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STORIA DELLE RELIGIONI – I GRECI

A CURA DI WALTER BURKERT (MILANO, JACA BOOK, 1984, 1977¹)


APPUNTI DI LETTURA E MATERIALI PER LA CITAZIONE

Vol 1. Preistoria – Epoca Minoico/Micenea – Secoli bui (sino al sec. IX)

Dalla Bibliografia
Jaeger, W. La teologia dei primi pensatori greci. Firenze, 1961 (Oxford, 1947¹; Stuttgart,
1953)
Jeanmaire, H. Dioniso. Religione e cultura in Grecia. Torino, 1972 (Paris, 1951¹).
Kerényi, K. (1) Die Mysterien von Eleusis. Zürich, 1962.
(2) Eleusis. Archetypal image of mother and daugther. London, 1967.
(3) Zeus und Hera. Leiden, 1972.
(4) Dionysos. Urbild des unzerstörbaren Lebens. München-Wien, 1976.
Mylonas, G.E. Eleusis and the eleusinian misteries. Princeton, 1961.
Rohde, E. Psiche. Bari, 1914-1916 (Freiburg, 1894¹).
Zuntz, G. Persephone. Oxford, 1971.

Burkert, W. Orpheus und die Vorsocratiker. In: <<Antike und Abendland>>, 14, 1968.
Pagg. 93-114.

Dalla Tavola Cronologica.


Pag. XXIV (1) scrittura 735 a.C.
(2) Protoarcaico 700-625 a.C.
(3) Arcaico maturo 625-570 a.C.
(4) Pisistrato tiranno ad Atene 570-552 a.C.
(5) Tardo arcaico 570-500 a.C.
(6) Anassimandro 547 a.C.
(7) Democrazia ad Atene 510 a.C.
(8) Rivolta ionica – inizio delle guerre persiane 500 a.C.
Pag. XXV (9) Primo classicismo 500-450 a.C.
(10) Eraclito, Parmenide dopo il 500 a.C.
(11) Eschilo 472-458 a.C; Anassagora ad Atene 464-434 a.C.
(12) Alto classicismo 450-420 a.C.
Sofocle 450-406 a.C. Euripide 438-406 a.C. Pericle.
(13) Guerra del Peloponneso 431-404 a.C.

1
(14) Stile ricco 420-380 a.C.
(15) Morte di Socrate 399 a.C.
(16) Platone 427-347 a.C.
(17) Tardo classicismo 380-325 a.C.
(18) Aristotele 384-322 a.C. Alessandro Magno 336-323 a.C.

Dalla Prefazione (di Giulia Sfameni Gasparro)


Pagg. XXIX-XXXIV Si sottolinea l’affermazione dell’autore circa l’unitarietà della
cultura e della religione greca dal IX-VIII secolo a.C. al IV d.C. Sulla base di credenze
(mito) e pratiche rituali. Religione etnica (non fondata). Non sussiste una dottrina religiosa,
né alcuna ortodossia. Ricchezza mitica e diversità cultuale. Le personalità divine e le
potenze sovrumane oggetto di ritualità. La prevalenza del rito sulla riflessione teologica
(primitivismo). Dio e la negazione (homo necans). Il Padre e la Madre divini: il sorgere
della dialettica negativa (i molti, la coppia, il vecchio e giovane). Orfismo, Pitagorismo e
religione filosofica platonico-aristotelica.

Dalla Introduzione
Pag. 2. F. Creuzer, Symbolik und Mithologie der alten Völker (1810): tentativo di
ricomporre ellenismo e cristianesimo, tramite l’interpretazione razionale-allegorica dei miti.
Pag. 5 Francis MacDonald Cornford, From Religion to Philosophy (1912); Principium
Sapientae (1952): il “dio morente” e la cosmogonia che prepara la filosofia naturale.
Pagg. 5-6 Emile Durkheim, Sigmund Freud: importanza del rito sacrificale, l’inconscio
individuale e collettivo (sulla pura potenza del pensiero).
Pagg. 6-7 C. Lévi-Strauss Anthropologie structurale (1958).
Pag. 7 Walter F. Otto Dionysos. Mythos und Kultus (1933); Gli Dei della Grecia
(Firenze, 1941).
Citazione, pagg. 12-13.
“La religione greca si presenta allo studioso di scienza della religione nella doppia veste
di rituale e mito. Mancano i fondatori della religione e testimonianze di rivelazione;
mancano anche organizzazioni sacerdotali o monacali. La religione è legittimata in quanto
tradizione, nel momento in cui essa stessa, incisiva forza della continuità, si conserva di
generazione in generazione. Il <<rituale>>, visto dall’esterno, è un programma di azioni
dimostrative - prefissato a seconda del tipo di esecuzione e spesso a seconda del luogo e del
periodo -, ed è <<sacro>>, in quanto ogni omissione o disturbo suscita grande paura ed è
causa di sanzioni. Comunicazione e impronta nel contempo, il rituale crea ed assicura la
solidarietà del gruppo chiuso; in tale funzione esso ha accompagnato le forme della

2
convivenza umana da tempi antichissimi. Inclusa nel rituale <sacro>> è l’invocazione di
potenze invisibili, nominate come controparte personale: <<dei>>, theoí, così vengono
chiamate sin dai primi testi di cui disponiamo. Maggiori informazioni su di loro ce le
fornisce il mito: un complesso di racconti tradizionali. A quest’ultimi i greci non hanno mai
attribuito carattere assolutamente impegnativo: la verità di un mito non è mai garantita e non
deve necessariamente essere <<creduta>>. Ma a prescindere dal fatto che il mito in un
primo tempo rappresenta l’unica forma esplicita di attività spirituale e di superamento della
realtà, il mito degli dei acquista la sua rilevanza proprio dal rapporto con i rituali sacri, ai
quali non di rado offre una motivazione, una eziologia, spesso esposta anche in tono
scherzoso. L’arte poetica da parte sua ha poi dato forma fissa e persuasiva a dei singoli miti,
e appunto la recitazione di questa poesia costituisce una componente irrinunciabile della
festa divina. Complesso nella sua essenza come nei suoi effetti, il mito greco si sottrae ad
ogni analisi e classificazione unidimensionale.”
Commento: storicismo hegeliano, critico delle interpretazioni marxiste, di tipo socio-
economiche. Rito e mito, attraverso la tradizione, sembrano definire il processo storico
dell’evoluzione religiosa della civiltà greca in forme lineari e deterministe, senza
opposizioni e trasformazioni apicali, non radicali 1 (come invece ipotizzo a proposito del
passaggio Eleusi → Orfismo). Suggerimento: cercare sostegno nella posizione di Lévi-
Strauss.

Dal Capitolo Primo: Preistoria e epoca minoico-micenea.


Pag. 18. Çatal Hüyük, città preneolitica dell’Anatolia meridionale.
Citazione: “Sculture di una <<Grande Dea>> con le mani sollevate e le gambe divaricate
accanto alla parete, evidentemente la madre genitrice degli animali e della vita in generale.”
Commento: Forse qui si può trovare il primo segno dimostrativo di quello spirito creativo
e dialettico (X), che animerà successivamente le prime posizioni filosofiche. Ionici come
Anassimandro devono qui essere ricordati e menzionati.
Pag. 18. A Sesklo (Tessaglia) sembra già essere presente una civilizzazione di tipo
patriarcale.
Pag. 19. Citazione: “Tuttavia è lecito supporre una certa continuità della religione in terra
greca conformemente al persistere della cultura e del costume contadino.”
Il culto a Demetra e Dioniso ha precedenti neolitici.
Pag. 25 Gli Indoeuropei introducono la civiltà patriarcale.

1
Apicale o non-radicale qui significa tutto ciò che viene imposto dall’alto, secondo un’apparente rivolgimento della
strutturazione originaria. Gramscianamente: equivale al sovversivismo delle classi dirigenti.

3
Citazione: “Il patrimonio lessicale dell’indoeuropeo contiene in sé un mondo spirituale da
cui si possono riconoscere le scale di valori, le gerarchie sociali e anche le concezioni
religiose. Evidente è l’organizzazione patriarcale, il ruolo fondamentale del <<padre>>
nella grande famiglia; l’agricoltura è conosciuta, ma ben maggiore importanza hanno
pascolo e allevamento di bovini e equini. Ci si immagina pertanto un popolo guerriero di
nomadi o seminomadi, che vivevano a margine delle civiltà superiori in via di formazione, e
che appunto riuscirono poi a farsi padroni del luogo.”
Commento: La civiltà patriarcale e guerriera degli invasori indoeuropei si incontra e
fonde in maniera dialettica con quella sedentaria ed agricola locale, basata sul culto della
Grande Dea Madre. L’incontro e la fusione ha il riflesso prolungato di un onda sismica, che
si propaga nel tempo, procedendo ad una ripresa ciclica dei medesimi temi e problemi. Sino
all’invasione dei Dori. Un’eco lontana risiede nella nascita dell’Orfismo e nella
trasformazione dei misteri eleusini. Un effetto ulteriore si realizza durante la prima
speculazione filosofica presocratica, quando la tematizzazione dell’Uno in Eraclito e
Parmenide pare trovare soluzioni apparentemente opposte (l’Uno tirannico e l’Uno aperto).
Pagg. 25-26. Citazione: “permangono, con dei, culto e poesia degli dei, dei sicuri punti
d’appoggio per una progredita religione degli <<indoeuropei>>. È il caso soprattutto del
<<Padre Cielo>>, il maggiore degli dei presso greci e romani: Zeùs patér, Diespiter-
Juppiter. Formata dalla stessa radice è una parola per i <<luminosi>> dei celesti: indiano
antico dèváh, latino deus; peraltro proprio nel greco questa parola è sostituita da theós.
Nessun altro nome nella cerchia degli dei olimpici è riconducibile con sicurezza a una
divinità indoeuropea, anche se taluni, come Era, Poseidone, Ares, sono formati da radici
indoeuropee.”
Commento: da collegare con Wikipedia (alla voce: “divinità olimpiche”).
Pag. 27. A proposito del termine “ecatombe”. Nell’indoeuropeo e nel greco: l’atto
magico legato al sacrificio, con effetti moltiplicatori.
I saggi di George Dumézil, tesi a paragonare la funzione triadica sociale di sacerdoti,
guerrieri e contadini e il relativo schema religioso. Citazione: “Così George Dumézil, nei
suoi saggi più volte rielaborati e ampliati, ha posto in risalto il sistema delle <<tre
funzioni>> di ceto sacerdotale, guerriero e contadino, come struttura fondamentale
riscontrabile nel pantheon, nel rituale, nel mito e in altre forme narrative e speculative.”
I saggi indicati sono: Ouranos-Varuna (1934); Jupiter, Mars, Quirinus (Torino, 1955,
1941¹); L’héritage indoeuropéenne à Rome (1949); L’idéologie tripartite des Indo-
Européens (1958); Mythe et Epopée. L’idéologie des trois fonctions dans les epopées des
peuples indo-européens (1968) [Mito ed epopea, Torino, 1982].

4
Commento: confronta con lo schema triadico presentato nel saggio personale sulla
relazione di trasformazione Eleusi → Orfismo.

Uno necessario e
d’ordine
Intelletto

Zeus Athena

Giove Anima Minerva

Padre Figlio

Era

Giunone

Spirito

Pagg. 27-28. Citazione: “Che il greco, e con esso la religione greca, sia da intendersi
come sintesi di un sostrato autoctono e di una sovrapposizione indoeuropea, rappresenta
ormai da tempo una convinzione fondamentale della storiografia. Altra questione è però
dove questo presupposto porti e se sia possibile verificarlo nei singoli casi. Fin troppo
evidenti sono i dualismi che si impongono in primo piano, scavalcano la distinzione fra
<<indoeuropeo>> e non indoeuropeo>>, e su di essa gravano: maschile e femminile,
patriarcato e matriarcato, cielo e terra, olimpico e ctonio, spirito e istinto. L’interazione dei
due poli si rifletterà poi nella religione greca, nell’attimo in cui i nuovi dei abbatteranno gli
antichi Titani o anche quando l’indoeuropeo Padre del Cielo farà sua sposa la <<Signora>>
mediterranea.
Un’analisi più attenta mostra quanto i fenomeni vengano per così dire violentati da una
tal sorta di schematismo. Il mito della generazione degli dei proviene dall’antico oriente, e
così pure l’immagine degli dei superiori contrapposti a quelli inferi; proprio i choaí
<<ctoni>> hanno legami con l’indoeuropeo, mentre il sacrificio <<olimpico>> si affianca al
semitico. Il Padre del Cielo, che certo in quanto <<padre>> non poteva non aver moglie,

5
come dio della tempesta, invincibile grazie al suo fulmine, si accosta con ogni probabilità
all’anatolico.”
Commento: Forse è possibile definire un quadro generale di opposizione ed unità – un
quadro di evoluzione dinamica - fra civiltà socio-politica e religiosa indoeuropea e
mediterranea, dove la molteplicità superiore ed inferiore delle divinità siano in collegamento
e scambio reciproco proprio grazie ad una sorta di sacrificio, capace di ricomporre
quell’opposizione iniziale – ricorda la sostituzione di Giacinto con Apollo (di provenienza
anatolica) 2 e la figura di Dioniso morente e rinato dei misteri orfici - in un’unità di potenza,
che garantisca il controllo e dominio della filiazione naturale ed umana. Qui si avrebbe la
territorializzazione ed astrazione della ragione (logos) come potere di definizione e
determinazione. Così non vi sarebbe alcun tipo di violenza applicando quello schematismo:
al contrario, questo consentirebbe l’inclusione non incoerente degli altri particolari religiosi.
<<Indoeuropeo>> e <<mediterraneo>> si fonderebbero insieme grazie a provenienze
semitiche (l’unità di potenza), anatoliche (il controllo ed il dominio, la successiva tirannide)
e lontano-orientali (la X, capace di portare con sé il concetto di infinito, lo zero come suo
opposto e di nuovo l’Uno, come continuità senza fratture).
Pagg. 29 e segg. La religione minoico-micenea.
Pag. 32. Citazione: “Ancora non si è definitivamente stabilito fino a qual punto, nella
religione, si debba e possa distinguere fra minoico e miceneo.”
Pag. 34. A proposito di figure umane in atto religioso. Citazione: “il gesto delle due
palme elevate contraddistingue colui che, stando in posizione centrale, attira su di sé gli
sguardi di tutti: si tratta del <<gesto epifanico>> della dea.”
Commento: nota come questo gesto in realtà rappresenti l’apertura creativa ed
immaginativa della ragione, centrale perché non sradicabile né obliabile, anche se
profondamente invisibile nella sua origine (cfr. il significato di natura in greco, come natura
naturante).
Pagg. 36-37. Il toro o il cavallo e la dea epifanica. La potenza della natura e della ragione
(X). L’ascia bipenne della tradizione anatolica.
Pag. 41. Citazione: “coppie di corna ornate di spirali” Commento: come non vedere in
questa immagine la raffigurazione visiva del concetto di apertura, legato alla potenza
naturale e razionale. La stessa spirale sovrapposta indica il movimento infinito, aperto, di
questa “epifania”. Il fuoco e l’offerta di animali vivi sono un modo per ricongiungersi alla
natura naturante, che si muove come il fuoco tutto trasformando ed ha come propri parti gli

2
Ricorda che Apollo (intelletto) sostituisce insieme a Zeus (giudizio, assoluto come fulmine) Poseidone (in coppia con
Demetra-Persefone), che viene prima disposto lateralmente in funzione di strumento finalizzato e controllato (mare,
commerci) e poi espunto dalla terza parte della triade greca, Artemide.

6
animali viventi. Le partizioni – ecco la giustificazione razionale dello smembramento -
dovevano coprire lo spazio dell’apertura. Il vuoto fra le parti ricorda la forza terribile della
natura. Una nascita antichissima per l’atomismo? L’altura sulla quale si praticavano i
sacrifici del fuoco rappresentava a sua volta l’elevazione centrale della precedente
visualizzazione legata al concetto di apertura. Cfr: pag. 42 citazione “Quale divinità si
intendesse evocare con tale forma di adorazione lo possiamo solo ipotizzare.” Nota i
tentativi di spiegazione seguenti. “Non è stata rinvenuta nessuna figura che potesse
rappresentare una divinità [il fuoco impersona la natura, ma la natura stessa è irrafigurabile
perché imprendibile]. La cima del monte fa pensare a un dio della tempesta, ma le feste del
fuoco greche sottostanno a una dea [l’altura è spiegata in precedenza, l’apertura è la natura,
divinità femminile]. Un sigillo rinvenuto a Cnosso mostra una dea, fra due leoni, in piedi
sulla vetta di un monte, mentre protende una lancia verso una figura maschile che le rivolge
lo sguardo; sull’altro verso si nota una costruzione cultuale sormontata da corna. La dea del
monte porge al re il segno del suo potere – così si può intendere l’immagine; ma se ciò offra
la chiave alla comprensione del culto <<d’altura>> resta ancora da vedere. [i leoni
“confinano” la potenza naturale e razionale, un po’ come farà Dike con l’Essente
parmenideo; una potenza elevata che avverte e minaccia l’assunzione del potere maschile
dalla chiusura da esso effettuata; le corna infatti ripetono l’apertura] L’immagine è del
periodo tardominoico (TM II), quando i santuari su alture già iniziavano a spopolarsi.
Sicuramente però l’immagine si inserisce in una tradizione iconografica che proviene
dall’Oriente. Laggiù la <<signora del monte>>, in sumerico Ninhursag, era ben nota già
molto tempo prima. [l’apertura può essere legata ad un orizzonte unitario, che può esserle
sovrapposto: a rappresentare - come filosoficamente successivamente si farà - l’Uno della
continuità, che oppone l’infinito di una creatività ora separata ed innalzata, non più
immanente (maschile? O maschilmente controllata?) all’annullamento di ogni
determinazione (nella cultura vedi il senso dello zero indiano), a minacciare il
mantenimento e la conservazione degli antichi miti, riti e società femminilmente
organizzate: l’intelletto e la volontà precedentemente legati al culto dell’apertura infinita,
ora vengono capovolti nella subordinazione del soggetto-suddito al potere maschile
tirannico delle città orientali: nasce il concetto e la prassi dell’Uno necessario e d’ordine,
cardine tradizionale dell’ideologia occidentale. Tutto ciò che prima valeva, ora viene
annullato: e l’annullamento è la condizione dell’alienazione, che permette il passaggio al
controllo maschile, organizzato e suddiviso, della società. Rappresentazione epistemologica
di questo passaggio è la costituzione del concetto di mondo o universo chiuso]”
Pag. 43. Gli stessi alberi-santuario costituiscono la prima sostituzione del fuoco con la
forma limitata e rinchiusa della vita, rinchiusa nel mondo unico, dove l’altare è il modello di

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quello precedente, l’altura. Nasce il concetto e la prassi della rappresentazione come
chiusura all’interno di ciò che sta all’esterno. Il pilastro ed il tempio, come il fondamento in
pietra, costituiscono allora la rappresentazione della rappresentazione stessa: il fatto che la
potenza naturale e razionale libera della religione viene sostituita tramite l’artificiale e
l’artistico dal potere del sacro, che si presenta come regolazione, in un’alternanza fra
minaccia lontana ma presente e vicina e beneaugurante rassicurazione. Fatto che,
finalmente, compare superficialmente nella manifestazione artigianale ed artistica degli
anelli dorati votivi, una prima forma di cattura della potenza del religioso, una prima forma
magica. La rappresentazione della rappresentazione nel suo momento culminante magico dà
allora luogo, alla superficie, alla manifestazione, come apparenza comunque rinchiusa nei
limiti sacri del mondo. In questo modo la precedente “epifania” viene sostituita da questa
“apparenza”, che comparirà tradizionalmente nella successione, anche lontanissima da
questa origine, delle speculazioni filosofiche di tipo idealistico (Platone, Aristotele,
Cartesio, Kant, Hegel). Questa “apparenza” ha poi i tratti gerarchici della manifestazione del
divino, di ciò che è lontano ma preminente e si avvicina per rassicurare e rendere felici. Un
misto di maschile e femminile che dà origine ad ogni tipo di movimento, sacro perché
rinchiuso entro i limiti divini, in una processionalità che si allontana per ritornare finalmente
al suo punto d’origine (cfr. Coro greco danzante). Nasce in questo modo pure la sostituzione
dell’immaginazione creativa e libera precedente - legata al desiderio, alla sensibilità ed alla
passione, senza essere disgiunta da una razionalità infinita - con la raffigurazione dello
spirituale attraverso la materia, che fa invece convergere ogni movimento produttivo
umano-maschile nell’atto e nella potenza del potere (sacrale e politico).
Pagg. 43-46. I santuari familiari sono poi la forma domestica, addomesticata e cittadina,
riprodotta e riproducibile, di questa forma di riduzione in cattività della religiosità libera,
naturale e razionale, precedente. Si assiste ora alla trasformazione del quadro religioso
generale: i culti del fuoco immanente vengono affiancati e/o sostituiti dai culti dell’acqua,
con un chiaro intento oppositivo. La magia immaginativa, permessa dall’inserzione
dell’artificiale e dell’artistico, e tramite la quale l’apparenza divina compare all’interno dei
limiti sacri ed insuperabili del mondo unico, consente la fissazione di un’ambiguità
fondamentale, costruita attorno all’apparente duplicità direzionale dell’elemento acqua
(evaporazione, condensazione). La presenza alta e minacciosa del potere punitivo (il pilastro
in pietra, raffigurazione del maschile), a fianco della forma accogliente e rassicurante (il
tempio, raffigurazione del femminile), la loro composizione e fusione, stabiliscono una
diagonalizzazione che fissa un punto elevato, che innalza una fonte vitale originaria capace
di organizzare attorno a sé l’intero mondo dei viventi, naturali ed umani. L’immagine della
fonte elevata sostituisce allora l’immagine libera e creativa del fuoco immanente e centrale,

