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FABIO FROSINI

LA VITA FILOSOFICA E LO STATUTO DELLA FILOSOFIA


IN GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA

Vita e filosofia, ovvero filosofia e religione


Qual il rapporto tra vita filosofica e statuto della filosofia nel pensiero di
Giovanni Pico della Mirandola? O detto altrimenti: quale rapporto intercorre, nella
mente di Pico, tra la delineazione della figura del filosofo e il modo in cui vengono pensati la natura, il compito e la destinazione della filosofia? Al tentativo di dare una risposta a questa domanda dedicato il presente scritto, con la precisazione che non dellintera produzione del filosofo mi occuper, ma esclusivamente del periodo che intercorre tra lavvio in grande stile dellattivit filosofica del Nostro, con la lettera a
Ermolao Barbaro cosiddetta De genere dicendi philosophorum, del 5 giugno 1485, passando per il Commento sopra una canzona de amore, scritto probabilmente tra il gennaio e lottobre del 14861, fino allOratio nella sua redazione conclusiva, tra la fine del
1486 e linizio del 14872, con alcuni riferimenti al posteriore (1489)3 Heptaplus.
Nellanno e mezzo che intercorre tra lestate del 1485 e la fine del 1487 Pico sviluppa
infatti un articolato e compatto discorso sopra la filosofia, e nella Oratio addirittura vorrebbe proporre allintero mondo dei dotti del proprio tempo, convocato a Roma, la
figura stessa del filosofo come pi pura ripresa della totipotenzialit nella quale si riassume il dono di Dio ad Adamo al momento della creazione4, ma per questa precisa
ragione vorrebbe presentare la vita filosofica come esemplare di ogni vita, della vita
delluomo che aspiri alla salvezza della propria anima.

Cfr. E. GARIN, nota al testo, in G. PICO, De hominis dignitate. Heptaplus. De ente et uno e scritti vari, a
cura di E. Garin, Vallecchi, Firenze 1942, p. 11; A. DE PACE, La scepsi, il sapere e lanima. Dissonanze
nella cerchia laurenziana, LED, Milano 2002, pp. 230-1n.
2
Cfr. P. C. BORI, Pluralit delle vie. Alle origini del Discorso sulla dignit umana di Pico della Mirandola,
Feltrinelli, Milano 2000, p. 32; e F. BAUSI, Nec rhetor neque philosophus. Fonti, lingua e stile nelle prime
opere latine di Giovanni Pico della Mirandola (1484-87), Olschki, Firenze 1996, p. 111.
3
Cfr. GARIN, nota al testo, cit., p. 32.
4
Per questa suggestiva lettura della Oratio cfr. S. TOUSSAINT, Dignit delluomo e libert della filosofia,
in La filosofia del Rinascimento, a cura di G. Ernst, Carocci, Roma 2003, pp. 49-55: 51-2. Ringrazio
Stphane Toussaint per aver discusso con me, con pazienza, le prime idee per questo saggio.
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Del resto, come stato suggestivamente ipotizzato5, le vicende della vita privata
del giovane filosofo (sintende, il tentato rapimento, il 10 maggio 1486, quando in
viaggio per Roma per presentare la pubblica disputa con dotti di tutto il mondo, di una
giovane donna sposata) potrebbero non essere rimaste senza un preciso influsso su di
lui, spingendolo, in un vortice di pentimento e di desiderio di pubblico riscatto, in
modo ancora pi convulso che per linnanzi, a insistere sulla centralit e sulla crucialit della filosofia non solo come sapere ma come stile di vita, non solo come esercizio
della ragione ma come missione e vocazione delluomo nella sua interezza, di quello
stesso homo totus di cui, nella lettera al Barbaro, Pico aveva gi detto che veniva trasformato dalla potestas mirabilis delle Sacre Scritture6.
Vanno infatti subito sottolineati due punti, che risulteranno centrali in questo
tentativo di interpretazione. In primo luogo, il tema della centralit della filosofia e
della vita filosofica non sorto dalla disavventura di Arezzo, perch esso gi tutto presente nella lettera al Barbaro, dellanno precedente. Semmai, Pico ne sente maggiormente lurgenza personale, in quanto urgenza di una conversione. Da ci deriva il
secondo punto: lintreccio tra vita e filosofia finisce per tradursi in un discorso metafilosofico che ha per il suo esito nellintreccio organico, strutturale tra filosofia e religione, sotto il primato della seconda. Questo intreccio presente nella Oratio, ma si
afferma con decisione nellHeptaplus. In breve, da un discorso sulla filosofia come
missione, Pico passa a parlare della religione come verit della filosofia, e la vocazione filosofica diventa una vocazione universale, riguardante non pi solo la vita
filosofica contrapposta al mondo multiplo, ingannevole, teatrale della retorica
(secondo lo schema platonico ripreso nella lettera al Barbaro), ma la vita in quanto
tale, nella sua nuda essenzialit. LAdamo della Oratio riassume in un simbolo logicamente incoerente, ma (come tutti i simboli) immaginativamente e filosoficamente
potentissimo, tutti questi livelli: anzitutto egli lo stesso Pico, in quanto ospite della
grande disputa filosofica e desideroso di riscattare pubblicamente la propria immagine (nel significato tecnico di forma o natura, stabilito nella stessa Oratio) dinnanzi
al mondo intero; ma egli anche il filosofo, in quanto, grazie allesercizio della ragione, capace di riattivare la totipotenzialit del primo uomo, ancora immune dal peccato; infine egli luomo in quanto tale, luomo qualsiasi, per il quale la prima preoccupazione la salvezza dellanima, non il sapere; per il quale, dunque, il sapere acquista
s importanza cruciale, ma come veicolo di una immagine delluomo, cio di una
forma di vita.
Questa venatura religiosa del pensiero di Pico, presente fin dalla lettera al
Barbaro ma giunta ad affermarsi solo con lHeptaplus, va peraltro intesa nei suoi giusti
termini. Pico non un apologeta un filosofo, e tale egli rimane anche nei suoi ultimi anni. Ma la sua filosofia (cio la filosofia alla quale egli aspira e che vorrebbe far
pubblicamente trionfare) sempre nelle diversit di accento che via via assume
qualcosa di pi di una professione tra le altre, perch possiede unesemplarit che la

Da BORI, Pluralit delle vie, cit., pp. 11-33.


E. BARBARO-G. PICO DELLA MIRANDOLA, Filosofia o eloquenza?, a cura di F. Bausi, Liguori, Napoli
1998, p. 52.

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pone al centro del mondo come esso dovrebbe essere; e daltra parte la filosofia possiede in lui uno statuto essenzialmente pratico, cio anzitutto una modalit di intervento di carattere etico-politico e religioso nel mondo contemporaneo in vista del grande rinnovamento, ad un tempo filosofico e religioso, che Pico prospettava e di cui si
vedeva banditore e protagonista con lidea della pace universale7.
Questo intreccio tra esemplarit della vita filosofica e carattere pratico della filosofia potr emergere in modo privilegiato prendendo in considerazione la categoria
della volont e la famiglia semantica ad essa legata (dunque il lessico del volere, ma
anche quello del potere e dellagire, e della libert umana). Potr cos venire alla luce
il modo in cui lesercizio della volont in modo cruciale ma anche problematico
sia un gesto di carattere spiccatamente filosofico-religioso, in quanto momento culminante della vita filosofica coincidente con la vita religiosa (ci che Pico nel
Commento chiama estasi)8; sia, al contempo, la riforma del mondo terreno, dunque lesercizio delle virt pratiche, sinonimo di impegno e di lotta nel campo delle opinioni. Ne risulta una singolare ambiguit, dato che la voluntas al contempo una
dimensione attinta solo da pochi eletti (i veri filosofi, e anche da loro solo per alcuni
istanti), e la dimensione fondamentale di apertura alle possibilit opposte (di ascesa o
discesa lungo la scala della natura) e di libera scelta, che presente in ciascun uomo.
Questa ambiguit che si riflette anche nellidea di verit e in quella di filosofia verr
sciolta da Pico nello Heptaplus con il ricorso alla grazia e alla figura di Cristo come
unico vero mediatore tra umano e divino, tra il presente percorso dalla guerra e lorizzonte della pace universale. Ma in tutto il periodo 1485-87, che qui prendiamo in considerazione, lambiguit nel lessico della volont si manifesta in tutta la sua forza9.
In riferimento alla lettera di Pico al Barbaro su filosofia e retorica, tenteremo una
ricostruzione dellidea di filosofia ivi contenuta, mostrando come essa sia essenzialmente un punto di vista assoluto: di contro alla retorica, che si muove nella selva
delle opinioni senza prenderne le distanze, la filosofia conquista della verit, ma al
contempo , come la retorica, un attivo strumento di intervento nel mondo. Ne risulta unambiguit strutturale della filosofia, che al contempo distantissima dalla, e vicinissima alla retorica. Alla luce di questa idea di filosofia acquista senso lantropologia
delineata nella Oratio, dove, spingendo fino ai suoi limiti la concezione delluomo
microcosmo, Pico delinea un modello di uomo-cosmo che incorpora e svolge materialmente quella idea di filosofia nel mondo dei corpi e della sensibilit (uomo imma-

