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Indice
prefazioni

Ermete Realacci, Presidente Comitato Promotore Voler Bene all’Italia III


Mauro Guerra, Coordinatore Nazionale Consulta Piccoli Comuni Anci IV
Francesco Starace, Presidente Enel Green Power V

introduzioni

Vittorio Cogliati Dezza, Presidente Nazionale Legambiente VI


Pierciro Galeone, Segretario Generale di Cittalia Fondazione ANCI Ricerche IX

capitolo 1
La geografia dei piccoli: la tenuta dei territori 
1.1 Piccoli, ma non comuni. Dal disagio insediativo all’eccellenza
dei territori italiani
Sandro Polci, C.D. Serico Gruppo Cresme 1
1.2 Numeri dati e trend dai territori minori  3
1.3 Le fragilità ambientali del territorio  5

capitolo 2
il primato della qualità

2.1 Il made in Italy tra soft e green economy


Fabio Renzi, Segretario Generale Symbola - Fondazione per le Qualità italiane 8
2.2 Le eccellenze ambientali: rinnovabili e rifiuti 11
Buone pratiche 16
2.3 Le economie verdi tra ecoturismo e produzioni tipiche 19
Buone pratiche

capitolo 3
la qualità culturale del territorio 22
3.1 Comunità e coesione
Vanessa Pallucchi, Presidente Legambiente Scuola e Formazione 25
3.2 Scuola, presidio di qualità 27
3.3 Un mondo di opportunità: il dinamismo culturale 30

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IV

Fonti:
Atlante dei Piccoli Comuni, Anci Cittalia, 2009
Comuni Ricicloni 2009, Legambiente
Comuni Rinnovabili 2010, Legambiente
Ecosistema Incendi 2009, Legambiente
Ecosistema Rischio 2009, Legambiente
Dossier tagli 2009, Legambiente, in “Formazione Ambiente”, settembre/dicembre 2009
Gli istituti comprensivi come luoghi di coesistenza/convivenza di identità culturali/pro-
fessionali diversificate, in Educazione & Scuola, Umberto Landi
I comuni italiani 2009, Cittalia e Ifel
I piccoli comuni il futuro tra slancio economico e sociale e conservazione di uno stile
di vita, Anci Cittalia
Il futuro made in Italy, Symbola e Farefuturo, febbraio 2010
Il turismo delle identità, Cittalia, settembre 2007
L’andamento del mercato delle Dop e Igp in Italia nel 2008, Ismea 2010
L’Italia delle qualità agro-territoriali, Ager-Legambiente, 2005
La scuola in cifre 2008, MIUR
La scuola nei territori diffusi, in Appunti di viaggio dai territori della scuola
piemontese, a cura di P. D’Elia, C. Galletto, V: Bonardo, F. Gramegna
Rapporto sull’Italia del “disagio insediativo, 1996/2016 Eccellenze e ghost town
nell’Italia dei piccoli comuni, Confcommercio e Legambiente, 2008
Verticale, che passione!...in Educazione & Scuola, Giancarlo Cerini

A cura di:
Alessandra Bonfanti, Katiuscia Eroe, Daniele Faverzani, Laura Genga,
Matteo Ranalli, Giacomo Rovagna, Lucia Soccorsi, Paola Tartabini
Fotografie:
Matteo Tollini
Grafica:
Gif.idea@gmail.com
Stampa:
Grafiche Vieri - Stampato su carta ecologica con utilizzo di inchiostri atossici EuPIA
Progetto di Legambiente, con la partecipazione di Anci, Cittalia e Symbola

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V

È quando il momento è più difficile che bisogna attingere alle migliori


energie del paese. Fra queste c’è sicuramente l’Italia dei piccoli comuni, quella
piccola grande Italia, che se valorizzata e sostenuta, non rappresenta l’eredità
del passato ma una straordinaria occasione per difendere la nostra identità,
le nostre qualità e costruire il futuro. È da questa idea, del resto che è nata
“Voler Bene all’Italia”, il cui nome è ispirato da un bellissimo carteggio fra Pietro
Pancrazi e Pietro Calamandrei “Allora, nasce dentro di noi come un intenerimento
e si sente allora, come non mai, di volere bene, ma molto bene, all’Italia”.
È anche da questa convinzione che in questa legislatura ho ripresentato come
primo firmatario, la proposta di legge “Misure per il sostegno e la valorizzazione
dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti”, sottoscritta da
oltre 100 parlamentari di maggioranza e opposizione, che recentemente ha iniziato
l’iter legislativo. Se in questa legislatura, questo disegno di legge diventerà una
legge dello Stato, sarà davvero un bel segnale per creare nelle aree minori le
precondizioni per lo sviluppo, le opportunità di crescita economica e riequilibrio
territoriale e investire sulle peculiarità di realtà con politiche di valorizzazione, di
manutenzione, di opportunità che contrastino i pericoli di indebolimento.
La convinzione che c’è dietro questa legge è che per scommettere sul domani,
l’Italia deve, come tutti i Paesi avanzati, puntare su ricerca, innovazione,
conoscenza e al tempo stesso valorizzare alcune sue caratteristiche peculiari:
un intreccio unico al mondo tra città e patrimonio storico-culturale, ambiente
naturale e paesaggio, prodotti tipici e buona cucina, coesione sociale, qualità
della vita, capacità di produrre cose che piacciono al mondo. Tutti elementi che
i piccoli comuni possiedono copiosi e che possono trasformarli in laboratori del
nuovo made in Italy ed essere un’arma invincibile nella competizione globale.
Il futuro del nostro Paese dipende proprio dall’orgoglio con cui riconosceremo
nel tessuto delle comunità e nella coesione sociale il lievito della competitività;
nel capitale umano, nell’identità e nei talenti del territorio un elemento portante
del nostro modello di sviluppo. Allora, per creare qualità, il welfare, la vita dei
lavoratori, la loro formazione, la salute delle comunità, del territorio e dei servizi
non sono optional ma importanti fattori produttivi. E hanno un ruolo decisivo
soprattutto per l’Italia, che non ha chance di battere la concorrenza sul costo del
lavoro e col dumping sociale e ambientale, per fortuna, ma può essere imbattibile
se parliamo di qualità, di capacità di produrre bellezza.

Ermete Realacci,
Presidente Comitato Promotore Voler Bene all’Italia

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VI

A nche quest’ anno, ANCI e Legambiente, rilanciano il proprio impegno a favore


dei 5800 Piccoli Comuni, 55% del territorio nazionale e custodi di gran parte dei
tesori, delle identità e delle tradizioni italiche. Enti erogatori di servizi, presidio
del territorio, tessitori di coesione sociale, promotori di sviluppo sostenibile,
innovazione e qualità, con una capacità di “fare in autonomia”, preziosa per l’intero
Paese. Modi di vita e di sviluppo che fanno dell’ambiente, del paesaggio e delle
risorse naturali un patrimonio di opportunità, luogo di incontro tra tradizione,
innovazione e migliore qualità del vivere. Siamo e possiamo essere protagonisti
delle esperienze più avanzate e diffuse dell’innovazione; anche in una fase di
difficoltà economica e sociale, siamo una linea capillare e avanzata di ascolto
e di intervento per i cittadini, mettendo in campo nel modo più efficiente ed
efficace possibile, le risorse e gli strumenti disponibili. Occorrono però misure,
coerenti, urgenti e adeguate. Non si tratta solo di aiutarci nel contrastare disagi
e bisogni delle nostre comunità: le opportunità di ripresa stabile e di qualità
dei nostri territori dipendono in larga misura da scelte almeno minimamente
lungimiranti, che prefigurino un nuovo sostenibile sviluppo che per noi è centrato,
innanzitutto, sulla qualità, operando scelte verso l’innovazione, le riforme, la
coesione territoriale e sociale. Dall’ambiente all’energia, dalla ricerca e formazione
all’innovazione del sistema produttivo, dall’adeguamento infrastrutturale alla qualità
della cooperazione intercomunale, per giungere a rafforzare le Istituzioni locali,
fino alla modernizzazione della Pubblica Amministrazione. Occorrono scelte che
comprendano le peculiarità dei territori, costruendo, per loro e con loro, politiche
capaci di valorizzarne lo straordinario patrimonio, superando limiti e fragilità che
pure li contraddistinguono, accompagnandoli verso nuove forme di adeguatezza.
Ciò è possibile, innanzitutto, con una normativa differenziata e semplificata da
definirsi partendo dalla Carta delle Autonomie, con un riscontro coerente nel
progetto di federalismo fiscale e, non da ultimo, nell’accettare e lavorare per vivere
da protagonisti la sfida dell’adeguatezza, sia nella ricerca di forme di cooperazione
intercomunale espressione diretta degli stessi Comuni, come le Unioni, sia rafforzando
lo strumento della convenzione, comunque disboscando la giungla attuale in cui
versa il sistema delle cooperazioni tra Enti. Il decennale della Conferenza Nazionale
ANCI Piccoli Comuni (Riccione-25 e 26 giugno) rilancerà un fronte di proposte politico-
istituzionali a favore dei piccoli Comuni. Perché vogliamo bene all’Italia. Se lo merita.

Mauro Guerra,
Coordinatore Nazionale ANCI Piccoli Comuni
e Vice Sindaco di Tremezzo (1300 ab. in provincia di Como)

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VII

E nel Green Power, insieme a Legambiente, ha realizzato l’iniziativa Voler Bene


all’Italia in virtù del collegamento naturale tra le energie rinnovabili e la valorizzazione
del territorio. Le energie rinnovabili non sono solo a basso impatto ambientale, ma
utilizzano al meglio le risorse presenti in ambito locale, con impianti distribuiti di piccola e
media taglia. Per questo motivo si integrano molto bene con le diverse realtà comunali
italiane ricche di risorse naturali quali acqua, geotermia, vento, sole e biomassa.
È chiaro come il raggiungimento degli obiettivi comunitari di rivisitazione del mix
energetico nazionale al 2020 passi attraverso una volontà ed un impegno comune
tra cittadini, amministrazioni locali e imprese per trovare capillarmente soluzioni
energetiche sostenibili. L’insieme di queste scelte, prese responsabilmente al fine
di migliorare l’ambiente, la sicurezza propria e del Paese da un punto di vista
energetico e cogliere un’opportunità di sviluppo locale, porteranno al raggiungimento
dell’ambizioso traguardo di sviluppo delle rinnovabili che l’Italia si è posta.
Enel Green Power, già presente in centinaia di Comuni d’Italia con oltre 350 impianti,
vuole essere parte attiva in questo processo di crescita stimolando un fattivo percorso
di dialogo e collaborazione con i Comuni che decideranno di cogliere le opportunità
derivanti dallo sviluppo delle rinnovabili e dall’incremento dell’efficienza energetica.

Francesco Starace,
Presidente Enel Green Power

Enel Green Power è tra i leader mondiali nel settore delle fonti rinnovabili con circa
21 miliardi di chilowattora prodotti in Italia e nel mondo nel 2009, sufficienti a
soddisfare i consumi di circa 7.500.000 famiglie, evitando l’emissione in atmosfera
di 15,5 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Ad Enel Green Power fanno capo le
attività di Enel nell’eolico, solare, geotermico, idroelettrico fluente e biomasse, in
Europa, Nord America e America Latina. Enel Green Power affronta il grande mercato
del solare distribuito con Enel Si., proponendo inoltre servizi, prodotti e soluzioni
integrate per il risparmio e l’efficienza energetica, con particolare focalizzazione
sulle fonti di energia rinnovabili. La società è il maggiore operatore del mercato
italiano nella realizzazione di impianti fotovoltaici. Enel Green Power gestisce oggi
un portafoglio di oltre 600 impianti per una capacità installata pari a circa 5.700
MW e con un mix di tecnologie ben bilanciato.

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VIII

La scommessa della qualità per un nuovo benessere


di Vittorio Cogliati Dezza

Piccolo non vuol dire necessariamente fragile o marginale. In alcuni casi può essere
un vantaggio se si è consapevoli delle sfide e si sanno cogliere le opportunità.
In estrema sintesi è questo il messaggio che emerge dai dati e dalle esperienze
raccontate nei capitoli che seguono. Un panorama frastagliato di eccellenze e di
criticità che fanno della piccola grande Italia un volano di modernità, forse troppo
poco conosciuto.
Sette anni fa Legambiente con la campagna Voler Bene all’Italia inaugurò una
nuova stagione per i Piccoli Comuni riuscendo, anche sull’onda della proposta di
legge presentata da Ermete Realacci, ad accendere i riflettori su un mondo che fino
allora era stato solo oggetto di dibattito tra sociologi ed intellettuali illuminati. Da
allora ha preso forma politica e consistenza organizzativa l’obiettivo di valorizzare
la Piccola Grande Italia. L’attenzione, sia istituzionale che sociale, in questi anni è
cresciuta e i cambiamenti avvenuti nelle coscienze hanno consolidato significative
e diffuse esperienze di qualità, anche se non si sono ancora trasformati in politiche
stabili.
Essere oggi ottimisti è più facile. Il nostro ottimismo nasce da alcuni elementi di
contesto, che ci dicono che se non si spreca la crisi (quella economica e quella
energetico-climatica) la situazione può migliorare. La scommessa è nel ruolo dei
luoghi, dei piccoli luoghi, in opposizione alla deriva dei non luoghi, che stanno
spersonalizzando i centri urbani, dietro un’idea di modernità molto semplicistica
e “ignorante”, che coincide con il consumo massificato e le grandi opere. Con
forza, invece, emerge oggi l’importanza della qualità del luogo stesso, che è data
dall’intreccio della qualità del paesaggio con la produzione, dell’efficienza dei
servizi con le occasioni culturali, della tecnologia al servizio dei cittadini con le
relazioni sociali.
Oggi è più diffusa la consapevolezza che benessere e PIL si sono disaccoppiati
e che non è più possibile leggere il secondo come indicatore del primo. Così la
Commissione convocata da Sarkozy e guidata da Stiglitz ha confermato quanto
noi stiamo sostenendo da qualche tempo, ovvero che la qualità dei luoghi se non
sempre si traduce immediatamente in ricchezza, rimane però un fattore attrattivo
fondamentale, che produce stabilità e coesione, e quindi apre le porte al futuro.
Un altro elemento che argomenta il nostro ottimismo è che oggi, parafrasando
Hegel, si può tranquillamente sostenere che “tutto ciò che è globale è locale”
e che il locale è il concreto manifestarsi del globale. È quanto sta avvenendo
nei territori, dove si produce, si consuma, si percepisce qualcosa di unico, che è
l’identità di quel locale, ed insieme si produce, si consuma, si percepisce qualcosa
di globale. Una situazione antropologicamente nuova che già il filosofo Hans Georg

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IX

Gadamer1, interrogandosi sull’eredità dell’Europa, aveva annotato sostenendo che:


