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Patient ee ec ne ste : Progetto prafco: Dario Zannier Il fuoco e il racconto Seater Seat nottetempo TL fuoco el racconto Alla fine del suo libro sulla mistica ebraica', Scholem racconta questa storia, che gli era stata trasmessa da Yosef Agnon: Quando il Baal Schem, i fondatore dello chassidiszmo, dovevs assolvere un compito difficile, andava in un certo posto nel bosco, accendeva un Fuoco, diceva le preghiere e ci che voleva si realizaava, Quando, una rrenerazione dopo, il Maggid di Meseitsch si tov di fronte allo stesso problema, sirecd in quel posto nel bo- seo e disse: “Non sappiamo pid accendere il fuoco, a ppossiamo dire le preghiere” —e tutto avvenne secondo il suo desideri. Ancora una generaxione dopo, Rabbi ‘Mosche Leib di Satsow si trov® nella stssasituazione, and® nel bosco e disse: “Non suppiamo pit accendere il fooco, non sappiamo pit dite le preghiere, ma cono- siamo il posto nel bosco,e questo deve bastare”.Ein- {atti basté, Ma quando un'altra generavione trascorse © Rabbi Israel di Rischin doverte anch’eglt misurarsi con la stessa diffcot, restd nel suo eastello, si mise a * Gershom Scholem, Legrand coment della mito ere, ea it di G. Ruso, Binaul, Teno 1993, p. 338. sedere sulla sua sedia doratae disse: “Non sappiamo Pi aecendere lfuoco, non siamo capaci di reciare le Pteghiere enon conosciamo nemmeno il posto nel bo. sco: ma di tutto questo possiamo ruccomtate la sori”. ancora una volta, questo bast E possibile leggere questo aneddoto come un'alle- soris della letteratura. L'umanita, nel corso della sua storia, si allontana sempre pit dalle sorgenti del mi- stero e smarrisce a poco a poco il ricordo di quel che la tradizione le aveva insegnato sul fuoco, sul luogo cla formula ~ ma di tutto cid gli uomini possono ancora raccontarsi la storia. Cid che resta del miste- 10 2 letteratura e “questo,” commenta sorridendo ‘I rabbino, *pud bastare”. Il senso di questo “pud astare” non &, per, cost facile da afferrare ¢ forse ildestino della letteratura dipende proprio da come 4o si intende, Poiché se lo sintende semplicemente nel senso che la perdita del fuoco, del luogo e della formula sia in qualche modo un progresso e che il frutto di questo progresso la secolarizzazione ~ sia Ia liberazione del racconto dalle sue fonti mitiche e la costituzione della letteratura divenuta autonoma fimtoenne in una fra separa, la cultura lora quel “pud bastare” diventa davvero enigmatico, Puo bastate ~ ma a che cosa? f credbile the ei Possa appagare di un racconto senza pid rapporto col fuoco? 8 Dicendo “di tutto questo possiamo raccontare la storia”, il rabbino, del resto, aveva asserito esatta mente il contrario, “Tutto questo” sig dimenticanza e cid che il racconto narra 8 appunto la storia dello smarrimento del fuoco, del luogo e della preghiera. Ogni racconto ~ tutta la letceratura ~&, in ‘questo senso, memoria della perdita del fuoco. Che il romanzo derivi dal mistero & un fatto ormai acquisito dalla storiografia letteraria. Kerényi e, dopo di lui, Reinhold Merkelbach hanno dimostrato Te- sistenza di un legame genetico fra i misteri pagani e romanzo antico, di cui le Metamorfosi di Apuleio (dove il protagonista, che stato trasformato in asino, trova alla fine salvezza attraverso una vera e propria iniziazione misterica) ci forniscono un documento particolarmente convincente. Questo nesso si mani- festa in cid, che, esattamente come nei misteri, noi vediamo nei romanzi una vita individuale legarsi a un clemento divino 0 comunque sovrumano, in modo che le vicende, gli episodi e le ambagi di un’esistenza ‘umana acquistano un significato che i superae li co- stituisce in mistero. Come Viniziato, essistendo nella penombra eleusina all'evocazione mimata o danzata del rapimento di Kore nell’Ade e della sua annuale riapparizione sulla terra in primavera, penetrava nel iistero trovava in questo una speranza di salve za per la sua vita, cost i lettore, seguendo Vintrigo di ° situazioni ed eventi che il romanzo intesse pieto mente 0 ferocemente intomo al suo personaggio, partecipa in qualche modo alla sua sorte introduce comunguella propria esistenza nella sfera del mistero, ‘Questo mistero si, perd, sciolto da ogni contenuto Imitico e da ogni prospettiva religiosa e pud essere, per questo, in qualche modo disperato, come avviene per Isabel Archer nel romanzo di James o per Anna Kare nina; pud perfino mostrare una vita che ha interamen. te perdutoil suo mistero, come nella vicenda di Emma Bovary; in ogni caso, se di romanzo si tratta, vi sara, per, comunque un'iniziazione, sia pute miserable, sia pure a nientaltro che alla vita stessae al suo scialo, Appartienc alla natura del romanzo di essere insieme perdita ¢ commemorazione del mistero, smarrimen- to ¢ rievocazione della formula e del luogo. Se ess0, come oggi sembra sempre pit spesso avvenire, lascia invece cadere la memoria della sua ambigua relazio- ne col mise, se, eancellando ogni traccia della pre- catia, incerta salvezza cleusina, pretende di non aver Disogno della formula o, pegaio, dilapida il mistero in tun coacero di fatti privat, allora la forma stessa del zomanzo si perde insieme al ricordo del fuoco, Leelemento in cui il mistero dilegua e si perde @ Ia storia, E us fatto su cui sempre di nuovo occorre i flettere, che uno stesso termine designi tanto il decor- s0 cronologico delle vicende umane quanto cid che 0 ON Ia letteraruta racconta, tanto il gesto dello storico € del ricercatore quanto quello del narratore. Noi pos- siamo accedere al mistero solo attraverso una storia ¢ tuttavia (0, forse, si dovrebbe dire infact) la storia & id in cui il mistero ha spento 0 nascosto i suoi fuochi, Tn una letera del 1937, Scholem ha provato a me- dlitare ~ a partire dalla sua personale esperienza di studioso della qabbalah — sulle implicazioni di questo nnodo che stringe insieme due elementialmeno in ap- parenza contraddittori come la verita mistica e l'in- cioé da quando ha cominciato a parlare — 2 sempre in corso contro di lui non @ altro che la parola stessa “Prendere il nome”, nominare se stessi e le cose sic gnifica potersi e poterle conoscere e padroneggiare, ‘ma significa insieme, sottomettersi alle potenze della colpa ¢ del ditto. Per questo il decreto ultimo che ‘i pud leggere tra le righe di tutti codicie di tute le Jeagi della terra recita: “I! linguaggio & la pena, Inesso tutte le cose devono entrare e in esso devono petize secondo la misura della loro colpa” 2 1 meysterium burocraticumr &,allora, Vestrema com- Pee ee tabile attraverso cui il vivente, parlando, & diventato cuomo, sié legato alla lingua, Per questo esso concerne tanto 'uomo ordinario che il poeta, tanto il sapiente cheI'gnorante, tanto la vitima che il eamefce. E per ‘questo il processo & sempre in corso, perché 'uomo ton cessa di diventare umano e di restare inumano, di entrare e uscire dall'umanita. Non smett, cio, di accusarsi ¢ di pretendersi innocente, di dichiararsi, come Eichmann, pronto a impiccarsi in pubblico e, tuttavia, innocente di fronte alla legge. E finché Puo- ‘mo non riusctaavenire a capo del suo mistero ~ del ristero del linguaggio e della colpa, cio’, in verita, dll owo exsere enon exere ancora uae del soe re o1non essere pid animale ~il Giudizia, in cui e Binseme giudicee inputs, non eeseta dl encre aggiornato, continuamente ripetera il suo non liquet. 