Sullintreccio tra pace filosofica, concordia religiosa e pace politica cfr. E. GARIN, Giovanni Pico della
Mirandola. Vita e dottrina, Le Monnier, Firenze 1937, pp. 72-89; H. DE LUBAC, Pico della Mirandola.
Lalba incompiuta del Rinascimento, trad. it. di G. Colombo e A. DellAsta, Jaca Book, Milano 1977,
capp. III.2 e III.4, pp. 261-79 e 311-32; e ora BORI, Pluralit delle vie, cit., passim.
8
PICO, Commento sopra una canzona de amore di Girolamo Benivieni, III, 4, in PICO, De hominis dignitate.
Heptaplus. De ente et uno e scritti vari, cit. p. 530.
9
Agli occhi di chi, come DE LUBAC, Pico della Mirandola, cit., sostenga il carattere unitario del pensiero di Pico, le differenze tra Oratio ed Heptaplus non appariranno n come contraddizione, n come
evoluzione, ma come complemento (ivi, p. 79), mentre il Commento sembrer unesercitazione,
un esercizio rapido per di pi confinato alla prospettiva platonica (ivi, p. 79).
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gine di Dio). Linsistenza sulla nozione di volont come base della libert umana,
che troviamo nella Oratio, non ha nulla di volontaristico (o esistenzialistico), ma
tutta funzionale a giustificare il grande progetto etico, politico e religioso contenuto
nella Oratio: listituzione di una pace universale poggiante sul riconoscimento delleguale approccio alla medesima verit a partire da premesse differenti, e sulla libera
conversione a Dio. Il concetto di volont pertanto nella Oratio assai complesso, in
quanto comprende in s sia la nozione neoplatonica di volont come necessaria inclinatio mentis ad bonum10, sia quella cristiana del libero arbitrio. Loperazione compiuta in essa da Pico acquista senso alla luce del Commento alla canzone del Benivieni,
in cui egli aveva istituito un nesso stringente tra volont, intelletto e natura angelica,
ma aveva anche presentato questa dimensione come inaccessibile, in linea di principio,
alla sfera dellumanit.

Il punto indivisibile11
Scrive Pico nella lettera al Barbaro del 5 giugno 1485:
Tanta est oratoris munus et philosophi pugnantia, ut pugnare magis invicem
non possint. Nam quod aliud rhetoris officium, quam mentiri, decipere, circunvenire, praestigiari? Est enim vestrum, ut dicitis, posse pro arbitrio in candida
nigrum vertere, in nigra candidum; posse, quaecumque vultis, tollere, abiicere,
amplificare, extenuare dicendo; demum res ipsas magicis quasi, quod vos iactatis, viribus eloquentiae in quam libuerit faciem habitumque transformare, ut
non qualia sunt suopte ingenium, sed qualia volueritis, non fiant quidem, sed,
cum non sint, esse tamen audientibus appareant. Hoc totum estne quicquam
aliud quam merum mendacium, mera impostura, merum praestigium, cum a
natura rei semper vel augendo excedat, vel minuendo deficiat, et fallacem verborum concentum, veluti larvas et simulacra, praetendens, auditorium mentes
blandiendo ludificet? Eritne huic cum philosopho affinitas, cuius studium omne
in cognoscenda et demonstranda ceteris veritate versatur?12.

M. FICINO, Theologia platonica, II, 11, in Marsilii Ficini... Opera, ex Officina Henricpetrina, Basileae
1576 (rist. anast. Bottega dErasmo, Torino 1959), p. 108. La definizione citata da P. O.
KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, Sansoni, Firenze 1953, p. 275. Per il testo critico:
Marsilio FICINO, Platonic Theology, volume I, books I-IV, ed. and transl. J. Hankins, M. J.B. Allen, I
Tatti Renaissance Library, Cambridge (Mass.) London 2001, p. 176.
11
Su quanto segue, in questo capitolo, mi permetto di rinviare al mio Umanesimo e immagine delluomo. Note per un confronto tra Leonardo e Giovanni Pico, in Leonardo e Pico. Analogie, contatti, confronti. Atti
del Convegno di Mirandola, 10 maggio 2003, a cura di F. Frosini, Olschki, Firenze 2005, pp. 173208: 177-96, dove questi temi sono svolti in maggiore dettaglio.
12
G. PICO DELLA MIRANDOLA, lettera a Ermolao Barbaro del 5 giugno 1485, in BARBARO-PICO DELLA
MIRANDOLA, Filosofia o eloquenza?, cit., pp. 40-2.
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In questo passaggio Pico sostiene con ricchezza di argomenti la tesi di una strutturale divaricazione tra verit e parola, e quella di un nesso altrettanto strutturale tra
parola e inganno. La ripresa dellesclusione dei poeti nella Repubblica platonica evidente, ed esplicitamente ricordata con approvazione, e con la precisazione che tale
esclusione dovuta al fatto che larmonia esteriore, o teatrale, turba quella interiore
dellanimo13.
Linterno si contrappone allesterno, la purezza del verbum del philosophus alla
fallace armonia di parole del rhetor-magus. Certo, il fine del filosofo altrettanto nel
conoscere la verit che nel mostrarla agli altri, ma chi sono questi altri? Sono
Ermolao e quelli come lui, non certo il volgo: Vulgo non scripsimus, sed tibi et tui
similibus14. Di pi, il filosofo ha il compito di rivestire di una scorza verbale un po
amarognola il tesoro del proprio pensiero15, affinch non venga profanato da chi
non lo pu intendere, esattamente come facevano gli antichi:
Solent et qui thesauros occultare volunt, si non datur seponere, quisquiliis integere vel ruderibus, ut praetereuntes non deprehendant, nisi quos ipsi dignos eo
munere iudicaverint. Simile philosophorum studium, celare res suas populum, a
quo cum non probari modo, sed nec intelligi illos deceat, non potest non dedecere habere aliquid quae ipsi scribunt theatrale, plausibile, populare, quod
demum multitudinis iudicio accommodare se videatur. Sed vis effingam ideam
sermonis nostri? Ea est ipsissima, quae Silenorum nostri Alcibiadis. Erant enim
horum simulacra hispido ore, tetro et aspernabili, sed intus plena gemmarum,
supellectilis rarae et pretiosae. Ita extrinsecus si aspexeris, feram videas; si introspexeris, numen agnoscas16.
E prosegue distinguendo le parole e i suoni nel senso letterale (dunque parole
risuonanti nella declamazione teatrale), da quelle pi alte parole e pi intimi suoni
(parole e suoni senza suono, mentali) ai quali invita a tornare come a ci che, riposto
nellintimo, davvero nostro: Redeas ad te ipsum, in animi penetralia mentisque
secessus17. Ad te ipsum, vale a dire a ci che davvero conta nella comunicazione della
verit: la ratio interiore, non la oratio esteriore.
Il tema del silenismo che Pico riprende da Platone (Symp., 215A) e che conoscer una straordinaria avventura, passando attraverso Erasmo (Sileni Alcibiadis) e
Bruno (Cena de le ceneri e Spaccio de la bestia trionfante) si muove qui in direzione
quasi esattamente opposta rispetto a quella ora ricordata. Esso infatti premessa, tuttaltro che paradossale, scandalosa o comica, dellattingimento dellunica verit degna
di questo nome: di quella eterna verit che, muta, portiamo gelosamente dentro di noi.

