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1 Breve storia di Napoli

I coloni greci che gi dal IX secolo avanti Cristo si erano stanziati ad Ischia e Cuma, nel VI secolo
avanti Cristo crearono uninsediamento sullisoletta di Megaride, dove attualmente situato il
Castel dellOvo, che chiamarono Partenope, dal nome della sirena che, come narra la leggenda, si
era suicidata, affranta per non essere riuscita ad ammaliare Ulisse con il suo canto.
La colonia poi, intorno al 470 avanti Cristo, si espanse sulla terraferma fin sul Monte Echia
(Pizzofalcone) e prese il nome di Neapolis (citt nuova) per distinguerla dal precedente
insediamento Palepolis (citt vecchia).
La citt era una repubblica aristocratica ed inizialmente aveva buoni rapporti con Roma, finch non
decise di opporsi al suo espansionismo: nonostante lalleanza con i Sanniti, nel 327 avanti Cristo fu
sconfitta dai Romani diventando dapprima citt federata con Roma e, nei secoli successivi, parte
integrante dellImpero Romano ed i suoi cittadini acquisirono la cittadinanza romana.
Ne 476 dopo Cristo (caduta dellImpero Romano) la citt segu il destino di gran parte dellItalia:
Odoacre, Re dei barbari Eruli, depose lultimo imperatore doccidente Romolo Augustolo e lo
mand in esilio proprio nellisola di Megaride, dove successivamente mor.
Come noto Odoacre non si proclam imperatore, ma mand le insegne imperiali doccidente
allImperatore doriente a Bisanzio che, in cambio, lo nomin governatore dellItalia. Per questo
motivo, almeno ufficialmente, fin dalla caduta dellImpero Romano dOccidente, Napoli fu terra
bizantina. In realt Napoli era governata dagli Eruli che, successivamente, furono sostituiti dagli
Ostrogoti, finch, nel 536 dopo Cristo, limperatore doriente invi il generale Belisario a ristabilire
lautorit bizantina. Il dominio bizantino fu intervallato da un breve periodo di dominio dei Goti dal
542 al 553, quando il generale bizantino Narsete riconquist la citt. Grazie alle truppe Bizantine,
Napoli pot respingere i tentativi di conquista dei Vandali e dei Longobardi ed anche nel lungo
periodo in cui quasi tutta lItalia era longobarda, Napoli rimase sempre bizantina, cio di cultura
essenzialmente greca, come del resto lo era rimasta in tutti i lunghi secoli di appartenenza
allImpero Romano. Successivamente i Bizantini concessero alla citt di Napoli di costituirsi in
ducato autonomo che dal 763 divenne solo formalmente dipendente dallImpero di Bisanzio.
Il ducato di Napoli doveva continuamente resistere ai tentativi di conquista dei Longobardi ed alle
incursioni dei pirati Saraceni, per cui fu costretto a mettersi sotto la protezione dei Normanni che,
nel frattempo avevano liberato la Sicilia dagli Arabi. Nel 1139 i napoletani consegnarono
definitivamente la citt a Ruggero il Normanno, Re di Palermo. Poi, dal 1194, la citt di Napoli
segu il destino di tutta lItalia meridionale, conquistata dagli Svevi. Sotto Federico II di Svevia fu
fondata nel 1224 lUniversit di Napoli, prima Universit europea. Il dominio svevo ebbe termine
nel 1266, quando lItalia meridionale pass sotto il dominio dei francesi Angioini. Questi per
trasferirono la capitale del Regno di Sicilia da Palermo a Napoli, che, da allora, divenne una delle
pi importanti citt europee. Nel 1442 il Regno di Napoli fu poi conquistato dagli spagnoli
Aragonesi e dal 1501 al 1713 divenne viceregno spagnolo sotto il diretto controllo della corona
spagnola ed il suo destino si separ dalla Sicilia. In seguito alla guerra di successione spagnola, il
Regno di Napoli pass agli austriaci che lo governarono fino al 1734, quando, con la guerra di
successione polacca, pass a Carlo III di Borbone e divenne finalmente indipendente.
I Borboni governarono fino al 1806, se si esclude il breve periodo della Repubblica Partenopea del
1799 creata su modello della Rivoluzione Francese. Dal 1806 al 1815, in seguito allespansione
napoleonica in tutta Europa, il Regno pass ai Francesi prima con Giuseppe Bonaparte e poi con
Gioacchino Murat. Col Congresso di Vienna del 1815 il Regno di Napoli fu riassegnato ai Borbone
e nel 1816 Ferdinando di Borbone unific le due corone di Napoli e della Sicilia fondando il Regno
delle due Sicilie. Infine nel 1860 il Regno delle due Sicilie fu conquistato dai Piemontesi ed entr a
far parte del neonato Regno dItalia sotto i Savoia.
2 - Cappella San Severo
La Cappella Sansevero si trova in Via F. De Sanctis 19/21. Come molti luoghi di Napoli, anche
questo associato a numerose leggende e misteri che, sin dalla sua prima costruzione, ne hanno
accompagnato la storia. Luogo poi plasmato in tutta la sua bellezza da Raimondo Di Sangro, VII
Principe di Sansevero, studioso di alchimia, massone, inventore e letterato, nonch una delle menti
pi geniali dellilluminismo, che ha radunato al suo servizio alcuni tra i migliori artisti del tempo
per sviluppare il proprio progetto, regalando a Napoli un autentico gioiello del patrimonio artistico
mondiale. La cappella, infatti, forse il luogo pi bello del capoluogo partenopeo, ricco di fascino e
mistero, nel quale sono custodite opere di rara bellezza e pregevole fattura come La Pudicizia
Velata del Corradini, Il Disinganno del Queirolo, la Gloria del Paradiso di Francesco Maria
Russo e, soprattutto, il Cristo Velato, di Giuseppe Sanmartino.

Come detto, le origini della Cappella Sansevero si perdono nella leggenda. Si narra, infatti, che
verso la fine del XVI secolo, un uomo, che era stato arrestato ingiustamente, pass in catene in
Piazza San Domenico Maggiore e, proprio di fronte al giardino del palazzo della famiglia Di
Sangro, vide crollare una parte del muro che affacciava su di esso, scoprendo un ritratto della
Vergine. Cos, luomo promise che se le accuse contro di lui fossero cadute le avrebbe portato in
dono uniscrizione e una lampada. E cos accade. In seguito, la voce si diffuse e licona, dopo aver
elargito numerose altre grazie, divenne meta di continui pellegrinaggi da parte della popolazione.
Tra quelli che si rivolsero alla Madonna per ricevere una guarigione ci fu anche Giovan Francesco
Di Sangro, duca di Torremaggiore, che scamp ad una grave malattia. Per questo motivo, il nobile
decise di ricambiare il miracolo con la costruzione della prima cappella, proprio dove il ritratto della
Vergine, oggi visibile sullaltare maggiore, era comparso per la prima volta. La struttura,
denominata Santa Maria della Piet o Pietatella, fu poi ampliata nei primi anni del XVII secolo dal
figlio Alessandro di Sangro, Patriarca di Alessandria, trasformandola nel tempio di famiglia, in
grado di ospitare i cenotafi degli illustri antenati e dei futuri membri della nobile stirpe. Tutto ci
confermato dallepigrafe posta sul portale principale che recita: Alessandro di Sangro patriarca di
Alessandria destin questo tempio, innalzato dalle fondamenta alla Beata Vergine, a sepolcro per s
e per i suoi nellanno del Signore 1613.
Di questa fabbrica originaria sono tuttoggi identificabili poche tracce, tra cui le dimensioni, le
decorazioni policrome dellabside e i quattro monumenti funerari delle cappelle laterali. Tutto il
resto stato modificato nel secolo successivo, secondo la volont e le esigenze di Raimondo Di
Sangro. Gi in questa prima versione, per, gli ambienti venivano descritti dalle guide del tempo
come ricchi di opere darte, decorazioni e marmi di pregio.

