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Ennio De Bellis - Universit del Salento

Aspetti del dibattito sulla causalit del motore immobile tra il XV e Il XVI secolo

I. 1. Come noto, nel Concilio Lateranense del 1513, vengono espressamente


indicati due punti specifici in cui il pensiero filosofico pu trovarsi in opposizione alla
fede cristiana e questi sono la mortalit dell'anima e l'eternit del mondo.
La posizione della Chiesa Cattolica si attesta ufficialmente sul pensiero di
Tommaso d'Aquino grazie all'ufficialit che la sua dottrina aveva acquisito
progressivamente in seno alla gerarchia ecclesiastica in seguito alle discussioni
sviluppatesi nel XIV e nel XV secolo anche in conseguenza delle precedenti condanne
di cui le cui pi note sono quelle del 1210, del 1270 e del 1277.
In questa prospettiva, la disputa politico-culturale del XVI secolo tende a
semplificare i termini della discussione riducendo le molteplici posizioni, connesse alle
tante correnti dottrinali del tempo, in un dualismo che caratterizza con costanza ogni
pronunciamento politico sulla questioni rispettivamente dell'immortalit dell'anima e
dell'eternit del mondo.
La posizione dominante , ovviamente, quella ufficiale della Chiesa Cattolica
che riguardo la tematica della causalit del motore immobile ha il suo rappresentante,
tra il XV e il XVI secolo, in Tommaso de Vio, meglio noto come Cardinale Gaetano.
Egli discute la tematiche connesse alla Metafisica di Aristotele nel solco dell'ortodossia
della dottrina tomista ormai ufficialmente riconosciuta come la posizione ufficiale della
Chiesa nei confronti della dottrina di Aristotele in particolare e della ricerca ricerca
scientifica in generale.
In tale ottica, vengono etichettate con il generico e improprio nome di
"averroistiche", le varie correnti interpretative del pensiero aristotelico di cui le
principali, tra il XV e il XVI secolo, sono quelle che si rifanno alla lettura del pensiero
di Aristotele da parte di Alessandro di Afrodisia, di Temistio, di Filopono, di Simplicio,
di Averro e di Sigieri di Brabante.
II. 2. La discussione tra la corrente tomista e quella laica, tra il XV e il XVI secolo,
trae origine dal celebre capitolo 7 del XII libro della Metafisica di Aristotele che tratta
del moto del primo cielo che, avendo come caratteristica fondamentale il movimento
continuo ed eterno, non pu muovere se stesso perch, in questo caso, contravverrebbe
al principio secondo cui ci che in moto mosso da altro.
Ne consegue che necessario teorizzare un principio primo che muove restando
immobile. Riguardo il modo con cui il primo motore possa muovere senza essere a sua
volta mosso, lo Stagirita afferma che esso muove come oggetto di desiderio e di amore,
ossia come fine. Il primo motore, inoltre, assolutamente immobile e per, dato che
esso anche il principio primo di ogni movimento e quindi anche della vita, ne deriva
che gode di un'esistenza eccellente e perfetta che per Aristotele quella dedita al
pensiero.

3. L'evoluzione di questa teoria, nello sviluppo dell'aristotelismo fino al XVI


secolo, ha portato a una identificazione della causa movens con la causa efficiens, nella
convinzione che, poich il Primo Motore aristotelico la sorgente unica del movimento
del cielo e della terra, si potrebbe provare ad accostare questo moto universale al
concetto di produzione totale nell'essere.
In questa prospettiva, si prova addirittura a intendere il principium unde motus
come fonte prima dell'essere degli enti ma proprio su questa interpretazione che nasce
lo scontro tra la prospettiva tomista e le altre correnti aristoteliche che rivendicano una
lettura pi filologica e pi fedele della dottrina originale di Aristotele.