2 Nei Vangeli, Gesti parla spesso in parabole, cos! spes- s0 che da quest abitudine del Signore & venuto il no- stro verbo “parlare”, sconosciuto al latino classico: parabolare, cio’ parlare come fa Gest, che “senza pa- rabola non diceva nulla” (chorés paraboles ouden ela- lei, Mt. 13,34). Ma il luogo eminente della parabola il “discorso del Regno” (logos tes basileias). In Matteo 133-52, ben otto parabole (il seminatore, la zizzania, il chieco di senape, i lievto, il tesoro nascosto, il mer. cante ¢ la perl la rete gettata in mare, lo seriba) si susseguono per spiegare agli apostolie alla flla (ocb- os, la “massa”) come si debba intendere il Regno dei cieli. La contiguita fra Regno e parabola &, anzi, cost stretta e costante, che un teologo ha potuto scrivere che “la basileia @ espressa nella parabola come para- bola” e che “le parabole di Gest esprimono il Regno 4i Dio come parabola”. La parabola ha la forma di una similitudine. “I Re- agno dei cieli & simile (bomo‘a] a un chicco di sena- > Bhechand Jngs, Palo e Ge. leon della crioloi, ea 4 IR Beano, Pail, Brescia 1978, p. 157, zB pe..”, Il Regno dei ciel as un uomo che semina.. pice Som festa os] un uomo che ‘getta il “ “4 parabola istituisce, cio’, una s¢ ane 2 fel Reano e qulcosa che roa gui con ala core 416 significa che Vesperienza del Regno passa travers la percerione cn somighanan che zal percezone di questa somighaza non sd per i Tn panos oe ee Di quila sua affinita cant parabola: le paabole esprinono d {iligome parabola perce eso sien fone a evento a peresione di una somiglana: ol hese, i i donna mescola in tre ‘tisure di farina, col Ge ISCOstO che un uomo trova nel campo, con la te gettata in mare che accogle ogni genere di pe ', soprattutto, col gesto del seminatore. pee Leragioni che Gesti da ; me jest di peril suo parlarein parabole apostll che oh chenatiche: In Matteo 1310-17, agli Pertbole, Geog nean® Perc paca alla masa in Perc men dato conse ier “ello od hisses sain mec nh owe gaa tc ha. Per questo parlo loro in parabole, perché vedenti non elon wt an edonon soaps 26 icli assomiglia (homoiothe] a (in Me 426: Rego ch In veritt, nemmeno gli apostoli hanno compreso, Isl momento che subito dopo egli deve spiegare loro parabola del seminatore. In Luca 8,9-16 le ragioni sembrano diverse, perché, dopo aver ripetuto che agli apostoli dato conoscere quel misteri del Regno che gli altri ricevono in parabo- Je “affinché guardando non vedano ¢ ascoltando non intendano,” Gesi aggiunge, con palese contraddizio- ne, che “nessuno accende una lucerna e la copre con tun vaso o la mette sotto il leto” che “non c’é nulla «dinascosto che non sari rivelato, nulla di segreto che hon sara portato alla luce”. Le parabole, secondo un modulo retorico familiare all'antichit3, sono un di- che sia compreso da chi ‘enello stesso tem- ‘po, esse esibiscono in piena luce il mistero. E proba- bile che le spiegazioni che Gesti di del suo parlare in parabola siano esse stesse una parabola, che serve da introduzione alla parabola del seminatore ("Voi dun- ‘que ascoltate la parabola del seminatore...”). ‘La corrispondenza fia il Regno e il mondo, che le pparabole presentano come una somiglianza, ® espres- sa da Gest anche come una vicinanza nella formula stereotipa “si avvicinato [eggiten] il Regno dei cieli” (Mt. 3,2 e 10,7; Me. 1,155 Le, 10,9). Egays, “vicino”, da cui deriva il verbo eggiza, proviene verosimilmente dda un tetmine che significa "mano": Ia vicinanza del a tempi di ordine tem iporale, spaziale: esso 2, letteralment Regno &, anche, una vicinanza, [Ultimo &, imine vicino e somigliante, Ja: specie vciansa del Regno si attesta anche viene espressa nei Vangel singolare confusione fra pre > Coa ac eben nee a Bent fo, Cay nel consol, i miti erediteranno la tera, gli alfamat Hintizia saranso saziati e i puri di cuore vedranno siustizia sono, jinvece, beati “perché di é ei ciel, quasi chedlsntagmna “Regrets p ee Besse il presente, anche dove dan oles un futuro, In Luca 11,12, Gesti dice senza possibile aoristo] il frutto della vite, fino ali fino al giorno in c nuove [pio kainom) nel Regno dei cel"), Bowe 2% é, soltanto ~ i ma anche e soprattutto. Cio significa che il Regno, che & percceclensal nino 4 17,20-21 che questa vera e propria soglia di in- senza fra i tempi viene espressa nel modo pitt ito. Ai farisei che gli chiedono: “Quando viene sheta) il Regno di Dio?”, Gest rsponde: “I Re- io non viene in modo che si possa vedere, diranno: Ecco, & qui o li’, Ecco, il Regno di Dio 1 portata delle vostre mani” (questo 2 il significato ‘entos ymon, ¢ non “dentro di voi”). La preseniza ~ pperché di presenza si tratta — del Regno ha la forma Uli una prossimiti, (Linvocazione nella preghiera di ‘Matteo 6,10: “Venga [eltheto] il tuo Regno” non con traddice in aleun modo questa apparente confusione dei tempi: Fimperativo, come ricorda Benveniste, non hha in verita earattere temporale). Proprio perché la presenza del Regno ha la forma di tuna vicinanza, essa trova la sua espressione pitt con- rua nelle parabole. Ed @ questo legame speciale fra la parabola e il Regno a essere in qualche modo te- matizzato nella parabola del seminatore. Spicgandola (Mr. 13,18-23), Gest stabilisce una corrispondenza frail seme e la parola del Regno (logos tes basileias; in ‘Me. 4,15 & detto chiaramente che “il seminatore semi: na il logos"). Il seme caduto lungo la via si tiferisce a “chi ascolta la parola del Regno enon la comprende”; «quello caduto sul terreno roccioso significa chi ascol- tala parola, ma 2 incostante e “subito si scandalizza di fronte alle tribolazioni o alle persecuzioni a causa 2 della parola”; il seme caduto tra le spine & chi ascolta {i parols, ma rimane senza frutto perché lalascis ot focare. dalle preoccupazioni di: ‘questo mondo; “quello invece seminato sulla terra buona, & colui che ascolta Ja parola ela comprende”. La parabola non tiguarda dunque immediatamen- te il Regno, ma piuttosto la “parola del Regno”, cioz de stesse parole che Gesti ha appena ‘Pronunciato, La parabola del seminatore 2 ciot, una parabela vain Parabola, in cui l’accesso al Regno & equiparato alla comprensione della parabola. Gh vi sia una corsispondenza fra la comprensione delle parabolee il Regno é la scoperta pit peniale oh Origene, ci’ del fondatore delleemencutice maden na, che la Chiesa ha sempre considerato come il mi, sliore dei buonic, insieme, il pegpiore fre 1 malvagi Origene, come lui stesso ei racconta, aveva aseolies aun ebreo una parabola secondo la quale futta Ta scrittura divinamente ispirata, a causa delle ‘oscuritd che contene, assomigla aun gran numero di ametechiuse «chive in un palazzo; sll porta di ogni ‘anera vi una chiave, ma non & quella gusta, csi che alla fne tutte le ciavi sono sparpaglae in modo che nessun corrisponda alla porta in ui a trove! cSt Piloaie 120, Se srs, Les Editions da Cert ‘Sources Chretennes”, 302), Paris 1983 244 30 La chiave di Davide, the apre e nessuno chiude- A che chnde enesunorprit, # ci che permet Pinespretarone delle Seite, insieme, Fingreso nel Reno’, Per questo econdo Orgene,iagen- lost aicustoi dela legs che impediscono la gi interpretazione delle Serzure, Gest he detto *guai a ‘oi, crib fais ipoers,perché chute il Kegno di cielie non lasciate enrare quelli che vogliono en: ” (Mt. 23,13). "Mla € nel comment la parabola dello sciba “stu sul Rego dei i’, Pla nella delle similitudini sul Regno in ilatteo, che Origene enuncia Sea nella parabola & cola che, srt le Sete inet nae a tou femmes “aves www pte praia), ee sean cpp carn mp diamo sled v fle mois cota singin porte lnadere Regn dco Che hihi abode cones ot ten stom al Reg della ena gull ce ono interpretati ciel “p20 * Ces, Conment «Matin 10.14 1M Simin Von Cra 221891 BL Comprendere il senso della parabola