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E. Jenni - C. Westermann Dizionario , Ieologico dell Antico Testamento volume primo ay ’ab Padre Marietti =8 °ab PADRE I/_ Il termine *‘ab- « padre » con due radicali (GVG 1,331; BL 450.524) appartiene al semitico comune, al pari degli altri vocaboli di parentela (Cem «madre », —bén «figlio», ah « fra- tello »). Come 'ém « madre » e i propri corrispon- denti in molte lingue @ un’espressione del linguag- gio infantile (L.Kéhler, ZAW 55, 1937, 169-172; id., JSS 1, 1956, 12s.); € quindi errato pensare ad una derivazione da una radice verbale (p.c. —"bh « volete »). . Nalt'ebr. dell’ AT non si hanno derivati dal termine pri- mitivo (astratti, aggettivi, diminutivi, forme particolsri di apostrofe); cir. invece l'accadico abbiitu « paternita » (AHw 6a; CAD A/1,50s.), in genere in senso traslato («comportamento paterno »; abbiita epéiu/ sabatu/aha- 2u = « intercedere »), anche in testi di diritto familiare, p.e. a Nuzi per il conferimento della potesta familiare alla_moglie dopo la morte dell'adottante (P.Koschker, OLZ 35, 1932, 400) Liastratto é aitestato anche in fen.: Iscrizione di Kara- tepe I, 12s. (= KAI nr, 26) « ogni re mi ha persino scelto in paternita (6°br p'n) per la mia giustizia e per la mia saggezza e per 1a bonta del mio cuore » (Friedrich 91.130; KAI 11,40; DISO 3); in altro modo, ma non si- curo, M.Dahood, Bibl 44, 1963, 70.291; HAL 2a: ‘abdr plur. maiestatico. da intendersi in senso singolare anche in Is 14.21 © Sal 109.14 “hd “bwi* sembra derivare dall'ace. abbitta afdzu « inter- cedere » (CAD A/1,178) nel sir. (C-Brockelmann. ZA 17. 1903, 251s; LS la) e come « calco » dell'aram, nel'ebr. di Qumran: 1QS 2.9 “ahé “Abin « interces- sore » (P.Werberg-Moller, VT 3, 1953, 196s.: id., The Manual of Discipline, 1957, 53s.:'E.Y.Kutscher, Tarbiz 33, 1963/64, 125s... II/__La voce ‘ab, con pitt di 1200 attestazioni, sta all" posto nell'elenco dei sostantivi pid fre- quenti, dopo dabar e prima di ‘ir. Nella statistica che segue sono omessi ‘abi usato come interiezione (1Sam 24,12, 2Re 5,13; Giob 34.36) e Pag- giunta dell'edizione Bombergiana in 2Cron 10,14; si tiene conto di ‘abi (w) unito al nome personale Hiram (2Cron 2,12; 4,16); in Lis. manca Gen 46,34. Ebr. sing, plur. totale Gen 198 10 208 Es 10 4 24 Lev 2 3 25, Num 28 37 85 Deut 20 51 a Gios 7 18 35 Giud 44 10 54 1Sam 48 5 $3 2Sam 21 1 28 IRe 64 31 95 2Re 31 38 0 Is 16 5 21 Ger 15 48 63 Ez 3 4 27 Os = 1 I Giona - 1 I Am 1 I 2 Mi I 1 2 138 ab PADRE Ebr. sing totale Zac 2 7 Mal 3 7 Sal 5 19 Giob 6 9 Prov 2B %6 Rut 3 3 Lam 1 2 Est 3 = 3 Dan - 8 8 Esd a rt Neem 1 0 uw 1Gron oo 46 106 2Cron 38 65 123 Aram Dan 4 1 5 Esd - 2 2 AT br. m0 a1 nu aram: 4 3 3 Il/ 1/__ Nel significato fondamentale « padre (fisico dei propri figli)» € gid inclusa la correla- zione con figlio/figlia 0 con i rispettivi plurali: quindi anche nell’ AT, tranne che in alcuni casi dove si ha uso traslato (titolo onorifico, « autore » 9 sim.), il termine non viene mai adoperato senza questa contrapposizione implicita o esplicita. Non si verifica nal AT una riduzione a puro termine di relazione come in parte nella kynyah araba (p.c « padre del deserto » = struzzoy; su “brad di Is 95 vd. st. 3. In quanto termine che esprime una relazione allinterno della famiglia, il sing. nella quasi totaliti dei casi (14/151 & seguito da un genitivo o da un suffisso possessivo: per cid solo tre volte ha larticolo (con valore generico). « Padre » designante il genitore maschile sta in re- lazione complementare con « madre », € cid deter- mina una seconda e meno marcata opposizione all'interno del campo sematico. I due termini ven- gono spesso collegati in serie nominali: la succes- sione padre-madre si deve al ruolo preminente de! padre nella famiglia, organizzata secondo il diritto paterno (G.Quell. ThW V.96lss. = GLNT IX,1154ss.).* - « Padre » € « madre » sono in parallelo tra loro in Sal 109,14, Giob 17,14, 31.18: Prov 1.8: 43: 6,20; 19,26: 23,22; 30.11.17; Mi 7.6: eff. inoltre senza rigida costri- zione formale Ger 16.3, 20,14s., Ez 163.45 con inver- sione degli elementi, determinata in parte dal contenuto. Su 52 serie nominali (elenco in B.Hartmann, Die nomi- nalen Autreihungen in AT, 1953, 7, inoltre Lev 20.9b: Giud 14.6; 1Re 22.53: 2Re 3.13; del Ger 6.21) tre presen- tano la successione madre-padre (Lev 19,3; 20,19; 21.2: sui_motivi di tale inversione cfr. Elliger, HAT 4, 256 n. 5). In alcuni di questi passi si potrebbe in realta sostituire « padre © madre » con « genitori » (Ger 2,24: 28,7: Deut 21,13; Giud 14,2ss.; 1Sam 22,3: 2Sam 19,38; Zac 13.3.3 con jol"déw «che lo hanno generato », Rut 2.11; Est 2.1.7; cfr. LXX e la Bibbia di Zurigo per Est 2,7). Ii plu- rale “Gb6r & usato per « genitori » solo in epoca postvtrt.: cfr. acc. abbii (AHw 7b, raro), il sir. “abahé e il duale arab. “abawdni Nel suo significato primario “ab non viene mai so- stituito da aleun sinonimo. In ug. oltre al pid frequente ab si usa anche ad. adn e bik per indicare il padre. Inoltre ad (in 52 [= SS], 32.43 ad ad par. risp. wm wn © mi mf) sembra essere un vezzexgiativo (efi. Driver, CML 123a. 135a: « dad (dy ]» [« papa »; UT nr. 71, WUS nr. 73; anche Huffmon 130.156), che nell'ambito familiare sostituisce il vocabolo normale, AL vontrario adit « signore, padrone » sostituisce il termine che designa il padre in_discorsi di riguardo (77 [= NK 133: 125 [= 11 K}.44.57.60: A.van Selms, Marriage and Family Life in Ugaritic Literature, 1954, 62.113) di qui Luttavia non consegue che st poss equiparare diret- kamente —deldn con « padre » (contro M.Dahood. CBQ 23. 1961, 463s. per Ger 22,18; 34,5; Prov 27.18: eft. pe. Gen M135 wallora essa disse a suo padre yore... on). Un ek (parti fe) il signi eato primario del verbo (UT ne. 911: WUS nie. 985: ara, hataka « recidere ») non & ancora del tutto chiara (cle E.Utlendorff, JSS 7, 1962. 341: « circumeiser » [« cireon- cisore »k Gray Le improbubile che la rat- dice compaia in Sal $2.7 (A-F-Scharf, VD 38, 1960, 213- 222: Dahood. UIP 58: pi. privativo « unlather » [« ren- dere orfano di padre »). A differenza di “em (Es 22.29 la madre del bue e della pecora: Deut 22,6 uccello madre), “ab non viene mai riferito ad animali. 2/ I termine viene usato in senso pid: ampio in tutta area semitica: da un lato esso si estende a antenati (a) € dall'altro include la paterniti non, sica che si crea con Tadozione o sim. (b) a) Come nell'ide., non esiste alcun termine speci- fico per « nonno », il che potrebbe dipendere da una situazione sociologica: nella grande famiglia il pater familias comanda non solo sui figli, ma an- che sui nipoti e i pronipoti (E.Risch. Museum Helveticum 1, 1944, 115-122). Nell’ AT per designare il nonno paterno & sufliciente il semiplice “db (Gen 28,13 Giacobbe-Abramo, 2Sam 9.7 & 16.3 Meri-Baal-Saul), mentre il nonno materno viene detio “bi fmm'ka/« padre di tua madre » (Gen 28.2 Gia- cobbe-Betuel). In ace. si trova abi abi oppuré, con il sandhi, ababi (CAD A/1.70, AHw 7b), anche come n. pers. (sostitutivo) (Stamm, AN 302; id., HEN 422), cfr. inoltre il n. pers. \3x30%15 4 Dura (F Rosenthal, Die aramaistische For- schung. 1939, 99 n. 1) il sir. “bbw (J.BSegal, BSOAS 16, 1954, 23) ILXX usano una volta ramos _« nonno » (Eccli prol Tye una volta xpSnannoc «(bis) nonno» (Es 10.6 dove perd “*bar “*bdrdeka significa, in base al contesio, «i tuoi antenati »). ebr. modero si serve di “ab zagén « avo » (cfr. al con- trario Gen 43,27 e 44,20 « il vecchio padre ») Lestensione del termine all’ascendenza genealo- gica avviene anzitutto con il plur. “abdr, che as- sieme al proprio padre comprende anche il nonno (Gen 48,15-16 Isacco e Abramo quali « padri» di Giacobbe) e il bisnonno (2Re 12,19 Giosafat, lo- ram e Acazia come « padri » di loas) 0 un numero indeterminato di generazioni. In questo significato pitt largo di « predecessori » 3 (eft. “601m haronim Ger 11,10) il termine pos- siede anche dei sinonimi, ossia risonim Lev 26.45: Deut 19,14, G maséges, G* nptzepor: Is 61.4, Sal 79,8) © haggadmoni (1Sam 24,14 collettivo, a meno che non si debba leggere. -nim), ¢ anche ‘ammim nellespressione “sp ni. “@l-‘amme- ka/-ammaw «tiunirsi ai propri_antenati » (Gen. 25,8.17; 35,29; 49.29 txt em. 33, Num 20,24; 27,13, 31,2; Deut 32,50, am). Anche il plurale del signiticato primario (« padi di varie famiglie ») compare si nel AT (Giud 21.22 1 padri oi fratelli delle fanciulle di Silo rapite: Ger 16.3 « i lore pa dri, che Hi generano »: inoltre unvaltra ventina cinea di pass Con generic coNLrAPPosizions tra la veEchia eka Auova generazione), Mae notevolmente pith rar Tie spetto al significato « progenitori », che ¢ unico possi- bile gia solo per ragioni biologiche quando it termine & unito ad un sulfisso singokare (« | miei padri » ect) Non é certo se lat forma plurale femminile in -6r derivi dal fatto che “ab possiede per sua natura solo il singolare (Lkohler, ZAW 35, 1937. 172), Noldcke, BS 69. sup pose una formazione analoga a quella del termine polare “inmdt « madti » (cosi anche GVG 1449: BL 515.615, Meyer 1145: G.Rinaldi, BeO 10, 1968, 24). Attestazioni del plurale « progenitori » nelle iserizioni del semNO. e in ace. sono riportate in DISO 1 ¢ CAD A/I72 (accanto ad abit nell'area semO. anche abbiitu. Leespressione ampliata ¢ rafforzata « né i tuoi/suvi padri né i padri dei tuoi/suoi padri » (Es 10.16 del faraone Dan 11.24 di Antioco IV) in frase negativa non signifies altro che Tintera serie dei progegitori Anche il singolare puo assumere il signiticato di « progenitore » (80x), ma allora indica sempre il Progenitore per eccellenza (clr. Is 43.27 “abika ha- risin), ossia Vantenato di un clan (Recabiti Ger 35,6-18), di_una stirpe (Dan Gios 19.47; Giud 18.29; Levi Num 18.2). di una categoria prolessio- nale (Gen 4,215.22 txt em.; i discendenti di Aronne !Cron 24,19), di una dinastia (Davide IRe 15,3b.11.24 ecc., 14x). di un popolo (Israele Abramo Gios 24,3; Is 51.2: Giacobbe Deut 26.5: Is 58,14; tutti ¢ tre i patriarchi 1Cron 29,18). Mentre per gli eroi eponimi si pud ancora convenzional- mente parlare di « padre» (Cam-Canaan Gen 9.18.22; Kamuel-Aram Gen 22,21; Camor-Sichem Gen 33,19; 34.6; Gios 24,32; Giud 9.28; Arba- Anak Gios 15,13; 21,11; Machit-Galaad Gios 17.1; 1Cron 2.21.23; 7,14; eff. anche nell’allegoria della Gerusalemme’personificata Ez 16,3.45), quando si tratta di popoli sarebbe meglio tradurre con « ca- postipite » (figli di Eber Gen 10,21; Moabitie Am- moniti Gen 19,37s., Edomiti Gen 369.43). In 1Cron 2,24.42-55; 43-21: 7.31; 8,29; 9.35 (31x) la for- mula « x, padre diy » (M.Noth, ZDPV 55, 1932. 100; Rudolph, HAT 2113s.) contiene non solo nomi di stitpi ma anche nomi di luogo. In Gen 17.4.5 ‘ab(-)h"mén gajim « padre di molti_po- poli » linsolita forma costrutta € determinata dal gioco di parole con ‘abraham. b) L’estensione di significato ad una paternita adottiva si spiega col fatto che la relazione tra fi- glioe padre é per sua natura meno diretta di quella Yah PADRE 4 tra figlio e madre. Il diritto babilonese non fa dif- ferenza tra la legittimazione di un figlio proprio nato dalla schiava e l'adozione di un figlio altrui (Driver-Miles 1,351,384). Tuttavia, prescindendo dall'uso puramente metaforico, il termine ‘ab viene usato molto raramente nel senso di una pa- temita non fisica, come del resto anche l'adozione in senso proprio, ossia al di fuori della parentela, nell'AT non é quasi per nulla attestata (De Vaux 185-87, H.Donner, Adoption oder Legitimation? OrAnt 8, 1969, 87-119). Su Jahwe come « padre » del re davidico vd. st. 1V/3b. In accadico si fa distinzione tra abum murabbisu « padre adottivo » e abum wélidun « padre fisico» (CAD A/1,68b). Come a Babilonia (Driver-Miles 1392-394), cosi anche in Israele gli apprendisti ¢ i lavoratori pote- vano essere in una certa relazione adottiva rispetto al loro capomastro, tuttavia I'uso dei termini di parentela « figlio» e «padre » per esprimere i membri e il capo di una corporazione artigiana po- trebbe dipendere anzitutto dal fatto che i figli se- guivano normalmente la professione del padre “ab potrebbe essere il fondatore o il direttore di una corporazione artigiana in tCron 4,14 (cfr. 4,12.23) (I.Mendelsohn, BASOR 80, 1940, 19). Anche il capo di una ‘corporazione profetica, che era allo stesso tempo il padre « spirituale », venne forse chiamato ‘ab (L.Diirr, Heilige Vaterschaft im antiken Orient, FS Herwegen 1938, 9ss.; J.Lindblom, Prophecy in Ancient Israel, 1962, 69s.; J.G. Williams, The Prophetic « Father », JBL 85, 1966, 344-348); almeno per Elia ed Eliseo tro- viamo I'appellativo "abr « padre mio » (2Re 2,12; 13,14; usato anche per i non appartenenti ai b‘né hann‘bi'im: 2Re 6,21; cfr. 8,9 « tuo figlio »). Tut- tavia qui é facile il passaggio a ‘ab come titolo onorifico (vd. st. 3) (Lande 21s.; K.Galling, ZThK 53, 1956, 130s.; A-Phillips, FS Thomas 1968, 183- 194). In 1Sam 24,12 ¢ 2Re 5,13 si develeggere un’inte- riezione (GVG II,644; Joiion § 105s.; contro ThW V,970 n. 141 = GLNT IX,1181 n. 141; altrimenti si dovrebbe supporre in [Sam 24,12 un titolo ono- rifico o un’espressione rivolta al suocero, € in 2Re 5,13 una formula fissa di apostrofe col suffisso singolare in bocca a pit’ persone, cfr. L.Kéhler, ZAW 40, 1922, 39). Come awviene per l'appellativo b&ni « figlio mio » rivolto al discepolo, particolarmente nella lettera- tura sapienziale (—bén), cosi anche ‘4b potrebbe indicare il maestro di sapienza in quanto padre spirituale (cfr. per eg.: Ditrr, |.c. 6ss.; H.Brunner, Altag. Erziehung, 1957, 10; per la Mesopotamia: Lambert, BWL 95.102.106). Per l'AT pero non si pud dire con certezza se ci si allontani dall’uso normale (cfr. eventualmente Prov. 4,1 e 13,1). 