La struttura della cappella rimase la stessa fino agli anni 40 del XVIII secolo, quando Raimondo Di
Sangro, settimo principe di Sansevero, decise di farne un tempio ancora pi maestoso degno, a suo
dire, della grandezza del casato. Finanzi le opere chiamando pittori e scultori tra i pi rinomati del
tempo e, grazie anche ai suoi studi e ai sui interessi culturale, non si limit solo a fare il mecenate,
ma, spesso, scelse o realizz di persona i materiali da utilizzare. Inoltre, seguiva lartista con grande
precisione affinch tutto risultasse uguale a come lo aveva pensato; ogni opera, infatti, andava
realizzata tenendo conto del fatto che questa rientrava allinterno di un grande progetto iconografico
e simbolico che solo Raimondo Di Sangro conosceva. Alla morte, Raimondo di Sangro lasci un
testamento nel quale chiedeva al figlio di completare il progetto, ma i lavori non furono mai
eseguiti, probabilmente per mancanza di fondi.
2.1 - I 5 misteri della Cappella Sansevero
Nonostante siano passati quasi 250 anni dalla sua morte avvenuta nel 1771, c chi giura che a
Napoli, quando se ne pronuncia il nome, ancora oggi qualcuno si fa il segno della croce di nascosto
per scacciar via il timore che questo misterioso personaggio continua ad incutere.
Stiamo parlando di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero e primo Gran Maestro della
Massoneria napoletana. Un intraprendente mecenate che ha regalato al mondo la Cappella
Sansevero che custodisce il Cristo velato e altri straordinari capolavori.

A met 700 e, agli occhi del popolino, il Principe appare come una sorta di stregone senza Dio.
Un demoniaco alchimista senza piet, che faceva rapire poveri sventurati per farne cavie di
diabolici esperimenti realizzati in segreti laboratori fatti appositamente costruire nei sotterranei del
suo palazzo, in largo San Domenico Maggiore.

Fin qui la leggenda e le dicerie popolari. La storia, invece, ce lo restituisce come un uomo
illuminato, come un intellettuale ossessionato che dedic i suoi sforzi ai pi disparati campi delle
scienze e delle arti, ottenendo esiti che gi i suoi contemporanei definirono prodigiosi.
La sua vera ossessione, per, era meravigliare i posteri, cio noi, ed entrare per sempre nella storia.
Fu cos che un giorno il Principe comprese che la definitiva sistemazione della chiesa di Santa
Maria della Piet avrebbe potuto rendere immortale il suo nome. Divenuta nota come Cappella
Sansevero, ne fece cos uno dei pi stupefacenti capolavori di arte ermetica ed esoterica al mondo.

Scopriamo insieme le cinque meraviglie assolutamente da non perdere!

Il Cristo velato
Collocato al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo velato una delle sculture pi
belle e suggestive al mondo. Inizialmente lopera doveva essere realizzata da Antonio Corradini che
per mor nel 1752 dopo aver eseguito solo una bozza in terracotta del Cristo, oggi conservata al
Museo di San Martino. Fu cos che Raimondo di Sangro chiese a Giuseppe Sanmartino, un giovane
artista napoletano, di realizzare una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante
Nostro Signore Ges Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco
della statua.
Proprio la trasparenza e la tessitura del velo, che sembra dolcemente adagiato sul corpo senza vita
di Ges, quasi a volerne raccogliere misericordiosamente le membra martoriate, ha sin da subito
contribuito ad alimentare numerose leggende sul committente dellopera.
La fama di alchimista di Raimondo di Sangro fece fiorire, tra le altre, anche una leggenda sul
sudario del Cristo di Sanmartino. Molti, infatti, ritennero che la sua trasparenza fosse il risultato di
un processo alchemico di marmorizzazione compiuto dal Principe in persona.
Una credenza sorta oltre 250 anni fa e che ancora oggi stimola la fantasia di visitatori e turisti che
increduli osservano la statua e il velo che la ricopre.
In realt tutto frutto dellestro artistico di Giuseppe Sanmartino, cos come testimoniato da alcune
lettere dello stesso di Sangro, in cui descrive il velo come realizzato dallo stesso blocco della
statua.

Le Macchine anatomiche
Nella cavea sotterranea sono visibili le famose Macchine anatomiche, le presenze pi enigmatiche
della Cappella Sansevero. Si tratta dei veri scheletri di un uomo e di una donna avvolti dallapparato
circolatorio in eccezionale stato di conservazione.
Realizzate attorno al 1763-64 da un medico siciliano, Giuseppe Salerno, sotto la direzione di
Raimondo di Sangro, dopo oltre 250 anni, ancora non si scoperto che procedimento fu utilizzato.
Da un lato, si ipotizzato che il medico abbia iniettato nei due cadaveri una sostanza creata dal
Principe, probabilmente a base di mercurio, che avrebbe metallizzato i vasi sanguigni. Laltra
ipotesi, invece, che si tratti di una ricostruzione eseguita con vari materiali, tra cui cera dapi e
coloranti.
Una tesi, questultima, che comunque non intaccherebbe leccezionalit delle due Macchine. La
riproduzione del sistema artero-venoso, infatti, stupefacente fin nei vasi sanguigni pi sottili,
sebbene le conoscenze di anatomia dellepoca non fossero tanto precise.
Questi inquietanti oggetti, inoltre, hanno per secoli alimentato la cosiddetta leggenda nera relativa
al Principe: secondo la credenza popolare, riportata anche da Benedetto Croce, Raimondo di Sangro
fece uccidere due suoi servi, un uomo e una donna, e imbalsamarne stranamente i corpi in modo
che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie e le vene.

La statua del Disinganno


Assieme al Cristo velato e alla Pudicizia forma la terna deccellenza artistica della Cappella
Sansevero. Realizzata da Francesco Queirolo il Principe dedic questa opera al padre Antonio, che
rimasto vedovo, abbandon il piccolo Raimondo affidandolo a suo nonno.
Dopo unesistenza avventurosa e disordinata, dedicata ai piaceri e ai viaggi, ormai stanco e pentito
degli errori commessi, il genitore torn a Napoli e consacr la sua vecchiaia alla vita sacerdotale.
Il gruppo scultoreo rappresenta un uomo che si libera da una rete, metafora del peccato, aiutato da
un angioletto alato che indica il globo terrestre ai suoi piedi, simbolo delle passioni mondane. Su
questultimo appoggiata la Bibbia, testo divino ma anche una delle tre grandi luci della
Massoneria. Ges che restituisce la vista al cieco, episodio evangelico raffigurato sul bassorilievo
sul basamento, completa lallegoria.

La statua della Pudicizia


Il Principe dedic questo monumento alla memoria della sua incomparabile madre, Cecilia
Gaetani, morta meno di un anno dopo averlo messo al mondo.
Lalbero della vita, la lapide spezzata e lo sguardo perso nel tempo, sono tutti elementi che
simboleggiano lesistenza di una donna troncata prematuramente e il dolore di un figlio che
praticamente non conobbe mai sua madre.
La donna coperta dal velo, inoltre, un chiaro riferimento alla velata Iside, Dea massonica.

Uno strano labirinto


Nel pavimento raffigurato un sorprendente labirinto, di cui oggi rimane ben poco a causa di un
crollo nel 1889 che lo distrusse quasi totalmente, creato da un unica linea bianca continua, priva di
giunture. Tema assai caro ai Cavalieri Templari il labirinto simboleggia il nostro cammino, i bivi a
cui siamo soggetti ogni giorno, un percorso allinterno del quale occorre saper scegliere
attentamente e saggiamente tra strade alternative, per non restarne prigionieri e raggiungere cos la
via di uscita verso la Verit.

