero le prime squadre
combattentistiche per opporsi alle azioni di quelle “rosse”. Quindi i primi scontri non
avvennero fra “fascisti” e “rossi”, in quanto il fascismo non era ancora nato, o era in
stato embrionale.
Infatti i “Fasci di Combattimento” videro la luce il 23 marzo 1919. In quella sede, si
danno convegno i fascisti della prima ora, un centinaio di “fedelissimi” tra cui Balbo,
De Bono, Bianchi e De Vecchi, i futuri Quadrumviri della Marcia su Roma, e circa
duecento aderenti che osservano e ascoltano. Così i grandi quotidiani la salutarono:
Albertini direttore del Corriere della Sera “Il fascismo ora interpretato é l’aspirazione
più intensa di tutti i veri italiani”. Gli fece eco La Stampa di Torino “Il governo
Mussolini é l’unica strada da percorrere per ridare agli italiani quell’ordine che tutti
ormai reclamano intensamente”.
Le prime azioni di “chiara marca fascista” avvennero dopo il 17 novembre di
quell’anno, data della pesante sconfitta elettorale subita dal movimento mussoliniano.
Nei primi scontri i fascisti furono sommersi dal gran numero degli avversari e molti
comizi di Mussolini e dei suoi furono sciolti per i gravi incidenti provocati dai
“rossi”.
Gran parte dei fascisti e dei loro alleati nazionalisti provenivano da una lunga, dura
disciplina militare: erano quindi avvezzi ad obbedire secondo un ordine gerarchico.
Al contrario, dall’altra parte, il disordine regnava assoluto e specialmente fra gli
anarchici la disciplina era disprezzata; di conseguenza fu possibile conquistare le
piazze e il favore dei contadini, stanchi dei soprusi ai quali erano sottoposti
dall’arroganza delle “cooperative rosse”.
Il Paese era stanco di disordini e sangue, anelava a rientrare nella normalità. Questo
fenomeno è evidenziato dal consenso che in breve tempo acquisì il movimento
mussoliniano: gli 88 “Fasci” diventarono 834 e i 20 mila iscritti oltre 250 mila,
divenendo un “movimento di massa” fortemente radicato nel mondo del lavoro, tanto
che i sindacati fascisti potevano contare su circa 400 mila contadini iscritti e su 200
mila operai.
Certamente il fascismo fu un movimento che usò la violenza, ma della validità di
questa danno attestato alcuni autori che, almeno attualmente, non possono essere
accusati di simpatie per il movimento mussoliniano. Scrive Giorgio Bocca che il
fascismo fu violento e sopraffattore, ma lo fu perché trovò davanti a sé una sinistra
antidemocratica, violenta, autoritaria e sopraffattrice. Anche il giornalista inglese
Percival Phillips, corrispondente del Daily Mail, che visse per lungo tempo in Italia,
ecco come ricorda quegli avvenimenti: “Essi (i fascisti) combattevano il terrore rosso
con le stesse armi. Ai sistemi di Mosca risposero con i sistemi fascisti. Ma non
imitarono i sistemi comunisti, di gettare vivi gli uomini negli altiforni, come fu deciso
a Torino da un tribunale rosso composto in parte da donne, né torturarono i
prigionieri come fecero in altre parti d’Italia i seguaci di Lenin”.
Di non dissimile parere era lo stesso De Gasperi; infatti su Il Nuovo Trentino, il 7
aprile 1921, così scrisse: “Il fascismo fu sugli inizi un impeto di reazione
all’internazionalismo comunista che negava la libertà della Nazione. Noi non
condividiamo il parere di coloro i quali intendono condannare ogni azione fascista
sotto la generica condanna della violenza. Ci sono delle situazioni in cui la violenza,
anche se assume l’apparenza di aggressione, è in realtà una violenza difensiva, cioè
legittima”.
In fatto di “violenza” non erano da meno i “moderati”. Il cattolico Guido Miglioli,
uno dei fondatori del Partito Popolare in Vita Italiana, 15 marzo 1922, così manifestò
il suo pensiero: “Faremo fare agli agrari la fine di Giuda: li appenderemo coi piedi in
su e la testa in giù agli alberi delle nostre terre: squarceremo il loro putrido ventre da
cui usciranno le grasse budella turgide di vino. E nelle contorsioni dell’agonia noi
danzeremo intorno non la danza della vendetta, ma la danza della più umana
giustizia. E i fascisti, delinquenti, scherani, lanzichenecchi, assoldati all’agrario,
seguiranno l’eguale sorte”.
In un suo studio Antonio Falcone osserva: “In un certo senso si può dire che i fascisti
la violenza non tanto la imposero quanto la subirono. Lo dimostra il numero dei loro
caduti, che fu di gran lunga superiore a quello degli avversari. Secondo Roberto
Forges-Davanzati, le vittime fasciste, tra morti e feriti, si contano a centinaia, mentre
quelle avversarie si contano a decine. Nel 1924, uno degli anni più “caldi”,
specialmente nei mesi che precedettero e seguirono le elezioni legislative, caddero
una ventina di fascisti e ne furono feriti almeno 140, mentre nella parte avversa si
ebbe un solo morto”.
Falcone continua: “La sproporzione si spiega col fatto che, mentre gli squadristi
cercavano lo scontro frontale e aperto, i rossi conducevano la loro lotta a forza di
imboscate e di attentati. Se poi opponendo violenza a violenza, furono i fascisti ad
avere il sopravvento, ciò non fu perché fossero più violenti, o numericamente più
forti, ma solo perché erano molto meglio organizzati e quindi più efficienti”.
Per completare il quadro generale degli anni che vanno dal 1919 al 1922, è opportuno
riportare la testimonianza del professor Ardito Desio che in una intervista concessa
alcuni anni fa, così rispose ad una domanda di un giornalista: “Il fascismo ha avuto
molti aderenti, dopo la fine della prima guerra mondiale, fra noi ufficiali perché si
viveva in un clima di puro terrore. Si subivano pestaggi, bastonature. Numerosi
furono assassinati per il solo fatto di portare le stellette. Il fascismo portava il rispetto
civile, l’ordine, il rinnovato senso della Patria ed è per questo che ha avuto un gran
seguito”.
Preoccupata dalla minaccia del comunismo bolscevico la reazione borghese
riconobbe nello squadrismo fascista l’avanguardia antiproletaria in difesa tanto della
nazione quanto della proprietà. Durante il “biennio rosso” il dominio incontrastato
delle organizzazioni operaie e contadine, i metodi intolleranti della sinistra nella
difesa dei diritti dei lavoratori che spesso si traduceva in forme lampanti di sopruso,
avevano finito per drammatizzare la lotta politica, facendo sembrare imminente una
rivoluzione bolscevica.
I ceti medi produttivi si sentirono perciò difesi dalla “sana reazione” dello
squadrismo. Lo Stato liberale pensò che lo squadrismo fosse il male minore e lasciò
che il fascismo si radicasse nel tessuto sociale diventando il garante della
pacificazione politica. Non è vero che a sinistra ci fossero solo vittime inermi, come
pure non risponde a realtà che la violenza fosse patrimonio di una parte sola. È
infondato sostenere che i fascisti aggredissero a freddo e muovessero all’attacco in
dieci contro uno: diversi di loro morirono per i colpi dei franchi tiratori. Il movimento
Fascista ebbe la forza di trasformare i suoi caduti in martiri. Tra i grandi Squadristi
storici ricordiamo Italo Balbo, Ettore Muti, ma anche intellettuali come Giuseppe
Bottai e Alessandro Pavolini, politici del calibro di Dino Grandi e artisti come Filippo
Tommaso Marinetti.
Lo Stato
Lo Stato va ridotto alle sue funzioni essenziali di ordine politico e giuridico.
Lo Stato deve investire di capacità e di responsabilità le Associazioni conferendo
anche alle corporazioni professionali ed economiche diritto di elettorato al corpo dei
Consigli Tecnici Nazionali.
Per conseguenza debbono essere limitati i poteri e le funzioni attualmente attribuiti al
Parlamento. Di competenza del Parlamento i problemi che riguardano l’individuo
come cittadino dello Stato e lo Stato come organo di realizzazione e di tutela dei
supremi interessi nazionali; di competenza dei Consigli Tecnici Nazionali i problemi
che si riferiscono alle varie forme di attività degli individui nella loro qualità di
produttori. Lo Stato è sovrano: e tale sovranità non può né deve essere intaccata o
sminuita dalla Chiesa alla quale si deve garantire la piú ampia libertà nell’esercizio
del suo ministerio spirituale.
Il Partito Nazionale Fascista subordina il proprio atteggiamento, di fronte alle forme
delle singole Istituzioni politiche, agli interessi morali e materiali della Nazione
intesa nella sua realtà e nel suo divenire storico.