Ivi, p. 50.
Ivi, p. 46.
15
Ivi, p. 49. Questa affermazione torna nel proemio dellHeptaplus (cfr. BAUSI, Nec rhetor neque philosophus, cit., p. 60).
16
PICO, lettera al Barbaro, ed. cit., p. 48.
17
Ivi, p. 48.
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Ma si potrebbe proseguire in questa analisi, perch nella lettera al Barbaro il rivestimento rozzo, triste e spregevole il contrario perch svolge la funzione esattamente contraria del belletto e dellorpello, di cui poco pi avanti si dice che
nasconde quel che trova, mostra quel che porta con s18, riducendo cio le cose a
superficie: a ci che appare. Non dunque solo una filosofia muta, ma anche una filosofia nuda quella di cui Pico fautore: nuda, in quanto priva di abbellimenti: Ob eam
causam nudam se praebet philosophia, undique conspicuam, tota sub oculos, sub iudicium venire gestit: scit se habere unde tota undique placeat. [...] sinceram et inpermixtam se haberi vult19. Come si vede, se la coppia suono/orecchio si dispiega nel
campo aperto della retorica-teatro, quella occhio/giudizio corrisponde a quello chiuso
della filosofia. Il mutismo corrisponde a unopzione precisa per il primato dellocchio
come ci che ci restituisce lessere nelle sue purezza, trasparenza e autenticit. Eppure,
questa immagine panoptica della filosofia il contrario di uno spazio banalmente inteso come chiuso. Il discorso di Pico va colto nella sua complessit, perch locchio,
esattamente come lorecchio, la vista come la parola, sono da lui assunti sistematicamente in duplice senso, letterale e metaforico. Cos, abbiamo una produzione di apparenze da parte della retorica, a cui si oppone, allinterno, il muto dialogo dellanimo
con s stesso, dunque un suono interiore; ma abbiamo anche, allesterno, una dissimulazione delle apparenze (il silenismo) che il contrario del belletto, e che si rispecchia
ed premessa alla purezza dello sguardo disincarnato che contempla da ogni possibile
posizione una filosofia che scit se habere unde tota undique placeat20 (e si ricordi il
precedente undique conspicua); dunque in un esterno depurato di qualsiasi accidentalit (suoni, ornamenti, effetti teatrali). Si configura, in questo giro vertiginoso di
frasi, uno spazio non interiore ma esterno, eppure interiorizzato: uno spazio del puro
vedere, uno spazio geometrico euclideo, verrebbe da dire, nel quale (conclude Pico) la
filosofia stat puncto insectili et individuo21.
Come tradurre questa frase? Garin ponendo laccento sulla rilevanza quasi esistenziale della filosofia la rende con si erge nella sua puntuale indivisibile individualit22 mentre Bausi, pi letteralmente, con consiste in un punto matematico, uno
e indivisibile. A me pare che la traduzione dipenda, tra laltro, da una lettura coerente dellintero passaggio. Quanto precede si gi visto. Nel seguito immediato il filosofo barbaro ammonisce: Quapropter nec ludendum tropis, nec verbis aut nimiis luxuriandum, aut translatis lasciviendum, aut factitiis audendum in re tam seria23.
Insomma il punto insecabile e indivisibile in cui la filosofia si incardina come un
dispositivo panoptico al centro di uno spazio esclusivamente visivo e disinquinato da
ogni senso traslato o fattizio, in un linguaggio, insomma, ricondotto alla purezza del

Ivi, p. 55.
Ivi, p. 54.
20
Ibidem (cors. mio F. F.).
21
Ibidem.
22
Cos in Filosofi italiani del Quattrocento, Le Monnier, Firenze 1942, p. 441, e in Prosatori latini del
Quattrocento, Ricciardi, Milano-Napoli [s.i.d.], p. 819.
23
PICO, lettera al Barbaro, ed. cit., p. 54.
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soliloquio, o della lingua della grazia, che parla ek nos es non, di msou lgou,
smatiko mn, aultrou d hms, graphs ekts, idest ex animo in animum, sine litteris (come si esprimer di l a poco nella Oratio)24, la garanzia del vero, dellautentico. Eliminazione della metafora (come rischio di falsificazione sofistica) e istituzione
di uno spazio significativo trasparente: sono due lati di una stessa mossa filosofica
dispiegata dentro la metaforica ottico-prospettica.
In questo contesto non privo di significato luso del verbo stare: esso spazializza la filosofia, in modo del resto paradossale, in quanto da una parte, almeno secondo il Garin, la fa ergere diritta e salda, dallaltro la raccoglie in un punto che, per
essere indivisibile, privo di dimensione e di conseguenza, rigorosamente parlando,
non solo non pu stare, ma nello spazio senza essere esso stesso spaziale.

La scala verso il cielo


Nella Oratio de hominis dignitate la libert delluomo rappresentata concretamente con immagini tratte dal mondo delle tecniche, solidamente ancorata a pratiche
di trasformazione mondana25: quasi arbitrarius honorariusque plastes et fictor, in
quam malueris tute formam effingas26, se ipsum ipse in omnis carnis faciem, in omnis
creaturae ingenium effingit, fabricat et transformat27. Luomo plasma, foggia liberamente, al pari di un modellatore di creta o di uno scultore, la propria natura, ci che
significa che egli non propriamente nessuna delle forme che di volta in volta assume,
non ha identit n forma (indiscretae opus imaginis28, variae ac multiformis et
desultoriae naturae animal)29 che non sia transitoria, da lui liberamente costruita e
assunta, e da lui altrettanto liberamente congedabile.
In questo modo tutto , si pu dire, disposto sul terreno della pratica. Tuttavia
non si deve pensare che il compito delluomo sia risolto nella dimensione mondana.
Questa non che un primo scenario, unoccasione: la condizione discorsiva dellanima
e la sua disposizione pratico-tecnica non solo non implicano il suo confinamento entro
i termini del mondo delle tecniche e degli istituti storico-sociali come se questi fossero autosufficienti ma al contrario ribaltano tutta la vita dellanima, la sua avventura terrena, sul piano di un compito, di una prova dinnanzi al suo essere a immagine
del Creatore. La vita , essenzialmente, lesser posti necessariamente dinnanzi alla libera scelta tra rigenerazione o degenerazione.

PICO, Discorso sulla dignit delluomo, a cura di F. Bausi, Fondazione Pietro Bembo / Ugo Guanda
Editore, Parma 2003, 244, pp. 122-4.
25
Cfr. A. ILLUMINATI, Del comune. Cronache del general intellect, manifestolibri, Roma 2003, p. 38.
26
PICO, Discorso, ed. cit., 22, p. 10.
27
Ivi, 42, p. 20 (Pico ripete qui ci che legge in sacris Litteris Mosaycis et Christianis).
28
Ivi, 18, pp. 8-10. Cfr. M. J. B. ALLEN, Giovanni Pico, Marsilio Ficino and the Idea of Man, in
Giovanni Pico della Mirandola. Atti del Convegno internazionale di studi nel cinquecentesimo anniversario della morte (1494-1994). Mirandola, 4-8 ottobre 1994, a cura di G. C. Garfagnini, 2 voll.,
Olschki, Firenze 1997, vol. I, pp. 173-96: 177-9.
29
PICO, Discorso, ed. cit., 44, p. 20 (secondo i Caldei).
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Alla luce di questo primato della pratica nel suo necessario nesso con la storia
della salvezza individuale va letto il peculiare microcosmismo della Oratio. Pico sa
bene e lo dir nello Heptaplus di riprendere un tema tradizionale30. Nella patristica la degenerazione e lelevazione delluomo radicate nel suo essere latore di tutti i
semi presenti nel cosmo venivano intese in senso morale, come il dispiegarsi della
storia della salvezza31: il prevalere di una o altra parte presente nelluomo, sintesi di
tutti i semi presenti nel cosmo, era reso possibile dalla mens, presente in nessun altro
animale oltre luomo32, essendo egli creato a immagine e somiglianza di Dio33. Invece
nella Oratio la medianit delluomo (che comunque non viene negata) risulta in qualcosa di invidiabile a tutte le creature astra e ultramundanae mentes34 comprese
perch egli pu elevarsi in superiora quae sunt divina o degenerare in inferiora
quae sunt bruta35 non in virt della mens divina, ma in forza della sua esclusiva, libera volont. Pi precisamente, la libert umana non poggia sulla sua divinit, ma sulla
sua volont, dunque su di un principio interno alluomo inteso nellinterezza della sua
natura. Questa insistenza sul volere, sul nesso strutturale tra libert e volere36, difficilmente equivocabile: cui datum id habere quod optat, id esse quod velit37, nati
sumus conditione, ut id simus quod esse volumus38.
Nella Oratio la divinit delluomo si esprime dunque precipuamente nella volont come facolt infinitamente plasmatrice. Vediamo meglio questo punto. stato giustamente osservato che nella Oratio c una struttura tripartita che si ripete costantemente39: dalla purificazione dalle passioni (filosofia morale), alla contemplazione (filosofia naturale), allunione mistica (teologia). Pico insiste sul fatto che, da qualsiasi prospettiva teorica o religiosa si intraprenda il cammino (tradizione cristiana, ebraica,
pagana, araba, cabalistica, ecc.), il percorso sar il medesimo. Vi dunque una pluralit delle vie, non un accesso privilegiato alla verit40.

