Elémire Zolla
Le meraviglie
della natura
INTRODUZIONE ALL’ALCHIMIALA NATURA E LE QUALITA, OVVERO SPECIALITA
La Specialita sta nel vedere le cose del
mondo materiale come quelle del mondo spiri-
tuale nelle loro ramificazioni originarie ¢ conse-
guenti I piti bei geni umani partono dalle tene-
bre dell’Astrazione per giungere ai lumi della
Specialita. Specialita: species, vista, speculazione,
il vedere tutto ¢ di colpo; speculum, specchio,
mezzo per apprezzare le cose ravvisandole nella
loro interezza. Gesit era uno «specialista»: vede-
vail fatto nelle radici e nelle produzioni, nel pas-
sato che l'aveva generato, nel presente in cui si
manifestava, nel avvenire in cui si sviluppava
[...], La perfezione della vita interiore partorisce
il dono della Specialita.
Honore DE Balzac, Louis Lambert
(la xvi massima di Louis Lambert)
I. LE MERAVIGLIE DELLA NATURA
Come riacquistare la sensibilita e le arti alchemiche?
Guardandoci d’attorno con esultanza. Soltanto a questo patto,
sollevando una gleba odorosa, spiccando un frutto, contemplando le
iridescenze di gioielli o di cascate, lo splendore d’un incarnato
umano o d’una liscia pelliccia o d’una folgorante colata di metalli,
forse si sapra sentire la presenza-animatrice che ha plasmato e va pla-
smando queste materie, ¢ ora le stringe e indurisce nel pugno, ora le
sbriciola o fa scorrere liquidamente tra le dita, ora le accarezza e fa
17LE MERAVIGLIE DELLA NATURA,
brillare. II segreto dell’arte alchemicae d’ ogni sapienza sta nella capa-
cita di intuire con esaltazione questa mano solerte, invisibile ai
distratti ¢ ai tristi. Si dovrebbe percepire con levidenza stessa con
cui al Petrarca appariva la mano di Laura:
bella man che mi destringi 'I core
€'n poco spazio la mia vita chiudi.
Ovvero: con la certezza stessa cort cui Enea vede la mano divina
calcare la Sibilla cumana in estasi, la quale si contorce tutta, tentan-
do di scuotersela dal petto, ma
tanto pit allora il dio le affatica la bocca spumosa,
ne doma il fiero cuore e premendo la modella
Giova imparare a scorgere ’intera realta come fosse una Sibilla
sbozzata e atteggiata da instancabili invisibili dita. Una Sibilla é Ja
realta, enigmatica e sgomentevole; chi la contempli esultando sara il
pitt vicino a comprenderla.
Perché mai?
Non é esultante, di solito, 'uomo; sta per lo pit cupamente in
agguato, simile a un predatore, non ha tempo di rallegrarsi per lesi-
stenza del cosmo, di coglierne la soavita, sopraffatto com’s, quando
non da dura necessita, da crucci, da paure, da mostruose sciarade.
Il mondo é all'uomo, la pitt parte del tempo, un nemico, un pro-
blema, non fonte di gioia gratuita, non occasione di lode; ahimé, fin
quando si rimanga cosi ostili, il mondo appare altresi inintelligibile,
senza luce. Vi si sta, allora, come laceranti parassiti invece che come
sapienti intenditori. La metafora fu escogitata dal Campanella:
I mondo é un animal grande e perfetto,
statua di Dio, che Dio lauda e simiglia:
noi siam yermi imperfetti ¢ vil famiglia,
ch’intra 'l suo ventre abbiam vita ¢ ricetto,
Se ignoriamo il suo amor e’! suo intelletto,
né il verme del mio ventre s’assottiglia
a saper me, ma a fami mal s’appiglia:
dunque bisogna andar con gran rispetto.
E una metafora meditabile a lungo e con infinito profitto. Manon
é sufficiente, incontrando le cose, spendere un pio pensiero, largire
18LA NATURA E LE QUALITA
una benedizione, per ravvisare su di esse la mano del loro artefice.