3/ Nell'uso traslato del termine (paragone e metafora) viene dato particolare risalto ad un aspetto del concetto. Anche nelle lingue affini il 5 28 ‘ab PADRE padre, oltre ad essere una persona di riguardo, @ in modo particolare il protettore sollecito. Per Mace. cfr. CAD A/I,S1s.68a.71-73.76, AHw 8a. Fen. iscrizione di Kilamuwa (= KAI nr. 24) 1,10 « mao ero per l'uno come un padre e per l'altro come una madre & per il terzo come un fratello »; iscrizione di Katatepe (= KAL ar, 26) 1.3 « Ba ‘al mi ha costituito padre e ma dre dei Danuna » (cfr. 1,12. cfr. sp. 1; J.Zobel, Der bild. liche Gebrauch der Verwandschaftsnamen im {ebr. mit Beriicksichtigung der iibrigen sem. Sprachen, 1932, Tss. (anche per il materiale rabbinico) Prescindendo dai casi in cui il termine é riferito a Dio (vd. st. IV/3), nell’AT il senso traslato si trova occasionalmente solo in Giobbe (autore della pioggia: Giob 38,28; protezione per i poveri: Giob 29,16; 31,18, cfr. BrSynt § 97a.: stretta appar- tenenza: Giob 17,14, con la « formula filiale » « tu sei mio padre », cfr. Fohrer, KAT XV1,295). Gia vicini al consolidamento abituale sono i titoli onorifici con cui si designano in diversi ambienti e in vari tempi coloro che detengono funzioni sa- cerdotali e politiche: Giud 17,10 € 18,19 « Padre e sacerdote » (cfr. G.Quell, ThW V.96Is. = GLNT 1X,1156ss., che si rifa a Bertholet 256), Is 22,21 « padre per gli abitanti di Gerusalemme e la casa di Giuda » (del sovrintendente di palazzo, cfr. De Vaux 1,199s.); inoltre anche il nome regale del messia in Is 9,5 « padre eterno » (Cfr. H. Wildber- ger, ThZ 16, 1960, 317s.); fuori di Isracle Ah 55 « padre di tutto quanto Assur » (Cowley 213.221); Est G 3,138. Sebtep0g mariip: 8,12; [Mace 11,32 In Gen 45.8 lespressione « come padre per il faraone » & una trasposizione in ebraico del titolo egiziano jr-ntr « padre del Dio », con cui si vuole evitare lo scandalo di designare il re come un dio (J.Vergote, Joseph en E- gypte, 1959, 1145.). Sulla storia del titolo egiziano, usato per i vizir e i sacerdoti, ma in origine per i precettori dei principi ereditari, cfr. A.H.Gardiner, Ancient Egyptian ‘Onomastica 1,1947, 47*-53*, H.Brunner, ZAS 86, 1961. 90-100; H.Kees, ibid. 115-125. Secondo Rudolph, HAT 21,200,208, “abi e ‘abiw in 2Cron 2,12 € 4,16 non vanno intesi come parte del nome proprio, ma si devono tradurre come un titolo « mio/suo maestro » (cosi pure Stamm, HEN 422; efr. anche CAD AILT3a.). L’appellativo "abi per Elia ed Eliseo é stato gia menzio- nato sopra (2b). L'accadico abu come appellativo onori- fico @ attestato in alcune lettere (cfr. CAD A/L71). 4/ ‘ab come nome retto é strettamente unito a bajit « casa ». be1-ab « casa paterna, famiglia » si- gnifica « originariamente la grande famiglia abi- tante in un’unica casa, a capo della quale sta il pa- ter familias. Essa comprende anche la moglie 0 le mogli del pater familias, i figli (sia nel caso che non siano ancora sposati, sia nel caso che abbiano gia fondato una famiglia), le figlie (in quanto sono nubili 0 vedove o hanno abbandonato la casa del marito) e le mogli e i bambini dei figli sposati » (LRost, Die Vorstufen von Kirche und Synagoge im AT, 1938 ('1967], 44). Mentre nell’epoca preesilica la « casa paterna » in- teressava solo il diritto familiare ed ereditario, 6 dopo la catastrofe del $87, che comporté il crollo dell’ organizzazione familiare, essa divenne, al po- sto dela mipalra (—am), la cellula fondamentale per la costruzione delta vita sociale. Nei testi sa- cerdotali (nelle parti secondarie) ¢ nell’opera sto- rica del Cronista la —“éda « comunita » (opp. —94 hal si articola in mata «tribi» e bet-\abor « case paterne », a capo delle quali stanno risp. un nasi « capotribi » & un rA% « Capo » (Rost, L.c, 56- 76.84) Su 83 passi con il singolare (in preponderanza preesilic. Gen 18x, Giud 12x, ISam 13x) HT presentano Puso tee- nico postesilico (citazioni in Rost, Le. 56), I plur. bér-Gbor (68x. di cui 30x in Num 1-4, 10x in ICron 4-7: citazioni in Rost, Le, 56, da aguiungere ICron 7.40; il passo pitt antico é Es 12.3) viene formato in una maniera caratteristica. ponendo al plurate solo il secondo membro (GK § 124p: Jotion § 136m); da cid si deduce che esiste una connessione molto stretta tra i due ter mini (non chiaro ThW V.960, r. 40ss. = GLNT IX.1153, 1. 28s5.). Al posto del duplice stato costrutto come nel caso di “hotam (p.e. Es 6.14) compare anche l'abbreviato rai? “ab01 (p.c, Es 6,25), senza be1- (43x, citazioni in Rost. 1c. 65, da aggiungere Esd 8.1: inoltre n°Si'é ha'abor Re 8.1. 2Cron 5.2: saré ha Gbor Esd 8.29; 1Cron 29.6). specialmente se lespressione & non solo dal suffisso di 3° plur. ma da altre spe- cifieazioni (questa differenza é normale nei testi P, men- tre nellopera del Cronista si pud trovare anche rae (hd)- “abar senza alire specificazioni e persino “abar da solo Neem 11,13; 1Cron 24.31). Unito a “huz2d « possesso » (Lev 2541), nahié « eredita » (Num 36.3.8) e marr «trib» (Num 33.54, 363.8) & da tradursi semplice- mente con « padri » (contro Rost. Le. 56s.) Complessivamente si hanno 201 passi con “db nel sign di « casa paterna », di cui 129 nel senso terminologico pill tardivo. 5/ Nomi propri formati con ‘ab si ritrovano in tutta 'onomastica semitica anti Bibliogr.: acc.: Stamm, AN: Mari e can. orientale: Huff mon; ug.: Grondahl: fen.: Harris; arab. del sud: G.Ryckmans, Les noms proprgs sud-sémitiques, 1934, ebr.: Noth, IP; una prima raccolta del materiale in M. Noth, Gemeinsemitische Erscheinungen in der isr. N: mengebung, ZDMG 81, 1927, 1-45, con quadro stat stico p. 14-17; per Param. cfr. A.Caquot, Sur 'onomast que religieuse de Palmyre, Syria 39, 1962, 236.240s. Nell'AT si hanno circa 40 nomi formati con ‘ab, il quale sta per lo pit in prima posizione, e va in- teso quasi sempre come soggetto € mai come st. ‘es. Prima di poter valutare questo materiale rela- tivo ai nomi dal punto di vista storico-religioso, bisogna distinguere fra l'uso teoforo e I'uso pro- fano di questo termine di parentela. Mentre i primi studi sull’argomento, ossia quelli di W.W.Baudissin (Kyrios als Gottesname im Ju- dentum, III, 1929, 309-379) e di M.Noth (vd. sp.), si occuparono quasi esclusivamente dell’uso teo- foro dei termini di parentela, che indicherebbero il Dio della trib, Stamm, HEN 413-424, suppone in piu di un quarto delle forme un uso profano, in quanto si tratterebbe dei cd. nomi sostitutivi, ossia di « nomi per i quali si vedeva nel neonato la rein- 7 carnazione sostitutiva di un _membro defunto della famiglia » (J.J.Stamm, RGG 1V,1301). Esempi di nomi costituiti da una frase, sono ijibb « Giobbe » (lamento formato con particella interrogativa « dov’e il padre ») e “@675aj'« Abisai » (il padre esiste an- cora », secondo H.Bauer, ZAW 48, 1930, 77); esempio di designazione & ‘aha « Ahab » (« fratello del padre») In casi come “67 ‘Gb, “*biia, J6ab opp. “*bimeelark (ofr, “limevleek), “brddn (cht. Danijél) ecc. il signiticato \eoforo dell'elemento “ah é tuttavia sicuro. La valutazione storico-religiosa deve tener conto del fatto che i nomi, per un certo atteggiamento conservatore, vengono usati anche dopo che la si- tuazione esistente quando il nome si era formato @ ormai mutata (cfr. Noth, IP 141 per i nomi di confessione come Jé'ab: in origine voleva. porre sullo stesso piano lantico Dio della tribu e il nuovo Dio dell’alleanza, tuttavia era ancora in uso nel periodo postesilico); inoltre tale valutazione deve tener conto del fatto che possono sorgere nuovi signiticati (metaforici), che riguardano la grammatica, la sintassi ¢ il contenuto (H.Bauer. OLZ 33, 1930, 593ss.). In particolare, per quanto concerne le etimologie che si rifanno ad una di- vinita considerata consanguinea al clan, & « cer- to che nell’epoca storica di Israele il significato di questi nomi venne mutato, per il fatto che la divinita chiamata padre, fratelld 0 zio fu posta sullo stesso piano di Jahwe» (Stamm, HEN 418). Secondo W.Marchel, Abba, Pere, 1963. 13.27ss., la parentela con Dio posta in rilievo dai nomi propri va intesa fin da principio solo in senso metaforico IV/_1/ Partendo dalle designazioni di Dio che si incontrano nei racconti relativi ai patriarchi ea Mosé, le quali come secondo membro di una catena costrutta contengono un nome di persona (cil Dio di Abramo » ecc.), e fondandosi su ana- logie nabatee, A.Alt (Der Gott der Vater, 1929 = KS 11-78) ha sostenuto che nei primi tempi di Isrtele era in vigore una religione che si pud definire come la religione del « Dio dei padri » (con lui concordano W.F. Albright, Von der Stein- zeit zum Christentum, 1949, 248s. von Rad I2is.; J.Bright, A History of Israel, 1960, 86-93; V.Maag, SThU 28, 1958, 2-28; H.Ringgren, Isr. Religion, 1963, 17s.; di parere contrario J.Hoftij- zer, Die Verheissungen an die drei Erevater, 1956, 85 §s., cfr. inoltre M.Noth, VT 7, 1957, 430-433). La persona X, per la quale la divinita viene chia- mata « Dio di X », riceve una rivelazione e fonda un culto; nella famiglia di X la divinita continua ad essere venerata come «Dio del padre » (Oeig natpéac)- Il legame di queste divinita non con un luogo, ma con un gruppo di uomini e con il loro mutevole destino, significa che esse assu- mono funzioni sociali e storiche, determinando cosi un distacco dal naturalismo(W.Eichrodt, Re- ligionsgeschichte Israels, 1969, 7-11). Per quanto riguarda il procedimento con il quale nei primi AN Gb PADRE 8 tempi di Israele le varie divinita dei padri si sono fuse fra loro ¢ con Jahwe, Alt cosi si esprime (I.c 63): « Gli dei dei padri furono i rawSeryeryot che condussero verso il Dio pitt grande, il quale in se- guito li soppianto completamente ». Nei passi J ed E di Gen che qui ci interessano (26,24, 28,13; 31,5.29.42.53.53; 32.10.10; 43.23. 46.1.3; 49,25; 50,17, talvolta con suffisso perso- nale), se si suppone che i patriarchi stiano tra loro in una relazione genealogica, la parola ‘ab al sing. si riferisce nel caso di Isacco ad Abramo (26,24), nel caso di Giacobbe ad Isacco (p.c. 46,1) opp. ad Abramo ¢ Isacco (32,10; formula doppia con un unico °ab anche in 28,13; 31,42; cfr. 48,15), nel caso dei figli di Giacobbe a Giacobbe (50.17), an- che se, come nell’ ultima citazione, il nome proprio non compare necessariamente. Per i passi di Es al singolare (in 3,6 poiché si ha « il Dio di Abramo, di Isacco_e di Giacobbe » il testo sam. pone il plur.; 15,2 parallelo a « mio Dio »; 18,4) ci si pud chiedere se I'espressione « i Dio di mio/tuo pa- dre » indichi proprio il Dio dei patriarchi oppure (il che in pratica é la stessa cosa) pid: genericamente il Dio venerato gia prima nella famiglia di Mosé (su 36 cfr. Alt, Lc. 13 n. 2; diversamente Ph.Hyatt, VT 5, 1955, 130-136); i passi pid tardivi, che si riferiscono al Dio del progenitore Davide (2Re 20,5 = Is 38,5; 1Cron 28.9, 2Cron 17.4: 21,12; 34,3), rivelano comunque una continuita nella venerazione del Dio all'interno della famiglia opp. della dinastia. 1Cron 29,10 parla ancora del «Dio del nostro padre Israele » (cfr. 29.18.20). La formulazione al plurale « il Dio dei vostri/loro padri » compare quando Jahwe viene posto sullo stesso piano del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe in Es 3,13.15.16; 4,5 (Alt, l.c. 9-13), I ri- manenti passi, che menzionano i! « Dio dei pa- dri» (Deut 1411.21; 441; 63: 12.15 26,7, 27,3; 29,24: Gios 18,3; Giud 2,12; 2Re 21,22 ¢ altri 30 in Dan, Esd e Cron), dipendono dall'uso din. dell’espressione « padri » (vd. st. 2b). Dan 11,37 tratta degli dei (plur.) dei padri del principe pa- gano (cfr. anche Ez 20,24 gillile ‘*boram « idoli dei loro padri »). 2/- Il plur. °abar « padri » si-incontra in una serie di espressioni pia o meno fisse e di diverso valore teologico. a) Teologicamente neutrali sono anzitutto le peri- frasi con cui si vuole esprimere eufemisticamente il verbo « morire », come pe. « coricarsi coi propri padri », studiate da B.Alfrink, OTS 2, 1943, 106- 118 e 5, 1948, 118-131 (cfr. anche O.Schilling, Der Jenseitsgedanke im AT, 1951, 11-15; M.D.Gold- man, ABR 1, 1951, 64s.; ibid. 3, 1953, Sl; G.R.Driver, FS Neuman, 1962, 128-143). 1 verbi_usati sono: (1) 3kb « coricarsi » Gen 47,30; Deut 31,16; 2Sam 7,12; inoltre 26x in 1/2Re € IIx in 2Cron, in tutto 40x; in 2Sam 7,12 con la prep. ‘aer-, altrimenti sempre con ‘im-. Lespressione si riferisce alla morte, non alla sepoltura, viene adoperata, come ha mostrato 9 8 ‘ab PADRE Alfrink, solo per la morte pacifica (per 9 dei 18 re del re- xno del nord ¢ per 13 dei 19 re di Giuda: per il problema di Achab [2Re 22,40] cfr. C.F.Whitley, VT 2, 1952 148s, }, (2) gbr « seppellire » Gen 49.29 (con *e/-). IRe 1431 altre 13x in 1/2Re © 2Cron (con ‘im-); (3) “7 «tiunire » Giud 2.10 (con ‘aly, 2Re 22.20 = 2Cron 34.28 (con ‘al-), in Giud 2.10 la formula sefhbra essere una contaminazione dell’espressione ‘sy ni, 2t per dissimilazione, cfr. GAG Ergin- zungsheft p. 8 ** per § 51d; diversamente GVG 1,152; Bergstr. 1,109) @ transitivo « distruggere », ma neli'ass. antico anche intransitive «andar via» (J.Lewy, Or NS 29, 1960, 22-27; CAD A/145). Nel VT con questa radice sigformano, oltre al qal, il pi. « annientare » e Phi. « far andare in ovina » (aram. gal, ha. e ho.); inoltre solo i nomi verbali “*beda « cid che é perduto » e “baddon « rovina » (cui vanno aggiunti i prst. aram. ‘abdan e ‘obdan «rovina », cfr. Wagner nr. 1/la). Da una seconda radice ‘bd «durare », che ricorre in aram. e viene supposta anche in ug. (J.Gray, ZAW 64, 1952, 51.55; UT nr. 17, WUS nr. 15; al contrario M.Diet- Fich-O.Loretz, WdO III/3, 1966, 221), potrebbe derivare “dé ‘obéd « per sempre » che troviamo in Num 24,20.24 (D.Kiinstlinger, OLZ 34, 1931, 609-611), mentre le ipo- tesi relative a Prov 11,7 (J.Reider, VT 2, 1952, 124)e a Giob 30,2 (G.Rinaldi, BeO 5, 1963, 142) rimangono in- certe, 2/ Statistica: gal 117x (Sal 21x, Ger 16x, Deut 13x, Giob 13x), aram. 1x; pi. 41x (Est 10x), hi. 26x, aram. ha. 5x, ho. 1x; in totale il verbo ri- corre in ebr. 184x, in aram. 7x; '*béda 4x, *baddon 6x, ‘abdan 1x, ‘obdan 1x. La radice é assente in 15 Gen e in Cron/Esd/Neem (cfr. 2Re 11.1; 21,3 con 2Cron 22,10, 33.3; e anche 2Re 9.8 con 2Cron 22,7). In 1Sam 12,15; Is 46,12 Prov 17.5 si puo anche correy- gere secondo i LXX (cfr. BH’). - 3/_ Se guardiamo al soggetto (singole cose, en- tita collettive, esseri viventi) e all’uso delle prepo- sizioni (*, min) che accompagnano il verbo, ab- biamo a disposizione nella nostra lingua diverse possibilita per rendere quello che é il significato di fondo, relativamente unitario, de! gal (« an- dar perduto, perire, venir strappato » ece., eft HAL 2b). Ma se si guarda ai significati che ka radice ha nelle lingue semitiche affini (cfr. ave.. arab. ct.) si potrebbe individuare il valore origina- rio del verbo nei significati un po’ piu specific’ di «esmarrirsi, vagare, correr via» (Deut 26.5: 1Sam 9.3.20; Ger 50,6; Ez 344.16; Sal 2,12: 119. 