“Il processo di omologazione e di burocratizzazione imposto ovunque dalla legge
del progresso sembra anzi generare un fenomeno di segno opposto: un sempre
più tenace attaccamento dei vari gruppi alle proprie particolarità locali”. In altre
parole – quelle di Aldo Bonomi – oggi “più globale corrisponde specularmene a più
locale […] come bisogno di costruzione di reti di prossimità sociale […] al di là della
dissolvenza del locale che la globalizzazione dei processi pare delineare”2. Ovvero
la dimensione del locale è oggi un fattore ineliminabile e di grande modernità, e
se si sviluppano le condizioni adeguate è un fattore di sviluppo. Le grandi sfide
attraversano anche le comunità più piccole e apparentemente più marginali.
Un esempio di questo piano è ben rappresentato dalla sfida dei cambiamenti
climatici, che significa anche sviluppare la produzione energetica distribuita nei
territori e più vicino alle persone, con l’effetto che le comunità se ne appropriano
appropriandosi contestualmente delle nuove tecnologie. Non è un caso che su
questo fronte di innovazione e modernità sono proprio i Piccoli Comuni a occupare
i primi posti delle classifica nelle energie rinnovabili e nel trattamento dei rifiuti,
dando una spinta verso la costruzione di un’economia a basse emissioni di CO2.
Lo stesso vale per la difesa del suolo contro il rischio idrogeologico, che colpisce
molte aree del Paese, per la quale c’è bisogno di previsione e prevenzione, ovvero
di persone che presidiano il territorio (ruolo svolto una volta, prima della fuga dai
campi, dagli agricoltori di collina) e di tecnologie in grado di monitorarlo, insieme
a nuove politiche che non hanno bisogno di emergenza e straordinarietà, ma della
saggia gestione ordinaria delle aree a rischio e del territorio nel suo complesso.
Anche questa è una sfida che vede i Piccoli Comuni tra i soggetti più esposti e
più utili, perché garantire le condizioni di vivibilità nei territori diversi dalle grandi
conurbazioni vuol dire salvaguardare l’equilibrio territoriale, accrescere la sicurezza
idrogeologica, valorizzare il paesaggio e la biodiversità, naturale e culturale. Un
discorso che vale anche per l’agricoltura che proprio nei Piccoli Comuni trova le sue
ragioni più profonde per cercare nella qualità e nella tipicità la forza per reggere sul
mercato e per costruire la forza delle produzioni di qualità in base alle quali fino
ad oggi questo paese è riuscito a respingere i reiterati tentativi di penetrazione
degli OGM.
Quello di cui oggi abbiamo bisogno è che intervengano norme e risorse nazionali
che leggano correttamente la qualità culturale (in senso antropologico) dei territori
come investimento duraturo per la modernizzazione del Paese, questo significa,
ad esempio, che nella società della conoscenza occorre garantire più conoscenza
per tutti e per tutto l’arco della vita. La scuola è solo il primo gradino. Servono
strutture, servizi e aggregazioni amministrative che connettano i Piccoli Comuni in

1 Hans Georg Gadamer, L’eredità dell’Europa, Einaudi, Torino, 1991


2 Giuseppe De Rita, Aldo Bonomi, Manifesto per lo sviluppo locale, Bollati Boringhieri,
Torino 1998

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X

base a originali criteri di omogeneità e vocazione territoriale, inventando anche


formule che oggi non sono sul tavolo. Ricordando, con Pasolini, che “la cultura
non si porta, la cultura è nei luoghi”: oltre a scuole e centri educativi territoriali,
serve facilitare l’accesso a biblioteche, musei, cineforum, convegni, internet point,
servono occasioni di relazioni sociali per rendere concreti i processi partecipativi,
per dirla con Marianella Sclavi3 serve garantire “il pubblic learning, cioè spazi e
strutture organizzative che consentono agli attori locali di continuare ad ascoltarsi
e di considerare importante il reciproco protagonismo”. Occorre fornire i territori
“di quelle reti di intelligenza diffusa di saperi e di competenze che permettono una
qualità della vita adeguata”4.
Alla luce di queste considerazioni credo sia giusto sostenere la possibilità oggi
di essere ottimisti, di vedere i Piccoli Comuni come presidi di modernità, senza
nascondersi i tanti ostacoli da superare.
“Se pensi di essere troppo piccolo per fare la differenza, prova a dormire in
una stanza chiusa con una zanzara”, è la saggezza di un proverbio africano,
raccontatomi dal sindaco di Rapino, un Piccolo Comune abruzzese, a indicarci la
strada per invertire la tendenza, puntando sulle molte cose buone che i Piccoli
Comuni stanno già facendo e senza sottovalutare la forza che possiamo mettere
in campo.

3 Marianella Sclavi, Avventure Urbane- progettare la città con gli abitanti, Elèuthera,
Milano, 2002
4 Giuseppe De Rita, Aldo Bonomi, ibidem

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XI

Il Bello, il Buono e il Piccino. L’altra Italia dei Piccoli Comuni


di Pierciro Galeone

L’Italia è un Paese piccolo. Il suo punto più a nord, la Vetta d’Italia sulle Alpi
Aurine, dista 1.291 chilometri da quello più a sud, Punta Pesce Spada sull’isola di
Lampedusa. Le Ande sono una consecuzione di montagne lunga 7200 chilometri.
L’Antica Muraglia cinese si snoda per 10.000 chilometri; la parte in muratura
fu eretta nel XIII secolo per una lunghezza di 6.400 chilometri. Ben altri spazi.
L’Italia è un Paese piccolo, in gran parte montuoso, poche le pianure, pochi i corsi
d’acqua importanti. Eppure su questo piccolo pezzo di terra si è accumulata nei
secoli una straordinaria varietà di esperienze umane. E le tracce di queste storie,
numerose e diverse, sono diventate paesaggi, opere d’arte, tradizioni e culture.
Sono diventate città, paesi, borghi e villaggi. Certo c’è un’Italia “maggiore”, perché
più conosciuta, quella delle città d’arte fissate in una sorta di costellazione della
bellezza dai narratori del Grand Tour. È l’Italia che si snoda lungo le tappe del
turismo globale di massa e che si presenta come set di film e di romanzi a
diffusione internazionale. Ma c’è anche un’altra Italia fatta di piccoli centri abitati,
di paesaggi meno attraversati, di tradizioni meno conosciute sebbene meglio
conservate. Forse è un’Italia “minore” ma è quella che contribuisce al carattere
inconfondibile del nostro Paese. Quella abbondanza di varietà, quella identità fatta
di diversità che fanno “unica” la nostra piccola Penisola. Sono oltre 5000 i comuni
italiani con meno di 5.000 abitanti. In questi comuni vive 1/6 della popolazione
italiana (circa 10,400 milioni di abitanti). I loro territori coprono il 70% del territorio
italiano. Lungo quei 1.291 chilometri che separano le Alpi Aurine da Lampedusa ci
sono 3.400 musei, 2.000 aree archeologiche. I siti Unesco italiani sono 43; più che
in tutto il nord America. È un’abbondanza di tracce del tempo – o meglio, di tracce
che la bellezza ha lasciato nel tempo - che non si esaurisce certo nelle grandi città
d’arte ma che invece coinvolge pienamente l’altra Italia, quella dei centri minori.
Ed è un’Italia che ha già l’attenzione di una parte crescente di turismo. Nel 2008
il 42% dei turisti stranieri che ha visitato l’Italia si sono recati nei centri minori.
Essi esprimono, rispetto alle singole componenti dell’offerta turistica, un livello di
soddisfazione generalmente superiore a quello delle grandi città1.
E se passiamo dal bello al buono, ovvero se consideriamo un altro grande
patrimonio italiano, quello legato all’agricoltura e all’alimentazione, il ruolo dei
piccoli centri assume un’importanza analoga. Sono 4.396 i prodotti agricoli e
alimentari tipici, espressione della cultura di luoghi determinati. Sono prodotti
tradizionali i cui metodi di preparazione, lavorazione, conservazione e stagionatura
devono essere stati codificati, almeno da 25 anni. La tipicità non risiede soltanto
nelle caratteristiche materiali. Sono prodotti tipici perché trasmettono un
messaggio, rimandano a un ricordo, rinnovano una tradizione. Nell’ambito

1 P.Segardi, l’Italia dei centri minori, L’Italia ed il turismo internazionale, Venezia Aprile 2008

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XII

dell’Unione Europea esiste un sistema di certificazione pubblica dei prodotti tipici.


È un sistema che garantisce e protegge qualità e storia dei prodotti. L’Italia è il
Paese europeo con il maggior numero di prodotti certificati: 176 tra Denominazione
di Origine Protetta (DOP) (114) e Indicazione Geografica Protetta (IGP) (62). I
Piccoli Comuni rappresentano la spina dorsale del sistema delle identità alimentari
italiano: il 94% ha ottenuto il riconoscimento di almeno un prodotto DOP. Il 60%
dei Piccoli Comuni presenta tra 1 e 3 DOP, il 20% tra 4 e 5 DOP e il 14% addirittura
tra 6 e 7 DOP. I villaggi e le aree lontane dai tradizionali itinerari turistici sono
i più attivi nella riscoperta e valorizzazione della loro offerta enogastronomica
come leva di attrazione turistica. Cresce l’interesse per la scoperta (e in molti
casi, l’acquisto) di prodotti tipici ed enogastronomici dei centri minori. Sempre più
spesso, la motivazione culturale è abbinata a quella enogastronomica, alla ricerca
di luoghi fuori dalle tradizionali mete turistiche. E tuttavia, proprio con riferimento
all’Italia dei Piccoli Comuni, occorre interrogarsi non solo sull’aspetto quantitativo
del turismo. Chiedersi non tanto quanti turisti vogliamo nel nostro paese, quanto
piuttosto su quale turismo intendiamo investire, che tipo di servizi vogliamo offrire,
quale livello qualitativo dell’offerta turistica vogliamo raggiungere. Vanno presi sul
serio i nuovi orientamenti al consumo turistico. Un consumo che vuole legarsi ai
valori e alle identità del luogo visitato. Le risorse “tipiche” (e quindi “uniche”) dei
territori non sono solo quelle ambientali, ma anche (e soprattutto) le risorse di
identità e di comunità. Vista da questo punto di osservazione, la capacità di una
comunità locale di mantenere vivo il suo legame con il territorio, con la sua storia e
con la sua tradizione può essere un fattore di competizione economica, oltre che di
qualità della vita e di coesione sociale. Il turismo delle identità nei Piccoli Comuni
- che si muove alla scoperta del nostro ampio patrimonio, fatto di città d’arte, di
eventi, di manifestazioni, e di tradizioni enogastronomiche e religiose - fa registrare
un andamento positivo, con un tasso di crescita medio annuo - negli ultimi 10
anni -del 5–8%2. Nei comuni più piccoli prevale, più facilmente, il sentimento
di appartenenza ad un insieme di valori, ad una storia collettiva. Così come più
forte è il desiderio di una visione comune del proprio futuro. È quella che si usa
chiamare l’identità locale. L’arte, l’agricoltura e la cucina sono parte essenziale di
queste identità. La valorizzazione dei centri minori si esprime anche attraverso
la conservazione non solo dei centri storici ma anche del paesaggio rurale (i
campi coltivati, le abitazioni di campagna, le fattorie ecc.). È un lavoro che rafforza
l’immagine di un’area autentica dove ancora sono vivi i valori della comunità. È la
dimostrazione di quanto una comunità rispetti il contesto naturale che ha ereditato
dal passato e che vuole consegnare alle generazioni future. È l’immagine di una
comunità ricca anche di un’alta qualità delle relazioni umane. Questa superiore
qualità della vita può innescare circoli virtuosi. Essa rende attrattivo il territorio,
creando i presupposti per limitare l’esodo della popolazione verso contesti urbani
di maggiore dimensione. La rivalorizzazione della cultura locale attiva la domanda
turistica. Così nascono servizi di ristorazione e di ricettività. Anche altri settori ne

2 Fonte: Unioncamere, Rapporto Impresa Turismo, BIT 2008.

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XIII

beneficiano: le impreseagricole e di trasformazione dei prodotti agro-alimentari ma


anche l’artigianato. Esistono, infatti, importanti sinergie potenziali fra turismo e
vendita del prodotto enogastronomico. Il turista che ha conosciuto i comuni minori
in tutte le loro espressioni si fa portatore di questa conoscenza nel suo contesto
abituale di vita. Egli trasmette queste conoscenze alle persone a lui vicine. È la forza
del passaparola che diventa determinante nel turismo e nel consumo di qualità. È
evidente come in tale scenario, le tipicità divengano uno strumento attraverso il quale
i territori e le comunità possono esprimere la propria capacità di evocare ed attrarre.
I comuni minori hanno bisogno di puntare sulla qualità dell’offerta che nasce dalla
valorizzazione delle proprie risorse tipiche; sono custodi di tradizioni locali, di un
patrimonio artistico grande e vario, così come di ricchezze e di energie ancora poco
conosciute o valorizzate, capaci di contribuire allo sviluppo di un turismo sostenibile.
Le politiche di valorizzazione e promozione delle tipicità locali da parte, in
particolare, dei comuni di medie e piccole dimensioni possono contribuire a:
• destagionalizzare la domanda di turismo sul territorio, poiché essa non è più solo
legata al bisogno di vivere l’offerta turistica locale in periodi stagionali circoscritti
(possibilità di fruizione in qualunque momento dell’anno);
• decongestionare, in parte, i flussi turistici - i quali tendono a convergere nei
luoghi ad alto contenuto storico-artistico - generando attenzione nei luoghi vicini
alle città d’arte, ove è possibile vivere un’esperienza diversa abbinando anche il
consumo dei prodotti tipici del luogo;
• realizzare una sostenibilità ambientale, turistica e sociale, grazie alla gestione
dei flussi turistici in entrata (politiche di destagionalizzazione e decongestione),
al rafforzamento delle produzioni locali (ad esempio, non utilizzo OGM) ed alla
preservazione delle tradizioni (tutela dell’artigianato e delle produzioni tipiche).
Costruire comunità e territori accoglienti è un percorso continuo fatto di tappe.
Di volta in volta, raggiunto un risultato si sposta in avanti l’obiettivo. È la cultura
dell’ascolto delle esigenze innanzitutto di chi vive nei comuni. È una cultura di
rispetto per la storia e l’ambiente che deve essere innanzitutto patrimonio delle
stesse comunità locali. Non si possono costruire paesaggi e borghi per i turisti né
inventare per loro una tradizione culinaria. Piuttosto, i turisti possono assaporare
i sapori e condividere la bellezza di borghi e di paesaggi che sono il frutto della
fatica e dell’amore di generazioni. Il bello e il buono sono il prodotto della storia
di comunità che hanno voluto bene alla loro piccola porzione d’Italia.