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stabilendo il principio (arché) di una linearità determinativa e gerarchica, che giustifica
come maschera sovrastrutturale il potere patriarcale sulla famiglia e la società politica del
tempo. È in questo modo che, infatti, si dà fondamento alla trasmissione maschile del
patrimonio precedentemente accumulato, alienato e separato, predisponendo
conseguentemente tutti quegli strumenti ideologici che apriranno successivamente il mondo
alla dominazione dell’astratto e del convergente, dell’ordinato. Questa dominazione si
costituirà, quando si procederà ad un passaggio ulteriore: quando l’elemento acqua – capace
di spingere in avanti la fase di trasformazione orfica del pensiero teologico-politico e
naturale greco, predisponendo il passaggio alla luminosità superiore - verrà sostituito da una
verticalizzazione immaginativa ancora più spinta, con un processo di rotazione ulteriore che
indicherà allo zenith razionale la figura di un astro di fuoco – il sole – capace di riprodurre e
ridurre a sé (organizzare tirannicamente) ogni forma produttiva, ogni natura umanamente
soggetta. Presente in ambiente egizio - Akhenaton (l’Uno ed il suo orizzonte produttivo
felice) - questo culto troverà espressione futura anche nel contesto religioso-politico e
speculativo greco – con Eraclito e, in forma nascosta, con lo stesso Aristotele – quando le
pulsioni “asiatiche” cercheranno e troveranno vittoria sulle componenti oligarchiche della
politica greca e greco-ellenistica.
Il caricamento e la pressione psico-sociologica progressivamente costituita da questa
torsione trovano il proprio svolgimento nella contro-rotazione che istituisce lo schema
triadico della potenza e dell’atto. Qui vale lo schema immaginativo presentato in
precedenza, legato all’Uno necessario e d’ordine. Qui la religiosità greca olimpica e classica
offrirà la propria sistemazione definitiva all’impostazione teologico-politica e naturale
presentata dalla speculazione greca nella sua corrente alla fine dominante, quella platonico-
aristotelica.
Ben prima di giungere però a questa fase, che potremmo definire illuministica classica, il
sistema teologico-politico e d’interpretazione naturale greco dovette attraversare la fase del
potere religioso-politico ed economico nascosto e latente, ben rappresentata dal periodo
architettonico-sacrale dei Palazzi minoici. Qui l’acqua dei <<bagni lustrali>> ed il buio
delle cripte sotterranee si compongono con una luminosità progressiva, splendidamente
espressa attraverso gli affreschi murari di stile movimentato e contenuto marino ed
acquatico. La potenza nascosta ed irrefrenabile del potere religioso, politico ed economico –
il simbolo del toro e la leggenda del Minotauro – si mischia con l’apertura della relazione
fondata sullo scambio commerciale marino, ampliando la dimensione dello spazio e del
movimento. La caoticità oscura della prima si fonde con la patente difficoltà di
quest’ultima, originando l’immagine razionale dell’apparentemente irrazionale ed
incontrollato, nella sua parte maschile e femminile: il labirinto e la <<dea delle serpi>>.

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Pagg. 46-49. Templi minoico-micenei. La facciata templare simmetrica e tripartita
raffigurata sugli affreschi murari dei palazzi cretesi potrebbe così dimostrare l’applicazione
visiva della costruzione immaginativa stabilita attraverso il concetto dell’Uno necessario e
d’ordine (vedi lo stesso schema), che è capace di ricomporre a sé – e sotto di sé – sia la
parte labirintica maschile, che quella generativa femminile, dando una prima raffigurazione
dell’unità superiore di due principi opposti, anche se equivalenti nella loro comune libertà
espressiva. Tempio della libertà e della pace nelle relazioni, la civiltà cretese divenne un
termine di confronto ideale per la stessa rivisitazione e riutilizzazione platonica dei miti
religiosi antichi. La triangolazione fra Demetra, Poseidone e Dioniso (vedi Wikipedia, alla
voce Poseidone) in questo caso costituirebbe il trait d’union, che permetterebbe di delineare
il passaggio dalla forma triadica cretese a quella olimpica tradizionale greca (vedi il tempio
di Aya Irini, nell’isola di Ceo), affermatasi per sostituzione progressiva grazie alla triade
Zeus, Hera, Athena.

Uno necessario e
d’ordine
Poseidone

Zeus Athena
Anima

Dioniso / Persefone

Era

Demetra

Nello schema sopra delineato è da notare che la funzione di Poseidone – quella del potere
e del giudizio assoluto su un determinato territorio, del quale Demetra rappresenta la vitalità
creativa in vegetazione, animali ed uomini – verrà svolta successivamente dalla triade Zeus-
Apollo-Artemide, mentre Poseidone stesso verrà prima subordinato in epoca post-omerica a
difensore della sagacia commerciale navale delle poleis greche ed infine delocalizzato a
strumento laterale delle finalità egemoniche ateniesi.

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Lo stesso centro cultuale di Micene - la <<casa di Tsountas>> - e la cosiddetta Porta dei
Leoni possono rientrare nella medesima spiegazione religioso-politica, fondata sulla
rappresentazione ideologica iniziale tesa alla formazione del concetto e della prassi
dell’Uno, necessario e d’ordine. Nella civiltà micenea, la necessaria funzione d’ordine
dell’Uno raccoglie ed indirizza la molteplicità delle potenze guerriere aristocratiche
maschili, mentre la pluralità delle attività femminili rimane in posizione subordinata, a
garanzia della conservazione della base materiale-economica della società politica micenea.
Pagg. 51-58. Rituali e simboli. Processioni di donne alla dea e danze. Il caricamento e lo
svolgimento del movimento circolare attraverso le stazioni del fuoco immanente, dell’acqua
trasversale ed elevata, del fuoco trascendente mostrano lo spazio della manifestazione
divina. In questo spazio il movimento combinato della processione e della danza dimostra
rispettivamente la circuizione umana della divinità e la corrispondente penetrazione del
divino stesso nell’umanità, come atto di risposta positiva dello stesso, con l’atto di
esaltazione collettiva della danza vorticosa (ridda). L’uomo sostituisce la donna nell’atto
epifanico, nel momento in cui vi è il trapasso verso l’adorazione dell’albero sacro, primo
passo verso la successiva stilizzazione in pietra della fonte maschile e femminile della vita
(la stele ed il tempio). L’uomo in forma animale (il demone minoico e miceneo) rappresenta
il possesso selvaggio del dio: circuito e penetrante, domina la vita rivolgendola tutta a sé:
signore e padrone assetato, esso diviene la prima figura di ciò che essendo altro domina e
governa da una posizione superiore. Il dio che si fa uomo e nella sua animalità irrefrenabile
indica una potenza illimitata superiore. Il rapporto con questa consente il mantenimento del
favore propizio nell’esistenza: il dono reale (libagione) o in immagine permette così lo
scambio fra umano e divino, sviluppando una disposizione per il futuro, una prima forma di
causalità e di finalità combinate. Nasce l’immagine della disposizione divina, giunta sino
alla nostra modernità tramite il rapporto problematico fra grazia e opere. Nasce soprattutto
lo spazio innalzato dell’immagine reale, lo spazio della mente oggettiva, che si curva e
comprende fra causa e scopo. Lo spazio della possibile alienazione e trasformazione o
dell’atto di conservazione e mantenimento nella continuità. Come si sosteneva in
precedenza: lo spazio della potenza e dell’atto. Lo spazio del tempo come divenire, come
provenienza da un primo ente principiale, sia esso profondo o assiso in alto in trono (il
principe). La combustione (ed il relativo svaporamento ed incenerimento) delle offerte
animali – il rapporto fra il fuoco immanente e quello trascendente – consentiva il
mantenimento e la conservazione del rapporto istituito: il rapporto della potenza e del
potere. Il sangue della vittima sacrificale (il toro della potenza), offerto come vita alla vita
stessa di questo rapporto, stipulava un accordo di scambio e di rappresentanza: il divino,

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riconosciuto dall’atto sacrificale come fonte primigenia della vita, ricambiava con l’aiuto ed
il favore della propria volontà nella moltiplicazione dei doni offerti.
Corna di toro ed ascia bipenne rappresentano in parallelo il riconoscimento dell’apertura
d’immagine superiore, con la sua connessa potenza ed atto divini, e la dialetticità verticale
presente nell’atto sacrificale, fra astante umano e presenza divina (X). Con il procedere del
dominio patriarcale lo strumento sacrificale passa da mani femminili, più vicine ad una
rappresentazione immediata della divinità matriarcale, a mani maschili, più vicine a forme
di rappresentazione che hanno nel tempo costruito lo spazio astratto dell’Uno necessario e
d’ordine, nella sua funzione di vincolo religioso e sociale. Il principe, la figura regia
maschile, viene pertanto a costituire la rappresentazione visibile del divino invisibile: come
nella religione egizia, il figlio del padre celeste, il faraone, conservando il rapporto verticale
della potenza e del potere, consente la felice diffusione della grazia divina e della sua
volontà propiziatoria sui territori e le popolazioni abitanti.
Citazione: “Le incisioni su sigilli ed anelli mostrano più volte, accanto alla grande dea,
una più piccola figura maschile; la dea sembra in colloquio con quest’ultima e le consegna
un bastone o una lancia.”
Pagg. 58-65. Le divinità minoiche.
Citazione: “ … si scopriva in apparenza la religione pregreca. Si cercò e subito si trovò
l’antitesi al mondo <<olimpico>>, antropomorfo e politeistico, degli dei omerici:
predominio di potenze ctonie, matriarcato, divinità dall’aspetto non umano oppure un’unica
figura divina al posto del pantheon. Ma queste tesi e queste aspettative si sono rivelate solo
parzialmente esatte.” Commento: rispetto alle critiche successive, rivolte alla tesi proposta
da Sir Arthur Evans del <<culto minoico dell’albero e del pilastro>>, preferisco ritornare
alle origini della tesi stessa, approvandone l’intento reale, ma aggiungendovi uno sfondo ed
un orizzonte di spiegazione allegorico di tipo immaginativo-razionale, che potrebbe svelare
il meccanismo processuale di costituzione e di sviluppo – il meccanismo genetico-evolutivo
– della religiosità iniziale pregreca e la sua influenza sulle composizioni eleusino-
dionisiache opposte alla successiva formazione orfica e della religiosità olimpica. Citazione:
“Era naturale si assegnasse agli indoeuropei la religione <<olimpica>>, patriarcale, e ai
protogreci il regno <<ctonio>> delle madri.” Commento: ctonio è la potenza vitale della
terra, non semplicemente ed in modo riduttivo il contenitore dei morti inumati. Citazione:
“L’aspetto più caratteristico e significativo nell’esperienza divina minoica è piuttosto
l’epifania dall’alto della divinità durante la danza.” Commento: il movimento e l’eccitazione
sentimentale e passionale, del desiderio stesso, che accompagna l’apertura dal basso
accoglie la divinità nella sua grandezza superiore. In caso contrario assisteremmo ad
un’interpretazione che schiaccerebbe in anticipo la religione minoica su forme di

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illuminazione pre-olimpiche. La divinità, quando appare, appare piccola – è questa la fonte
originaria dell’idolo? Come, ancora, rappresentazione all’interno di una rappresentazione? -
all’interno del suo spazio superiore. Ponendo – è vero – in relazione l’alto con il basso,
dunque implicando quella forma di rotazione e di sovradeterminazione fuoco-acqua-Fuoco
che si è già descritta in precedenza, ma senza togliere il primato iniziale ed originario del
luogo centrale posto in basso, il luogo del fuoco immanente (la potenza e l’atto creativo
terrestre e naturale). E – come si è potuto capire in precedenza – la relazione basso-alto è
tenuta ed occupata realmente e allegoricamente – dal punto di vista immaginativo-razionale
- dal volo degli uccelli. La linea Sole-Luna-stella (Isthar-Afrodite-Venere?) potrebbe
riempire dal punto di vista iconico lo spazio trasversale dell’apertura, mostrando una prima
forma di linearità determinatrice, cara alla di molto successiva tradizione speculativa
pitagorica (cfr. lavoro personale su Metafisica, A)? La linea Sole-Luna-stella potrebbe
essere decifrata come linea di raccordo fra causa e fine o scopo: la determinazione iniziale,
il suo riflesso (questo sì di tipo illuministico-superiore), si rifrange come capovolto o
rovesciato nella terminalità di un orizzonte di senso e di significato costruito attorno all’idea
ed alla pratica della bellezza e dell’amore, senza distinzione fra Venere terrestre e celeste
(stante che la seconda muove la prima). Così dalla rappresentazione immediata della
divinità nella sua grandezza – grandezza dell’idolo – si passa alla sua piccolezza –
piccolezza dell’idolo – come rappresentazione del divino all’interno della rappresentazione
umana della forma apparente (la circolarità fuoco-acqua-Fuoco). Così dall’immediatamente
realistico si passerebbe ad una prima forma di rappresentazione (rappresentazione
all’interno di una rappresentazione). Stimo ed ipotizzo – in attesa di conferme esterne a
queste sin qui presentate, di tipo logico-razionale - che questo passaggio possa essere stato
influenzato da provenienze orientali (egizie ed anatoliche), per l’influenza della figura
sopraelevata e accentratrice del Fuoco (il fuoco del Sole, il fuoco dei metalli). Questa
avrebbe acconsentito che si costituisse per la prima volta una forma di illuminazione
trasversale e superiore, diagonale. Una forma determinatrice con funzione centrale
irrevocabile e sacra, inquestionabile ed indiscutibile, priva di qualsiasi forma di opposizione
o di resistenza. Essa avrebbe poi trovato la sua regolazione e giustificazione in una pratica
generale dell’amore reciproco (società), che consentisse la trasmissione ereditaria delle
sostanze patrimoniali, così contribuendo a fondare l’orientamento patriarcale
dell’organizzazione sociale stessa. Non sarebbe difficile mostrare come il sorgere dell’idea e
della pratica della sostanza – come rappresentazione divina all’interno della
rappresentazione umana – confluisca rapidamente entro l’orizzonte speculativo greco della
tarda classicità (cfr. ancora il lavoro personale su Metafisica, A). Nello stesso tempo la
determinazione pragmatica principale dell’immutata (eterna) trasmissione della sostanza

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divina – il patrimonio paterno (ora il capitale) – trova nell’amore di mantenimento e di
conservazione della medesima immagine una figura, che compone in sé la propria autonoma
bellezza e la bontà precedente: che, anzi, stabilisce sulla base della bontà precedente la
propria bellezza, apparentemente autonoma, in realtà determinata. Non è allora difficile
riscontrare in questo procedimento costruttivo, quale sarà l’influenza sociologica di questa
formazione nella edificazione – oltre la triade greca classica e le speculazioni platoniche
relative al rapporto fra il primo ed il secondo Dio - della stessa struttura teologica cristiana
trinitaria (cfr. il rapporto fra il Padre ed il Figlio). Il termine amoroso del Figlio – ed
amoroso in quanto figura ad immagine del Padre – diviene motore del movimento sociale,
nella sua intenzione prima di mantenimento e conservazione (Spirito) dell’unità divina. La
tenuta dell’unità divina viene infatti garantita dall’assolutezza dell’identità, con la
riesumazione definitiva di quella figura centrale ed elevata del Fuoco, che nella storia della
civilizzazione occidentale ha rappresentato la sorgente prima via via delle tirannidi greche,
ellenistiche, romano-imperiali, medievali e delle dittature moderne o contemporanee.
Tutta questa rotazione si regge però sulla base, originaria ed iniziale, del fuoco
immanente, a sua volta rappresentante reale e allegorico della fonte creativa centrale ed
abissale, della Dea-madre, naturale e nel contempo razionale, con il suo corredo di slanci
passionali ed erotici individuali e collettivi. Qui ha sede la potenza e l’atto del
moltiplicativo, senza che vi sia necessità di un rapporto dialettico verticale di scambio, fra
divinità e umano (subordinazione maschile). O senza che vi sia la necessità di un ritorno
nella nascita e ricomparsa della vita (prima vegetale e successivamente animale), come
potrebbe invece richiedere, in un determinato contesto agricolo, l’ausilio essenziale
dell’acqua. Qui può sorgere allora la fonte primigenia della successiva tradizione
speculativa orfico-greca, basata sulla circolarità del ritorno delle parvenze all’interno del
mondo unico e chiuso, sulla trasformazione dello strumento necessario (l’acqua) in essenza
predeterminante o principio (arché) e sulla schematizzazione del rapporto che consente la
conservazione della vita collettiva, tramite quella diagonalizzazione che fonda il governo
patriarcale dei beni incamerati e di quelli riproducibili (agricoli e pecuari): la trasmissione
paterna del bene e del buono, del materiale e della virtù del costume.
Per consentire una forma di controllo, di regolazione e di dominio nei casi eccezionali su
questa forza vitale primigenia femminile nasce appunto, prima, il richiamo alla forma
circolare delle parvenze, poi la sua subordinazione ad una specie di determinazione assoluta
maschile, che si fa carico della disposizione ed organizzazione di tutte le finalità sociali del
lavoro (ragione) e della riproduzione (natura). Per questo tale specie – che troverà infine, al
termine della prima fase della speculazione classica (Aristotele), codificazione linguistica
nella categorizzazione che la rete nominale appoggia sull’emergenza delle azioni collettive

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– dispone a specchio ed immagine della propria origine separata (alienata) la necessaria
convergenza dei prodotti naturali spontanei inferiori e la superiore forza regolata degli
strumenti atti a guidarli e – se, nel caso – correggerli o reprimerli. In questo modo questa
specie dà luogo ad una formazione molto particolare, perché deputata a raccogliere
l’incontro ed il possibile scontro fra natura e ragione. Qui, per la prima volta, il mezzo si
sovrappone al fine e lo determina, offrendogli uno scopo ed un contenuto. La spinta
soggettiva trova, in tal modo, la propria regolazione e giustificazione oggettiva, creando le
premesse di quasi tutta la tradizione filosofico-ideologica occidentale successiva.
Nel tratto ancora iniziale della manipolazione del culto originario della Dea-madre
l’edificazione di quel sistema, che progressivamente ne priverà e spoglierà – o si
autopersuaderà di poterlo intieramente fare – la potenza attuale, procede con la fissazione –
nel luogo superiore occupato dalla figura del Fuoco trascendente – della figura e della
funzione del potere folgorante, immediato, maschile, esercitato dalla personificazione
realizzata dall’immagine divina di Poseidone, compagno inseparabile di Demetra. Tanto
quanto questa – prima svalorizzazione e diminuzione della figura della Dea-madre –
presiede alla toalità delle nascite naturali, altrettanto il suo compagno Poseidone deve
rappresentarne la controparte maschile, di controllo, indirizzamento e – nel caso - dominio.
È Poseidone, infatti, a suddividere le terre ed a governarle, dopo la distribuzione effettuata
da Demetra. La figlia di Demetra Persefone – prima della successiva versione eleusina
raffigurata da Dioniso – deve così a questo punto rappresentare la riuscita di questo
accoppiamento, pericoloso oramai solo nel caso in cui la potenza vitale rimanga a livello
infero. La paura nei confronti dell’infero si allaccia allora alla sublimazione ed elevazione
della potenza, che abbandona i recessi misteriosi della terra, per salire nel cielo delle entità
luminose ed eteree. La stessa potenza irrefrenabile del toro (religione cretese) viene
diminuita ed addomesticata in quella del cavallo (religione micenea), prima di salire e
depotenziarsi o neutralizzarsi ulteriormente tramite la serie delle figure celesti. Non è però
un caso che, insieme a questo apparente depotenziamento o neutralizzazione delle libere
forze naturali, l’assoggettamento della civiltà protogreca a forme di dominio
prevalentemente patriarcale e guerresco comporti – proprio con quella già citata forma di
rotazione e di caricamento – l’accumulo di forze superiori terribili, addirittura
polivocamente evocabili, da indirizzare secondo una nuova logica, separata. La logica del
controllo totale e del relativo dominio. Ecco allora che l’apparente fuga dal timore naturale
sfocia nel terrore della guerra, continua e costante, ineliminabile strumento di
subordinazione delle violenze dei guerrieri nomadi e del loro assoggettamento alla
costruzione della nuova entità statuale: il regno aristocratico (nota il possibile paragone con
l’età medievale in Occidente o con la formazione dell’assolutismo moderno).