Le Corporazioni
Il Fascismo non può contestare il fatto storico dello sviluppo delle corporazioni, ma
vuol coordinare tale sviluppo ai fini nazionali.
Le corporazioni vanno promosse secondo due obbiettivi fondamentali e cioè come
espressione della solidarietà nazionale e come mezzo di sviluppo della produzione.
Le corporazioni non debbono tendere ad annegare l’individuo nella collettività
livellando arbitrariamente le capacità e le forze dei singoli, ma anzi a valorizzarle e a
svilupparle. Il Partito Nazionale Fascista si propone di agitare i seguenti postulati a
favore delle classi lavoratrici e impiegatizie:
1) La promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i salariati la
giornata «legale» media di otto ore, colle eventuali deroghe consigliate dalle
necessità agricole o industriali.
2) Una legislazione sociale aggiornata alle necessità odierne, specie per ciò che
riguarda gli infortuni, la invalidità e la vecchiaia dei lavoratori sia agricoli che
industriali o impiegatizii, sempre che non inceppi la produzione. 3) Una
rappresentanza dei lavoratori nel funzionamento di ogni industria, limitatamente per
ciò che riguarda il personale.
4) L’affidamento della gestione di industrie o di servizi pubblici ad organizzazioni
sindacali che ne siano moralmente degne e tecnicamente preparate.
5) La diffusione della piccola proprietà in quelle zone e per quelle coltivazioni che
produttivamente lo consentano.
Politica scolastica
La scuola deve avere per scopo generale la formazione di persone capaci di garantire
il progresso economico e storico della Nazione; di elevare il livello morale e culturale
della massa e di sviluppare da tutte le classi gli elementi migliori per assicurare il
rinnovamento continuo dei ceti dirigenti.
A tale scopo urgono i seguenti provvedimenti:
1) Intensificazione della lotta contro l’analfabetismo, costruendo scuole e strade
d’accesso e prendendo di autorità, per opera dello Stato, tutti i provvedimenti che
risultassero necessari.
2) Estensione dell’istruzione obbligatoria fino alla sesta classe elementare inclusa, nei
Comuni in grado di provvedere alle scuole necessarie e per tutti coloro che dopo
l’esame di maturità non seguono la via della scuola media; istruzione obbligatoria
fino alla quarta elementare inclusa, in tutti gli altri Comuni. 3) Carattere
rigorosamente nazionale della scuola elementare in modo che essa prepari anche nel
fisico e nel morale i futuri soldati d’Italia; per ciò rigido controllo dello Stato sui
programmi, sulla scelta dei maestri, sulla opera loro, specie nei Comuni dominati da
partiti antinazionali.
4) Scuola media e universitaria libera, salvo il controllo dello Stato sui programmi e
lo spirito dell’insegnamento e salvo il dovere dello Stato di provvedere esso
all’istruzione premilitare, diretta a facilitare la formazione degli ufficiali.
5) Scuola normale informata ai medesimi criteri esposti per la scuola a cui i futuri
insegnanti sono destinati: perciò carattere rigorosamente nazionale anche negli Istituti
da cui escono gli insegnanti elementari.
6) Scuole professionali, industriali e agrarie istituite con piano organico utilizzando il
contributo finanziario e d’esperienza degli industriali e degli agricoltori, allo scopo di
elevare le capacità produttive della Nazione e di creare la classe media di tecnici fra
gli esecutori e i direttori della produzione. A tale scopo lo Stato dovrà integrare e
coordinare le iniziative private, sostituendosi ad esse ove mancano.
7) Carattere prevalentemente classico delle scuole medie inferiori e superiori; riforma
ed unificazione di quelle inferiori in modo che tutti gli studenti studino il latino; il
francese non sia piú l’unica lingua sussidiaria a quella italiana: scegliere e adattare
invece la lingua sussidiaria secondo le necessità delle singole regioni, specie di quelle
di frontiera.
8) Unificazione di tutte le beneficenze scolastiche, borse di studio e simili, in un
Istituto controllato e integrato dallo Stato, il quale scelga fin dalle classi elementari
gli alunni piú intelligenti e volonterosi e assicuri la loro istruzione superiore,
imponendosi, se occorra, all’egoismo dei genitori e provvedendo con un congruo
sussidio nei casi in cui fosse necessario.
9) Trattamento economico e morale dei maestri e dei professori, nonché degli
ufficiali dell’Esercito, quali educatori militari della Nazione, tale da assicurare ad essi
la tutela della propria dignità e i mezzi di accrescere la propria cultura, e da ispirare
ad essi ed al pubblico la coscienza dell’importanza nazionale della loro missione.
La Giustizia
Vanno intensamente promossi i mezzi preventivi e terapeutici della delinquenza
(riformatori, scuole per i traviati, manicomi criminali, ecc.).
La pena, mezzo di difesa della Società nazionale lesa nel diritto, deve adempiere
normalmente la funzione intimidatrice ed emendatrice: i sistemi penitenziari vanno,
in considerazione della seconda funzione, igienicamente migliorati e socialmente
perfezionati (sviluppo del lavoro carcerario).
Vanno abolite le magistrature speciali. Il Partito Nazionale Fascista si dichiara
favorevole alla revisione del codice penale militare. La procedura deve essere spedita.
La difesa nazionale
Ogni cittadino ha l’obbligo del servizio militare.
L’Esercito si deve avviare verso la forma della Nazione Armata in cui ogni forza
individuale, collettiva, economica, industriale e agricola sia compiutamente
inquadrata al fine supremo della difesa degli interessi nazionali. All’uopo il Partito
Nazionale Fascista propugna l’immediato ordinamento di un Esercito che in
formazione completa e perfetta, da una parte, sorvegli, vigile scorta, le conquistate
frontiere, e, dall’altro, tenga preparati in Paese, addestrati ed inquadrati, gli spiriti, gli
uomini ed i mezzi che la Nazione sa esprimere, nelle sue infinite risorse, nell’ora del
pericolo e della gloria.
Agli stessi fini l’Esercito, in concorso con la scuola e con le organizzazioni sportive,
deve dare fin dai primi anni al corpo e allo spirito del cittadino l’attitudine e
l’educazione al combattimento e al sacrificio per la Patria. (Istruzione premilitare).
- LA MARCIA SU ROMA
È noto il fatto che ci fosse instabilità economica nell'agricoltura durante gli anni
1920, a causa della sovrapproduzione che fece seguito alla prima guerra mondiale. Le
forze di mercato nazionali e internazionali durante la guerra avevano fatto sì che gli
agricoltori spingessero lo sfruttamento agricolo oltre i suoi limiti naturali. Terre
sempre più marginali, che oggi verrebbero considerate inadatte alla coltivazione,
vennero sfruttate per catturare i profitti derivanti dalla guerra.
Con le loro terre sterili e le case requisite a causa di debiti non pagabili, molte
famiglie contadine si arresero e partirono. La migrazione fu drastica; il 15% della
popolazione dell'Oklahoma si spostò ad ovest, e i migranti venivano generalmente
indicati come "Okies", che venissero o meno dall'Oklahoma. Le stime più alte per il
numero di americani dislocati arrivano a 2,5 milioni, ma la cifra più bassa di 3-
400.000, basata sulla popolazione di 2,3 milioni di abitanti dell'Oklahoma all'epoca è
più probabile. Questo processo migratorio da allora non si è mai completamente
arrestato e ha determinato lo spopolamento delle Grandi Pianure degli Stati Uniti
d'America.
Macchinari sepolti dalla polvere. Dallas (Sud Dakota), maggio 1936.
L'11 novembre 1933, una tempesta di polvere molto forte strappò via la superficie del
terreno dei campi del Sud Dakota, in una serie di disastrose tempeste di polvere di
quell'anno. Quindi l'11 maggio 1934, una forte tempesta di polvere durata due giorni
rimosse grandi quantità della superficie del terreno delle Grandi Pianure, in una delle
peggiori di queste tempeste nel Dust Bowl. Le nuvole di polvere arrivarono fino
a Chicago, dove lo sporco cadeva come neve, scaricando l'equivalente di 1,8 kg di
detriti per ogni abitante della città. Diversi giorni dopo, la stessa tempesta raggiunse
alcune città dell'est, come Buffalo, Boston, New York eWashington DC.
Quell'inverno sul New England cadde della neve rossa.
Il 14 aprile 1935, noto come la "Domenica Nera", si ebbe una delle peggiori tempeste
nel Dust Bowl, che provocò danni estesi, e trasformò il giorno in notte. Testimoni
riportarono che in certi punti non si riusciva a vedere a due metri di distanza.