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1.1 Piccoli, ma non comuni

1.2 Numeri, dati e trend dei territori minori

1.3 Le fragilità ambientali del territorio

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1

1.1 Piccoli ma non comuni.


Dal disagio insediativo all’eccellenza dei territori italiani
di Sandro Polci

L’Italia dei Piccoli Comuni


L’Italia è un paese ricco di comuni di piccole e piccolissime dimensioni che, se messi
in rapporto alla popolazione totale, presentano una media “trilussiana” di circa 7 mila
abitanti ciascuno. Sono infatti solo 43 i comuni italiani con oltre 100.000 abitanti
con una popolazione complessiva pari al 23% di quella totale nazionale, e solo 12
quelli con oltre 250.000 abitanti (i quali sommano il 15,2% della popolazione totale).
Al contrario, sono 6.943 i comuni italiani con meno di 10.000 abitanti (85,7% del
totale delle amministrazioni locali) e rappresentano il 31,9% della popolazione.
Dunque un terzo della popolazione italiana vive in comuni di piccola e piccolissima
dimensione. Questo grande patrimonio di municipi, piazze e campanili rappresenta
una indubbia ricchezza insediativa, non fosse altro per la dimensione territoriale
che le compete. Infatti i 6.943 comuni con meno di 10.000 abitanti amministrano il
71,3% del territorio. In sintesi i comuni fino a 10.000 abitanti rappresentano l’86%
dei sindaci e delle amministrazioni comunali, oltre il 70% del territorio italiano e un
terzo della popolazione. Ma la struttura dimensionale e localizzativa di questi comuni
presenta altre peculiarità. Se ne possono evidenziare tre particolarmente rilevanti.
• il “peso” che hanno i Piccoli Comuni, cioè il ruolo che rivestono nell’organizzazione
del territorio e nella sua gestione; infatti dal punto di vista amministrativo e
funzionale, i Piccoli Comuni rappresentano una risorsa strategica per la gestione del
territorio e dei servizi (alla popolazione, alle imprese, ai turisti).
• La distribuzione territoriale dei Piccoli Comuni lungo tutta la Penisola:
- in quattro regioni la loro percentuale è compresa in una forbice che va dal 94,7%
del Piemonte al 98,6% della Valle d’Aosta;
- un gruppo di regioni presenta un numero di comuni con meno di 10.000 abitanti
compreso tra l’87% e il 92% (Sardegna, Abruzzo, Calabria, Basilicata, Friuli Venezia
Giulia, Liguria, Lombardia e Marche), per le quali dunque la dimensione organizzativa
territoriale è fondamentalmente strutturata su una notevole articolazione insediativa;
- un terzo gruppo di regioni (Lazio, Veneto, Umbria, Campania, Emilia Romagna, Sicilia
e Toscana) presenta un numero di comuni con meno di 10.000 abitanti compreso
tra 70% e 80% circa; sono regioni nelle quali la struttura insediativa è incentrata su
centri di maggiore dimensione;
- la Puglia presenta un modello specifico, nel quale la percentuale di comuni di piccola
dimensione è pari al 57,4% del totale e nei quali risiede solo il 16,3% della popolazione.
• Dal punto di vista della popolazione residente, e dunque della rilevanza anche
sociale ed economica che questi comuni rappresentano nel tessuto regionale e
nazionale, le percentuali vanno dai valori minimi del 15,8% del Lazio (dove va tenuto

dossier in bassa.indb 1 6-05-2010 8:53:09


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in conto il peso della Capitale nella struttura territoriale) e dal 16,3% della Puglia,
fino al 72,1% della Valle d’Aosta. Vi è dunque una specificità territoriale che fa
dell’Italia uno dei paesi a più alta “ricchezza insediativa”, intendendo per ricchezza la
diversità insediativa. Analogamente a quanto avviene in natura, laddove la ricchezza
è data dalla biodiversità, si può affermare che una ricchezza insediativa fortemente
differenziata, come quella italiana, è una componente di qualità dei territori e
dunque va tutelata. Come la biodiversità, dobbiamo tutelare la sociodiversità.
I problemi ci sono
Il Belpaese dei Piccoli Comuni è una forbice sempre più aperta, segnata dalla lama
dell’eccellenza - dei territori che hanno saputo fare rete e sistema - e dalla lama del
disagio, dei comuni a rischio di progressivo declino. È un fenomeno che da territori
marginali di piccola dimensione si estende a territori di più ampie dimensioni a
causa di diverse criticità. La più evidente è quella legata alla popolazione residente,
non solo nei piccolissimi comuni a rischio di disagio insediativo ma in oltre la metà
dei comuni italiani con meno di 10.000 abitanti. Inoltre, le condizioni strutturali che
portano al disagio, dipendono dal depauperamento delle potenzialità produttive
e di depotenziamento dei propri talenti. Ciò per la scarsa attrattività e dunque
l’incapacità di accogliere nuove famiglie e imprese; per una limitata identità turistica
(con un sistema di offerta sottoutilizzato); per un marcato divario nord-sud. Si noti
che le differenze riguardano tipologie omogenee, cioè comuni di montagna rispetto
a comuni di collina o pianura, quanto le medesime tipologie: tra montagna ricca e
montagna impoverita, tra collina valorizzata e collina dimenticata, tra città al passo
con i cambiamenti imposti dall’economia della globalizzazione e città in forte ritardo.
Ma anche tanti talenti!
L’Italia è dunque fortemente differenziata, con ambiti critici e altrettanti “Comuni del
benessere” nei quali si vivificano i talenti, producendo ricchezza e garantendo un
futuro prospero e duraturo. Una distribuzione, quella dei comuni del benessere, che
oggi privilegia principalmente due ambiti: il primo nel Centro Nord, dove i comuni
interessati sono distribuiti lungo le aree più produttive e sviluppate del paese, e nel
Sud e nelle Isole dove la distribuzione, più rarefatta, comprende comunque aree e
città che sono nodi importanti a livello locale e che, nella quasi maggioranza dei casi,
sono anche localizzati lungo la costa. Sono comuni dinamici che dimostrano una spic-
cata vocazione alla promozione turistica; al sostegno delle “autenticità” locali; alla
peculiarità e valorizzazione dei propri prodotti tipici; all’assunzione di una propria
vocazione e centralità nel sistema locale del lavoro; alla capacità di utilizzare l’inno-
vazione tecnologica e produttiva per competere sui mercati attraverso la creazione
di nuovi prodotti e nuovi servizi; alla capacità di attivare un sistema di servizi alle
persone e alle imprese in grado di rendere il territorio attrattivo sia dal punto di vista
residenziale che produttivo; alla capacità di fornire un sistema di servizi di base che
consente di pensare a modelli di sviluppo endogeno. Se i miracoli non sono possibili,
lavorare bene garantisce sempre risultati. Dunque è necessario ripartire o continuare
a investire sulle specificità, favorendo benchmarking, trasferibilità e innovazione. È
ormai finalmente condiviso il giudizio che nella globalizzazione economica il territo-
rio è come il lievito per il pane. Dove il territorio è riuscito a mettere in atto sinergie
locali costruendo sistemi-rete, decentramenti produttivi e attrattività insediativa, si

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3

è sviluppata una maggiore crescita del benessere. Dove lo sviluppo è “bottom up”
emergono le eccellenze. Laddove invece il modello di sviluppo continua a proporre
grandi “centri” e costellazioni accessorie di comuni intorno a loro gravitanti, il model-
lo ripropone una dicotomia netta tra “capoluoghi leader” e comuni “esterni”, espulsi
dal processo di crescita. In molte aree del sud e delle isole, che sono di marginalità
diffusa per le carenze di “connessioni”, principalmente non infrastrutturali, occorre
mutare le singole realtà in nodi di una rete di territori connessi, vitali (per se stessi e
per l’economia locale e nazionale). È evidente che di fronte all’evolversi di un’econo-
mia dell’informazione e della conoscenza, l’essere separati crea disagio. È ad esempio
questo il caso del “digital divide”, la mancanza di connessioni tecnologiche a banda
larga. Occorre dunque imparare dai territori di eccellenza tenendo presente che il
capitale umano è la componente fondamentale di questa sfida, seguito dalle condi-
zioni locali legate alla presenza di un tessuto di servizi alle persone e alle imprese
ampio, disponibile e costruttivo. Infine, va rimossa l’alea di “depressionismo” spesso
diffusa, il “parlare senza azioni conseguenti” che si può comprendere - non giustifi-
care - solo nella qualità della vita comunque confortevole dei nostri borghi. Qualità
della vita che però soffre di miopia, quando è legata alla propria persona, al proprio
sostentamento, al “bastarsi” e non ad una necessaria “cittadinanza positiva” che
prevede l’obbligo morale per ogni generazione di garantire l’accrescimento o almeno
il mantenimento del livello ambientale, economico e sociale di cui ha potuto godere.
L’insegnamento

“ La scorsa settimana nella mia campagna marchigiana ho incontrato un anziano,


molto anziano, contadino, preoccupato di piantare al meglio una quercia nel
suo podere. La risposta che ho ricevuto - quando gli ho chiesto perché tanto
imbarazzo – è stata: “Qui mio nipote e i suoi figli verranno a cercare l’ombra
fresca d’estate e non voglio sbagliare la posizione, altrimenti che diranno di me?”

Anticipo il prevedibile sorriso di sufficienza per questo aneddoto deamicisiano,


dicendo che i miti o un sogno sono parte della crescita economica. Senza un sogno
si vive di cinico realismo e, oggi, non avremmo querce umbratili e possenti piantate
da avi fortunatamente lungimiranti.

1.2

Numeri dati e trend dai territori minori
In Italia ci sono 5.703 comuni al di sotto di 5000 abitanti, pari al 70,4% del totale dei
comuni del Belpaese. La popolazione che risiede nei centri minori ammonta a 10.317.104,
il 18% di quella italiana. La maggior parte dei comuni sono molto piccoli: quelli con
una popolazione tra 0 e 1.999 abitanti sono ben 3.531, ossia il 43,6% di tutti i comuni
italiani e il 61,9% dei piccoli. Le regioni con la presenza più significativa di Piccoli
Comuni (PC) sono, nell’ordine, la Lombardia (1.093), il Piemonte (1.072), la Campania
(334) e la Calabria (324). La densità territoriale dei PC è notevolmente inferiore a
quella dei centri più grandi, basti pensare che vi risiedono mediamente 64 persone per
chilometro quadrato, mentre nelle città con più di 250.000 abitanti ne troviamo 2.472.

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DISTRIBUZIONE REGIONALE DEI Piccoli Comuni E RELATIVO PESO DEMOGRAFICO

% Piccoli Popolazione % rispetto alla


Piccoli
Regione Comuni sul residente nei popolazione
Comuni
totale Comuni Piccoli Comuni regionale
Piemonte 1.072 89 1.319.505 30
Valle d’Aosta 73 99 92.086 72
Lombardia 1.093 71 2.145.162 22
Trentino Alto Adige 307 91 467.910 46
Veneto 314 54 805.721 16
Friuli Venezia Giulia 157 72 298.499 24
Liguria 183 78 248.766 15
Emilia Romagna 153 45 416.437 10
Toscana 135 47 329.420 9
Umbria 60 65 130.613 15
Marche 178 72 352.101 22
Lazio 253 67 462.669 8
Abruzzo 251 82 369.094 28
Molise 124 91 153.138 48
Campania 334 61 701.432 12
Puglia 85 33 223.881 5
Basilicata 99 76 197.955 34
Calabria 326 80 669.861 33
Sicilia 198 51 483.094 10
Sardegna 313 83 530.094 32
Fonte: elaborazione Cittalia su dati Istat 2008
Al 2008 nei PC risiedevano 4.295.453 famiglie, composte in media da 4,76 persone.
Se l’invecchiamento della popolazione è una realtà assodata in tutta Italia, dove
ogni 100 giovani con meno di 15 anni ci sono 147 persone con più di 65 anni, nei
Piccoli Comuni - in cui questo dato arriva a 190 nei comuni fino a 2000 abitanti
- questo fenomeno assume una dimensione ancora più forte. Dal 2001 abbiamo
assistito a un decremento di popolazione di 273.624 unità, pari al 2,58%. Tuttavia
il tasso di natalità, tra i più bassi dei paesi europei, ha fatto segnare negli ultimi
anni un leggero incremento, legato anche all’aumento dei fenomeni migratori.
L’immigrazione inizia, infatti, a interessare perifericamente anche i comuni di ridotte
dimensioni. E per un gioco di percentuali, dei 12 comuni in cui la popolazione
straniera incide di oltre il 20% ben 9 sono piccoli. Allo stesso modo nel 2008 il
comune di Villa Biscossi (Pv) ha registrato il più alto indice di natalità (il 39,4),
grazie ai 3 nati su una popolazione di 76 abitanti. Certo sono i PC quelli che soffrono
un saldo naturale negativo più alto, superiore a 4 ogni 1000 abitanti, rispetto a
una media nazionale di 0,14. Per quanto riguarda l’istruzione nei PC si registrano
percentuali inferiori nell’istruzione di ogni livello: a fronte di una media nazionale
del 33,4%, la percentuale di laureati qui si attesta al 27%. Un dato legato anche

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5

alla bassa istruzione delle fasce più anziane, che rappresentano la percentuale
più ampia della popolazione, difficilmente modificabile, vista la staticità di alcuni
contesti deboli. La vera ricchezza è dunque data dal territorio, dalla sua ricchezza
insediativa e dalle sue peculiarità culturali, sociali e economiche. Riconosciuti come
soggetto politico e istituzionale, i PC devono confrontarsi con un contesto europeo,
preservando nel contempo l’unicità della dimensione locale delle società, delle
culture, delle economie, delle tradizioni e di quanto costituisce l’ossatura del Paese.

1.3 Le fragilità ambientali del territorio


Se è vero che i Piccoli Comuni sono un importante presidio di tenuta dei territori,
il graduale abbandono delle terre e delle attività tradizionali di manutenzione
espongono ancora di più i PC a fenomeni di dissesto idrogeologico e di degrado
delle risorse naturali e boschive. Il rischio di frane e alluvioni, così come di incendi
boschivi, interessa gran parte dei comuni italiani. Sono ben 4.009, infatti, i Piccoli
Comuni a rischio idrogeologico, quasi il 70% del totale. Il
fenomeno degli incendi boschivi, invece, non interessa in
ugual misura tutto il territorio nazionale. Sono 1.332 i Piccoli
Comuni che hanno avuto incendi negli ultimi 2 anni e di questi
oltre il 50% sono concentrati al sud, in particolare in Calabria
(75%), Basilicata (68%), Campania (57%) e Sardegna(52%).
Meglio invece per l’area centro settentrionale: nelle Marche e
nel Veneto sono rispettivamente il 5% e il 4% i Piccoli Comuni
interessati dal fenomeno e in Trentino Alto Adige solo in un
piccolo comune si sono avuti incendi, per lo più di piccola
entità. Sono la Calabria, l’Umbria e la Valle d’Aosta le regioni
con la più alta percentuale di Piccoli Comuni classificati a
rischio idrogeologico (il 100% del totale), subito seguite
dal Lazio (98%) e dalle Marche (97%). Dati che evidenziano
bene la fragilità di un territorio reso particolarmente esposto
al rischio dall’abusivismo, dal disboscamento dei versanti
e dall’urbanizzazione irrazionale. Una situazione che deriva
soprattutto dalla pesante urbanizzazione che ha subito l’Italia,
in particolare lungo i corsi d’acqua. Se al sud la costante aggressione al territorio
si manifesta principalmente con l’abusivismo edilizio, al centro-nord si continuano
a portare avanti interventi di difesa idraulica che seguono filosofie tanto vecchie
quanto evidentemente inefficaci. Anche gli incendi boschivi rappresentano una delle
principali cause di degrado del patrimonio forestale italiano. Ogni estate questo
fenomeno si trasforma in una vera e propria emergenza ambientale causando danni
inestimabili di cui è chiamata a pagare l’intera comunità. Per ogni ettaro di foresta
bruciato se ne vanno in fumo migliaia di euro per danni indotti, con gravi perdite
per le tante economie locali che ogni anno scommettono sul turismo ambientale.
Sono solo il 15% gli incendi che si sviluppano per imprudenza e  imperizia, tutto il
resto sono incendi dietro ai quali si celano speculazioni economiche e edilizie, faide
e rappresaglie criminali, così come incendi innescati da pericolosissime attività di
natura economica e occupazionale fino a ramificazioni illecite di fenomeni collegati

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6

al rinnovamento dei pascoli. Il ruolo decisivo nella lotta agli incendi boschivi rimane
quello dei comuni che realizzando con apposita cartografia il catasto delle aree
percorse dal fuoco, vanno a colpire le principali cause di incendi in alcune aree del
nostro Paese, ovvero tra interessi locali, affari e criminalità. Vincolando la destinazione
d’uso di queste aree per 15 anni, si stroncano gli interessi di chi usa il fuoco per
passare al cemento, per pascolare o fare affari con l’indotto del rimboschimento.

I RISCHI AMBIENTALI DEL TERRITORIO NEI Piccoli Comuni

Piccoli Comuni Piccoli


N° Piccoli
REGIONE A RISCHIO % Comuni CON %
Comuni
IDROGEOLOGICO INCENDI*
Umbria 63 63 100 22 35
Calabria 326 326 100 243 75
Valle D’Aosta 73 73 100 6 8
Lazio 259 254 98 84 32
Marche 179 173 97 9 5
Toscana 141 134 95 54 38
Campania 338 318 94 192 57
Basilicata 97 90 93 66 68
Emilia Romagna 165 152 92 49 30
Molise 124 108 87 50 40
Piemonte 1077 896 83 73 7
Liguria 183 138 75 76 42
Sicilia 199 138 69 54 38
Friuli Ven. Giulia 162 102 63 15 9
Lombardia 1152 687 60 65 6
Abruzzo 253 122 48 36 14
Puglia 87 32 37 38 44
Trentino Alto Adige 312 95 30 1 0
Veneto 329 87 26 14 4
Sardegna 316 21 7 164 52
TOTALE 5835 4009 69 1332 23
Fonte: Elaborazione Legambiente su dati Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio,
Unione Provincie d’Italia e Corpo Forestale dello Stato.
* comuni che hanno avuto almeno un incendio in un anno.