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L’Uno necessario e d’ordine si erge, ora, come potenza invisibile ed indivisibile, alla
quale è demandato ogni atto: vita, libertà, proprietà ricadono nel suo intiero e illimitato
dominio, senza fratture o soluzioni di continuità. Il molteplice – pericoloso se libero – viene
assoggettato ed ordinato (neutralizzato e pacificato) secondo la sua guida e giudizio. Perciò
sembra addirittura scomparire alla vista, non indicando più alcuna soluzione diversamente
divergente al problema del potere e del governo.
Pagg. 65-71. I nomi degli dei micenei. Il sistema politeistico miceneo (Zeus, Era,
Poseidone) pare confermare lo schema triadico precedentemente delineato, accostando a
Zeus Era e aggiungendo lateralmente un loro figlio Drimios. La composizione fra maschile
dominante e femminile assoggettato dà luogo alla formazione della filiazione naturale e
razionale, secondo una molteplicità di significati concreti, legati alla diversità dei luoghi e
delle città (Peana-Apollo, Ares, Artemide, Dioniso). La composizione stessa dà luogo al
movimento, come penetrazione reciproca – prima forma di dialettica teologico-naturale – o
scambio delle caratteristiche individuali. La determinazione e l’accoglimento diventano in
una sorta di capovolgimento apertura e acutezza definitoria, prima forma di un orizzonte di
comprensione e di giudizio d’esistenza e di contenuto. La speculazione platonico-
aristotelica riprenderà questa formazione, adattandola dal punto di vista linguistico
(predicazione). In tal modo la predicazione – l’esser-P di un soggetto - sostituirà con la
propria linearità le difficoltà di definizione e determinazione legate alla libertà espressiva
del molteplice (caos o materia). Si afferma il primato della sistemazione linguistica.
Pagg. 71-80. I <<secoli bui>> e il problema della continuità. Discontinuità. Riprese a
Tirinto ed Atene. La triade altare, tempio e immagine cultuale potrebbe rappresentare la
base materiale che accompagna lo schema “rotatorio” indicato in precedenza. L’elevazione
del fuoco sull’altare (l’influenza del semitico occidentale, con la funzione teologica del
Fuoco superiore), la funzione diagonalizzante dell’immagine cultuale, la collocazione
all’interno del tempio come rappresentazione materiale della rappresentazione religiosa di
tipo immaginativo-razionale (l’apparizione della divinità). Il Basileús in funzione vicariante.
Apollo e Afrodite a Cipro. Il valore intelligente del movimento erotico. Dioniso? Era a
Samo (X-IX sec. a.C.): influenza anatolica. Scompare e ricompare dal mare. Colonie greche
in Siria (IX-VIII sec. a.C.). 700 a.C. moda orientale, 660 a.C. influenza egizia. Inversione
Grecia-Oriente. La comunità dei mortali nel sacrificio di fronte agli immortali, gli dei.
Rottura dell’ordine gerarchico precedente: divinità, re, sacerdoti, popolo (miceneo). Nasce
la tensione egualitaria e democratica.

Dal Capitolo Secondo: Rituale e santuario.

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L’accentuazione esclusiva del criterio del cosiddetto <<sopra-umano>> rischia di
trasferire nella propria impostazione di ricerca il riflesso di una particolare corrente religiosa
successivamente realizzatasi, quella orfico-olimpica e quella che ne ha preparato l’accesso
nel mondo e nella civilizzazione greca. Accanto al sovra-umano – coincidente con lo
schema di rotazione-compressione precedentemente analizzato e commentato – dovrebbe
essere posto – ed anzi, prima di esso, sia in senso cronologico che logico-ontologico –
l’infra-umano: il ricordo ed il richiamo alla potenza naturale abissale, legata alla terra ed alle
divinità ctonie. Altrimenti si rischia di non riconoscerne a priori l’esistenza e l’essenziale
capacità di sussistenza. Così termini come <<forza>> e <<sacro>> dovrebbero essere
preceduti da espressioni, che individuano una potenza immanente, invece che trascendente
ed inquestionabile. Queste espressioni dovrebbero essere capaci di riconoscere le forme di
fratellanza umano-naturale, poi esibite dalle forme misteriche legate ai culti agricoli (per
esempio i misteri eleusini). In caso contrario queste ultime rischiano di venire trascinate ed
integrate in forme religiose, che ne sono il tentativo di annullamento e superamento.
Così diventa evidente la ragione nascosta e motrice dei riti che impiegano lo scorrimento
del sangue, in presenza di un Fuoco che viene esibito su di un altare elevato, mentre le armi
vengono sacralizzate quali strumenti divini, nell’intento di far coerire il gruppo sociale dei
guerrieri e dei proprietari. La ragione è infatti quella già analizzata tramite lo schema della
rotazione-compressione. Al contrario può invece ancora comparire la ragione nascosta dei
riti che si oppongono a questa trasformazione cruenta, qualora si apponga la propria
attenzione alla presentazione religiosa di cibi e offerte solamente e semplicemente vegetali.
Strumento di passaggio da questa ritualità (e dai relativi miti) alla prima (sempre con i
relativi miti) è la loro composizione in successione: prima la ritualità con offerte vegetali,
poi quella con sacrifici animali, in un medesimo rito religioso. Avviene qui ciò che accadrà
con il capovolgimento della religione eleusina tramite l’orfismo: 3 gli stessi elementi presenti
nella fase religiosa precedente vengono riassunti, ma capovolti di senso e di significato,
nella nuova forma religiosa, che in questo modo tenta una pratica di totale egemonia.
Non è difficile, così, osservare come lo scambio fra offerta e moltiplicazione delle future
riserve alimentari o la proposta di una liberazione e realizzazione moltiplicata del desiderio
psico-biologico trovino superamento – proprio in senso hegeliano (ma dal punto di vista
personale, in senso negativo) – nella accettazione di un destino provvidenziale aggressivo e
spoliatore, fatto di decisioni guerresche e di delimitazione rigida dei generi della
riproduzione sociale. Con l’applicazione dello schema di rotazione-compressione, infatti, si
costituisce l’orizzonte comune della successiva tradizione psico-sociologica occidentale

3
Vedi lavoro su Eleusi e Orfismo.

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(cfr. M. Klein), dove la diagonalizzazione che impone un contenuto di verità nascosto e
separato, precedente e prioritario (logico ed etico), si accompagna alla continua necessità di
un ritorno che ne risveli continuamente la forma e la realtà, in una composizione di fissità e
movimento, effettuata tramite la negazione della diversità alternativa e la sua riduzione e
cooptazione entro la comparsa di un’apparente limitazione: conservare la sostanza dei
rapporti sociali instaurati e la loro relazione gerarchica, attraverso la funzionalizzazione
all’identico dell’altro, creando il terrore della negazione assoluta, rappresentata dalla
potenza alternativa (figura ed immagine della precedente fase religiosa). Tutto ciò che nella
precedente fase religiosa – la potenza e l’atto libero del desiderio, la pianificazione di una
società di liberi ed eguali, che mettono in comune tutti i mezzi per la loro sopravvivenza,
mantenendo l’apertura del divino e la sua libera moltiplicazione, senza una rigida divisione
sociale del lavoro - viene tabuizzato nel momento in cui avviene la forzata composizione fra
la società dei guerrieri che provengono dal Nord della penisola ellenica e la stanziale società
agraria delle piccole comunità locali, più o meno federate. Allora la libera potenza della
natura e della ragione diventa il nemico da abbattere, perché impedisce con i suoi riti e miti
il coordinamento gerarchico dei ruoli e delle funzioni sociali, economiche e politiche,
secondo il nuovo paradigma della separazione positiva e della correlata negazione. Sarà
proprio contro tale paradigma che la speculazione di Parmenide eserciterà la propria
posizione critica, ravvisando negli sviluppi dell’orfismo una duplicità intollerabile dal punto
di vista dell’Essente. Se la creazione funzionale del sentimento della paura si accompagna
infatti alla delimitazione di un orizzonte di angoscia sociale, per l’apparente ma indotta
perdita del senso e del significato della vita precedente, la doppia negazione che viene agita
dalla nuova sistemazione sociale – la paura presente, l’angoscia del futuro – viene a sua
volta collocata all’interno di un prospetto di miglioramento e di progresso, che richiede il
superamento per fasi delle precedenti situazioni, considerate come negative. Qui la
sensazione ed il sentimento generalizzato della crisi, della rottura universale dei rapporti
(naturali e razionali), diventa la condizione necessaria per la possibilità evocata di una fase
totale di benessere individuale e collettivo, da realizzarsi attraverso un processo lineare e
determinato, determinante in senso oggettivo nella definizione delle cause e nella
delimitazione degli scopi. È in questo modo che si crea lo spazio e si ripete la necessità
dello Stato, dalla polis greca sino alle più moderne forme di globale orientamento
neoliberista. E, all’interno dello spazio dello Stato, il tempo dell’educazione, per imitazione
ed apprendimento. In tal modo l’azione costruttiva dello e nello Stato – il lavoro e
l’educazione gerarchicamente organizzati - sostituisce la connessione interna con la stabilità
della potenza naturale e razionale, che non necessita di alcuna forma di alienazione astratta,
di ritagliare alcuna triangolazione – ecco di nuovo la forma precedentemente delineata della

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triade aperta – finalizzata al superamento definitivo dello stato cosiddetto di natura. Per
questo, se l’apparizione del divino si dà all’interno di una cornice, che costituisce lo spazio
della continua presentazione dell’eterno all’interno della rappresentazione del tempo come
forma ciclica del divenire dallo stesso, l’opera umana non può non riflettersi se non come
forma e realtà di riproduzione magica di questa relazione e di questo rapporto, come più
avanti nella speculazione platonica si vedrà appunto nel rapporto fra il primo ed il secondo
Dio. Plasmare e riprodurre le finalità originarie diventerà allora il prerequisito dell’azione
educativa dello e nello Stato, della e nella civiltà.
Qui non può non subentrare il tema, il concetto e la prassi, legati all’infinito. Se, infatti, la
civilizzazione assume di fatto una forma di limitazione inferiore, dalla quale si costringe ad
allontanarsi – è, ancora, il cosiddetto stato di natura – essa non assume alcuna forma di
limitazione superiore, nel momento in cui traccia la linea di superamento definitivo di tale
stato. Allora apre l’orizzonte dell’infinito. È questo orizzonte a costituirsi come termine di
volontà, intelligenza e intendimento. Esso edifica il mondo nuovo tramite le ritualità per la
pioggia, l’amore, la fertilità (vegetale, animale ed umana) e l’amore ed i gesti apotropaici
contro la sterilità in generale e la morte definitiva. Ecco dunque ricomparire la funzione
essenziale dell’acqua, come elemento della vita e del suo mantenimento e conservazione.
Magia, religione civile e filosofia sono dunque strettamente intrecciati, qualora si
considerino le forme ideologiche poi prevalenti all’interno della polis greca. Restano – e
resteranno – degli spazi e degli interstizi di diversità, all’interno dei quali le forme
speculative, che soccomberanno apparentemente nella lotta per l’egemonia all’interno della
tradizione storica occidentale, tendono a ripresentare le antiche formazioni intellettuali di
tipo e di stile insieme naturale e razionale. Il concetto e la prassi dell’infinito creativo e
doppiamente dialettico (Anassimandro, Anassagora, Empedocle, Giordano Bruno),
l’eleusismo di Parmenide, l’atomismo di Democrito, Epicuro e Lucrezio, sono solo piccoli e
limitati esempi di una possibile contro-storia della filosofia, capace di rievocare e porre di
nuovo in campo aperto il problema di un diverso assetto del rapporto e della relazione fra
natura e ragione.
Pagg. 83-98. 1. <<Sacro agire>>: il sacrificio animale.
1.1. Svolgimento e interpretazione.
Il sacro viene definito e delimitato superiormente come potenza ed atto, che assicura la
continuazione della vita, solamente secondo lo schema della rotazione-compressione, che dà
luogo – come avevamo visto – alla costituzione dello spazio astratto e separato del potere
univocamente determinante. Qui l’offerta ed il sacrificio animale al Dio realizzano e
spediscono l’efficacia dello scambio dialettico: prima che dal punto di vista apparentemente
neutralizzato del linguaggio – vedi la costituzione, già schematizzata, dell’orizzonte

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linguistico nella scuola filosofica platonico-aristotelica – il sacrificio animale sta per –
rappresenta drammaticamente – la risoluzione festosa del pericolo mortale dell’umanità
(della collettività locale, del clan, della famiglia e dell’individuo). Il sangue versato e la
carne offerta fanno ricircolare la vita nello spazio dell’astratto e separato e rassicurano la
potenza materiale della natura nella sua ripresa e ricostituzione (formale e reale), grazie al
sangue stesso versato. Per questo la vittima sacrificale offre se stessa spontaneamente, di
sua propria volontà, assumendo su di sé la responsabilità della conservazione (e del trapasso
o trasposizione civile) della vita dell’intera collettività. Non è difficile osservare come
questa interpretazione sia poi passata a spiegare tradizionalmente ed in senso reale ed
allegorico lo stesso sacrificio del Cristo, quando invece una posizione non affetta da
influenze semitico-ellenizzanti avrebbe facilmente riconosciuto nella croce il simbolo non
della salvezza, ma del ripetuto ed unico peccato dell’umanità: il tentativo di uccisione
dell’amore infinito ed universale, la fissazione ed il blocco della rivoluzione, una e
sempiterna. Ma questa capacità di riconoscimento avrebbe potuto risiedere solamente entro
quella capacità di visione e di prassi immaginativo-razionale, che assumesse l’infinito
naturale e razionale della creatività come infinito non-alienato e non-separato. In questo
senso Uno, secondo gli insegnamenti del gigante speculativo di Nola, Giordano Bruno.
Solamente tale infinito avrebbe consentito la giustificazione razionale del movimento di
alterazione e trasformazione universale nella propria pluralità determinativa e nella propria
interna ed equilibrata (dialettica) correlazione. In tal modo rievocando una ben diversa
tradizione magico-religioso-filosofica: quella dei Misteri eleusini e di tutte le forme agrarie
successive di palingenesi pacifica e non-violenta. Il sacro tradizionale, invece, utilizza
l’innocenza del veicolo femminile, irrigidito nella neutralizzazione e negazione della
sessualità (la vergine-guida), come nascondimento della logica del sacrificio stesso, che in
tanto trasporta la collettività in uno spazio e tempo diversi (iniziazione collettiva), in quanto
la collettività stessa avesse già obbedito a quelle forme di deprivazione ed ordinamento
sessuale, che avevano negato le comuni libertà della fase della vita collettiva, comunitaria,
precedente. L’acqua, le fumigazioni e la musica hanno l’unico effetto di accompagnare e
mimetizzare la cruenza del rito sacrificale, nascondendone gli effetti sull’uomo: durante,
con la mimetizzazione (e lo stordimento) sonori od olfattivi, prima e dopo attraverso la
purificazione preventiva e l’oblio totale della colpa commessa. Non manca l’offerta rituale
alla vittima stessa, tramite gli elementi simbolici della esaltazione collettiva precedente (i
cereali). Si inizia con l’offerta al Fuoco, il sangue viene versato, la morte della vittima è
infine la vita nuova dell’intera collettività. Il suo corpo viene assaggiato preliminarmente
nelle sue parti essenziali, cotto sul Fuoco, mangiato ed assimilato come garanzia di trasporto
e di rinascita in un altro luogo separato (banchetto sacrificale). Qui non è forse inutile

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ricordare l’uso rituale e religioso precedente di alimenti con finalità psichedeliche (il
papavero od equivalenti), atti a trasportare il fedele nell’altro mondo, il cui accesso è
preparato e permesso dall’obbedienza ai riti cerimoniali.
Che cosa comporterà l’assunzione dei nuovi e successivi riti filosofico-razionali da parte
del processo di civilizzazione ellenico? Nulla di nuovo, nell’impostazione generale, tranne
una molto più accentuata forma di neutralizzazione e mimetizzazione del procedimento di
transito e passaggio nell’altro mondo, astratto e separato: allora sarà lo spirito a transitare,
mentre il corpo apparentemente permarrà all’interno dei vincoli oggettivi della materia. È
solo in tempi recenti, che la progressiva restrizione della base materiale si accompagna alla
contrapposta assolutizzazione dello spazio artificiale, tesa alla sublimazione definitiva del
naturale in un razionale astratto e separato. Qui la potenza del desiderio si irrigidisce
definitivamente, aprendo ad un atto nientificante assoluto. Nella storia della civilizzazione
occidentale, invece, il progresso delle forze materiali e produttive accompagna la
trasvalutazione spirituale della loro potenza, soprattutto a partire dalla fase borghese e
precapitalistica, premoderna e tardomedievale. Per non dire di quella successiva, moderna e
pienamente capitalistica, ancorché inizialmente ed apparentemente frenata dalla forma
assolutistica del potere, che non ne depotenzia le tensioni e le pulsioni, ma le arricchisce
comprimendole al di sotto di un orizzonte di civiltà universale (mondiale) vicino alla sua
completa ed integrale realizzazione (inizio moderno della globalizzazione commerciale, fase
imperialistica, globalizzazione contemporanea). Le sotto-fasi successive – quella produttiva
e quella finanziaria – permettono, invece, una sorta di progressivo avvitamento spiraliforme,
non appena la finalità della riproduzione sociale viene collocata nella quasi automatica
funzione mondiale di massimizzazione del profitto delle corporazioni multinazionali.
Così, all’inizio di questo tragitto è lo spirito della materia ad elevarsi, attraverso il medio
rappresentato dalla funzione veicolare, che deve garantire il passaggio ed il necessario
capovolgimento della situazione iniziale. Compare qui quella invenzione dell’anima, che
sarà poi identificata come reperto filosofico tradizionale nella versione orfica, platonica,
aristotelica e cristiana della speculazione religiosa. Da questo momento in poi la concezione
dell’anima oscillerà fra spiritualizzazione estrema e riconferma di una forma qualsiasi di
antropomorfismo. In ogni caso, ancora, il movimento e la potenza del sangue si interporrà
all’interno del movimento e della potenza – crescita, maturazione e raccolta – dei frutti
migliori della terra (cereali, olive, vino), fissando in tal modo il primato dell’animale sul
vegetale. Di chi si muove per sé e liberamente, rispetto a chi invece resta legato e vincolato
in sé alle necessità naturali. L’anima così riesce ad integrare la libertà dei primi alla
sicurezza dei secondi, capovolgendo questa nella prima. Rovesciando l’atto di devozione
alla natura nell’affermazione totale della ragione.

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1.2. Riti cruenti.
Il capovolgimento è dato dal passaggio cruento, dalla forzatura e dalla conseguente
rottura irreversibile, dall’uccisione sacrificale che dà inizio al tempo come tempo nuovo.
Penetrare e fuoriuscire all’aperto del nuovo spazio squadernato dalla ragione – oltre la
precedente occlusione e prigionia delle necessità corporee naturali (nota come ciò sia la
fonte della successiva posizione orfico-platonica) - non consente comunque di dimenticare
la relazione di necessità, che lega il sacrificio di sangue alla conquistata libertà. Ogni
celebrazione dell’avvenuta conquista deve quindi rammemorare la drammaticità dell’evento
originario, rinverdendone continuamente i fasti emotivi collettivi. Di qui l’accostamento
delle feste collettive, quale scansione determinatrice dello scorrere del tempo nuovo.
In questa struttura, che si ripete immutata nella storia sociale occidentale, la fase iniziale
greca sovrappone e colloca il veicolo sacerdotale individuale in quello stesso spazio, che
successivamente verrà occupato dalla nozione astratta e separata dell’anima. È solo la
frammentazione politica ad impedire così la formazione di una chiesa universale. Quando
questa sarà stata superata dall’istituzione imperiale romana, immediatamente la necesssità
concomitante della fondazione ed organizzazione del corpo religioso dei cittadini o dei
sudditi si farà richiesta immediata della ragione politico-sociale.
È per questo motivo che il veicolo sacerdotale insieme al circolo definito dal sacrificio
viene tabuizzato e ne viene impedita qualsiasi critica, sollevazione o rovesciamento (la
speculazione filosofica di Anassagora e di Socrate ne subirà le dolorose conseguenze).
Rovesciare il sacro è, infatti, il primo compito dei conquistatori. In tal modo il sangue
animale importa quello umano: quello versato come punizione divina dai contestatori, o
quello della stessa città per effetto delle invasioni straniere. Il sacrificio attraverso il sangue
animale fonda la civiltà del sangue e del territorio umano. Lo stesso procedimento
sacrificale poteva poi utilizzare vittime sacrificali umane (prigioneri di guerra, non-uomini
in quanto di altro sangue e territorio, o vergini innocenti come Ifigenia di Aulide). Il sangue
versato poi, come potenza di vita, risvegliava alla coscienza le anime dei morti, intrappolate
nel mondo infero dell’Ade.
1.3. Rituali del fuoco.
Se il sangue intingeva e rimpinguava dall’interno ogni movimento vitale della nuova
collettività, nel nuovo tempo segnato dalla rottura sacrificale l’organizzazione comune ed
ordinata della vita civile deve seguire la traccia trascendente offerta dal movimento del
Fuoco. Potente a salvare è egualmente potente ad annichilire e punire (rammenta
l’ambiguità del maschile-femminile, in precedenza rappresentato concretamente ed
architettonicamente dal pilastro e dal tempio): esso dunque forgia immediatamente
l’archetipo individuale e sociale del potere (a partire dalla famiglia: il focolare, Hestía).