Dopo un viaggio tranquillo, durato quattro giorni, i tre uomini arrivarono in orbita
lunare. Armstrong e Aldrin salirono sul LEM (Lunar Excursion Module - Modulo
Lunare) e si sganciarono dal modulo di servizio Columbia dove rimaneva a bordo
Collins. Alle 22.17 minuti ora italiana del 20 luglio il LEM battezzato Eagle (Aquila)
toccava dolcemente il suolo lunare in una zona chiamata Mare della Tranquillita'. La
manovra era stata effettuata in modo manuale perché in automatico si rischiava di
andare a finire dentro un cratere. Alla fine della manovra il combustibile del motore
era quasi terminato e il modulo era disceso a circa sei chilometri dal punto previsto.
Dopo alcune ore ed aver controllato che tutto fosse in ordine dal Centro Controllo di
Houston, nel Texas, veniva dato l'ok per l'uscita. Toccava quindi ad Armstrong
scendere per primo e quando giunse alla fine della scaletta e finalmente fece l'ultimo
salto che lo divideva dal suolo selenico pronuncio' la storica frase: "Questo e' un
piccolo passo per un uomo ma e' un grande balzo per l'Umanita'".
Dopo poco anche Aldrin segui Armstrong sul suolo lunare ed entrambi iniziarono a
sistemare alcune apparecchiature scientifiche. Venne piantata anche la bandiera degli
Stati Uniti e raccolti campioni del suolo lunare. L'attivita' all'esterno del LEM duro'
circa 2 ore e 40 minuti. Al loro rientro nel modulo li attendeva un periodo di riposo e
poi doveva iniziare il distacco dalla superficie selenica. Anche questa rischiosa
operazione mai tentata prima ebbe successo e dopo poche ore i tre uomini si
riunivano nel modulo di comando Columbia che, dopo aver sganciato l'ormai inutile
LEM, riaccendeva i motori per rientrare felicemente sulla Terra come eroi. A questa
storica missione lunare ne seguirono altre che ebbero piu' o meno fortuna ma che
riuscirono a far si che ben 12 uomini passeggiassero sulla superficie lunare. Oggi, a
46 anni da quella storica data nessuno sembra ricordarsi piu' che siamo stati sulla
Luna, ma noi siamo qui per questo e lo faremo ogni anno sperando di poter vedere
presto di nuovo l'uomo sul nostro satellite e questa volta per restarci.
Il suit ensuite des études de philosophie, et adhère au Parti Communiste dès 1934. Il
se marie la même année avec Simone Hié. Sa santé fragile (il est atteint de
tuberculose) l’empêche de suivre une carrière dans l’enseignement. Son engagement
politique très profond l’amène donc tout naturellement à la profession de journaliste.
Il rompt avec le Parti Communiste qui lui reproche sa liberté de pensée dès 1937,
alors qu’il est déjà séparé de sa première épouse. Il rédige de nombreux articles et
fonde un théâtre.
L’engagement
En 1940, il épouse Francine Faure et quitte l’Algérie pour la France avec elle. Ils
auront deux jumeaux, Jean et Catherine. Il obtient une place journal Paris-Soir en tant
que secrétaire.
Dès 1941 il s’engage dans la Résistance et publie en 1942 « l’Etranger », soutenu par
André Malraux, ainsi que « le Mythe de Sisyphe », entamant ainsi son « cycle de
l’absurde ». En 1944 il prend la direction du journal clandestin Combat qu’il gardera
jusqu’en 1947. Ses nombreux articles humanistes et révoltés seront rassemblés sous
le titre d' »Actuelles I – Chroniques 1944-1948″ en 1950 et « Actuelles II –
Chroniques 1948-1953 » en 1953.
Après la guerre Camus n’aura de cesse de dénoncer lee injustices du monde, quelles
qu’elles soient, se fâchant ainsi avec nombre de ses amis mais affirmant un esprit
libre, révolté et insoumis toujours au service de l’humanisme et de la justice, ardent
défenseur de la paix.
Dès 1936 il fonde et dirige un théâtre qu’il veut populaire, ouvert aux plus
défavorisés, le Théâtre du Travail, qui devient en 1937 le Théâtre de l’Equipe. Il est
aussi acteur, il écrit des pièces et met en scène de grands classiques comme des
créations. Ce goût du théâtre l’occupera toute sa vie.
La fin prématurée
Ses amitiés comptaient André Malraux, Emmanuel Roblès, René Char, André Gide,
un temps Jean-Paul Sartre, etc., et le neveu de l’éditeur Gaston Gallimard, Michel
Gallimard. C’est avec lui qu’il trouve la mort le 4 janvier 1960, dans un tragique
accident de voiture.
La peste
L’ouvrage « La peste » a été publié pour la première fois en 1947. Son succès n’a été
reconnu que quelques années plus tard. Cette tragédie écrite par Albert Camus se
présente en cinq actes. Albert. Camus termine chaque chapitre par une phrase
mystérieuse, laissant planer le doute et l’énigme. L’action se déroule dans les années
40 au sein de la ville d’Oran, une ville algérienne bordée par la mer Méditerranée. Le
lecteur ne prend connaissance du nom du narrateur qu’à la fin de l’ouvrage.
Tout commence un matin d’avril 194X… Le Docteur Rieux fait l’étrange découverte
d’un rat mort devant sa porte. Pensant que ce rat est une mauvaise blague des petits
jeunes du quartier, il s’empresse d’en avertir le concierge de l’immeuble, Monsieur
Michel, qui vient constater les faits. Bien que sceptiques, les deux compères ne
s’attendent aucunement à un début d’épidémie redoutable et foudroyante. Avec une
femme en mauvaise santé, le Docteur Rieux oublie rapidement les faits qui se sont
produits ce matin-là. D’autant plus qu’il doit accompagner sa femme à midi à la gare
afin qu’elle reçoive les meilleurs soins dans le village voisin.
Quelques jours après les faits, les médias s’empressent de faire une annonce
terrifiante qui engendre un début de panique dans la ville d’Oran ; des milliers de rats
ont été retrouvés morts en une seule journée pour des raisons inexpliquées. Les
habitants émettent des suppositions et rejettent la faute sur le manque d’hygiène et de
propretés de la ville. La municipalité se presse pour faire le nettoyage et la tension
redescend lorsque les journalistes rassurent les citoyens en annonçant une baisse du
nombre de rats morts. Mais les habitants de cette ville ne sont pas au bout de leurs
surprises. L’épidémie ne fait que commencer…
Alors que le Docteur Rieux met tout en œuvre pour soigner les patients atteints de la
peste, Rambert lui demande expressément de l’aider à quitter la ville pour rejoindre
sa femme. Face à la dangerosité de la situation, Rambert ne parvient pas à trouver les
arguments pour convaincre le Docteur. Rambert deviendra alors un soutien pour le
docteur Rieux. Tarrou, le fils de procureur viendra seconder le Docteur Rieux pour
l’aider dans la lutte de l’épidémie. Tarrou croit aux pouvoirs de l’homme. Il sait que
main dans la main les hommes peuvent surmonter cette douloureuse épreuve.
L’été est arrivé. Trois mois ont passé depuis le début de l’épidémie, mais les tensions
sont toujours au summum et l’épidémie est toujours d’actualité. La peste fait de plus
en plus de victimes et continue à se propager. Le nombre de victimes est si élevé que
la municipalité ne prend plus le temps d’organiser des obsèques ni de les enterrer. Ils
sont jetés dans la fosse comme des animaux.
La psychose s’installe dans les mœurs de chaque habitant. Certains attendent que
leurs heures soient venues pour rejoindre le paradis, tandis que d’autres multiplient
les actes de vandalisme et de pillages avec pour seul mot d’ordre : survivre à cette
épidémie.
Face à la folie des gens et aux traumatismes subis par cette épidémie, la municipalité
d’Oran se voit dans l’obligation d’engager des sanctions et des réprimandes. Mais les
habitants ont perdu tout espoir de vivre. Les illusions d’avoir une vie normale sont
pour eux définitivement perdues et les réprimandes ne les aident pas à renoncer à la
démence. Ils se contentent d’attendre…
Le jeune fils du juge Othon tombe à son tour malade. Sa souffrance peine Rieux qui
se sent impuissant ainsi que l’abbé Paneloux qui commence à porter des jugements
néfastes sur la foi. Cette peine invite l’abbé à se retrancher dans une solitude. Il meurt
de la pesteen serrant un crucifix dans sa main et en refusant l’intervention des soins
du médecin.
Noël arrive. C’est au tour de Grand de faire face à cette maladie. Au fond de lui-
même, il sait pertinemment que ces dernières heures ont sonné, mais un nouveau
sérum vient bouleverser le cours des choses. Grand s’en sort vivant. La ville
commence à retrouver calme et sérénité lorsque les habitants apprennent l’existence
de ce sérum miraculeux et sont avertis par le retour des rats. L’espoir renaît et se lit
sur les visages des habitants.