significa apri- rele porte del Regno; ma, dal momento che le chiavi sono state scambiate, proprio questa comprensione & la cosa pic difficile. Alfespetienza della vicinanza del Regno e alla para- bola del seminatore & dedicato un inno tardo di Hl dezlin, che ci & giunto in quattro diverse versioni cil ni titolo ~ Patmos ~ rimanda certamente a un conte: sto cristologico, Che il problema sia qui quello del- la vicinanza e, insieme, della difficolta dell’accesso al Regno di Dio cletto nell'esordio della prima stesura “Vicino &/e difficile da afferrare il Dio”. In questione in questa difficolta & nulla di meno che la salvezza “Dov’é il peticolo, ctesce / anche cid che salva’. Loseurita Finstern) che & evocata subito dopo non & senza rapporto con la scrttura, sei poeta pud chie- dere “ali per andare al di la col senso / pit fedele € tomare indietro”. Solo questo contesto neotestamen- tario pud spiegare 'improvvisa evocazione della pa- tabola del seminatore. Coloro che erano stati vicini a Dio e vivevano nel suo ricordo, ora hanno smattto il senso della sua paola: In rediproco eterno enigma non possono pif intenderst Je perfino FAlkssimo lassi volta I faccia 2 poiché nulla di immortale ‘ve da scorgere in cielo o sulla verde “Che cos'® questo?” chiede turbato il poeta. La ri: sposta rimanda, in perfeta coerenza, alla parabola sulla “paola del Regno”, che i perde enon viene pi intesa: Bl gesto de seminatore, quando prende con a pala il seme clo getta al chiaro ibrandofo sulla Liinterpretazione della parabola subisce qui tutta~ via un singolare rovesciamento: che il seme si perda ¢ la parola del Regno non dia fratto noa &, secondo il poeta, un male: Gli cade la citola devant ai pid, ma alla ine pivnge il grano ‘enon & un male se qualcosa ‘va perdutoe si spezne i suono vivente della parla F, contro la tradizione, cid che dleve essere curato il senso letterale ¢ non quello spirituale: Mail padre, che regna su tut, » bene, perché illcanto: sopratutto ama che venga curata Jn saldaltterae esate ben interpretato, La parola del Regno & destinata a perdersi e a resta- re incompresa, se non nella sua letteraliti, EZ questo & proprio da questa cura della lettera viene “Da cid segue canto tedesco”. I non intendere iti a parola del Regno & una condizione poetica, ‘Sulle parabole (Von den Gleick 1issen) & il titolo di -n Gleichnissen) &i titolo dun frammento postumo ‘di Kafka, pubblicato da Max Brod nel 1931, ae ‘in apparenza, come il titolo sembra ‘Suggerire, di una parabola sulle parabole. I] senso del breve dislogo che si svolge fra i due interlocutor d'un ter20, che recitail primo testo, non si fa parola) &, perd, recisamente il contrario, ¢ cioé che la parabola sulle pparabole non @ pid una parabola. a olism hc pace eso aosemped ior sola palmar lase ‘ian ce las be iam Queso de "al i? el non valde che ane dee ne dallsco a, co che spe snp ae el a tne alo een nen pat gute 41 agen, ce non comcast che seen pee degacptdaae che pean ton sp ere di Tate get ps bole vogiono dite propriamentesoltanto che Vinal tobi inafferrabil,e questa lo sapevamo gi, Ma cid di cui preaccupiame ogni giorno, sono altre cose. Unianonima voce (ener, “uno”) suggerisce la soluzio- ‘ne del problema: "Perché resistete? Se seguiste le para- bole, diventereste voi stessi parabola ¢ con cid sareste liberi dalle preoccupazioni quotidiane”, Lobiezione del secondo interlocutore— "scommetto che anche questa & luna parabola” ~ sembra, tuttavia insuperabile: anche il dliyentare parabola ¢ Puscita dalla realti sono, secondo ‘ogni evidenza, soltanto una parabola, cosa che il primo {nterlocutore non ha dificolta a concedere (“hai vinto") Solo a questo punto egli pud chiarire il senso del suo simento ¢ rovesciare inaspettatamente la sconfitta in vittoria, Al commento scanzonato del secondo: “Ma jpurtroppo solo nella parabola” eli risponde senza al- ‘cuna ionia: "No, nella reat; nella parabola hai perso", Chi si ostina a mantenere la distinzione fra realt ¢ parabola non ha capito il senso della parabola. Di- vyentare parabola significa comprendere che non vi & pi differenza fra la parola del Regno e il Regno, fra Il discorso e la realta. Per questo il secondo interlocu. tore, che insiste @ credere che luscta dalla realta sia ancora una parabola, non pud che perdere, Per chi si fa parola ¢ parabola ~ la derivazione etimologica mo- stra qui cutta la sua veriti ~ il Regno & cost vicino, che pud essere afferrato senza “andare al di la". 3s 1a Sande a tadionedelfermencuticn meal, critura ha quattro sensi (che uno degli autori dello Zohat asim quato fun dellEaee ce quattro consonanti della patola Pardes, “paradiso"): quello let. terale ostorico, quello allegorico, quello tropologice o morale, ¢ quello anagogico 0 mistico. Liultimo senso = com’é implicito nel suo nome (anagogia significa mo- vimento verso T'alto) ~ non & un senso accanto agli al- tri, ma indica il passaggio a un’alteadimensione (nella formulazione di Nicola di Lyra, eso indica quo tendas, “dove devi andare”). Lequivoco qui sempre possibile & quello di trattare i quattro sensi come divers gli uni agli altri, ma sostancialmente omogenei, come se, per esempio, il senso letterale si riferisse a un certo huogo 0.8 una certa persona e quello anagogico a un altro luogo 0 a un’altra persona. Contro questo equivoco, che ha partorito la stolida idea di un'interpretazione infinita, Origene non si stanca di ricordare che ‘non bisogna pensare che gli event storci sano figura dials eventistorici né che le cose corporal siamo fig ‘2, altre cose corporal ma che le cose corporali sono figura di reat spisitualie gli eventistorici di reali intellegibil. Tl senso letterale e il senso mistico non sono due sensi separati, ma omologhi: il senso mistico non & 36 ‘che Vinnalzarsi della letera oltre il suo senso logico, suo trasfiguraze nella comprensione ~cio®, la cessa- zione di ogni senso ultesiore. Capire la lettera,diven- tare parabola significa lasciare che in essa avvenga il [Regno, La parabola parla “come Regno non fossimo", ‘ma proprio e soltanto in questo modo essa ci apre la porta del Regno. La parabola sulla “parola del Regno” &, allora, una parabola sulla lingua, cio’ su cid che ci resta ancora sempre da capire ~ il nostro essere parlanti, Com- prendere la nostra dimora nella lingua non significa cconoscere il senso delle parole, con tutte le sue am Diguita e tutte le sue sottighiezze. Significa piuttosto accorgersi che cid che nella lingua @ in questione & Ia vicinanza del Regno, la sua somiglianza col mondo = cosf vicino e cosi somigliante che stentiamo a rico- noscerlo, Poiché la sua vicinanza & un’esigenza, la sua somiglianza un’apostrofe che non possiamo lasciare inappagate. La parola ci & stata data come parabola, zon per allontanarci dalle cose, ma per tenercele vici ne, pif vicine ~ come quando riconosciamo in un vol- to una somiglianza, come quando una mano ci sfora Parabolare & semplicemente parlare: Marana tha, *Si- snore, vieni” 7 Che cos’é Patto di creazione? Ik titolo Che aos'e Patto di creazione? riprende quello di una conferenza che Gilles Deleuze tenne a Parigi nel matzo 1987. Deleuze definiva Patto di creazione come un “atto di resistenza”. Resistenza alla morte, in- nanzitutto, ma resistenza anche al paradigma dell'in- formazione, attraverso il quale il potere si esercita in quelle che il filosofo, per distinguerle dalle societd i dlisciplina analizzate da Foucault, chiama “societi di controll”. Ogni atto di creazione resiste a qualcosa = per esempio, dice Deleuze, la musica di Bach & un atto di tesistenza contro la separazione del