176) (cfr. Th.Néldeke, ZDMG 40, 1886, 726) Poiché il verbo possiede un valore non molto spe- cifico e negativo, non si puG trovare per esso un preciso termine opposto: come possibili contrap- posizioni si possono citare md « rimanere » (Sal 102.27: cfr. 1129s.), —hjh « diventare » (Giona 4. 10) € ‘rk hi. jamim « vivere a lungo » (Deut 4,26; 30.18) Il campo semantico di “Ad & abbastynza simile quello dell'ace. haléqu (AHw 310s, « scomparire in ro- vina. fuggire »: anche ug. ed et.) cfr. la lettera di Amara EA 288, r. 52 (da Gerusalemme } « tutti i terri tori del re sono perduti (Hu/-qa-at) » con ta glossa can. a ba-da-at. Si & voluto vedere questa radice fly MI anche in Sal 17,14; 73,18; Giob 21,17, Lam 4,16 (M.Dahood, Bibl 44, 1963, 548: 45, 1964. 408: 47, 1966, 405: per Is 57.6 W.H.Irwin, CBQ 29. 1967, 31-40), ma data la vi- cinanza di significato con lq | (hlagor Sal 73.18 « cid che & scivoloso ») ¢ II (pi. « disperdere » Gen 49,7 € Sal 17,14, cft. G.R.Driver, JTASU 15, 1964, 342), tale ipo- tesi non pud fondarsi su basi sicure Nelle coniugazioni pi. hi. «annientare », ‘bd viene a coincidere soprattutto con ~krt e —3md. Per la differenza di significato fra pi. « annientare, can- cellare » e ht «far andare in rovina» (questultimo usato per lo pi in riferimento a persone e in relazione al futuro) cft. E.Jenni, Faktitiv und Kausativ von “bd « 2u- grunde gehen», FS Baumgartner 1967, 143-157 Per "*baddon « rovina, luogo di rovina » —3%) 4/ In pit di due terzi dei testi in cui si usa il qal e I’hi. (pi. 1/3) & Jahwe colui che direttamente o indirettamente provoca la rovina. In questo caso raramente ‘bd ha una_risonanza neutrale (cfr. Sal 102,27, 146,4): significa infatti la rovina inflitta da Dio al suo avversario. Dato il significato cosi generico del termine, non si pud dire molto sul suo uso fisso, con carattere di formula; si tratta di un vocabolo che non ha assunto un preciso valore teologico. Nella «formula di sterminio» una sola volta, in Lev 23,30, si trova ‘bd al posto de! solito e pid concreto Art (Elliger, HAT 4,310.319 n. 24). Anche il « grido d'al- ‘JR ‘bd ANDARE IN ROVINA 16 larme » (Num 17.27; eff. Num 21.29 par. Ger 48.46, ¢ ML8.25 par. Le 8.24) non ha una connessione particolare con “bd (cfr. Is 6.5; Ger 4,13; G.Wanke, ZAW 78, 1966, 216s.) “bd apparticne al vocabolario tradizionale soprat- tutto quando compare: a) nelle affermazioni relative alla connessione tra azione ¢ conseguenza (cfr. H.Gese, Lehre und Wirklichkeit in der alten Weisheit, 1958, 42ss.) nella Jetteratura sapienziale (Sal 1,6, 37,20: 49,11: 73.27; 112,10, Giob 4,7.9; 8,13, 11,20; 18,17; 20,7; Prov 10,28; 11,7.7.10, 19,9: 21,28; 28,28): in ma- niera esplicita o implicita in tutti questi casi Jahwe fa in modo che il malvagio, il suo nome, la sua speranza ecc. vadano in rovina. b) nelle maledizioni minacciate, in forma condi- ionale, delle formule di benedizione e di maledi- zione, con le quali terminano la legge di santita e ta legge din. (Lev 26,38; Deut 28,20.22; per ori gine cultuale-sacrale cfr. Elliger, HAT 4,372), ¢ della predicazione dtr. (Deut 4,26; 8.19.20; 11,17; 30.18; Gios 23.13.16; cfr. inoltre 1Q 22 1,10); si puo facilmente scorgere qui un rapporto con le formule di maledizione delle iscrizioni semNO. e coi testi dei trattati dell’antico Oriente (cfr. bi- bliogr. in D.R.Hillers, Treaty-Curses and the OT Prophets, 1964). Cfr. in una iscrizione sepolcrale fen. del 9" sec. proveniente da Cipro: « e quesifa maledizione (?)] porti [quegli uo}mini alla rovina (bd jif.)» (KAL-nr. 30, r. 3: cfr. Friedrich 127, diversamente DISO 1s.) nelle iscrizioni sepolcrali aram. del 7 sec. provenienti da Nérab_presso Aleppo: «e la sua posterita andra in rovina (rbd qal) » (KALI nr. 226, r. 10). « SHR, Samas, Nikkal e Nusku disperdano (jh’bdw ha.) il tuo nome... » (KAI nr. 225, r. 11); per halagu (vd. sp. 3) nelle formule di maledizione acc. cfr. F.C.Fensham, ZAW 74, 1962, 5s.; 75, 1963, 159. c) nelle minacce di giudizio degli oracoli profetici, simili a quelle del punto b), “bd é relativamente aro nell’8* sec. (qal in Is 29,14, Am 1,8; 2,14; 3,15); le coniugazioni pi. e hi. con Jahwe come Soggetto vengono usate sporadicamente solo a co- minciare dal tempo di Geremia (la ricorrenza pit antica @ Mi 5,9, se autentico; pi: Is 26,14: Ger 12,17; 15,7; 51,55; Ez 6,3; 28,16; Sof 2,13; hi. Ger 1,10; 18,7; 25,10, 31,28; 49,38; Ez 25,7.16; 30,13; 32,13; Abd 8; Mi 5,9; Sof 2,5). 5/ "bd e *baddén non vengono ancora adoperati nell’AT (ed a Qumran) in riferimento ad una dan- nazione eterna, neanche quando accanto ad essi compare l’espressione avverbiale « in eterno » (/a- naésah Giob 4,20; 20,7; cfr. anche nell iscrizione di Me8a wJér'l "bd 'bd ‘im « ed Israele @ perito per sempre », KAI nr. 181, r. 7). Per il NT cfr. A.Oepke, art. dmédavpt , ThW. 1,393-396 (= GLNT 1,1051-1061); J.Jeremias, art, "Agadiciv, ThW 1,4 (= GLNT 1, 13-16). E.Senni 17 738 'bh VOLERE MAK "bh VOLERE 1/ La radice “bi (°6/) oltre che in ebr. ricorre so- prattutto nel sem. meridionale, ma qui con forma- zioni particolari di significato contrario (arab. class., et. «non volere», arab. dialettale « vo- lere »). E possibile una connessione con Veg. “hj « desiderare » (cr, pero Calice nr. 462) Per le supposte corrispondenze ace. eft. HAL 3a In aram, la radice non & comune, se si prescinde dalebraismo targumtico “ha (Nildeke, BS 66 n. 7). Si discute su hin'hw delliserizione veteroaram. di Bacrakib KAI ne. 216, 14 Chittanafal di ‘bh o di j"b. KAL 11,2338. eft. G.Garbini, L'aramaico antico, AANLR VINI/7, 1956, 274, ma anche, dello stesso autore, Ricer- che Linguistiche 5, 1962. 181 n. 28) In aram. troviamo il verbo 7 « bramare ardentemente, desiderare », probabilmente affine a ‘bh (DISO. 103: LS 293a): € un verbo che ricorre una volta anche in ebr come aramaismo (Sal 119,131; Wagner nr. 119; Garbini. Le., 180). Unvaltra forma secondaria ebr.. 1h « desiderare » (Sal 119,40.174), potrebbe essere non gia un aramaismo ‘ma una formazione secondaria derivata da 1a“bd « desi derio » (Sal 119,20), che a sua volta & una formazione nominale da “bi cont preformative (A.M.Honeyman, JAOS 64, 1944, 81: Garbini, Le.. 180s.) Lo sviluppo semantico con significato contrario in’ arab. (et) potrebbe forse essere consideralg come un leno: ‘meno caratteristico del semitico meridionale: si & portati a credere che “bh fosse usto con pitt significati distintt © neutri, i quali si sono poi sviluppati positivamente o negativamente, come p.e. « essere risoluto » «T De- litzsch, Prolegomena eines neuen hebr.- aram. Warter buchs zum AT, 1886. 111), « essere ostinato » (W.M Miller, secondo GB 3a), « mouvement psycholo- Bique de la volonté » (C.Landberg, Glossaire Datinois |. 1920, 21ss.), « se flecti sivit » (Zorell 3a),« mancare di» (Honeyman, Lc., 81s.). Non sembra il caso di richia marsi a questo valore neutro dell'arab. e dell'et, per spie- gare il fatto che “bh ricorre in ebr. quasi sempre prece: duto da negazione (vd. st. 3a) (contro Néldeke, BS 66: la particella negativa sarebbe usata solo per rafforzare il si- gnificato originariamente negativo: cosi pure L.Kohler. ZS 4, 1926, 196s., al contrario GVG 11,186, BrSynt 53.158; Honeyman, Lc. 81).* Dalla radice *bh (nel significato presunto di « voler avere », « mancare di» ¢ sim.) vien fatto derivare di solito anche I'agg. ‘eebjan « bisognoso, povero » (pe. GB 4a; BL 500: propr. « mendicante » (2); A.Kuschke, ZAW 57, 1959, 53; Honeyman, l.c., 82; P.Humbert, RHPhR 32, 1952, Iss. = Opuscu: les d'un hébraisant, 1958, 187ss.: HAL Sa); resta problematico fino a che punto questa derivazione etimologica sia decisiva anche per il significato di “eebjon (cfr. E.Bammel, ThW VI,889). Cr. ora an- che W. von Soden, Zur Herkunfi von hebr. ‘ebjn «arm », MIO 15, 1969, 322-326 (aggettivo « vete- roamortita » che deriva da *’bi « essere povero, bi- sognoso » € si ritrova come prst. in ug., ebr. e acc. di Mari [abjjanum « povero, afflitto, misero »)). "bh e ‘@bjén pertanto saranno trattati separatamente nei numeri 3. 4-5 18 Il copt. EBIHN potrebbe essere un prst. dal sem. (ets W.A.Ward, JNES 20, 1961, 31s.. contro T.O.Lambdin Egyptian Loan Words in the OT, JAOS 73, 1953, Dai termini ugaritici aban (313 [= 122].6) © ahnr Qaght [= 1_DIL17) non si pud concludere molto (ett WUS nr. 18/20: UT ne. 23/24). La derivarione di “bi « guai » (Prov 23.29) da “bh & dubia (cfr. HAL 4a con bibliogr.), cosi pure ka deriva tione di “ahi « orbene » (Giob 34,36: eff. 1Sam 24.12 2e 3.13: Gb M/2b; eft. Honeyman, Le. 82: HAL ka 458.0. 2/ Il verbo “bh compare 54x nelle forme de! gal. con maggior frequenza nella letteratura narrativa (2Sam 1x, Deut 7x, Is Sx, Giud, 1Sam, 1Cron Prov 4x cise.) «ehjon (61x) ricorre soprattuito nei testi ambien- lati nel culto (Sal 23x, inoltre 1Sam 2.8: Is 254 Ger 20.13), ma si trovaranche nella letteratura pro- fetica, giuridica ¢ sapienziale (Deut 7x, Giob 6x. Is ed Am 5x ciase.). 3/ a) Un fatto caratteristico é che il verbo “hh quasi sempre preceduto da una negazione. col si gnificato di « non volere, rifiutare, negare », ve- nendo quindi a trovarsi nello stesso campo se- mantico dei termini i'n pi. « negare » (46x. unit volta in Num 22,13 con Jahwe come sogectto, senza che pero si possa vedere qui_un uso Ieolo- gico del termine: parallelo a “bh in Deut 25.7: 2Sam 2.21.23 1s 119s. Prov 124s.) mn? « ne scondere. riliutare », -1"y « disdegnare » eee. Le uniche due proposizioni in cui “bh viene usato con un valore grammaticale positivo (Is 1.19 in una proposizione condizionale, parallelamente a —inr « obbedire »; Giob 39.9 in una domanda retorica. che equivale in pratica ad una negazione), se si guarda al loro significato, non sono del tutto po- sitive La spiegazione di questo fenomeno non va ricercata in particolari fatti etimologici e storico-linguistici (vd. sp. 1). ma deve tener conto dell'attuale campo semantico deilit parola (clr. E.Jenni, « Wollen » und « Nichtwollen » im Hebr., FS Dupont-Sommer 1971, 201-207). I! senso po- sitivo di « avere volonti.,volere » viene espresso in ebr. col verbo /! hi. «decidersi, consentire, cominciare » (18x), che a sua volta non é mai unito ad una negavione. In quanto hi. ed. causativo interno (« indurre se stesso a cominciare qualcosa» o sim.), questo verbo, che esprime sempre un comportamento non accidentale. on pud ricevere una negazione (clr. Jenni, HP 95s: anche 250ss.256), d'altronde proprio I"hi. causativo in- terno @ il pity adatto ad esprimere il comportamento in- tenzionale del soggetto, molto meglio che non un neu- trale “b/ qal nel sign. di « avere voglia (di fatto, ma ac- cidentalmente) ». Cosi // hi. con senso positive ¢ “bh gal con valore negativo 0 condizionale si completano reci- procamente per contrapposizione (cfr. Giud 19.6-10. dove i due verbi si trovano contrapposti l'uno all’altro).” b) Solo in pochi casi il verbo manifesta tutta la sua forza verbale (« condiscendere, avere voglia » © sim.): Prov 1,30 «non hanno accondisceso al mio consiglio», 1.25 «la mia esortazione non avete accolto »; Deut 13,9 «tu non dargli retta » In questi casi si esprime una specifica decisione 19 della volonta di fronte ad una sollecitazione pro- veniente dal di fuori, una presa di posizione per- sonale, comungue sempre di valore_neutrale “oggetto allora o & introdotto con /* (Deut 13.9: 1.30: eff. Sal 81.12) 0 & in accusativo (Prov 1.25). Carattere di formufit fissa assume “bh sione bipolare «non ascoltare ed. op- porsi » (Deut 13,9: 1Re 20.8; Sal 81,12: elt. Is 119s 42.24), Motte volte ci troviamo di fronte ad un, uso della parola che & assoluto solo in apparenzat. poiché in realt si tratta di un discorso ellittico: of. pe. Giud 1.17(G!r 1am 31.4 = 1Cron 104 Sam 12.17; TRe 22.50: Is 30.15: eff. Prov 1.10: 6.35, ec) Nelkt maggior parte dei casi ‘bf & unito ad un, verbo di avione, diventando quindi un verbo au- sifiare (pe. Gen 245.8 «se essa_non vuol ve- nire »). E probabile che. in connessione con la lor- mula sopra citata, Pespressione « non voler ascol- tare» (Lev 26.21; Deut 23.6; Gios 24,10; Giud 19.25: 20.13: 2Sam 13.14.16; Is 28.12: 309. Ez 3.1.7; 20.8) sia diventata di uso molto comune. Ma tutti efi altri possibili comportamenti possono essere non voluti, rifiutati, negati (Deut 1,26, Giud 19.10; 1Sam 22.17; 26.23: 2Sam 2.21; 6.10, 13.25; 14.29.29: 23.16.17 = 1Cron 1118.19; 2Re 819 = 2Cron 2 2Re 24.4: 1Cron 19.19), il verbo principale & if pid. delle solte all infinito con /* (evcezioni: Deut 2.30; 10.10, 287, 29.19: 1Sann 15.9; Re W238: Ty 28.12: 30.9; 42.24 Giob 39.9» d) Quando i! non volere @ la conseguenza di ui’ ostinuzione o di un indurimento interiore, “bh potrebbe vii essere usato in un senso teologico specifico (Es 10,27 « Jahwe aveva indurito il cuore del faraone. cosieché questi non voleva che parti sero». efr. Deut 2.30), trasformandosi poi in una formula fissa nei giudizi o nelle accuse profetiche: «non avete voluto! » (Is 30,15; cfr. Mt 23,37 col verbo Oghew, che nei LXX rende “bh in circa la meti dei casi, eft. G.Schrenk, art. SouAoua:,ThW 1.628-636 = GLNT 11,301-324; id., art, Uf, ThW IU,43-63 = GLNT IIL, 259-312) L'indurimento pero pud anche esseye considerato come un fenomeno del tutto interno all'uomo, quasi_ in senso clinico (2Sam_ 13,2.14.16; eff K.L.Schmidt, ThW_V,1024ss. ="GLNT IX, 1327ss.; F.Hesse, RGG VI,1383). 4/ a) ‘ebjon fa parte di quella serie di parole che nell'AT designano coloro che sono social- mente deboli (dai, misken, “ani, ra ecc., —"nh Il: cfr. A-Kuschke, Arm und reich im AT, ZAW 57. 1939, 31-57: J. van der Ploeg, Les pauvres d’Israel et leur piété, OTS 7, 1950, 236-270; P.Humbert, Le mot biblique ébyon, RHPHR 32, 1952, 1- 6 = Opuscules d'un hébraisant, 1958, 187-192, F.Hauck, art. xévqz, ThW VI37-40'= GLNT IX, 1453-1464; F.Hauck-E.Bammel, art rropic. ThW VI, 885-915 con bibliogr.). Il si- gnificato specifico « voler avere » (Kuschke, |. 