L’année terrifiante est passée…Le calme est de retour dans la ville d’Oran avec pour
compensation une pandémie qui ne cesse de diminuer. Certes, de nombreuses
victimes sont encore à déplorer, mais en comparaison avec les mois précédents une
nette amélioration se fait sentir. Les habitants commencent à retrouver la joie de
vivre.
Parmi les dernières victimes de l’épidémie, on recense la mort d’Othon et de Tarrou.
L’acolyte de Rieux lui laissera d’ailleurs ses carnets de notes. Cottard, quant à lui,
sera prise d’une crise de démence lorsqu’il apprendra que l’épidémie a quitté la ville.
Ses nerfs lâchent lorsqu’il apprend cette bonne nouvelle au point de se faire arrêter
par la police.
Bien que sortie indemne de cette tragédie de la peste, le Docteur Rieux replongera
dans la souffrance en apprenant par télégramme la mort de sa femme. Elle n’aurait
pas survécu à la peste. Coupé du monde, le docteur Rieux n’avait pas conscience que
sa femme était atteinte de cette maladie.
La fin de l’ouvrage
Le nom du narrateur n’est connu qu’en fin d’ouvrage. Bien que le lecteur ait des
doutes, il s’agit du Docteur Rieux. Il narre sa lutte et son angoisse face à la pandémie
de peste qu’il a connu. Cet ouvrage est comparable à un journal intime pour que
personne n’oublie les horreurs du passé. Il est considéré comme un ouvrage préventif.
Le roman
La Peste d’Albert Camus a pour trame de fond, la ville d’Oran aux prises avec la
peste qui décime tout sur son passage, et a pour personnage central, le médecin
Rieux qui se consacre à venir en aide aux autres avec deux autres personnages, un
prêtre et un journaliste qui tentent d’aider leurs semblables chacun à leur façon.
Son œuvre mêle plusieurs idées, la prise de conscience de l’absurde, la révolte ainsi
que la solidarité. Les mots utilisés par Albert Camus pour décrire la ville d’Oran sont
assez sévères. Il y présente la laideur, la fragilité face aux éléments et le manque de
caractère de la ville d’Oran dans laquelle se déroule le roman. La nature désertique,
sans âme, vulnérable crée un sentiment de tristesse et de désolation, est rehaussée
par le plaisir fugace de retrouver les eaux de la mer lors du bain de Rieux et Tarrou.
La prise de conscience est un autre aspect du roman. Car, si dans la troisième partie,
les cris d’allégresse montrent à quel point les habitants n’ont pas conscience du
danger, l’écrivain met en opposition la menace toujours présente et réelle, mais tapie,
attendant son jour et la nécessité d’une prise de conscience. Les cris de joie se mêlent
aux souvenirs de cris d’agonie de Rieux et rappellent à quel point, même lorsque tout
semble aller pour le mieux, la menace est toujours là, juste tapie, endormie
quelque part, mais pouvant se réveiller à tout moment.
Dans son œuvre, Albert Camus fait état de la condition humaine prisonnière de
son destin, illustrée par la terrible peste, maladie redoutée pour ses effets
dévastateurs. La peste ou l’expérience de la détresse humaine. Dans la ville d’Oran
envahie par la peste, l’homme n’est plus, il devient souffrance. La peste est à la fois
symbole chimérique, symbole mystique et représentation intemporelle du
nazisme, de l’occupation allemande. Face à la peste, la résistance, la résistance face
à la détresse, la résistance grâce à la solidarité collective initiée par Rieux. Cette
résistance, cette solidarité illustre bien la résistance face au nazisme (peste), face
à l’occupation allemande.
Par ce fléau qu’est la peste, Albert Camus veut illustrer la terreur et la tyrannie
combattues par la résistance. Mais la terreur et la tyrannie n’auront pas le dessus en
restant dans le déni, l’ignorance, l’absurde. Les hommes seront contraints à un éternel
recommencement s’ils ne se révoltent contre la peste (terreur, tyrannie). Même s’ils
restent impuissants face à la peste, ils doivent se révolter, prendre conscience de la
menace.
En poetas como Federico vida y obra son dos aspectos inseparables que fluctúan y se
interrelacionan constantemente. Como muy bien dijo Aleixandre “en Federico todo
era inspiración, y su vida, tan hermosamente de acuerdo con su obra, fue el triunfo de
la libertad, y entre su vida y su obra hay un intercambio espiritual y físico tan
constante, tan apasionado y fecundo, que las hace eternamente inseparables e
indivisibles”.1 Así pues estudiar Poeta en '(")$%*!+, es adentrarnos en un momento
crítico dentro de la vida de Lorca porque la escritura de este libro supone una ruptura
y una innovación, provocada por una serie de circunstancias que veremos a
continuación. Cuando Lorca escribió este libro atravesaba una profunda crisis
provocada seguramente por una doble decepción. Por un lado, en el plano
sentimental, en el que se sentía emocionalmente traicionado por personas muy
cercanas a él, entre ellos su posible relación con Salvador Dalí2 , y en general por la
frustración que sentía ante una sociedad que no reconocía como lícita su condición de
homosexual. Por otro, la depresión que suscitó en él el éxito del Romancero Gitano y
la fácil fama que ganó con él, que amenazaba con tildarle de poeta regional con el
único tema de la gitanería3 . Toda esta situación empujará al poeta a buscar un
cambio de aires embarcándose en ese viaje a Nueva York el 19 de junio de 1929,
tranquilizándole enormemente el hecho de que allí le esperaban excelentes amigos y
admiradores, entre otros el incondicional apoyo que obtuvo de Federico de Onís, que
sería el encargado de introducirle en aquel desconocido mundo.4 El contacto de
Federico con la colosal y desconcertante metrópolis provocó un gran choque que,
lejos de consolar su desánimo, acució aún más la profunda crisis que venía
arrastrando. Nueva York le transmitió una enorme desesperación y una sensación de
estar constantemente perdido, que sumó a la desorientación personal en la que se
encontraba y le hará concebirla como una ciudad cruel y violenta tal y como escribe
en una carta a su amigo norteamericano Cummings.5 En Nueva York volvió a
encontrar la opresión y la marginación que había relatado en el Romancero Gitano,
pero en dosis aún mayores, que surgirán sobre todo con el contacto con el mundo
negro, en su visita a Harlem, y en general, con su oposición ante el opresivo sistema
capitalista. Pero no todo fueron experiencias negativas, ya que el encuentro con la
gran urbe le aportó una gran ampliación de sus perspectivas humanas, sobre todo ante
la extraordinaria variedad de razas, religiones y formas de vida con las que allí se
topó, cuyas impresiones quedarán plasmadas en los poemas que por entonces está
escribiendo. Este mundo con el que se encuentra tan diferente del que viene y tan
heterogéneo, desbordará a Lorca y le hará estallar en un enorme grito salpicado de
ecos de contenida intimidad que lleva por título Poeta en '(")$%*!+,, convirtiéndose
éste en una experiencia poetizada de lo vivido y sentido por el poeta.
Escribe tanto poesía como teatro, si bien en los últimos años se volcó más en este
último, participando no sólo en su creación sino también en la escenificación y el
montaje. En sus primeros libros de poesía se muestra más bien modernista, siguiendo
la estela de Antonio Machado, Rubén Darío y Salvador Rueda. En una segunda
etapa aúna el Modernismo con la Vanguardia, partiendo de una base tradicional.
En la actualidad Federico García Lorca es el poeta español más leído de todos los
tiempos.
Así como Lorca simpatizaba con los gitanos en España, en Nueva York simpatizaba
con los negros, otro grupo minoritario y desfavorecido. Pues, en una entrevista con
Giménez Caballero, en 1928, Lorca afirmó: "Yo no soy gitano. Mi gitanismo es un
tema literario y un libro. Nada más". De la misma manera, los negros se convierten
en un tema literario importante para el poeta, quien les dedica una sección entera
en Poeta en Nueva York. Ésta es una estrofa de "El rey de Harlem":
Es importante destacar que este libro en realidad no se trata sólo de Nueva York, sino
de cualquier ciudad. Nueva York se viste de forma metonímica y se convierte en una
ciudad despersonalizada, que le sirve de excusa para criticar el mundo. En una
entrevista publicada enLa Gaceta Literaria, 1931, Lorca definió la ciudad como una
"interpretación personal, abstracción impersonal, sin lugar ni tiempo dentro de
aquella ciudad mundo. Un símbolo patético: sufrimiento".