22
Templi del fuoco sono il tempio di Apollo a Delfi, quello di Apollo Liceo ad Argo e quello
di Apollo Carneo a Cirene; come pure degno di nota è il culto di Artemide Lafria da
Calidone (ricorda la funzione di Apollo e quella gemella di Artemide, nello schema che
delinea la visualizzazione dell’Uno necessario e d’ordine). Il profumo divino, che si
diffonde e che sale, indica concretamente l’invisibilità del movimento dello spirito buono,
mentre quello cattivo resta confinato nella notte oscura, al di fuori della città. Portare il
fuoco all’esterno, nei boschi, è dunque una forma di recupero delle divinità della fase
naturale precedente (vedi i rituali delle feste notturne dionisiache). Così i vecchi riti naturali
legati alla divinità materna femminile si ricompongono con i nuovi riti a predominanza
maschile o pseudo-femminile, per attestare il definitivo superamento della precedente forma
di civilizzazione agraria, quando la proprietà aristocratica e guerresca della terra sostituisce
le forme collettive di godimento pacifico dei frutti della stessa. Questi culti resteranno però
sotto traccia durante lo sviluppo della civilizzazione greca, rispuntando nelle forme religiose
legate a Demetra (riti e miti eleusini) o a Dioniso (riti e miti pre-orfici).
L’influenza ebraica, fenicia ed anatolica ricorda la funzione cuspidale del Fuoco ed il suo
potere assoluto, di trasformazione e di mutamento – passaggio – sostanziale. Attraverso il
sacrificio del fuoco il nuovo corpo sociale assume su di sé le virtù intoccabili del Dio:
diviene rappresentante della sua stessa potenza e della sua stessa volontà, positiva e
misericordiosa (per i morti, nel rogo funebre) quanto violentemente distruttiva ed
annichilente (per i vivi, colpevoli di qualche grave reato, con il rogo). In questo modo la
concezione dell’Uno necessario e d’ordine, edificata nell’immaginazione razionale e civile
greca assorbe in sé le caratteristiche tiranniche della nuova forma di divinità, accentuando
gli orientamenti e le determinazioni apertamente violente e guerresche portate dai diversi
popoli invasori del Nord. Una miscela esplosiva per qualsiasi civiltà … i secoli bui ellenici
potrebbero dunque essere stati l’effetto prolungato di questa ferale composizione mitico-
rituale, mentre la rinascita sorta a partire dall’VIII secolo a.C. potrebbe essere stata dovuta
ad una sorta di neutralizzazione laica e di riapertura di forme relativamente pacifiche
(Esiodo, Omero) di convivenza civile, fondata su forme aperte di religiosità e di prassi
economico-politiche (accentuazione del politeismo e composizione nel motore economico
agricolo-proprietario dei movimenti trasformativi legati al commercio via mare).
1.4. Animale e dio.
La potenza della Natura, dell’animale e del Dio. Attraverso questa scala e successione la
religione greca si approssima a quella cristiana, che addirittura ne importa il rito sacrificale
(quando non le medesime strutture, sotto diverse apparenze: vedi schema triadico). L’uso
della mascheratura animale, poi, definisce la consapevolezza di un livello rappresentativo
primitivo presente nell’atto religioso: dalla semplice rappresentazione concreta della

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potenza divina presente nell’animale sulla superficie del volto del celebrante, che impersona
la prima forma di arte religiosa mimetica, si passa alla piccola apparenza del divino
all’interno della rappresentazione magica del manufatto artistico, che dà rappresentazione
della rappresentazione divina nella figura o nell’immagine di un albero o di un animale. Se
il primo modo della rappresentazione mantiene tutta la potenza della raffigurazione
realistica, il secondo distacca il mondo, che su quella rappresentazione veniva inizialmente
costruito. Lo distacca grazie alle virtù umane della riproduzione artificiale. In questo
distacco, allora, si situa il passaggio a forme religiose maggiormente antropomorfe, più
vicine a quel successivo allargamento della visione politeistica, che consentirà il
superamento dei cosiddetti “secoli bui”. È al ricordo di questa trasformazione che si deve –
io credo – la consapevole ed esplicita rivalutazione della tradizione religiosa arcaica, quando
la speculazione platonica del periodo conclusivo rammenta la possibilità di leggere in senso
allegorico e dialettico, ciò che in precedenza aveva trattato in modo diagonalizzante e
realistico (le idee). La stessa critica al concetto di persona (maschera) esibito da S.Agostino
- o dallo stesso Giordano Bruno - in ambiente cristiano può dare adito alla valutazione della
presenza di questi due modi diversi di intendere: due modi che possono anche svincolarsi
reciprocamente e combattersi, a seconda che si privilegi l’andamento diagonalizzante della
tradizione metafisica dominante in Occidente (e lo si assolutizzi), oppure ci sia apra ad una
versione creativa e doppiamente dialettica del concetto e della prassi dello Spirito (Infinito).
Pagg. 98-108. Sacrificio di doni e libagione.
2.1. Sacrificio di primizie.
Il sistema ideologico costruito attorno al sacrificio di sangue si compone con una base
materiale precedente, che prevedeva la semplice offerta incruenta di doni vegetali, risultato
della produzione agricola collettiva. All’interno di questo precedente sistema l’offerta
rappresentava direttamente la fusione con lo spirito creativo naturale, con le potenze della
terra. L’alleanza pacifica terra-uomo poteva consentire la salvezza comune delle collettività
agrarie della Grecia pre-arcaica, tramite l’immedesimazione dell’opera collettiva con
l’azione naturale. Qui lo sfondo e l’orizzonte razionale entro il quale pareva muoversi la
Natura costituisce la prima formazione di un’azione intenzionale fondamentale, tesa alla
produzione e conservazione di ciò che viene alla vita, si sviluppa crescendo e muore,
ritornando nel grembo della grande Dea madre naturale e ricostituendo la materia per nuove
nascite e produzioni. Se la forma sembra, dunque, appartenere alla volontà razionale della
Natura, anche la materia pare costituire come il serbatoio concreto e fluido della sua
continua produzione di forme e di viventi. Non è difficile osservare l’esatto parallelismo fra
quell’azione fondamentale, la sua forma razionale e la sua materia naturale e i concetti
filosofici successivamente sviluppati presso il naturalismo greco di finalità o scopo, di

24
forma e materia. La stessa speculazione aristotelica pescherà in questo medesimo ambiente
la struttura della propria articolazione filosofica (cfr. lavoro su Metafisica, A).
L’azione di finalità o di scopo della grande Dea madre Natura – produrre e conservare
all’esistenza, secondo un processo determinato (necessità fatale) costituito da nascite,
sviluppi e morti – trova riconoscimento e fissazione religiosa nelle forme di sacralizzazione
contadina e agraria, dove la potenza della terra (Demetra) viene regolata da una volontà
superiore (Poseidone), che deve presiedere alla razionalizzazione dei prodotti naturali.
Entrare in questo circolo dialettico – dove la potenza si trasforma in volontà e la volontà
determina la potenza - significa per la collettività agricola e contadina dare forma, sostanza
e materia al proprio intento creativo di conservazione. Stabilire una rete sociale di scambi e
di funzioni interrelate, capaci di organizzare e mantenere in vita il proprio corpo politico. In
ciò stanno già le premesse delle successive costituzioni cittadine formali.
Anche il dono vegetale, allora, è una forma di sacrificio? La struttura ideologica
presupposta dal sacrificio di sangue è la stessa, oppure è diversa, rispetto alla struttura
ideologica implicita nella fase religiosa precedente, sulla quale quella relativa al sacrificio
animale si innesta e radica? Se la prima rimane, infatti a livello immanente, l’altra pare
accedere per la prima volta al piano trascendente. Certamente la dialettica verticale ed
orizzontale della prima – cfr. Anassimandro - costituisce una valida premessa per
l’elevazione e l’approfondimento, la trasformazione sostanziale consentite dalla seconda.
Ma il passaggio ed il capovolgimento consentito da quest’ultima certamente non è
consentito – ed anzi pare essere esplicitamente vietato – cfr. Parmenide e la sua negazione
della negazione (vedi lavoro d’interpretazione personale su Parmenide) - dalla prima. Allora
il sacrificio di sangue deve essere considerato come la negazione ed il superamento della
fase naturale-vegetale precedente, magari facilitata dalla tradizione legata alla libagione di
vino o d’olio. Per converso la fase precedente deve essere considerata come incomunicabile
rispetto alla volontà della fase successiva, che invece la userà per impiantare un progetto
d’egemonia totalmente trasformativo, completamente in opposizione con le forme di
collettivismo libero ed egualitario delle comunità agricole greche arcaiche (cfr. il lavoro di
Edward Carpenter). Su questo progetto si innesteranno poi le forme ideologiche
dell’orfismo, del pitagorismo e della successiva tradizione aristocratica platonico-
aristotelica.
Il dono delle primizie – apparchaí – ha dunque un significato diverso nei due contesti di
significazione: nel primo - più antico, legato alla Dea madre Natura – esso vale come offerta
spontanea e gratuita di un inizio che non appartiene alla comunità degli uomini, perché
questa ne è in realtà dipendente; nel secondo, successivo, esso vale all’opposto come inizio
umano, come potenza legata all’umano, che è capace di trasformare secondo i propri fini

25
l’ambiente naturale e di sovrapporre le proprie ragioni secondo uno sfondo ed un orizzonte
razionale completamente nuovo e cambiato, rivoluzionario. Qui assume valenza centrale il
procedimento della trasformazione sostanziale, giunto sino a noi attraverso la procedura
teologica della transustanziazione cristiana (nelle sue diverse versioni, cattoliche o
protestanti). Ora il termine divino della trasformazione si è laicizzato completamente nella
separazione astratta ma reale del modo della riproduzione sociale capitalistica (la
massimizzazione del profitto come fondamento della vita sociale: un modo di
rappresentazione magico-artificiale, all’interno di una dialettica verticale ed orizzontale di
tipo ancora religioso, ma ora in forma neo-naturalistica). Nel momento rappresentato dalla
fase pre-arcaica della civilizzazione greca, invece, il procedimento della trasformazione
sostanziale indicava l’importanza fondamentale, che era venuto assumendo il controllo della
produzione dei nuovi metalli in ferro. Questa nuova forma di produzione portava con sé,
infatti, una riorganizzazione socio-politica della vita delle comunità agricole greche,
maggiormente concentrata sulla capacità della collettività stessa di mantenere la continuità
della propria vita e del proprio benessere materiale, grazie ad una potenza resasi oramai
quasi autonoma dalla Natura, basata sulla possibile predazione guerriera nei casi di
insufficienza alimentare prolungata. Questa riorganizzazione doveva però comportare una
forma di verticalizzazione e di concentrazione del potere ed una forma di subordinazione e
di ordinamento gerarchico, che sarebbe stato all’origine della stratificazione sociale poi
tradizionale (re – aristocratici/guerrieri – artigiani - contadini). È qui che si inserisce la
prospettiva rivoluzionaria di cambiamento ideologico offerta dall’inserzione rituale del
sacrificio animale, di sangue (con tutte le implicazioni strutturali già descritte).
La stessa semplicità devozionale decantata dall’Odissea omerica – come, del resto, la
pietas romana esibita esemplarmente da Enea nell’Eneide virgiliana – si inserisce in questa
forma di subordinazione predestinata, predeterminata. Fondamento della pacificazione
sociale e dell’annullamento delle reciproche forme di combattimento e aggressività sociale,
essa costituisce la fusione fra potere religioso e potere politico. Il principio dell’ordine e
della pace sociale (in un contesto economico esterno ed interno sempre più aperto ed
aggressivo). La neutralizzazione dei rapporti socio-politici interni – e la relativa
pacificazione più o meno forzata delle relazioni all’interno della vita collettiva – porta
nell’ambiente imperiale romano, insieme all’annullamento ed alla cancellazione delle forme
di opposizione sociale e politica, il necessario sradicamento della libertà creativa ed
artistica, orale o scritta (cfr. Ovidio, Petronio). Questo orizzonte e determinazione di
negazione è, significativamente, la conclusione storica di un processo evolutivo iniziato
proprio nel periodo o fase del passaggio in ambiente greco pre-arcaico dalla tradizione
culturale orale a quella scritta.

26
Nella trasmissione culturale orale, infatti, l’azione legata alla parola, al desiderio, al voto
ed alla viva memoria collettiva conserva il rapporto dialettico sussistente fra la versione
umana della materia naturale (il deposito delle precedenti azioni collettive) e l’edificazione
di una forma espressiva totalmente creativa, non assorbita in alcuna linearità determinativa
o in alcun calcolo dei mezzi per fini prestabiliti. La conservazione diretta ed immediata della
relazione che regge la collettività – il rapporto fra liberi ed eguali delle comunità agresti
greche pre-arcaiche – non rischia di forgiare alcuna forma di mimesi realistica od oggettiva
di una supposta realtà (naturale e sociale, o politica). Solamente l’avvento della necessità di
trasmettere delle finalità e degli strumenti di riconoscimento collettivi (simboli) stabilirà la
priorità di uno spazio oggettivo per il sapere, segnato e determinato da una realtà
perfettamente delimitata e visibile (mondo umano del vero). Solo la predeterminazione della
conservazione dell’esistenza immutata di una vita collettiva organizzata darà il via alla
ricerca delle modalità culturali capaci di garantire questa prosecuzione nella continuità.
Allora nascerà la forma simbolica per eccellenza: il linguaggio scritto e tutte le collegate
forme di rappresentazione diretta (geometria, calcolo numerico). Solo la linearità
determinativa finalizzata che sorge all’interno dell’orizzonte aperto dal concetto dell’Uno
come fonte di continuità – cfr. l’Uno egizio (Aton) e l’Uno delle tradizioni speculative
filosofiche presocratiche – sarà capace nella sua trasversalità di costituire una fonte di
assorbimento delle energie collettive. La viva e profonda memoria connessa con l’abissalità
della grande Dea madre Natura si trasformerà, allora, da materia viva e collettivamente
creativa in selezione e passaggio essenziale, mentre l’eroticità che ne animava lo spirito
vitale si cambierà e neutralizzerà nel rispecchiamento consentito dall’anima razionale. Ora
solo ciò che viene riconosciuto dall’intelletto può consentire la trasmissione immutata del
vero, l’apertura fondamentale che ha per termine Dio stesso ed il suo riflesso nella realtà
sociale e politica. Lo scopo ed il fine conservativo impongono una sapienza (teoretica,
teologica e pratica) oggettiva.
È, conclusivamente, la negazione che sorge con il processo di diagonalizzazione – la
rotazione-compressione in precedenza analizzata e descritta – ad imporre il piano di validità
universale della scrittura e dell’oggettività. Ma, come negazione, essa deve sradicare dalla
coscienza collettiva lo sguardo nell’abisso, la consapevolezza della presenza della grande
Dea Madre Natura – Demetra - e delle nostra possibilità di intrecciarsi ad essa, tramite la
libertà del desiderio. L’offerta realmente religiosa nel desiderio e tramite il prolungamento
del desiderio stesso nella sua filiazione – Persefone – stabilisce nelle comunità pre-arcaiche
ed arcaiche greche, prima del sopraggiungere e sovrapporsi delle strutture ideologiche
dell’astratto e del separato, l’unico orizzonte di senso e di significato umano accettabile e
razionalmente comprensibile, l’unico scopo da perseguire. Poi, con il sovrapporsi

27
dell’organizzazione terminale, sarà il tempo dell’alluvione progressiva dei riti e dei miti
sacrificali e di passaggio. Della devozione ordinata e collettiva. Solo nell’epoca successiva –
dell’astratto e del separato – alcuni pensatori cercheranno di rievocare e riportare in vita
l’antica sapienza, in un nuovo schematismo, fondato sulla concezione creativa e
doppiamente dialettica dell’infinito (Anassimandro, Anassagora, Empedocle, Giordano
Bruno), oppure semplicemente creativa (Parmenide, Nietzsche).
La trasversalità lineare-determinativa e finalizzata, imposta grazie alla combinazione e
composizione del processo astrattivo e di quello separativo, costituisce, allora, il nuovo
piano universale del discorso e della riflessione linguistica articolata, dove la relazione
soggetto-verbo-predicato sostituisce con la rete estesa ed aperta delle nominalizzazioni il
precedente orizzonte indefinito della manifestazione epifanica della Dea. I determinati-
separati (le idee, gli atomi) sostituiscono le divine potenze discrete, mentre le
sacralizzazioni retoriche delle nuove classi colte delle società aristocratiche greche
prendono il posto delle offerte sacrificali religiose, contribuendo a rimpiazzare la fluidità
degli scambi fra i mortali e gli immortali con la rigidità di un culto sempre più dogmatico ed
immutabile. La civilizzazione greca si avvia in tal modo a porre le basi per la
considerazione dell’Essere come stabilità, immutabilità e unità: stabilità della base
materiale, immutabilità dell’orizzonte di determinazione, unità come continuità senza
fratture e trasformazioni socio-politiche. Poste in tal modo le premesse per l’orizzonte di
riferimento dell’intera successiva civiltà occidentale (attraverso il cristianesimo e la
globalizzazione capitalistica moderna sino ai nostri giorni), l’ideologizzazione realizzata
attraverso la stabilità e la permanenza, sia del termine divino che della sua realizzazione
terrena, fissa la convergenza assoluta del Divenire. Come medio ruotante fra gli estremi
dell’idea e della realtà.
Nel panorama della realtà greca, che precede la fase arcaica, questo è perfettamente
visibile nel tentativo di retrodatare l’inizio della successiva rivoluzione ideologica su base
sacrificale, da parte di Omero, Senofonte e dello stesso Platone. Proprio per coprire i sempre
risorgenti culti religiosi di tipo materiale-naturale, che hanno nel culto della grande Dea
madre il proprio archetipo di riferimento. Questo riceve la sovraimpressione del culto
maschile e patriarcale, per effetto del quale l’offerta diviene sacrificio e questo si capitalizza
– come nel caso del santuario di Eleusi attorno al 420 a.C. - in sostanza capace di garantire
la sopravvivenza ideale della comunità ellenica (il denaro dell’elemosina sarà thesaurós).
Citazione: “In alcuni casi particolari l’offerta di primizie è cosa a sé stante, senza
sacrificio animale o anzi proprio in contrasto con esso. Così ad esempio a Figalia in
Arcadia: <<Frutti d’alberi domestici, e fra gli altri, quello della vite, cera delle api, velli non

28
ancora purgati al lanificio (…) posano il tutto su l’altare (…) e ci versano dell’olio>>. 4 In
questo caso, attraverso il mito di Demetra e attraverso il rituale, è possibile stabilire un
collegamento con l’Anatolia dell’età del bronzo. A Delo l’altare di Apollo Genetor, il
<<genitore>>, non servì mai per il sacrificio cruento, un altro altare non macchiato di
sangue, consacrato a Zeus Ipato, il <<sommo>>, era eretto davanti all’Eretteo ad Atene: qui,
come a Pafo, potrebbe essersi conservata una tradizione dell’età del bronzo: l’altare come
<<Table of offerings>> di stile minoico-miceneo.”
2.2 Sacrifici votivi.
Il rapporto dialettico di scambio verticale-orizzontale, permesso dalla sovraimpressione
della terminazione divina (anàthema; akrothínia è la parte superiore del mucchio che
costituisce il bottino di guerra, parte dedicata al Dio), consente la trasformazione del
desiderio del singolo nell’opera di riconoscimento divino dell’azione e della finalità del
soggetto medesimo, garantendo la liceità del rapporto fra motivazione personale e sua
realizzazione. Se il Dio non interferisce, l’azione risulta possibile e viene realizzata (esposta
e/o conclusa: di qui la perfezione dell’azione conclusa e la consacrazione degli strumenti di
lavoro, al termine della propria vita lavorativa). Lo stesso discorso linguistico della
speculazione più recente sulle condizioni di possibilità di un enunciato o di una
proposizione rievoca strutture similmente organizzate, con una terminalità operativa ed una
significazione semantica quasi ad essa subordinata, nelle sue diverse stratificazioni. Segno e
prova della ciclicità delle fasi a predominanza linguistica nella civiltà occidentale, nei
momenti di massima neutralizzazione ideologica. La benedizione dell’anatema si
capovolge, allora, nella sua versione poi tradizionale, negativa, nel momento in cui si
cercasse in qualche modo di riportare in auge e di rivitalizzare le divinità opposte alla
terminazione divina celeste, le cosiddette divinità infernali (in realtà materiali-naturali,
ctonie).
2.3. Libagione.
Se il voto era soprattutto il ringraziamento per la grazia del superamento di situazioni di
crisi individuali o collettive (malattie, epidemie, carestie, guerre), la libagione veniva
esercitata nei tempi antichi prevalentemente in situazioni di pace e di reale o vera giustizia.
Era il tempo d’oro della vita libera da bisogni o necessità e, dunque, perfetta. Per questo la
libagione si accosta maggiormente a quella parte della divinità che, successivamente, darà
adito alla nascita del mito dell’età dell’oro: 5 il tempo di Crono, prima del regno di Zeus e