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2.1 Il made in Italy tra soft e green economy
2.2 Le eccellenze ambientali: rinnovabili e rifiuti
Buone pratiche
2.3 Le economie verdi tra ecoturismo
e produzioni tipiche
Buone pratiche

dossier in bassa.indb 7 6-05-2010 8:53:16


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2.1 Il made in Italy tra soft e green economy


di Fabio Renzi

Oggi che il territorio è la principale categoria interpretativa degli


orientamenti elettorali emergenti e della nuova geografia politica
del Paese, si può forse meglio comprendere la lungimiranza della
visione che punta sull’intreccio tra identità, innovazione e territo-
rio. È l’unico approccio oggi in grado di contrastare le grandi
paure della globalizzazione, della delocalizzazione che fa evapo-
rare le identità sociali e culturali, della multiutility quotata in
borsa che gioca le risorse locali - da sempre percepite come pa-
trimonio della comunità - su dimensioni vaste e lontane, la paura
della realizzazione di opere infrastrutturali avvertite come intrusi-
ve e impattanti, del lento e inesorabile indebolimento della vita-
lità del tessuto sociale e della conseguente rarefazione dei servi-
zi di base, della inedita prossimità con persone, culture e religioni fino a ieri di-
stanti dai consueti e rassicuranti orizzonti di vita. Una chiave, quella del territorio
e delle identità, capace di dare una risposta allo spaesamento, all’agorafobia da
globalizzazione, per evitare così di cadere nella claustrofobia delle paure e dei
rancori. A patto che si sia capaci di accompagnare territori e comunità, di dare loro
fiducia e forza, di vedere opportunità e potenzialità laddove altri vedono debolez-
za e marginalità. Come i territori di quel nuovo made in Italy i cui caratteri sono
coerenti con la visione della soft economy, di un’ idea della qualità come orizzonte,
come progetto generale per l’economia e per la società, come risultato di un ap-
proccio integrale, ma mai integralista. Una nuova sintesi, quella della soft economy,
capace di tenere insieme in una tensione dialettica quello che altri ritengono ormai
irrimediabilmente separato. Locale-globale; tradizione-innovazione; identità- inte-
grazione; memoria-futuro. Cogliere nella marginalità di queste aree non le ragioni
di uno spaesamento ma quelle di una sfida, di una opportunità di libertà e di re-
sponsabilità per immaginare uno sviluppo capace di fare della loro storica debo-
lezza la loro forza. La stessa che in questi anni hanno dimostrato i tanti territori
che hanno puntato sulla qualità. Confermando così una lettura che vede nelle ra-
dici del nostro sistema imprenditoriale la forza per affrontare le sfide del futuro.
Nel 2008 si è registrata la crescita di quelle piccole e medie imprese che affrontano
la competizione del mercato globale incrementando la qualità dei prodotti - il 71%
contro il 64% della media europea- e che ottengono in media, il 12% del loro
fatturato dall’ immissione sul mercato di prodotti e servizi innovativi, meglio di
Germania, Spagna e Francia. Abbiamo dimezzato le paia di scarpe esportate, ma è
aumentato il fatturato. Produciamo il 40% in meno del vino rispetto alla metà degli
anni 80, ma il valore dell’export è quadruplicato raggiungendo i 3,5 miliardi di
euro. Alle olimpiadi di Pechino erano bresciani molti dei fucili che hanno vinto
medaglie, marchigiane le macchine elettriche, piemontesi le pavimentazioni degli
impianti sportivi, lombarde le piscine, toscani gli scafi del canottaggio. La ricerca
Green Italy, delle Fondazioni Symbola e Farefuturo, sottolinea come questi risultati

dossier in bassa.indb 8 6-05-2010 8:53:17


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nascano dal saper fare della sfida ambientale un’occasione di ripensamento di


settori produttivi maturi e di innovazione tecnologica. Nella ceramica si è puntato
sul riutilizzo degli scarti di produzione non solo del proprio ciclo produttivo ma
anche di altri settori come quelli del vetro e dell’acciaio, così come sulla “sanifica-
zione”, cioè sulle tecnologie attraverso le quali le ceramiche acquisiscono proprie-
tà depuranti. Ultima sfida è la produzione di piastrelle fotovoltaiche in grado di
trasformare la luce in energia elettrica. Nel conciario oggi la vera novità, che ha
rilanciato il settore, è la lavorazione delle pelli secondo i metodi vegetali. Una
crescita e una qualificazione dovuta anche ad una maggiore attenzione all’ambien-
te e in particolare alle fasi di smaltimento e depurazione, che ha alzato il livello
qualitativo delle produzioni fino a rispondere alle esigenze delle filiere di alta gam-
ma. Anche nel tessile la novità è rappresentata dalla crescita del mercato del tes-
suto biologico, come dimostrano le oltre 300 aziende che negli ultimi due anni
hanno richiesto la relativa certificazione. Ad esempio, nella zona di Prato torna ad
affermarsi la vocazione originaria del “riciclo dei cenci” dalla quale nacque il primo
vero distretto tessile d’Europa. Siamo gli unici al mondo, insieme ai tedeschi, ad
avere tecnologie per la produzione di rubinetti e valvole senza piombo. Ben tre
associazioni del settore, Assomet (metalli non ferrosi), Ucimu (macchine utensili) e
Avr (valvole e rubinetti) hanno brevettato insieme un ottone puro, senza piombo,
che rispetta i più avanzati standard internazionali. Un’innovazione made in Italy che
è stata adottata dalla California, dove il governo ha approvato il Californian Lead
Regulation che limita allo 0,25 la la percentuale di piombo che deve essere con-
tenuta da prodotti destinati al contatto con acqua per il consumo umano. Un’atten-
zione all’ambiente, alla qualità dei prodotti che ci fa essere leader mondiali nella
nautica come nella meccatronica. Nel legno-arredamento, oltre alle innovazioni nel
segno della sostenibilità in tutte le fasi della filiera, è da segnalare soprattutto la
crescita delle certificazioni forestali che riguardano l’origine stessa dei prodotti in
legno. La superficie forestale italiana certificata PEFC (Programme for Endorsment
of Forest Certification) è oggi di 668.764 ettari, 55.908 ettari in più rispetto al
2007, mentre le aziende certificate nel 2008 sono state 54, portando il totale a
136. Anche il FSC (Forest Stewardship Council) ha registrato una crescita nell’atten-
zione da parte del mondo imprenditoriale italiano, come dimostra il sensibile incre-
mento del numero di certificati rilasciati, in tutto 111 nel 2008, per un totale di 355.
Siamo secondi nel continente per diffusione e produzione biologica e insieme a
Francia e Germania siamo uno dei paesi in cui è più diffusa la vendita diretta dei
prodotti agroalimentari. Ma anche nella Green economy dell’innovazione più diret-
tamente ambientale l’Italia mostra di essersi messa in movimento. Ad essa infatti
guardano il 40% delle piccole e medie imprese manifatturiere del nostro Paese per
superare la crisi, come segnalato da Unioncamere nel 2009. I buoni risultati otte-
nuti di recente dall’Italia nelle energie rinnovabili dimostrano le potenzialità del
nostro sistema industriale e l’attenzione verso questo settore da parte di molte
realtà istituzionali, soprattutto a livello locale. Anche se il divario rispetto agli altri
Paesi europei rimane ancora ampio, l’industria eolica italiana è molto avanzata,
soprattutto per quanto riguarda i processi di gestione, manutenzione e sviluppo
degli impianti, come dimostrano i circa 18 mila posti di lavoro creati negli ultimi
anni. Una fitta rete di fornitori di componentistica alimenta un indotto molto qua-

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lificato e tecnologicamente all’avanguardia che


si è affermato sui mercati internazionali. Il tutto
grazie alle tante piccole e medie aziende che
hanno saputo riconvertirsi e adattarsi alle ne-
cessità delle grandi aziende costruttrici di tecno-
logia. Nel 2008 l’Italia ha raggiunto il terzo po-
sto in Europa e il sesto nel mondo per potenza
e generazione di energia derivata dal vento e ha
segnato un record assoluto sia per quanto ri-
guarda la potenza installata, pari a 3.736 MW,
sia per quanto concerne l’energia prodotta che
ha toccato i 6 TWH, pari ai consumi domestici di
oltre 7 milioni di italiani. Nel mercato dell’ener-
gia solare le aziende italiane coprono il 74% del
mercato per quello che riguarda la distribuzione
e l’installazione. Nello stesso tempo si è iniziato
a installare solare fotovoltaico in quantità signi-
ficative superando gli oltre 1000 MW. In questo
settore alcune imprese italiane sono tra le più
innovative e d’avanguardia. Per quanto riguarda la chimica, l’italiana Novamont è
leader mondiale nel settore delle bioplastiche, nonché vincitrice nel 2008 del pre-
mio inventore europeo dell’anno. Ben quattro aziende su dieci oggi nel nostro
Paese si rivolgono a prodotti o tecnologie in grado di garantire risparmio energe-
tico e minimizzare gli impatti ambientali. Nel comparto del riciclo di carta e cartone
siamo ormai fra i leader mondiali, a dimostrazione che è possibile recuperare il
ritardo che ancora oggi il nostro Paese ha nei confronti del resto d’Europa per
quello che riguarda la raccolta dei rifiuti. Anche sulla base del successo delle poli-
tiche intraprese in altri Stati, primo fra tutti la Germania, le aziende italiane appa-
iono quindi consapevoli delle opportunità di questo nuovo scenario, segnato dalla
rilevanza della questione ambientale e del cambiamento climatico nelle agende
dell’economia e della politica internazionali. È infatti possibile prevedere nel nostro
Paese, nei prossimi cinque anni, oltre un milione di posti di lavoro tra nuovi occu-
pati e qualificazione delle imprese esistenti. Basti pensare al contributo che può
venire dall’edilizia dove oggi il comparto dell’efficienza energetica è in forte cresci-
ta grazie ad un’utenza sempre più sensibile al contenimento dei consumi e a com-
portamenti ambientali virtuosi. La riqualificazione energetica dell’enorme patrimo-
nio edilizio esistente, per esempio potrebbe rappresentare una grande opportunità
creativa, non solo per affrontare con soluzioni architettoniche innovative il proble-
ma dei consumi energetici degli edifici, ma per migliorare la qualità delle città
contemporanea. Un grande progetto strategico che soprattutto nel Mezzogiorno
potrebbe sostenere le tante realtà imprenditoriali e territoriali che vogliono essere
protagoniste del suo riscatto e del suo sviluppo.
Emerge così il quadro di un’Italia che, pur tra contraddizioni e difficoltà, è capace
di misurarsi con le sfide del futuro, producendo quella qualità e quella innovazione
che animano le tante esperienze imprenditoriali e territoriali della soft economy e
della green economy.

dossier in bassa.indb 10 6-05-2010 8:53:20


11

2.2 Le eccellenze ambientali: rinnovabili e rifiuti


Oltre ad essere roccaforti di identità e custodi del nostro patrimonio storico-
artistico, naturale ed enogastronomico, i Piccoli Comuni (PC) sono anche il luogo
privilegiato di sperimentazione delle buone pratiche più innovative in fatto di
energia, economia verde e riciclo dei rifiuti. Per questo sono dei laboratori di
futuro e rappresentano spesso l’avanguardia più avanzata del Paese. Prova ne
sia il contributo che queste realtà esprimono anche a livello nazionale sui fronti
delle rinnovabili e della gestione del ciclo dei rifiuti. Secondo i dati del rapporto
Comuni Rinnovabili 2010 (Legambiente, 2010), infatti, ben il 69% dei 6.993 comuni
italiani che utilizzano energia prodotta con fonti rinnovabili hanno meno di 5
mila abitanti. Analogamente, dal dossier Comuni Ricicloni 2009 (Legambiente,
2009) emerge che il 53,8% delle 1.284 Amministrazioni censite sono Piccoli
Comuni. È proprio nei nostri centri “minori”, dunque, che si realizza la gran parte
delle pratiche virtuose che consentono di soddisfare la domanda energetica e
termica delle famiglie italiane con energia pulita. E sempre in questa parte di
Paese, si realizzano politiche di gestione del ciclo dei rifiuti ispirate alle quattro
R - riduzione, riutilizzo, riciclaggio e recupero – e finalizzate alla riduzione della
produzione stessa dei rifiuti e al contenimento dei rifiuti che afferiscono in
discarica. Oltre al numero assoluto dei centri con meno di 5 mila abitanti attivi
nelle rinnovabili e nel riciclo dei rifiuti, che fotografano l’estensione del fenomeno,
le eccellenze dei PC in questi settori sono segnalate da numerose altre evidenze.
Piccoli Comuni Rinnovabili
Nel settore dell’energia verde i PC giocano un ruolo di avanguardia, che non ha
nulla da invidiare a quello messo in campo dei “grandi” comuni. Sono 4.850 i PC in
cui è installato almeno un impianto da fonte rinnovabile, e la loro crescita in questi
ultimi anni è stata davvero vertiginosa, nel 2008 infatti i PC erano solo 1.664. A
testimonianza del fatto che i PC prima di quelli “grandi” sono stati pionieri e
hanno scommesso sulle rinnovabili con risultati evidenti sia in termini numerici,
che qualitativi. Non solo si è registrata una crescita continua del numero di PC in
cui cittadini, aziende e amministrazioni decidono di investire in queste tecnologie,
ma attraverso “nuovi” impianti eolici, geotermici, idroelettrici, da biomasse oggi
sono centinaia i comuni italiani che producono più energia elettrica di quanta ne
consumano e che sono quindi in grado di rispondere al fabbisogno energetico
delle famiglie con le sole fonti rinnovabili.
Grazie a questi impianti, inoltre, si sono creati nuovi posti di lavoro, portati
servizi, creato nuove prospettive di ricerca applicata, un maggiore benessere e
una migliore qualità della vita. Queste realtà sono oggi la migliore dimostrazione
del fatto che investire nelle rinnovabili è una scelta lungimirante e conveniente,
che può innescare uno scenario di innovazione, sviluppo e qualità nel territorio.