53), «le pauvre qui quémande » (Humben. I.c., TIN "bh VOLERE 20 188), non @ quasi pid evidente (Bammel, I.c., 889 n. 24). Nei testi legislativi e profetici I" ebjan é lo sfruttato (Es 23,6.11; Deut 15,1-11; 24,14: Am 2,6; 4,1; 5,12; 8.4.6, Ger 2,34, 5,28; 22,16; Ez 16,49; 18,12; 22,29). Alcuni passi sapienziali prendono in considerazione talvolta solo la mise- tia materiale, in contrapposizione alla ricchezza (Sal 49,3, 112.9, Prov 31,20; cfr. ras « povero », —nh MD). b) Colui che é socialmente debole ha nell’antico Oriente un rapporto speciale con la diviniti. Cfr. Lambert, BWL 18 n. 1 («the poor of this world. ich in faith » [«i poveri di questo mondo, pieni di fede »] ai quali gli dei volgono particolare attenzione. tanto che persino Nabopolassar si ritiene uno di loro). con lelenco dei termini che si usano in acc. per dire « povero » (citazione di testi e bibliogr. in AHw s.v. akii. dunnamii, eniu, katit, lapnu, muskénu ecc.). Ci W.Schwer, RAC 1,689s.: RGG 1,616ss.: inoltre inno a Samas (Lambert, BWL 12Iss.) ¢ Sal 82,3 come riflesso delle concezioni tipiche dell'antico Oriente. Di qui si pud capire come ‘whjon abbia ricevuto nell'AT una connotazione religiosa. Nelle forme letterarie che hanno {a loro radice nel culto (so- prattutto nei canti di lamento e di ringraziamento) Vorante si presenta davanti a Jahwe come povero, bisognoso. Egli deve confessare la sua inferiorita al Dio potente e giusto, cfr. Giob 42,2ss. Con una tale confessione perd il povero fa. valere nello stesso tempo un diritto sicuro: fra i doveri del po- tente, e quindi anche di Dio (non é assolutamente il caso di richiamarsi qui al tema delt'alleanza), vi @ quello di usare misericordia verso il misero (cfr. Deut 14,28s.; Is 58,7; Ez 18,7; Sal 72.2.4.12.13, 82,3, 112,9; Prov 3,27s.; 31,20). La ricchezza & sempre un dono che viene concesso: l'uomo nella sua condizione normale @ povero e senza protezione (cfr. Gen 3,21, Ez 16,4ss.: Os 2,10; Sal 104,14s.27ss. ecc.); PAT vive della consapevolezza che Jahwe vuol bene proprio al misero. La fede in Jahwe che misura 'altezza e la bassezza e, sconvolgendo le classificazioni umane, innalza il povero, ha trovato in 1Samn 2,Iss. la sua espressione classica. c) Il fatto che *aebjon nei testi cultuali viene usato al singolare, rafforza questa impressione generale. Le sfumature dei vari termini che significano «povero, piccolo» sono completamente scom- parse, il loro significato sociale passa in secondo piano. Licessere povero davanti a Dio » si percepisce: nelle si- tuazioni negative (Sal 40,13), nel disprezzo (69,9.11ss.), nella persecuzione (35,lss.; 109,2ss.), nella ‘malattia (109,22ss.), nella vicinanza della’ morte (88,4ss.) ecc. (cfr. S.Mowinckel, The Psalms in Israel's Worship, II, 1962, 91s.). I nemici del povero non sono ben delineati; si tratta di individui che in un modo o nelt'altro agiscono contro il volere di Jahwe (cfr. Mowinckel, l.c., 11,5ss.). L'espressione fissa « io sono misero e povero » (Sal 40.18; 70,6; 86,1; 109,22; eff. anche Sal 25,16; 69,30; 88,16; 1Sam 18,23) designa la condizione 21 PBN ‘abbir FORTE dell'orante: essa @ allo stesso tempo confessione (di peceato), riconoscimento della sovrana po- tenza di Jahwe ¢ fondamento della preghiera. Ma Jahwe @ uno che « salva il misero da colui che & pill forte di lui e il povero da colui che lo spoglia » (Sal 35,10; cfr. attribuzioni simili negli inni di Giob 5,15; 1Sam 2.8; Sal 113,7 ecc.). Il fatto-che per indicare il « povero » si hanno quasi sempre due pid sinonimi (il pid delle volte “ani w**cebjan « misero © povero », Sal 35,10: 37,14; 40,18; 70.6: 74.21; 86,1; 109.16.22: clr. Deut 24,14; Ger 22.16: Ez 16.49; 18,12: 22.29: Giob 24.14: Prov 31.9), pud essere dovuto ad uno stile caratterizzato dal paral- lelismus_membrorum. Nel canto di ringrazia- mento (ctr. Sal 107.41 )e nelle promesse salviliche di ambiente profetico o sacerdotale (cfr. Is 14.30; 29.19; 41,17; Sal 132,15) si attesta che la salvezza del povero si é gia realizzata o @ garantita 5/ In parecchi testi religiosi det periodo interte- stamentario il povero acquista un‘importanza an- cora maggiore. anche per via di una stratificazione progressiva della societa. In particolare la comu- niti di Qumran guarda con sospetto alla proprieta privata considera la poverta e la bassezza come una condizione preliminare della vita spirituale. L'atteggiamento positivo nei riguardi della po- verta prosegue nel NT (discorso della montagna, Luca, Paolo), ¢ gli ebioniti non sono né gli unici né gli ultimi cristiani che danno un valore pro- grammatico allo stato di bassezza di fronte a Dio Ctr. E.Bammel, art. xrcz6s. ThW VI894ss. RGG s.v, « Armenpflege », « Armut », « Ebioni- ten», L.E.Keck, The Poor among the Saints in Jewish Christianity and Qumran, ZNW 57, 1964, 34-78; A.Gelin, Les Pauvres de Yahvé, (1953) 19673 E.Gerstenberger TAN ‘eebion POVERO - FAN "bh. WAS ’abbir FORTE 1/ _ Ecchiaro che ‘abbr « forte, potente » e ‘abir (con significato fondamentalmente uguale, vd st. 4) appartengono allo stesso gruppo terminolo- gico; non é chiaro invece se anche "ébcer ed ‘cebra « pena, ala » (—kandf),come pure il verbo che ne deriva “br hi. « spiccare il volo » (Giob 39,26), ap- partengano alla stessa radice (cosi GB 4s.7; diver- samente HAL 6a.9; cfr. AHW 7a). Altrettanto oscura é il pitt delle volte la ricorrenza della radice nelle altre lingue sem. Ad “éber « ala » vanno ricondotti lace. abru« ala », Mug. “br « volare (?) » (WUS nr. 33; diversamente UT nr. 39), il sit, “ebrd « puma», questo gruppo terminologico & troppo lontano, quanto a significato, dal nostro vocabolo € pertanto non verra preso in considerazione. Ad “abbir si riconnettono 'ug. ibr « toro » (WUS nr. 34; UT nr. 39; per i oppure e nella prima sillaba dovuti ad 22 inflessione vocalica cfr. W.Vycichl, AfO 17, 1954/56, 357a: per i nomi di persona ug. formati con br eft. Gron- daht 88.133) e I'eg. j6r « stallone », che & un prst. can, (Burchardt 1,2; W.F.Albright, BASOR 62, 1936, 30) Tra i vocaboli acc. citati in AHIw 4b.7a abru « forte, vi- goroso(?) », abaru « avvinghiamento, potenza » ed abi ru « circondare », CAD A/1,38.63 accetta soltanto abaru « forza ». In ambiente semNO. vanno ancora menzionati: un n. pers. pun. ‘brb'l, (CIS 1 1886, W.W.Baudissin, Kyrios, IML, 1929, 85 « forte & Baal », Harris 73: erroneamente al posto di “drb'7)) e il veteroaram. ‘bre « grandezza, po- tenza » (DISO 3; KAI nr. 214, r, 15.21, eff. 11,219). Il medioebr. “br pi. « rendere forte » va considerato una formazione secondaria, al seguito di E.Y.Kutscher, FS Baumgartner 1967. 165. Del tutto improbabiti sono i collegamenti della radice “br col gotico abrs « forte » ¢ le ulteriori corrispondenze ve- teronordiche, ceremisse ed ev. celtiche, come pure quelle col sum. db « vacca », le quali potrebbero risalire ad_un ambiente preistorico comune, cfr. H.Wagner, Zeitschrift fir vergl. Sprachforschung 75, 1958, 62-75. 2/ “abbir ricorre 17x un po’ in tutto AT, dal canto di Debora ai discorsi di Eliu nei brani poetici di Giob. abrr é attestato 6x, sempre come parte di un nome divino: nella benedizione di Giacobbe a Giuseppe, in Is, nel Deuteroisaia e nel Tritoisaia € due volte in Sal 132. 3/ “abbir viene adoperato solo come sostantivo e il suo significato si aggira intorno a « forte, po- tente » (cfr. iayueéc_e Syvazic nelle traduzioni dei LXX di Giud 5.22; Lam 1,15 e Giob 24.22). Esso designa: a) riferito a uomini, « colui che ha potere, il ti- ranno, leroe, il capo» (1Sam 21,8; Is 10,13K; Giob 24,22; 34,20; Lam 1,15; probabilmente anche Ger 46,15: il faraone, diversamente i LXX: Api), nell'espressione ‘abbir -/éb il « valoroso » (Sal 76.6 par. «gli eroi »; cfr. Is 46,12); ) riferito ad animali, il « cavallo » (Giud 5,22; Ger 8,16 par. sus « cavallo », LXX: tmnos; Ger 47,3 assieme a r@kab « cocchio », 50,11 ¢ 8,16 as- sieme a shi « nitrire ») e il « toro » (Is 34,7; Sal 22,13, 50,13 par. ‘atid « ¢apro », LXX sempre aram. bisogno di ricorrere act (GB 5b: denominativo “bila « porta») eft, HAL Ta Come derivati si hanno, oltre al verbo (intransi- tivo), aggettivo verbale abel « afMitto » e il sost “ebeel « afllizione », come pure, partendo dal signi- ficato primario « seccare », 1@bél « terraferma » (probabilmente prst. dallacc.: tabalu « terraferma (secca) », GAG § 56k: cfr. Zimmern 43, Driver. Ve. 73) 2 Statistica: gal 18x (solo testi profetici oltre a Giob 14,22), hitp. 19x (provalentemente in testi narrativi), hi, 2x: Gbél 8x, “Chel 24x; rebel 36x (solo in testi poetic’. spesso come termine paral- lelo a —‘cerery « terra ») 3/ a) Il significato di “A/ nella coniugazione gal non si pud rendere con un unico vocabolo che eli equivalga esattamente nelle nostre lingue, poiché si estende da « seccare », a « deperire, essere scon- solato » 0 sim., fino a quello di « essere in pena » (Kuisch, I.c., 36, stabilisce come concetto-base quello di « diventare pitt piccolo »). Soggetto sono terra/paese, campo, pascoli, vizna. Giuda (Is 24.4; 33.9; Ger 4.28; 124.11: 14,2: 23,10: Os 4,3; Gioe 1,10: Am 1,2), il vino (Is 24,7; qui e nei testi precedent si potrebbe tradurre con « sec- care, esaurirsi, desolarsi », a meno che non vi si voglia vedere delle metafore), inoltre porte (Is 3.26), anima (Giob 14.22) e persone (Is 19.8: Os 10.5; Give 1.9; Am 8.8: 9.5; in questi passi si deve senz‘altro tradurre con « essere in pena ») Termini paralleli sono: ‘wmnlal (pu'lal di ‘yl) « ap- passire, inaridirsi, scomparire » (Is 19,8, 24,4.4.7: 33.9; Ger 14,2; Os 4.3; Gioe 1,10), jaba% « inari- ditsi » (Ger 12,4; 23,10; Gioe 1,10; Am 1,2), nabel «appassire, rovinarsi » (Is 24.4), amen « esser devastato » (Ger 12,11: cfr. Lam 1.4), qdr « dive- nire scuro, cupo, essere afMitto » (Ger 4,28; 14.2). “nh « lamentarsi » (Is 3.26; 19,8), ‘mh « sospirare, gemere » (Is 24,7). Va notato inoltre che "b/ non usato con verbi che esprimono un inaridirsi solo quando si riferisce alla natura, come pure non & uusato con verbi che esprimiono il gemere solo quando si parla di uomini (cfr. Is 19.8 dove tro- viamo “bl, ‘nh ‘umlal con uomini per soggetto). Per Giob 14,22 cfr. Scharbert, I.c., 56-58, e Horst, BK XVI214, I due passi in cui ricorre "hi. (Ez 31,15, Lam 2,8) vanno tradotti con « far rattristare » (per Ez 31,15 cfr. Zim- merli, BK X1I1,747.750.761). Per verbi come lamentarsi, angosciarsi, gemere, sospi- rare —s'g « gridare »; per i termini opposti —nhm « con- solare », —Smh « rallegrarsi ». Una differenza fra condizione fisica e condizione spirituale non si ha neppure per "umlal « appassire, scomparire » (HAL 61a) né per 3mm « essere de- solato, irrigidirsi, essere sconvolto » (N.Lohfink, VT 12, 1962, 267-275). b) Il valore semantico dell"hitp. pud essere reso in maniera abbastanza completa con « essere af- 25 a8 ‘bl ESSERE IN PENA Nitto ». A differenza del gal, che designa esclusi- vamente la condizione dell'essere triste, l'hitp. si- gnifica propriamente_« comportarsi_(cosciente- mente, in 2Sam 142 per simulazione) come “abel » Puo trattarsi_diristezza per i moni 4Gen 3734: ISam_ 6,19; Sam 13.37: 14.2.2, 19.2: 1Cron 7.22: 2Cron 35.24) o por una grave disgrazia o per una colpa commessa di uomini in qualche modo legati fra foro (1Sam 1 16.1, Esd 10,6; Neem 1.4). “6/ hitp, pud an- che riferirsi ad una cosa (Ez. 7,12. il senso si avvicina a quello di « arrahbiarsi ») oppure anche al proprio com- portamento ingiusto (Es 33.4: Num 14,39, Neem 89, con significato vieino a quello di «pentirsi»), In Dan 102 si pens all'ascesi che prepara a ricevere a rie velazione (Montgomery. Dan, 406s.; eft. lo. sviluppo successive nel sir. “ubiid « triste » ¢ «asceta, monaco », che si trova come prst. anche nel mandco [Néldeke, MG p. XXIX]e nellarab, [Fraenkel 270). Ezechiele. proclamando un giudizio, annuncia un tempo di ti- stezza (Ez 7.27); un sentimento universale di tono apo- calittico caratterizza il presente con “bi hitp. (Is 66,10: termine di contrapposizione é la gioia escatologica, 57s). “Gbél « afllitto » & usato alla stessa maniera (in caso di morte: Gen 37,35. Sal 35.14, Giob 29,25. disgrazia’ Est 4.3; 9.22: tristezza del tempo finale: Is 57.18: 61.25.) in Lam 1.4 laggettivo predicativo corrisponde al gal. Similmente “hcl « tristezza » si riferisce il pid delle volie al luuo (Gen 27.41; 50,10s.: Deut 34.8. 2Sam_ 11,27, 14.2: 19.3. Ger 6,26, 16,7. Ez 24,17. Am 5.16; 8.10: Becle 7.24; Lam 5.15; pid in generale Mi 1.8: Giob 30.31: Est 4.3: 9.22: trasformazione della tristeza finale in givia: Is 60.20: 61.3; Ger 31.13). Quando viene usato I'hitp., la tristezza si manife- sta generalmente con determinati comportamenti (pianto, abito di lutto, lamentazioni, astinenze ece., cfr, Gen. 37.34, Es 33,4; 2Sam ‘14,2; 19.2; Dan 10,2; Esd 10.6; Neem 1.4; 8,9; 2Cron 35,24: ctr, BHH 111,2021ss. con bibliogr.; E.Kutsch, « Trauerbriuche » und « Selbstminderungsriten » im AT, ThSt 78, 1965, 25-42), senza perd che si debba collegare il significato primario di ‘6/ alle usanze funebri (cosi KBL 6a ¢ V.Maag, Text, Wortschatz und Begriffswelt des Buches Amos, 1951, 115-117; G.Rinaldi, Bibl 40, 1959, 267s.) Per la determinazione de! senso di gdr « essere scuro, sporco, essere afflitto » (un senso un po’ pit ristretto in L.Delekat, VT" 14, 1964, 55s.), “gm/*gm « essere triste » (Is 19,10; Giob 30.25) € spd « iamentarsi » (originaria- mente « baitersi il petto come segno di lamento », cfr. Kutsch, l.c., 38s.) eff. Scharbert, Ic., 58-62. 4/ Il lamemto funebre non ha in Israele un si- gnificato religioso, dal momento che nella liturgia isr. si esclude ogni forma di culto dei morti (cfr. von Rad 1,288ss.; V.Maag, STHU 34, 1964, 17ss.); percié “6! hitp. non ha alcun significato religioso, eccetto quando si trata di umiliarsi davanti a Dio (Es 33,4, Num 14,39, Dan 10,2; Esd 106; Neem 1,4; 8,9; cfr. Kutsch, I.c., 28s. 36; ‘nh ID). Luso del gal, invece, e il corrispondente campo semantico rappresentano un motivo comune dell’oracolo profetico, che si esprime anzitutto ne- gli annunci di giudizio (Is 3,26, 19,8, Os 43, ‘Am 8,8). In Geremia diviene chiaro il passaggio 26 formale, osservabile del resto anche altrove. dall’annuncio di giudizio alla deserizione della ro- vina (Ger 4,28; 12,4.11; 14,2; 23,10). Nell'apocalit- tica infine il motivo caratterizza la tribolazione de- gli ultimi tempi (Gioe 1,9.10; Is 24.4.7; 33.9). Lorigine de! motivo si pud vedere forse in Am 1, 2 (cfr. al riguardo M.Weiss, ThZ 23, 1967, 1-25) Il giudizio con i suoi effetti sulla natura e sugli uo- mini é conseguenza della teofania di Jahwe (ullu- sioni alla teofania anche in Am 93: Is 33.9). Come paratielo ad Am 1,2 Weiss. Le.. 19, cita le parole del cane di una favola detla volpe medio-assira (Lam- bert, BWL 192s, 334) « lo sono fortssimo, ... un leone in came ed ogsa... davanti alla mia voce terribite appay siscono (abalu Gin) monti e fiumi ». 