2.2 - Un principe immortale


Il principe di Sansevero mor la sera del 22 marzo 1771. Molto probabilmente inal o inger qualche
sostanza tossica durante uno dei suoi esperimenti in laboratorio.
Personaggio tra i pi misteriosi e discutibili del 700 europeo, mente tra le pi brillanti e poliedriche
della sua epoca, uomo forse troppo moderno per il suo tempo, Raimondo di Sangro riusc nel
proprio intento di creare e alimentare un mito intorno alla propria persona che attraversasse i secoli
e che lo rendesse immortale. Liscrizione, non incisa, ma realizzata tramite un procedimento a base
di solventi chimici ideato dallo stesso Principe e apposta sulla sua lapide presente nella Cappella
Sansevero, lo ricorda cos: Uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere
[] celebre indagatore dei pi reconditi misteri della Natura.
3 - Cimitero delle fontanelle
Un luogo unico al mondo il Cimitero delle Fontanelle (che prende il nome dalle varie fonti
d'acqua che sgorgavano fresche nella zona della Sanit di Napoli), spettacolare ricettacolo di ossa e
di relative leggende.
Per ogni capuzzella (= teschio) insistono storie, reali o immaginarie, che vanno avanti dal 1656,
anno in cui fu istituito il Cimitero delle Anime pezzentelle (cos chiamate poich di molte ossa non
si conosceva la provenienza e venivano per questo abbandonate), in seguito alla peste che scoppi
quell'anno.
Il posto fu scelto all'inizio del XVII secolo: una cava svuotata per la continua estrazione del tufo, di
cui le fondamenta della citt erano ricche. Sin dalla Grande Peste, il Cimitero ha raccolto le ossa
anche dei defunti sepolti negli ipogei delle chiese (in zone adibite all'uopo, chiamate terresante) che
vennero poi bonificate; i corpi di coloro i quali non potevano permettersi una sepoltura nei cimiteri
canonici; i cadaveri delle vittime del colera del 1836; i resti ritrovati durante le opere di restauro del
Maschio Angioino, nel 1936, e gli scheletri estratti da molte cripte partenopee.
La popolazione, probabilmente mossa a compassione dall'abbandono delle anime pezzentelle,
cominci ad adottarle, prendendosene cura, spesso costruendo delle vere e proprie teche chiamate
scarabattoli (dalle pi prestigiose, in legno e metallo, a quelle pi modeste, fatte con le scatole dei
biscotti), con tanto di lumicini sempre accesi e basi di fazzoletti profumati incoronati da rosari,
assicurando alla capuzzella preghiere e pulizia, ovvero il refrisco (= rinfresco) dello spirito e del
corpo (o, per meglio dire, ci che ne restava...). Tutto questo lo si faceva in cambio di miracoli,
grazie o pratici numeri da giocare al lotto.
Ovviamente, ci non fu tollerato dal cardinale dellepoca, tale Corrado Ursi, che nel 1969 fece
emanare dal tribunale ecclesiastico il divieto assoluto del culto dei purganti, definito
superstizioso e immorale.
Col tempo la gente ha abbandonato questa usanza, ma non stato possibile fermare la cura che in
tantissimi hanno dedicato a questo singolare ossario che si estende per migliaia di metri quadrati:
gi dal XVIII secolo le ossa venivano poste in ordine di tipologia (crani, tibie, rotule... soprattutto
nel 1872 grazie al canonico Gaetano Barbati) o, qualora fosse stato possibile, a seconda del gruppo
di appartenenza sociale (ecclesiastici, che provenivano dagli ipogei ripuliti; appestati, quelli che
erano periti a causa delle epidemie, carestie, terremoti ed eruzioni; pezzentielli, coloro i quali non
avevano avuto in vita la possibilit economica per giacere in cimitero una volta trapassati). Senza
contare la creazione di altari e crocefissi (spesso con gli stessi resti ossei) che hanno ricreato una
vera e propria chiesa sotterranea.
Passeggiando per le navate cos possibile intravedere molti teschi ancora adottati negli
scaravattoli, molti altri sono stati impilati e infilati per costruire muraglie e altari, statue, croci e
rappresentazioni di scene cristiane (la grotta di Bernadette e il Cristo Velato, tra le tante) e di altri
affascinanti scenari.
Ogni angolo del Cimitero, quindi, ha qualcosa da raccontare, ad esempio:

Il cammino della vita: allingresso del Cimitero delle Fontanelle vi un presepe con tanto di
statuine raffiguranti la Sacra Famiglia. La scena della Nativit, linizio della vita, si staglia felice e
solare su uno sfondo pi oscuro e tortuoso, ovvero la parte centrale dellossario che rappresenta la
crescita individuale.
Addentrandosi nella galleria centrale, abitata da resti umani, si giunge proseguendo dritto davanti
a s a un vero e proprio Calvario, costituito da una montagna di teschi con, alla sommit, tre croci e
altrettanti teschi posti in fila: questa zona viene considerata come la rappresentazione della fine
della vita.
Il Tribunale: in un angolo pi in disparte vi una voluta e ben studiata disposizione a semicerchio
di femori e crani. Avvicinandosi, in effetti, si ha la sensazione di essere giudicati. E forse per
questo motivo che insiste ancora la voce secondo la quale i pi alti esponenti della malavita
organizzata si riunissero proprio su quel golgota durante i riti di condanna a morte o giuramenti di
affiliazione. Nel secondo caso, i nuovi affiliati scelti venivano rinchiusi nel Cimitero per giorni (e
soprattutto notti) per testarne il coraggio.

La Biblioteca: una costruzione fatta di scansie e colonne che ricordano una grande libreria. Sono
disposti, invece di tomi e volumi, una serie di resti umani in ordine di grandezza, come una infinita
enciclopedia anatomica.

Il Monacone: una statua (una delle poche a non esser stata costruita con le ossa), con tanto di
tonaca bianca e cappa nera, raffigurante San Vincenzo Ferrer. Al di l della mole della scultura, di
per s minacciosa, un preciso particolare a rendere la raffigurazione del frate domenicano ancor
pi inquietante: la mancanza della testa.

I Due Sposi: si gi detto di Gaetano Barbati, il docente che prese a cuore la cura del Cimitero
(grazie anche allintercessione del cardinale Sisto Riario Sforza) nella seconda met dellOttocento.
Alla sua morte, fu realizzata una cappella commemorativa, ai piedi della quale, stranamente, fu
successivamente posta una bara in cui giacciono due scheletri che pare condividessero un intimo
segreto.

Il Capitano: il mito del teschio con locchio nero si lega al precedente mistero dei due sposi.
La giovane sposa era molto devota al teschio del Capitano, al quale era solita chiedere grazie.
Da qui in poi, la leggenda si dirama in due versioni.
Nella prima variante, il promesso sposo, estremamente scettico e forse un po geloso, accompagn
la sua futura moglie al cospetto del teschio, e infil in unorbita dello stesso un bastone di bamb,
per scherno, rendendola nera, e deridendolo lo invit alle sue nozze.
Durante il lieto evento nuziale, tra gli invitati si pales un uomo vestito da carabiniere. I due sposi si
accorsero della presenza, la quale si svest delluniforme e mostr la sua vera costituzione: era uno
scheletro che, per vendetta, maled i due amanti e tutti gli invitati che morirono allistante.
Nella seconda versione, invece, si narra che il giorno prima del matrimonio fu la sposa a invitare il
Capitano alle sue nozze, per proteggere col suo spirito limportante funzione religiosa. Sullaltare,
lattenzione dello sposo fu attirata dalla presenza di un uomo in alta uniforme che se ne stava
sorridente in fondo alla chiesa. Lo sposo, ingelosito, si avvi furioso verso luomo misterioso e gli
diede un pugno in un occhio. Il carabiniere si ricompose e, ancora sorridente, and via. Il giorno
successivo alle nozze, i due amanti si recarono al Cimitero per salutare il teschio del Capitano:
unorbita del cranio era nera, come se avesse ricevuto un pugno.