Estructura y estilo
Como otros poetas de la Generación del 27, Lorca busca la libertad expresiva y
pretende sorprender al lector y romper sus expectativas. Emplea versículos y se sirve
de imágenes muy alejadas de la realidad, pero en el fondo configuran una clara
coherencia temática. También utiliza muchos símbolos, metáforas y anáforas, como
en este fragmento de "Poema doble del Lago Eden":
La Aurora:
Este poema pertenece al libro Poeta en Nueva York, escrito por Federico García
Lorca durante su estadía en estados Unidos en los años 1929 y 1930. El poema
refuerza la serie, que ya había iniciado, de una visión pesimista de la ciudad moderna
y sugiere que la aurora, fenómeno natural, tiene un carácter específico en la ciudad de
Nueva York.
• Primera estrofa: Lorca dedica un poema al amanecer en Nueva York. La idea de
que la aurora podría ser un evento lleno de esperanza es defraudada en la primera
estrofa. Ya desde un inicio utiliza imágenes negativas, con los términos "cieno",
"negras", "podridas". Es decir que el título, que podría considerarse literal en un
principio porque la aurora connota alegría, nuevo día que comienza, renacimiento de
la naturaleza, va cambiando su significación a medida que avanza la lectura.
Lorca mezcla aquí dos campos semánticos diferentes: uno cultural(columnas) y otro
natural (cieno que significa "barro" pero con connotaciones negativas). La imagen es
una antítesis de la aurora que es luminosa: la aurora se apoya (se utiliza una metáfora)
en el barro oscuro y sucio.
¿Por qué "cuatro" columnas y no cinco o seis? Cuatro da una idea de algo acabado,
completo, cerrado como un cuadrado.
que chapotean las aguas podridas: las "aguas podridas" bien puede ser una imagen
literal vinculada a lo urbano (por metonimia). Esta imagen literal cierra la serie
inaugurada por "cieno"
• Segunda estrofa: La aurora es personificada y aparece definida por el dolor, pero
también por la búsqueda y por su movilidad entre los edificios de la ciudad.
Aristas, literalmente, es una palabra que proviene de la geometría “línea formada por
la intersección de dos planos” y que se refiere a la escalera.
nardos de angustia dibujada: los nardos son plantas de jardín de flores bancas muy
aromáticas. Es una imagen visual, pero, para quien conoce esta flor, puede resultar
una imagen olfativa.
Tercera estrofa-. La aurora contrasta con las situaciones o el ánimo de quienes viven
en la ciudad.
Los primeros que salen: Abre un campo semántico nuevo en el poema: el mundo del
trabajo. Fragmentación del cuerpo por meton¡m¡a:"huesos” en este verso y "boca" en
la estrofa anterior.
a los juegos sin arte: ¿el mundo del arte pertenece a la noche o está excluido del
mundo de los neoyorquinos? No hay en el poema una definición positiva del arte.
saben que van al cieno de números y leyes : "Los números y las leyes" son
una metáfora del trabajo vinculado a la contabilidad y a la legalidad.
Quinta estrofa: La aurora, que era el tema del poema, desaparece frente al "impúdico
reto" de la ciudad.
La luz que distingue a la aurora es sepultada. Es una metáfora que habla de la aurora
como si fuese un ser vivo. Se cierra la serie del mundo del trabajo y se une con la
explicitación de la serie del "cieno":"números y leyes; juegos sin arte; sudores sin
fruto"; "cadenas y ruidos. 'Cadenas" también connota el encierro y la falta de libertad.
Por los barrios hay gentes que vacilan insomnes: las personas están insomnes y a la
vez tuvieron pesadillas.
Born Eric Blair in India in 1903, George Orwell was educated as a scholarship
student at prestigious boarding schools in England. Because of his background—he
famously described his family as “lower-upper-middle class”—he never quite fit in,
and felt oppressed and outraged by the dictatorial control that the schools he attended
exercised over their students’ lives. After graduating from Eton, Orwell decided to
forego college in order to work as a British Imperial Policeman in Burma. He hated
his duties in Burma, where he was required to enforce the strict laws of a political
regime he despised. His failing health, which troubled him throughout his life, caused
him to return to England on convalescent leave. Once back in England, he quit the
Imperial Police and dedicated himself to becoming a writer.
Inspired by Jack London’s 1903 book The People of the Abyss, which detailed
London’s experience in the slums of London, Orwell bought ragged clothes from a
second-hand store and went to live among the very poor in London. After
reemerging, he published a book about this experience, entitled Down and Out in
Paris and London.He later lived among destitute coal miners in northern England, an
experience that caused him to give up on capitalism in favor of democratic socialism.
In 1936, he traveled to Spain to report on the Spanish Civil War, where he witnessed
firsthand the nightmarish atrocities committed by fascist political regimes. The rise to
power of dictators such as Adolf Hitler in Germany and Joseph Stalin in the Soviet
Union inspired Orwell’s mounting hatred of totalitarianism and political authority.
Orwell devoted his energy to writing novels that were politically charged, first
with Animal Farm in 1945, then with1984 in 1949.
1984 is one of Orwell’s best-crafted novels, and it remains one of the most powerful
warnings ever issued against the dangers of a totalitarian society. In Spain, Germany,
and the Soviet Union, Orwell had witnessed the danger of absolute political authority
in an age of advanced technology. He illustrated that peril harshly in 1984. Like
Aldous Huxley’s Brave New World (1932), 1984 is one of the most famous novels of
the negative utopian, or dystopian, genre. Unlike a utopian novel, in which the writer
aims to portray the perfect human society, a novel of negative utopia does the exact
opposite: it shows the worst human society imaginable, in an effort to convince
readers to avoid any path that might lead toward such societal degradation. In 1949,
at the dawn of the nuclear age and before the television had become a fixture in the
family home, Orwell’s vision of a post-atomic dictatorship in which every individual
would be monitored ceaselessly by means of the telescreen seemed terrifyingly
possible. That Orwell postulated such a society a mere thirty-five years into the future
compounded this fear.
Of course, the world that Orwell envisioned in 1984 did not materialize. Rather than
being overwhelmed by totalitarianism, democracy ultimately won out in the Cold
War, as seen in the fall of the Berlin Wall and the disintegration of the Soviet Union
in the early 1990s. Yet 1984 remains an important novel, in part for the alarm it
sounds against the abusive nature of authoritarian governments, but even more so for
its penetrating analysis of the psychology of power and the ways that manipulations
of language and history can be used as mechanisms of control.
1984
Winston Smith is a low-ranking member of the ruling Party in London, in the nation
of Oceania. Everywhere Winston goes, even his own home, the Party watches him
through telescreens; everywhere he looks he sees the face of the Party’s seemingly
omniscient leader, a figure known only as Big Brother. The Party controls everything
in Oceania, even the people’s history and language. Currently, the Party is forcing the
implementation of an invented language called Newspeak, which attempts to prevent
political rebellion by eliminating all words related to it. Even thinking rebellious
thoughts is illegal. Such thoughtcrime is, in fact, the worst of all crimes.
As the novel opens, Winston feels frustrated by the oppression and rigid control of
the Party, which prohibits free thought, sex, and any expression of individuality.
Winston dislikes the party and has illegally purchased a diary in which to write his
criminal thoughts. He has also become fixated on a powerful Party member named
O’Brien, whom Winston believes is a secret member of the Brotherhood—the
mysterious, legendary group that works to overthrow the Party.
Winston works in the Ministry of Truth, where he alters historical records to fit the
needs of the Party. He notices a coworker, a beautiful dark-haired girl, staring at him,
and worries that she is an informant who will turn him in for his thoughtcrime. He is
troubled by the Party’s control of history: the Party claims that Oceania has always
been allied with Eastasia in a war against Eurasia, but Winston seems to recall a time
when this was not true. The Party also claims that Emmanuel Goldstein, the alleged
leader of the Brotherhood, is the most dangerous man alive, but this does not seem
plausible to Winston. Winston spends his evenings wandering through the poorest
neighborhoods in London, where the proletarians, or proles, live squalid lives,
relatively free of Party monitoring.
One day, Winston receives a note from the dark-haired girl that reads “I love you.”
She tells him her name, Julia, and they begin a covert affair, always on the lookout
for signs of Party monitoring. Eventually they rent a room above the secondhand
store in the prole district where Winston bought the diary. This relationship lasts for
some time. Winston is sure that they will be caught and punished sooner or later (the
fatalistic Winston knows that he has been doomed since he wrote his first diary
entry), while Julia is more pragmatic and optimistic. As Winston’s affair with Julia
progresses, his hatred for the Party grows more and more intense. At last, he receives
the message that he has been waiting for: O’Brien wants to see him.
Giving up Julia is what O’Brien wanted from Winston all along. His spirit broken,
Winston is released to the outside world. He meets Julia but no longer feels anything
for her. He has accepted the Party entirely and has learned to love Big Brother.