4
Pausania, La periegesi della Grecia 8, 42, 11.
5
Esiodo, Le opere e i giorni. Platone, Il Politico 271d e segg. “Allora il dio [Cronos] guidava innanzitutto la stessa
rotazione, prendendosene totalmente cura, e - cosa che avviene allo stesso modo anche adesso in alcuni luoghi - tutte le
parti del cosmo venivano ripartite dagli dèi che le governavano: e dei demoni divini come fossero pastori avevano
ripartito anche gli animali viventi secondo i generi e i gruppi, e ciascuno bastava in tutto a ciascun gruppo essendo esso

29
della subordinazione dei culti agrari e popolari di Demetra, Poseidone, Persefone, Dioniso.
Nell’età omerica successiva – quando il sacrificio del sangue e del fuoco (Prometeo) aveva
oramai preso il sopravvento, nell’età del ferro - essa rientra nello schema triadico
precedentemente delineato, costruito attorno ad una prima quadratura – Zeus superiore e
Zeus laterale, adempitore – attraversata diagonalmente dalla tensione eroica alla
realizzazione. Ma se, nella prima fase, la libagione non costituisce alcuno spazio e tempo
sottratto alla volontà che accomuna dei ed uomini, nella seconda fase compare invece il
tempo sottratto agli uomini e concesso agli (o dagli) dei. Il tempo alienato.
È attraverso il concetto di perdita definitiva di ciò che viene offerto e versato, infatti, che
tale cessione (alienazione) si realizza. Ed il versamento del vino, dell’acqua con miele o
dell’olio precede e conclude – racchiude - il sacrificio con il sangue. Così l’atto conclusivo
della libagione vale la costituzione di un patto o testamento, individuale o collettivo. Mostra
come fine determinato e determinante ciò che in precedenza costituiva un presente di felicità
intoccabile. Soprattutto delimita superiormente la fascia del tempo altro, del tempo futuro in
mano agli dei o del tempo nel quale ricompaiono le anime passate (rievocazione e
necromanzia). Il libare alla terra, invece, ricorda l’origine del rito stesso, la sua aderenza ed
intreccio con la potenza materiale-naturale della grande Dea madre terra. Il segno con l’olio
(o con il sangue), invece, rappresenta l’ordinamento gerarchico successivo. Anche l’acqua
versata sulle tombe o nelle fenditure della terra rappresenta la ricongiunzione con la potenza
che può dare o ridare la vita, eliminando ogni forma di eccesso dannoso alla vita stessa.
L’atto conclusivo dei misteri eleusini stessi – il versamento ad oriente, occidente; il

stesso pastore, sicché non vi era nessun essere selvatico e nessuno procurava cibo all'altro, e non esisteva affatto guerra
né rivolta. Ma vi sarebbe molto altro da dire riguardo a quel che segue a tale assetto dell'universo. Quanto si dice degli
uomini e della loro vita in cui tutto si generava spontaneamente, si è detto per questo motivo. Il dio li guidava ed era
loro capo, come adesso gli uomini, che sono animali più vicini alla natura divina, portano al pascolo le altre specie a
loro inferiori: quando il dio li portava al pascolo non vi erano forme di governo, né acquisti di donne e di figli. Tutti
ritornavano in vita dalla terra, e non vi era alcun ricordo della situazione precedente: questi beni allora mancavano, però
avevano abbondanza di frutti dagli alberi e da molta altra vegetazione, senza esser generati mediante l'agricoltura, ma
offerti spontaneamente dalla terra. Nudi e senza coperte vivevano trascorrendo la maggior parte del tempo all'aria
aperta: le stagioni erano temperate perché non provassero dolore, e avevano confortevoli letti costituiti dall'erba
abbondante che cresceva di continuo dalla terra. La vita di cui stai ascoltando il racconto, Socrate, è quella di coloro che
vissero al tempo di Cronos: questa di adesso, invece, che il discorso indica come del tempo di Zeus, tu stesso la stai
sperimentando di persona [...].
Privati della cura di quel dio che ci possedeva e che ci guidava al pascolo, tutti gli altri numerosi animali che avevano
natura feroce diventarono selvatici, mentre gli uomini stessi, deboli e senza protezione, venivano sbranati da quelli, e in
quei tempi primitivi erano ancora senza mezzi né risorse, poiché era mancata l'alimentazione spontanea, e non sapevano
procurarsela, per il fatto che in precedenza non erano stati costretti da necessità alcuna. Per tutti questi motivi erano
venuti a trovarsi in difficoltà enormi. Di qui provengono i doni, come anticamente si narra, donati a noi dagli dèi
insieme al necessario insegnamento ed educazione: il fuoco da Prometeo, e le arti da Efesto e dalla sua compagna d'arte,
i semi e le piante da altri. E tutto quanto è servito a stabilire la vita umana è provenuto da questi doni, dal momento che,
come si è appena finito di dire, gli dèi smisero di occuparsi degli uomini, e questi dovevano da soli guidare se stessi e
aver cura di sé, come tutto il cosmo, a imitazione del quale e nella cui compagnia viviamo e siamo per tutto il tempo
generati, ora in questo modo, un tempo in quell'altro. Abbia così termine il mito, e noi lo useremo per vedere quanto
abbiamo sbagliato mostrando nel discorso precedente l'uomo regale e quello politico.”

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richiamo alla pioggia e l’offerta alla terra - dà il segno della quadratura totale (la dialettica
verticale ed orizzontale), entro la quale si muove la vita stessa della potenza terrestre.
3. Preghiera.
Il tempo diviso, separato, alienato, in mano agli dei per la realizzazione delle opere
umane e per la scansione delle attività della comunità viene sancito, segnato e delimitato
dalla parola sacra, dalla euphemía (contrapposta alla blasphemía). Essa offre il senso
performativo del linguaggio, stabilendo l’isolamento e la chiusura dello spazio collettivo
all’opera disintegratrice dell’oppositore, del ribelle, di chi ancora si attarda all’obbedienza
dovuta ai vecchi riti entusiastico-egualitari. La parola sacra – la preghiera (eúchesthai) –
tabouizza la precedente osservanza nei confronti della diversità e della creatività naturale,
innalzando il senso di rispetto e di devozione dovuto alla divinità che si sovraimpone.
Essendo poi che l’atto di sovraimposizione comporta l’adesione allo schema totalitario
imposto dalla posizione della negazione - negazione dell’immediatamente e spontaneamente
positivo – l’inizio della parola sacra è il silenzio collettivo, l’annullamento della diversità
locutoria ed espressiva della collettività e l’adesione tramite invocazione al termine divino
superiore (di solito Apollo o Artemide, che ricevono i contributi umani in grazia di Zeus). È
questo contatto - stabilito attraverso e grazie al celebrante - a dare progresso all’azione sacra
di delimitazione, a condurla verso i successivi sentieri della precisazione e delimitazione
ulteriore. È all’interno dello spazio esterno all’uomo così segnato, che si dà luogo a tutte le
forme di scambio religioso e sacrificale.
Il processo di distinzione, esclusione, eliminazione progressiva e tendenzialmente totale
della libera potenza del diverso – lo spirito aperto della viva materia creativa - si attua
attraverso la sua neutralizzazione: il suo spirito viene infatti sradicato e piegato in una prima
forma di astrazione e separazione, di alienazione. L’atto ordinato – eterodeterminato - di
generazione. È solamente attraverso il controllo eugenetico della espressione sessuale
umana, che la stessa libera e profonda libertà d’espressione naturale ed umana viene
coartata verso la direzione diagonale stabilita dalla preventiva suddivisione in classi della
società greca prearcaica (i proprietari terrieri, garantiti dalla figura reale; i contadini e gli
artigiani soggetti). La stessa espressione dei rapporti omoerotici viene piegata a forme di
plagio giovanile (cooptazione alla classe superiore). Qui le forme di costituzione e
costruzione della società patriarcale liberano i maschi dal pericolo rappresentato dalla libertà
sessuale femminile, per assogettare le donne al dominio esclusivo maschile, secondo la
principale necessità della trasmissione maschile del patrimonio. Ora il possesso, stabilito in
assoluto (quindi separato dalle proprie effettive condizioni di realizzazione), sostituisce la
vita, nella propria libera potenza.

31
Il silenzio e l’ascolto, la soggezione e la benedizione – o, all’opposto, la caoticità
espressiva e la maledizione gettata sull’altro (a coprire ed occultare 6 l’ordine razionale della
libera potenza materiale e naturale) – sono figure comportamentali dell’immaginario
collettivo, che stabiliscono la possibilità dell’edificazione, costruzione ed educazione
dell’identità collettiva. Ben prima della formalizzazione dei principi logico-ontologici
aristotelici (identità, non-contraddizione, terzo escluso) il quadro e l’orizzonte di senso e di
significazione della civiltà greca si era formato con questa impostazione. Aristotele ne
avrebbe reso l’estrema neutralizzazione schematica, quale fondamento scheletrico della
successiva tradizione ideologica occidentale (sino alla speculazione hegeliana).
Musica, danza, poesia celebrativa entrano e si compongono con il nuovo processo rituale
religioso greco prearcaico, mostrando senza soluzione di continuità la costituzione e
l’organizzazione di uno spazio, che viene costantemente ripreso per edificare una nuova
immaginazione razionale collettiva: ora l’astratto si separa, emotivamente e fisicamente, in
una nuova forma di esaltazione e determinazione collettiva. L’Uno necessario e d’ordine
(prima Poseidone, poi Zeus) coordina l’apparizione delle divinità che ne stanno a corollario
(da Apollo ed Artemide, ad Athena, a tutte le dodici successive divinità olimpiche),
sovraimponendosi a ciò che si viene progressivamente trasformando in base materiale
neutralizzata per l’intervento artificiale umano. Per questa ragione il procedimento di
neutralizzazione della libera e razionale potenza naturale deve assumere le caratteristiche
sacrali e religiose del mascheramento e della diversificazione, dell’occultamento e della
trasformazione. Gli istinti naturali spontanei - che in una società organizzata
orizzontalmente, nelle piccole comunità contadine, vengono riconosciuti ed organizzati
secondo un principio ed una causa legati alla libera ed eguale espressività – vengono ora
controllati e repressi attraverso il proprio uso capovolto: ciò che in precedenza consentiva
l’apertura senza limiti della propria potenza espressiva ora diviene termine divino della sua
regolazione e subordinazione, della sua determinazione. Grido ed estasi sono la nuova

6
La funzione musicale di accompagnamento rituale, con andamento ripetitivo e cantilenante, può dare adito ad una
finalità di mascheramento ed occultamento, di neutralizzazione e pacificazione, con finalità mimetiche e
percettivamente gerarchiche (cfr. musica tonale e modi musicali). Analogamente accade alla creazione poetica. Musica
e poesia greca possono infatti trovare le proprie origini nel rito religioso, come strumenti di accompagnamento e di
realizzazione del movimento di convergenza ed elevazione. Del resto la stessa tragedia greca pare vedere – secondo
Aristotele - le proprie origini nei ditirambo dedicati a Dioniso. Il movimento del pensiero classico, che edifica
nell’immaginazione razionale, secondo una terminazione d’orizzonte e di scopo superiore, occupa lo stesso spazio ed
impegna la stessa potenza di movimento mobilitata e nobilitata dalla musica, dalla poesia e dalla ritualità religiosa.
Vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Ancient_Greek_music (qui si ricorda che la regolazione “etica” dei modi musicali e
delle relative formazioni emotive viene utilizzata per finalità educative o guerresche) e
http://www.thinkingapplied.com/tonality_folder/tonality.pdf (qui la musica tonale viene definita come fenomeno
gerarchico; quella atonale come continua dissonanza, che segna una differenza ed un’apertura “incomprensibile”, che a
sua volta impedisce la formazione di una direzione e di un senso per la melodia: tanto la prima verticalizza,
assecondando la formazione del motivo dalla frase musicale, quanto la seconda mantiene una relazione orizzontale di
apertura, senza fondo o principio visibile e senza termine superiore o causa d’orientamento).

32
materia naturale di una forma che comprende ogni cosa che vive (quale persona globale e
totale), a sua volta fondamento del riconoscimento intellettuale ed espressivo (linguistico)
collettivo, quando nome ed epiteto definiscono con piena chiarezza la sua sostanza animata,
poi collocandola nel suo luogo di provenienza (delocalizzazione). L’invocazione ed il
richiamo alle passate esperienze religiose trasferiscono ed alienano in tal modo a tale
personalità divina quella potenza che, inizialmente, veniva riconosciuta in capo alla ragione
naturale: il passo successivo, realizzato dalla dogmatica cristiana, sarà quello
dell’imitazione consentita dalla creazione ad immagine e somiglianza, attraverso la quale
l’uomo occidentale si appropria definitivamente ed in maniera assolutamente regolata e
controllata della potenza (funzionalità strumentale del divino, che viene alla fine
esautorato). 7 Come la potenza positiva viene in tal modo fissata, così pure quella negativa
viene riflessa a specchio (katádesis, defixio), occupando quel medesimo spazio – ora
inferiore e soggetto, prima aperto superiormente - che in precedenza costituiva l’immediata
ed inalienabile positività della potenza naturale e razionale.
4. Purificazione.
4.1. Funzione e metodi.
Che cos’è la purificazione? Perché vi è la necessità di una purificazione? Rispetto a che
cosa ci si deve purificare? Rispondere a queste domande avrebbe significato, nel mondo
greco che si stava accingendo ad entrare nella fase da noi definita arcaica, prima di tutto
indicare la presenza di una nuova necessità: la necessità della conformazione collettiva, la
volontà comune di sottostare ad un’identità che non poteva – e non doveva – essere messa
in discussione, o tanto meno poteva essere criticata od addirittura abbattuta. L’idolo ed il
feticcio dell’identità compare così all’interno della civiltà occidentale insieme all’esclusione
e dannazione – se necessario, persecuzione ed eliminazione – dell’altro e del diverso.
L’altro-e-diverso (interno ed esterno) rappresenta il nemico da combattere ed eliminare, per
consentire la conservazione della propria sicurezza e libertà. In un mondo in cui l’apertura
delle relazioni di scambio commerciale ed ideologico poteva significare la perdita definitiva
di entrambe (cfr. le migrazioni greche), un vissuto di inferiorità e di pericolo si trasforma e
capovolge in un’azione ideologica improntata alla dominazione preventiva e all’uso
definitivo della violenza. Il criterio assoluto della superiorità civile delle successive polis
greche comincia ad affacciarsi all’interno della vita collettiva, stabilendo un grado ulteriore
di dominio ed egemonia, grazie alle forme esoteriche di religiosità e di speculazione. Questa
stratificazione sociale all’interno della vita delle comunità greche del tempo trova riscontro,
riflesso e giustificazione sovrastrutturale nelle forme religiose, artistiche e poetiche e nella

7
Inserire un richiamo all’opera filosofica di Feuerbach e Nietzsche.

33
costituzione di prime linee di tendenza speculativa, che successivamente sfocieranno nelle
impostazioni orfico-platoniche. Per queste linee di tendenza speculativa la precedente
distinzione-divaricazione fra potenza positiva e potenza negativa costituiva la base per una
successiva opera di chiarificazione e definizione: ora il luogo dei “puri” doveva essere
separato da quello degli “impuri”, perché mentre i primi potevano e dovevano raggiungere
ed acquisire solamente per sé il governo e la direzione (autarchia) di una vita migliore, piena
e completa, felice e priva di sofferenze o confusioni emotivo-passionali, i secondi dovevano
rimanere a costituire il serbatorio delle energie da dirigere e determinare, rappresentando il
pericolo sempre incombente ed attuale di un volgo sovversivo ed iconoclasta, in preda alla
più caotica delle confusioni passionali. Re (intellettuali e sacerdoti), aristocratici (proprietari
terrieri e guerrieri a difesa dell’ordine costituito), contadini, artigiani e commercianti,
schiavi (strumenti più o meno liberi della conservazione della vita collettiva, ordinatamente
organizzata) sono la struttura reale di quella divisione e gerarchizzazione sovrastrutturale,
progressivamente orientata verso un dominio sempre più stringente.
È questa diagonalizzazione-compressione a trovare – come è già stato espressamente
indicato – figura ed immagine rappresentativa nell’elemento acqua, inteso nella sua forza e
tendenza appunto purificatrice (nota il valore reale e metaforico delle fonti/origini montane,
termini del pellegrinaggio religioso e cultuale). 8 L’orizzonte toccato dalle fumigazioni
cultuali resta invece aperto ed imprevedibile, una forma di autoassegnazione totale alla
libertà superiore (di accettazione/rifuto) degli dei, potenze imperscrutabili, nella loro
versione più antica anche inferiori (daímones). Il male viene così riferito e delimitato,
proprio attraverso la negazione permessa da quella diagonalizzazione. Per quanto, però,
questo taglio consenta l’eliminazione in definitiva del nemico esterno ed interno, la violenza
esercitata ed espressa in maniera incontrollata ed ingiustificata all’interno della collettività e
dovuta alla stessa origine psico-sociale della nuova sistemazione teologico-politica trova
risarcimento e risoluzione nella costituzione di un fondamento giuridico formale di tipo
religioso, facilmente riconoscibile, per esempio, nei casi di omicidio dall’appello all’oracolo
di Delfi ed alla divinità olimpica di Apollo. Insieme alla diagonale negativa potenza maligna
→ contaminazione sociale → evento disastroso si sviluppa allora una tendenza risolutrice,
intrecciata alla prima, che attraverso la sofferenza dell’espiazione scioglie le colpe
individuali o collettive e capovolge gli esiti apparentemente infausti in eventi di prova, di
giudizio e di intervento divino. Ristabilire e ricostituire allora la situazione di equilibrio
deve essere l’effetto provvidenziale e buono della divinità stessa, che in tal modo manifesta
la propria esistenza e la propria funzione umanamente positiva, acconsentendo alla

8
Cfr. Fons Castalia a Delfi, in onore di Apollo. Vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Delphi.

34
manifesta riorganizzazione di una forma perfetta di vita civile. La morte, poi, in stato di
colpa inespiata, resta quale morte definitiva, irresolubile.
4.2. Sacro e puro.
Questo intreccio fra potenza positiva e determinazione negativa costituisce l’orizzonte di
riferimento della civiltà e dell’ideologia occidentale. Limitare la potenza del negativo –
l’incontrollato esprimersi del naturale e razionale – attraverso l’utilizzazione delle sue forme
estreme – accidenti climatici, epidemie, rivolte – diventa il leit motiv del potere governativo
che si va costituendo, nella sua forma archetipa. L’estremo diviene, infatti, il luogo
collettivo grazie al quale il giudizio e l’intervento di un’autorità superiore può installarsi e
dirigere l’annullamento di quelle pulsioni naturali e razionali, la cui libera espressione ne
costituirebbe – per il sistema ora in edificazione – il sommovimento e la “sovversione”.
Rimane però un punto essenziale e irrinunciabile, ineliminabile: quella potenza naturale e
razionale non si lascia rinchiudere nello specchio ed immagine del negativo. Essa stessa
capovolge la propria immagine riflessa nello specchio del potere, per indicare e mostrare
una via alternativa alla strada dell’alienazione e della violenza istituzionalizzata.
La sofferenza (individuale o collettiva) diviene infatti il segno di una colpa, la
dimostrazione di una mancanza che deve essere rovesciata, attraverso l’accettazione di
un’espiazione (ancora individuale o collettiva) ed il riconoscimento delle capacità di
intercessione del soggetto che media fra divino ed umano, riuscendo in tal modo per fede
comune a ricomporre l’unità del secondo con il primo. Ecco comparire, allora, la funzione
essenziale e necessaria dell’elemento sacerdotale: puro e semplice trasmettitore della grazia
superiore e divina – sia in ambiente greco, romano e cristiano – esso diventa fondamento
ineliminabile e termine di riferimento imprescindibile per l’atto di coesione con quella
grazia stessa. Senza la propria funzione imprescindibile di mediazione la stessa potenza
civile non può instaurarsi e dirigersi. In queste società di tipo teocratico il divino viene,
allora, ristretto nella sua funzione esclusivamente punitiva e risarcitoria: la colpa, accettata e
riconosciuta (individualmente o collettivamente), una volta sia stata giudicata ed espiata,
risolve e scioglie il negativo, capovolgendone gli esiti finali ed allargandoli all’intero
panorama civile, come atti di determinazione collettiva positiva. Convenzione, positività del
diritto e legge nascono allora proprio in questo momento, come forma di opposizione
estrema alla libera naturalità di una ragione, che lasciata nella sua potenza incontrollata si
definisce determini una rottura dei limiti e delle stesse aspettative sociali di felicità e
comune benessere. Si comprende bene, allora, perché ed in che modo il sacro fondi
l’appartenenza politica, per il tramite della delimitazione di uno spazio superiore di
intangibilità ed immodificabilità (l’eternità metafisica), in relazione al quale ed all’esterno
del quale possa essere stabilito come sua proiezione l’asse e fondamento di una rigida e