4.1. Uno dei primi autori che, nel XV secolo, ha raccolto le istanze
dell'aristotelismo avverso alla dottrina di Tommaso d'Aquino riguardo il problema della
causalit del Primo Motore certamente Elia del Medigo.
Elia del Medigo, nella sua quaestio De Primo Motore, si dichiara seguace
ortodosso di Averro e si volge a un'interpretazione non teologica del Primo Motore di
Aristotele.
Egli ritiene che l'atto puro, il quale sta al vertice delle sostanze spirituali, ha nei
loro confronti un rapporto solo finalizzante e non anche produttivo. I cieli, infatti,
seguono il moto del primo non perch ne sono creati ma perch ne condividono la
finalit e la propensione alla perfezione. Di conseguenza non possibile attribuire la
capacit della creazione n al demiurgo del Timeo di Platone n al primo motore di
Aristotele in quanto essi strutturano o presiedono un universo gi in essere dato che
partecipano delle idee o delle forme a loro volta gi preesistenti.
Per comprendere il ruolo che Elia del Medigo assume nella discussione
necessario ricordare che la parte fondamentale del dibattito sulla causalit del Primo
Motore risiede nel ruolo da attribuire alla causa efficiente che partecipa dell'essere del
causato rimanendone, per, del tutto distinta. L'efficienza della causa dipende
direttamente dalla perfezione ontologica dell'agente che, per, essendo comunque un
essere finito, altrimenti sarebbe imperfetto, realizza il suo potere sugli attributi delle
sostanze e non sulla loro intrinseca struttura. Questo aspetto determina il confine di ogni
attivit, anche di quella del Primo Motore, ed esclude la possibilit che vi sia una causa
efficiente capace di determinare l'esistenza di un effetto nuovo senza la presenza di una
sostanza pregiacente.
In questa prospettiva Elia del Medigo deve difendere l'attribuzione alla sostanza
divina non solo del ruolo di causa movens ma anche di causa efficiens.
4.2. Egli, infatti, si oppone anche all'altra forzatura della lettura teologica di
Aristotele, cos come viene proposta dai pensatori tomisti del XV secolo, che riduce le
prerogative della causa prima in maniera da affermare la necessit di ricorrere ai testi
biblici al fine di portare a compimento la conoscenza del principio di causazione
universale. In questa prospettiva, essi non attribuirebbero pi al Primo Motore di
Aristotele la definizione di causa efficiens ma solo quella di causa movens.
Ci sarebbe avvalorato dalla constatazione che il primo motore dello Stagirita
non realizza nessuna efficienza diretta sulla sostanza del mondo che gli coesiste da
sempre. Si potrebbe parlare, quindi, solo di una causalit movente sulle forme della
natura che determina il processo della generazione e della corruzione mediante il
desiderio di assimilazione alla perfezione assoluta. Il primo motore di Aristotele, quindi,
opererebbe esclusivamente secondo una causa movens condizionata dalle virt latenti
delle sostanze esistenti contribuendo solo a portarle dalla potenza all'atto. Ci, a sua
volta trova piena conferma nella scienza del XV secolo secondo cui l'atto puro suscita le
virt germinali del mondo sublunare innescando il processo di generazione e di
corruzione.
La risposta di Elia del Medigo, che avrebbe anche per il futuro fissato i termini
della discussione, consiste proprio nel tentativo di restituire alla causa efficiens il ruolo
che se ne pu dedurre dalla lettura originale del testo aristotelico. Se si interpreta in
maniera filologica il testo del capitolo 7 del XII libro della Metafisica diviene chiaro che
il problema fondamentale non quello di definire l'origine dell'essere ma quello di
giustificare il divenire delle forme e, in questo modo, di spiegare l'esistenza delle
sostanze prime. In questa prospettiva e con questa precisa funzione il primo motore di
Aristotele conserva pienamente la sua prerogativa di causa efficiens.
III 5. La conferma della centralit della interpretazione data da Elia del Medigo
offerta dal fatto che essa il primo bersaglio polemico di Tommaso de Vio allorch egli
entra nello specifico della problematica della causalit del primo motore.
Tommaso De Vio si oppone a Elia del Medigo nel tentativo di associare
l'efficienza divina al moto del cielo per contestare il ruolo del primo motore come causa
efficiente oltre che movente. Per lo stesso motivo aggiunge un'altra entit, l'anima caeli,
che, immettendo un moto mediato, permette di spiegare anche perch il moto impresso
dal primo motore, di infinita potenza, non si esaurisca in un solo istante.
A tal proposito De Vio afferma quelli che a suo avviso sono i caratteri
fondamentali della causalit del primo motore immobile che consistono in tre punti
fondamentali: dicimus tripliciter responderi posse, vel tenendo primum motorem
movere libere, vel non considerando hoc, tenendo ipsum esse immaterialem, vel
tenendo ipsum movere mediate. Et quod nulla harum Aristoteli repugnat, Averroy
autem sola prima, quamvis tertia ab ipso teneatur.
Tale posizione rappresenta, da una parte, la pi importante presa di posizione del
tomismo riguardo questo argomento e dall'altra la pi chiara individuazione
dell'avversario polemico nella dottrina di Averro: Quoniam maior est auctoritas
rationis, quam sit Averroys et ominium philosophorum simul. Et puerorum non
philosophorum est sequi dicta alicuius, credendo quod non dixit hoc absque magna et
sufficienti ratione, et relinquere argumenta ad oppositum necessaria aut prope.
IV 6. In questo contesto la posizione di Marco Antonio Zimara rappresenta
certamente una sorta di mediazione. Nella Quaestio de triplici causalitate intelligentiae,
che costituisce l'annotazione sul XII libro della Metaphysica di Aristotele nell'ambito
delle Annotationes in Ioannem Gandavensem super Quaestionibus Metaphysicae,
Zimara introduce una nuova modalit di intendere la causalit del primo motore.
Nel corso delle Annotationes Zimara dimostra in molte occasioni di essere uno
dei maggiori rappresentanti dell'averroismo e, infatti, afferma che sia l'intelletto
possibile sia le intelligenze motrici sono delle forme assistenti e non delle anime
informanti che costituiscono il soggetto dell'essere.
Seguendo l'interpretazione del Commentatore, che egli ritiene la pi fedele
espressione del pensiero di Aristotele, Zimara ribadisce la necessit di risalire in
maniera regressiva il processo di causazione in maniera che al sommo delle cause
efficienti di debba arrivare a una causa prima che appunto Dio. L'Essere supremo, in
questa prospettiva viene interpretato sia come forma che come fine delle intelligenze e,
dato che negli enti astratti il fine la forma e questa conferisce l'essere, diviene
conseguentemente anche la causa efficiens di questi enti.

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