Tritum in scholis verbum est, esse hominem, minorem mundum, in quo mixtum ex elementis
corpus et caelestis spiritus et plantarum anima vegetalis et brutorum sensus et ratio et angelica mens
et Dei similitudo consipicitur (G. PICO, Heptaplus, in Id., De hominis dignitate. Heptaplus. De ente et
uno e scritti vari, cit., p. 192). Cfr. C. TRINKAUS, LHeptaplus di Pico della Mirandola, in Giovanni Pico
della Mirandola, cit., vol. I, pp. 104-25: 111.
31
A questa tradizione riconduce il mito iniziale dellOratio W. G. CRAVEN (Pico della Mirandola, trad.
it. di A. Prandi, il Mulino Bologna 1984, pp. 77-8, 97), secondo il quale qui Pico parlerebbe del
comportamento morale delluomo e non della sua natura.
32
Cfr. E. GARIN, La dignitas hominis e la letteratura patristica, in La rinascita, I (1938), n. 4, pp.
105-46: 119-20, 128, 139.
33
Cfr. ivi, pp. 125-7, 130-1.
34
PICO, Discorso, ed. cit., 6, p. 6.
35
Ivi, 23, p. 10.
36
Cfr. ALLEN, Giovanni Pico, Marsilio Ficino and the Idea of Man, cit., p. 174.
37
PICO, Discorso, ed. cit., 24, p. 12.
38
Ivi, 46, p. 20.
39
Cfr. BORI, Pluralit delle vie, cit., pp. 44-53.
40
Cfr. ivi, pp. 89 e 91. Cfr. anche, con ricchezza di argomenti, DE PACE, La scepsi, il sapere e lanima,
cit., cap. II.
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Ma che cos questa verit? Il compito dinnanzi a cui posta la volont, affinch essa sia degna immagine del Creatore, consiste nel passare attraverso le singole
forme scegliendo liberamente di non arrestarsi in nessuna di esse e, transitando attraverso quelle che la congiungono al Signore, unirsi infine a Lui41. La volont investe
luomo intero, e lo conduce verso lunione mistica con Dio. La volont dunque eros,
desiderio, ma un desiderio che non contro il sapere o la verit, precisamente passione di verit42. Il contenuto della volont la verit.
La conclusione del percorso di elevazione verso Dio nellOratio rinvia alla mistica dionisiana: se luomo, nulla creaturarum sorte contentus, in unitatis centrum suae
se receperit, unus cum Deo spiritus factus, in solitaria Patris caligine, qui est super
omnia constitutus omnibus antestabit43. Si noti: super omnia, angeli compresi. Nella
stessa Oratio vi anche un riferimento al ruolo di Cristo come mediatore (descendat
Rex gloriae [...] cum Patre veniens)44. Questo riferimento, annunciato gi nel
Commento sopra una canzona de amore, diverr centrale per solo a partire
dallHeptaplus45. Fino alla Oratio domina il primato dellaccesso mistico al divino, che
del resto non contrasta affatto con la struttura raziocinante dellanima, perch si istituisce precisamente sopra la differenza infinita tra Dio e uomo, tra mens e anima.
Limmagine che Pico utilizza a proposito dellestasi mistica il raccogliersi delluomo
in centrum unitatis suae riprende non casualmente la metaforica geometrica presente nella lettera al Barbaro: la filosofia un rientrare in s stessi raccogliendosi in un
punto indivisibile privo di dimensioni, in tal modo restaurando la totipotenzialit del
Primo Uomo antecedente la caduta nel peccato. La solitaria Patris caligo come
quella dello horrendum antrum, in quo dixit Heraclitus latitare veritatem46 della lettera al Barbaro contiene la totalit delle forme, ma ci che mette tutto in discussione, annullando il finito tanto nella sua ricerca discorsiva della verit, quanto nella
sua strutturale peccaminosit:
Quod cum per artem sermocinalem sive rationariam erimus consequuti [scil. la
capacit di percorrere i gradini della scala], iam Cherubico spiritu animati, per
scalarum idest naturae gradus philosophantes, a centro ad centrum omnia pervadentes, nunc unum quasi Osyrim in multitudinem vi titanica discerpentes

Giustamente DE LUBAC, Pico della Mirandola, cit., p. 123, sottolinea che la libert umana sta nello
scegliere il proprio destino, non nellinventarlo al modo dello Zarathustra nietzscheano: Per
sovrana che possa essere, questa libert consiste interamente nel potere di modellare se stessa con la
scelta del bene o del male, cio con il riconoscimento o con il rifiuto di un ordine oggettivo, agendo
secondo la legge divina o ribellandosi contro di essa.
42
BORI, Pluralit delle vie, cit., p. 40.
43
PICO, Discorso, ed. cit., 30, p. 12 (e cfr. BAUSI, Nec rhetor neque philosophus, cit., pp. 120-1).
44
PICO, Discorso, ed. cit., 96, p. 42.
45
Su ci cfr. DE PACE, La scepsi, il sapere e lanima, cit., p. 241 (ma anche ivi, pp. 131-2n. e 133-4n.)
e CRAVEN, Pico della Mirandola, cit., p. 165. Si noti tuttavia che il passo manca (come nota DE PACE,
p. 241) nella prima redazione dellOratio trovata e riprodotta da E. GARIN in La cultura filosofica del
Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, Sansoni, Firenze 1961, p. 233.
46
PICO, lettera al Barbaro, ed. cit., p. 52.
41

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FABIO FROSINI

descendemus, nunc multitudinem quasi Osyridis membra in unum vi Phebea


colligentes ascendemus, donec, in sinu Patris qui super scalas est tandem
quiescentes, theologica foelicitate consumabimur47.
Il passaggio a centro ad centrum una circolarit nella quale il finito con le sue
strutturali casualit e imperfezione viene consumato, annientato nella presenza del
Padre. Ci che davvero conta, dunque la natura geometrica del percorso attraverso
le forme. Esso ha una direzione precisa: non dominio orizzontale sul creato (come
invece piuttosto in Ficino, stante la medianit dellanima)48, ma neanche una flnerie o un percorso la cui vanit si mostrerebbe al momento di gettarsi alle spalle la scala
del sapere. Percorrere ascensionalmente tutte le forme della natura indispensabile
affinch, purificandoci, si diventi capaci di quel fulgor veritatis che, non prodotto da
noi, colpisce solo chi abbia saputo adeguatamente preparare la propria mens ad accoglierlo49.
2. Limmagine della scala, che Pico utilizza per illustrare il processo triadico di
purificazione e innalzamento dellanima, tratto da Gen., 28, 10-12: Giacobbe, addormentatosi, prese una pietra, se la pose come guanciale e si coric [...]. Fece un sogno:
una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Quod si hoc idem nobis angelicam affectantibus vitam factitandum est, queso, quis Dominis scalas vel sordidato pede, vel male
mundis manibus attinget?50. Il gioco di parole tra affectantibus e factitandum ribadisce il nesso tra la dimensione tecnico-pratica e la purificazione verso lattingimento
della (e annientamento nella) Divinit, ma anche il carattere necessario dellascesa
verso Dio. Tocchiamo qui un punto problematico della Oratio. In essa infatti linsistenza sul lessico del volere non istituisce una volont vuota, ma, come si detto, fondamento del legame strutturale tra uomo e Dio. Tuttavia luomo libero di peccare,

PICO, Discorso, ed. cit., 82, pp. 34-6.