Occorre percepirle come gradi, particolari qualita di luce. Luce é la
sostanza che non é sostanza, immateriale, é unica eppure infinita-
mente rifratta e percid infinita; questi sono gli attributi del divino.
Chi mai non abbia indugiato ad ammirare e lodare la luce, non
ginoltri sulla via alchemica. Nell’androne della dimora che fu di Jac-
ques Coeur, il gran finanziere della Francia medievale, a Montpellier,
un medaglione murato nella parete mostra il sole dal quale si spicca-
no tanti soli in fila git fino in terra, dove li riceve nel palmo della
mano, probabilmente, proprio lui, il banchiere dalla sensibilita alche-
mica, nel quale la sagacia finanziaria saccordava forse alla nobilta
d'un occhio che gl’infiniti misteri della luce innamoravano.
Vivere é assorbire luce. Si guardino le verdure negli orti. Prima di
verdeggiare erano celate, virtuali, nel seme. E che cosa rendeva seme
un duro e ruvido granello? Che cosa rende seme il seme? II bisogno
diluce, il quale, per poco che possa, esplode fuori da quella scorza.
Tl seme é un bisogno di luce, la verdura é quel bisogno che si appa-
ga. Mangiando le verdure, cuocendole e distillandole nello stomaco,
Panimale ne estrae un’essenza che assimila a se stesso, sicché, al
colmo dell’interna cottura e distillazione, esse diventano parte del-
l’'animale che vede la luce, diventano visione di luce.
La vita sulla terra é luce che ritorna luce.
Come potrebbe, la luce che illumina il mondo, non essere lume a
se stessa come é Jume a noi? E noi, quando si giunga ad abbracciare
Pintero ciclo della luce, quando si sia cioé illuminati, siamo il luogo
dove la luce torna a se stessa e sa di tornare a se stessa. Osservando
da illuminati il pane che si mangia, vi si riconosce il sole che I’ha
estratto dal grano, ¢ se siamo cid che mangiamo, siamo luce che vuol
tornare se stessa, a se stessa:
unten de lumine.
E questo il segreto che muove la vita intera, mysterium simplici-
tatis; 'uomo trova pace e senso soltanto nutrendo in sé questa cono-
scenza, mangiandola. E se altro va cercando, insegue sotto false spe-
cie questa visione di pace. Ma anche commerciando in ingannevoli
specie, usa pur sempre un simbolo della luce, una moneta, un pic-
colo sole d’oro: da esso ogni merce proviene, a esso ogni merce ritor-
na, su di esso ogni merce si misura: si illumina. Saperlo, meditarlo
non é soltanto un esercizio metaforale, ma puéd gettar luce anche sui
misteri della finanza, secondo si mostrera e come forse benissimo
19LE MERAVIGLIE DELLA NATURA
sapeva Jacques Coeur. Chi ne sia edotto puéd riuscire pid sagace dei
non illuminati, perfino nel gioco con quegli amuleti, con quelle reli-
quie del sole che sono le monete.
Annoté Leonardo:
«Guarda i] lume e considera la sua bellezza. Batti ’occhio e
riguardalo: cid che di lui tu vedi, prima non era, e cid che di lui era,
pit non é,
«Chi @ quel che lo rifa se ’l fattore al continuo more?».
Ecco un buon awvio a maturare dentro di noi Popportuno stupo-
re dinanzi alla luce, che genera e spazio e tempo, la cui natura é
imperscrutabile, come quella di Dio che sacrifica ininterrottamente
Se stesso a Se stesso (infatti: ’Assoluto include il relativo, ma come
telativo si nega e cosi afferma I’Assoluto).
2. LA QUALITA DELLE COSE.
Aristotele fu, senza ostentarlo, un maestro ottimo dell arte di per-
cepire in ogni cosa una gradazione o maschera della luce.