Winston Smith
Apart from his thoughtful nature, Winston’s main attributes are his rebelliousness and
his fatalism. Winston hates the Party passionately and wants to test the limits of its
power; he commits innumerable crimes throughout the novel, ranging from
writing“DOWN WITH BIG BROTHER” in his diary, to having an illegal love affair
with Julia, to getting himself secretly indoctrinated into the anti-Party Brotherhood.
The effort Winston puts into his attempt to achieve freedom and independence
ultimately underscores the Party’s devastating power. By the end of the novel,
Winston’s rebellion is revealed as playing into O’Brien’s campaign of physical and
psychological torture, transforming Winston into a loyal subject of Big Brother.
One reason for Winston’s rebellion, and eventual downfall, is his sense of fatalism—
his intense (though entirely justified) paranoia about the Party and his overriding
belief that the Party will eventually catch and punish him. As soon as he
writes “DOWN WITH BIG BROTHER”in his diary, Winston is positive that the
Thought Police will quickly capture him for committing a thoughtcrime. Thinking
that he is helpless to evade his doom, Winston allows himself to take unnecessary
risks, such as trusting O’Brien and renting the room above Mr. Charrington’s shop.
Deep down, he knows that these risks will increase his chances of being caught by
the Party; he even admits this to O’Brien while in prison. But because he believes
that he will be caught no matter what he does, he convinces himself that he must
continue to rebel. Winston lives in a world in which legitimate optimism is an
impossibility; lacking any real hope, he gives himself false hope, fully aware that he
is doing so.
Julia
Julia is Winston’s lover and the only other person who Winston can be sure hates the
Party and wishes to rebel against it as he does. Whereas Winston is restless, fatalistic,
and concerned about large-scale social issues, Julia is sensual, pragmatic, and
generally content to live in the moment and make the best of her life. Winston longs
to join the Brotherhood and read Emmanuel Goldstein’s abstract manifesto; Julia is
more concerned with enjoying sex and making practical plans to avoid getting caught
by the Party. Winston essentially sees their affair as temporary; his fatalistic attitude
makes him unable to imagine his relationship with Julia lasting very long. Julia, on
the other hand, is well adapted to her chosen forms of small-scale rebellion. She
claims to have had affairs with various Party members, and has no intention of
terminating her pleasure seeking, or of being caught (her involvement with Winston
is what leads to her capture). Julia is a striking contrast to Winston: apart from their
mutual sexual desire and hatred of the Party, most of their traits are dissimilar, if not
contradictory.
O’Brien
One of the most fascinating aspects of 1984 is the manner in which Orwell shrouds
an explicit portrayal of a totalitarian world in an enigmatic aura. While Orwell gives
the reader a close look into the personal life of Winston Smith, the reader’s only
glimpses of Party life are those that Winston himself catches. As a result, many of the
Party’s inner workings remain unexplained, as do its origins, and the identities and
motivations of its leaders. This sense of mystery is centralized in the character of
O’Brien, a powerful member of the Inner Party who tricks Winston into believing
that he is a member of the revolutionary group called the Brotherhood. O’Brien
inducts Winston into the Brotherhood. Later, though, he appears at Winston’s jail cell
to abuse and brainwash him in the name of the Party. During the process of this
punishment, and perhaps as an act of psychological torture, O’Brien admits that he
pretended to be connected to the Brotherhood merely to trap Winston in an act of
open disloyalty to the Party.
This revelation raises more questions about O’Brien than it answers. Rather than
developing as a character throughout the novel, O’Brien actually seems to un-
develop: by the end of the book, the reader knows far less about him than they
previously had thought. When Winston asks O’Brien if he too has been captured by
the Party, O’Brien replies, “They got me long ago.” This reply could signify that
O’Brien himself was once rebellious, only to be tortured into passive acceptance of
the Party. One can also argue that O’Brien pretends to sympathize with Winston
merely to gain his trust. Similarly, one cannot be sure whether the Brotherhood
actually exists, or if it is simply a Party invention used to trap the disloyal and give
the rest of the populace a common enemy. The novel does not answer these
questions, but rather leaves O’Brien as a shadowy, symbolic enigma on the fringes of
the even more obscure Inner Party.
Themes
Themes are the fundamental and often universal ideas explored in a literary work.
1984 is a political novel written with the purpose of warning readers in the West of
the dangers of totalitarian government. Having witnessed firsthand the horrific
lengths to which totalitarian governments in Spain and Russia would go in order to
sustain and increase their power, Orwell designed 1984 to sound the alarm in
Western nations still unsure about how to approach the rise of communism. In 1949,
the Cold War had not yet escalated, many American intellectuals supported
communism, and the state of diplomacy between democratic and communist nations
was highly ambiguous. In the American press, the Soviet Union was often portrayed
as a great moral experiment. Orwell, however, was deeply disturbed by the
widespread cruelties and oppressions he observed in communist countries, and seems
to have been particularly concerned by the role of technology in enabling oppressive
governments to monitor and control their citizens.
In 1984, Orwell portrays the perfect totalitarian society, the most extreme realization
imaginable of a modern-day government with absolute power. The title of the novel
was meant to indicate to its readers in 1949 that the story represented a real
possibility for the near future: if totalitarianism were not opposed, the title suggested,
some variation of the world described in the novel could become a reality in only
thirty-five years. Orwell portrays a state in which government monitors and controls
every aspect of human life to the extent that even having a disloyal thought is against
the law. As the novel progresses, the timidly rebellious Winston Smith sets out to
challenge the limits of the Party’s power, only to discover that its ability to control
and enslave its subjects dwarfs even his most paranoid conceptions of its reach. As
the reader comes to understand through Winston’s eyes, The Party uses a number of
techniques to control its citizens, each of which is an important theme of its own in
the novel. These include:
Psychological Manipulation
The Party barrages its subjects with psychological stimuli designed to overwhelm the
mind’s capacity for independent thought. The giant telescreen in every citizen’s room
blasts a constant stream of propaganda designed to make the failures and
shortcomings of the Party appear to be triumphant successes. The telescreens also
monitor behavior—everywhere they go, citizens are continuously reminded,
especially by means of the omnipresent signs reading“BIG BROTHER IS
WATCHING YOU,” that the authorities are scrutinizing them. The Party undermines
family structure by inducting children into an organization called the Junior Spies,
which brainwashes and encourages them to spy on their parents and report any
instance of disloyalty to the Party. The Party also forces individuals to suppress their
sexual desires, treating sex as merely a procreative duty whose end is the creation of
new Party members. The Party then channels people’s pent-up frustration and
emotion into intense, ferocious displays of hatred against the Party’s political
enemies. Many of these enemies have been invented by the Party expressly for this
purpose.
Physical Control
In addition to manipulating their minds, the Party also controls the bodies of its
subjects. The Party constantly watches for any sign of disloyalty, to the point that, as
Winston observes, even a tiny facial twitch could lead to an arrest. A person’s own
nervous system becomes his greatest enemy. The Party forces its members to undergo
mass morning exercises called the Physical Jerks, and then to work long, grueling
days at government agencies, keeping people in a general state of exhaustion.
Anyone who does manage to defy the Party is punished and “reeducated” through
systematic and brutal torture. After being subjected to weeks of this intense
treatment, Winston himself comes to the conclusion that nothing is more powerful
than physical pain—no emotional loyalty or moral conviction can overcome it. By
conditioning the minds of their victims with physical torture, the Party is able to
control reality, convincing its subjects that 2 + 2 = 5.
The Party controls every source of information, managing and rewriting the content
of all newspapers and histories for its own ends. The Party does not allow individuals
to keep records of their past, such as photographs or documents. As a result,
memories become fuzzy and unreliable, and citizens become perfectly willing to
believe whatever the Party tells them. By controlling the present, the Party is able to
manipulate the past. And in controlling the past, the Party can justify all of its actions
in the present.
Technology
By means of telescreens and hidden microphones across the city, the Party is able to
monitor its members almost all of the time. Additionally, the Party employs
complicated mechanisms (1984 was written in the era before computers) to exert
large-scale control on economic production and sources of information, and fearsome
machinery to inflict torture upon those it deems enemies. 1984reveals that
technology, which is generally perceived as working toward moral good, can also
facilitate the most diabolical evil.
Interestingly, many of Orwell’s ideas about language as a controlling force have been
modified by writers and critics seeking to deal with the legacy of colonialism. During
colonial times, foreign powers took political and military control of distant regions
and, as a part of their occupation, instituted their own language as the language of
government and business. Postcolonial writers often analyze or redress the damage
done to local populations by the loss of language and the attendant loss of culture and
historical connection.
Motifs
Motifs are recurring structures, contrasts, and literary devices that can help to
develop and inform the text’s major themes.