Cfr. KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, cit., pp. 114-8 (con riferimento ai libri XIII
e XIV della Theologia platonica), e ora BORI, Pluralit delle vie, cit., pp. 37-8.
49
DE PACE, op. cit., pp. 22-3, 111-59, valorizza il Contra Academicos di Agostino come fonte di Pico
(cfr. PICO, Discorso, ed. cit., 195, p. 92, e 202, pp. 96-8). Da tale opera il Mirandolano avrebbe
tratto la concezione della discussione e dellaccesso plurale alla verit, solamente nella e dalla quale
pu scaturire il veritatis fulgor. Questo, presente nel Contra Academicos ed esplicitamente riferito
da Pico alla Settima lettera di Platone (PICO, Discorso, ed. cit., 192, p. 90), destinato a lasciarsi alle
spalle la molteplicit delle opinioni, in cui si rifrange, scomponendosi, la verit, facendo risaltare scetticamente la limitatezza della ratio e la sua incapacit di attingere il vero (cfr. DE PACE, op. cit., pp.
152-7). Ne risulta unoriginale combinazione di razionalismo scettico e di misticismo, che bene spiega linsistenza di Pico sulla necessit di percorrere tutte le forme del sapere. Per vie diverse, alla stessa
conclusione era giunto Garin, quando notava che lamor intellectualis, che ci conduce verso la pax unifica in Dio, non un appello a una forma della sensibilit e rinuncia alla ragione, nel comodo rifugio
dellimmediata fede dei semplici; la conclusione pi che razionale di un processo dialettico, al cui
termine non si rinnega, ma si potenzia quellesigenza di gnosi che anima tutta la dottrina del filosofo (GARIN, Giovanni Pico della Mirandola, cit., p. 121).
50
PICO, Discorso, ed. cit., 75, p. 30.
47
48

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ACCADEMIA XIV (2012)

possiede un arbitrium che lo pu condurre a degenerare e abbrutirsi. Il cammino lungo


la scala della natura dunque ad un tempo, e indissolubilmente, necessario e per libero arbitrio, nel senso che luomo deve per libera scelta redimersi. Solo in questo caso la
volont passione di verit.
Questa sovrapposizione tra volont e arbitrio nella Oratio volutamente tenuta
nascosta, e non a caso, dato che serve a tenere sullo sfondo il dislivello, sul quale per
il testo costruito, tra il primo Adamo precedente il peccato e luomo attuale, luomo
a cui Pico si rivolge, che in primo luogo il filosofo, ma potenzialmente ogni uomo;
e quindi serve a mettere la sordina anche al dislivello tra il filosofo e luomo comune,
tra chi per la propria scelta di vita realizza nella pratica quotidiana la purificazione del
volere fino a essere capace (nel senso letterale) del veritatis fulgor, e chi invece ad
ogni momento preso nella morsa dellalternativa tra passioni bestiali e passione celeste,
tra le due vie che arbitrariamente pu imboccare.
La Oratio contiene infatti, subito dopo la menzione della scala di Giacobbe, un
inserto sulla pace universale che verr apportata dallopera congiunta della filosofia
(secondo gradino) e della teologia (terzo gradino)51. Questo inserto stato probabilmente aggiunto dopo la lettera del 12 novembre 1486 a Girolamo Benivieni, in cui
Pico aveva scritto di essere stato molto colpito, durante la stesura della Oratio, dalla
lettura di queste parole del Vangelo di Giovanni (14, 27): Pacem meam do vobis,
pacem relinquo vobis. Le sue parole a questo proposito restituiscono un clima di
effervescenza intellettuale, morale e spirituale che investe immediatamente il testo e la
struttura della Oratio52: Illico subita quadam animi concitatione de pace quaedam ad
philosophie laudes facentia tanta celeritate dictavi, ut notarii manum precurrerem
saepe et invertirem53. La riforma di cui la Oratio banditrice ha dunque natura e
ambizioni politico-religiose, non vede il proprio significato confinato a una discussione tra dotti, sia pure capace di segnare un passaggio depoca. Ecco dunque la necessit di investire al contempo il filosofo, capace di discorrere lungo la scala della natura
con le armi della ragione discorsiva, per il quale la volont segue lintelletto54, e luomo
comune, desideroso di redimersi e capace perci di fare buon uso del proprio libero
arbitrio. Del resto, il dislivello tra filosofo e uomo Pico non lo aveva forse drammaticamente vissuto in prima persona nellincidente di Arezzo?55.

Ivi, ed. cit., 87-97, pp. 38-44.


Cfr. BORI, Pluralit delle vie, cit., pp. 25-28, 32, 77-81; e DE PACE, La scepsi, il sapere e lanima, cit.,
pp. 131-4.
53
PICO, lettera a G. Benivieni del 12 novembre 1486, in L. DOREZ, Lettres indites de Jean Pic de la
Mirandole, in Giornale storico della letteratura italiana, XXV (1895), p. 358.
54
In questo senso Pico si era gi espresso nel Commento, Commento particulare, Stanza sesta, settima
e ottava, ed. cit., pp. 566-7. Ma su ci si veda infra, cap. seguente.
55
Non era mancato chi aveva preso in giro Pico per la sua disavventura. GARIN (La cultura filosofica
del Rinascimento italiano, cit., p. 262n.) cita il seguente passaggio da una lettera di Alessandro Cortese:
Quandoquidem philosophi ita insaniunt.
51
52

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FABIO FROSINI

Ciascun uomo, in quanto uomo, se ipsum ipse in omnis carnis faciem, in


omnis creaturae ingenium effingit, fabricat et transformat56. Esattamente da questa
sua natura discende il compito che gli assegnato: di impiegare liberamente le proprie doti (quasi arbitrarius honorariusque plastes et fictor)57 nella ricerca del vero:
Sed quorsum haec? Ut intelligamus (postquam hac nati sumus conditione, ut id
simus quod esse volumus) curare hoc potissimum debere nos, ut illud quidem
in nos non dicatur, cum in honore essemus non cognovisse similes factos brutis
et iumentis insipientibus, sed illud potius Asaph prophetae: Dii estis et filii
Excelsi omnes; ne, abutentes indulgentissima Patris liberalitate, quam dedit
ille liberam optionem e salutari noxiam faciamus nobis. Invadat animum sacra
quaedam et Iunionia ambitio, ut mediocribus non contenti anhelemus ad
summa, adque illa (quando possumus si volumus) consequenda totis viribus enitamur. Dedignemur terrestria, caelestia contemnamus, et, quicquid mundi est
denique posthabentes, ultramundanam curiam eminentissimae divinitati proximam advolemus. Ibi, ut sacra tradunt mysteria, Seraphin, Cherubin et Throni
primas possident; horum nos, iam cedere nescii et secundarum impatientes, et
dignitatem et gloriam emulemur. Erimus illis, cum voluerimus, nihilo inferiores58.
Si noti che la libert e la volont si identificano, e che tale identificazione fonda
e giustifica il preciso dovere (hoc potissimum debere), alluomo assegnato, di assomigliarsi il pi possibile a Dio, di cui immagine. La libert-volont pertanto lestrinsecazione della natura divina delluomo e, cos, lattuazione piena della sua natura peculiare. lidentit di libert e volont che istituisce il percorso che luomo deve
compiere per poter essere veramente s stesso. Ora, nella stessa identit di libert e
volont implicita la doppia natura di questo percorso: esso ad un tempo necessario
e per libero arbitrio: necessario, in quanto la voluntas desiderio di assomigliarsi a
Dio, una forma di passione, di eros; ma per libero arbitrio, in quanto luomo pu
volere entrambe le strade, verso lalto o verso il basso. Dio dice ad Adamo di non avergli assegnato nec certam sedem, nec propriam faciem, nec munus ullum peculiare
affinch quam sedem, quam faciem, quae munera tute optaveris, ea pro voto, pro tua
sententia habeas et possideas59: come si vede, il desiderio (pro voto) e la deliberazione (pro sententia) vengono posti uno accanto allaltro, e reciprocamente assimilati nel
movimento della libera decisione (tute optaveris).
La struttura del volere che qui si presenta non n platonica, n neoplatonica.
Per Ficino, che pure salva il libero arbitrio contro il fato astrologico60, la volont sem-

PICO, Discorso, ed. cit., 42, p. 20.


Ivi, 22, p. 10.
58
Ivi, 45-50, pp. 20-2.
59
Ivi, 18, p. 10.
60
Cfr. M. FICINO, De vita libri tres, III, 25, in Opera, cit., vol. I, p. 569. Del resto il problema del determinismo astrale al centro degli opuscoli astrologici di Ficino.
56
57

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ACCADEMIA XIV (2012)

pre conforme allintelletto. Quando ci non accada, non di volont libera si dovr parlare ma di appetito irrazionale non libero61. Ogni volere umano [...] essenzialmente
volont verso Dio e questo il pensiero sempre ripetuto dal Ficino a cui tutti gli altri
momenti della teoria della volont sono subordinati62. Invece Pico nella Oratio insiste
su di una radice unitaria della bona e della mala voluntas, radice unitaria che larbitrio e che si identifica con la libert delluomo in quanto libert di fallire alla propria
stessa libert-volont: libert di non seguire la propria natura, lessere a immagine di
Dio, libert di seguire la propria natura in quanto capacit di decidere in modo indipendente dalla volont divina, allontanandosi da Dio e perdendo la libert col diventare schiavo delle passioni.
Ora, pare che il punto di riferimento per questa combinazione di neoplatonismo
e cristianesimo sia Agostino, da Pico ben conosciuto e apprezzato63. Nel De libero arbitrio tutto lessere umano viene radicato nella voluntas64, che essenzialmente, come in
Pico, uoluntas, qua adpetimus recte honesteque uiuere et ad summam sapientiam
pervenire65. Ma la libert delluomo dinnanzi a Dio, spiegazione dellorigine del male,
implica che in uoluntate nostra esse constitutum, ut hoc vel fruamur uel careamus
tanto et tam uero bono66. La negazione dellamore della sapienza nella stessa volont, che pertanto identificata col libero arbitrio, cio con la possibilit di peccare e
commettere il male: nulla res alia mentem cupiditatis comitem facit quam propria
voluntas et liberum arbitrium67. Accanto alla bona voluntas, come altra forma della
stessa libert umana, c la peruersa o inproba uoluntas, che omnium malorum
causa est68, non assegnata da Dio alle creature ma da esse liberamente scelta69.