Sulla sua scorta s'apprende a cogliere fiutando, palpando, gustan-
do, scrutando le cose, ogni loro qualita: molle o duro, sottile o spes-
so, vischioso 0 friabile, umido 0 secco. Questi differenti modi che
hanno gli oggetti di confidare la loro natura, Aristotele insegnava a
ricondurli a due: umido e secco, poiché il molle e vischioso, il sotti-
le eil penetrante dipendono dall’umidita, mentre viceversa durezza,
friabilita e spessore provengono dalla secchezza. Aristotele definisce
umido cid che, non avendo un limite proprio, si dilata; secco cid che
viceversa ha un suo limite.
Dove pitt alta éla tensione a dilatarsi, vedremo, toccheremo acqua;
dove maggiore la tensione opposta, a restringersi, toccheremo vice-
versa terra (la secca, l’assetata: «terra» proviene dalla stessa radice di
«torrefazione» e di parole che significano sete: Durst, thirst).
Di terra e d’acqua in varia proporzione @ composta ogni materia;
anzi, dalle loro pitt o meno condensate esalazioni, di fumo dunque o
di vapore.
Fumo e vapore ~ pitt o meno densi é la gran compagine, il gran
teatro del mondo ovvero il caos (su «caos» si formé «gas»), Ma quan-
do s’é ripetuto coi poeti che tutto é «aereo tessuto», non si é enun-
ciata lintera verita, poiché questo caos assume volti, forme che non
sono mera evanescenza. Quando si sia esclamato che fumo e vapore
20LA NATURA E LE QUALITA
ail tutto, si sono individuate soltanto le qualita passive, materiali del-
Pessere, non gia l’energia immateriale che plasma, la mano che coa-
gula o scioglie. Aristotele insegna che questa energia si sente come
calore e il calore & una conseguenza della luce.
Tutto ha forma e consistenza mercé il calore o il gelo, che é sol-
tanto diminuzione di calore, fino al limite dell’assenza. Il calore coa-
gula il fumo facendone evaporare gli umori; I’assenza di calore
coagula viceversa i vapori, perché il calore interno, da cui erano de-
bolmente, fluidamente stretti, il gelo lo risucchia e strappa via, sic-
ché essi si stringono su se stessi, premuti dall’aria fredda che li fascia.
Certi corpi, essendo fervidi ¢ intrisi di scarsissima acqua, il calo-
re non li pud coagulare oltre, come il miele e il mosto; altri il calore
ingrossa soltanto perché sono saturi pit d’aria che d’acqua, come
Largento vivo, l’olio, la pece, lo sterco d’uccelli. Le terre, ovvero le
cose fredde e aride, mercé il calore sono rese malleabili, come si vede
nei legni e nei metalli.
Sicché la materia delle cose tangibili é acqua e terra, cioé gelo, ma
la loro forma o essenza energetica e plastica ¢ il calore.
Ma che cos’é l’essenza del calore, l’essenza dell’essenza?
Un’altra stupenda definizione porge Aristotele: calore é l’energia
che congiunge cid che & congenere, gelo & cid che unisce l’eteroge-
neo. Quello pone un limite, questo lo annulla, percié il calore é la
forma ovvero il profilo delle cose, mentre il gelo @ assenza: bisogno:
fame di forma.
Le formule aristoteliche illuminano, chiara lanterna, le arcaiche
cosmogonie; ecco, investite di nitida luce ellenica le metafore dogni
genesi:
All'inizio fu la Fame, il Tempo che divora ognt forma... fu il Gelo,
il Nulla... furono le Acque tenebrose... («La creatura in quanto viene
dal nulla é tenebra», scrisse san Tommaso nelle Quaestiones disputa-
tae de veritate),
Questa iniziale tenebra o materia o come altrimenti si voglia mai
dire, & cid di cui ogni cosa é fatta. In India si dice che tutto é fatto di
maya, inganno e arte del Creatore. La forma o idea delle cose & vice-
versa cid che esse sono a parte cid di cui son fatte, é il lume che ce le
fa riconoscere gia soltanto a scorgerne il profilo, é il fuoco che le ha
modellate e le sta modellando nella forma che hanno e che le fa rico-
noscere, appunto, in un baleno.