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DIFFUSIONE REGIONALE DELLE RINNOVABILI NEI Piccoli Comuni


MINI BIO
EOLICO IDRO GEO BIOGAS MASSA
REGIONE SF kW kW kW kWe kWe kWe
ABRUZZO 2864,59 203820 10450 0 100 0
BASILICATA 8443 212300 1520 0 0 0
CALABRIA 6126 312615 14148 0 646 2000
CAMPANIA 9476 793770 1552 0 2510 13794
E. ROMAGNA 3180 12038 17360 72,4 6709 418
FRIULI VEN. GIULIA 8385 0 15763 0 0 3898
LAZIO 3627 9011 6471 0 0 300
LIGURIA 1393 17970 22255 28 1384 3595
LOMBARDIA 37291 120 88634 4142 36514 42416
MARCHE 8460 23 23047 269 1700 113
MOLISE 2269 251720 11040 0 0 20000
PIEMONTE 34700 12612 122751 5751 15554 21550
PUGLIA 8473 748960 0 0 0 0
SARDEGNA 8223 605660 4490 0 2350
SICILIA 3706 345981 950 0 0 0
TOSCANA 6167 36900 18263 566008 5299 22846
TRENTINO A. ADIGE 27233 1203 81203 191 5927 48249
UMBRIA 5529 1500 750 0 0 90
VALLE D’AOSTA 515 12 27995 23 9250 27520
VENETO 13618 1415 37580 128 6956 36240
FONTE: Comuni Rinnovabili 2010, Legambiente

I Piccoli Comuni del solare: ben 4.540 PC hanno installato sul proprio territorio
almeno un impianto solare, sia esso termico e/o fotovoltaico, e il 55% di queste
Amministrazioni possiede entrambe le tecnologie. I PC del solare fotovoltaico sono,
invece, 4.073 e nel complesso si dividono 207 MW di potenza installata, grazie
alla quale soddisfano il fabbisogno di 112 mila famiglie, evitando l’immissione in
atmosfera di 168 milioni di kg di CO2. Nel settore del solare fotovoltaico il piccolo
comune più virtuoso è Craco (Mt), che, grazie a 4.315 kW e una media di 5.420 kW
ogni 1.000 abitanti, vanta la maggior potenza installata sia in termini assoluti che
in relazione al numero di abitanti. Seguono il Comune di Ottobiano (Pv), con una
media di 3.920 kW/1.000 abitanti, e il Comune di San Pietro Mosezzo (No), con
3.784 kW/1.000 abitanti. Con 2.505 presenze, i PC del solare termico sono cresciuti
di 825 unità rispetto al 2009 e continuano ad essere concentrati nel Nord Italia.
Considerando il rapporto tra i metri quadrati e il numero di abitanti, la migliore
prestazione la fa registrare Fiè allo Sciliar (Bz), con una media di 1.152 mq ogni
1.000 abitanti e 3.500 mq complessivi. Al secondo posto troviamo sempre Terento

dossier in bassa.indb 12 6-05-2010 8:53:22


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(Bz), con 1.145 mq/1.000 abitanti, e al terzo Don (Tn), con 1.035 mq/1.000 ab.
I Piccoli Comuni dell’eolico: i 198 PC in cui è presente almeno un impianto
eolico possono contare complessivamente su una potenza installata di 3.569 MW.
Su 198 ben 159 si possono definire teoricamente autosufficienti, in grado cioè di
produrre più energia elettrica di quella necessaria alle famiglie residenti. Notevole
anche la crescita che si è registrata in questo settore: + 17% solo negli ultimi due
anni. Oltgre alla tradizionale presenza in Puglia, Campania, Basilicata, Sicilia e
Sardegna, questa tecnologia inizia a diffondersi anche in altre Regioni, come la
Toscana, l’Emilia Romagna e la Liguria. Il piccolo comune con la maggior diffusione
è il Sant’Agata di Puglia (Fg), con 97,2 MW, seguito dal Bisaccia (Av) con 93,6 MW e
da Ulassai (Og) con 84 MW. Anche nell’eolico i Piccoli Comuni giocano un ruolo da
protagonisti. Secondo Legambiente, infatti, il 66% dei centri italiani in cui è presente
almeno un impianto eolico ha meno di 5.000 abitanti e questi PC detengono il 69%
dell’installato del nostro Paese. Grazie al vento i Piccoli Comuni dell’eolico sono in
grado di produrre circa 7 milioni di MWh annui di energia elettrica, pari al fabbisogno
di 2.850 famiglie, evitando di immettere in atmosfera circa 4.282.000 di kg di CO2.
I Piccoli Comuni del mini idroelettrico: in 571 dei nostri centri minori è
presente almeno un impianto mini idroelettrico, nell’insieme questi impianti hanno
una potenza di 993 MW. Grazie a questa tecnologia i Piccoli Comuni producono
ogni anno 3,9 miliardi di kWh/a di energia elettrica pulita, in grado di soddisfare il
fabbisogno di 1,5 milioni di famiglie. Il contributo del mini idroelettrico al bilancio
energetico nazionale permette di evitare in atmosfera circa 6,6 miliardi di kg di CO2.
In questo settore il comune più all’avanguardia è Falcade (Bl), che vanta 3 piccoli
impianti ed una potenza complessiva di 6,6 MW, seguito da Robbiate (Lc), da Moso in
Passiria (BZ). Le Amministrazioni che grazie a questa tecnologia si possono definire
autosufficienti sono 347, pari al 60% dei Piccoli Comuni del mini idroelettrico e al
43% dei Comuni totali del mini idroelettrico censiti da Comuni Rinnovabili 2010.
I Piccoli Comuni della geotermia: in tutto sono 92 i Piccoli Comuni in cui è
presente almeno un impianto da geotermico. Di questi 68 presentano impianti per
la produzione di energia elettrica per una potenza complessiva di 214 MW elettrici,
mentre 28 hanno impianti geotermici per la produzione di energia termica per
una potenza complessiva di 11 MW. Le maggiori installazioni in questo settore si
trovano in Toscana, il cui potenziale energetico geotermico è noto e valorizzato,
tanto da soddisfare il 26% dei consumi totali energetici elettrici dell’intera Regione.
A livello comunale, invece, le migliori prestazioni si registrano a Castelnuovo Val di
Cecina (Pi) e Monterotondo Marittimo (Gr), rispettivamente con 6,3 e 4,6 MWt.
I Piccoli Comuni della biomassa: centrali a biomassa sono presenti in 326 PC,
mentre in 111 si trovano centrali a biogas. La potenza complessiva (biomassa +
biogas) è di 348 MW elettrici e 361 MW termici. Undici dei 111 PC del biogas sono
dotati di impianti di tipo cogenerativo, ossia in grado di produrre sia energia
termica che elettrica. I 94 MW di potenza installata di impianti a biogas nei Piccoli
Comuni sono in grado di produrre circa 705 milioni di kWh annua di energia
elettrica, una quantità pari al fabbisogno di circa 280 mila famiglie, che evita
l’emissione in atmosfera di 423 milioni di kg di CO2. Tra i 326 Piccoli Comuni in

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cui è localizzato un impianto a biomassa sono distribuiti complessivamente 254


MW elettrici e 326 MW termici. Gli impianti a biomassa presenti nei Piccoli Comuni
sono in grado di produrre circa 1 milione 700 mila kWh/a di energia elettrica,
pari al fabbisogno di 711 famiglie, evitando di immettere in atmosfera oltre un
milione di kg di CO2 l’anno. Un dato molto interessante viene dagli impianti di
teleriscaldamento, ovvero una rete di tubazioni che hanno la funzione di distribuire
energia termica alle utenze ad essa connesse. Sono infatti 192 i Piccoli Comuni che
hanno realizzato un impianto di questo tipo sul proprio territorio. Nella maggior
parte dei casi si tratta di impianti allacciati a centrali a biomassa solida (cippato),
solo in 2 casi la rete di teleriscaldamento è collegata a impianti a biogas, mentre
in 3 casi il teleriscaldamento è allacciato a impianti geotermici.
Piccoli Comuni Ricicloni
Nell’ultima edizione del concorso nazionale Comuni Ricicloni di Legambiente, i PC
che hanno superato le soglie minime di accesso alle graduatorie - 55% di raccolta
differenziata se collocati nell’area nord del Paese, 45% per tutti gli altri – sono stati
689, di cui 593 nell’Italia del nord, 22 in quella del centro, 74 in quella del sud isole
comprese, per un totale di 1.648.886 abitanti. Il che equivale a dire che l’86,1%
dei PC ricicloni è collocato nel nord Italia, il 10,7% al sud e solo il 3,2% appartiene
all’area geografica del centro. Calandoci nell’analisi a livello regionale (vedi tabella)
emerge che Lombardia, Piemonte e Veneto sono le regioni dove è maggiore la
presenza di comuni virtuosi. Il che non ha nulla di sorprendente, si tratta piuttosto
della conferma di un trend in atto da diversi anni. Potrebbe, invece, stupire che
una regione come l’Emilia Romagna contribuisca con
un numero così esiguo di comuni al successo della
raccolta differenziata nel nord Italia. La cosa può essere
spiegata con la scarsa diffusione del sistema di raccolta
differenziata domiciliare in questa regione, a vantaggio
della raccolta con cassonetto stradale, meno efficiente
sia in termini quantitativi che qualitativi. A livello
provinciale, hanno fatto registrare numeri da record sia il
Novarese (Piemonte) che il Cremonese (Lombardia), che
vantano rispettivamente 61 e 60 Piccoli Comuni ricicloni.
Seguono le provincie di Torino (Piemonte) con 54 piccoli
ricicloni, Asti (Piemonte) a quota 49, Padova (Veneto)
con 48 Piccoli Comuni virtuosi e Rovigo (Veneto) con
40. Si tratta di aree dove il livello di gestione consortile
è ampiamente diffuso. Gli unici importanti contributi alla
diffusione della raccolta differenziata nel resto del Paese
sono quelli messi in campo da Sardegna e Campania,
che, con rispettivamente 31 e 30 Piccoli Comuni ricicloni,
giocano ad armi pari con Trentino Alto Adige (sarebbe più
corretto dire solo Trentino) e Friuli Venezia Giulia. Da una
comparazione tra la totalità dei comuni ricicloni e i Piccoli
Comuni ricicloni notiamo che, tra le regioni che vantano
un numero consistente di realtà virtuose, Lombardia

dossier in bassa.indb 14 6-05-2010 8:53:25


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(47%) e Veneto (46%) ricevono dai Piccoli Comuni un contributo, sul totale della
percentuale di raccolta differenziata, del tutto paragonabile ai centri di maggiore
dimensione. Segno probabilmente del fatto che nelle regioni dove la percentuale
di raccolta differenziata è più alta il contributo arriva un po’ da tutto il territorio.

PICCOLI E GRANDI COMUNI RICICLONI A CONFRONTO 2009


Totale regionale Numero Piccoli Incidenza % dei
REGIONE
Comuni Ricicloni Comuni Ricicloni Piccoli Ricicloni
Lombardia 389 183 47%
Veneto 372 171 46%
Piemonte 235 176 75%
Campania 61 30 49%
Friuli Ven. Giulia 48 28 58%
Sardegna 45 31 69%
Trentino A.
37 31 84%
Adige
Emilia Romagna 30 3 10%
Marche 20 14 70%
Abruzzo 13 9 69%
Toscana 13 3 23%
Lazio 6 3 50%
Sicilia 5 4 80%
Calabria 2 2 100%
Umbria 2 1 50%
Val d’Aosta 1 - -
Basilicata 1 - -
Ma qual è il segreto di questi comuni per raggiungere dei risultati così importanti?
Dall’analisi appare evidente che un notevole contributo venga, com’è prevedibile,
dal sistema di raccolta adottato. In 562 (quasi l’82% del totale) di queste realtà il
sistema di raccolta impiegato è di tipo domiciliare con separazione secco-umido,
cui vanno aggiunte 31 realtà che adottano un sistema di raccolta misto. Tredici
amministrazioni, ad esempio, hanno scelto di affiancare al porta a porta anche un
servizio di raccolta a chiamata, mentre in altri 10 PC il servizio porta a porta viene
accompagnato dai cassonetti stradali e in altri 5 da piattaforme ecologiche. I Piccoli
Comuni italiani (280) non sembrerebbero particolarmente inclini all’adozione del
compostaggio domestico, ma a queste 41% di realtà che vantano almento il 10%
dei nuclei domestici che vi si dedicano, sicuramente va aggiunta una buona parte
di comuni che non hanno censito gli aderenti a tale pratica, essendo la stessa
tanto comune e diffusa da rientrare nei comportamenti normalmente adottati dalla

dossier in bassa.indb 15 6-05-2010 8:53:26


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popolazione, in ambito rurale. Il sistema di tassazione più diffuso è ancora la


tassa rifiuti solidi urbani (TARSU), 66,9% del totale (461 comuni), contro un 19,6%
(135 comuni) che ha introdotto la tariffa igiene ambientale (TIA), sicuramente non
agevolata dagli ultimi episodi legislativi che ne hanno ostacolato l’introduzione.

Buone pratiche...
Dall’eolico al bonus bebè: Sedini (Ss)
Centro di 1408 abitanti in provincia di Sassari, Sedini ospita sul proprio territorio
un parco eolico Enel Green Power da 65,5 MW. Grazie ai proventi derivanti dalla
presenza di questo impianto, il Comune ha potuto investire circa 205 mila euro (20%
contributo della Regione Sardegna) per dotare di impianti fotovoltaici alcuni edifici
pubblici, come il mattatoio, la scuola elementare e la casa comunale, per 33 kW
complessivi. Sono inoltre in fase di realizzazione altri 2 impianti pubblici per circa 25
kW. Ancora. Parte dei proventi, circa 34 mila euro, sono stati destinati invece ad aiuti
di carattere sociale a famiglie in difficoltà economiche, bonus bebè per le giovani
coppie, per le quali è stato stabilito un bonus di 1.000 euro alla nascita più 500 euro
l’anno per i primi 3 anni di vita. In altre parole ecoincentivi contro lo spopolamento.
100% rinnovabile: Sluderno (Bz)
Realizza la migliore performance italiana sul fronte delle rinnovabili. Esempio per
tutti, questo piccolo comune è in grado di soddisfare la domanda di energia
elettrica e di energia termica dei suoi residenti unicamente con energia proveniente
da fonti pulite. Sluderno fonda la sua ricetta di successo su un mix di diversi
impianti da fonti rinnovabili di piccole e medie dimensioni, diffusi nel territorio.
Un misto di energia verde che va dal solare termico ai pannelli fotovoltaici diffusi
sui tetti di case e aziende, passando per il mini idroelettrico e l’eolico. A scaldare
le case sono, invece, gli impianti da biomasse locali e da biogas, proveniente per
lo più da liquame bovino, allacciati ad una rete di teleriscaldamento lunga 23 km.
Questi impianti producono oltre 13 milioni di kWh annua di energia termica che
soddisfa il fabbisogno di oltre 500 utenze, residenziali e civili, sia del Comune di
Sluderno che del vicino Comune di Glorenza. Come già accennato, i PC non solo
si distinguono per la loro presenza massiccia tra i comuni italiani che ospitano
sul loro territorio impianti alimentati da fonti rinnovabili, ma emergono anche da
un punto di vista qualitativo. Accanto a Sluderno, infatti, ci sono altri 13 PC 100%
rinnovabili. Ben più numerosi (674), invece, i nostri centri minori che, grazie ad
una sola tecnologia pulita, producono più energia elettrica di quella necessaria al
fabbisogno delle famiglie residenti. Per citare qualche nome, troviamo nel gruppo
dei 674 Radicondoli (Si) per la geotermia e Cocullo (Aq) per l’eolico. Dal punto di
vosta termico sono 15 i PC che entrano di diritto nella categoria “100% termici”. In
questi centri impianti a biomassa e geotermici allacciati a reti di teleriscaldamento
soddisfano pienamente il fabbisogno di energia termica delle famiglie residenti.
Fotovoltaico chiavi in mano: Florinas (Ss)
Un’altra esperienza di successo è quella di Florinas, comune di 1567 abitanti. Al