5/ Nel NT si suppongono le usanze funebri dell’ AT, ma Gesir nega la loro utilité per gli uo- mini (Mt 8.2Is.). Acquista importanza la conce- zione apocalittica secondo la quale il tempo fi- nale @ caratterizzato dalla « tristezza » (Mt 24.30 ecc.). La beatitudine di Mt 5,4 riprende Is 61,2. Clr. GStihlin, ant. zoxeréc. ThW_ II1,829ss. (= GLNT V777ss.), R.Bultmann, art. ThW V#40-43 (= GLNT 1X,1463-1472) F Stolz JEN eben PIETRA - TW ‘addon SIGNORE 1/ Il vocabolo *adan « signore », di origine in- certa, ricorre in pratica solo nel ramo linguistico can. Ciascuna delle altre lingue sem. possiede per « signore » designazioni diverse: acc. bélu, aram mare", arab. rabb, et. “egzi” Diverse proposte ctimologiche, che restano comunque incerte, sono indicate in HAL 12b (e altre ancora pitt re- mote in F.Zimmermann, VT 12, 1962, 194). Secondo BL 16.253 “¢dondj é forse un vocabolo non sem. da cui deriverebbe secondariarkente il sing. “adén. Puramente ipotetica é anche la derivazione dall'ug. ad « padre » "ab III/1}; non si pud provare un significato primario « pa- dre» per ‘“adéu (KBL 10b lo suggerisce interrogativa- mente), anche se in una forma riverenziale ci si rivolge ad un padre chiamandolo « signore » (ug. 77 [= NK], 33; Gen 31,35, vd. st. III/3), secondo il testo 138 [= 146},19 lug. adn potrebbe significare benissimo an- che « fratello ». In ug. compare, accanto a adn « signore », anche un fem. adr « signora » (WUS nr. 86). | nomi propri rinve- nuti in EA, Mari, Ugarit ecc., importanti per determi- nare la vocalizzazione ¢ la derivazione delle forme, ven- gono elencati e discussi (ma senza risultati convincenti) in Huffmon 156.159 ¢ Gréndahl 88-90. Frequente é il fen. pun. “dn « signore » (DISO 5; nomi propri: Harris 74); anche qui esiste il fem. “dr « signora » (una volta, senza dubbio come cananaismo, anche in un‘iscrizione palm., cfr. M.Noth, OLZ 40, 1937, 345s.). Fondandosi su questo fatto O.Eissfeldt (OLZ 41, 1938, 489) suppone che in Ger 22,18 Aéd6 non sia altro che 27 una serittura errata del termine fem. parallelo ad “ddén (diversamente Rudolph. HAT 12.142: M.Dahoou. CBQ 23, 1961, 462-464) Nellebr. extrabibl. si trova usito “ey « mio signore » nelle lettere di Lachis (KAI nr. 192-197 passim elt. an che “dnj Asr-« il mio signore, il yovernatore » nel cocci di Yavneh-Yam (KAD nr, 200.1). La forma “dandj, che si usa per designare Jahwe viene di solito considerata und forma fissa di apo- strofe, composta dal plurale maiestatico con sul so di prima persona in pausa (accentustta) « miei f signori = mio signore = il signore » (dettagliata mente W.W.Baudissin. Kyrios, H. 1929. 275s.) tuttavia Panalisi grammaticale della finale -ai & controversa. HI/ Nella statistics le diverse forme di ‘adon (inel, “ddndj « miei signori » Gen 19,2) ¢ ka desi- gnazione di Dio “dongj (inet. Gen 19.18) vanno elencate separatamente. In Mand., concordemen- te alla editio Bombergiana, manca 2Sam 7.22: in Lis. manea Ez 14.20 “addin “tana totale Gen " y xo Es 10 6 16 i 5 2 6 Gios 2 Giud 1Sam 2Sam IRe 2Re Is Ger Ez Os Give Am ‘Abd Giona Mi 1 2 Nah Ab Sot Age Zac Mal Sal 1 Giob Prov Rut Cant Eccle Lam Est Dan 6 WW t Esd Neem 1Cron 2Cron totale 334 439 123 THIN ‘adn SIGNORE 28 Mentre la frequenza di ‘adon (Gen, 1/2Sam, 1/2Re) @ dovuta al contenuto, quella di ‘“dénaj (Ez, Am) @ dovuta a procedimenti redazionali. L’aram. bibl. mare’ «signore » compare 4x in Dan. HZ 1/ Come termine esprimente rapporti all'interno dell’ordine sociale, ‘aden viene preci- sato nel suo significato primario di « signore, pa- drone (su persone sottoposte) » con termini oppo- sti che quasi sempre compaiono espressamente 0 per lo meno vengono presupposti, come p.c. ‘cebeed « servo » (cfr. particolarmente Gen 24,9.65 Es 21,4-8; Deut 23,16, Giud 3,25; 1Sam 25,10: Is 24,2, Mal 1,6; Sal 123,2; Giob 3,19; Prov 30,10; con nd‘ar « servo » Giud 19,11; 1Sam 20,38 ecc.; con ‘ama oppure Sifha « serva » 1Sam 25,25.27s.41 ecc.); di conseguenza il vocabolo @ adoperato quasi esclusivamente con un genitivo o con un suffisso pronominale (il rapporto viene definito tramite /° in Gen 45,8.9, 1Re 22,17 = 1Cron 18,16, Sal 12,5; 105,21; tramfte particolari espressioni verbali in Is 19,4, 26,13, ‘addon € usato in modo as- soluto soltanto nella formula del lamento funebre di Ger 22,18; 34,5, ed anche una decina di volte per de- signare Jahwe, vd. st. IV/2.4). “adon si distingue pertanto nettamente da —bd'al «signore in quanto possessore e proprietario di una cosa » (oggetto di proprieta é anche la moglic, e allora ba‘al assume il significato di « marito »). Da quanto si é detto risulta chiaro che laffermazione di F.Baethgen, Beitrge zur sem. Religionsgeschichte. 1888, 41, citata in ThW I11,1052 (= GLNT V,1379) «In rapporto allo schiavo il signore si chiama bé'al in quanto ne @ proprietario; si chiama ‘adén in quanto, avendone il possesso, pud comandare quel che vuole », rion & del tutto esatta, dal momento che bé‘a/ nell’ AT non viene mai usato in riferimento ad un ‘abeed, In ug. la differenza fra adn e bY! non sembra essere cosi forte; cfr. bly « mio signore » quando ci si rivolge al re nello stile epistolare (WUS nr. 544.3 *), in conformita con il formulario acc., € inoltre il parallelismo poetico b'km/adnkm in 137 (= Ill AB, Bl, 17.33s., e 62 rev {= LAB VI], 57 « Ngmd, re di Ugarit, adn di Yrgb, 61 di Trmn ». Come sinonimo raro di ‘ddén ricorre in Gen 27,29.37 g*bir « signore, padrone » (contrap- posto a ‘*badim « servi» del v. 37); pitt usato é il fem. g*bird « signora, padrona » (contrapposto a Sifha « serva» Gen 16,4.8.9; Is 24,2, Sal_123,2; Prov 30,23; accanto a na‘¢rd « ragazza » 2Re 5,3, —gbr 3e), 2/ Solo una volta “adén viene adoperato per esprimere un potere su_realta_impersonali: 1Re 16,24 *¢déné hahar « (Semer) il (precedente) proprietario del monte (Samaria) ». Quando si parla di un signore che é posto sulla casa del fa- raone (Gen 45,8) o sulla terra d’Egitto (Gen 42,30.33; 45,9; Is 19,4; Sal 105,21), si intende semplicemente il suo rapporto di superiorita verso coloro che appartengono a quella casa o a quella terra 29. TITY “adon SIGNORE Per ug. si potrebbe ricordare il testo sopra citato (11/1) con adn Yryb, nello scongiuro fen. di Arslan Tas (7" sec.), nella r. 15 alla lettura ("]dn ‘rs « signore della terra » (Th.H.Gaster, Or NS 11, 1942, 44.61: HAL-42b) va preferita quella proposta da W.F.Albright, BA- SOR 76, 1939, 8, © accolta in KAI (nr. 27) bY pn “ry w si- gnore della superficie della terra ». 3/ Come in molte altre lingue (p.e. il lat. me- dioevale «senior», e sulla stessa linea il ted « Hert» originariamente comparativo di « hehr [vecchio, venerando] », cfr. Kluge 305a; il franc. « monsieur », con uso ormai fisso del pronome) il termine viene adoperato quando ci si rivole ad una persona o si parla di essa non solo quando nei suoi confronti vi é un rapporto reale signore-servo (molto spesso p.e. nell’espressione di corte “dont hammdéeleek « mio signore, il re »), ma anche come forma di cortesia quando ci si rivolge ad altre per- sone, a cui si vuol rendere onore con un tale ap- pellativo (L.Kéhler, ZAW 36, 1916, 27; 40, 1922, 39ss.; Lande 28ss.81); corrispondentemente, colui che pronuncia il termine si definisce come —cébeed « schiavo ». Cosi il padre (Gen 31,35: Ra- chele si rivolge a Labano), il fratello (Gen 32.58.19, 33,8ss. Giacobbe-Esat, Es 32,22; Num 12,11 Aronne-Mosé), lo zio (2Sam_ 133 lonadab-Davide), il marito (Gen 18,12. Sara- Abramo; Giud 19,26s. concubina-levita:*Am 4,1 Je « vacche di Basan »; Sal 45,12 nozze del re) pos- sono essere designati come “adon, ma Id stesso av- viene anche per persone del tutto estranee (p.e. sulla bocca di donne Gen 24,18 Rebecca-servo di Isacco; Giud 4,18 Giaele-Sisara; Rut 2.13 Rut- Booz) o di rango uguale o addirittura pill basso (Re 18,7.13 Abdia-Elia; 20.4.9 Acab ~ Ben-Adad; 2Re 8,12 Cazael-Eliseo). Il passaggio da « tu/tuo » a « mio signore » (p.e. Num 32.25.27) avviene con la stessa facilita con cui si compie lo scambio di tuoli da «io/mio» a «tuo/suo servo» (pe. 1Sam 22,15). ‘¢ddnt « mio signore (cfr. mon- sieur) » si trova spesso usato come formula fissa al posto di « nostro signore » anche sulla bocca di una moltitudine di ‘persone (Gen 23,6, 42,10; 43,20, Num 32,25.27, 36,2; 2Sam 4,8; 15.15; 2Re 2,19) Per la formula bi"*déni_o bi '“dondj « con permesso, si- gnore» (7x © Sx rispettivamente) cfr. L.KGhler, ZAW 36, 1916, 26s.; Lande 16-19, HAL 117 IV/1/ _Luso di ‘adon/¢donaj in riferimento a_Jahwe (W.W.Baudissin, Kyrios I-IV, 1929; G.Quell, ThW Ill, 1056ss. (= GLNT V,139Iss., Eichrodt I,128s.; O.Eissfeldt, RGG 1,97) stretta- mente legato all’uso in campo profano: a somi- glianza di quanto si verifica per le altre comunita religiose dell'ambiente circostante nei riguardi dei loro dei pit eminenti, cosi anche per l'intero Israele oppure per singoli o gruppi appare ovvio che ci si rivolga a Jahwe come ad un superiore, in analogia con quanto avviene nei rapport terreni (reali o fittizi) fra servo e padrone, chiamandolo signore, oppure che si parli di lui come del si- 30 gnore; del resto anche Israele, corrispondente- mente, puo essere designato come servo di Jahwe, e a cominciare dal Dtis anche con una terminolo- gia esplicita (ThW V,660s. = GLNT IX,295ss.; ~bd). Le affermazioni in cui si parla di Jahwe come « signore » (2/) sono relativamente rare atipiche; pitt frequenti invece sono i casi in cui, con formule fisse, ci si rivolge a Jahwe come si- gnore (3/) ¢ i casi in cui il termine é usato come epiteto divino (4/), il quale, data 'unicita di que- sto signore, pud essere usato in seguito in maniera assoluta per designare la sua stessa natura (signore per eccellenza, signore universale 0 sim.), fino a sostituire il nome divino (5/) 2/__ Nel contesto di una affermazione ‘adon con suffisso personale « suo signore » ricorre solo nella proclamazione profetica della condanna contro Efraim in Os 12,15 « percid il suo signore gli ren- deri il suo obbrobrio », dove il vocabolo ne! suo pieno significato intende sottolineare il paradosso della disobbedienza; simile Neem 3,5 « ma i loro notabili non piegarono il colio al servizio del loro signore ». Clr. inoltre Is 51,22 « tuo signore », dove il significato pieno é usato positivamente, in parallelo con «che difende la causa del suo po- polo » Espressioni con «nostro signore » (Sal 135.5; 147.5: Neem 8,10; 10.30) vanno invece conside- ate variazioni tardive dell'uso di ‘adon in una qualche formula, dove é un epiteto divino 0 sosti- luisce il nome divino, In Mal 1,6 « se sono un padrone, dov’e il timore verso di me? » si ha non una designazione vera ¢ propria di Dio, ma un paragone con un (padre 0) signore terreno, nel quale il significato della parola diviene tematico. In Mal 3,1 « il signore, che voi cercate » uso di ha’adon é determinato dalla con- trapposizione con i messaggeri che precedono que. sto signore, € qui naturalmente, come in 1,6, si ud constatare come si conoscesse gia un uso as- soluto del termine per indicare Jahwe. 3/ _NelPinvocazione, *¢dandj « mio signore » & attestato gia molto presto. A differenza p.e. di méélaek «re» la parola non descrive originaria- mente la natura di Dio nella sua qualita di domi- natore o di padrone con pieno potere, ma @ un semplice titolo d’onore, cosi come viene usato da un inferiore nei rapporti con un suo superiore (Ei- chrodt 1,128; diversamente Kéhler, Theol. 12, i quale tuttavia nel passo per lui paradigmatico di Sal 105,21 per determinare il significato di ’adon si basa troppo sul parallelo mdsél « padrone », che perd non ha lo stesso significato; cfr. anche Bau- dissin, l.c., 11,246). Oltre che in altri passi che non citiamo qui singolarmente (molto spesso p.e. nella preghiera di Davide 2Sam 7,18-22.28s., 7x *¢déndj Jhwh, assente altrove in 1/2Sam), vanno intese cosi anche le formule antiche e sicure dal punto di vista della critica testuale bf ‘dénaj «con per- meso, signore » (Es 4,10.13; Gios 7,8; Giud 6,15; 3 13,8; cfr. Giud 6,13 b7 *déni’)e **hah *¢donaj Jhwh «ah, mio signore Jahwe » (Gios 7,7; Giud 6,22, inoltre 8x in Ger ed Ez, hah); cfr. anche 'uso di “¢doni per indicare esseri angelici in Gios 5,14; Zac 1,9; 4,4.5.13; 64; Dan 10,16.17.17.19; 128. Linvocazione al plurale « Jahwe, nostro signore » si li- ita a Sal 8.2.10 e sembra essere dello stesso tipo delle predicazioni di Jahwe menzionate nel numero seguente 4/ “don adoperato in maniera assoluta appare anch’esso molto presto in qualita di epiteto divino che assume il carattere di una formula. Anche qui il significato della parola inizialmente non va al di la di quello originario, come si pud vedere nel pre- cetto relativo al pellegrinaygio in Es 23,17 ¢ 34,23 col titolo solenne ha’ addon Shwh (lone Jisra’él) « il signore Jahwe (Dio d'lsraele) », come pure nella formula pit: volte usata da Isaia, e che risale cer- tamente alla tradizione gerosolimitana, hd@ddén Shwh §*ba'dr (Is 1,24; 3.1, 10,16.33; 19.4; eff Wildberger, BK. X,62s.). Nelle iscrizioni fen. pun. Vepiteto “dn « signore » & atte- stato per numerose divinita ¢ ricorre spesso (Baudissin. I.c., II1,52ss.; DISO 5, con lelenco delle rispettive divi- nita). IT passaggio dal titolo al nome proprio & chiaro nei nomi propri (clr. “smn'dn/“dn'smn « Esmun € signore » con “dnplt «da ha salvato ») € soprattutto nel caso di Adone di Biblo, dio della vegetazione che muore ¢ ri- sorge (W.W.Baudissin, Adonis und Esmun, 1911: O.Eissfeldt, RGG 1.97s.: G. von Liicken, Kult und Ab: kunft des Adonis. FuF 36, 1962, 240-245). Data l'ampia diffusione di simili epiteti nell’antico Oriente (eg. nb, sum. en, ace. bélu, aram. mu", itt iha-), non c’é bisogno di ricorrere ad alcuna par- ticolare derivazione per spiegare il titolo “adén ri- ferito a Jahwe; si pud tuttavia supporre che la tra- dizione cultuale gerosolimitana, cui chiaramente appartengono le suddette formule, sia stata in- fluenzata dall'uso linguistico can. (cfr. anche i nomi propri formati con ‘ddon, come “¢donijjahi, “dont scedaeq, “*dont gam, “dani ram con i loro cor- rispondenti ug. ¢ fen., vd. sp. I; Noth, IP 114ss.). E controversa l'antichita dell’espressione **dénaj Jhwh al di fuori dell'invocazione, cioé « il signore Jahwe » usato come nominativo de! vocativo or- mai fisso. Contro l'opinione di Baudissin (I.c., 1,558ss.; II,81ss.), secondo cui ““dénaj si sarebbe sempre introdotto qui secondariamente accanto 0 al posto di Jhwh, Eissfeldt (RGG 1,97) ritiene che uso del nominativo pud essere antico; secondo F.Baumgirtel (Zu den Gottesnamen in den Bii- chern Jer und Ez, FS Rudolph 1961, 1-29) le for- mule come ké ‘amar **dondj Jhwh e nium ‘adéndj Jhwh in_Ger ed Ez sono originali (con J.Herr- mann, FS Kittel 1913, 70ss., contro Baudissin), cfr. in dettaglio Zimmerli, BK XIII, 1250- 1258.1265. Diversi testi, ¢ fra questi proprio i pitt antichi, sono con- troversi dal punto di vista della critica testuale (per Am cfr. V.Maag, Text, Wortschatz und Begriffswelt des Bu- ches Amos, 1951, 118s., ¢ Wolff, BK XIV/2,122.161; per IRe 2,26 vd. i comm.). TVS “addon SIGNORE 32 Non & nemmeno sempre possibile sapere in ciascun caso perché alcuni autori (0 redattori) preferiscano Meses: sione “@donaj Jhwh, Per quanto riguarda Ez (217%) Baumgartel (I.c., 275s.) ritiene che nel periodo dell’esitio si voglia evitare esplicitamente di designare Dio con lat formula Jiwh “a'r (collegata con Marca nel tempio di Sion ¢ ancora comune in Ger), sostituendola con ““déndj Jhwh, connessa con un antico nome cultuale. 