Si potrebbe perfino immaginare che «forma» abbia la stessa radi-
ce di formus, «caldo». Gli antichi sentivano infatti che era il mobile,
lingueggiante fuoco a formare e cesellare i corpi: artifex ad, formanda
21LE MERAVIGLIE DELLA NATURA.
corpora effigiesque coelandas mobilitas ignea. E quando-la mano del-
!'uomo, sostituendosi a quella che invisibilmente da forma al cosmo,
foggi nuovi corpi, lo fa in fornaci dove plasma pani, mattoni, cera-
miche, leghe metalliche grazie al calore del fuoco.
Dire calore & come dire la forma formante, owvero Penergia che
restringe le cose all’omogeneita, al loro limite proprio, e che si nume-
ra in frazioni: la serie 1/1, 1/2, 1/3, 1/0 - 0. La serie tende allo
zero, un simbolo complesso, che in certo modo é il nulla, in certo
modo é anche il segno dello scatto da un ordine di quantita a un altro
(alle decine, alle centinaia e via contando), percid la tensione allo zero
é una tensione al salto qualitativo 0, come disse Dante nel Convivio,
éil moto di alterazione.
Viceversa dire gelo, tenebra, acque, come dire materia mate-
riante, e questa opposta tensione si numera con la serie degl’interi:
1/1, 2/1, 3/1 > &/1, essendo la materia, al limite, semplicemente l’in-
definito: 0,
Le due serie divergenti e opposte hanno un punto di partenza e
di genesi comune: 1/1, ’'unita dove entrambe sono contenute, in
germe. Lunita manifesta la potenza del tutto, dallo zero all’indefini-
to, dei quali é Pincrocio. Inesauribile oggetto di meditazione fu Pu-
nita.
Gli Egizi la designarono con il geroglifico %, ¢ i pitagorici la chia-
marono frontiera tra gl’interi ¢ le frazioni, medieta degli opposti; nel-
Yantichita tutta una serie di immagini si evocavano per suscitarne I’i-
dea, l’esperienza nell’uomo, chiamandola compimento e quiete
profonda, punto inesteso della creativita, focolare del tutto, bilancia,
patibolo, croce, altare cosmici, rau o prima e ultima connessione
armonica, trono di Dio, stella del Tutto, del Pleroma. Nel Convivio
Dante la paragona al Sole che non é dato di fissare con lo sguardo,
perché del pari con l’occhio dell’intelletto non é concesso di inten-
dere l’infinita del numerabile, tutta in potenza racchiusa nell’unita
(«raia/dall’un, se si conosce, il cinque e il sei», dira Cacciaguida). Lu-
nita esprime anche la fondamentale dualita; se ne dipartono infatti le
due serie antagonistiche ¢ complementari del crescere e del dimi-
nuire, le quali altresi in essa si incrociano, ¢ la definiscono: incon-
trandosi in essa. Si vuole percepire questa unita? Bastera contem-
plare una corda vibrante: l’occhio vedra che dalla lunghezza della
parte in vibrazione dipende l’altezza del suono che l’orecchio ode: la
lunghezza, cioé lo spazio é in ragione opposta all’altezza sonora o
qualita che scandisce il tempo. II fenomeno sonoro nella sua unita —
visiva e acustica insieme — é la connessione fra due numeri situati
22LA NATURA E LE QUALITA
rispettivamente sull’una o sull’altra serie (> 0 € “> 2). Questa sco-
rta inebriava i pitagoricl. Sara possibile convitare a questa estasi
ancor ogi? Ear intendere che ogni rapporto di equilibrio, di armo-
nia qui si svela agli occhi e alle orecchie e all intelletto insieme, con-
temporaneamente? Chea questo modo I ‘uorno diventa divino, cioé
partecipa con tutto se stesso al mistero dell’Unita?