Cfr. KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, cit., pp. 276-8.


Ivi, p. 281. E sul rapporto tra volont e intelletto cfr. ivi, pp. 291-6.
63
Cfr. P. KIBRE, The Library of Pico della Mirandola, Columbia University Press, New York 1936,
p. 62: Of the Latin Church Fathers, Augustine, bishop of Hippo, was the most prominently represented [in Picos library scil.]. Pico also accorded him the greatest consideration in the frequency with
which he cited his writings. Su Agostino come snodo storico nella problematica del volere e della
libert del volere, cfr. la voce Wille in Historisches Wrterbuch der Philosophie, hrsg. v. J. Ritter, K.
Grnder und G. Gabel, Bd. 12, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2004, coll. 763-96:
767-8.
64
A. AGOSTINO, De libero arbitrio, I, XII, 25; ed. a cura di F. De Capitani, Vita e Pensiero, Milano
1987, p. 270. Cfr. anche Confessiones, VII, III, 5: Subleuabat enim me in lucem tuam, quod tam sciebam me habere uoluntatem quam me uiuere (texte tabli et traduit par P. de Labriolle, Les Belles
Lettres, Paris 1947, p. 149).
65
AGOSTINO, De libero arbitrio, ed. cit., p. 270.
66
Ivi, I, XII, 26, ed. cit., p. 270.
67
Ivi, I, X, 21, ed. cit., p. 266.
68
Ivi, II, XIV, 37, ed. cit., p. 342; e III, XVII, 48, ed. cit., p. 432.
69
Qui in me hoc posuit et inseuit mihi plantarium amaritudinis, cum totus fierem a dulcissimo deo
meo? Si diabolus auctor, unde ipse diabolus? Quod si et ipse peruersa uoluntate ex bono angelo diabolus factus est, unde et in ipso uoluntas mala, qua diabolus fieret, quando totus angelus a conditione optimo factus esset? (Agostino, Confessiones, VII, III, 5, ed. cit., p. 149).
61
62

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FABIO FROSINI

Solo tenendo conto della fusione, realizzata da Agostino, di tutto il lessico neoplatonico e stoico della deliberazione e della libert in ununica radice, la voluntas
appunto, e della riformulazione della libert umana alla luce della priorit del suo rapporto con la grazia divina70, possibile intendere la peculiare tessitura concettuale
riproposta da Pico nella Oratio. Qui la volont libera quella che, di volta in volta,
permette ad Adamo di scegliere arbitrariamente la propria forma e di abbandonarla,
di ascendere o discendere (prima del peccato), quella che permette alluomo attuale di
purificarsi e redimersi o di abbandonarsi alle passioni e alla guerra, quella infine che
rende possibile al filosofo di desiderare la verit, senza che tra questi livelli vi sia una
differenza apprezzabile. In questa luce Pico pu presentare la vita filosofica come
modello di vita universalmente valido71, e il proprio pensiero come portatore di una
riforma al contempo filosofica e politico-religiosa di portata universale.

Il lessico del volere


Ho sottolineato il carattere consapevole dellambiguit presente nel lessico della
volont. Infatti nel Commento sopra una canzona de amore, probabilmente di poco precedente la Oratio, la volont viene univocamente equiparata allintelletto e distinta
dalla elezione72. Nel capitolo XII del primo libro Pico, discutendo dellanima del
mondo e delle anime individuali, distingue in esse la parte sensitiva, quella motiva e
quella razionale, ponendo al di sopra dellanima stessa la parte intellettuale e angelica, per la quale luomo si conviene con gli Angeli, come per la parte sensitiva conviene con le bestie. E prosegue: El sommo di questa parte intellettuale chiamano e
Platonici unit della anima, e vogliono essere quella per la quale luomo immediatamente con Dio si congiunge, e quasi con lui convenga73. E pi avanti (II, 9), richia-

Cfr. Ch. H. KAHN, Discovering the Will. From Aristotle to Augustine, in The Question of Eclecticism.
Studies in Later Greek Philosophy, ed. by J. M. Dillon and A. A. Long, University of California Press,
Berkeley and Los Angeles 1988, pp. 234-58: 239-41, 250-1, 255-8; N. W. DEN BOK, Freedom of the
Will. A systematic and biographical sounding of Augustines thought on human willing, in Augustiniana,
XLIV (1994), n. 3-4, pp. 237-70 (dove si distinguono liberum arbitrium e voluntas come, rispettivamente, capacit di scegliere e come complesso di disposizioni e di inclinazioni, distinzione che appare plausibile pi che altro come sottolineatura della mancanza di tenuta logica del pensiero agostiniano); Ch. HORN, Augustinus und die Entstehung des philosophischen Willensbgriffs, in Zeitschrift fr
philosophische Forschung, L (1996), n. 1-2, pp. 113-32: 116-9. Si veda anche laccurata ricostruzione di F. DE CAPITANI, Studio introduttivo, nelled. da lui curata del De libero arbitrio, cit., pp. 15233: 101-11, 183-91, 201-9.
71
PICO (Discorso, ed. cit., 66, p. 26) indica nei Cherubini esemplari della vita contemplativa, cio
della filosofia il modello che luomo deve sopratutto imitare. Cfr. BORI, Pluralit delle vie, cit., p.
45.
72
Sul Commento si veda in generale E. GARIN, Marsilio Ficino, Girolamo Benivieni e Giovanni Pico, in
Giornale critico della filosofia italiana, XXIII (1942), pp. 93-9. Cfr. anche la rigorosa lettura filosofica di S. TOUSSAINT, Les formes de linvisible. Essai sur lineffabilit au Quattrocento, in G. PICO DELLA
MIRANDOLA, Commento, traduit et annot par S. Toussaint, LAge dhomme, Lausanne 1989, pp. 9-69.
73
PICO, Commento, I, 12, ed. cit., p. 479.
70

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mandosi a questo luogo, precisa che viso va inteso in due sensi, corporeo e incorporeo, e che il secondo
quella potenzia dellanima per la quale [...] fu detto da noi avere convenienzia
cogli Angeli. Questa potenzia da tutti e Platonici chiamata viso, n questo viso
corporale altro che una immagine di quello; e Aristotele nella Etica sua e in
molti altri luoghi dice non avere proporzione lo intelletto a lanima che el viso al
corpo [...]; con questo viso vidde Moyse, vidde Paulo, viddono i molti altri eletti la faccia dIddio; e questo quello che e nostri teologi chiamano la cognizione
intellettuale, cognizione intuitiva; con questo viso Johanni Evangelista dice avere
e giusti a vedere el sommo Dio e questa essere tutta la mercede nostra74.
Grazie alla disposizione stessa dei riferimenti, lintelletto assume in Pico il ruolo
di una facolt ad un tempo teoretica e pratica: esso averroisticamente lunit del pensare, ma anche, con Paolo, laccecante cognizione di Dio a cui si trasportati nel
rapimento mistico. Esso perci anche il fine verso cui anela lintera vita, perch la
ricompensa del buon cristiano, ricompensa che durante la vita terrena solo da pochi,
e solo per breve tempo, pu essere ottenuta.
Questa duplice natura dellintelletto viene spiegata poco prima con il ricorso
allidea di desiderio. Pico distingue tre virt cognitive, senso, ragione e intelletto,
a quali conseguono similmente tre gradi di natura desiderativa, che si potranno
chiamare appetito, elezione e volunt. Lappetito segue el senso, la elezione la
ragione, la volunt a lo intelletto. Lappetito negli animali bruti, la elezione
negli uomini e in ogni altra natura che si truovi meza fra gli angeli e noi, la
volunt negli angeli75.
La volont dunque la faccia appetitiva dellintelletto, quellappetito proprio
degli angeli che sol di beni incorporali e spirituali si pasce76, mentre la elezione,
propria della natura razionale delluomo, pu liberamente (per propria elezione)77
scegliere di elevarsi ai beni intellettuali o di degenerare in quelli sensibili. Dunque la
volizione della cosa spirituale e incorporea, conviene che sia o volunt intellettuale e
angelica, o elezione di ragione alla sublimit dello intelletto elevata78. A rigor di termini, dunque, la volont non appartiene alluomo, se non in modo liminare, eccezio-

Ivi, II, 9, ed. cit., pp. 497-8.