5/ II passaggio dall'uso di ‘adanaj come epiteto divino a quello, anch’esso assoluto, che design la natura stessa di Dio, nel senso di « signore per ec- cellenza » 0 « signore universale », & reso possibile dal collegamento di ‘adén con un genitivo, che esprime T'universalita del dominio. Simili espres- sioni superlative e iperboliche sono note anche nel repertorio bab. dei titoli divini (p.e. b2/ bale « si- gnore dei signori ». cfr. Tallgvist 40-57) ed anche di quelli regali (oltre a bé/ bélé p.c. anche bél Sar- rani «signore dei re », bel gimri e bel kissati « si- gnore della totalita », cfr. Seux 55-57.90s.), e per- tanto non sono ancora di per sé testimonianza di una fede monoteistica. Nell"AT ebr. ricorrono le espressioni « Dio degli dei e signore dei signori » (Deut 10,17; Sal 436.2s.) € “don kol-hd'aravs « si- gnore di tutta la terra» (Gios 3.11.13; Mi 4,13: Zac 4,14; 6,5; Sal 97,5: 114,7 txt em, cfr. Kraus. BK XV,778.783; alcuni di questi passi potrebbero essere ancora preesilici, eft. Noth, HAT 7.25: H.- M.Lutz, Jahwe, Jerusalem und die Vélker, 1968. 94.96; secondo Kraus, BK XV,199, 'espressione probabilmente « é stata presa dalle tradizioni cul- tuali dell’antica citta gebusea ») miaré’, Vequivalente di “ddén nell'aram. bibl., viene ado- perato due volte nellinvocazione mari « mio signore » rivolta al re (Dan 4,16.21),€ due volte, seguito da un ge- nitivo, in riferimento a Dio: Dan 2,47 mdré* matkin « si- gnore dei re » € 5,23 maré"-3¢majia « signore del cielo » Per i paralleli nelle iscrizioni aram. (titolo di ree di dei) clr. Baudissin, l.c., II1,57-61, DISO 166s. (per il fen. “dir ‘mikm ¢ Varam. mr’ mikn « signore dei re » riferiti a re oft KGalling, Eschmunazar und der Herr der Kénige, ZDPV 79, 1963, 140-151). Il Genesi apocrifo di Qumran ha mohtiplicato considerevolmente i numero di queste espressioni (con la scrittura ynrh), cfr. Fitzmyer. Gen. Ap. 69.75.88.116.220. Riguardo ad ‘@déndj « il signore » usato da solo, al di fuori del? invocazione (circa 70x, soprattutto in Is, Sal, Lam: IRe 3.10.15; 22.6; Re 7.6, 19.23: Is 3.17.18; 4.4; 6,1.8; 7.14.20 ece.; Ez 18.25.29: 21,14, 33,17.20,; Am 5,16, 7,7.8, 9,1; Mi 1,2; Zac 94; Mal 1,12.14; Sal 2,4;,'22.31; 37,13; 54,6 ecc.; Giob 28,28; Lam 1,14.15; 2,1 ecc.; Dan 1.2; 9.3.9; Esd 10.3, dove pero va letto "don? ¢ va ti- ferito ad Esdra, Neem 4.8), resta ancora la diffi- colti di sapere se il testo € originario, come si & detto sopra (IV/4). Il testo attuale in ogni caso suppone il significato esclusivo signore vax? SZuyhi». Quando *dénaj viene usato per evitare il nome di Jahwe a cominciare dal 3* sec a.C. (Bousset-Gressmann 307ss.), fenomeno che é presente anche nei testi di Qumran (M.Delcor, Les Hymnes de Qumran, 1962, 195; cfr. nelf'in- 33. AN ‘addir POTENTE vocazione 1QH 2.20 ece. con Is 12,1; Sal 86.12: 1QH 7.28 con Es 15.11: al di fuori dell'invoca- zione 1QM 12.8 con Sal 99,9; 1QSb 3.1 con Num 6,26), ¢ che infine porta al Q*ré perpetuum ~edondj applicato al tetragramma (—Jhwh), la pa- rola perde completamente il suo carattere origina- rio di appellativo. e diventa una _sostituzione del nome, indicandolo con una perifrasi. = V/_ Per Fuso di ‘adén 0 16s nel tardo giu- daismo © nel NT cfr. W.Foerster, an. x (= GL ThW_ I11,1081-1098 ST V1450-1498): K.H.Rengstorl, art. dzanizy4c. ThW 143-48 (= GLNT 11849-8660), K.G-Kuhn, art, uxsavalts, ThW 1V.470-475 (= GLNT VI1249-1266%, ulte- riore bibliogr. nelle teologie del NT ¢ negli studi sui titoli cristologici E.denmi 7 IN ‘addir POTENTE 1/ La radice “dr « essere grande, forte, potente » & limitata all‘ambito can. (ug.: UT nr. 92; WUS nr. 93; Grondahl 90; fen. pun.: DISOSs.: Harris 74s.) Tra le coniugazioni verbali della radice, il gal « essere po: tente » e il pi. « far potente/glorificare » sono attestati solo nel fen. (DISO 5), mentre il part. ni. « grandioso » (Es 15.6.11) ¢T'hi. « far che qualche cosa si mostri glo- Fiosa » (Is 42.1) sono attestati solo in ebr. La derivazione pitt importante & Naggettivo “addir « forte, potente, grandioso, nobile ». Lo si trova con una certa frequenza nell'ug. ¢ nel fen. pun., anche nel linguaggio quotidiano (p.e. ug. aft adri nella lista 119 [= 107], r. 4,7.9.16.18, secondo UT nr. 92 « up- per-class wife » [moglie appartenente a una classe superiore}, cfr. A. van Selms, Marriage and Family Life in Ugaritic Literature, 1954, 19s.58s.; pun. KAI nr. 65,1. 2 = nr, 81. 5:« dal piu grande al pi pic- colo di essi {= edifici]»: la radice gd! «essere grande » manga nel fen. pun.); in ebr., invece« sia dal punto di vista della formazione nominale sia per la sua utilizzazione, sembra essere piuttosto una parola arcaica 0 arcaicizzante (Gulkowitsch 95). Ih suo fem. & ‘addeeret (< *addirt-, BL, 479), che ha sia il valore astratto di « grandiosita » (Ez 178; Zac 113). si quello concreto di « mantello » (cff. H.W.Hénig, Die Be- Kleidung des Hebriers, 1957, 66ss.). Non si riscontra da nnessuna. parte un significato primario « essere _ampio» (GB 12a), a cui possano essere ricondotti « grandiosita » ¢ cemantello », nel caso che ‘adderreet « mantello » appar- tenga alla radice “dr, potrebbe darsi che I'attributo perma Tente abbia sostituito ta cosa (« quel che € grandioso » < «il grandioso [vestito]»). Piuttosto controverso dal punto di vista esegetico ¢ te- stuale @ il sost. ‘adaer « grandiosita (?) » (Zac 11,13; Mi 2,8 txt em ‘addeercet « mantello »?), cfr. i comm. anche G.W. Ahistrém, VT 17, 1967, 1-7. I nome proprio ‘adrammeelark (2Re 19,37 = Is 37,38) ha il 34 suo nscontro nel fen. Cdrmik = « Mik & fis 75). Il nome divino di 2Re 17 suono, & perd deformato dall'acc re ») (Bissfeldt, KS 1335-339; K.Del 3825.) potente »; Hare pur avendo lo stesso dadmilki (« Adad [2] OrNS 34, 1965, 2/ La diffusione dei vocaboli derivati da questa radice, se si prescinde da ‘adddérar_« mantello » (10x), si limita quasi esclusivamente ai testi poetici ni, 2x, hi. 1x (per i testi vd. sp.) “addr 27x, oltre a Es 15,10 (canto di vittoria dopo Mattraversamento del mare) ¢ Giud 5.13.25 (cantico di Debora) 13x in testi metrici profetici ¢ 7x nel salterio, in prosa solo in [Sam 4.8 (sulla bocca dei filistei) ¢ in Neem 3.5: 10.30; 2Cron 23,20 (nel signilicato di « notabili »): ‘addecrwt « grandiositis » 3x (testi profetici, vd. sp.) Includendo “ddcer (2x) la radive & attestata 44x e 49.13 (nid, 40.) i per i testi qumranici eff. Kuhn. cli 36,7 (hi), 43,11 © 46.17, 50.16 Caddir Konk. 2s 3/ La potenza, la forza e la grandiosita vengono auribuite ¢come in ug. e in fen.) sia a cose (masse dacqua: Es 15,10; Sal 93.4a: cfr. ug. gmt adr « piog- gia forte» in 2059 [= PRU V.59}. 1. 14 alber Is 10.34 txt?, diversamente M.Dahood, Bibl 38, 1957, 65s.: Ez 178.23; Zac 11.2; nave: Is 33,21: ¢ fen. rsr den idrt «i magnifici campi di grano », KAL nr. 14,1. 19) sia a persone (re: Sal 136.18: eft. per il fen. pe. KAL nr. 24, r. $s. sovrani: Ger 30.21; si- enori del gregee = pastori: Ger 2534.35.36: nota- bili: Giud 5.13.25; Ger 14.3; Nah 2,6: 3.18: Sal 16.3: Neem 3.5; 10,30; 2Cron 23,20; Ez 32.18 1x: ug. WUS nr. 92.2"; neopun. KAI nr. 119, 1. 4, @ nr. 126, r. 7: «i potenti di Leptis e tutto i! popolo di L.», cortispondente al lat. ordo et populus). | passi di Neem ¢ delle iscrizioni che abbiamo citato indi- cano che il termine desizna le persone senza porre in evi denza una particolare distinzione dal punto di vista sociale, pressapoco nel senso di « magnati » (E.Meyer. Die Entste: hung des Judentumus. 1896, 132s.), Percid esso_in 2Cron 23.20. essendo pid generico, sostituisce lo specifico e oscuro kari « Carii » di Re 1119, Termini sinonimi sono: eadal « grande » (Sal 136.18: clr Is 42.21), masél « principe » (Ger 30.21. 2Cron 23.20), ibbr « eroe » (Giud 5,13); eft. anche Sal 765. Caratte- ristico € anche Nopposto sa'ir « piccolo, inferiore, gio- vane » (Ger 14,3 « servitore », cfr. S.E.Loewenstamm, Tarbiz 36, 1966/67, 110-115), che ricorre nelle iscrizioni pun. citate sopra (1/). 4/ Come gadal « grande » (—gdl) ed altri aggettivi che esprimono un atteggiamento di stupore di fronte ai potenti, cosi anche ‘addir viene adoperato nei ri guardi di Dio e del divino (W.W.Baudissin, Kyrios, IH, 1929, 85s.120) In ug. (testo 2001 [= PRU V1]. . 7 adrt detto probabil- mente di Astarte) e specialmente nel fen. pun. ‘dr e il fem. “drt sono epiteti fissi di varie divinita: fen. B°I “dr, KAI nr. 9B, r. 5 (Biblo, verso il 500 a.C.); “skn°dr, KAL rir, 58 (Pireo, 3° sec. a.C.); Iside/Astarte, KAI nr. 48, 1.2 (Menfi, 2-1" see. a.C.), pun. (e neopun.) Astarte, Tar e 35 BI (DISO 5s.. KAT U,11.89; 1.-G.Février, Semitica 2, 1949, 21-28: A.Berthier-R.Charlier, Le sanctuaire punique EL Hotta & Constantine, 1955, 14.237) Poiché in Is 10,34 (vd. sp. 3/) ¢ 33.2Ia il testoe Vinterpretazione sono molto dabbi, i passi dove *addir oppure * dr ni./hi. hanno un rilievo teolo- gico sono solo Es 15,6 « ki tua destra, Jahwe, ter- ribile per la forza »: v. 11 « chi & come te macstoso in santita? »; ISam 4.8 « chi ci liberera dalla mano di questo Dio cosi potente? »: Is 42,21 « il Signore si compiacque, per amore della sua giustizia, di rendre la leuge grande ¢ gloriosa »; Sal 8.2.10 « Jahwe, Signore nostro, quanto & potente il tuo nome su tutta ki terra» 76.5 « terribile sci tu. po- lente »: 93.4 « pit potente dello strepito di erandi acque, pid dei Nutti del mare, potente nell‘alto & Jahwe ». Nelle aflermavioni sulla destra di Jahwe, sul suo nome, sulla sua legge ¢ su di lui stesso non si pud scorgere alcuna formula particolare. Vanno notate le espressioni comparativo-superlative di Es. 15.11 ¢ Sal 93.4. II significato non ha una speciale sfumatura teologica. ¢ questa anzi non la si pud supporte, dato Tuso comparativo del termine. Data lambientazione can. della parola, non @ ca- suale il fatto che essa sia applicata a Jahwe special- mente nella tradizione gerosolimitana pitt antica influenzata dall'ambiente can. (1Sam_ 4.8 nel rac- comto dell'arca: Sal 76.5 In un cantico di Sion preesilico, clr. H.-M.Lutz, Jahwe, Jerusalem und die Volker. 1968, 167s.: Sal 93.4, in un altro an- tico salmo regale di Jahwe, cfr. Kraus, BK XV. 648; cfr. anche i versetti a tre membri di Es 15.11 e Sal 93.4 con il parallelismo climatico noto anche in ug.). 5/ Fra le numerose traduzioni di ‘addir da parte dei LXX vanno notate soprattutto Yxyz2ds02 (6x in Sal) @ udyx2 (eal). L'uso ellenistico e orientale di designare Dio con il termine « grande » (W.Grundmann, ant. 12722. ThW IV.535-550 = GLNT VI,1431-1476), che nel NT compare nella formula di acclamazione dell Ar- temide di Efeso (Atti 19,27s.34s.) e si pud constatare anche in Tito 2,13 « del grande Dio ¢ (del) salvatore nostro Gest Cristo », trova corrispondenza in am- biente semitico non gia in ado! ma oltre che nell'aram. rab (ace. rabii, fen. solo rbt « signora » come titolo) anche nel fen. “dr Edenni DTN "adam UOMO 1/7 a) ‘adam « uomo, uomini » compare solo nel can. (ebr. ¢ letteratura post biblica,fen. pun. ¢ ug.) @ sporadicamente nel sem. del sud (HAL 14a), In ug, si trova adin « uomini » una volta in parallelo con fim (= ebr. 6m «gente ») in ‘nt (= V AB] TLR. & OTS adam UOMO 36 nell'espressione ab adm «padre dell'umanita » nel poema di Krt ("ab 1V/3a). In fen. pun. da ‘dm si forma anche il plur. ‘dmm (DISO 4) Nell'antico arab. del sud ‘dm significa « servo » (Conti Rossini 100b). Per la forma medioebr. “adn cfr. E.Y.Kutscher, FS Baumgartner 1967, 160. La questione della derivazione del termine non ha ancora raggiunto alcun risultato sicuro (cfr. i les- sici e i comm. a Gen 2,7, in particolare anche Th.C.Vriezen, Onderzoek naar de Paradijsvoor- stelling bij de oude semietische Volken, 1937, 63s.129-132.239). Vriezen ([.c.) riporta i tentativi di spiegare i termine par- tendo dal sum. o dall'ass, bab.,¢ di far derivare la figura di Adamo da nomi di dei o da figure mitiche (come fau- tori di civilta, analogamente ad Adapa, secondo de Lia- ‘gre-Bohl) e giunge alla conclusione che nessuno di que- sti tentativi di un risultato sicuro. Poiché questi tenta~ tivi (cfr. anche GB 10a; KBL 12s.) non si rinnovarono se non raramente o furono trascurati del tutto, non ven- gono qui tenuti in corfsiderazione. Vriezen si pone anche il problema della relazione tra dam e “dama (cfr. Gen 2,7 con un gioco di parole tipi- camente ebr.): si ha qui solo un'etimologia popolare op- pure una connessione linguistica originaria? Le risposte date finora a questa domanda sono varie; mentre Kohler € altri accettano come terta la derivazione di ‘adam da “dima (Theol. 