sacro e del profano. Deleuze non definisce che cosa significhi “resiste- re" e sembra dare al termine il significato corrente di ‘opporsi a una forza o a una minaccia esterna. Nella conversazione sulla parola “resistenza” nell’ Abeceda- rio, egli aggiunge, a proposito dellopera d'arte, che resister significa sempre liberare una potenza di vita che era stata imprigionata o offesa; anche qui, tutta- via, manca una vera definizione dellatto di creazione come atto di resistenza 39 Dopo tani anni passat leggere,scrivere estudiar, capi, awl i capice qual ii nostro mex spe ciale~ se ve n'é uno ~ di procedere nel pensieo ella ricerca. Si trata, nel mio caso, di pereepire quella che Feuerbach chiamava la “capaci i siluppo” conte. ‘uta nell opera degli autori che amo. Lelemento xe. ‘nuinamentefilosofico contenuto in un'opers ~ sla esa opera dare, di scienza, di pensiero~&la sua eapacith di essere sviluppata, qualeosa che rimasto 0 stato volutamente lasciato ~ non deto e che si tate di a. per torre erascoglere, Perce ques rere dle Iemento suceibie di esr silappato mi alfscina? etché se si segue fino in fondo questo principio me- todoloyco, si aria fatalmente a un punto in et nom & Pessiiledtinguere fe. che nostro eh che spt 1a invece all autore che stiamo leggendo, Ra ines ie ns ‘ome proprio, ogni dito autore e ogni pretest di otginalita vengono meno, mai riempie di piois Proverd pertanto a interrogare ci che & rimasto non detto nelPidea deleuziana dell ato di ereazione ome ato di rsistenta on questo modo, cece i continuare e proseguite, owiamente sotto la mis Piena responsabilita,i pensiero di un autore che amo, Devo premettere che pro\ certo di Ps Wo un certo disagio di fronte all'uso, purtroppo oss asa dllaso, del tox mine creazione in riferimento alle pratiche artisti- 40 the. Mentre indagavo Ia genealogia di questo uso, hho scoperto non seniza una certa sorpresa che una parte della responsabilita incombeva sug architet ‘Quando i teologi medievali devono spiegare la cxea- one del mondo, ess sicorrono a un esempio che era 1 stato usato dagli stoic. Come la casa preesiste nel- la mente dell architetto, scrive Tommaso, cosé Dio ha creato il mondo guardando al modello che era nella sua mente, Naturalmente Tommaso distingueva an- ceora trail ereare ex nibilo, che definisce la erenzio- ne divina, il facere de materia, che definisce il fare ‘umano. In ogni caso, tuttavia, il paragone fra Patto dellarchitetto e quello di Dio contiene gi in germe la trasposizione del paradigma della creazione allattivi- i delfartsta Per questo preferisco parlare piuttosto di atto poe- tico e, se continuerd per comodita a servirmi del ter mine creazione, vorrei che fosse inteso senza alcuna ‘efasi, nel semplice senso di poiein, “produrre”. Intendere la rsistenza soltanto come opposizione a tuna forza esterna non mi sembra sufficiente per una comprensione dell'atto di creazione. In un progetto i prelazione alle Philosophische Bemerkungen, Witt- genstein ha osservato come dover resistere alla pres- sione ¢ all'atrito che un'epoca di incultura — qual era per lui la sua e certamente & per noi la nostra ~ oppo- ne alla creazione finisca col disperdere ¢frammentare a le forze del singolo. Cid & tanto ve t lo. Cid & tanto vero che, nell’ Abece- fei Deleuze ha featito i bisogno di Precsae he atto di creazione ha costitutivamente a 1a iberuzione di una Potenza ne Che fate con 'enso, tuttavia, che la potenza che Patto di creazio- ne libera debba essere una potenca interna allo sesso Mconcetto di potenza ha, nella filosofia occi una lung storia che possi fa comincions oe stotele. Atistotele oppone ~ e, insieme, leya ls pax fenza (dynamis)allatto (energeia) e questa oppostina, ze, che segna tanto la sua metafisica che la ee fees & stata da lui trasmessa in eredita prima alla flosofie € Poi alla scienza medievale e moderna, E attraverse esta opposizione che Aristotele spiega quelt che ‘oi chiamiamo ati di cteazione, che per li coisck levano pit sobriamente con Pesercizio delle feeb) (arti nel senso piti generale della parola). Gli cen Pi cut ricorte per illustrare il passaggio dalla poten all'ato sono in questo senso signifcatvi: Parchineng (cikodomos) il suonatore di cetra lo scultore, mane che il grammatico e, in generale, chiunque possiods un sapere o una tecnica, La potenza di ctl Avie parla nl libro IX della Metefate coal noe 2 unima non &, cioe, la potenza generica, secondo cui diciamo che un bambino pud diventate architetto 0 scultore, ma quella che compete a chi a git acquisi- to Parte oil sapere corrispondente. Axistotcle chiama ‘questa potenza bexis, da echo, “avere”: l'abito, cio’ il possesso di una eapacith o abilta Colui che possiede —o ha I'abito di - una potenza ud tanto metterla in atto che non metterla in atto. La potenza — questa é la tesi geniale, anche se in apparenza ovwia, di Aristotele —@, cio’, definita es- senzialmente dalla possibilita del suo non-esercizio, Larchitetto & potente, in quanto pud non costruire, Ja potenza é una sospensione dell'atto. (In politica cid & ben noto, ed esiste anzi una figura, vocatore”, che ha appunto il compito ‘questo modo che Atistotele risponde, nella Metafsi- a, alla tesi dei megarici, che affermavano, peraltro non senza buone ragioni, che la potenza esiste solo nell'atto (energei mono dynastai, otan me energei ou dynastai, Met, 1046b, 29-30). Se cid fosse vero, obietta Aristotele, noi non potremmo considerare architetto T'architetto quando non costruisce, né chiamare medico il medico nel momento in cui non sta esercitando la sua arte. In questione &, cio’, il modo di essere della potenza, che esiste nella forma della hexis, della signoria su una privazione. Vig una * forma, una presenza di cid che non @ in atto, ¢ que- sta presenza privativa é la potenza, Come Aristotele afferma senza riserve in un passo straordinario della sua Fisica: “La steresis, a privazione, & come una for- ma” (eidos 1, Phys. 193b, 19-20). Secondo il suo gesto caratteristico, Aristotele spin ge allestremo questa tesi fino al punto in cui essa Sembra quasi trasformars in un'aporia, Dal fatto che la potenza sia definita dalla possibilita del suo non sercizio, egli trae la conseguenza di una costitutiva coappartenenza di potenza e impotenza, “Limpo- tenza [adynamia],” egli scrive (Met. 1046a, 29:32), “® una privazione contraria alla potenza [dynamis] Osni potenza & impotenza dello stesso rispetto allo stesso (di cui & potenza) [tow autow kai kata to auto pasa dynamis adynarvial”. Adynamia, “impotenza”, non significa qui assenza di ogni potenza, ma potenza. dinon (passare allatto),dymamris me energetn, La tesi definisce, cio, Pambivalenza specifica di ogni potenza tumana, che, nella sua struttura originaria, si mantione in rapporto con la propria privazione ed & sempre e rispetto alla stessa cosa ~ potenza di essere ¢ di non essere, di fare e di non fare. B questa relazione che costitusce, per Aristotele, Tessenza della potenza. I vivente, che esiste nel modo della potenza, pud la propria impotenza, ¢ solo in questo modo possiede la ptia potenza, Egli pud essere e fare, perché si tiene in relazione col proprio non essere ¢ non fare. Nella potenza, la sensazione & costitutivamente anestesia, il pensiero non-pensiero, Popera inoperosit. Se ricordiamo che gli esempi della potenza-di-non sono quasi sempre tratti dallambito delle tecniche dei saperi umani (la geammatica, la musica, Parchi- tettura, la medicina ecc.), possiamo allora dire che Puome @ il vivente che esiste in modo eminente nella dimensione della potenza, del potere e del poter-non. ‘Ogni