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fine di promuovere installazioni di pannelli solari, nel 2009 l’Amministrazione,


in collaborazione con il Circolo Legambiente Sassari, ha emanato un bando
per la selezione di un’azienda che potesse fornire impianti solari fotovoltaici
a residenti e piccole aziende con la formula “chiavi in mano” alle migliori
condizioni. Ad oggi sono stati realizzati oltre 20 impianti familiari (le “dichiarazioni
d’interesse” sono circa 100). Lo stesso Comune di Florinas ha realizzato sulle
proprie strutture edilizie 3 impianti fotovoltaici, per una potenza complessiva
di 34 kW, grazie ai quali ogni anno eviterà l’immissione in atmosfera di circa
27 mila kg di anidride carbonica. A questo va poi aggiunto il contributo dato
dal locale parco eolico, 10 turbine per 20 MW complessivi, installato nel 2004.
Energia a Biogas: Civitella Paganico (Gr)
Tra le esperienze nel campo del biogas quelle che riscuotono sempre maggior
successo riguardano le installazioni di impianti a biogas presso discariche. In impianti
di questo tipo è possibile captare il biogas prodotto dalla fermentazione dei rifiuti
e utilizzarlo come combustibile per produrre energia. Uno degli ultimi impianti di
questo genere inaugurato dal gruppo Marco Polo in collaborazione con Tecnologie
Ambientali srl, è quello presso la discarica di rifiuti urbani di Cannicci, a Civitella
Paganico. L’energia prodotta dall’impianto verrà utilizzata per soddisfare il fabbisogno
elettrico e termico di utenze produttive e domestiche che si trovano nelle immediate
vicinanze della centrale. Secondo le stime, l’impianto, grazie al recupero di circa 7
milioni di metri cubi di gas (Nm3), produrrà circa 4 milioni di kWh di energia elettrica,
pari al fabbisogno di circa 1.600 famiglie. Più di quelle residenti del Comune stesso.
L’idroelettrico sostenibile: Turbigo (Mi)
Piccolo Comune lombardo situato lungo il Naviglio Grande e compreso tra le
Amministrazioni consorziate del Parco Lombardo della Valle del Ticino, ospita sul
proprio territorio l’impianto mini idroelettrico Enel Green Power di Turbigo Inferiore.
Centrale ad acqua fluente costruita lungo il corso del Ticino, ha una potenza
di 1,64 MW e sfrutta un salto di 5,5 metri. Attraverso un canale denominato
“Canale Industriale”, l’impianto sfrutta inoltre l’acqua che viene scaricata della
centrale di Turbigo Superiore. Questa centrale mini idroelettrica è in grado di
fornire una potenza efficiente complessiva di 1.640 kW e una producibilità media
annua di 6,67 GWh. Costruita nel 1920, ristrutturata nel 1949 e rinnovata nel
2007, Turbigo Inferiore è parte integrante di un contesto industriale, irriguo e di
trasporto fluviale antichissimo. Fin dalla sua origine, infatti, era stata concepita
con l’obiettivo di sfruttare l’energia idraulica delle acque scaricate in Ticino
dal Naviglio Vecchio, la cui opera di presa era costituita dalla Paladella degli
Spagnoli, risalente al 1549 ed oggi dismessa. Oggi contribuisce alla gestione
delle acque del nodo idraulico di Turbigo (Canale Industriale) al netto dei prelievi
delle antiche utenze irrigue e industriali: Naviglio Grande, Naviglio Langosco,
Centrale Termica Turbigo. Situata all’interno del Parco del Ticino, Turbigo Inferiore
si trova in una zona con forte valenza naturalistica e turistica. Anche in virtù del
pregio storico-naturalistico del territorio in cui la centrale è ospitata, Enel Green
Power collabora con il Parco nelle attività di gestione del territorio, riservando
un’attenzione privilegiata a piste ciclabili, aree attrezzate e aree di riserva di pesca.

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Campania felix, dove differenziare è di casa: Rofrano (sa)


Il piccolo nucleo di Rofrano sorge tra le colline della provincia di Salerno a circa
500 metri di altitudine e con una percentuale di raccolta differenziata dell’81,4% è
tra i primi comuni ricicloni del sud, secondo Legambiente. I suoi 1786 cittadini
sono raggiunti da un servizio di raccolta domiciliare per tutte le tipologie di rifiuto,
ad eccezione di pile e batterie che possono essere conferite in un cassonetto stradale
preposto. Dai rifiuti ingombranti ai rifiuti elettronici, dagli oli esausti ai rifiuti inerti
(piccole quantità) tutti i cittadini, previo appuntamento telefonico, usufruiscono
del servizio di raccolta a domicilio affidato alla cooperativa sociale Rofrano Lavoro.
Ovviamente carta, vetro, plastica, metalli e rifiuti organici sono raccolti in giorni
stabiliti. Attualmente sul territorio comunale non trova posto una piattaforma ecologica
e i rifiuti sono collocati in un’area di deposito temporaneo nella quale rimangono
qualche giorno, prima di essere trasferiti negli impianti di trattamento e recupero. 
La raccolta monomateriale: Montelupone (Mc)
Il comune marchigiano di Montelupone, in provincia di Macerata, è collocato sulle
colline a circa 10 km dalle spiagge dell’Adriatico. Secondo Legambiente rappresenta
un altro campione della differenziata porta a porta, con una soglia di raccolta
differenziata del 75%. Tutte le tipologie di rifiuto domestico sono raccolte al domicilio
degli utenti a giorni stabiliti e tutte le raccolte sono di tipo monomateriale, ad
eccezione di plastica e metalli che sono conferiti in un unico contenitore. Per tutte gli
altri rifiuti, ingombranti, olii, verde, Raee, i 3565 cittadini di Montelupone possono
servirsi della piattaforma ecologica comunale. L’amministrazione comunale premia
i comportamenti virtuosi, così le circa 200 famiglie che praticano il compostaggio
domestico, usufruiscono di una riduzione del 50% sulla parte variabile della tariffa.
I virtuosi del belice: Salaparuta, Poggioreale e Gibellina (Tp)
Nella Sicilia dell’emergenza rifiuti, si sono affermate anche esperienze di raccolte
differenziate domiciliari secco/umido e di tariffazione puntuale, come quelle
praticate con successo dall’Ato Trapani 2 - Belice Ambiente. Grazie all’introduzione
del servizio di raccolta porta a porta, tra il 2007 e il 2008 i comuni di Salaparuta,
Poggioreale e Gibellina hanno avuto un incremento tale di raccolta differenziata
(RD), che sono schizzati ai primi tre posti della classifica dei Comuni Ricicloni 2009
per la Sicilia. Salaparuta (1835 abitanti), Poggioreale (1715 ab.) e Gibellina (4385
ab.), infatti, sono passate, rispettivamente, da una percentuale di RD del 14,79%,
13,40% e 6,27% al 2007 alle percentuali record di 63,5%, 61,5% e 61,1% nel 2008.
In queste Amministrazioni, come nelle altre dell’ATO2, è stato inoltre effettuato un
passaggio dalla tassa alla tariffa sui rifiuti.

dossier in bassa.indb 18 6-05-2010 8:53:30


19

Le economie verdi tra ecoturismo


2.3
e produzioni tipiche
Il turismo per i Piccoli Comuni è una risorsa fondamentale, in tanti casi valorizzata
da politiche di tutela e promozione del territorio, delle tipicità e della cultura locale,
diventando così un grande motore di sviluppo. In altri le potenzialità dei centri minori
non vengono ancora adeguatamente sfruttate. L’offerta turistica dei Piccoli Comuni,
misurata sulla base delle loro capacità ricettive, è una realtà composita e complessa,
che dipende da una serie di variabili come la grandezza del comune, la sua ubicazione
all’interno di un parco naturale, la collocazione geografica o la specializzazione
economica dell’area. Una classificazione dei comuni su base regionale ci permette
di individuare la relazione tra Piccoli Comuni e offerta turistica.
In genere i Piccoli Comuni montani del nord Italia hanno un’ampia capacità ricettiva,
mentre la relazione si inverte al sud e nelle isole. La migliore performance la
realizza la Valle d’Aosta, che per quasi il 60% dei casi ha Piccoli Comuni con
più di 64 posti letto ogni mille abitanti. Tra le regioni più ricettive ci sono poi,
nell’ordine, Trentino Alto Adige, Toscana e Umbria, i cui PC hanno a disposizione
più di 64 letti per mille abitanti in oltre il 50% dei casi, avendo sviluppato una
capacità di accoglienza diffusa e ben presenza. La regione con la ricettività più
ridotta è la Basilicata, con quasi il 97% dei Piccoli Comuni che non arrivano
a disporre di un offerta turistica di 40 posti letto ogni mille abitanti. Analoga
la situazione di Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sardegna. Questo tipo di
rapporto non riguarda solo i Piccoli Comuni, ma rimane vero anche se guardiamo
ai dati regionali generici. Nelle regioni in cui i Piccoli Comuni hanno le maggiori
capacità ricettive, infatti, anche il dato complessivo indica i casi migliori a livello
nazionale. Le regioni che nel 2009 avevano le più alte percentuali di comuni
con esercizi alberghieri erano Toscana (87%), Umbria (83%), Trentino Alto-Adige
(83%), e Valle d’Aosta (80%), mentre quelle con le percentuali minori erano Molise
(34%), Sardegna (39%), Piemonte (40%) e Calabria (41%). Anche se il dato non è
ponderato sulla base del numero dei comuni presenti nella regione, il che penalizza
regioni con molti comuni come il Piemonte, che da solo ha 1.072 Piccoli Comuni,
la corrispondenza tra ricettività regionale e capacità turistica dei Piccoli Comuni
è ancora evidente. Il forte legame tra Piccoli Comuni e zone di pregio ambientale
conferma la forza della vocazione turistica, un potenziale orientato soprattutto al
turismo naturalistico ed escursionistico, attento a un’ospitalità diffusa e autentica,
legato alle tradizioni dei luoghi, dall’artigianato storico e di pregio, alle attrazioni
naturali e paesaggistiche, alle produzioni enogastronomiche locali. In Italia ci sono
23 Parchi Nazionali, 21 Aree Marine Protette, 146 Riserve Naturali Statali, 140 Parchi
Regionali e 353 Riserve Naturali Regionali, a cui vanno aggiunte 3 Aree protette
Nazionali e 141 Aree Protette Regionali di altro tipo, per un totale di 827 Aree
Protette che coprono una superficie terrestre di oltre 3.000.000 di ettari e una
marina di ulteriori 3.000.000 di ettari. Il numero complessivo di aree protette si
alza notevolmente quando consideriamo anche boschi, paludi e oasi. Circa il 68%
degli oltre 2000 comuni presenti all’interno delle aree protette hanno meno di
5000 abitanti. Questi piccoli centri localizzati nelle aree protette sono ben 1633

dossier in bassa.indb 19 6-05-2010 8:53:31


20

e rappresentano il 28,6% dei Piccoli Comuni italiani. Le regioni con il maggior


numero di PC facenti parte di aree protette sono il Piemonte (181), la Lombardia
(179) e l’Abruzzo (170). Se guardiamo invece al peso percentuale di PC a livello
regionale notiamo che un sorprendente 93,3% dei PC toscani rientra in parchi,
riserve o aree naturali; seguono l’Abruzzo, con il 67,7% e la Campania, con il
49,4%. Si tratta in prevalenza di comuni montani, che grazie al turismo possono
rendere le risorse intrinseche dei propri territori un valore, una forza di contrasto
alle dinamiche di riduzione dei servizi e spopolamento a cui sono soggetti.
Piccoli Comuni AVENTI UNA PARTE DEL PROPRIO TERRITORIO DESTINATA A PARCHI,
AREE NATURALI E RISERVE
PC CON TERRITORIO % SU PC DELLA REGIONI ITALIANE E
REGIONI
IN AREE PROTETTE REGIONE AREE PROTETTE
ABRUZZO 170 67,7 50
BASILICATA 44 44,4 18
CALABRIA 122 37,4 23
CAMPANIA 165 49,4 28
EM. ROMAGNA 45 29,4 50
FRIULI-VEN. GIULIA 31 19,9 42
LAZIO 87 34,4 81
LIGURIA 40 21,8 25
LOMBARDIA 179 16,4 187
MARCHE 36 20,2 11
MOLISE 16 12,9 7
PIEMONTE 181 16,9 114
PUGLIA 10 11,8 35
SARDEGNA 37 11,8 22
SICILIA 94 47,5 85
TOSCANA 126 93,3 115
TRENTINO A. ADIGE 143 46,6 221
UMBRIA 22 36,7 8
VALLE D’AOSTA 22 30,1 11
VENETO 63 20,1 302
TOTALE Piccoli Comuni 1633 28,6 827
Fonte: Elaborazione Legambiente su dati Cittalia/Istat 2004/Federparchi

A conferma della vocazione turistica dei Piccoli Comuni e come segnale delle
potenzialità ancora da scoprire nei loro territori si evidenzia il ruolo che il settore
alberghiero e quello della ristorazione svolgono all’interno dell’economia dei PC.
Infatti quasi un quarto degli addetti, il 22,38%, lavora nei suddetti campi. Un
peso decisamente rilevante, il 24,71%, è occupato dal terzo settore, in varie
misure legato al turismo, mentre l’industria totalizza un 20,68%. Un dato da
affiancare a questo ci dice che l’attrattività del mercato del lavoro nei PC è spesso

dossier in bassa.indb 20 6-05-2010 8:53:32


21

bassa, configurando una situazione in cui solo il 17,71% dei casi rappresenta
un polo attrattivo dal punto di vista occupazionale. Questi comuni sono situati
soprattutto nella fascia alpina, in zone della Toscana e delle Marche. Nel resto
dei casi, diventa frequentemente evidente il fenomeno del pendolarismo. D’altro
canto è da notare che quasi 1500 PC fanno parte di un distretto industriale,
appartenenza che sta a indicare la vitalità produttiva, occupazionale e sinergica
di queste realtà. I settori maggiormente coinvolti sono quello della meccanica,
che può contare sulla presenza di 566 PC, il 37,9% dei piccoli inclusi nei distretti,
del tessile/abbigliamento, con il 27,3% e quello dei beni per la casa, con 228
comuni, il 15,26%. Ma le economie dei Piccoli Comuni possono giocare soprattutto
la carta delle produzioni di qualità, basate sulla capacità di realizzare produzioni
irripetibili e uniche come le tipicità locali, che sono un valore aggiunto delle
economie locali. Da questo punto di vista l’Italia può vantare il primato europeo
nei prodotti con riconoscimento DOP, IGP e STG, sinonimi non semplicemente di
qualità ma di quella vita che nei territori di origine diventa tradizione, cultura e
finalmente eccellenza. In questo i Piccoli Comuni sono speciali: il 94% di essi
presenta almeno un prodotto DOP, e la maggior parte ne presenta più di uno.

I Piccoli Comuni d’Italia che presentano DOP:


a livello nazionale, il trend di nuovi riconoscimenti
e fatturati è incoraggiante: a fine 2009 l’Italia ha
registrato il maggiore incremento in Europa, con
ben 20 denominazioni in più rispetto all’anno
precedente. La maggior parte di tali prodotti
appartiene alla tradizione di tanti Piccoli Comuni:
si va dai PC veneti produttori dell’Aglio Bianco
Polesano e dell’Insalata di Lusia ai romagnoli con
il Formaggio di Fossa di Sogliano, dal Limone
Interdonato di Messina al Marrone di Caprese
Michelangelo, un particolare tipo di castagna già
conosciuta dagli Etruschi, apprezzata dal Maestro
Buonarroti e oggi prodotta a Caprese Michelangelo ed Anghiari, in provincia di
Arezzo. Per quanto riguarda il valore stimato dei fatturati alla produzione, nel
2008, anno critico per la crisi mondiale, ha subito un incremento del 3,4%,
giungendo a più di 5 miliardi di euro, mentre quello al consumo, nel solo mercato
nazionale, è cresciuto del 5,8%, per un valore stimato intorno ai 7,8 miliardi.
Gli incrementi sono legati in particolare ai settori dei formaggi e dei prodotti
a base di carne1, tipicità in cui i piccoli eccellono, contribuendo in maniera
decisiva a strutturare un’offerta decisamente significativa per il nostro paese.