35
coerente politica comunitaria. In questo senso il profano sta sì al di fuori del sacro, ma viene
da esso comunque delimitato e giustificato nella sua esistenza e sussistenza.
Ma in che cosa la libera potenza del naturale e razionale quasi sembra costringere verso
l’imposizione della nuova visione ideologica? Qual è l’insoddisfazione che ne origina il
superamento tentato, a tutt’oggi ancora sospeso? Forse il problema, che ne è stato
all’origine e che ha richiesto apparentemente una tale soluzione, deve essere identificato con
il tentativo di “toccare il cielo degli dei” e di godere della loro stessa felicità. Un tentativo
“titanico” di giustizia. Far coerire l’uno della collettività con l’Uno superiore infinito. Far
permanere la libera espressione creativa dei singoli con la relazione che ne assicurasse il
comune equilibrio: qui nasce l’aspirazione tutta determinatrice ad un termine di riferimento
collettivo e superiore, che sia capace di inverare e realizzare nella sua forma e contenuto –
nota qui i termini come verità, realtà, forma e oggettività – la sintesi unitaria del molteplice,
la possibilità di mantenere i molti nell’uno. Per fare questo i Greci – forse per primi (ma non
mancano le influenze dall’Oriente, vicino e lontano) – hanno pensato di far trascendere
attraverso una mediazione assoluta la vita delle proprie collettività in uno spazio del tutto
immaginario, astratto e separato, ma con tutte le caratterizzazioni e gli strumenti
istituzionali necessari a farlo sembrare vero e reale: un mondo capovolto – il mondo di qui,
messo lassù - nel quale la forza, la violenza e la costrizione allo scopo, della mente e
dell’azione collettiva, possano essere definiti e determinati come la manifestazione unitaria
ed organica – ecco l’origine del logico come ontologico - del divino.
Il mondo greco si completa così con il pensiero di Aristotele, per poter cedere poi a
quello romano-cristiano la propria impostazione imperiale, attuata e ripresa oltre la fase
medievale nella costituzione materiale (commerciale e finanziaria) delle premesse nazionali
dell’età moderna, e nel finale e definitivo accentramento formale permesso dalla
globalizzazione attuale. In questo tragitto “fatale” della civiltà ideologica occidentale non è
difficile scorgere i momenti nei quali questo sentiero rischia di venire interrotto e/o
rovesciato: nella fase del pensiero pre-socratico, quando alcuni pensatori – Anassimandro,
Parmenide, Anassagora, Empedocle – denunciano con la loro speculazione la valenza
alienante e violenta della versione egemonica e riduttiva dell’intelletto; nella fase di crisi e
di passaggio verso la composizione fra la versione istituzionale dell’Impero Romano e la
sorgente di legittimazione cristiana (all’inizio del IV secolo d.C.), quando Plotino ricorda
preventivamente la valenza moltiplicativa dell’Infinito; quando Giustiniano chiude nel VI
secolo d.C. la scuola filosofica di Atene; quando durante la fase della più stringente e
combattuta ricerca di una forma di convergenza assoluta Impero e Papato nel Medioevo si
trovano a scontrarsi e a debellare insieme – come peste della fede e della ragione politica –
le forme “ereticali” cataro-albigiesi; quando all’inizio dell’età moderna il pensiero di

36
Giordano Bruno ricorda la valenza creativa e doppiamente dialettica dell’Infinito (Spirito e
Materia), oppure quando Baruch Spinoza, i libertini e i giusnaturalisti europei sottolineano
la valenza positiva del diritto naturale, mentre Descartes recupera proprio attraverso
l’estremizzazione del dubbio (bruniano? Protestante?) l’orizzonte di determinazione classico
(il Dio che universalmente chiarifica e definisce nella scienza, o che determina oltre la
morale provvisoria ed a fondamento di questa). Oppure quando nel XIX secolo la filosofia
d’impianto kantiano-hegeliana viene contestata dalle riflessioni ed argomentazioni proposte
da Feuerbach, Marx e Nietzsche. Oppure quando ancora, nella crisi finale della
globalizzazione, a partire dagli inizi del XX secolo sino alla fase attuale della
globalizzazione stessa, l’assoluto del Capitale induce forme dittatoriali o di guerra
preventiva terroristica quali estremi ripari alle rivoluzioni proletarie e/o semplicemente
democratiche nell’intero orizzonte di vita del pianeta. In tutti questi momenti rispunta il
frutto – terrestre e celeste nel contempo - della libera potenza naturale e razionale, oltre ogni
coltre di maligna e violenta repressione o censura, oltre ogni tentata reideologizzazione
sacro-temporale. In tutti questi momenti rifiorisce il tentativo di mantenere aperto
l’orizzonte infinito del liberamente creativo, insieme alla consapevolezza della presenza di
un motore dialettico, che vincola con il più leggero dei nodi e appesantisce con il più lieve
dei pesi: l’unità naturale e razionale infinita dell’infinito d’amore, nella spontaneità di
manifestazione dei soggetti e nella loro reciproca, amorosa, eguale libertà (nella natura e
nella ragione). Pace e giustizia, allora, non rappresentano più il termine di sicurezza di un
ordine costituito, quale garanzia nei confronti dell’aumento della complessità economico-
sociale, quanto invece il potere costituente di una potenza democratica ed inalienabile, che
rinnova i fasti delle antiche forme religiose e sapienziali (collettivamente contadine ed
agrarie), senza procedere alla costituzione di alcun nefasto, di alcuna negazione in forma di
tabù, proprio in quanto qui ed ora il negativo semplicemente non compare. Né nella forma
del soggetto (naturale o razionale) che debba essere subordinato, controllato e dominato nei
suoi fini e scopi (preventivamente giudicati potenzialmente dannosi se liberi); né nella realtà
e verità di un ordine oggettivo – nel senso sia dell’oggetto (soggetto) ordinante, che in
quello dello scopo oggettivo (universalmente soggettivo) - che debba restare limitato,
confinato, separato ed altro, in modo superiore, nella propria potenza rispetto alla necessità
prioritaria di quella subordinazione, controllo e dominio (resi reali con un giudizio ed atto
negativo preventivo).
Il giudizio e l’atto negativo preventivo gettano, infatti, sia la natura che la ragione
rispettivamente: 1) nell’abisso senza fondo di un potere infernale e dannoso, potenzialmente
esiziale; 2) in una forma di esaltazione collettiva od individuale superiore (con sacrilegio del
divino) egualmente negativa, perché indirizzata e guidata da finalità e scopi di sovversione

37
ed eversione dell’ordinamento costituito. Queste due caratterizzazioni del naturale e del
razionale trovano in ambiente greco prearcaico le proprie identificazioni immediate, forse
sotto l’influsso di impostazioni care alle civiltà mesopotamiche e mediorientali, in “ciò di
negativo e mortale, che può provenire dal di sotto, dal mondo ctonio (acque e arie
avvelenate)” e in “ciò che può provenire dal mondo celeste (influssi negativi astrali).” Due,
allora, saranno le contromisure allestite dal sistema ideologico occidentale in via di
formazione, per contrastare questi pericoli e così giustificare la propria presenza, il proprio
valore e capacità e – se necessario – la propria forza e violenza statuale: 1) l’aspersione
sacra di acqua e aria “benedette”, con virtù purificatrici e positive (vedi l’uso di profumi
come l’incenso e la mirra, con virtù disinfettanti, farmacologiche o conservanti); 9 2) la
costruzione di un elaborato sistema di previsioni astrologiche (e di correlati, necessari,
comportamenti umani).
La necessità stringente di obbedire a pratiche religioso-superstiziose, del resto, accomuna
molte fasi della storia umana (cfr. il De rerum natura di Tito Lucrezio Caro), anche delle
più recenti (cfr. le attuali forme di idolatria personale, in ambito religioso od anche laico e
profano), quando la sistemazione organizzata dei poteri religiosi e politici, economici e
sociali, che governano e guidano le collettività umane rischiano di entrare in crisi per il
prorompere o sopraggiungere di “potenze”, che moltiplicano la diversità naturale e
razionale, riaprendo la possibilità di manifestazione dell’infinito creativo e dialettico.
Il sangue del sacrificio deve pertanto allontanare il celebrante dal sangue e dalla morte
presenti in vita, per consentirgli di elevarsi in una condizione di superiorità, nella quale e
dalla quale potrà sporgersi, per trattenere e salvare la comunità dei fedeli dai rischi sempre
incombenti delle potenze negative. In questa situazione di mezzo, fra divino ed umano, il
celebrante interrompe (o regola in modo diverso ed alternativo) il flusso vitale e dialettico
delle forze elementari concrete - legate all’alimentazione, alla sessualità ed alla morte – per
risorgere a nuova vita, ad una vita separata, senza più pericolo di morte e con un circuito di
energie separato (ecstasi), che gli consente di rimanere a contatto con il divino. Verginità ed
immersione in acqua consentono il mantenimento di questo contatto, con la facile e
popolare figura della sospensione o con le molto più difficili ed elitarie tecniche di
concentrazione e rilassamento (cfr. le influenze semitiche ed indiane). Entrambe operano il
distacco, che viene segnato dall’accompagnamento di una nuova corporeità apparente (da
una nuova “vestizione”): qui anche gli altri elementi concreti aiutano nell’opera di
sfoliazione o disincarnazione. Il fuoco aiuta a distruggere il corpo mortale, per poter

9
Il negativo del míasma (della contaminazione attraverso l’aria) poteva comprendere tutti gli atti più vitali: nascere;
avere rapporti sessuali per una positiva generazione; conservarsi in equilibrio senza entrare nelle logiche che conducono
alla follia ed all’omicidio; morire allontanando da sé il pericolo definitivo di una colpa inespiata.

38
mostrare al di là del velo costituito dall’immagine immediata e sensibile l’acquisizione di
quello immortale (cfr. i miti di Eracle; Demetra e Demofonte). L’aria del vento e la terra
argillosa spalmata sul viso e poi frizionata via rappresentano altrettanti usi tesi
all’eliminazione allegorica dei componenti materiali, per mostrare la pienezza della potenza
dello spirito rinato. Il contatto con il ciclo reale della vita terrestre – il ciclo annuale –
impone, però, che una vera e reale ripetibilità della rinascita stessa possa avvenire solamente
dopo un’annullamento totale delle forme concrete di devozione precedenti: solo
l’annullamento del passato del rito consente la sua presenza nel futuro, in un senso sempre
nuovo e gioioso.
4.3. Morte, malattia, follia.
Lo spirito positivo che si è astratto e separato combatte dunque contro lo spirito negativo,
che rimane prigioniero del corpo mortale. In questa logica e mondo capovolti – rispetto alla
pienezza della vita continuamente creativa e dialettica – l’adesione convinta e tenace alle
potenze corporali diventa la spiegazione di quella paura della morte, che si trasforma in
angoscia, e che dà origine a tutte le forme deviate e reattive di autoaffermazione assoluta:
nella logica della “malattia” del corpo e della mente l’assenza di relazione aperta – il
distoglimento dalla relazione creativa e doppiamente dialettica (verticale ed orizzontale) -
viene capovolta in una decretata impossibilità di movimento e trasformazione, rivoluzione.
La negazione dell’originario, che porta a sofferenza (interna ed esterna), diventa quella
negatività che può e deve essere superata e risolta, a patto di essere riconosciuta ed
accettata, come progresso ad una condizione di salute e di sicurezza. La vita diventa
malattia originaria dalla quale sfuggire via, secondo l’apparenza e la manifestazione di un
divino, che mostra il sacrificio di sé come somma beatitudine. Ma da questa vera e reale
malattia e follia non v’è via di scampo: essa, infatti, aliena la propria potenza e la cumula
insieme a quella di ogni altro essere esistente, la potenzia e la moltiplica all’inverosimile,
sino alla propria definitiva scomparsa. L’originario, al contrario, si apre ad una nuova logica
ed a un nuovo diritto: ora il movimento creativo e doppiamente dialettico (verticale ed
orizzontale) consente che il passato della sensazione, il presente dell’emozione e del
sentimento, il futuro della passione possano conservare umanamente la loro articolazione ed
il loro mutuo dispiegamento, conservando ed esprimento la propria apertura. L’edificazione
della mentalità negativa, all’opposto, usa l’evento negativo della morte per segnare una
momentanea esclusione dei soggetti familiari colpiti dal destino fatale, che devono e
possono essere reintegrati a pieno titolo nella comunità solo a seguito delle opportune e
tecnicizzate purificazioni rituali. Quando la morte segna e delimita la vita al negativo, la
negazione del negativo ristabilisce la vita nella sua condizione originaria tramite un
riorientamento della vita familiare, che deve essere riallineata al termine comune che

39
stabilizza la vita associata: la presenza attraverso il focolare acceso – il fuoco –
dell’apparenza di un potere maschile, viene conservata dalla divinità femminile ad esso
deputata (Hestía). In tal modo il negativo negato per alienazione ristabilisce l’andamento e
lo scambio consueto fra divino ed umano. L’individualizzazione o la generalizzazione
causale negativa legata al corpo – la malattia o l’epidemia – definisce poi un ambito ed un
orizzonte minore di “contaminazione” soggetta a “purificazione”. Ora il tratto o l’orizzonte
negativo deve e può essere superato, prima che attraverso la conoscenza causale del
fenomeno comparso, dalle tecniche empiriche della sua riduzione e scomparsa (cfr. il peana
dedicato ad Apollo). La follia, poi, viene purificata riportando la mente del soggetto al
termine divino, dal quale si era colpevolmente allontanato.
4.4. Purificazione con il sangue.
L’eliminazione colpevole di una vita umana – l’omicidio - deve essere purificata con il
sangue rituale, dotato di una potenza ben superiore all’acqua. L’esclusione in origine
capovolta del reo dalla comunità – il termine divino è nell’alienazione il capovolgimento
speculare dell’originario - viene così a definire la futura e necessaria reintegrazione del
reietto, per il tramite di un atto di purificazione compiuto grazie ad un purificatore e
protettore straniero (cfr. il mito di Oreste e il santuario di Apollo a Delfi). La vendetta, che
avrebbe sì richiesto la morte del colpevole per mano di un parente offeso, ma che avrebbe
poi scatenato un circolo infinito di controvendette e quindi la rottura della pace e dell’ordine
sociale comunitario, viene in tal modo superata e soddisfatta. Il sangue sacrificale versato,
poi, ripara preventivamente dalle offese eventualmente compiute nei luoghi pubblici della
politica (l’assemblea popolare) e del teatro (prima delle rappresentazioni). Anche dalle
offese naturali ci si difende allo stesso modo, circuendo e proteggendo l’area interessata con
l’offerta sacrificale del sangue di un animale. Le offese della guerra stessa possono essere
preventivamente superate – per garantire la vittoria degli armati – grazie alle medesime
modalità sacrificali.
4.5. Pharmakós.
L’elemento perturbatore dell’ordine costituito – la fame, la povertà, le epidemie
(katharmós) - viene espulso dalla comunità e donato, dopo la morte rituale di un capro
espiatorio suo rappresentante, al termine divino. Il sacrificio umano o l’allontanamento
definitivo dalla comunità (che non si allontanava di troppo, del resto, dalla punizione
definitiva), qui, assume la valenza di sacralizzazione estrema dello stesso termine, come
principio di vita e di morte per l’intera collettività. La vittima sacrificale stessa si trasforma
e capovolge da causa negativa scatenante in principio e strumento positivo e di salvezza per
l’intera comunità. In questo modo l’originario conclude il proprio capovolgimento
schematico ed ideologico, fissandosi come radice celeste dell’organizzazione ad albero alla

40
quale viene assoggettata la comunità civile, come premessa della successiva stratificazione
in classi della società politica greca.
5. Il santuario.
5.1. Temenos.
Come l’incrocio e la fusione della potenza di Hera e la forma o l’atto determinativo e
direttivo di Poseidone garantivano, tramite la figura realizzatrice di Persefone, la
composizione fra la creatività naturale della terra e la giusta distribuzione delle terre e dei
campi, con l’annessa regolazione comunitaria dei frutti risultanti, così la suddivisione
(impartizione) della benedizione divina che procede dall’alto del termine divino (nei diversi
santuari di Apollo,
Artemide, Athena, o
Zeus che tappezzano il
territorio greco)
rappresenta la possibilità
e la necessità che la
massa popolare delle
diverse comunità greche
ascenda, trascenda e
trasfiguri (purifichi) la
propria potenza
collettiva, giungendo al
termine positivo e
definitivo della propria
vita sociale. Questo punto rappresenterà senza soluzione di continuità il principio costante
della ripresa e dello svolgimento annuale della vita comunitaria, o delle sue fasi più
importanti (semina-vegetazione-raccolto). In tal modo è questo schema ideologico a
riconoscere al paesaggio destinato alla sacralizzazione di un santuario posto in un luogo
sopraelevato la forma corretta ed adeguata, giusta, per la molteplicità delle funzioni che
deve svolgere, espletare e portare a compimento (elevare accogliendo, ristorare il corpo e la
mente, guidarle e dirigerle nel momento della rivelazione misterica od oracolare, favorendo
la memoria nella ridiscesa al mondo usuale e quotidiano). Diversamente i luoghi campestri
o palustri ameni, lontani o strani (Cfr. Dioniso), potevano rappresentare la persistenza degli
antichi schemi religiosi, più vicini alla forma di estraniazione collettiva collegata ai riti della

41
Grande Madre (poi De-meter; il culto delle pietre 10 e degli alberi 11 posti al centro del
santuario).
5.2. Altare.
Lo spazio definito dal sacro, sia esso esteso in senso verticale (secondo il tendenziale
sviluppo olimpico-orfico), oppure allargato in direzione orizzontale (secondo la permanenza
sotterranea del culto dell’originario), consente alla mente umana di fornire a se stessa una
prima forma di rappresentazione del mondo. All’interno di questa, poi, il centro e
l’elemento essenziale, che deve costituire il fondamento per l’edificazione cultuale e
religiosa – l’altare – viene a raffigurare una fase ulteriore della rappresentazione stessa:
come si diceva in precedenza, una rappresentazione all’interno della rappresentazione. Una
rappresentazione che concentra e focalizza la mente in un luogo elevato, ad di sopra del
quale disporre il segno concreto ed allegorico del fuoco trascendente ed accanto al quale
accostare e comporre la figura e l’immagine del divino, la sua controfigura: il celebrante.
Oppure una rappresentazione che fa esplodere la creatività collettiva nel rito orgiastico,
quando la sessualità collettiva imita la furia creativa del principio originario. Tanto la prima,
quanto la seconda serie autorappresentativa forniscono alla mente umana un modo per
penetrare nel mistero della vita in generale e della sua conduzione, regolata ad ogni passo
oppure libera ed apparentemente disordinata. Nel primo caso diventa necessario identificare
materialmente e formalmente l’elemento e lo strumento essenziale – la pietra, l’albero ed il
celebrante – nel secondo caso, invece, non si può, né tantomeno si deve isolare e dislocare
in posizione visibile alcun rapporto (elemento-strumento) essenziale: a pena di perdere il
contatto con ciò che rimane abissalmente lontano dalla vista, perché vicino al cieco ed
intimo desiderio (eros). Nel primo caso si crea la sussistenza di un perno di rotazione, di
trasvalorazione e modificazione della vita collettiva; nel secondo caso, invece, non pare
possibile sospendere alcun gesto edificatorio, edificante una forma educativa separata ed
astratta. Il cieco desiderio resta muto nel grido espressivo immediato. Non v’è sviluppo
lineare e determinativo, manca la finalità di un discorso o di un calcolo preventivo e
predittivo. Non esiste alcuna modulazione linguistica capace di entrare in rapporto con
l’altro e di ricevere dall’altro un contenuto oggettivato (identificato e distinto). Salta la
comunicazione fra pari, che viene sostituita dall’uso reciproco e feroce. Il richiamo alla
libertà eguale non ha il sostegno del rispetto e della stima reciproca. L’animalità pare fare da
preda l’uno all’altro.
Così alla ferocia reciproca dei primi riti religiosi – gli atti sessuali collettivi, con furia

10
Come al centro dei santuari eleusini. Ricorda la pietra a forma di ombelico di Delfi (omphalós).
11
L’olivo caro ad Athena sull’Acropoli ateniese; la palma dedicata ad Apollo e ad Artemide a Delo; il salice di Hera a
Samo; la quercia di Dodona; i diversi boschi sacri (p.es. ad Olimpia).