potenza umana &, cooriginariamente, impoten- 2; ogi poteressere o-fare &, per 'uomo, costitutiva- ‘mente in rapporto con la propria privazione. Se tomniamo alla nostra domanda sulbatto di crea- one, cid significa che questo non pud essere in alcun ‘modo compreso, secondo la rappresentazione cor- rente, come un semplice transito dalla potenza all'at- to, Lartista non & colui che possiede una potenza di creare che, a un certo punto, decide, non si sa come « perché, di realizzare e mettere in atto, Se ogni po- tenza & costitutivamente impotenza, potenza-di-non, ‘come potri avvenire il passaggio allatto? Poiché Yat- 10 della potenza di suonate il piano & certamente, per il pianista, Fesecuzione di un pezzo sul pianoforte; ma che cosa avviene della potenza dinnon suonare nel mo- 9" ‘mento in cui egli comincia a suonare? Come si tealiz ge za una potenza di non suonate? ¢ s Possiamo ora comprendere in modo nuove la rela- zione fra creazione e resistenza di cui parlava Deleuze. ‘Via in ogni atto di creazione, qualcosa che resiste ¢ si oppone allespressione. Resistere, dal latino sisto, significa etimologicamente “arrestare, tener fermo” ¢ “arrestarsi", Questo potere che trattiene e arresta la potenza nel suo movimento verso V'atto ¢ limpoten- 2a, la potenza-di-non. La potenza @ cio’, un essere ambiguo, che non solo pud tanto una cosa che il suo ccontrario, ma contiene in se stessa unintima e irridu- cibile resistenza, Se questo é vero, dobbiamo allora guardare allatto di creazione come a un campo di forze teso fra poten- 2a ¢ impotenza, potere e poter-non agire ¢ resistere, Luomo pud avere signoria sulla sua potenza ¢ aver accesso a essa solo attraverso la sua impotenza; ma — proprio per questo —non sida, in verti, signoria sulla potenza ed essere poeta significa: essere in balia della propria impotenza, Solo una potenza che pud tanto la potenza che Pim- potenza éallora la potenza suprema, Se ogni potenza tanto potenza di essere che potenza di non essere, il passaggio all'atto pud solo avvenice trasportando nell'ato la propria potenza-di-non, Cid significa che, se a ogni pianista appartengono necessariamente la potenza di suonare e quella di non suonate, Glenn Gould &, pet, solo colui che pud on non suonare « rivolgendo la sua potenza non solo allatto ma alla 6 sua stessa impotenza, suona, per cost dire, con la sua potenza dinon suonare. Di fronteallabilita, che sem- plicemente nega ¢ abbandona la propria potenza di non suonare, al talento, che pud soltanto suonare, Ja macstria conserva ed esercita nell’atto non la sua potenza di suonaze, ma quella di non suonare. Esaminiamo ora piti concretamente Pazione della resistenza nelPatto di creazione. Come Pinespressivo in Benjamin, che spezza nell’opera la pretesa dell ap. parenza a porsi come totalita, cosf la resistenza agi sce come una istanza critica che frena Pimpulso cieco ¢ immediato della potenza verso 'atto e, in questo ‘modo, impedisce che essa si risolva e si esautisca integralmente in questo. Se la creszione fosse solo potenza-di-, che non pud che trapassare ciecamente nell'atto, larte decadrebbe a esecuzione, che procede ‘con falsa disinvoltura verso la forma compiuta perché hha rimosso la resistenza della potenza-di-non. Con trariamente a un equivoco diffuso, la maestria non & perfezione formale, ma, proprio al contratio, conser- ‘vazione della potenza nellatto, salvazione del'imper- fezione nella forma perfetta. Nella tela del maestro 0 nella pagina del grande serittore, In resistenza della potenza-cl-non si segna nell’opera come 'intimo ma. jerismo presente in ogni capolavoro. Ed @ su questo poter-non che si fonda in definitiva ‘ogni istanza propriamente critica: ci che Verrore di a gusto rende evidente, sempre una carenza non tanto sul piano della potenza-di-, ma su quello del potet- non. Chi manca di gusto non riesce ad astenersi da ualcosa, la mancanza di gusto @ sempre un non poter non fare, A imprimete sull’opera il sigillo della necessita & dunque, proprio cid che poteva non essere o pote vva essere altrimenti: la sua contingenza. Non si tratta, ui, dei pentimenti che la radiografia mostra sulla tela sotto ali strati di colore, né delle prime stesure o delle varianti attestate nel manoscrtto: si trata, piuttosto, di quel “tremito leggero, impercettbile” nella stes. sa immobiliti della forma che, secondo Focillon,¢ il contrassegno dello stile clasico. Dante ha compendiato in un verso questo carattere anfibio della creazione poetica: “Vartista /ch’a Pabito de Parte ha man che trema”. Nella prospettiva che ui cinteressa, Papparente contraddizione fra abito ‘mano non @ un difetto, ma esprime perfettamente la dluplice struttura di ogni autentico processo creative, intimamente ed emblematicamente sospeso fra due impulsi contraddittor: slancio e resistenza, ispirazio. ine ¢ critica. E questa contraddizione pervade tutto ‘Vato poetico, dal momento che gia Pabito contrad. dice in qualche modo Tispirazione, che proviene da altrove ¢ per definizione non pud essere padroneg- giata in un abjito, Jn questo senso, la resistenza della potenza-di-non, disativando Pabito, esta fedele all'i- spirazione, quasi le impedisce di reificarsi nelPopera Partsta ispirato 2 senz’ opera. E, tuttavia, la potenza- (non non pud essere a sua volta padronegiata etra- sformata in un principio autonomo che finirebbe con impedire ogni opera. Decisivo & che Yopera tisult sempre da una dialettica fea questi due prineipi int mamente congiunti In un libro importante, Simondon ha scritto che Tuomo’, per cos dire, un essere a due fasi, che risulta dalla dialettica fra una parte non indivieluata e imper- sonale ¢ una parte individuale e personale. II preindi- viduale non é un passato cronologico che, a un certo punto, sirealizzaerisolve nellindividuo: esso coesiste ‘con questo e gli resta irriducibil. E possibile pensare, in questa prospettiva, latto di creazione come una complicata dialettica fra un ele- mento impersonale, che precede e scavalea il sogget to individuale, e un elemento personale, che ostina tamente gli resiste. Limpersonale é la potenza-di-, il genio che spinge verso opera e espressione, la po tenza-di-non é la reticenza che l'individuale oppone allimpersonale, il carattere che tenacemente resiste allespressione ¢ la segna con la sua impronta. Lo stile diun’opera non dipende solo dal’elemento imperso- nale, dalla potenza creativa, ma anche da cd che resi- ste € quasi entea in confltto con essa ” Lapotenza-di-non non nega, petd, la potenza elafor- ‘ma, ma, attraverso la sua resistenza, in qualche modo le espone, come la maniera non si oppone semplicemente allo stile, ma pud, a volte, metterlo in rsalto. verso di Dante @, in questo senso, una profezia che annuncia la tarda pittura di Tiziano, quale si mostra, per esempio, nell Avnunciazione di San Salvador. Chi ha osservato questa tela straordinaria non pud non es- sere colpito dal modo in cui, non solo nelle nubi che sovrastano le due figure, ma perfino sulle ali dell'an- ‘zelo, il colore s‘ingorga e, insieme, si scava in quello cche @ stato a ragione definito un magma crepitante, dove “le carn tremano” e "i lumi combattono con le ombre”, Non sorprende che Tiziano abbia fitmato «quest’opera con una formula inconsueta, Titianus fett Jecit, “Tha fatta erifatta” — cioe, quasi disfatta, I fatto che le radiografie abbiano rivelato sotto questa scitta Ja formula usual facia, non significa necessariamen- te che si tratti di un’aggiunta posteriore. E possibile, al contrario, che Tiziano labia cancellata proptio pet sottolincare la particolarta della sua opera che, come