1 Dati prelevati da “L’andamento del mercato delle Dop e Igp in Italia nel 2008”, Ismea 2010

dossier in bassa.indb 21 6-05-2010 8:53:33


22

Categorie DOP e Piccoli Comuni: sul totale


dei Comuni DOP, il contributo dei PC incide
al 75% per quanto riguarda la produzione
di formaggi, al 73% per salumi e insaccati,
al 60% per gli oli, al 41% per le essenze,
al 12% per l’ortofrutta e al 46% per gli oli
essenziali.2

Buone pratiche...
La green economy nel cuore dell’Umbria: Massa Martana (Pg)
Come accade spesso è in un piccolo comune che batte il cuore della green eco-
nomy. A due passi da Perugia è stata appena inaugurata la costruzione di un
impianto a concentrazione solare, un sistema che fa convergere i raggi solari per
raggiungere temperature tra i 400 e i 1000 gradi e che produce energia utilizzando
sali fusi al posto di oli potenzialmente nocivi per l’ambiente. È un sistema av-
veniristico, realizzato dall’Archimede Solar Energy, parte del Gruppo Angelantoni
Industrie, in collaborazione con Siemens. Uno di quegli esempi legati al territorio,
che produce innovazione a livello internazionale. Va precisato che non si trat-
ta semplicemente di un impianto: il progetto, che coinvolge numerosi soggetti
pubblici e privati, prevede la costruzione di un polo energetico dalle molteplici
funzioni: ospitare una centrale cogenerativa a biomasse, impianti per la produzio-
ne di biocombustibili, nonché per la realizzazione di componenti per la produzio-
ne di energia solare. Massa Martana diventa così un polo di eccellenza a livello
europeo nel settore dell’energia, grazie alla collaborazione tra pubblico e priva-
to nella condivisione di obiettivi e grazie a uno sguardo attento all’innovazione.
La Lombardia a Consumo di suolo zero: Ronco Briantino (Mi), Cassinetta
di Lugagnano (Mi)
Hanno approvato dei piani regolatori a crescita zero, scegliendo di lascia-
re liberi i terreni non ancora edificati o cementificati. Cosi i Piccoli Comu-
ni di Ronco Briantino e Cassinetta di Lugagnano hanno sposato la difesa del
territorio, come requisito per una buona qualità della vita, trasforman-
dola in un Piano di Governo del Territorio a consumo zero: la terra viene ri-
conosciuta come un bene comune e una risorsa non rinnovabile. L’assedio
legato a tanti attacchi speculativi, progetti strutturali tanto inutili quanto co-
stosi e dannosi, è stato contrastato anche grazie all’attivazione di proces-
si di partecipazione cittadina. A loro volta questi hanno condotto le comunità
a recuperare e valorizzare il patrimonio architettonico ed ambientale esistente.

2 Da “L’Italia delle qualità agro-territoriali”, Ager-Legambiente, 2005

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23

Il paesaggio ritrovato: Le Cinque Terre (Sp) - Riomaggiore, Monterosso,


Vernazza, Corniglia, Manarola
Cinque miglia di costa rocciosa nella Liguria orientale, due promontori alle estre-
mità, migliaia di chilometri di muretti a secco coltivati a vite, cinque paesini
arroccati su speroni di pietra. Il pittoresco paesaggio delle Cinque Terre è un
gioiello tutto italiano. Per Piccoli Comuni che ne fanno parte, un vino specia-
le, DOC e Presidio Slow Food, lo Sciacchetrà, non rappresenta solo una tipici-
tà ma è stato fin dal medioevo vero e proprio architetto del territorio dando
origine, data la morfologia della zona, ad una vera e propria arte: quella dei
terrazzamenti. Questo patrimonio culturale, diventato nel tempo simbolo di qua-
lità, ha rischiato nel tempo di perdere sia in qualità, che in quantità prodotta,
per essere poi diventato oggetto, negli ultimi anni, di una spettacolare opera
di recupero che ha sapientemente mescolato innovazione scientifica, tradizione
e collaborazione con enti locali, tra i quali il Parco Nazionale delle Cinque Ter-
re. Nell’ultimo decennio i produttori riconosciuti sono passati da meno di 10 a
23, restituendo alle Cinque Terre una ricchezza che sembrava doversi perdere.
Trasformare la debolezza in risorsa: Castel del Giudice (Is)
Castel del Giudice è un antico borgo di origine medioevale nell’alto Molise e conta
poco più di 350 abitanti. Da qualche anno si è scelto di puntare sul coinvolgimento
dei cittadini nelle scelte di sviluppo della comunità e di trasformare, laddove pos-
sibile, elementi di debolezza in risorse. È così che sono nate due società: una per
la gestione di un centro di sostegno agli anziani e l’altra per la produzione di mele
biologiche. Quello che era un problema, noto a tanti Piccoli Comuni, cioè l’abban-
dono della vecchia scuola elementare per mancanza di iscritti, è stato trasformato
in un’opportunità: una struttura di accoglienza per anziani e disabili. Questa ha
dato lavoro ad una ventina di persone, per la maggior parte donne. Il progetto è
stato così ben accolto dalla popolazione che si è deciso di “bissare” puntando sul
recupero dei terreni incolti a forte rischio idrogeologico. È stata costituita con 50
cittadini la società agricola Melise per la produzione di mele biologiche e sono sta-
te messe a dimora le prime piantine. Visti i successi in termini di sviluppo economi-
co e occupazionale, l’amministrazione comunale ha deciso di non fermarsi qua. La
prossima tappa prevede la ristrutturazione delle vecchie stalle del paese per farne
alloggi per i turisti amanti della natura e della sostenibilità, una sorta di “albergo
diffuso” che sarà realizzato con la partecipazione dei proprietari degli immobili.

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3.1 Comunità e coesione
3.2 Scuola, presidio di qualità
3.3 Un mondo di opportunità: il dinamismo culturale

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25

3.1 Comunità e coesione sociale


di Vanessa Pallucchi

I nostri Piccoli Comuni sono tante splendide immagini


da cartolina che spesso vediamo transitando in auto
lungo le grandi vie di comunicazione del fondovalle.
Li guardiamo come un fermo immagine di un mondo
che scorre con tempi e modi diversi rispetto a quelli
che noi viviamo e che ci portiamo nella memoria
anche quando non sono più dinanzi ai nostri occhi.
Legambiente negli anni novanta, nel momento di
sviluppo del sistema delle aree protette in Italia e della
nascita del sistema Infea (Informazione, Formazione,
Educazione Ambientale), fece la scelta di investire
in presidi territoriali educativi, i Centri di Educazione
Ambientale, localizzati spesso in Piccoli Comuni.
Per l’associazione questa è stata un’occasione per andare
oltre quel “fermo immagine” ed entrare in un rapporto più
stretto e dinamico con queste realtà, con i loro abitanti,
con i loro amministratori, andando ad interagire con le
difficoltà tipiche del cosiddetto “disagio insediativo”,
che vive gran parte dei Piccoli Comuni italiani.
Il punto di forza di questi territori è la forte identità e
caratterizzazione: ottimi laboratori educativi di lettura ed interpretazione del secolare
rapporto fra uomo e natura, grandi custodi di tradizioni e cultura, beni comuni e risorse.
Se ci dovessimo fermare alla visione esterna di queste realtà, potremmo dire
che hanno un indice della qualità culturale del territorio molto elevato.
Questa visione non viene confermata se però andiamo ad analizzare alcuni indicatori
di capacità di tenuta del capitale sociale da parte dei Piccoli Comuni, riportati nel 2008
all’interno del Rapporto sull’Italia del disagio insediativo, prodotto da Confcommercio
e Legambiente: progressivo spopolamento, invecchiamento della popolazione, con
un tasso di popolazione al di sotto dei 14 più basso della media nazionale, diminuzione
di quasi il 6% degli alunni che frequentano le scuole materne, indicatore di perdita
di famiglie giovani, tasso di immigrazione molto inferiore rispetto alla media italiana.
Una rete sociale in continuo impoverimento, quindi, che non trova
nel contesto le condizioni favorevoli per investire nel proprio futuro.
Quali sono queste condizioni? Quando parliamo di qualità culturale di un
territorio, non parliamo solo del patrimonio di risorse culturali storicamente
sedimentato che un territorio possiede, ma anche della capacità di mettere
queste risorse e valori che appartengono a quella comunità in un processo
dinamico, che rappresenta anche la capacità di una identità locale di
attualizzarsi, di essere più forte grazie alla capacità di affrontare i cambiamenti.
Non basta, ad esempio, avere un grosso patrimonio librario, senza che ci siano
le condizioni fisiche ed organizzative, come una biblioteca ben funzionante e
fruibile quale luogo sociale riconosciuto, per mantenere quella cultura che ha

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26

permesso a quella comunità di costruire il patrimonio librario che possiede.


I plusvalori economici, ambientali, sociali che caratterizzano una comunità, non
sono dati una volta e per sempre, ma vanno alimentati con un humus culturale
in cui le diverse generazioni hanno possibilità di crescere, di sviluppare relazioni,
di avere trasmessi i valori, il modus operandi, le competenze di quella comunità.
Questo vale, in maniera ancora più forte, per le comunità dei Piccoli Comuni
che sono state protagoniste di storie territoriali molto caratterizzate e che ancora
oggi mantengono alcune peculiarità che vanno attualizzate e spese all’interno
delle sfide globali, come elementi di competitività e di valore aggiunto.
All’immagine cartolina, va sostituito un immaginario che evochi, quindi, vicinanza,
che faccia leggere le strette connessioni, il ruolo, le irriproducibili caratteristiche che
legano i Piccoli Comuni ai territori urbani. Ma non solo, i Piccoli Comuni devono e
possono essere produttori ed animatori culturali: basti vedere il successo dei tanti
festival organizzati nei Piccoli Comuni italiani, che, come scrive Michele Smargiassi
su Repubblica, uniscono “turismo, relazione sociale, identità dei luoghi ed
espressione artistica e culturale”. Ma perché questo avvenga occorre che il capitale
sociale venga mantenuto, soprattutto per quanto riguarda le giovani generazioni.
Questa è forse la sfida principale che si trovano ad affrontare i Piccoli Comuni:
la coesione delle proprie comunità. Perché questo accada, occorre che il piccolo
comune riesca a mantenere quei presidi e funzioni che garantiscano ai cittadini che
vi abitano una buona qualità della vita e far superare quegli elementi di disparità
territoriale che attualmente caratterizzano molte delle aree marginali del nostro Paese.
Così i ragazzi della scuola di Barbiana di Don Milani descrivono il rapporto fra la loro
scuola e la comunità: “I posti di montagna come questo sono rimasti disabitati.
Se non ci fosse la nostra scuola a tenere fermi i nostri genitori, anche Barbiana
sarebbe un deserto”. In questa ottica s’inquadra la grande battaglia che Legambiente
sta facendo accanto ai Piccoli Comuni, per la difesa dei presidi scolastici.
La presenza della scuola non è soltanto la garanzia di un servizio strategico per
la qualità della vita e la garanzia di un diritto come quello all’istruzione, ma è
anche un medium culturale di cui queste comunità non possono fare a meno.
Chi, se non la scuola, può essere in grado di facilitare consapevolmente quel
lavoro di connessione identitaria fra le vecchie e le nuove generazioni, fra le
potenzialità insite in un territorio e la personale ricerca di realizzazione?
La scuola non deve essere il luogo in cui una comunità guarda a se stessa,
ma una finestra che una comunità possiede per guardare fuori se stessa, per
intrecciare relazioni, crescere e capire cosa è diventata e vuole diventare.

dossier in bassa.indb 26 6-05-2010 8:53:38


27

3.2 Scuola, presidio di qualità


Delle quasi 11mila istituzioni scolastiche italiane, il 24% risultano
sottodimensionate perché con meno di 500 alunni e il 6,3% si ritrova
al di sotto dei 300 alunni1, che è il limite minimo di deroga stabilito
dal DPR 233/1998 per le zone di montagna ed altre situazioni particolari.
A questa tipologia di istituti appartengono gran parte delle scuole dei Piccoli
Comuni che si trovano nelle aree montane e nelle piccole isole, soggette
al fenomeno dell’accorpamento delle dirigenze, perché non ritenute numericamente
adeguate a giustificare la permanenza dello stato di istituzione scolastica autonoma.
Solo lo scorso a.s. 2008/09, per effetto dei tagli alla scuola operati dall’ultima
finanziaria, ne sono state chiuse e accorpate in tutta Italia 322 2: un dato non
necessariamente negativo, se la trasformazione da istituzione autonoma a plesso
o sede staccata, non produce un fenomeno di marginalizzazione del territorio che
prima la ospitava. Bisogna, infatti, tenere conto dei disagi organizzativi e logistici che
intervengono per il personale e le famiglie, nel momento in cui l’ufficio di presidenza e
di segreteria viene spostato in una nuova sede, a volta molto distante, e delle maggiori
difficoltà nei rapporti tra gli Enti Locali e dirigenti scolastici che ne conseguono.
La situazione si fa ancora più delicata per il mantenimento del presidio scolastico
nei Piccoli Comuni, se guardiamo ai plessi scolastici, i cosiddetti punti di erogazione
del servizio. L’attuale Governo, pur avendo l’obiettivo di portare a 50 il numero
minimo di alunni per la loro sopravvivenza, aveva accettato di introdurre delle
deroghe per le scuole di montagna e piccole isole, in una pre-intesa siglata tra
MIUR, Regioni, ANCI, UPI e UNCEM nel maggio del 2009, alla quale però non c’è
stato seguito3, propone dei parametri numerici che sono di un minimo di 30 alunni
per la scuola dell’infanzia, di 50 per la scuola elementare, 45 per la secondaria di
1° e di 100 per la scuola secondaria di 2° grado.

Tabella 1
Infanzia % Primaria % Media % Superiore % Totale %

Totale plessi 13.629 100 16.117 100 7.155 100 5.123 100 42.024 100

< 50 alunni 5735 42,1 2627 16,3 970 13,5 560 10,9 9892 23,5
Elaborazione Legambiente su dati Miur 2007

Tabella 2 SCUOLA ELEMENTARE

1 La scuola in cifre 2008, MIUR


2 Dossier tagli 2009, Legambiente, in Formazione Ambiente, settembre/dicembre 2009
3 Per la sopravvivenza dei plessi di queste aree si è proposto in quella sede di garantire almeno
12 alunni per le scuole d’infanzia, 20 per le primarie e 30 per le medie, introducendo però il
criterio della distanza in termini spaziali e temporali dal plesso più vicino e la valutazione delle
condizioni di sicurezza dell’edificio, al fine di decidere la soppressione dei plessi sottodimen-
sionati. Il dimensionamento sotto la lente della Corte Costituzionale, Pasquale D’ Avolio, in
Rivista dell’Istruzione , n° 5/2009.

dossier in bassa.indb 27 6-05-2010 8:53:38


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REGIONE Totale scuole < 50 alunni %


Abruzzo 480 145 30,2
Basilicata 229 71 31,0
Calabria 989 373 37,7
Campania 1665 248 14,9
Emilia Romagna 966 101 10,4
Friuli-Venezia Giulia 381 66 17,3
Lazio 1168 141 12,1
Liguria 441 95 21,5
Lombardia 2255 198 8,7
Marche 471 71 15,1
Molise 153 78 50,9
Piemonte 1351 344 25,5
Puglia 746 43 5,7
Sardegna 566 132 23,3
Sicilia 1526 253 16,5
Toscana 968 111 11,4
Umbria 305 55 18,0
Veneto 1457 102 7,0
TOTALE nazionale 16117 2627 16,3
Elaborazione Legambiente su dati Miur 2007

La tabella 1 ci restituisce l’entità del problema: se i parametri fossero


applicati pienamente, avremmo la chiusura di più del 23% dei plessi scolastici
attualmente in funzione. Percentuale che sale, se si va nello specifico delle regioni
italiane caratterizzate da territori montani. Come si vede dalla tabella 2, se per la sola
scuola elementare dovessero essere applicati i parametri per il mantenimento dei
punti di erogazione del servizio, avremmo regioni come l’Abruzzo, la Basilicata, la
Calabria ed il Molise, che perderebbero dal 30% al 50% dei plessi di scuola primaria.
L’Assessorato all’Istruzione della Regione Calabria, ad esempio, ha previsto
che l’applicazione dei parametri numerici porterebbe alla sua rete scolastica
una perdita complessiva di ben 966 plessi: 384 di scuola dell’infanzia, 364 di
scuola primaria, 119 di scuola secondaria di 1° e 99 di scuola secondaria di 2°.
La scelta di parametri nazionali così netti, il cui principale obiettivo è di ridurre i costi
dell’istruzione, metterebbe in seria difficoltà, quindi, i territori a forte presenza di
piccole scuole e soprattutto, andrebbe ad ampliare una disuguaglianza territoriale di
accesso al diritto all’istruzione fra chi vive nelle zone urbane e chi vive nei territori
marginali. Per intervenire in maniera equilibrata in questa materia non si possono,
quindi, proporre parametri quantitativi, ma considerazioni qualitative intorno alle

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caratteristiche dei territori, con l’obiettivo che ogni bambino deve ricevere una
buona istruzione e nelle migliori condizioni.
Su questo nodo è in atto una forte contrapposizione ancora non risolta in sede
di Conferenza unificata fra il Governo e le Regioni, quest’ultime riconosciute
definitivamente, con una sentenza dalla Corte Costituzionale del luglio 2009, come
il soggetto istituzionale competente per il dimensionamento della rete scolastica.
Il problema attuale, però, è come conciliare questa competenza delle Regioni
con i criteri per la formazione delle classi e di determinazione degli organici,
che rimangono nelle mani dello Stato e stanno subendo come tutti sanno tagli
consistenti, visto che essi incidono fortemente sulla effettiva possibilità di
sopravvivenza di un plesso scolastico: basti pensare all’impossibilità di tenere
aperta una scuola, se anche il comune e al regione lo volessero, in mancanza per
es. del personale ATA sufficiente a garantirne l’apertura, la pulizia e la vigilanza.