Doublethink
Urban Decay
Urban decay proves a pervasive motif in 1984. The London that Winston Smith calls
home is a dilapidated, rundown city in which buildings are crumbling, conveniences
such as elevators never work, and necessities such as electricity and plumbing are
extremely unreliable. Though Orwell never discusses the theme openly, it is clear that
the shoddy disintegration of London, just like the widespread hunger and poverty of
its inhabitants, is due to the Party’s mismanagement and incompetence. One of the
themes of1984, inspired by the history of twentieth-century communism, is that
totalitarian regimes are viciously effective at enhancing their own power and
miserably incompetent at providing for their citizens. The grimy urban decay in
London is an important visual reminder of this idea, and offers insight into the Party’s
priorities through its contrast to the immense technology the Party develops to spy on
its citizens.
Symbols
Symbols are objects, characters, figures, and colors used to represent abstract ideas
or concepts.
Big Brother
Throughout London, Winston sees posters showing a man gazing down over the
words “BIG BROTHER IS WATCHING YOU” everywhere he goes. Big Brother is
the face of the Party. The citizens are told that he is the leader of the nation and the
head of the Party, but Winston can never determine whether or not he actually exists.
In any case, the face of Big Brother symbolizes the Party in its public manifestation;
he is a reassurance to most people (the warmth of his name suggests his ability to
protect), but he is also an open threat (one cannot escape his gaze). Big Brother also
symbolizes the vagueness with which the higher ranks of the Party present
themselves—it is impossible to know who really rules Oceania, what life is like for
the rulers, or why they act as they do. Winston thinks he remembers that Big Brother
emerged around 1960, but the Party’s official records date Big Brother’s existence
back to 1930, before Winston was even born.
The old picture of St. Clement’s Church in the room that Winston rents above Mr.
Charrington’s shop is another representation of the lost past. Winston associates a
song with the picture that ends with the words “Here comes the chopper to chop off
your head!” This is an important foreshadow, as it is the telescreen hidden behind the
picture that ultimately leads the Thought Police to Winston, symbolizing the Party’s
corrupt control of the past.
Throughout the novel Winston imagines meeting O’Brien in “the place where there is
no darkness.” The words first come to him in a dream, and he ponders them for the
rest of the novel. Eventually, Winston does meet O’Brien in the place where there is
no darkness; instead of being the paradise Winston imagined, it is merely a prison
cell in which the light is never turned off. The idea of “the place where there is no
darkness” symbolizes Winston’s approach to the future: possibly because of his
intense fatalism (he believes that he is doomed no matter what he does), he unwisely
allows himself to trust O’Brien, even though inwardly he senses that O’Brien might
be a Party operative.
The Telescreens
The omnipresent telescreens are the book’s most visible symbol of the Party’s
constant monitoring of its subjects. In their dual capability to blare constant
propaganda and observe citizens, the telescreens also symbolize how totalitarian
government abuses technology for its own ends instead of exploiting its knowledge to
improve civilization.
The red-armed prole woman whom Winston hears singing through the window
represents Winston’s one legitimate hope for the long-term future: the possibility that
the proles will eventually come to recognize their plight and rebel against the Party.
Winston sees the prole woman as a prime example of reproductive virility; he often
imagines her giving birth to the future generations that will finally challenge the
Party’s authority.
Animal Farm
Old Major, a prize-winning boar, gathers the animals of the Manor Farm for a
meeting in the big barn. He tells them of a dream he has had in which all animals live
together with no human beings to oppress or control them. He tells the animals that
they must work toward such a paradise and teaches them a song called “Beasts of
England,” in which his dream vision is lyrically described. The animals greet Major’s
vision with great enthusiasm. When he dies only three nights after the meeting,
three younger pigs—Snowball, Napoleon, and Squealer—formulate his main
principles into a philosophy called Animalism. Late one night, the animals manage to
defeat the farmer Mr. Jones in a battle, running him off the land. They rename the
property Animal Farm and dedicate themselves to achieving Major’s dream. The
cart-horse Boxer devotes himself to the cause with particular zeal, committing his
great strength to the prosperity of the farm and adopting as a personal maxim the
affirmation “I will work harder.”
At first, Animal Farm prospers. Snowball works at teaching the animals to read, and
Napoleon takes a group of young puppies to educate them in the principles of
Animalism. When Mr. Jones reappears to take back his farm, the animals defeat him
again, in what comes to be known as the Battle of the Cowshed, and take the farmer’s
abandoned gun as a token of their victory. As time passes, however, Napoleon and
Snowball increasingly quibble over the future of the farm, and they begin to struggle
with each other for power and influence among the other animals. Snowball concocts
a scheme to build an electricity-generating windmill, but Napoleon solidly opposes
the plan. At the meeting to vote on whether to take up the project, Snowball gives a
passionate speech. Although Napoleon gives only a brief retort, he then makes a
strange noise, and nine attack dogs—the puppies that Napoleon had confiscated in
order to “educate”—burst into the barn and chase Snowball from the farm. Napoleon
assumes leadership of Animal Farm and declares that there will be no more meetings.
From that point on, he asserts, the pigs alone will make all of the decisions—for the
good of every animal.
Napoleon now quickly changes his mind about the windmill, and the animals,
especially Boxer, devote their efforts to completing it. One day, after a storm, the
animals find the windmill toppled. The human farmers in the area declare smugly that
the animals made the walls too thin, but Napoleon claims that Snowball returned to
the farm to sabotage the windmill. He stages a great purge, during which various
animals who have allegedly participated in Snowball’s great conspiracy—meaning
any animal who opposes Napoleon’s uncontested leadership—meet instant death at
the teeth of the attack dogs. With his leadership unquestioned (Boxer has taken up a
second maxim, “Napoleon is always right”), Napoleon begins expanding his powers,
rewriting history to make Snowball a villain. Napoleon also begins to act more and
more like a human being—sleeping in a bed, drinking whisky, and engaging in trade
with neighboring farmers. The original Animalist principles strictly forbade such
activities, but Squealer, Napoleon’s propagandist, justifies every action to the other
animals, convincing them that Napoleon is a great leader and is making things better
for everyone—despite the fact that the common animals are cold, hungry, and
overworked.
Mr. Frederick, a neighboring farmer, cheats Napoleon in the purchase of some timber
and then attacks the farm and dynamites the windmill, which had been rebuilt at great
expense. After the demolition of the windmill, a pitched battle ensues, during which
Boxer receives major wounds. The animals rout the farmers, but Boxer’s injuries
weaken him. When he later falls while working on the windmill, he senses that his
time has nearly come. One day, Boxer is nowhere to be found. According to
Squealer, Boxer has died in peace after having been taken to the hospital, praising the
Rebellion with his last breath. In actuality, Napoleon has sold his most loyal and
long-suffering worker to a glue maker in order to get money for whisky.
Years pass on Animal Farm, and the pigs become more and more like human
beings—walking upright, carrying whips, and wearing clothes. Eventually, the seven
principles of Animalism, known as the Seven Commandments and inscribed on the
side of the barn, become reduced to a single principle reading “all animals are equal,
but some animals are more equal than others.” Napoleon entertains a human farmer
named Mr. Pilkington at a dinner and declares his intent to ally himself with the
human farmers against the laboring classes of both the human and animal
communities. He also changes the name of Animal Farm back to the Manor Farm,
claiming that this title is the “correct” one. Looking in at the party of elites through
the farmhouse window, the common animals can no longer tell which are the pigs
and which are the human beings.
Napoleon
From the very beginning of the novella, Napoleon emerges as an utterly corrupt
opportunist. Though always present at the early meetings of the new state, Napoleon
never makes a single contribution to the revolution—not to the formulation of its
ideology, not to the bloody struggle that it necessitates, not to the new society’s initial
attempts to establish itself. He never shows interest in the strength of Animal Farm
itself, only in the strength of his power over it. Thus, the only project he undertakes
with enthusiasm is the training of a litter of puppies. He doesn’t educate them for
their own good or for the good of all, however, but rather for his own good: they
become his own private army or secret police, a violent means by which he imposes
his will on others.
Although he is most directly modeled on the Soviet dictator Joseph Stalin, Napoleon
represents, in a more general sense, the political tyrants that have emerged throughout
human history and with particular frequency during the twentieth century. His
namesake is not any communist leader but the early-eighteenth-century French
general Napoleon, who betrayed the democratic principles on which he rode to
power, arguably becoming as great a despot as the aristocrats whom he supplanted. It
is a testament to Orwell’s acute political intelligence and to the universality of his
fable that Napoleon can easily stand for any of the great dictators and political
schemers in world history, even those who arose after Animal Farmwas written. In
the behavior of Napoleon and his henchmen, one can detect the lying and bullying
tactics of totalitarian leaders such as Josip Tito, Mao Tse-tung, Pol Pot, Augusto
Pinochet, and Slobodan Milosevic treated in sharply critical terms.