Donna Concetta: o il teschio che suda: questa capuzzella posta in una scaravattola solitaria,
quasi a sottolinearne limportanza rispetto agli altri teschi. Osservando pi attentamente, si pu
notare che il cranio lucido. Si potrebbe dire che si tratta dellumidit del luogo che va a depositarsi
sulla calotta, ma strano come tutto intorno rimanga polveroso. I fedeli a Donna Concetta sono
soliti affermare che si tratta del sudore delle anime pezzentelle, ovvero la materializzazione delle
fatiche dei trapassati, utile come acqua purificatrice, e che quindi quel cranio sia un punto di
incontro tra le anime dei vivi e quelle dei morti. Per verificare lesaudirsi delle grazie richieste,
basta poggiare la mano sul cranio: se questa si bagna, la grazia ricevuta.
La mummia di Donna Margherita: assieme al marito Filippo Carafa, conte di Cerreto dei Duchi
di Maddaloni, le spoglie di Donna Margherita Petrucci, nata Azzoni, rimangono le poche di cui si
conosce davvero lidentit.
I due nobili, morti a pochi anni di distanza, nel decennio del 1790, hanno lonore di giacere in bare
di vetro e ancora vestiti, ed quindi possibile notare che il volto della donna si mummificato
perfettamente con la bocca spaventosamente spalancata. Diceria vuole che la donna sia morta
soffocata, ecco spiegato il motivo della bocca aperta, a causa di uno gnocco che le and di traverso.

Capa Rossa, il postino delle anime: le anime pezzentelle, una volta scelto il custode vivente (
bene ricordare che erano i defunti a scegliere i viventi, non viceversa!), comunicavano tramite i
sogni. La capuzzella pi ricorrente quella di Capa Rossa, chiamata cos per il colore del cranio e
perch in sogno appariva con le sembianze di un postino dai capelli rossi. Luomo era solito
comunicare notizie buone o comunque importanti.

Fr Pasquale: singolare la storia del cranio di un frate assai dispettoso, Pasquale, il quale in
sogno dispensava numeri da giocare al lotto. Ma lo faceva solo quando e se ne aveva voglia!

Lombra di Don Francesco: sempre riguardo ai numeri fortunati da giocare al bancolotto, negli
Anni Settanta gli abitanti del luogo, nottetempo, si appostavano fuori dai cancelli del Cimitero. Un
misterioso gioco di luci proiettava, se si era degni, le ombre inviate dal teschio di un cabalista di
origini spagnole, Don Francesco, rivelando i numeri fortunati su cui scommettere.

Per quanto possa apparire grottesco tutto ci, il Cimitero delle Fontanelle ammantato da un'aura di
fascino e protezione, la stessa che per secoli avvolge i defunti che ci abitano e, allo stesso modo, i
visitatori che percorrono le immense navate.
4 - Castel dell'Ovo
il castello pi antico della Citt e sorge sullisolotto di tufo di Megaride, lembo naturale del
Monte Echia, sul quale i Cumani fondarono nel VIII secolo a.C. Parthenope, dal nome della sirena
che morta a causa dellinsensibilit di Ulisse alla magia del suo canto il mare trasport sul luogo
dove sarebbe sorta la Citt di Neapolis.

In epoca romana, il patrizio Licinio Lucullo costru sullisolotto e sul Monte Echia unenorme villa
che si estendeva dalla collina di Pizzofalcone fino allattuale Piazza Municipio. La propriet,
registrata come Castrum Lucullanum, possedeva unimportante biblioteca curata, successivamente,
dai monaci basiliani che dalla fine del V secolo si stabilirono sullisolotto e, adottando la regola
benedettina, crearono un importante scriptorium. I monaci, nel X secolo, si ritirarono a
Pizzofalcone, perch il complesso fu distrutto dai duchi napoletani al fine di evitare linsediamento
dei Saraceni.

I normanni, a Napoli nel 1140, fecero di Castel dellOvo dimora del loro re Ruggero II, mentre nel
1222 diventa sede del tesoro reale grazie a Federico II, che fortific anche la struttura facendo
costruire la torre di Colleville, quella di Maestra e la torre di Mezzo. Sotto il re di Napoli Carlo
dAngi il castello divenne residenza della famiglia reale, poich i tesori regi furono spostati al
Castel Nuovo (Maschio Angioino) ancora pi fortificato.

Castel dell'Ovo Napoli in questo periodo che il castello inizia ad essene nominato Chateau de
lOeuf o Castrum Ovi incantati: il nome Castel dellOvo proviene da unantica leggenda
secondo la quale il poeta e mago Virgilio nascose nelle fondamenta delledificio un uovo magico
grazie al quale lintera fortezza si tiene in piedi ancora oggi. La sua rottura, infatti, avrebbe raso al
suolo il castello e portato numerose maledizioni e catastrofi alla citt di Napoli. Questa credenza era
molto sentita dal popolo napoletano, a tal punto che in et angioina (XIV secolo), durante il regno
di Giovanna I di Napoli, il crollo parziale di un arco portante provoc ingenti danni alla struttura e
la regina, per arginare il panico diffusosi tra la popolazione, dovette giurare di aver sostituito
luovo. La stessa Giovanna I abit il Castel dellOvo prima di essere qui imprigionata, per poi finire
in esilio in Basilicata, a causa del tradimento del cugino Carlo III.

Diversi eventi storici hanno, dunque, modificato loriginario aspetto del castello. Grazie ai lavori di
ricostruzione avvenuti durante il periodo angioino e aragonese, larchitettura del Castel dellOvo
cambi radicalmente, fino a giungere allo stato attuale.

Durante loccupazione spagnola e durante il regno borbonico il Castel dellOvo perse


definitivamente la sua funzione di residenza reale e venne utilizzato sia come base militare dalla
quale gli spagnoli bombardarono la Citt durante i moti di Masaniello sia come prigione. Tra i
prigionieri pi celebri ricordiamo: Tommaso Campanella, recluso nel Castel dellOvo prima della
condanna a morte, e successivamente alcuni giacobini, carbonari e liberali fra cui Francesco de
Sanctis.

Tra la fine dell800 e linizio del 900, sullisolotto sorsero diversi Caf Chantants, tra i quali i
celebri Eldorado e Santa Lucia, nei quali andavo in scena spettacoli di variet con ballerine,
cantanti e attrazioni nel pieno gusto francese della Belle poque. La diffusione di questi locali
notturni coincise con quella della canzone napoletana e nei Caf siti nel borgo del Castel dellOvo
sono passati personaggi celebri come Edoardo Scarfoglio, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo
e Roberto Bracco.
5 - Castel Sant'Elmo
l Castel SantElmo domina la citt di Napoli dal punto pi alto della collina del Vomero, situato nel
Largo San Martino, da cui si gode uno splendido panorama sul centro storico.

Si tratta di un castello medievale sorto intorno al 1300 nello stesso luogo dove si trovava, nel X secolo,
una cappella dedicata a SantErasmo, da cui Eramo, Ermo e poi Elmo, che diede il nome attuale della
fortezza. In origine era una torre dosservazione normanna (chiamata Belforte), e fu Roberto dAngi a
commissionare allarchitetto Tino da Camaino nel 1325 la costruzione del Palatium castrum, i cui lavori
si conclusero nel 1343 sotto il regno di Giovanna I dAngi.

Da allora il Castello fu assediato pi volte per la sua posizione strategica e di controllo sulle strade di
Napoli, e fu obiettivo militare soprattutto durante la contesa tra spagnoli e francesi per la conquista del
Regno di Napoli. Tra il 1537 e il 1547 Castel SantErmo, chiamato poi SantElmo, fu ricostruito su
commissione del Vicer spagnolo Don Pedro De Toledo ed assunse lattuale pianta stellare a sei punte.

Nel 1587 un fulmine colp il castello distruggendo le dimore di castellani e militari e la chiesa interna.
Ledificio fu quindi ricostruito tra il 1599 ed il 1610 dallarchitetto Domenico Fontana.

Tra Seicento e Settecento il castello divent un carcere, dove fu prigioniero anche il filosofo Tommaso
Campanella, e fu sede di moti rivoluzionari nel 1799, quando fu preso dal popolo ed assediato dai
repubblicani che proclamarono nella Piazza dArmi la Repubblica Napoletana. Castel SantElmo, dopo
il crollo della repubblica, fu ancora prigione, dove furono rinchiusi Giustino Fortunato, Domenico
Cirillo e Luisa Sanfelice, e rest carcere militare fino al 1952.