suggetiva Ridolf, forse riferendo una tradizione ora- le che poteva rislite allo stesso Tiziano, i committenti avevano giuidicato “non ridotta a perfettione”. In questa prospettiva, ¢ possibile che la scritta che si legge in basso sotto il vaso di ior, ignis ardens nom ‘comburens, che rimanda allepisodio del roveto ar- 30 dente nella Bibbia ¢, secondo i teologi, simboleggia Ja verginita di Maria, possa essere stata inserita da T ziano proprio per sottolineare il carattere particolare dell'atto di creazione, che bruciava sulla superficie della tela senza, tuttavia, consumarsi, metafora per- fetta di una potenza che arde senza esautiti Per questo la sua mano trema, ma questo tremito @ la suprema maestria, Cid che trema e quasi danza nella forma é la potenza: fgnis ardens non comburens Di qui la pertinenza di quelle figure della creazione con frequent in Kafka, in ei il sande artista & def nito precisamente da un’assoluta incapacitarispetto alla sua arte. E, da una parte, la confessione del gran- de nuotatore: ‘Ammeto di detenere un record mondiale, ma se mi ciedeste comel/ho conquistao, non sapre spondervi in maniera soddiefacente. Perché, in real, io non so ‘nuotate, Ho sempre volute imparare, ma non ne ho mat avuto loceasione. Dalfalra, a straordinaria cantante del popolo dei tpi Josephine, che non solo non sa cantare, ma a ma- Tapena iesceafischire come tii toi simi, ut via, proprio in questo modo “raggiunge effetti che un artista del canto invano cercherebbe presso di noi che ‘appunto solo ai suai mezzi insufficient sono concessi". 1 Forse mai come in queste figure la concezione cor rente dell'arte come un sapere o un abito @ stata mes- sa alttettanto radicalmente in questione: Josephine canta con la sua impotenza di cantare, come il grande uotatore nuota con la sua ineapacita di nuotare La potenza-di-non non @ un’altra potenza accanto alla potenza-di-: & a sua inoperosita, id che risulta dalla disattivazione dello schema potenza/atto. Vi 2, ciod, un nesso essenziale fra potenza-di:non e inope- rositi. Come Josephine, attraverso la sua incapaciti di ‘eantare, non fa che esibie il fischio che tutti topi san- no fare, ma che, in questo modo, & “liberato dai lacci della vita piornaliera” e mostrato nella sua “vera essen 2a", cost la potenza-di-non, sospendendo il passagio all ato, rende inoperosa la potenza ela esibisce come tale. I poter non cantare é, innanzitutto, una sospen- sione e una esibizione della potenza di cantare che non trapassa semplicemente nell’atto, ma si tivolge a se stessa, Non vi, cio, una potenza di non cantare che precede la potenza di cantare e deve, pertanto, annul- Iasi perché la potenza possa realizzarsi nel canto: la pporenza-icnon @ una resistenza intema alla potenza, che impedisce che questa si esaurisea semplicemente nell atto ela spinge a rivolgersi a se stessa, a farsi po- ‘tentia potentiae, a potere la propria impotenza, Lopera ~ pet esempio Las Meninas ~ che risulta da questa sospensione della potenza, non rappresen- 2 ta solo il suo oggetto: presenta, insieme a questo, la potenza - T'arte ~ con cui é stato dipinto, Cost la) grande poesia non dice soo cid che dice, ma anche il fatto che lo sta dicendo, la potenza ¢ l'impotenza di dislo, Ela pittura & sospensione ed esposizione della | potenza dello sguardo, come la poesia & sospensione! ed esposizione della lingua. I modo in cui la nostra tradizione ha pensato T'ino- perosit& Yautoreferenza, il rvolgersi della potenza a fe stessa. In un passo famoso del libro Lambda del a Metafsica (1074b, 15-35), Aristotele afferma che “il pensiero [rocsis, Patto del pensarel & pensiero del pensiero [oeseos noesis]". La formula aristotlica non Sgnifica che il pensiero prende a oggetto se stesso (se cco fosse, si avrebbe ~ per parafrasare Ia cerminologia Togica — da una parte un metapensiero e dallaltra un pensiero-oggetto, un pensiero pensatoe non pensante). Laporia, come Aristotele suggerisce, concerne la na- ‘ura stessa del nons, che, nel De anima, era stato definito come un essere di potenza (“non ha altra natura che es sere potente” e “non 2 in atto nessuno degli enti prima di pensare”, De at, 429, 2124) e, nel passo della Meta Jisica, viene invece dcfinito come puro ato, pura noesis: Se pr pen gus ce & dh eo pc cones ‘essenza non sari l'atto del pensiero [noesis, Tsar pml ne pt eoon a als 3 ‘cosa migliore [...], Se esso non & pensiero pensant, ‘2 potenza,allora la comtinuitadeato del pensate gli risulterebbe fatiose, Lapotia si risolve se ricordiamo che nel De anima il flosofo aveva scritto che il nous, quando diventa in ato ciascuno degli intllesibil,“resta in qualche modo in potenza [...] € pud allora pensare se stesso” (De an, 429b, 9-10), Mente, nella Metafisca, il pensiero pensa se stesso (si ha, clog, un atto puro), nel De arsima si ha, invece, una potenza che, in quanto pud non passare allato, resta liber, inoperosa, epud, cos, peneare se stessa: qualeosa, cio, come tna pura poten {_E questo resto inoperoso di potenza che rende pos- sibile il pensiero del pensiero, la pittura della pittura, la poesia della poesia SeV'autoreferenza implica, cio, un eccesso costituti- vo della potenzasu ogni realizzazione nel’ato, occorte ‘ogni volta non dimenticare che pensare correttamente Tautoreferenza implica innanzitutto la disattivazione ¢ Tabbandono del dispositivo soggetto/ongetto. Nel uadro di Velézquez 0 di Tiziano la pittura (la pictura picta) non & Voggetto del soggetto che dipinge (della pictur pingens), cost come nella Metafisca di Arson lel pensiero non & loggetto del soggetto pensante, il che satebbe assurdo. Al contrario, pittura della pittura significa soltanto che la pttura (la potenza della pitta. 54 A Yatto della 1a, la pictura pingens) &esposta esospesa neato della pi, cou cee posi el poeta sii ce a lingua & espostae sospesa nel poema. il termine “inoperosita” non cessa 2 Neer quae sel sl ao casos Sara forse opportuno, a questo punto, che io provi « Scare sno gh ment qulcoss che oer definite come una “petica ~o una poles = dln pesos”, Ho agiuntol ermine “pole” perched tentatvo dl pensare altimenti apo i fae del uomin, on pub non matters in uestons loin cui concepiamo la politica. ag paso dll Eee Neomachew (097, 2x) Aritotele si pone il problema di qusle sia Topera dell uomo e suggerisce per un momento Iipatesi che Yuomo manchi di un’opera propria, sia un essere es: senzialmente inoperoso: Cone pean, se elie Cece gel relia pest erg atti Lan, Bono gato ein eel nino ome ne Cox Soc esr anche pr Fm se che Sipe quan ome open eon, Oppire id i poet i We ope th peo lice Sinn che ato so pe args, “nope % Ergon non significa in questo contesto semplice- mente “opera”, bensi cid che defnice Penergein ativiti o Vessere-in-ato proprio delluome. Nello ‘stesso senso gia Platone si era interrogato su quale fosse Vergon, Vattivita specifica — per esempio dal ex. vallo. La domanda sull’opera 0 sull'assenza di opera del? somo ha dunque una portata strategica decane oiché da essa dipende non solo la possibilita di as, ‘segnargli una natura ¢ un’essenza propria, ma anche, nella prospettiva di Aristotele, quella di definite la sug felicité e quindi la sua Politica, “ poems Aristotele lascia subito cadere Pipo- inoperoso, che nessnaopers Cnc possono definire, zone Vorrei invece proporvi di i prendete sul 0 lere sul sctio quest poe edi Pensare conseguentemente I'uomo come “ivente senz’opera. Non si tratta in alcun modo di un'ipotesi peregrina, dal momento che, con grande ‘scandalo dei teologi, dei Politologi e dei fondamen- talisti di ogni tendenza e partito, essa non cessa