Piccole scuole laboratori di sperimentazione ed innovazione


Perdere una scuola per un piccolo comune è un sintomo molto negativo
rispetto alla capacità di proiettarsi nel futuro, di essere un luogo
attrattivo per le giovani generazioni, di mantenere in vita il principale,
se non spesso, unico, presidio culturale per la propria comunità.
Le problematiche condizioni di sopravvivenza garantite in questi ultimi anni
alle piccole scuole si riscontrano anche nel dato negativo di diminuzione della
percentuale di studenti che vi frequentano la scuola dell’obbligo, ridotta nel 2006
al 6% della popolazione scolastica nazionale, a fronte dell’8% di sette anni prima.4
Consapevoli di questo, i Piccoli Comuni hanno sempre molto difeso ed investito
sulle proprie scuole, che nel tempo, proprio perché non in presenza di condizioni
ottimali, hanno sperimentato ed introdotto modalità organizzative e didattiche
innovative, che ha assunto come proprie anche il resto della scuola italiana.
Fra queste, la modalità dell’Istituto comprensivo, nata in relazione alla legge n
97/1994 sulla tutela delle zone di montagna ed oggi, un modello di scuola che
viene praticato in circa un 30% delle Istituzioni scolastiche della scuola di base.5
Due le caratteristiche peculiari di questi istituti che li rendono un modello
innovativo: la verticalità didattica ed organizzativa della scuola di base, che
obbliga, ad esempio, i docenti di diversi gradi di scuola a co-progettare il
curricolo all’interno della stessa istituzione scolastica, e “un rafforzamento
del rapporto con gli Enti Locali, reso più incisivo e impegnativo”6 dalla
presenza di una modalità organizzativa come l’Istituto comprensivo.
Un altro modello peculiare delle piccole scuole montane e delle isole è, inoltre,
quello della pluriclasse, in cui “il numero degli alunni consente di avere momenti
di relazione e di confronto non solo con i propri pari di età, ma anche con alunni più
grandi e più piccoli. Permette di giocare “ruoli diversi”, durante il percorso scolastico,

4 Rapporto sull’Italia del “disagio insediativo”, 1996/2016 Eccellenze e ghost town


nell’Italia dei piccolo comuni, Confcommercio e Legambiente, 2008
5 Gli istituti comprensivi come luoghi di coesistenza/convivenza di identità culturali/profes-
sionali diversificate, in Educazione & Scuola, Umberto Landi
6 Verticale, che passione!...,in Educazione & Scuola, Giancarlo Cerini

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sviluppando il senso di responsabilità e di appartenenza ad una comunità”.7


Un modello che sta conoscendo un incremento per effetto dei parametri d’innalzamento
del numero di alunni per classe (le pluriclassi sono aumentate dallo scorso anno
scolastico di quasi il 17%)8, criterio non certo ottimale se riferito a logiche solo
di risparmio sulle risorse umane e non come opportunità educativa e territoriale.
Un altro ambito di sperimentazione importante che vede protagoniste le
scuole dei Piccoli Comuni, inoltre, è la didattica telematica, possibile grazie
alla diffusione della banda larga (anche se esistono ancora sacche consistenti
di “digital divide” nelle aree interne del Paese) all’utilizzo delle nuove
tecnologie come la lavagna elettronica interattiva, capace di offrire opportunità
di fronte al rischio di isolamento che vivono i ragazzi delle aree marginali.
Questa modalità didattica, sperimentata con successo fra reti di scuole di
Piccoli Comuni in alcuni territori, offre l’opportunità di far accedere alle
informazioni ed alle conoscenze, di praticare formazione a distanza sia per gli
studenti, che per i docenti e gli altri cittadini adulti, di entrare in contatto con
altre comunità scolastiche, nell’ottica della filosofia degli interscambi e dei
gemellaggi, che la stessa Legambiente propone fra le scuole dei Piccoli Comuni
e le scuole delle aree urbane, con il progetto La scuola adotta un comune.9

Un mondo di opportunità:
3.3
il dinamismo culturale
Sono le occasioni di socialità e di inclusione culturale che rendono forte e coesa
una comunità, soprattutto piccola. Due fattori che non solo incidono positivamente
sulla qualità della vita, ma contribuiscono alla nascita di forti sentimenti di
appartenenza, concorrendo così a tenere più salda la comunità e a renderla
dunque meno esposta a fenomeni di migrazione e abbandono. Questo processo
di radicamento territoriale e culturale può dare un contributo significativo anche
alla capacità e alla consapevolezza di difendere la propria storia e la propria
identità, fatta di territori, paesaggi, natura e borghi storici, dunque alla difesa
dell’ambiente. A eccezione dei comuni con forte disagio insediativo, nei Piccoli
Comuni si vive bene. O almeno questo è ciò che affermano gli abitanti, secondo
una ricerca pubblicata da Cittalia a fine 2007. Nei Piccoli Comuni, infatti, la
qualità della vita ottiene valutazioni significativamente migliori rispetto alla media
nazionale: con un punteggio di 6,68, (su scala da 1 a 10), supera di oltre mezzo
punto l’indice relativo all’intero Paese, che invece si attesta su 6,16. A spostare
verso l’alto la percezione degli abitanti sono le valutazioni relative alla qualità
ambientale, alla viabilità, alla sicurezza e all’ordine pubblico, mentre rispetto
7 La scuola nei territori diffusi, in Appunti di viaggio dai territori della scuola piemontese, a
cura di P. D’Elia, C. Galletto, V: Bonardo, F. Gramegna
8 Dossier tagli 2009, Legambiente, in Formazione Ambiente, settembre/dicembre 2009
9 www.lascuoladottauncomune.it

dossier in bassa.indb 30 6-05-2010 8:53:41


31

alla vitalità culturale i Piccoli Comuni ottengono


un punteggio di 4,99 ben al di sotto della media
nazionale di 5,64. Analizzando alcuni parametri
che misurano le occasioni culturali che un
territorio è in grado di offrire, come l’accesso a
cinema e teatri, o alle università, cosi
come la spesa per l’istruzione e per le
politiche di welfare, o per i beni culturali, emerge un
quadro che restituisce la misura della qualità culturale
del territorio stesso. Un valore che concorre a tenere
salda una comunità, a fare sentire un territorio
ricco, vivo e vivace, e a legare una comunità alla
qualità della vita nel proprio territorio. Per questo
ai fenomeni più strettamente culturali è importante
legare altri parametri, che permettono di misurare le
occasioni di collegamento al resto del mondo di un
territorio, come la distanza dalla rete ferroviaria, o
dall’autostrada, e l’accesso alla banda larga. Il 67,78%
dei Piccoli Comuni ha un accesso alla rete autostradale
entro 20 km, cosi come il 65,12% ha accesso alla
rete ferroviaria. È indicativo come il restante 34,88%
che resta isolato rispetto alla rete ferroviaria, sia
composto da una media che vede i comuni sotto i 1000
abitanti al 40% e quelli tra i 2500 e i 5000 scendere
al 29%. La stessa cosa accade per l’autostrada,
che dista una media di oltre 20 km nel 39% dei
comuni sotto i 1000 abitanti ma solo nel 24% di
quelli che hanno una popolazione anche di poco più
numerosa. Geograficamente risultano più lontane
dalle rotaie le zone alpine in generale e al nord il
Trentino, seguono i comuni della dorsale montana,
in particolare quelli situati lungo l’Appennino ligure
emiliano e umbro marchigiano. Scarso accesso alla
rete ferroviaria accomuna anche i Piccoli Comuni di
Molise e Basilicata, che insieme a centri minori della
Sardegna sono quelli con meno rotaie. Al contrario
le autostrade sono infrastrutturate bene al nord,
dove raggiungono tutta la Liguria, il basso Piemonte,
la Valle dell’Adige e il Fiuli Venezia Giulia, mentre al
centro sud e nell’Abruzzo, Campania interna e fasce
tirreniche di Calabria e Sicilia presentano note criticità. Sul fronte delle autostrade
telematiche, secondo l’Osservatorio Banda Larga Between, nel 2008 era coperta
dalla banda larga di prima generazione il 94% della popolazione, con punte di
eccellenza in Val d’Aosta (100%) e con una coda di ritardo in Molise (l 72%).
Solo nei Piccoli Comuni si accentua il digital divide: sono ben il 20% i comuni che
non godono di una copertura superiore al 5% e sono tutti piccoli e ben il 30%

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quelli che non la raggiungono al 95%, mentre per le altre classi demografiche
rappresentano solo il 12% dei casi. Allo stesso modo la diffusione di servizi di base,
come gli sportelli postali e bancari e la presenza di un presidio dei carabinieri,
danno la misura della presenza di servizi essenziali che rendano soddisfacente e
appetibile la qualità della vita di un centro che ambisce a non perdere la propria
popolazione. Pur essendo presenti nei PC solo il 4% degli ospedali, l’accessibilità
alle strutture ospedaliere non è problematica: solo gli abitanti del 13% dei Piccoli
Comuni hanno una struttura ospedaliera lontana più di 20 km. Unica eccezione
per Linosa, Lampedusa e Ustica che devono percorrere più di 60 km. Anche per i
consultori, che restano dei presidi sociosanitari che coprono il 99% del territorio
nazionale, i Piccoli Comuni hanno la situazione più svantaggiata e sono gli unici a
dovere percorrere più di 20 km per raggiungere una struttura, ma questo accade
solo in 55 comuni in tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda gli sportelli
bancari, sono i Piccoli Comuni sotto i 2000 abitanti a vivere uno svantaggio: mentre
qui sono presenti solo nel 43% dei casi, nella fascia superiore di popolazione
raggiungono il 90% dei comuni. Cosi la rete degli uffici postali copre solo il 27%
dei comuni con meno di 2000 abitanti, mentre nella categoria superiore sono
presenti nel 50% dei comuni. Un dato che cresce esponenzialmente con la crescita
demografica. A dimostrazione di come la rarefazione dei servizi renda difficile la vita
soprattutto nei comuni più piccoli, incentivandone ulteriormente lo spopolamento.
Volendo invece analizzare l’offerta culturale guardando a cinema e teatri, o alle
occasioni di formazione, si rintraccia una situazione più svantaggiata rispetto alla
media nazionale, ma interessante e dinamica. Il 49% dei Piccoli Comuni ha un
cinema entro 10 km, ma a ben vedere, solo il 13,47% ne ha uno entro 5 km,
una percentuale che si abbassa al 7,64 per i comuni sotto i 1000 abitanti. C’è da
segnalare che se il 90% può contare su un cinema, resta un 10% sguarnito che si
concentra per lo più nelle aree più interne della Sardegna, e a macchia di leopardo
lungo l’Appennino e le profonde valli alpine. Nel quadro generale di crisi del teatro,
anche l’offerta culturale disponibile per i Piccoli Comuni è molto limitata: solo l’ 1,98%
dei Piccoli Comuni ha un teatro a meno di 5 km di distanza, mentre si alza subito
al 43, 32% la percentuale dei centri che hanno un teatro entro 20 km di distanza.
Questo vuol dire, però, che oltre la metà dei Piccoli Comuni è potenzialmente
esclusa dalla possibilità di frequentare con regolarità una proposta teatrale. E per
quanto riguarda la diffusione del vasto patrimonio culturale qui custodito, basti
pensare che se solo il 12% dei musei statali si trova in un piccolo comune, oltre un
terzo delle strutture museali non statali - soprattutto pinacoteche, siti archeologici
e gallerie non statali - sono ospitate da Piccoli Comuni, segno della vitalità e della
ricchezza culturale di questi territori. Infatti su 4340 musei di questo tipo ben il 35%
risiedono in Piccoli Comuni, ovvero 1519 percorsi museali che offrono ai visitatori
la ricchezza storico culturale dei Piccoli Comuni. Va detto, comunque, che la metà
dei visitatori si concentra nelle città con oltre 250mila abitanti. Infatti su 468 musei
statali solo 60 sono presenti in Piccoli Comuni (di cui 40 sono ad accesso gratuito),
interessando un flusso del 2,5 % di visitatori, visto che la parte del leone la fanno
solo i comuni con oltre 600mila abitanti in cui si concentra il 70% dei visitatori.

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Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica

Con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,
Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Ministero per la Pubblica Amministrazione e
l’Innovazione, Ministero del Turismo, Corpo Forestale dello Stato e Protezione Civile.

Comitato promotore: Legambiente, Anci, Ancim, Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome,
Uncem, Upi, Acli, Aiab, Alleanza delle Alpi, Ana, Arci, Arci Caccia, Archeoclub,
Arco Latino, Banca Etica, Banche del Credito Cooperativo, Cai, Cia, Cipra, CittadinanzAttiva, Civita, Cna, Cngei,
Coldiretti, CoMoDo, Compagnia delle Opere, Confagricoltura, Confartigianato,
Confesercenti, Cts, Fai, Federculture, Federfarma, Federparchi, Fiab, Focsiv, Forum Terzo Settore, Lega Pesca, Libera,
Lipu, Marevivo, Pro Natura, Promocamp, Rete dei Cammini, Symbola, Slow Food,
Touring Club, Uisp, Unpli.

Res tipica: Ass. Naz. del Castagno, Ass. Naz. Città delle Ciliegie, Associazione Borghi Autentici d’Italia, Ass. Città del
Pane, Ass. Città Italiane Patrimonio Mondiale, Ass. Italiana Paesi Dipinti, Ass. Italiana Città della Ceramica,
Ass. Naz. Città del Tartufo, Ass. Naz. Città dell’Olio, Ass. Naz. Città della Nocciola, Ass. Naz. Formaggi Sotto il Cielo,
Ass. Nazionale Città del Vino, Castiglioni d’Italia, Cittaslow, Città del Bio, Città del Gelato artigianale,
Città dell’Infiorata, Città della Lenticchia, Città del Miele, Città dei Sapori, Città della Terra Cruda,
Club dei Distretti Industriali, Club dei Borghi più Belli d’Italia, Federazione dei Distretti Italiani,
Movimento Turismo del Vino, Paesi Bandiera Arancione.

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