Solo negli anni 80 del Novecento Castel SantElmo divent una struttura di interessa culturale e
museale e dal 1982 lintero complesso monumentale stato affidato alla custodia della Soprintendenza
per i Beni Artistici e Storici di Napoli, aperto al pubblico nel 1988.
6 - Galleria borbonica
La Galleria Borbonica, una cavit sotterranea di Napoli che si estende sotto la collina di
Pizzofalcone, nei pressi di Palazzo Reale, nel quartiere San Ferdinando.

Con decreto del 19 febbraio 1853 Ferdinando II di Borbone commission all'architetto Errico
Alvino un lungo traforo sotterraneo che collegasse il Largo della Reggia (odierna Piazza Plebiscito)
a piazza della Vittoria, passando al di sotto della collina di Pizzofalcone. Una prima idea di eseguire
una galleria sotto il colle, che per non ebbe esiti n conseguenze concrete, fu elaborata da Antonio
Niccolini[1] verso il 1850.

L'opera rientrava nell'ambito delle opere pubbliche (infrastrutture e non) che Ferdinando II aveva
ideato, tuttavia il suo vero fine era militare: doveva costituire una rapida via di fuga (verso il mare)
per la famiglia reale in caso di tumulti e un rapido collegamento con la reggia per i soldati
acquartierati nelle caserme di Chiaia: la Caserma della Vittoria e la Caserma della Cavallerizza.

Alvino prevedeva una galleria a due corsie con due marciapiedi ai lati. I due sbocchi erano a
occidente su via della Pace (odierna via Morelli, aperta sempre nel 1853 dallo stesso Alvino),
proprio davanti la caserma della Vittoria, mentre a oriente presso l'attuale piazza Carolina, dietro la
basilica di San Francesco di Paola. Il tunnel si sarebbe dovuto chiamare Galleria Reale[2] e
entrambe le corsie avrebbero dovuto assumere gli appellativi reali: quella che conduceva a Chiaia
doveva essere intitolata Strada Regia mentre quella in direzione opposta Strada Regina.[2]

I lavori cominciarono subito, ad aprile dello stesso anno.[3] Si cominci a scavare da occidente.
Lungo il percorso il traforo intercett la rete di cunicoli e cisterne legate all'antico acquedotto fatto
costruire dal nobile Cesare Carmignano (1627-1629) che serviva la citt di Napoli e, in particolare,
la zona di Pizzofalcone, ma anche alcune delle numerose cave, tra cui le cave Carafa, incontrate a
pochi metri dall'inizio dello scavo. A comportare difficolt al prosieguo dell'opera furono anche la
morfologia irregolare del colle di Pizzofalcone e, in alcuni punti, il mancato consolidamento delle
ceneri vulcaniche in roccia solida. Questi fattori costrinsero Alvino a rivedere il progetto, che venne
modificato.

Il tunnel, scavato entro il 1855 dopo varie interruzioni, fu inaugurato dal Re il 25 maggio di
quell'anno, che rimase molto colpito dall'abilit dimostrata dall'architetto Errico Alvino nel
superare, pur lasciandole in attivit, 2 cisterne dell'acquedotto con la costruzione di due distinti
ponti sotterranei che sono considerati un vanto dell'ingegneria ottocentesca europea. Per l'occasione,
il tunnel rimase aperto al pubblico, ignaro degli scopi militari dell'opera, per tre giorni.[3] Tuttavia
lo scavo non fu mai ultimato perch proprio nel 1855 s'interruppe per problemi morfologici, a poca
distanza dal termine orientale, senza permettere dunque che sboccasse presso piazza Carolina. La
morte del Re nel 1859, e le vicende storico-politiche che investirono il suo successore Francesco II
delle Due Sicilie, ostacolarono la ripresa dello scavo, che rimase cos incompiuto.

Il percorso, nel secolo successivo, fu abbandonato, fino a quando durante la Seconda Guerra
Mondiale alcuni ambienti sotterranei furono adoperati e allestiti come rifugio antiaereo dal Genio
Militare, elettrificati e forniti di brandine, arnesi da cucina e una serie di latrine. Nel ricovero
antiaereo infatti poteva accadere che i napoletani rimanessero anche per molti giorni.

Nel dopoguerra fino agli anni settanta fu adibito a deposito giudiziario comunale dove fu ricoverato
vario materiale, come masserizie, moto e auto sequestrate. Molti palazzi soprastanti intanto avevano
adoperato le varie cave come discarica abusiva, gettandovi scriteriatamente ogni tipo di rifiuto
tramite pozzi e aperture abusive.
Negli anni ottanta le cave Carafa furono adoperate come parcheggio e, durante gli scavi per la
realizzazione della galleria della Linea Tranviaria Rapida in piazza del Plebiscito, il Tunnel fu
intercettato per errore e comport la riprogettazione dello scavo. Inoltre si tent di rafforzare l'opera
in corso iniettando nelle cavit materiali stabilizzanti.

Dal 2005 la struttura tornata all'attenzione dei geologi che lo hanno ispezionato, su incarico del
Commissariato di Governo per l'Emergenza Sottosuolo. Nel 2007, furono riscoperti ulteriori
ambienti e infine, dopo vari lavori di scavo e messa in sicurezza della struttura, il sito stato aperto
al pubblico dall'Associazione Culturale "Borbonica Sotterranea" il 29 ottobre 2010. Gli ambienti
sommersi da metri e metri di detriti di vario genere sono ritornati allo stato originario, divenendo
una rilevante attrazione turistica, grazie all'opera di volontari scavatori provenienti da tutte le zone
della citt e senza alcun contributo pubblico.

Il luogo dotato di una scenografica illuminazione e, tra gli altri interventi, vi soprattutto quello
del restauro e dell'esposizione delle auto e moto d'epoca ritrovate sul luogo e degli ulteriori
ritrovamenti di rilievo, come ad esempio il monumento dedicato al fascista Aurelio Padovani,
ritrovato nel marzo 2010 sotto cumuli di macerie.

Inaugurato a Napoli nella Piazza Santa Maria Degli Angeli a Pizzofalcone nel 1934, fu progettato
da Marcello Canino e scolpito da Carlo de Veroli, con la collaborazione di Guglielmo Roehrssen e
in quel momento la piazza cambi nome e prese quello del comandante fascista. La piazza
mantenne il nuovo nome e l'imponente monumento per una decina d'anni. Nel secondo dopoguerra,
la voglia di cancellare ogni simbolo del regime, port alla rimozione delle statue e alla restituzione
dell'antica toponomastica.

Nel settembre 2013, grazie alle continue campagne di scavo, stato ritrovato un secondo, enorme
rifugio antiaereo su pi livelli, al di sotto della collina di Pizzofalcone in prossimit palazzo Serra di
Cassano. Dopo vari lavori, stata intercettata la scala di accesso da palazzo Serra di Cassano.Il 30
gennaio 2016 il sito stato aperto al pubblico. Gli ambienti sommersi da metri e metri di detriti di
vario genere sono ritornati allo stato originario, divenendo una rilevante attrazione turistica, grazie
all'opera di volontari scavatori e dei proprietari dell'ingresso .
7 - San Gennaro
Fra i santi dellantichit, Gennaro certamente uno dei pi venerati dai fedeli grazie anche al culto
che gli tributano i napoletani accompagnato periodicamente dal misterioso prodigio della
liquefazione del suo sangue. Patrono amatissimo di Napoli, i suoi attributi iconografici sono il
bastone pastorale e la palma, simbolo del martirio.
Gennaro nacque a Napoli, nella seconda met del III secolo, e fu eletto vescovo di Benevento, dove
svolse il suo apostolato, amato dalla comunit cristiana e rispettato anche dai pagani. La vicenda del
suo martirio si inserisce nel contesto delle persecuzioni anti cristiane di Diocleziano. Egli conosceva
il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunit cristiana di Miseno e che fu incarcerato dal
giudice Dragonio, proconsole della Campania. Gennaro saputo dell'arresto di Sosso, volle recarsi
insieme a due compagni, Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere. Dragonio
informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di
Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa citt, Eutiche ed Acuzio. Anche
questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell'anfiteatro, ancora oggi
esistente, per essere sbranati dagli orsi. Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio, si accorse
che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i
cosiddetti giochi, cambi decisione e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri.