42
quasi antropofaga (cfr. i miti dei Centauri e la Centauromachia, i miti delle Amazzoni e la
Amazzonomachia, i miti relativi ai Giganti ed ai Titani con la relativa Gigantomachia) 12 – la
progressiva civilizzazione umana ha ritenuto di ingraziare ed ingentilire la relazione
orizzontale fra i soggetti umani, impedendo la reciproca ferocia dell’appropriazione
esclusiva e donando alla vista interna dell’immaginazione razionale una forma ed una
materia mimetica, un nuovo oggetto e specchio per la propria riflessione ed
autodeterminazione. La coscienza infinita ed universale: il riconoscimento della presenza in
se stessi di un movimento dialettico verticale (dover-essere-per-sé) ed orizzontale (dover-
essere-per-l’altro). Solamente questa nuova ragione consente all’umano la sostituzione del
precedente negativo con un opposto totalmente positivo, aprendo alla forma di una
rivelazione epifanica completamente benefica, nei suoi atti creativi (generazione) e nella
reciprocità delle sue relazioni (etica). Solo l’atto che distoglie da questa libertà eguale ed
amorosa, concentrandone e soprattutto selezionandone e graduandone il possesso, consente
quel passaggio ulteriore di civiltà, che si pretende continuamente come superamento (la
tendenza orfico-platonica, ancora presente e dominante ai nostri tempi). Prima della
graduazione progressiva della società greca in classi (al tempo di Platone e di Aristotele), il
rapporto di concentrazione verteva fra la controparte divina e la comunità dei fedeli, guidata
e diretta dalla mediazione sacra rappresentata dal celebrante, strana figura di passaggio ad
unire due mondi opposti, mezza divina e mezza umana (cfr. l’ironia aristocratica nei
confronti dei satiri, mezzo umani e mezzo animali, maschere sarcastiche dei riti e dei culti di
antica tradizione naturalistica). Con la diagonalizzazione e l’elevazione al termine divino
proposta dalla religione olimpico-orfica si dà atto quindi alla separazione ed all’astrazione
dalla primigenia fonte primitiva, dall’originario naturale e razionale: si dà atto al distacco –
definitivo per l’ideologia occidentale – dall’eguaglianza naturale, per la determinazione di
un’eguaglianza formale sotto la potenza e le ali dello Stato (l’aquila, immagine di Zeus).

12
Da http://it.wikipedia.org/wiki/Partenone. “Il Partenone è un Tempio dorico ottastilo e periptero con caratteristiche
strutturali ioniche. Le novantadue metope doriche (realizzate da Fidia e da suoi allievi) furono scolpite come
bassorilievi. Le metope, concordando con i registri degli edifici, sono datate come degli anni 446-440 a.C.. La loro
progettazione è attribuita allo scultore Kalamis. Le metope del lato est del Partenone, sopra l'entrata principale,
raffigurano la Gigantomachia (la lotta degli dei dell'Olimpo contro i Giganti). Sul lato ovest, le metope mostrano
l'Amazzonomachia (la mitica battaglia degli Ateniesi contro le Amazzoni). Le metope del lato sud — con l'eccezione di
13-20 metope piuttosto problematiche, ormai perdute — mostrano la Centauromachia Tessala. Sul lato nord del
Partenone, le metope sono poco conservate, ma l'argomento sembra essere la Guerra di Troia.”
La costruzione del Partenone sull’Acropoli ateniese pare obbedire proprio allo schema visivo della diagonalizzazione-
elevazione, con il punto di visione sulla collina di Pnice ad ovest e la disposizione elevata verso est dell’intero santuario
dedicato ad Atena; la porta ad est era poi la porta d’ingresso, rivolta al sorgere del sole e all’entrata del divino (ad est
era pure disposto l’altare esterno). Coincidenza ulteriore, non certamente causale, il fatto che le metope accolgono la
rappresentazione delle vittorie della civiltà ateniese su Giganti, Centauri ed Amazzoni: divinità,
semidivinità/semibestialità, popolazioni eroiche femminili legate essenzialmente al culto della Grande Madre, quindi a
quella formazione religiosa di tipo epifanico, che la successiva fase classica greca cercherà di superare ed estinguere. In
questo modo l’edificio del Partenone diventa lo snodo essenziale per l’appropriazione culturale del territorio ateniese,
secondo la quattro proiettate direttrici geografiche (verso est, verso ovest, verso il nord più vicino e verso il nord più
lontano).

43
L’altare (bomós) nel santuario (temenós), insieme all’immagine sacra del dio (hédos
inamovibile – cfr. la platonica ed aristotelica éidos – il dio-guerriero negli xóana)
conservata nel tempio (naós), dà concretezza materiale ed architettonica a questo schema
diagonalizzante e di elevazione-trasfigurazione. Costituisce la fase finale del processo di
autorappresentazione di una ben precisa forma culturale: esso è lo schema ideologico
generale, che farà da sfondo al presupposto teologico, politico e naturale della civiltà
occidentale, sino ai nostri giorni. Con un passaggio in più: dalla fase di celebrazione
all’aperto, naturalistica, si passa a quella all’interno, più vicina a forme di rappresentazione
astratte, separate. Consapevolmente rappresentative e distaccate: soprattutto dalla propria
origine. Così, da un lato, si può avere la nascita del teatro, dalle gradinate disposte attorno
all’altare; dall’altro, la formazione di una modalità di culto più privata ed individuale, più
intima e riservata. Quasi come in una diversa speciazione evolutiva animale.
5.3. Tempio e immagine sacra.
L’immagine sacra del dio nel tempio dà dunque rappresentazione ad una fase ulteriore
nel processo di ideologizzazione greca: quella nella quale il termine divino non è più
all’esterno, ma viene al contrario chiuso all’interno di un orizzonte limitato, a costituire quel
perno determinante che facilmente preparerà la strada ad una trasfigurazione politica in
senso autoritario. Ora le figure del dio (Apollo, Artemide, Athena), del sacerdote e del re si
avvicinano e compenetrano a tal punto da non lasciare che un limitato movimento di
continuo ritorno al rapporto od alla triangolazione da loro stessi instaurata. Non è un caso
allora che Poseidone e Zeus 13 non si lasciassero completamente ingabbiare in questa forma
di autorappresentazione del potere assoluto umano, conservando e riaprendo l’orizzonte di
libertà caro alla determinazione degli dei olimpici ed invero sottoponendo a critica la tentata
espropriazione umana (hybris titanica) di quelle potenze, che dovevano rimanere in mano
solamente agli dei. Di qui quella critica iconoclasta che ogni tanto prorompe nella storia
della religione occidentale, orientale, mediorientale ed arabica (ebraismo, islamismo). Nel
contesto storico rappresentato dal periodo di passaggio all’età arcaica greca non è forse
disdicevole rammentare che la critica all’impossessamento umano della potenza potrebbe
identificarsi non solo con il voluto depotenziamento aristocratico della figura assolutistica
del re (d’influsso orientale: vedi Egitto, Mesopotamia, Fenici, Ittiti), quanto pure con la
desiderata e tenace conservazione di quelle forme rituali e mitiche, che volevano rifarsi ad
un culto aperto della Grande Madre, secondo una concezione immanente che valorizzava le

13
Pag. 136: “Come l’architettura templare raggiunge il suo apice, e in certo senso un epilogo, con il tempio di Zeus ad
Olimpia – verso il 460 – e con il Partenone nell’Acropoli di Atene, consacrato nel 438, così le due sculture
crisoelefantine di Fidia, l’Atena Partenos dell’Acropoli e lo Zeus di Olimpia, erano già anticamente considerate
l’apogeo di tutta l’arte eligiosa greca. Lo Zeus di Fidia in particolare ha improntato per secoli la concezione scultorea
del dio; perfino un comandante romano rimase atterrito di fronte alla sua maestà.”

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forme cultuali collettive di tipo larvatamente democratico (culti agrari, poi in onore di
Demetra, Hera e Dioniso).
Lo sguardo dal punto diagonale ed elevato forgerà di sé la futura posizione religioso-
speculativa orfico-pitagorica e platonico-aristotelica, quando l’orizzonte del divino si
riaprirà verso l’apparente limitazione misurante dell’ordine e della proporzione,
dell’accostamento limitato e determinato, allorquando “i molti” saranno comunque retti e
governati unitariamente, tramite una particolare convergenza di poteri (di iniziativa
legislativa, approvazione legislativa, applicazione legislativa). La rievocazione
dell’abissalità nella natura e dell’infinito del pensiero – cfr. gli Ionici, le coppie Eraclito-
Parmenide e Anassagora-Empedocle - era in quel momento già stata superata, occultata e
sovraimpressa dal nuovo schema immaginativo e razionale, destinato a fare la fortuna della
civiltà ideologica occidentale. Prova concreta e dimostrazione dell’applicazione di questo
schema è, del resto, come già osservato, il modo con il quale è stata disposta l’edificazione
del Partenone sull’Acropoli di Atene, con il suo punto di vista ad ovest sulla collina di
Pnice. A sottolineare, poi, come e quanto questo schema volesse fortemente superare,
occultare e nascondere, proprio tutti i possibili culti fondati sull’osservanza della grande
Dea Madre, stanno i racconti in bassorilievo esposti tramite le metope dello stesso santuario
ateniese, dove vengono celebrate le vittorie ateniesi su Giganti, Amazzoni e Centauri.
Il nuovo potere democratico ateniese
dell’età di Pericle separerà e
capovolgerà lo spazio di
rappresentazione del potere tirannico-
popolare del secolo precedente (cfr. i
Pisistratidi), garantendo l’unità politica
tramite una triade aperta (iniziativa,
approvazione e controllo
dell’applicazione legislativa), e

Acropoli di Atene: Propilei, Tempio di Atena Nike, Partenone


conservando tramite la loro astratta
fissazione istituzionale il distacco da
forme di convergenza immediata dei tre poteri. In questa forma rappresentativa di secondo
livello viene, pertanto, demolita la precedente convergenza autoritaria, mentre resta sempre
sullo sfondo la possibilità di forme democratiche più radicali, sospinte dalla riesumazione
degli antichi riti agrari collettivi.
5.4. Anathémata.
Le offerte e le esposizioni. Celebrante, strumenti sacrificali e doni vengono assunti al
divino e separati da questo mondo, per entrare nell’immortalità. Lo spirito, l’anima e la

45
materia di questi viene come sdoppiata, come se la loro immagine interna e nascosta,
ripiegata, potesse effettivamente aprirsi, svolgersi e raggiungere il divino e piegarne in
qualche modo la misericordia, la pietà. Così il rapporto fra l’immaginazione umana, che ha
termine nello stesso divino innalzato, e queste immagini diviene lo schema di relazione e di
movimento di tutti gli esseri e gli oggetti esistenti. Anzi, di più: nulla può essere detto
esistente a meno che non riesca ad entrare nello spazio di relazione e di movimento così
decretato, definito e determinato. Nasce in questo modo la prima figura dell’Uno necessario
e d’ordine, che per l’appunto costituisce quell’alto fondamento necessario al quale riferire e
far ordinare tutte le relazioni e tutti i movimenti degli esseri. Nasce lo spazio separato
dell’astratto, di ciò che viene estratto dalla realtà naturale per essere di nuovo riaperto e
riordinato in modo semplice e chiaro, con tutte le relazioni bene in vista e tutti i possibili
movimenti ben regolabili. Come si può facilmente osservare esso costituisce il lontano
sfondo e fondamento operativo delle scienze moderne, quando queste toglieranno dalla
consapevolezza l’apporto dell’immaginazione soggettiva, o la neutralizzeranno nella stessa
visione oggettiva che preparano (cfr. la fisica geometrica e la fisiologia delle passioni di
Cartesio). L’antico dio, nascosto ed obliato, però si vendicherà, per il tramite del sempre
risorgente dogmatismo scientifico, o per la contropartita della sua riesumazione teologica
originaria.
Quale che sia la ripresa classica e moderna dell’antico impianto d’ordine della
speculazione religioso-ideologica occidentale, l’offerta votiva greca mantiene la
caratteristica della concretezza, conservando appieno nello stesso tempo la propria capacità
simbolica: l’offerta votiva si fa strumento essenziale e fondamentale del trasferimento e
della possibile trasformazione della realtà del fedele devoto, costituendosi come anticipo
della cessione-alienazione del soggetto medesimo. L’offerta del tripode conserva nella sua
forma visibile il segno della triplice convergenza attorno alla semisfera della potenza e del
fuoco elevato, identificandosi pertanto come simbolo e segno visivo fondamentale. L’offerta
delle immagini di animali, invece, elabora un primo passo verso l’astrazione, grazie alle
capacità mimetiche della riproduzione artistica: ora grazie all’arte è possibile trasferire e
trasformare solo secondo l’immaginazione, nella più profonda immaginazione panica. È il
contatto umano con tale immaginazione panica che consente anche l’offerta di immagini
antropomorfe, fondamento di tutte le successive forme di autocelebrazione (monumentale o
meno). Il passaggio cristiano verso una ulteriore forma di astrazione toglierà valore alle
forme autocelebrative, spostandole e trasferendole ulteriormente verso il panorama “etereo”
delle potenze “celesti”, nella loro organizzazione metafisico-dogmatica. La laicizzazione
moderna recupera, invece, lo stile autocelebrativo, attraverso l’esemplarità delle virtù
richieste dal contesto storico-politico e culturale. Il patrimonio del tempio diventa allo

46
stesso modo l’emblema del capitale di Stato moderno, quando la forma statuale moderna
riassumerà la veste del potere assoluto.
6. Sacerdoti.
Nelle società orientali (Persia, Egitto) l’elemento di snodo, di accesso al divino, e nel
contempo lo strumento posto nelle mani e nelle eventuali decisioni antropomorfiche della
divinità, è il soggetto sacrificante. Egli amministra il culto e ne governa le azioni in nome
della collettività, per ricevere quella trasformazione reale della vita collettiva, che la
preghiera induce solo potenzialmente. Egli, dunque, è un coadiuvante necessario ed
essenziale – insieme alla pietà popolare – perché il dio accolga e senta su di sé
favorevolmente le richieste dei mortali. Egli incarna e trasmette il divino, come veicolo e
strumento assoluto della volontà della divinità stessa: perciò è mago, in quanto riesce in
quella trasformazione.
Nella Grecia prearcaica non si è ancora giunti né alla trasmissione in senso lineare e
determinativo di una dottrina mitologica universale (per il tramite di un testo sacro), né alla
costituzione di un corpo speciale ed organizzato che rappresenti una mediazione assoluta al
e dal divino (Chiesa gerarchica). Non pertanto manca il senso generale di una dialettica
verticale – come abbiamo già osservato – come pure il senso di una necessità
orizzontalmente condivisa (nómos): l’inizio, il mezzo ed il fine dell’esercizio cultuale resta
in mano a chi ha già dimostrato laicamente di possedere una speciale potenza sociale e/o
economica. Ma la proprietà del santuario resta in mani divine: come l’atto e la potenza del
dio non dipendono in alcun modo dalle volontà o dai desideri e richieste dell’uomo, così la
sua stessa manifestazione si deve realizzare in un luogo, che non possa dipendere dalle
volontà direttive e di finalizzazione umane. Il guardiano di questa delimitazione, senza
alcun interesse personale o di casta in questo servizio, è lo hiereús (o la hiéreia): il
sacerdote o la sacerdotessa (che può essere carica trasmissibile, soprattutto nelle più antiche
famiglie aristocratiche). 14 Una certa forma di elevazione e di trasfigurazione sarà però poi un
tratto dell’evoluzione della cultura religiosa greca, da Omero sino all’età classica, quando il
sacerdote verrà considerato con il rispetto e l’onore dovuti ad un “dio fra la gente”. 15
7. Manifestazioni festive.
7.1. Pompé.
La linearità determinativa che manca ad una eventuale trasmissione dottrinale religiosa è
invece ben presente a scandire il passaggio del tempo annuale, che viene organizzato dalla
celebrazione delle feste religiose, a loro volta capaci di segnare in modo emotivamente e
razionalmente significativo l’andamento ciclico delle stagioni naturali o lo sviluppo degli

14
Pagg. 142-143.
15
Omero, Iliade, 16, 605.

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esseri umani. Nell’esaltazione la gioia e l’orrifico costituiscono i due estremi opposti del
movimento emotivo dei singoli e della collettività, i termini fra i quali oscilla continuamente
l’animo dei concelebranti. Il termine indisponibile e quello al contrario favorevole
costituiscono insieme l’atto di un processo – cfr. il movimento concreto della processione
(pompé), poi via sacra - dialettico, nel quale ciò da cui ci si sottrae continuamente spinge
verso uno scopo opposto e rasserenante, chiaro e razionale, riconoscibile ed attendibile da
tutti e per tutti.
È in questo modo che nasce e si forma, si afferma, la mentalità progressiva: il soggetto
collettivo, attraverso il superamento di prove di difficoltà crescente, riesce a raggiungere un
grado di stabilità maggiore, un ambito vitale di felicità più grande e migliore. Nasce
l’immagine aperta di una potenza collettiva capace di assicurare la felicità ed il benessere,
quando l’atto finale religioso può compiersi (il sacrificio). Ecco allora formato lo spazio e la
struttura mentale, che si esprimeranno nella futura definizione dei concetti fondamentali
aristotelici: quello di potenza, e quello superiore di atto, nella sua realizzazione finale.
Attenzione pure al peso del fatto strumentale iniziale e finale, rappresentato operativamente
rispettivamente dal sacerdote e dalla vittima sacrificale, poi adottati, importati e trasfigurati
nella logica determinista del primo pensiero cristiano, che vedeva nel sacrificio del Cristo la
via necessaria per la salvezza dell’umanità.
Le Panatenee ad Atene, in onore di Atena. La Dafneforia a Tebe, in onore di Apollo.
7.2. Agermós.
L’offerta obbligata è legata al terrore. Nasce l’obbligazione psicologica al potere
religioso, propedeutica a quella rivolta al potere politico. Il terrore fonda in tal modo la vita
emotiva e razionale della collettività nei confronti dello Stato, secondo una tradizione
tuttora presente nella civiltà occidentale. La paura della morte assoluta, dell’annichilimento
di ogni potenza generativa (naturale od umana) diventa il motore principale e la causa del
movimento eterodeterminato del popolo e delle masse cittadine e contadine.
7.3. Danza e canto.
Come il santuario definisce spazialmente all’interno della rappresentazione religiosa
emergente il termine sacro di riferimento (essenziale ed elevato) e la processione religiosa il
necessario procedere temporale verso di esso, dimostrando la necessità di allontanarsi da un
luogo e da una potenza nei cui confronti viene esercitato il sacro potere del terrore e della
maledizione, così le nuove danze (chorós), i nuovi canti e le nuove musiche, approntate
grazie a nuovi strumenti musicali (aulós, kithára, lyra), definiscono il corredo necessario
allo sviluppo del loro intreccio, alla congiunzione fra la dimensione spaziale e quella
temporale. Bandito l’uso delle percussioni, troppo vicine al modo antico di immedesimarsi
con il divino, alla penetrazione nella stessa potenza terrestre ed ai relativi culti della Grande

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Madre, la nuova danza, la nuova musica, il nuovo canto e la nuova poesia religiosa
esprimono progressivamente il distacco dall’antica e terribile potenza naturale, costruendo
degli spazi culturali astratti, nei quali la felicità immediata del contatto movimentato con il
divino trova espressione corporea collettiva nella danza, mostrando un’apertura emotiva e
razionale comune, all’interno della quale l’espressione musicale svolge la funzione della
direzione del ritmo e della ripetizione finalizzata, mentre il canto unisce l’azione verbale
come accompagnamento dell’umano, in una sua prima versione razionale, oltre
l’espressione immediata della corporeità, laddove la successiva poesia religiosa compone
musica e canto nella definizione dell’orizzonte di determinazione comune, nella
determinazione dell’ideologia religiosa di riferimento. In tal modo l’orizzonte delle nuove
potenze olimpiche riesce a sovrapporre la virtù della propria determinazione ideologica,
tramite la rotazione progressiva ottenuta dall’inserzione dei nuovi schemi di movimento – la
danza e la musica secondo il concetto di una finalità operativa – e di astrazione – il canto e
la poesia – occultando, appunto per sovrapposizione, lo spazio ed il tempo organizzati dalla
precedente determinazione religiosa. Lo spazio inamovibile dell’origine ed il tempo
eternamente presente della creatività naturale, che utilizzavano modalità espressivo-cultuali
completamente aperte, innestando la propria giustificazione razionale nell’atto della
liberazione comune (la sessualità orgiastica e l’immedesimazione con le potenze creative
della terra), capace a sua volta di dare sostegno ad una potenza d’orizzonte – ad un cielo
luminosamente e celestialmente aperto – che costituisce l’unico principio e l’unica causa
motrice del pensiero e dell’azione dell’uomo.
È facile osservare di conseguenza come, nel momento in cui comincerà a sorgere quella
particolare e specialissima arte dialettica successivamente definita - da Pitagora – come
filosofia, le prime correnti speculative si collegheranno alla trasmissione – si potrebbe dire,
in forma quasi laicizzata – delle prime forme creativo-dialettiche religiose: Talete,
Anassimandro, Anassimene appoggeranno e renderanno comprensibili le proprie riflessioni
all’interno dell’orizzonte di senso edificato da quelle forme religiose. Al contrario, il
prorompere dall’oriente dell’Orfismo e la sua influenza sulla filosofia pitagorica, oltre a
modificare e capovolgere di senso e di significato i precedenti culti dionisiaci ed eleuisini,
costituirà il nuovo orizzonte di riferimento per la speculazione successiva di Platone ed
Aristotele, che dovranno infatti scontrarsi con tutti i problemi logico-ontologici presenti nel
loro tentativo di superamento delle speculazioni della coppia Eraclito-Parmenide, venendo a
loro volta contrastati prima dai lasciti delle speculazioni di Anassagora ed Empedocle, poi
dai contenuti coevi espressi dagli atomisti: Leucippo, soprattutto Democrito, al quale
Platone plagia i riferimenti intellettuali, censurandone poi la stessa esistenza; per non dire di