de apparire nella storia della nostra cultura. Vorrei citare solo due di queste riappatizioni ncl Novecento cna nelfambito delle scienze, e cio? lo straordinaro lk bretto di Ludwig Bolk, professore di Anatomia alPU- Eee di Amsterdam, che s'intitola Das Problem ler Menschwerdung (I! problema del antropogenesi, 36 1926). Secondo Bolk, 'uomo non deriva da un prima- te adulto, ma da un feto di primate che ha acquistato Ja eapacita di riprodursi. Luomo é, coe, un cucciolo di scimmia che sié costituito in una specie autonoma. ‘Questo spicga il fato che, rispesto agli alti esseri venti, egli sia e rimanga un essere di potenza, che @ in grado di adattarsi a tutti gli ambienti a tutti i cibi e « tutte le ativia, senza che nessuna di queste possa mai esautirloo definirlo, Ta seconda, questa volta nell’ambito delle art, & il singolate opuscolo di Kazimir Malevié L'noperosita come veri effettiva dell womeo, in cui, contro la tra- lizione che vede nel lavoro la realizzazione dell'uo- mo, linoperositi si afferma come la “pit alta forma di umanita”, di cui il bianco, ultimo stadio raggiunto dal Suprematismo in pittura, diventa il simbolo pit appropriato, Come tutti i tentativi di pensare lino- perosita, anche questo testo, come il suo precedente diretto, che & I'Elogio della pigrizia di Lafargue, in {quanto definisce linoperosita soltanto e contrario ri spetto al lavoro, resta imprigionato in una determi- nazione negativa del proprio oggetto. Mentre per gli antichi erail lavoro—il negotiurs ~ acssere definito in negativo rispetto alla vita contemplativa ~ Iota - i modemi sembrano incapaci di concepire la con: templazione, Pinoperosita e la festa altrimenti che ‘come riposo o negazione del lavoro. Poiché noi cerchiamo invece di definire Vinopero- sita in relazione alla potenza e all'atto “i cane, va da sé che non possiamo pensarla come oziosit 0 inerzia, ma come una prassi o una potenza di un tipo speciale che si mantenecostttivamente in apporo con la propria inoperosita Spinoza, el Ets, serve di un coneato che mi sembra utile per comprendere cid di cui stiamo par- Jando. Egli chiama sepuiescentia ne ps0 “a kat zia nata da cid, che P'uomo contempla se stesso e la sua potenza di agite” (IV, Prop. 52, Dimostrazione). Che cosa significa “contemplare Ia propria potenza di agire”? Che cos’é una inoperosita che consiste nel contemplare la propria potenza di agire? Si trata ~ io credo - di una inoperosita interna, per cost dire, alla stessa operazione, di una prassi su’ ge- ners che, nll’opera, espone e contempla innanzitutto Ia potenza, una potenza che non precede Vopera, ma Paccompagna e fa vivere e apre in possibilita. La vita, che contempla la propria potenza di agire e di non agire, si rende inoperosa in tutte le sue operazioni, vive soltanto la sua vivibilita Si comprende allora la funzione essenziale che la ttadizione della filosofia occidentale ha assegnato alla vita contemplativa e all'inoperositi: la prassi propria- mente umana & quella che, rendendo inoperose le ‘opere ¢ funzioni specifiche del vivente, e fa, per cosi dite, giare a vuoto e, in questo modo, le apre in pos- 58 sibilita. Contemplazione ¢ inoperositd sono, in questo senso, gli operatori metafisici dell’antropogenesi, che, liberando ilvivente womo da ogni destino biologico 0 sociale e da ogni compito predeterminato, lo rendo- no disponibile per quella particolare assenza di ope- ta che siamo abituati a chiamare “politica” e “arte”. Politica e arte non sono compiti né semplicemente “opere”: esse nominano, piuttosto, la dimensione in, cui le operazioni linguistiche e corporee, materali ¢ immaterial, biologiche e sociali vengono disattivare © contemplate come tali. Spero che a questo punto cid che intendevo par- lando di una “poetica dell’inoperositi” sia in qual- che modo pit chiaro. E, forse, il modello per eccel- Jenza di questa operazione che consiste nel rendere inoperose tutte le opere umane é la stessa poesia. Che cos’, infatti, la poesia, se non un’operazione nal linguaggio, che ne disattiva e rende inoperose le fanzioni comunicative e informative, per apricle a un nuovo, possibile uso? O, nei termini di Spinoza, il punto in cui la lingua, che ha disattivato Te sue fun- zioni utilitarie, riposa in se stessa, contempla la sua potenza di dire. In questo senso, la Coninedia o Cinit’o Il semle del piangere sono la contemplazio- ‘ne della lingua italiana, la sestina di Arnaut Daniel Ja contemplazione della lingua provenzale, Trilce e i poemi postumi di Vallejo la contemplazione della 9 lingua spagnola, le Mluntinazioni di Rimbaud la con- templazione della lingua francese, gli Inni di Hilderlin e le poesie di Trakl la contemplazione del- la lingua tedesca, E cid che la poesia compie per la potenza di dire, la politica e la filosofia devono compiere per la potenza di agire, Rendendo inoperose le operazioni econo- riche e sociali, esse mostrano che cosa pud il corpo lumano, lo aprono a un nuovo possibile uso. Spinoza ha definito lessenza di ogni cosa come il desiderio, il aonatus di perseverare nel proprio essere. Se & possibile esprimere una piccola riserva rispetto un grande pensiero, direi che mi sembra ora che anche in quest'idea spinoziana occorra, come abbia- ‘mo visto per l'atto di creazione, insinuare una picco- la resistenza, Corto, ogni cosa desidera e si sforza di erseverare nel suo essere; ma, insieme, essa resiste 4 questo desiderio, almeno per un attimo lo rende inoperoso e contempla, Si tratta, ancora una volta, di una resistenza interna al desiderio, di un‘inoperosita interna alloperazione. Ma soltanto essa conferisce al conatus la sua giustizia ela sua verita. In una parola ~ € questo &, almeno nellarte, "elemento decisive — la sua grazia. Vortici 11 movimento archetipico del'acqua @ la spirale. Se Pacqua che scorre nel letto di un fume incontra un ‘ostacolo, che sia un ramo oil pilastro di un ponte, in corrispondenza di questo punto si genera un movi- mento a spirale, che, se si stabilizza, assume la forma e Ta consistenza di un vortice. Lo stess0 pud avvenire se a scontrarsi sono due correnti d’acqua a temperature ‘© velocita diverse: anche qui vedremo formarsi mul nelli, che sembrano restare immobili nel flusso delle onde o delle correnti. Ma anche il rccio che si forma sulla cresta dell’onda & un vortice, che, per effetto del- la forza di gravita, si compe in schiuma, I vortice ha la sua propria ritmica, che & stata pa- ragonata al movimento dei pianeti intorno al sole. IL suo interno si muove a una velocita pitt grande del suo margine esterno, cosf come i pianeti ruotano pitt ‘ meno veloci secondo Ia loro distanza dal sole, Nel suo avvolgersi a spirale, ess0 si allunga verso il bas- so per poi risalire verso Valto in una sorta di intima pulsazione. Inoltre, se si lascia cadere nel gorgo un ‘oggetto ~ per esempio un pezzetto di legno in forma di lancetta — ess0 manterra nel suo costante ruotare a Ja stessa direzione, indicando un punto che é per cosi dle nord del vorice. I centro intono acute vero cui il vortice non cessa di turbinare @, perd, un sole ‘hero, in cui agisce una forza di risucchio o di suzione infinita. Secondo gli scienziati, cid si esprime dicendo cche nel punto del vortice in cui il raggio @ uguale a zero, la pressione é uguale a “meno infinito”. Sisitletta sullo speciale staruto di singolariti che de- finisce il vortice: esso & una forma che si separata dal flusso dell acqua di cui faceva e fa ancora in qualche ‘modo parte, una regione autonoma e chiusa in se stes- sa che obbedisce a leggi che le sono proprie; eppure, essa strettamente connessa