Durante il trasporto delle reliquie di San Gennaro a Napoli, la suddetta Eusebia o altra donna, alla
quale le aveva affidate prima di morire, consegn al vescovo le due ampolline contenenti il sangue
del martire; a ricordo delle tappe della solenne traslazione vennero erette due cappelle: S.
Gennariello al Vomero e San Gennaro ad Antignano. Il culto per il santo vescovo si diffuse
fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario lampliamento della catacomba.
Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto
del martire era vivo sin dal V secolo, tanto vero che molti cristiani volevano essere seppelliti
accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini. Va notato che gi nel V secolo il martire
Gennaro era considerato santo secondo lantica usanza ecclesiastica, canonizzazione poi
confermata da papa Sisto V nel 1586. La tomba divenne come gi detto, meta di continui
pellegrinaggi per i grandi prodigi che gli venivano attribuiti; nel 472 ad esempio, in occasione di
una violenta eruzione del Vesuvio, i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la
sua intercessione, iniziando cos labitudine ad invocarlo nei terremoti e nelle eruzioni, e mentre
aumentava il culto per s. Gennaro, diminuiva man mano quello per s. Agrippino vescovo, fino allora
patrono della citt di Napoli; dal 472 san Gennaro cominci ad assumere il rango di patrono
principale della citt.

Durante unaltra eruzione nel 512, fu lo stesso vescovo di Napoli, Stefano I, ad iniziare le preghiere
propiziatorie; dopo fece costruire in suo onore, accanto alla basilica costantiniana di S. Restituta
(prima cattedrale di Napoli), una chiesa detta Stefania, sulla quale verso la fine del secolo XIII,
venne eretto il Duomo; riponendo nella cripta il cranio e la teca con le ampolle del sangue. Questa
provvidenziale decisione, preserv le suddette reliquie, dal furto operato dal longobardo Sicone, che
durante lassedio di Napoli dell831, penetr nelle catacombe, allora fuori della cinta muraria della
citt, asportando le altre ossa del santo che furono portate a Benevento, sede del ducato longobardo.
Le ossa restarono in questa citt fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine
(AV), dove rimasero per tre secoli, addirittura se ne perdettero le tracce, finch durante alcuni scavi
effettuati nel 1480, casualmente furono ritrovate sotto laltare maggiore, insieme a quelle di altri
santi, ma ben individuate da una lamina di piombo con il nome. Il 13 gennaio 1492, dopo
interminabili discussioni e trattative con i monaci dellabbazia verginiana, le ossa furono riportate a
Napoli nel succorpo del Duomo ed unite al capo ed alle ampolle. Intanto le ossa del cranio erano
state sistemate in un preziosissimo busto dargento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II
dAngi nel 1305, al Duomo di Napoli. Successivamente nel 1646 il busto dargento con il cranio e
le ormai famose ampolline col sangue, furono poste nella nuova artistica Cappella del Tesoro, ricca
di capolavori darte dogni genere. Le ampolle erano state incastonate in una teca preziosa fatta
realizzare da Roberto dAngi, in un periodo imprecisato del suo lungo regno (1309-1343). La teca
assunse laspetto attuale nel XVII secolo, racchiuse fra due vetri circolari di circa dodici centimetri
di diametro, vi sono le due ampolline, una pi grande di forma ellittica schiacciata, ripiena per circa
il 60% di sangue e quella pi piccola cilindrica con solo alcune macchie rosso-brunastre sulle
pareti; la liquefazione del sangue avviene solo in quella pi grande. Le altre reliquie poste in
unantica anfora, sono rimaste nella cripta del Duomo, su cui sinnalza labside e laltare maggiore
della grande Cattedrale.

Secondo un antico documento lo scioglimento del sangue avvenuto per la prima volta nel lontano
17 agosto 1389; non escluso, perch non documentato, che sia avvenuto anche in precedenza.

Lo scioglimento del sangue avviene tre volte lanno; nel primo sabato di maggio, in cui il busto
ornato di preziosissimi paramenti vescovili e il reliquiario con la teca e le ampolle, vengono portati
in processione, insieme ai busti dargento dei numerosi santi compatroni di Napoli, anchessi
esposti nella suddetta Cappella del Tesoro, dal Duomo alla Basilica di S. Chiara, in ricordo della
prima traslazione da Pozzuoli a Napoli, e qui dopo le rituali preghiere, avviene la liquefazione del
sangue raggrumito; la seconda avviene il 19 settembre, ricorrenza della decapitazione, una volta
avveniva nella Cappella del Tesoro, ma per il gran numero di fedeli, il busto e le reliquie sono oggi
esposte sullaltare maggiore del Duomo, dove anche qui dopo ripetute preghiere, con la presenza
del cardinale arcivescovo, autorit civili e fedeli, avviene il prodigio tra il tripudio generale.
Avvenuta la liquefazione la teca sorretta dallarcivescovo, viene mostrata quasi capovolgendola ai
fedeli e al bacio dei pi vicini; il sangue rimane sciolto per tutta lottava successiva e i fedeli sono
ammessi a vedere da vicini la teca e baciarla con un prelato che la muove per far constatare la
liquidit, dopo gli otto giorni viene di nuovo riposta nella nicchia e chiusa a chiave. Una terza
liquefazione avviene il 16 dicembre festa del patrocinio di s. Gennaro, in memoria della
disastrosa eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dopo le invocazioni al santo. Il prodigio cos
puntuale, non sempre avvenuto, esiste un diario dei Canonici del Duomo che riporta nei secoli,
anche le volte che il sangue non si sciolto, oppure con ore e giorni di ritardo, oppure a volte stato
trovato gi liquefatto quando sono state aperte

Il mancato scioglimento del sangue considerato un cattivo presagio, infatti i prodigio non si
verificato, ad esempio, nel settembre del 1939 e del 1940, in corrispondenza con linizio della
Seconda Guerra Mondiale e dellentrata nel conflitto dellItalia. La stessa cosa era accaduta nel
settembre del 1943, data delloccupazione nazista, nel settembre del 1973, periodo della diffusione
del colera a Napoli e nel settembre del 1980, anno del terremoto in Campania.

7.1 Tesoro di San Gennaro


Oggi custodito in un caveau di una banca, essendo ingente e preziosissimo, linsieme dei doni
fatti al santo patrono da sovrani, nobili e quanti altri abbiano ricevuto grazie per sua intercessione, o
alla loro persona e famiglia o alla citt stessa. Le chiavi della nicchia, sono conservate dalla
Deputazione del Tesoro di S. Gennaro, da secoli composta da nobili e illustri personaggi napoletani
con a capo il sindaco della citt.
8 - San Giuseppe Moscati
Originario di Serino di Avellino, nacque a Benevento nel 1880, ma visse quasi sempre a Napoli, la
bella Partenope, come amava ripetere da appassionato di lettere classiche. Si iscrisse a medicina
unicamente per poter lenire il dolore dei sofferenti. Da medico segu la duplice carriera sopra
delineata. In particolare salv alcuni malati durante l'eruzione del Vesuvio del 1906; prest servizio
negli ospedali riuniti in occasione dell'epidemia di colera del 1911; fu direttore del reparto militare
durante la grande guerra. Negli ultimi dieci anni di vita prevalse l'impegno scientifico: fu assistente
ordinario nell'istituto di chimica fisiologica; aiuto ordinario negli Ospedali riuniti; libero docente di
chimica fisiologica e di chimica medica. Alla fine gli venne offerto di diventare ordinario, ma
rifiut per non dover abbandonare del tutto la prassi medica. Il mio posto accanto
all'ammalato!. La morte lo colse per infarto al culmine di una giornata come tante, verso le 15 del
12 aprile 1927. La poltrona dove si sedette, poco dopo aver applicato a se stesso la capacit
diagnostica che aveva salvato tanti, conservata ancora oggi, come tanti altri suoi oggetti, nella
chiesa del Ges Nuovo, grazie allintervento della sorella Nina.
Straordinaria figura di laico cristiano, fu proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 1987 al termine
del sinodo dei vescovi sulla Vocazione e Missione dei laici nella Chiesa.