Per accrescere questa estatica consapevolezza di essere alle radi-
ci ovvero alla sommita di tutto, gli antichi evocavano una vasta serie
di similitudini, di metafore intorno a questo incrocio delle serie
opposte € reciproche, che combinandosi e scombinandosi foggiano
9 disciolgono le cose. Luna, dicevano, @ l’autosufficienza, la calda
luce, mentre l’altra é la dipendenza, la gelida tenebra. Sono i due fili
del reale, il bianco e il nero, il diurno e i] notturno, il fervido sole e
la fresca luna, il cielo e la terra (figlia o madre della luna), lavitae la
morte, lo zolfo e il mercurio: tutte queste diadi eccole nel rapporto
tra la lunghezza della corda vibrante ealtezza del suono emesso, che
stanno in ragione inversa luna rispetto all’altra.
Similitudine comunissima, specie in alchimia, quella con l’uo-
mo e la donna. Ma non va presa alla leggera, perché P'uno sta all’al-
tra in modo alternante, come i due serpenti del caduceo, le cui spire
sono ora a destra ora a sinistra rispettivamente.
Nell’amplesso @ attivo l’uomo, passiva la donna, l’uomo simbo-
leggiando cid che é caldo, sactificale, ptodigo, la donna cid che é
freddo, avido: e il maschio le é-sul piano sottile — succube e si vedra
infatti, nel gioco delle correnti psichiche, la debolezza, l’infermita
dell’uomo ispirare forza e quindi volonti d’assistenza alla donna. Ma
fuor del gioco dei mulinelli psichici di Venere o di Igea, i rapporti
sono inversi: la simbologia inscritta nei corpi rovescia i rapporti,
Puomo custodisce fuor di sé, nel freddo esteriore, il suo seme, men-
tre la donna cova il suo nel segreto di un’ interna, acida febbre. Quan-
to al gioco intellettuale fra i sessi, Ja mente dell’uomo é una matrice-
misuratrice materiante, lunare, rassomigliabile a una fredda tessitri-
ce, mentre la mente femminile é una fervida, fulminante, feconda,
generosa fonte d'ispirazione che offre all’uomo lo stame che solo lui,
avido, prensile, freddo, contratto com’é, sapra ordire.
Questa dualita é la nozione centrale dell’alchimia e i trattati inse-
gnano a farne proliferare al massimo le metafore. Il gran trattato set-
tecentesco Aurea Catena Homeri sciorina una coppia dopo Valtra: lo
spirito e il corpo, il padre e la madre, il nitro (0 zolfo-mercurio) ¢ il
sale, cielo-aria e terra-acqua, l’acciaio € il magnete, il martello e l’in-
cudine, e a dir tutto in breve: il Verbo sciolto o coagulato. Si pud
23LE MERAVIGIJE DELLA NATURA.
tiprendere: il superiore ¢ l’inferiore, l’uno composto di fuoce e aria,
Paltro di acqua e terra, quello di seminale, potentissima sottigliezza,
questo di mestruo o di fissazione owvero di terta liquida, ovvero di
acqua densa, ovvero di fuoco coagulato. Il superiore é fuoco o divi-
na onnipotenza e aria o divina sapienza: volonta e intelletto; l’infe-
riore si pud chiamare acqua di vita o amore o tetra dei viventi o
immortalit, Hsuperiore si potra anche denominare Caos da cui tutto
procede. Non va smarrita Pesattezza soltanto perché la similitudine
svaria per mille metamorfosi, diventando sempre pid bizzarta, favo-
losa e selvaggia.
Anzi. Soltanto questo incessante e infine frastornante lampeggia-
te d’arguzie, di fiabe in un guscio di noce, di Pproposte per racconti
allegorici, fa si che sensi e fantasia entrino in gioco, allenandosi a con-
figurare sensibilmente le invisibili energie formatrici del cosmo.
Goethe disse che ogni attento guardare é un connettere, dunque un
teorizzare e che teorizzare conviene con ironia, perché soltanto cosi
si evita l'insensibilita, l’astrattezza: si cessa d’essere seccanti, terra
terra.
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Mill il