237 n. 57, 240 n. 97), Th. Néldeke (ARW 8, 1905, 161) € altri sono del parere che i due ter- mini non hanno alcuna relazione fra loro. Vriezen con- clude che il termine va spiegato soltanto in base all'ebr. (€ qui si dovrebbe pensare al verbo ‘dm « essere rosso») oppure tenendo presenti diverse possibilita dell'arabo. La derivazione pit probabile é per lui quella proposta da H.Bauer, ZDMG 71, 1917, 413, ZA 37, 1927, 310s., dall'arab. *adam(at) « pelle, superficie », che nellarab. del sud e in ebr. avrebbe assunto il significato di « uomo » come parte per il tutto, mentre l'arab. ha conservato il icato antico. E possibile allora una connessione tra “adam e “@damd « superficie terrestre », ma in modo diverso da come viene presupposta dall'au- tore di Gen 2-3. Cfr. pero anche —"“damd (1). I significato arab. di « pelle », che atfbiamo menzionato, é visto da G.R.Driver, JTHSt 39, 1938, 161 (HAL 14b; cfr. Barr, CPT 154) anche in Os 114 (parallelo a 'ah*ba, per il quale si suppone pure il senso di « pelle », —hb 1), ma tale significato non pud essere accettato come certo (Cf. Wolff, BK XIV/1, 258, Rudolph, KAT XIII/1210). b) Oltre a ’adam compare in ebr. pid raramente la parola “nd, la cui radice appartiene al sem. co- mune, mentre nell'aram. bibl. “nd @ il termine normale per « uomo/uomini » (<* un Wagner nr. 19/20; P.Fronzaroli, AAD VIII/19, 1964, 244.262.275: 75 D). 2/ a) La parola compare nell’ AT 554x (incluso Os 6,7, 11,4; 13,2, ma senza il nome personale Adamo di Gen 4,25; 5,1.1.3.4.5; 1Cron 1,1). La di- stribuzione dei passi é piuttosto singolare. Nel solo Ez si hanno 132 passi (di cui 93 quando Dio ri- volge la parola al profeta: been-"adam). Al'infuori di Ez ‘adam compare in modo pid massiccio in due testi: in Gen 1-11 46x (per contro in Gen 12- 37 DTN adam UOMO 50 nessuna volta se si eccettua Gen 16,12 paéra® “adam), e in Eccle 49x. Una certa frequenza si ha ancora soltanto in Prov (45x) e Sal (62x); altrove la distribuzione é@ del tutto casuale (Ger 36x, Is & Giob 27x, Num 24x, Lev 15x, Es 14x, negli altri libri meno di 10x, manca in Abd, Nah, Rut, Cant Est. Esd), 'b) "nds compare 42x (Giob 18x, Sal 13x, Is 8x; inoltre Deut 32,26; Ger 20,10; 2Cron 14.10), ¢ solo in testi poetici (2Cron 14,10, in quanto preghiera, non costituisce un’eccezione). Si ha inolire “nds come nome proprio in Gen 4,26: 56-11; 1Cron 1.1. Laram. “*nds ricorre 25x (Dan 23x, Esd 2x, in Dan 4,14 al posto del plur. ebr. ““nasim biso: gna leggere la forma “*ndia), 0 collettivo/gene- tale o individualizzato nellespressione bar “nds (Dan 7,13; cfr. C.Colpe, TaW VIII.403ss. con bi- bliogr.) opp. plur. b'né “*nasa (Dan 2.38; 5,21), in testi poetici e non poetici. 3/ a) “Adam significa collettivamente « !'uomo (il genere umano), 'umanita, gli uomini » ¢ viene adoperato (a differenza di —73 « uomo [ma- schio] ») solo al sing. e in st. assol., mai con sut- fissi. « L'uomo singolo» viene designato con been-adam, il plur. « i (singoli) uomini » con b'né/ b'not (ha)-"adam (cfr. L:Kéhler, ThZ 1, 1945, 71s.; id... Theol. 114s.:—bén). II significato del ter- mine resta invariato lungo tutto I'AT. Esso pud essere uSato in espressioni composte come « san- gue dell" uomo » (Gen 9,6; secondo KBL 12b sono Circa 40 le connessioni di questo tipo), anche come genitivo al posto di un aggettivo «in maniera umana » (2Sam 7,14; Os 11,4), ¢ inoltre in espres- sioni generiche, dove si pud tradurre con « cia- scuno » (Lev 1,2 ecc.), « tutti » (Sal 64,10), al ne- Bativo « nessuno » (1Re 8,46; Neem 2,12)(cfr. an- che st. 41). ‘Come espressione fissa si trova solo mé'édém (we)‘ad- behema « gli uomini e le bestie » (Gen 6,7; 7.23; Es 9.25: 12,12; Num 3,13; Ger 50,3; 51,62; Sal 135.8). Altre serie con b*héma « bestiame, ‘animali» sono Es 8.13.14 9,.9.10.19.22.25; 132.15; Lev 7.21; 27,28; Num 8.17, 1815.15; 31,11.26.30.47; Ger 7,20, 21,6; 275, 31,27; 32.43; 33.10.12: 36,29, Ez 14,13.17.19.21; 25.13; 29.8; 36,11; Giona 3,7.8; Sof 1.3, Agg 1,11; Zac 2,8; Sal 36,7, eff. Eecle. 3,19 Il termine che ricorre pid spesso come corrispondente in parallelismo @ —‘3 (III/4c), cfr. 2Re 7,10; Is 29; 5,15; 52,14; Sal 49.3; 62,10; con “nasi Is 2.11.17 ecc, b) ‘#705 non ha mai l'articolo e compare solo al singolare. In senso stretto é, come ‘adam, un nome collettivo, e significa percid in tutti i passi « gli uomini » oppure « uomini »; una volta é in- dividualizzato: baen-’*nds (Sal 144,3). L.Kohier dice che « si estingue nell uso » (KBL 68a), ma cid forse non é del tutto esatto, dato che esso compare ancora 18x nel libro tardivo di Giobbe. Si pud tut- tavia affermare che il suo uso é ben circoscritto: si trova solo in testi poetici, senza articolo e in un campo semantico molto ridotto. Si possono inoltre 38 presupporre quegli usi limitati che si riscontrano per il vocabolo “adam (vd. st. 4a): anche il voca- bolo “nd non ricorre mai in testi storici, o anche quando i! contesto si riferisce alla storia o alla « storia della salvezza ». In Giob e Sal prevalgono i passi in cui si parla dell’'uorno come essere mortale, caduco ¢ limitato: Sal 103,15 « i giorni dell’ uomo sono come lerba », similmente 73,5; 90.3; 85 = 1443; Giob 7.1; 14,19; 25.6; 28,13. L'uomo davanti a Dio non pud essere giusto (puro): Giob 4,17: 9.2: 15.14: 25.4; 33.26. Egli viene designato come “nds in contrap- posizione a Dio:-Giob 7.17; 10.4.5: 13.9: 32.8: 33,12; 36,25. Vicina a questo significato é anche la designazione dei nemici in alcuni passi dei salmi: Sal 9,20.21; 10,18: 56.2; 66,12; cfr. 55,14. La con- nessione é chiara in 9,21 «i pagani debbono rico- noscere di essere uomini». Nello stesso senso vanno intesi, all'infuori dei salmi e di Giobbe, sei passi del libro di Isaia: Is 13,7.12: 24.6; 33,8, 51,7.12; inoltre 2Cron 14,10. Cosi 33 passi su 42 formano un gruppo semantico organico (cfr. an- che st. 4e-h).. Il termine non é perd usato in questa maniera in Deut 32,26: Is 8.1; 56,2; Ger 20,10: Sal 53,14: 104,15.15; Giob 5,17; 28,4. Quasi sempre si tratta di espressioni fisse oppure di strette connessioni verbali: ‘aire “nds «beato Tuomo» (Is 56.2: Giob 5,17 Fab “nds «cuore dell’'uomo » (Is 13,7; Sal 104,15.15); heercey “nds « stilo umano (= comune tra gli uomini) » (Is 8.1 Wildberger, BK. X,311s.); “a5 Imi « mio con- fidente » (Ger 20,10; cfr. Sal 55,14 “nds &erkT «un uomo simile a me »). Se “*nd3 in questi con- testi ha mantenuto un significato neutrale, lo si deve forse ad uno stadio linguistico piu antico, in cui “nd5 veniva usato ancora in un senso piu am- pio € comune. Fuori di tali connessioni il signifi- cato neutrale si trova in Deut 32.26 e Giob 284: qui mé*nds «tra gli uomini» potrebbe essere un’espressione fissa. Questo senso comune e neutrale (vd. st. 41) si ha anche nei passi in cui “73 @ un nome proprio (Gen 4,26; 5,6.7.9.10.11; 1Cron 1,1; cfr. Wester- mann, BK I, commento a Gen 4,26). 4/ a) Nell'AT non si parla indifferentemente di “adam ogni volta che ci si riferisce all’essere umano, ma in prevalenza quando questo essere € visto in relazione con la sua creaturalita o con un particolare elemento della sua creaturalita. ‘adam non é ’uomo che si manifesta nella famiglia, nella politica, nelle preoccupazioni quotidiane o’ nelle relazioni sociali; si parla di ‘adam solo dove egli al di [a di tutti questi riferimenti @ inteso nel suo mero essere umano. Ma soprattutto: la particolare azione salvifica di Dio, la storia di Dio col suo po- polo non ha nulla a che fare con lo ‘adam. Non solo i due complessi letterari in cui ‘adam ricorre pid spesso (Gen 1-11 e Eccle), ma anche i diversi usi del termine che sono collegati tra loro per af- finita di contenuto, hanno a che fare con I'uomo 39 come creatura 0 con un aspetto della sua creatu- ralitaz nei libri storici 0 profetici non si hanno complessi letterari fissi per forma o contenuto, né modi di esprimersi particolari in cui ‘adam eserciti una funzione speciale. 5 b) Il vocabolo ‘adam si ambienta bene nella storia delle origini, e cio’ in quelle parti di Gen 1-1] che trattano deli'uomo nell'insieme degli eventi_ pri- mordiali: creazione dell'uomo (Gen 1,26-30 e 2.4b-24), cacciata dal paradiso (Gen 3), diluvio (Gen 6-9) ¢ dispersione degli uomini (Gen 11.1- 10). Al di fuori di queste narrazioni il vocabolo trova solo in 4,1 (ha’ddam).25 e 5.1.1; qui pero * dam é divenuto nome proprio (0 tende a diven- tarlo). II fatto che Ie ricorrenze siano numerose in queste narrazioni della storia delle origini, e che si limitino ad essa, mostra che “adam nell’ AT des gna l'uomo (in senso collettivo) prima e al di fuori di tutte le determinazioni, le quali cominciano con i nomi che formano le genealogie, e prima di ogni divisione dell'umanita in popoli, a partire da Gen 11 opp. dalla tavola dei popoli. I racconti che trattano dell’uomo in questo senso seguono due temi principali: trattano della creazione dell’ uomo (c)e della limitatezza dell’essere umano nelle nar- razioni di colpa e punizione (d).-Essi confermano le due affermazioni fondamentali che TAT fa sull'uomo: egli é creatura di Dio, e come creatur ha, in contrapposizione a Dio. un‘esistenza limi- tata c) J racconti della creazione dell’uomo (clr. E.Lussier, Adam in Gen 1,1-4,24, CBQ 18, 1956, 137-139) sono in Gen 1,26-30 e 2,4b-24. Quanto si pud dedurre dalla storia delle religioni sui rac- conti di creazione mostra che la creazione del mondo e fa creazione dell’'uomo costituiscono originariamente due tradizioni distinte. Si constata p.e. che nelle civilta primitive la creazione € intesa quasi sempre solo come creazione dell'uomo, che al contrario in Egitto crea- Zione significa prevalentemente creazione del mondo, cio’ cosmogonia. Percid la cosmogonia che prevale nelle civilta sviluppate ha incluso in sé la creazione dell’ uomo, ambedue p.e. sono unite nell Enuma elig ¢ in Gen 1. In- vece in Gén 2 si ha la tradizione della creazione del'uomo. Non é esatto quindi parlare di due racconti della creazione, uno pit antico (Gen 2-3) ¢ uno pitt re- cente (Gen 1), tanto pit che si pud considerare’come pa- rallelo di Gen 2 solo Gen 1, 26-30, ma non Gen I.1- 24a. Liesegesi di Gen 1 basata sulla storia delle tradi- Zioni mostra chiaramente l'indipendenza originaria di Gen 1,26-30 (Westermann, BK 1,198ss.) Gen 2-3 & un racconto la cui unita letteraria dovuta a J, ma in esso si possono ancora riconoscere facilmente due racconti originariamente distinti: un racconto della creazione del'uomo in 2,4b-24 ¢ il racconto della cac- ciata dal giardino in 2.9.16.17.25; 3.1-24. I! primo appar- tiene a quelle narrazioni che hanno per tema la creazione dell'uomo, il secondo spiega la limitatezza dell'uomo. Riunendo i due racconti, J ha voluto esprimere che que- sti due motivi fondamentali sono tra loro affini. Ambedue le narrazioni della creazione dell’ uomo in Gen 1,26-30 e 2,4b-24 dicono che Iuomo trae la Sua esistenza da Dio (1), che egli fin dall’inizio OTN “adam UOMO 40 @ imteso come essere sociale (2), che la sua crea- zione comporta anche il suo sostentamento con il cibo (3) € che a lui é affidato il dominio sugli ani- mali e sulle altre creature (4). P contiene inoltre Taffermazione particolare che Dio ha benedetio Tuomo (5) e che lo ha creato a sua immagine (-seekem) (6). (1) Nessuna delle due narrazioni intende affer- mare propriamente che Dio ha creato il primo uomo (0 i primi uomini). La creazione del!‘uomo. @ piuttosto un‘affermazione tipica delle narrazioni delle origini, che resta al di la di ogni storia di cui si possa avere esperienza ¢ di cui si possano avere documenti. Viene detto solo che 'umanita. e cioé ogni uomo, trae la sua esistenza da Dio, niente di pill e niente di meno. Luomo creato da Dio di- venta Adamo (nome proprio) solo per il fatto che apre la serie delle generazioni (4,1.25: 5,1): nei rac- conti di creazione 'uomo creato non fat parte di una serie determinata. Il racconto della creazione dell'uomo dice perd che l'uomo é tale solo in quanto creatura di Dio; non é possibile qui sepa- rare 'uomo come tale dal suo essere creato. Cid che 'uomo é, lo @ in quanto creatura di Dio. (2) La creazione dell’'uomo come essere sociale viene affermata in forma lapidaria in Gen 1, 26- 30: «ti cred maschio e femmina ». In Gen 2.4-24 questo é lo scopo della narrazione: l'uomo formato da Dio con polvere (2,7) non @ ancora propria- mente la creatura che Dio intendeva (« non & bene...» 2,18); la creazione dell'uomo é vera- mente riuscita solo con la creazione della donna Jha posto quindi in particolare evidenza quest'aspetto della creazione dell’ uomo, e cio’ che egli raggiunge la sua autenticita solo nella societ’ (cfr. su questo punto Pedersen, Israel 1/11.61s.). (3) Secondo le due narrazioni, al sostentamento del'uomo si provvede anzituito con un nutri- mento vegetale (1,29; 2,8.9.15); il nutrimento con carne di animali subentra solo quando l’uomo si allontana da Dio. Questo tema ricorre in tutti quei passi (particolarmente nei_salmi) che affermano che Dio provvede al nutrmento delle sue crea- ture. (4) Contrariamente alla concezione sumerico-ba- bilonese della creazione dell'uomo, quest’ ultimo nell"AT non viene creato, secondo J e P, per ser- vire gli dei, ossia per il culto, ma per dominare su- ali animali (1 ,26b.28b; 2,19.20), e quindi anche sul resto della creazione (1,28), ¢ per lavorare il suolo (2,15; eft. 2,5b). La coltivazione, la lavorazione della terra @ quindi basata sulla stessa creazione dell’'uomo, oppure riceve con essa la sua motiva- zione. Non si pud separare questo compito dalla natura dell‘uomo. (5) parla espressamente della benedizione dell'uomo, connessa con la sua creazione (1,28). Cid che P afferma in modo astratto, viene detto da J in forma narrativa: la fertilita che si intende esprimere con la benedizione si attua nel susse- guirsi delle generazioni, con la procreazione e la 41 DIS “adam UOMO nascita dei discendenti (4,1.2.25), L'uomo ereato da Dio é un essere che si’ protrae nel