PICO, Commento, II, 7, ed. cit., p. 493.
76
Ivi, p. 494. E cfr. ivi, p. 524: [...] e, come quam primum la intelligibile bellezza, che sono le Idee,
descendeva nello intelletto angelico, nasceva nella volunt dello Angelo desiderio di fruire pienamente quella bellezza [...]; cos, quam primum la specie o la immagine di questa bellezza sensibile perviene allocchio, subito nasce nello appetito sensitivo, el quale come di sopra dichiarammo segue la
cognizione del senso cos come la volunt segue la cognizione dello intelletto, nasce, dico, un desiderio di fruire pienamente quella bellezza.
77
Ivi, p. 494.
78
Ibid.
74
75

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FABIO FROSINI

nale ed episodico, in quanto egli sappia angelicarsi. Anzi, in quanto luomo si innalza
alla natura angelica, la sua rimane pur sempre unelezione, una scelta arbitraria.
Dunque la volont non pu propriamente essere detta libera. Libero invece il gesto
arbitrario che precede la volont, e che delimita la sfera dellumano, quel lessico del
volere su cui Pico insiste cos a lungo nella Oratio. Libera la scelta di volere, non
il volere79; e in quanto la volont libera, non pi (o non ancora) volont, ma elezione.
Questo stretto rapporto tra intelletto e volont, che Pico riprende da Ficino80,
subisce per in lui una rilevante modificazione, perch in Ficino assente la brusca
dicotomia tra ragione discorsiva e intelletto intuitivo. Come ha scritto Paul O.
Kristeller, lunione dellanima con Dio non [...] per il Ficino un atto particolare
distinto dalla contemplazione, e si realizza quindi non soltanto nellintuizione di Dio,
ma gi nella conoscenza delle idee81. per ci che Ficino sostiene la possibilit della
conoscenza di Dio, anche se come esperienza riservata a pochi e solo per brevi istanti82. Invece, per Pico, Dio, cio lUno, rimane a rigor di termini inconoscibile. Se ne pu
fare esperienza estatica, ma non lo si pu conoscere.
Nel Commento Pico polemizza a lungo con Ficino, per lo pi proprio su queste
tematiche della conoscibilit di Dio e del rapporto Dio-mondo83. Egli afferma infatti
che Dio non intende, non ha intelletto perch al di sopra dellintelletto, come affermavano contro i platonici odierni (leggi Ficino) Plotino e Dionigi Areopagita84;
e che Egli, a differenza di quanto sostiene Ficino, non crea le anime85, ma un solo effetto perfettissimo, il Verbo o Mens, da cui solo secondariamente deriva lAnima del
mondo, cio la pluralit86; che Egli, inoltre, non neanche bello (come non buono,
giusto ecc.), perch la bellezza include in s qualche imperfezione, cio lo essere com-

Cfr. ivi, II, 24, ed. cit., p. 517: [...] essendo lanima razionale incorporea, non sottoposta al fato,
anzi domina a quello, ma bene sottoposta alla providenzia e serve a quella, il quale servire una vera
libert perch, se la volunt nostra obbedisce alla legge della providenzia, da lei guidata sapientissimamente alla consecuzione del suo desiderato fine, e ogni volta che da questa servit si vuole liberare, si fa di libera veramente serva, e fassi schiava del fato del quale prima era padrona, perch il
deviare dalla legge della providenzia non altro che lasciare la ragione e seguire il senso e lappetito
irrazionale, el quale sottoposto al fato per essere di natura corporeo.
80
Cfr. M. FICINO, Theologia platonica, IX, 4 (Anima libere operatur), X, 8 (Sicut objectum intellectus
est ens ipsum sub ratione veri, ita voluntatis objectum ens ipsum sub ratione boni) e XIV, 3 (Quid
autem quaerit aliud, nisi ut per intellectum sciat omnes, per voluntatem omnibus perfruatur?), risp.
in Opera, cit., pp. 206-11, 236, 310.
81
KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, p. 268, e sulla volont cfr. ivi, pp. 275-8, 281,
289, 291, sul rapporto volont-intelletto ancora ivi, pp. 291-6.
82
Cfr. ivi, pp. 238-43.
83
Cfr. TOUSSAINT, Les formes de linvisible, cit., pp. 53-9, e S. JAYNE, Introduction, in Commentary on a
Canzone of Benivieni by Giovanni Pico della Mirandola, transl. by S. Jayne, Peter Lang Publ., New
York - Bern - Frankfurt am Main 1984, pp. 1-73: 21-43.
84
PICO, Commento, I, 1, ed. cit., p. 462, e cfr. anche ivi, I, 9, ed. cit., p. 471.
85
Cfr. FICINO, Theologia platonica, XVIII, 3 (Animae creantur quotidie), in Opera, cit., pp. 401-4.
86
PICO, Commento, I, 4, ed. cit., pp. 465-6.
79

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ACCADEMIA XIV (2012)

posto in qualche modo87; che Egli, infine, non ama il mondo, come sostiene Ficino88,
perch chi ama ha bisogno nellamato di qualcosa, di cui carente, mentre lamore di
Dio in realt lamore delle creature per Lui89.
precisamente questa radicalit mistica che spinge Pico ad un tempo a confinare lanima nella sfera dianoetica90 e a collocare la volont al di sopra dellanima, nel
luogo in cui essa si apre estaticamente a Dio91. La ragione lintelletto passivo (o possibile, secondo gli aristotelici), che vede limmagine o similitudine delle idee e non
le idee in s stesse92, mentre la filosofia quella attivit che rende la mente umana capace di cogliere la bellezza sensibile come immagine di quella intellettuale93. Per lanima umana non bifronte, non cio in grado di occuparsi al contempo dellimmagine sensibile e dellintelligibile verit, di contemplare le cose superiori senza cessare di reggere e amministrare il corpo94. Per Pico, al contrario, anche qui, che per Ficino,
non v circolo e risalita dal sensibile, ma vi deve essere solo improvviso distacco di
una delle facce dellanima dallaltra95. Ne segue che il suo volgersi verso lalto
nascente dalla libera deliberazione della ragione equivale a morire alla vita activa e al
mondo sensibile96. A questo proposito Pico riprende il tema platonico delle due
morti97, e lo collega alla morte di bacio, che accade quando lanima nel ratto intellettuale tanto alle cose separate si unisce, che dal corpo elevata in tutto labbandona,
come accadde ad Abraam, Isaac, Iacob, Moyse, Aaron, Maria, a Salomone nella sua
Cantica98.
Quel tragitto attraverso le immagini, per lasciarsele tutte alle spalle, che nella
Oratio ciascun essere umano deve percorrere per essere degno del suo essere a immagine di Dio, nel Commento riservato ai pochi, a quei filosofi che muoiono alla vita

Ivi, I, 8, ed. cit., p. 495.