Snowball
Boxer
The most sympathetically drawn character in the novel, Boxer epitomizes all of the
best qualities of the exploited working classes: dedication, loyalty, and a huge
capacity for labor. He also, however, suffers from what Orwell saw as the working
class’s major weaknesses: a naïve trust in the good intentions of the intelligentsia and
an inability to recognize even the most blatant forms of political corruption.
Exploited by the pigs as much or more than he had been by Mr. Jones, Boxer
represents all of the invisible labor that undergirds the political drama being carried
out by the elites. Boxer’s pitiful death at a glue factory dramatically illustrates the
extent of the pigs’ betrayal. It may also, however, speak to the specific significance of
Boxer himself: before being carted off, he serves as the force that holds Animal Farm
together.
Squealer
Old Major
As a democratic socialist, Orwell had a great deal of respect for Karl Marx, the
German political economist, and even for Vladimir Ilych Lenin, the Russian
revolutionary leader. His critique of Animal Farm has little to do with the Marxist
ideology underlying the Rebellion but rather with the perversion of that ideology by
later leaders. Major, who represents both Marx and Lenin, serves as the source of the
ideals that the animals continue to uphold even after their pig leaders have betrayed
them.
Though his portrayal of Old Major is largely positive, Orwell does include a few
small ironies that allow the reader to question the venerable pig’s motives. For
instance, in the midst of his long litany of complaints about how the animals have
been treated by human beings, Old Major is forced to concede that his own life has
been long, full, and free from the terrors he has vividly sketched for his rapt audience.
He seems to have claimed a false brotherhood with the other animals in order to
garner their support for his vision.
The struggle for preeminence between Leon Trotsky and Stalin emerges in the rivalry
between the pigs Snowball and Napoleon. In both the historical and fictional cases,
the idealistic but politically less powerful figure (Trotsky and Snowball) is expelled
from the revolutionary state by the malicious and violent usurper of power (Stalin and
Napoleon). The purges and show trials with which Stalin eliminated his enemies and
solidified his political base find expression in Animal Farm as the false confessions
and executions of animals whom Napoleon distrusts following the collapse of the
windmill. Stalin’s tyrannical rule and eventual abandonment of the founding
principles of the Russian Revolution are represented by the pigs’ turn to violent
government and the adoption of human traits and behaviors, the trappings of their
original oppressors.
Although Orwell believed strongly in socialist ideals, he felt that the Soviet Union
realized these ideals in a terribly perverse form. His novella creates its most powerful
ironies in the moments in which Orwell depicts the corruption of Animalist ideals by
those in power. For Animal Farm serves not so much to condemn tyranny or
despotism as to indict the horrifying hypocrisy of tyrannies that base themselves on,
and owe their initial power to, ideologies of liberation and equality. The gradual
disintegration and perversion of the Seven Commandments illustrates this hypocrisy
with vivid force, as do Squealer’s elaborate philosophical justifications for the pigs’
blatantly unprincipled actions. Thus, the novella critiques the violence of the Stalinist
regime against the human beings it ruled, and also points to Soviet communism’s
violence against human logic, language, and ideals.
Animal Farm offers commentary on the development of class tyranny and the human
tendency to maintain and reestablish class structures even in societies that allegedly
stand for total equality. The novella illustrates how classes that are initially unified in
the face of a common enemy, as the animals are against the humans, may become
internally divided when that enemy is eliminated. The expulsion of Mr. Jones creates
a power vacuum, and it is only so long before the next oppressor assumes totalitarian
control. The natural division between intellectual and physical labor quickly comes to
express itself as a new set of class divisions, with the “brainworkers” (as the pigs
claim to be) using their superior intelligence to manipulate society to their own
benefit. Orwell never clarifies in Animal Farm whether this negative state of affairs
constitutes an inherent aspect of society or merely an outcome contingent on the
integrity of a society’s intelligentsia. In either case, the novella points to the force of
this tendency toward class stratification in many communities and the threat that it
poses to democracy and freedom.
One of the novella’s most impressive accomplishments is its portrayal not just of the
figures in power but also of the oppressed people themselves. Animal Farm is not
told from the perspective of any particular character, though occasionally it does slip
into Clover’s consciousness. Rather, the story is told from the perspective of the
common animals as a whole. Gullible, loyal, and hardworking, these animals give
Orwell a chance to sketch how situations of oppression arise not only from the
motives and tactics of the oppressors but also from the naïveté of the oppressed, who
are not necessarily in a position to be better educated or informed. When presented
with a dilemma, Boxer prefers not to puzzle out the implications of various possible
actions but instead to repeat to himself, “Napoleon is always right.” Animal
Farm demonstrates how the inability or unwillingness to question authority
condemns the working class to suffer the full extent of the ruling class’s oppression.
One of Orwell’s central concerns, both in Animal Farm and in 1984, is the way in
which language can be manipulated as an instrument of control. In Animal Farm, the
pigs gradually twist and distort a rhetoric of socialist revolution to justify their
behavior and to keep the other animals in the dark. The animals heartily embrace
Major’s visionary ideal of socialism, but after Major dies, the pigs gradually twist the
meaning of his words. As a result, the other animals seem unable to oppose the pigs
without also opposing the ideals of the Rebellion. By the end of the novella, after
Squealer’s repeated reconfigurations of the Seven Commandments in order to
decriminalize the pigs’ treacheries, the main principle of the farm can be openly
stated as “all animals are equal, but some animals are more equal than others.” This
outrageous abuse of the word “equal” and of the ideal of equality in general typifies
the pigs’ method, which becomes increasingly audacious as the novel progresses.
Orwell’s sophisticated exposure of this abuse of language remains one of the most
compelling and enduring features of Animal Farm, worthy of close study even after
we have decoded its allegorical characters and events.
Motifs
Motifs are recurring structures, contrasts, and literary devices that can help to
develop and inform the text’s major themes.
Songs
Animal Farm is filled with songs, poems, and slogans, including Major’s stirring
“Beasts of England,” Minimus’s ode to Napoleon, the sheep’s chants, and Minimus’s
revised anthem, “Animal Farm, Animal Farm.” All of these songs serve as
propaganda, one of the major conduits of social control. By making the working-class
animals speak the same words at the same time, the pigs evoke an atmosphere of
grandeur and nobility associated with the recited text’s subject matter. The songs also
erode the animals’ sense of individuality and keep them focused on the tasks by
which they will purportedly achieve freedom.
State Ritual
As Animal Farm shifts gears from its early revolutionary fervor to a phase of
consolidation of power in the hands of the few, national rituals become an ever more
common part of the farm’s social life. Military awards, large parades, and new songs
all proliferate as the state attempts to reinforce the loyalty of the animals. The
increasing frequency of the rituals bespeaks the extent to which the working class in
the novella becomes ever more reliant on the ruling class to define their group
identity and values.
Symbols
Symbols are objects, characters, figures, and colors used to represent abstract ideas
or concepts.
Animal Farm
Animal Farm, known at the beginning and the end of the novel as the Manor Farm,
symbolizes Russia and the Soviet Union under Communist Party rule. But more
generally, Animal Farm stands for any human society, be it capitalist, socialist,
fascist, or communist. It possesses the internal structure of a nation, with a
government (the pigs), a police force or army (the dogs), a working class (the other
animals), and state holidays and rituals. Its location amid a number of hostile
neighboring farms supports its symbolism as a political entity with diplomatic
concerns.
The Barn
The barn at Animal Farm, on whose outside walls the pigs paint the Seven
Commandments and, later, their revisions, represents the collective memory of a
modern nation. The many scenes in which the ruling-class pigs alter the principles of
Animalism and in which the working-class animals puzzle over but accept these
changes represent the way an institution in power can revise a community’s concept
of history to bolster its control. If the working class believes history to lie on the side
of their oppressors, they are less likely to question oppressive practices. Moreover,
the oppressors, by revising their nation’s conception of its origins and development,
gain control of the nation’s very identity, and the oppressed soon come to depend
upon the authorities for their communal sense of self.
The Windmill
The great windmill symbolizes the pigs’ manipulation of the other animals for their
own gain. Despite the immediacy of the need for food and warmth, the pigs exploit
Boxer and the other common animals by making them undertake backbreaking labor
to build the windmill, which will ultimately earn the pigs more money and thus
increase their power. The pigs’ declaration that Snowball is responsible for the
windmill’s first collapse constitutes psychological manipulation, as it prevents the
common animals from doubting the pigs’ abilities and unites them against a supposed
enemy. The ultimate conversion of the windmill to commercial use is one more sign
of the pigs’ betrayal of their fellow animals. From an allegorical point of view, the
windmill represents the enormous modernization projects undertaken in Soviet
Russia after the Russian Revolution.