49
Epicuro e della successiva trasmissione latina delle sue teorie, tramite Tito Lucrezio Caro ed
il suo De rerum Natura.
Come si vede, questa opposizione fondamentale non può non rappresentare una facile
premessa per la successiva evoluzione della storia del pensiero in Occidente, quando il
nuovo pensiero cristiano utilizzerà proprio l’impostazione e la proposta platonica per
combattere la propria battaglia culturale contro le residue posizioni immanentiste, riuscendo
poi grazie a Tommaso d’Aquino, alla fine del periodo aureo del Medioevo, a reintegrare lo
stesso Aristotele in una visione neoplatonica, estendendo in tal modo almeno
potenzialmente il dominio della propria egemonia culturale su tutti i principali centri
europei di produzione della conoscenza (Parigi, Oxford) ed accostandosi ad un utile
confronto con la speculazione araba. La stessa successiva divisione in campo cristiano fra
cattolici e protestanti pare essere legata all’accentuazione della prospettiva determinista,
contro quella legata alla valorizzazione delle finalità e degli scopi operativi, in uno scontro
fra due corni di un dilemma che può nascere comunque solo all’interno del predominio del
punto di vista della trascendenza su quello dell’immanenza. L’immanenza verrà riscoperta
dalla speculazione di Giordano Bruno e trasmessa attraverso Spinoza a tutta l’evoluzione
moderna del pensiero e dell’azione occidentale, mentre Cartesio e lo stesso Leibniz
cercheranno di non uscire dal presupposto teologico-politico tradizionale. La corrente
idealistica tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel) si scontrerà proprio su questo piano di
battaglia con la successiva speculazione marxista, mentre una più approfondita ricerca e
scoperta dei temi cari alle filosofie presocratiche ed alle religioni dionisiache porterà dopo
Nietzsche – ancora ancorato alla preziosità della forma espressiva apollinea - ad una
successiva rivalutazione del primitivo e dell’espressione spontanea, ad di fuori dei canoni
culturali tradizionali. L’avventura coloniale europea, la scoperta di popolazioni e culture
diverse da quelle occidentali, il prorompere del primo conflitto mondiale, la reazione delle
successive costituzioni totalitarie e il secondo scontro europeo e mondiale per il controllo
egemonico ed imperiale sulle risorse del pianeta, sono il modo attraverso il quale la civiltà
ideologica occidentale stringe le fila di un ordine assoluto, fondato sul primato indiscutibile
del Capitale (economico e finanziario, oppure sociale), mentre dalla realtà storica,
geografica e persino scientifica riemerge con forza la possibilità del creativo e del dialettico,
in ambito sia naturale che razionale, con le scoperte evoluzionistiche in campo biologico,
con la rottura dell’unità del soggetto conoscente e la moltiplicazione delle prospettive di
ricerca non corpuscolari nella micro e macrofisica, con l’emergere delle avanguardie
artistiche e politiche rivoluzionarie. Dopo la contesa fra Capitale sociale e finanziario,
l’ultima fase del processo ideologico occidentale, la globalizzazione, si serve delle linee
guida conclusive elaborate sull’uomo e sulla natura dalla scienza positivista e a-dialettica

50
contemporanea (quando non dalla teologia dogmatica tradizionale), mentre il creativo e
dialettico riemergono a livello planetario sia a livello teoretico, sia a livello pratico, con
impostazioni scientifiche che fanno largo uso del concetto di relazione e tolgono l’antico
ordine attuale e finalistico di matrice aristotelica (in ambito fisico, biologico, psicologico e
sociale), e con impostazioni (teologico)politiche che fanno riguadagnare alle collettività
oramai planetarie il senso ed il gusto della vita libera, fraterna ed eguale.
Agli inizi di questo lunghissimo tragitto la trasformazione in senso olimpico della
religiosità greca cerca di occultare il senso religioso precedente, legato alla terra ed alla sua
potenza naturale, sostituendo alla visione ed attenzione immediata l’autocircolarità naturale
con lo sviluppo lineare determinato, diviso e scandito da fasi e finalizzato. Qui il canto (o la
poesia sempre nuova – la lirica corale - del poietés) e la danza si restringono a commento
del tragitto verso il sacro: il canto segna il procedere delle fasi, mentre la danza finale
celebra l’apoteosi del dio. Qui salti e movimenti concentrici o frontali, organizzati ed
ordinati, sostituiscono l’agitazione e la frenesia dei movimenti istintuali, sublimandoli. Non
è allora difficile collegare questa razionalizzazione e finalizzazione del movimento con le
feste atletiche di Olimpia (la prima Olimpiade è del 776 a.C.; l’imperatore Teodosio le vieta
nel 394 d.C., quando le feste religiose cristiane diventeranno la norma politico-culturale
dell’Impero romano). Allo stesso modo non è difficile comprendere la ragione per la quale
la competizione entri nella rappresentazione della stessa funzione religiosa.
7.4. Maschere, falli, aischrología.
Penetrare nella potenza naturale, nelle sue diverse manifestazioni, immedesimandosi con
esse ed assumendone l’identità: questa è forse la ragione dell’uso di maschere animali nelle
antiche celebrazioni religiose greche, che mostrano in
tal modo una ulteriore e primitiva forma di contatto e
possesso con e della divinità. Un possesso che non
poteva non essere totale, immediato e completo, senza
residui e pieno di libertà espressiva: per questa ragione
la liberazione delle pulsioni sessuali consentiva a
uomini e donne di entrare, attraverso lo strumento
espressivo privilegiato dal dio (l’atto o lo strumento
stesso della generazione), nella potenza stessa del dio.
Firenze, Uffizi, Caravaggio.
Questa molteplicità direzionata in ogni dove doveva
Scudo di Atena con la testa della Medusa, 1590.
però essere superata e sradicata – cfr. il mito di Perseo
e della Medusa (e di Pegaso) – se si voleva percorrere
il sentiero ideologico, che attraverso il linearmente determinativo, conduceva all’atto finale.
Per questa ragione il movimento dialettico, che diede origine allo sviluppo dell’anima

51
separata, venne fatto coincidere con il termine divino superiore, originando in tal modo
l’immagine e la figura superiore della determinazione assoluta, dell’intelletto teorico e
pratico (Apollo ed Artemide, figli di Zeus, come Athena, che esce per riflesso ed armata
dalla sua testa). Ora l’anima e l’intelletto sono separati dalla potenza naturale e definiscono
insieme l’orizzonte superiore del razionale.
7.5. Agone.
La competizione nella corsa per l’acquisizione del termine finale deve essere nei diversi
ambiti della civiltà greca la realizzazione dell’atto sacrale: la potenza del dio viene verificata
nell’atto di benedizione associato al vincitore, 16 che vince non per sé, ma per il dio stesso. In
questo modo si realizza la selezione del migliore, del più adatto a rappresentare
umanamente le qualità stesse del dio. L’intelletto teorico non è quindi mai disgiunto da
quello pratico (Apollo ed Artemide sono gemelli), mentre la finalizzazione (Athena) emerge
su tutto. Nello stesso tempo la vittoria viene vissuta come vittoria sulla potenza della morte,
come capacità di riemergere dal mondo degli inferi, per distaccare un piano di perfezione
umana, garantita nelle sue finalizzazioni e realizzazioni dal dio superiore. Si costruisce qui,
ora, lo spazio per l’intervento divino, garante del fine e della realtà. Nell’epoca successiva
del pensiero cristiano questo spazio sarà occupato dalla questione problematica della grazia
e delle opere, mentre nella fase moderna a noi vicina la laicizzazione della competizione
religiosa svolgerà il ruolo della gara dei capitali finanziari, finalizzata alla realizzazione del
massimo profitto possibile per le nuove “potenze celesti” delle corporazioni.
7.6. Banchetto degli dei.
L’alimentazione svolge quindi nell’atto sacrale la realizzazione prima e concreta della
fuoriuscita dalla potenza della morte e l’innalzamento consapevole della forza vitale. Di qui
l’uso di accostare all’esaltazione naturale dei banchetti l’esaltazione per il defunto e per il
dio. Musica e poesia inventano gli strumenti di valorizzazione e di riconoscimento
dell’onore personale e di quello divino.
7.7. Nozze sacre.
Coronamento dell’esaltazione alimentare era, prima dell’uso dell’espressione musicale o
poetica, l’esaltazione sessuale e l’accoppiamento rituale (hieròs gámos). Padrone di casa, re,
sacerdoti, sacerdotesse o lo stesso Zeus si accoppiavano con la Grande Dea Madre, o con
Afrodite, per interposta persona (sacra prostituzione maschile o femminile). L’espressione
sessuale mantiene gran peso nei riti di Samotracia, Eleusi e nei misteri di Dioniso (cfr. mito
di Teseo ed Arianna).
8. Estasi e mantica.

16
Feste Olimpiche, Pitiche a Delfi, Nemee per Zeus, Giochi istmici a Corinto per Poseidone.

52
8.1. Enthusiasmós.
L’impossessamento del dio (éntheos) è la penetrazione all’interno della sua potenza
libera, priva di legami e di relazioni esteriori: è il congiungimento con l’originario creativo,
con la fonte sotterranea di ogni manifestazione e produzione, naturale ed umana. Per questo
motivo ogni atto che circoscrive la potenza divina ripiomba nella sua stessa capacità
espressiva e determinativa immanente. Ogni atto di corteggiamento della potenza divina
diviene suscitazione – resuscitazione – del suo atto aperto di potenza, della sua capacità
espressiva e creativa. Ciò comporta inevitabilmente la necessità di una dilatazione del
proprio stato d’animo, per potersi inserire in tale apertura in divenire come strumento
dell’elevazione stessa del divino. Figlia delle capacità umane, questa elevazione sopporta il
divino, come potenza separata. È nel momento in cui si dà atto a questa separazione, che la
precedente potenza viene estratta ed astratta: come posta in una delimitazione d’orizzonte
superiore, determinante. Restare fuori (ékstasis) è allora cercare di rimanere dentro questo
nuovo spazio, che è stato immaginato e creato: lo spazio nel quale il divino compare e dà
manifestazione di sé e della propria presenza come determinazione superiore, ineliminabile
ed assoluta (katéchei). Evoluzione, fondamento ed elevazione, estraniazione – essere altro a
se stesso, in balia di un Altro enormente più grande e potente, schiacciando il furore con la
follia (manía) - diventano conseguentemente le fasi di un processo attraverso il quale
l’iniziale potenza materiale prende vita e si aliena, grazie alla autostrumentalizzazione
dell’umano. In questo procedimento di autostrumentalizzazione l’umano costruisce
l’orizzonte della propria comprensione (teorica, artistica e pratica): facendosi misura
misurata, costituisce il principio della eterodeterminazione e muove la propria ricerca
all’apprensione della forma determinativa divina. È in questo modo che la terminazione
divina emerge quale anello e gancio di una disposizione diagonale, grazie alla quale la
predeterminazione divina si svolge inferiormente come movimento causale.
Non è, allora, difficile vedere in questo processo il modo attraverso il quale
l’impostazione orfico-pitagorica, poi platonica ed aristotelica, ha preso possesso delle
precedenti forme di esaltazione religiosa, costituendo il principio di una presa di possesso
del mondo nella sua interezza, grazie all’alienazione ed alla restrizione normante – il
primato della legge e della sovranità divina – dell’umano intimo desiderio. Elementi
teologico-politici e filosofici essenziali come determinazione e causa entrano in questo
momento a costituire l’orizzonte di riferimento di quella successiva riformulazione teorica
che si occuperà del modo attraverso il quale determinazione e causa, combinati insieme,
producano gli elementi e la loro organizzazione (cosmogonia divina). È a questa
diagonalizzazione essenziale che si riferirà poi, del resto, la stessa speculazione cristiana
delle origini, successivamente ripresa ed ampliata in modo speciale dalle categorizzazioni

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dei primi concili ecumenici – Nicea (325 d.C.), Costantinopoli (381 d.C.), Efeso (431 d.C.)
e Calcedonia (451 d.C.) – e dalla ulteriore ripresa e risistematizzazione operata da
S.Agostino (con effetti futuri sulla Riforma protestante e sulla nascita del mondo moderno).
Ma come si esprimeva la divina mania, prima di questa particolare forma di
razionalizzazione? La collettività apriva il proprio furore orgiastico senza distaccare ed
alienare alcun desiderio: nessun dio superiore interveniva a reprimere con punizioni
l’autodeterminazione collettiva; nessun senso di colpa doveva essere espiato attraverso il
sacrificio dell’elemento spirituale, dello strumento rivoluzionario. Lo spirito e la sua
rivoluzione continuavano a muovere dal basso tutte le forme creative, naturali ed umane,
senza alcun bisogno di una loro restrizione, ma al contrario lasciandole nella loro più
completa ed integrale libertà espressiva. Buona non era la negazione, ma la libera posizione
di sé: la liberazione comune. L’orizzonte non chiudeva, ma apriva (ecco la funzione creativa
dell’infinito, poi nell’essente parmenideo). Per questo la follia delle donne non viene
rinchiusa e purificata dal sacerdote maschile o dal femminile mascolinizzato (Artemide).
Nulla deve essere riportato ad equilibrio, perché la determinazione originaria della Grande
Madre Terra, per esprimersi, deve lacerare apparentemente ogni forma costrittiva, per
generare l’intero universo e tutte le parti in esso contenute. Le deve aprire e non rinchiudere.
La follia non viene suscitata per essere, poi, neutralizzata. Orientandola verso forme
determinatrici maschili, secondo il canone del dominio e del controllo di ogni forma
vivente. Per questo musica, canto e danza tendono progressivamente ad ingabbiare le forme
esplosive di creatività, distaccando, separando ed innalzando l’espressione verso una
terminazione divina capace di accogliere e produrre (riprodurre) tutti i suoni e tutti i
movimenti di accompagnamento alla superiore manifestazione spirituale del divino. In
questo modo il distacco e la relativa neutralizzazione vengono compiute: qui prende senso
l’allegoria del volo, 17 che avrà un valore fondamentale nel generare lo schema generale del
possesso da un punto di vista superiore ed elevato – di nuovo la terminazione divina - dello
spazio e del tempo (profezia, vaticinio, previsione). Allora, da questo punto di vista elevato,
si potranno far concorrere – come fa Platone (Fedro, 265b) – dal lato superiore Apollo e da
quello inferiore Dioniso, l’intelletto e la finalità produttiva.
8.2. L’arte degli indovini.
La convergenza fra giudizio e capacità produttiva fa dell’azione finalizzata un segno
della possibile determinazione divina. Il primo luogo di una sua comprensione per
contenimento: la volontà divina diventa causa della determinazione della quale si ha e si fa

17
L’indovino guarda il volo degli uccelli disponendosi verso il quadrante superiore, il polo settentrionale, valorizzando
nel contempo il movimento che copre il quadrante legato all’incontro fra giudizio e finalizzazione, il quadrante destro
(orientale).

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esperienza. La ripetizione innesca ed innesta la relazione effettuale. La pratica rituale la
conferma e la sacralizza, la rende immodificabile, escludendo possibili e dannose
interferenze e deviazioni. Nasce il principio dell’inclusione comunitaria e l’opposto
principio dell’esclusione dell’elemento deviante, oggettivo o soggettivo (diabolico od
eretico). Quando lo strumento per la decodificazione della volontà divina si farà corpo
collettivo e coeso, un insieme di segni orientati ed ordinati, retto e corretto da una dottrina
trasferita per rivelazione divina piena e completa, allora si darà istituzione e costituzione
alla forma della mediazione assoluta, alla rappresentazione definitiva dell’ideologia
occidentale: la partizione universale. Essa si muove e si determina da sé, in sé e per sé (cfr.
Scoto Eriugena). In tal modo mostrando i luoghi teoretici e pratici della causa sui, del
trasferimento e della completa e definitiva alienazione.
L’inizio di questo movimento nella Grecia prearcaica si concretizzava nella persona che
incarnava l’ispirazione, il futuro dono carismatico della fede nella grazia superiore:
l’indovino (mántis). Così come Apollo veniva giustificato da Zeus, Cristo sarebbe stato
giustificato in eterno dal Padre, in tal modo instaurando quella relazione di subordinazione
che troverà traccia ed effetto esplosivo nel primo concilio ecumenico di Nicea (cfr. la
disputa fra Ario e Atanasio). Altra sarà la soluzione apprestata da Costantino I, quando la
relazione di subordinazione verrà sovrapposta ad una linea orizzontale, a segnare sì la
dipendenza del Figlio dal Padre, ma nel contempo a determinare l’asse orizzontale dello
Spirito Santo, quale luogo principale ed esclusivo – l’immagine statica della Croce – della
mediazione divina, fondamento della potenza e dell’atto divino e, per somiglianza, del
governo imperiale ed ecclesiatico (cesaropapismo). La trasmissione familiare delle virtù
profetiche nell’antica Grecia doveva allora precedere la sacra trasmissione ecclesiastica,
nello spirito e nella lettera (canone interpretativo), della dottrina nell’età cristiana. L’attività
legata all’ispirazione ed alla profezia viene pertanto sottoposta ad un processo di graduale
razionalizzazione, quando i segni si trasformano in immagini operative (magia) attraverso il
capovolgimento e rovesciamento dell’avvenimento fortuito ed occasionale – l’accadimento
involontario (oggettivo, fisico o soggettivo, come per esempio il sogno) – in organismo
logico-deduttivo e finalizzato (discorso teo-cosmologico orientato e pianificato). In questo
modo la trasformazione legata al sacrificio rituale deve saper incontrare e fondere insieme,
da un lato la divina sapienza (Logos), dall’altro l’aspirazione umana alla positiva
realizzazione del comune desiderio. Non è difficile osservare come le fasi processuali che
vengono incardinate in questo processo di fusione, come suo successivo svolgimento,
trovino manifestazione in epoca cristiana in una problematica particolare - la diversità o
l’unicità delle nature di Cristo – ed una soluzione tradizionalmente accettata, a partire dalle
stesse religioni precristiane – il trasferimento e l’astrazione completa della Madre generante

55
nel cielo della divina potenza ed atto finalizzato (cfr. Concilio di Efeso, 431 d.C.). Allora le
interiora dell’animale saranno finalmente sostituite dalla parte più interna e nello stesso
tempo più elevata del corpo e del sangue di Cristo: dalla vita ordinata nello Spirito della
Chiesa. Come complesse ed intricate erano le interiora degli animali sacrificati, così difficile
e non immediatamente evidente compariva la soluzione cercata alla battaglia ed alla sua
conduzione vittoriosa; in modo altrettanto complicato si sarebbero poi svolte le
risistemazioni dogmatiche cattoliche, piene di riscritture e di diversi orientamenti.
8.3. Oracoli.
Seguire la mano e la conduzione del dio – la sua volontà causale – predispone l’umanità
alla necessità della subordinazione e all’accettazione della sua volontà mediata e trasmessa
(chrestérion, oraculum, oracolo). Il fatto stesso che essa sia trasmessa è il segno e la prova
della sua origine divina. Esso imporrà in tal modo l’eteronomia del divino (la sua superiore
eternità contro l’inferiorità dei mortali). L’oblio di ciò che viene trasmesso da parte
dell’oracolo è poi la prova della sua neutralità e della sua effettiva funzione di semplice e
puro veicolo del messaggio divino. Questo stesso oblio del resto giustificherà la dottrina
platonica dell’anamnesi e del ricordo delle idee nell’iperuranio, come pure la salvezza ad
opera della imperscrutabile grazia divina e non delle opere dell’uomo nella religione
cristiana. Tutte le impostazioni invece rivoluzionarie si richiameranno alla potenza dinamica
della Natura madre o della Ragione padre, al movimento inesausto dello Spirito: si tratti del
richiamo a forme preorfiche di culto immanente e materiale, di stile agricolo, o di forme
filosofiche materialiste (Anassagora), oppure cristiane attente alla moralità iniziale degli
insegnamenti del Cristo (Marcione), ovvero di forme altamente e concretamente
spiritualizzate (Circumcellioni e Donatisti, Montanisti, sino agli Anabattisti moderni ed alla
teologia di Thomas Müntzer o di Giordano Bruno).

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