Cfr. FICINO, Theologia platonica, II, 13 (Deus amat, et providet), in Opera, cit., pp. 111-4.
89
PICO, Commento, II, 2, ed. cit., p. 488.
90
Cfr. DE PACE, La scepsi, il sapere e lanima, cit., pp. 233-54.
91
Cfr. PICO, Commento, III, 4, ed. cit., p. 530 a proposito degli Estatici, con riferimento al ratto di
Paolo.
92
Cfr. ivi, Commento particulare, Stanza quarta, ed. cit., pp. 555-6.
93
Cfr. ivi, III, 4, ed. cit., p. 531.
94
Cfr. ibidem, ed. cit., p. 528. Al contrario si esprime FICINO, di cui cfr. El libro dellamore, III, 4, a
cura di S. Niccoli, Olschki, Firenze 1987, pp. 65-6. Su ci cfr. KRISTELLER, Il pensiero filosofico di
Marsilio Ficino, cit., p. 210 e GARIN, Marsilio Ficino, Girolamo Benivieni e Giovanni Pico, cit., p. 96n.
95
F. BACCHELLI, Giovanni Pico e Pierleone da Spoleto. Tra filosofia dellamore e tradizione cabalistica,
Olschki, Firenze 2001, p. 127 (ma si vedano tutte le pp. 126-8). Bacchelli rinvia al libro XII della
Theologia platonica.
96
Cfr. PICO, Commento, Commento particulare, Stanza quarta, ed. cit., pp. 553-4.
97
E. WIND (Amor come dio di morte, in Id., Misteri pagani nel Rinascimento. Nuova edizione riveduta,
trad. it. di P. Bertolucci, Adelphi, Milano 1985, pp. 187-208) indica in MACROBIO, In Somnium
Scipionis, I, xiii, lelaborazione di Phaed., 61E-68A a cui si ispira qui Pico (cfr. ivi, p. 190n.).
98
PICO, Commento, Commento particulare, Stanza quarta, ed. cit., pp. 556-8. Una contestualizzazione della mors osculi in Wind, op. cit., partic. pp. 189-92.
87
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FABIO FROSINI

umana, angelicandosi misticamente nellintelletto agente99. La via erotica al vero e al


bene, che gi in Platone, quasi contraltare alla via dialettica, scioglieva le aporie logiche
di questultima in un coinvolgimento delluomo nella sua interezza100, qui piegata da
Pico, grazie allo stretto nesso tra filosofia ed eros, e tra eros e morte, a una rilettura rigorosamente dualistica: il desiderio limpulso erotico che spinge al vero, ma lautentico
accesso al vero la morte101. Dal punto di vista delluomo in quanto tale, elezione e
volont si escludono reciprocamente. Esse coincidono invece solo nel filosofo che,
morto alla vita activa, piuttosto di uomo fatto angelo102. Lui, come afferma Platone,
tamquam Deum sequi debemus103 perch uomo certamente divino e angelo terrestre104. Egli atto, per la scala di Iacob, in compagnia delli altri contemplativi angeli,
pro arbitrio ad ascendere e descendere105. La scala di Giacobbe, che Pico utilizzer di
l a poco nella Oratio come modello universalmente valido, concretizza qui il destino
solitario del filosofo. In lui lelezione sar divenuta volont, ed per questo che le due
coincidono: larbitrio e la voluntas sono qui e solamente qui una cosa sola106.
Limmagine della scala migrer nella Oratio, ma qui, resa valida erga omnes,
implicher, come si visto, unaltra concezione del nesso tra volont e libert. Qui lintelletto agente unico viene presentato come capace di rappresentare in quanto terreno unico della verit, a cui fanno accedere la filosofia morale e la dialettica il fondamento della pace universale, dunque di una vita activa purificata dalle scorie delle
diversit accidentali introdotte dalla molteplicit degli intelletti possibili, e reintrodotta in un circuito virtuoso guidato dalla filosofia e culminante nella concordia religiosa.
Non a caso, la figura del filosofo viene sdoppiata:
Si recta philosophum ratione omnia discernentem, hunc venereris: caeleste est
animal, non terrenum. Si purum contemplatorem corporis nescium, in penetralia mentis relegatum, hic non terrenum, non caeleste animal: hic augustius est
numen, humana carne circumvestitum107.
La recta ratio con la quale il filosofo considera tutte le cose ne fa un caeleste
animal, cio unintelligenza che perscruta le cose del cielo, i movimenti necessari ed

Cfr. PICO, Commento, Commento particulare, Stanza quarta, ed. cit., pp. 553-4, dove (a p. 554) si
rinvia ai sapienti cabbalisti. Il nesso tra averroismo e mistica molto ben spiegato da B. NARDI, La
mistica averroistica e Pico della Mirandola, 1949, in Id., Saggi sullaristotelismo padovano dal secolo XIV al
XVI, Sansoni, Firenze 1958, pp. 127-46.
100
Cfr. D. GUASTINI, Prima dellestetica. Poetica e filosofia nellantichit, Laterza, Roma-Bari 2003, pp.
51-61.
101
Sul rigoroso misticismo di Pico, e sulla diversit di lettura, rispetto a Ficino, del tema di Eros e
Voluptas, cfr. WIND, Misteri pagani nel Rinascimento, cit., pp. 47-100: 60-5, 78-89.
102
PICO, Commento, III, 2, ed. cit., p. 526.
103
Ivi, Commento particulare, Stanza sesta, settima e ottava, ed. cit., p. 567.
104
Ibidem.
105
Ibidem.
106
Una variante presente nella giuntina del 1519 (G. BENIVIENI, Opere) presenta secondo la sua
volont al posto di pro arbitrio (PICO, Commento, ed. cit., p. 567n.).
107
PICO, Discorso, ed. cit., 39-40, p. 18.
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ACCADEMIA XIV (2012)

eterni delle sfere, mentre propriamente il numen il purus contemplator corporis


nescius. Ma la recta ratio non solo un criterio universale di razionalit e quindi di
verit. Essa trova la propria corrispondenza in re nel caelum orbiculatum: nec caelum orbiculatum corpus, sed recta ratio; nec sequestratio corporis, sed spiritalis intelligentia angelum facit108. La recta ratio dunque criterio soggettivo di razionalit e
ragione universale, e in questa sua duplice, combinata accezione realizza unidea di
razionalit universale, oggettiva, scritta da Dio nelle cose, che la filosofia ha il compito
di far emergere. Pico riprende cos lo orths lgos stoico, ma nella forma cristianizzata
da Agostino, come legge inscritta nella creazione, tendenza presente in tutte le creature
a muoversi, ciascuna a suo modo, verso il Creatore109. Qui si fa avanti lorizzonte pi
ampio, in cui lo stesso filosofo da Pico collocato, orizzonte nel quale il libero arbitrio
permette a ciascun uomo di riscattarsi, intraprendendo il cammino morale e intellettuale di purificazione dalle passioni e di riordino del rapporto tra anima e corpo.
nello spazio volutamente indefinito che congiunge la volont al libero arbitrio,
che Pico pensa di collegare la filosofia al proprio programma di rinnovamento universale della cultura e della vita politica e civile. Il filosofo, in questo quadro, non pi
luomo che muore alla vita pratica e addirittura alla vita terrena, ma il banditore di una
grande riforma intellettuale e morale capace di interessare potenzialmente tutti gli
esseri umani, perch ogni uomo pu redimersi, pu usare la propria libera scelta per
sottomettersi alla volont, per scegliere di volere, cio per riattivare in s il lume dellintelletto agente. In questo senso, Pico pu a buon diritto essere definito un profeta, nel senso precisato da Stphane Toussaint, quando, distinguendolo dal profetismo
di Savonarola (ricevere un lume da dio) e da quello di Ficino (estrarre, evocare la
luce delluniverso e della creazione divina), parla di un profetismo pichiano come un
riedificare le potenze luminose nelluomo110. LOratio lannuncio di un grande progetto di riattivazione delle potenze luminose nelluomo, in ogni singolo uomo.
Una volta caduta, per le note vicende romane, questa peculiarissima, incoercibile tensione e concorrenza tra vita privata, ideale della vita filosofica e destinazione politica, etica, religiosa della filosofia, si scioglier anche lintreccio tra mistica averroistica
e mistica dionisiana, che aveva giustificato e permesso il grande progetto delle
Conclusiones. La dura smentita, con lincriminazione e la fuga, ci restituisce un Pico
che trover ormai solo in Cristo, e nella religione cristiana, il mediatore unico e universale della verit allumanit peccatrice111.

Ivi, 37, p. 16
Sul concetto di recta ratio cfr. la voce in Historisches Wrterbuch der Philosophie, cit., Bd. 8, 1992, coll.
355-60: 355-6.
110
S. TOUSSAINT, Profetare alla fine del Quattrocento, in Studi savonaroliani. Verso il V Centenario, a cura
di G. C. Garfagnini, Sismel Edizioni del Galluzzo, Firenze 1996, pp. 167-81: 181 (ma su Pico cfr.
pp. 176-80). Questo intreccio dinamico tra filosofia e religione ribadito in S. TOUSSAINT,
Humanisme, Renaissance et dialogue religieux. Brves considrations sur Nicolas de Cuse, Marsile Ficin et Jean
Pic de la Mirandole, in Orient-Occident. Racines spirituelles de lEurope, Actes du Colloque de Fribourg,
16-19 novembre 2009, d. M. Delgado et alii, ditions du Cerf, Paris 2013, pp. 278-286.
111
Non mihi, non ipsis rationibus credant, sed Ioanni, sed Paulo, sed Christo ipsi qui dixit: Ego
sum via; ego sum ostium; et qui per me non intrat fur est et latro (PICO, Heptaplus, VI, 7; ed. cit.,
p. 324).
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