Perch un Santo venga riconosciuto come tale dalla Chiesa occorre dimostrare che nel corso della
sua vita terrena ha praticato virt a livello eroico e che ha intercesso almeno per un evento
ritenuto miracoloso prima dellavvio del processo che porter alla sua beatificazione. necessario
inoltre un secondo miracolo e la conclusione positiva del processo canonico perch la Chiesa
dichiari Santo la persona in questione. Giuseppe Moscati, il medico dei poveri, si reso
protagonista di ben tre miracoli prima di essere proclamato Santo.

Costantino Nazzaro: era un maresciallo degli agenti di custodia di Avellino quando, nel 1923, si
ammal del morbo di Addison. La prognosi era infausta e la terapia aveva il solo ruolo di
prolungare la vita del paziente. Non cera, almeno allora, alcuna possibilit di guarigione da questa
rara malattia, la morte, infatti, era lunica via percorribile. Nel 1954, ormai rassegnato alla volont
di Dio, Costantino Nazzaro entr nella chiesa del Ges Nuovo e prego dinanzi la tomba di San
Giuseppe Moscati tornandovi ogni 15 giorni per quattro mesi. Ad estate inoltrata, tra la fine di
agosto e linizio di settembre, il maresciallo sogn di essere operato da Giuseppe Moscati. Il medico
dei poveri gli sostitu la parte atrofizzata del corpo con tessuti vivi e gli consigli di non prendere
pi alcun medicinale. Il mattino dopo Nazzaro era guarito. I dottori che lo visitarono non riuscirono
a spiegare limprevista guarigione.

Raffaele Perrotta: era piccolo quando i dottori gli diagnosticarono nel 1941 una meningite
cerebrospinale meningococcica a causa di terribili dolori alla testa. Il dottore che lo aveva visitato
non nutriva alcuna speranza di poterlo rivedere vivo e, poco dopo, le condizioni di salute di
Raffaele peggiorarono tanto che la madre del piccolo chiese lintervento di Giuseppe Moscati,
lasciando sotto il guanciale del suo bambino limmagine del medico dei poveri. Alcune ore dopo il
disperato gesto della madre il bambino era perfettamente guarito per stessa ammissione dei medici:
A parte discussioni cliniche del caso due sono i dati incontrovertibili: la gravit della sindrome che
faceva prevedere la prossima fine del giovane e limmediata e completa risoluzione della malattia.

Giuseppe Montefusco: aveva 29 anni quando, nel 1978, gli diagnosticarono una leucemia acuta
mieloblastica, malattia che prevedeva ununica prognosi: la morte. La madre di Giuseppe era
disperata ma una notte sogn la fotografia di un medico con addosso un camice bianco. Confortata
dallimmagine, la donna ne parl col suo sacerdote che fece il nome di Giuseppe Moscati. Bast
questo a tutta la famiglia che speranzosa inizi a pregare tutti i giorni affinch il medico dei poveri
intercedesse per miracolare Giuseppe. Grazia che fu concessa meno di un mese dopo.
9 - Maradona a Napoli
Sono poche le date che un tifoso ricorda per tutta la vita. Quelli del Napoli oltre allanno di grazia
1926 (anno in cui Giorgio Ascarelli fonda il calcio Napoli), ricordano sicuramente anche il 5 luglio
1984, quando al San Paolo fece la sua presentazione un certo Diego Armando Maradona, il
calciatore pi forte di tutti i tempi. Il primo anno il Pibe de oro salva gli azzurri dal baratro della
Serie B, poi inizia una sua personale battaglia per strappare lo scudetto alle squadre del nord.
Attorno allargentino gravitano stelle meno lucenti, ma solo perch in campo c il sole che gioca
con la maglia numero 10. Giordano e Carnevale andranno a comporre con Maradona la celeberrima
MA GI CA, che strapazzer le difese nostrane fino a cucirsi sul petto il tricolore, il 10 maggio
1987. E solo il primo di altri successi, tutti firmati dalla splendida genialit di Maradona. In quegli
anni la bacheca dei trofei verr arricchita con un secondo scudetto nella stagione 89/90, una Coppa
Uefa, una Supercoppa italiana e una Coppa Italia (quando era ancora strutturato come un vero e
proprio mini-campionato). A proposito, il Napoli detiene, per quella edizione, il record di 13 vittorie
in 13 partite in Coppa Italia, numeri mai pi eguagliati.

Il periodo doro termina con laddio di Maradona nel 1991, con i tifosi consapevoli di aver assistito
a qualcosa di irripetibile. Seguono altre buone stagioni con in campo personaggi come Zola e
Fonseca, non proprio gli ultimi arrivati. E sul finire degli anni90 che i problemi societari
diventano non gravi, ma gravissimi, e la squadra inizia un altalenante su e gi tra A e B fino al
fallimento del 2004. Altra data da ricordare, perch dalla Serie C sar poi unescalation inarrestabile
fino ai vertici del calcio italiano e internazionale sotto la guida del presidente del nuovo millennio,
Aurelio De Laurentiis.

9.1 - Rosa del Napoli 86-87 (primo scudetto)


Portieri: Garella, Di Fusco, Taglialatela

Difensori: Bigliardi, Bruscolotti, Carannante, Ferrara, Ferrario, Filardi, Lampugnani, Marino,


Renica, Volpecina

Centrocampisti: Bagni, Caffarelli, Celestini, Cioffi, De Napoli, Muro, Romano, Sola

Attaccanti: Maradona, Giordano, Carnevale (La MA.GI.CA.), Castellone

Allenatore: Bianchi

9.2 - Rosa del Napoli 89-90 (secondo scudetto)


Portieri: Di Fusco, Giuliani

Difensori: Baroni, Bigliardi, Corradini, Ferrara, Francini, Renica

Centrocampisti: Alemo, Bucciarelli, Crippa, De Napoli, Fusi, Mauro

Attaccanti: Careca, Carnevale, Maradona (capitano), Neri, Zola

Allenatore: Bigon
10 Cibi rappresenativi della cucina napoletana
Pizza
Di pizze in Italia, ma anche allestero, se ne trovano a iosa ma solo quella tipica napoletana,
morbida e coi bordi alti, riconosciuta dalla Comunit Europea come specialit tradizionale
garantita, ovvero il marchio Stg che tutela proprio i prodotti fatti secondo tradizione. Oggi si
trovano pizze per tutti i gusti, ma due sono le pi tradizionali: la marinara con pomodoro, origano,
aglio e la margherita, la tricolore con pomodoro, mozzarella e basilico. Si narra che a creare questa
pizza fu Raffaele Esposito, cuoco della pizzeria Brandi, come omaggio a Margherita di Savoia in
visita nella citt nel 1889. In realt, per, ci sono prove che questa pizza esistesse ben prima e che il
nome dipendesse dalla disposizione della mozzarella simile appunto a quella del fiore.

Pastiera
Napoli ha una ricca tradizione culinaria non solo per i cibi salati ma anche per i dolci, alcuni dei
quali legati solo a determinate festivit. La pastiera di grano uno dei dolci pi apprezzati, legato
tradizionalmente alla Pasqua, anche se nasce come simbolo di rinascita nelle feste pagane
primaverili. In teoria prepararla molto semplice: non altro che una base di pasta frolla con un
ripieno di grano, ricotta, zucchero e uova. Peccato che a dare alla pastiera napoletana originale il
suo caratteristico sapore siano la frutta candita e gli aromi, da dosare con maestria.