al tutto in cui éimmersa, fatta della stessa materia che continuamente si scam: bia con la massa liquida che lacitconda. B un essere a sé, tttavia, non vi? una goceia che gli appartenga in proprio, la sua identi ¢ assolutamente immateriale. E noto che Benjamin ha paragonato Vorigine a un vortice: Lorigine (Ursprang] sta nel fuss del dvenire come un vortice e trascina dentro al proprio ritmo il materiale dle provi (teh ..) Lovginao wo ‘sere conosciuto come restaurazione, come riprist ‘no da una parte e dall'altra proprio per questo come un incompiuto ¢ un non eonchiuso, In ogni fenomeno i origine si determina a figure, nella quale sempre di ‘nuovo un'idea si confronts eal mondo stotic, finché ‘sso glace compiuto nella colt) della sua storia. Per ché'origine non emerge dalla sfera dei fat mas sifei- sce alla loro pre-e post-stora(..): La categoria dell’ rigine non &, perio, come ritene Cohen, una categoria ppuramente logics, ma storica. Proviamo a prendere sul serio Vimmagine dellori- sine come vortice. Innanzitutto lorigine cessa di es- sere qualcasa che precede il divenire e resta separato dda esso nella cronologia. Come il mulinello nel corso ddl fiume, Porigine & contemporanea al divenire dei fenomeni, da cui trae la sua materia, cin cui, tutavia, dlimora in qualche modo autonoma e ferma. E poiché ‘essa accompagna il divenire storico, cercare di capi- re quest'ultimo significhera non riportarlo indietro 4 unforigine separata nel tempo, ma confrontarlo mantenerlo con qualcosa che, come un vortce, &tut- tora presente in esso Lintelligenza di un fenomeno guadagna se non se ne separa Vorigine in un punto remoto nel tempo. Larché, Vorigine vorticosa che l'indagine archeolo- gica cerca di raggiungere, 2 un a priori stotico, che resta immanente al divenire e continua ad agire in esso. E anche nel corso della nostra vita, il vortice dell origine resta fino alla fine presente, accompagna in ogni istante silenziosamente la nostra esistenza. A 6 voltesi fa pii vicino, alere volte siallontana a tal pun- to che non riusciamo pit a scorgerlo né a percepimne il sommesso bulicame. Ma, nei momenti decisivi, ci afferta e trascina dentro di sé e allora di colpo ci ren- iamo conto di non essere anche noi nient'altro che un frammento dell'inizio che continua a mulinare in quel gorgo da cui proviene la nostra vita, a rotearvi dentro finché —a meno che il caso lo risputi fuori - ‘non raggiunge il punto di pressione negativa infinita e scompare. ‘Vi sono esseri che desiderano solo lasciarsi risuc- chiare nel vortice dell origine. Altri, invece, che man- {engono con essa una relazione reticente e guardinga, ingegnandosi nella misura del possibile di non farsi ingoiare dal maelstrom. Altri, infine, piti pavidi o ignari, che non hanno nemmeno mai osato gettarvi dentro uno sguardo, T due stadi estremi dei liquid ~ del’essere — sono la goccia¢ il vortice. La goccia @ il punto in cui illi- uido si separa da sé, va in estas (Pacqua eadendo 0 schizzando si separa allestremita in gocce). Il vortice il punto in cui il liquido si concentra su di sé, gira vyaa fondo in se stesso. Vi sono esseri-goccia ed esse vortice, creature che con ogni forza cercano di sepa- rarsiin un fuori e altri che ostinatamente si avvolgono su di sé, sinolerano sempre piti dentro, Ma & curioso “4 che anche la goccia, ricadendo nell’acqua, produca ancora un vortice, si faccia gorgo e voluta. Occorre concepire il soggetto non come una so- stanza, ma ane a vortice nel flusso dell’essere. Egli zon ha altra sostanza che quella dell'unico essere, ‘ma, tispetto a questo, ha una figura, una maniera € ‘un movimento che gli appartengono in proprio. Ed @ in questo senso che bisogna concepire il rapporto fra la sostanza e i suoi modi. I modi sono mulinelli nel campo sterminato della sostanza, che, sprofondando e turbinando in se stessa, si soggettivizza, prende co- scienza di sé, soffre e gioisce. ‘Tnomi—e ogni nome un nome proprio o un nome divino ~ sono vortii nel divenire storico delle lingue, smulinelli in cui la tensfone semantica e comunicativa del linguaggio s'ingorga in se stessa fino a diventare tuguale a zero, Nel nome, noi non diciamo piti~0.non diciamo ancora — nulla, chiamiamo soltanto. E forse per questo che, nella rappresentazione in- genua dellorigine del linguaggio, immaginiamo che prima vengano i nomi, discreti e isolati come in un dizionario, e che poi noi li combiniamo per formare il discorso. Ancora una volta, questa immaginazione puerile diventa perspicua, se comprendiamo che il home @, in reat, un vortice che buca e interrompe il flusso semantico del linguaggio, e non semplicemente 6 per abolilo, Nel vortice della nominazione, il segno linguistico, girando ¢ sprofondando in se stesso, s'in- tensifica ed esaspera fino all’estremo, per poi lasciarsi risucchiare nel punto di pressione infinita in cui scom- Pare come segno per riapparire dall'altra parte come puro nome. E il poeta colui che s'immerge in questo vortice, in cui tutto tidiventa per lui nome. Fgli deve Hiprendere una a una le parole significanti dal flusso del discorso e gettarle nel gorgo, per ritrovarle nel volgare illustre del poema come nomi. Questi sono qualcosa che raggiungiamo ~ se li raggiungiamo — sol- tanto alla fine della cliscesa nel vortice dellorigine. In nome di che? ‘Molti anni fa, in un paese non Jontano dall’ Europa, in cuila situazione politica era senza speranze ela gente depressa e infelice, pochi mesi prima della rivoluzione ‘che portd alla caduta del sovrano, circolavano casset- te in cui si sentiva una voce gridare: In nome di Dio clementee misesicordioso! Svepiatevi! Da deci anni il sovrano parla di svluppo e intanto ls nazione manca dei genesi di prima necesita. Gi fa pro ‘messe peril faro, ma la gente sa che le promesse del sovrano sono parole vane, Tanto le condizion spiritual ‘che quelle material del paese sono disperate. Mi ivolgo, voi, studenti, opera, contedini, commerciant ¢ ati: ani, invitandovi alla lotta, a formare un movimento di opposizione La fine del regime & vicina. Svegliatei! In ‘nome di Dio clemente emisericordioso! ‘Questa voce fu ascoltata dalla gente oppressa ¢ in- {alice e il sovrano corrotto costretto a fuggite. Anche nel nostro paese la gente @ triste e infelice, anche qui Ja vita politica & spenta e senza speranze. Ma, mentre quella voce parlava in nome di qualcosa ~ in nome a i Dio clemente e misericordioso -, in nome di chi o i che cosa una voce pud qui levarsi a parlate? Poi- ché non basta infati, che chi parla dica cose vere ed ‘esprima opinioni condivisibili. Occorre, perché la sua parola sia veramente ascoltata, che essa patli in nome di qualcosa. In ogni questione, in ogni discorso, in ‘ogni conversazione, la domanda decisiva @ in ultima analisi: in nome di che cosa stai parlando? Per secoli anche nella nostra cultura le parole de- cisive sono state pronunciate, nel bene e nel male, in nome di Dio. Nella Bibbia, non solo Mosé, ma tutti profeti ¢ Gest stesso parlano in nome di Dio, In que- sto nome sono state edificate le eattedrali gotiche e dipint gl affreschi della Cappella Sistina, e per amore di questo nome sono state seritte la Divina Commedia e'Etica di Spinoza. E anche nei momenti quotidiani i disperazione o di gioia, di rabbia o di speranza, @ in nome di Dio che si proferiva o si ascoltava la pato: Ja, Ma é vero, anche, che nel nome di Dio sono state combattute le Crociate e perseguitati gli innocenti Da tempo gui gli uomini hanno cessato di parlare in nome di Dio. Iprofeti—c forse a ragione ~non godono

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