Friarielli
Prima coltivati anche a Napoli, tanto che il Vomero era chiamato o colle d' e friarielle, oggi le
cime di rapa vengono coltivate soprattutto nelle zone interne della Campania. Una possibile
derivazione del termine friarielli legata proprio alla cottura: frijere che in napoletano significa
friggere. Per prepararli basta prendere le parti pi tenere delle cime di rapa e metterle in padella con
aglio, olio e peperoncino. Spesso a Napoli vengono consumati come contorno alla salsiccia.

Bab
Nessuno ha dubbi sul fatto che il bab sia un dolce tipicamente napoletano, eppure le sue origini si
trovano in Polonia e in Francia. A creare il bab pare sia stato, infatti, Stanislao Leszczyski, re
polacco che si dilettava in cucina ma aveva problemi coi denti e, quindi, coi cibi troppo duri. Ebbe
cos lidea di inzuppare il kugelhupf, un dolce tipico della zona, con un vino ungherese. Secondo
altre fonti, invece, scagli il dolce contro un bicchierino di rum facendo una piacevole scoperta.
Fatto sta che il bab si trasfer a Parigi col celebre pasticcere francese, Nicolas Stohrer, che ne cre
una versione con macedonia di frutta chiamata baba savarin. Solo quando arriv a Napoli
nellOttocento, per, conobbe la sua fortuna con la caratteristica forma a fungo e un impasto ancora
pi soffice. E il rum ovviamente.

Mozzarella di Bufala
La mozzarella di bufala non propriamente di Napoli, ma propria delle province di Caserta e
Salerno. Ci nonostante indubbiamente uno dei cibi rappresentativi di Napoli. Mangiata come
antipasto, da sola o con un affettato, oppure messa ad arricchire una pizza margherita o un piatto di
gnocchi, la mozzarella di bufala sempre una delizia per il palato. Se la comprate dovete solo
rispettare una regola doro: la mozzarella di bufala non va conservata in frigorifero, ma a
temperatura ambiente. Il consiglio ovviamente quello di consumarla il prima possibile.
Struffoli
Gli struffoli sono delle palline di impasto fritte nellolio o nello strutto e poi condite con miele e
confettini. Limpasto degli struffoli molto semplice da realizzare: uova, farina, strutto, liquore
allanice e un po di zucchero. Anche questo dolce, pur essendo tipico campano, pare abbia origini
lontane. Secondo alcuni sarebbe derivato da un dolce arrivato in zona ai tempi della Magna Grecia,
mentre secondo altri deriverebbe dalle pionate della cucina andalusa. Di certo ormai sono diventati
uno dei cibi rappresentativi della cucina napoletana, specie nel periodo natalizio.

Frittata di pasta
A Napoli c una lunga tradizione di produzione della pasta di grano duro. Ancora oggi nella
regione risiedono alcuni tra i migliori pastifici italiani. Gli spaghetti vengono spesso identificati
come dei piatti simbolo di Napoli, da quelli semplici col pomodoro e quelli con le vongole. Una
delle preparazioni tipiche della citt la frittata di pasta, realizzata nella tradizione con gli avanzi di
una spaghettata, ma oggi anche preparata appositamente. Una volta cotti gli spaghetti o i vermicelli,
si mischiano con formaggio, salame e uova e si frigge in padella. Il piatto ideale per un pranzo al
sacco.

Fagioli e cozze
Altro cibo rappresentativo di Napoli sono i fagioli con le cozze. Il segreto di questo piatto sta nel
non farlo venire brodoso, come fosse una zuppa, ma bello denso. Nella cucina napoletana
tradizionalmente la pasta viene cotta coi legumi proprio perch, lamido che rilascia in cottura, aiuta
ad avere come risultato una maggiore consistenza. I fagioli con le cozze nascono come piatto
povero di una citt di mare, ma oggi apprezzato dai migliori chef, non solo napoletani.

Puttanesca
Spesso chiamata a Napoli aulive e cchiapparielle, la puttanesca un sugo tipico di Napoli a base
di pomodoro, olive nere di Gaeta, aglio, capperi e origano. La pasta principe da abbinare a questo
sugo sono gi spaghetti, ma oggi non mancano varianti con altri formati di pasta, anche corti. Sulle
origini degli spaghetti alla puttanesca ci sono diverse versioni. Secondo una di queste, ad avere
lidea di questo sugo fu il proprietario di una casa di appuntamenti nei Quartieri Spagnoli, secondo
altri si rif ai colori sgargianti indossati dalle prostitute per richiamare i clienti. Qualunque sia la sua
origine, oggi gli spaghetti alla puttanesca sono uno dei piatti da non perdere della cucina
napoletana.

Rag napoletano
Decantato anche in O rrau, una poesia di Edoardo De Filippo, il rag napoletano uno dei tre tipi
esistenti in Italia, insieme al bolognese e al potentino. Non c accordo sul tipo migliore di carne da
utilizzare, n sul tipo di pomodoro ma se c una cosa certa sono i tempi di cottura molto lunghi,
intorno alle sei ore. La carne non tritata ma intera, infatti spesso viene usato come piatto unico nei
pranzi domenicali.

Parmigiana di melanzane
A contendersi la paternit della parmigiana di melanzane con Napoli c anche la Sicilia, ma lunica
cosa certa che lutilizzo della melanzane in genere legato alarrivo del pomodoro nel nostro
Paese. Oggi esistono anche versioni light della parmigiana, con le melanzane grigliate invece che
fritte. La ricetta originale, invece, prevede che vengano fritte due volte: una volta appena tagliate,
unaaltra con farina e uovo. Alle melanzane fritte si aggiunge pomodoro, mozzarella, parmigiano e
basilico e non resta che gustarla.
Sfogliatella
La sfogliatella uno dei cibi pi rappresentativi di Napoli, ma chi non ha mai messo piede in
Campania a volte ignora che ne esistono due tipi: la pi famosa riccia a base di pasta sfoglia e la
frolla. A dare i natali a questo tipico dolce napoletano fu il monastero di Santa Rosa da Lima sulla
costiera amalfitana nel Settecento. Come spesso accade in cucina, tutto avvenne in modo casuale: la
suora voleva utilizzare della pasta di semola avanzata cos la mischi con frutta secca, limoncello e
zucchero e la avvolse nella pasta sfoglia. Dopo averla cotta in forno, in quel convento fu gustata la
prima sfogliatella, chiamata Santarosa dal nome del convento. Solo nel 1818 un cuoco riusc ad
entrare in possesso della ricetta e, dopo averla modificata in quella che noi oggi conosciamo, la
lanci al grande pubblico.

Pasta e patate
La pasta e patate uno di quei piatti delle classi meno abbienti della popolazione, diventato oggi
non solo uno dei cibi rappresentativi di Napoli, ma anche un cavallo di battaglia di alcuni chef. La
sua nascita collocata intorno al Seicento, quando i pi poveri trovarono nelle pasta e patate un
piatto economico e nutriente. Come in tutte le cucine povere, a volte era arricchito con pezzi di
scarto della carne, come il mascariello, ovvero la guancia del maiale o del bue.

Casatiello
I casatiello non manca mai sulle tavole napoletane nel periodo di Pasqua. Le origini di questa torta
rustica a base di strutto, farina, uova, formaggio e cicoli (ciccioliin italiano) risalgono a prima del
Seicento, anche se non se ne conosce esattamente la storia. La sua forma tipica a ciambella, che
richiama la corona di spine di Cristo crocifisso. Un tempo cotto nel forno a legna, oggi si prepara
quasi sempre in quelli domestici e ne sono nate numerose varianti: c chi usa anche pezzetti di
mortadella o di prosciutto cotto al posto del salame e dei ciccioli.

Zucchine alla scapece


Le zucchine alla scapece sono un piatto molto semplice da realizzare: non dovete dar altro che
friggere le fette di zucchine e condirle con aceto, aglio e menta. Secondo alcuni il nome deriverebbe
dal suo ideatore, Marco Gavio Apicio (25 a.C.-37 d.C.), un cuoco dellantica Roma, ma sembra
molto pi probabile che derivi dal termine spagnolo usato per indicare la marinatura nellaceto,
escabeche.

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