susseguirsi delle generazioni (6) Per quanto riguarda laffermazione che Dio cred Fuomo a sua immagine, molti sono i tenta- tivi di spicgazione; cfr. in proposito Westermann. BK 1,197ss., dove sulla base della storia delle re- ligioni viene proposta linterpretazione seguemte: Dio cred uomo a sua corrispondenza, come suo partner, in modo tale che tra questa creatura ¢ il suo creatore pud avvenire qualcosa; essa pud udire il suo creatore e rispondergli, Questa precisazione ha un carattere esplicativo; con essa non si giunge qualcosa allt creazione dell'uomo, ma si Chiarisce piuttosto cosa vuole esprimere il faut: che 'uomo é creato (cosi anche p.c. K.Barth, Kir chliche Dogmatik, III/1, 1945, 206s.). J, anche se non contiene questa aflermazione particolare. esprime tuttavia la stessa cosa collegando il ra conto vero ¢ proprio della creazione 2,4-24 con li narrazione della trasgressione del precetto ¢ della cacciata dal giardino: Dio ha creato Puomo perché vi sia qualcosa tra lui ¢ ka sua creatura d) Le narrazioni di colpa e punizione formano un secondo gruppo. Quando si hanno racconti dell: creazione dell'uomo, 0 affermazioni sulla sua crea- turalita, si hanno anche narrazioni o affermazioni che dicono qualcosa sulta limitatezza dell uomo. | due elementi sono collegati per,contrasto: perché T'uomo, pur essendo creatura di Dio, ¢ cosi vars. mente limitato nella sua esistenza? Le risposte a questa domanda possono essere varie; nell AT come anche da molte altre parti - si cerca la spie- gazione in una mancanza dell’ uomo. La narrazione della cacciata dal giardino in Gen 3 si de- linea fondamentalmente cosi: Dio colloca gli uontini da lui creati in un giardino pieno di frutti, ¢ permette loro di cibarsi dei trutti di tutti eli alberi: solo di un albero proibisce di mangiare il frutto. Ciononostante gli uomint mangiano il frutto di quest‘albero ¢ vengono percid cac- ciati dal giardino. Sono cosi allontanati da Dio, € questo allontanamento equivale ad un’esistenza in qualche modo limitata. Questo filone principale é intessuto e at- ricchito con una serie di altri motivi, che un tempo [a- cevano parte di altri racconti indipendenti, appartenenti allo. stesso tipo di narrazioni: soprattutto il motivo dell’albero della vita, che & noto anche altrove (pe. nell’epopea di Gilgames e nel mito di Adapa), ma anche le singole sentenze di condanna, che esplicitano la limi- tatezza dell’esistenza, ¢ forse anche la scena della tenta- zione col serpente Cid che J vuol dire sull'uomo con questo racconto si pud cosi compendiare: (1) non solo la creaturalita dellesi- stenza umana, ma anche la sua limitatezza é fondata su un evento originario che si svolge fra Dio ¢ 'uomo. (2) La violazione del precetto di Dio € la condanna di tale violazione € un avvenimento originario, che viene lasciato nella sua enigmaticita ed inesplicabilita. Colpa e punizione caratterizzano l'uomo come tale: non c’é al cuna esistenza umana che ne sia esente, (3) Dio acco- glie "'uomo che ha peccato contro di lui. Anche se 10 al ontana da sé dando luogo cosi ad un’esistenza limitata da affanni, dolori e morte, gli concede ancora la vitae gli permette di continuare a vivere nel tempo. Solo se prese insieme queste tre affermazioni possono rendere cid che la narrazione intende dire. Una spicet- ‘rone per kt quale Uno stato paradisiaco di innocenza si trasforma a causa del « peccato originale » in uno stato Ui umanita decaduta, non corrisponde al testo ¢ al senso della narrazione. Nella narrazione il precetto, 1: fine ¢ il castigo sono in ugual Maniera un avvenimento originario, che non si pud tradurre € dividere in periodi stonei, La desiynazione « peceato originale », che ha in- trodotto nelFesegesi della narrazione questa sfumatura rmente diversa (@ con conseguen7e molto impur- tantii deriva dal giudaismo tardive (IV Esdra), a possihilita che ha Tuomo di peccare. la quale f4 parte lei evento originario, acquista un altro aspetto nel rac~ conto del diluvio in Gen 6-9. Mentre in Gen 3 Ce 4) si parkt delkt marfeanza di un singolo yom. in Gen 6-9 si tratta di un fenomeno che investe tutta Fumaniti, ¢ cioe che Un gruppo, una comunita umana pud andare in ro: Vina e perire. Qui per la prima volta si allerma che il cre- atore puo annientare la sua creazione: tale possibilitar € gia racchiusa potenzialmente nel fatto che il mondo ¢ Tumanita hanno un ereatore: il ereatore ha come tale kt capucita di distruggere la sua opera. Per questo motivo le narrazioni del diluvio (0 dell'incendio) universale hanno sulla terra la stessa diflusione dei racconti di creazione Qui si fonda lo schema tempo delle origini-tempo finale sila possibiliti della corruzione del genere umano corri- Sponde ks possibilita del suo annientamento. Nell'apoca- litica quello che avverri: per Tumanita coincide con quanto & avvenuto al tempo delle origini, Per quanto riguarda la concezione dell'uomo. da Gen 6- si ricava: (1) Fumanita che si propaga ha la possibilita Gi corrompersiin blocco. (2) Il creatore ha fa possibilita Gisnnientare Fumanita da lui creata. (3) Co! diluvio & ka salvezea di un individuo dal diluvio Cuomo nella sua esisiensa riceve una vita che consiste in una liberazione 0 in una preservazione dalle grandi catastrofi. (4) La promessa che non sopraggiungera pid una catastrofe universale « finché durera il mondo » fonda la storia cil’ umanita, che contiene (parziali) corruzioni di un in- tero gruppo e (parziali) catastrofi. Cosi la salvezza e lt preservazione diventano un fenomeno che appartiene alFumanita Nel racconto della costruzione della torre si vede un su- peramento dei limiti, particolarmente pericoloso per rumaniti, consistente nell'autoesaltazione dell'uomo nell'ambito della politica (citté € torre) e nel campo del progresso tecnico (che come tale € tuttavia accettato). La punizione « misericordiaga », che ancora una volta lascia in vita, € in questo caso la dispersione e T'allontana- mento. e) In una serie di passi si ricorda la creazione del'uomo o si fa accenno a motivi di creazione, pe. Deut 4,32 « dal giomo in cui Dio creé 'uomo. sulla terra», oppure Es 4,11; Is 17,7; 45,12; Ger 27,5; Zac 12,1; Sal 8,5ss.; 139,13ss.; Giob 15,7, 20.4; Prov 8,31 (la sapienza nella creazione: « po- nevo le mie delizie tra gli uomini»), inoltre Sal 115,16 (Dio ha affidato la terra agli uomini); Deut 32,8 (allusione alla separazione dei popoli). In stretta connessione con la creaturalit: deil'uomo stanno anche le affermazioni in cui Tuomo come creatura riceve un valore o una di- gnita che deve essere preservata e custodita. La vita dell’ uomo é custodita poiché egti é creatura di Dio (Gen 9.5s.). Cid viene ripreso nelle leggi uccide un uomo... » (Lev 24,17.21). 43 In Gen 9.6 it fondamento di questo sta nel fatto che 'uomo é creato ad immagine di Dio: si ha qui un primo passo verso il concetto moderno della «digniti dell'uomo », questa € fondata sulla crea- turalita dell'uomo e si esprime nel fatto che la vita dell'uomo € protetta perché egli ¢ creature di Dio. Una simile idea della-dignita dell’uomo si ritrova anche in espressioni come quella di Ab 1,14 «se egli (il conquistatore) tratta gli uo- mini come i pesci del mare ». Essa si manifesta nel fatto che «!uomo non vive di solo pane » (Deut 8.9) 0 net lamento « io invece sono un verme, non un uomo » (Sal 22,7), ¢ con una forza particolare nel canto del servo di Jahwe 1s 52.14 « tanto sfigurato per essere di un uomo era il suo aspetto, e non pill umano il suo volto ». Negli stessi termini parlano di umaniti anche 2Sam 7.14 ¢ Os 114. Anche questa dignité Puomo non Tha da sé: essa € fondata sul fatto che Dio si prende cura di lui «che cos’é I'uomo (““end8) perché tu ti ricordi di lui, ¢ il figlio dell’ uomo (bcen-'adam) perché tu ti prenda cura di lui? » (Sal 8.5). Una gran quantita di passi parlano della protezione accordata da Dio I'uomo: egli é il «guardiano degli uomini » (Giob 7,20), e con una tale protezione e una tale custodia egli opera «i suoi prodigi per i figh dell’ uomo » (Sal 107.8.15.21.31; inoltre Sal 36.7.8 80.18 eve.) 1) LAT esprime cid che Puomo é nellat sua realt soprattutio quando vede I'uomo di [ronte # Dio. nella sua distanza da lui e nella sua dipendenza dit lui. Per quest’uso di ‘adam (circa 60 passi) si in- contra una particolare difficolta. La visione vete- rotestamentaria dell’'uomo non parte dall'uomo quale é in se stesso, fondato sulla propria es stenza, che poi in un modo o nell'altro entra in re- lazione con Dio; con ‘adam si intende invece un essere umano che sta in relazione con Dio. L'uomo come tale non pud essere caratterizzato né compreso, se la sua esistenza non @ posta di fronte a Dio. Alla creaturalita, come @ presentata nella storia delle origini, corrisponde il fatto che in questo gruppo di passi la relazione tra Dio e 'uomo sem- bra fondata su un contrasto. L’essere dell'uomo include necessariamente questa limitazione, che deriva da tale contrapposizione; se egli non os- serva 0 trascura questa limitazione, resta partico- larmente minacciato nel suo essere umano: « nes- sun uomo che mi vede resta in vita » (Es 33.20). Cid @ espresso in un testo singolare © particolarmente pregnante di Isaia, in un detio contro la politica di al- leanza con lEgitto: « ma Egitto € uomo € non Dio... » (Is 31,3). In 31,8 il vocabolo ricorre nuovamente con si- gnificato analogo: « L’Assiria cadra sotto una spada che non é di un uomo, una spada non umana la divorera ». La frase di Is 31.3 viene ripresa da Ezechiele nelle parole rivolte al principe di Tiro (Ez 28,2.9). Si noti che in en- trambi i passi Isaia amplia lo schema tipico della parola profetica, esprimendo qualcosa di specifico per la sua predicazione, al di la delle forme che il discorso profetico OWS ‘adam UOMO 44 ha assunto prima di lui. II vero e proprio motivo per cui in Is 31,1-3 si mette in guardia contro lalleanza con MEgitto & Pannuncio deli'annientamento del « protet- tore » al v. 3b. Si amplia questo motivo facendo riferi- ‘mento alla limitatezza di tutte le potenze umane, limita- tezza che & intrinseca all’'uomo. In 31,8 vi é lo stesso ri- ferimento: I’ Assiria sara annientata, ma non dalla spada di un uomo (p.e. dell'Egitto): qui agisce solo il non- uomo, il creatore che come tale ¢ anche signore della storia. La frase « Egitto € uomo e non Dio» é quindi un‘asserzione che si fonda sulla creaturalita dell'uomo; essa é indipendente dalla storia particolare di Dio con Isracle . Nello stesso. contesto va collocato il ritornello di Is 2.9.11.17; 5,15 « allora 'uomo verra umiliato e il forte sara abbassato... » (0 sim.). Wildberger, BK X,103s, ri- corda giustamente che questo detto sul rovesciamento delle posizioni non fa parte propriamente del linguaggio profetico: « Senza dubbio Isaia cita un detto sapienziale, che ha introdotto al v.9 con l'impf. cons., ma che ha usato in forma pitt originaria anche in 2.17 € 5,15 ». Egli rimanda al medesimo parallelismo tra ‘75 “dddm che si trova anche in Prov 12,14; 19,22: 24.30; 30,2: Sai 49.3: «{n tali detti 'umiliazione € Nannientamento sono la conseguenza di_una stolta esaltazione » (cfr. anche Ger 10.14; 51,17). Isaia, annunciando in 2,12-17 «il giorno » che giunge su ogni soltezza ed ogni superbia, ¢ nel quale solo Jahwe sara innalzato, e rifacendosi cosi ad un detto sapienziale, che contrappone tra loro Dio e Tuomo, stabitisce un importante contatto tra il linguag- gio profetico ¢ quello sapienziale: quando il giudizio, che propriamente vale solo per Israele, viene esteso a « tutti gli vomini », 'annuncio si serve della contrapposizione Dio-uomo, la quale vuole impedire di valicare i confini La stessa opposizione ricompare anche altrove: « Dio non é uomo ("73), perché possa mentire, non @ un figlio dell'uomo (baen-adam) perché possa pentirsi » (Num 23,19; cfr. 1Sam 15,29). In tali frasi si impedisce a Dio di abbassarsi al livello dell'uomo; similmente in Mal 3,8 « ... pud mai un uomo ingannare Dio? ». Queste espressioni mo- strano perd anche che il voler conservare i confini tra Dio e 'uomo non conduce ad affermazioni di carattere ontologico. Non si fanno asserzioni astratte sull’essere di Dio né su quello dell’uomo. Si tratta sempre di un’opposizione che si manife- sta negli eventi e non diviene mai opposizione a Priori. Percid non si hanno mai affermazioni che esprimono un diverso modo di essere di Dio e dell'uomo. La contrapposizione acquista impor- tanza decisiva soprattutto quando un uomo si trova a dover decidere su chi debba riporre la pro- pria fiducia, e quando il confidare in Dio é con la massima chiarezza contrapposto al confidare nell’uomo: Ger 17,5; Mi 5,8; Sal 36,8; 118.8; 146,3; « poiché l’aiuto dell'uomo non serve a nulla » (Sal 60,13, 108,13); si preferirebbe cadere nelle mani di Dio che in quelle degli uomini (2Sam 24,14 = 1Cron 21,13); se si confida in Dio non si avra pitt paura degli uomini (Is 51,12). I contrasto si mostra anche nel fatto che ci si oppone vi- vamente alla costruzione di immagini di Dio: queste sono opere delle mani dell’'uomo (2Re 19,18 = Is 37.19, Sal 115,4; 135,15; Ger 16,20 « come pud un uomo fabb carsi degli dei? »; eft. Is 44,11.13), 45 O18 dam UOMO In questo senso si pud ricordare anche l'espressione con cui Dio si rivolge al profeta Ezechicle « figlio dell'uomo! », che ricorre pir di 90x. Cfr. Zimmerii, BK XIII,70s.: « 'accento é posto su “édam,a cui bisogna collegare il termine opposto ‘é/, che resta sottinteso (Is 31); Ez 28,2) ». Si tratta quindi della stessa contrap- posizione Dio-uomo che si ha in Is 31,3 € 2.11.17, solo che qui viene contrapposto a Dio il profeta stesso, nella ‘sua pura creaturalita limitata. g) Nella creazione dell'uomo trova la sua ragione il fatto che uomo e animale vengano considerati come gli unici esseri viventi. In J la creazione de- uli animali sta in stretta connessione con quella degli uomini (Gen 2,7.18-24), in P animali ¢ uo- mini_ricevono la benedizione del creatore (Gen 1,22.28). Cosi pure animali e uomini stanno in- sieme nel racconto del diluvio (Gen 6,3; 7,23). La relazione comune tra uomini e animali viene espressa nell’ unica formula fissa che si é formata con “adanr. mé adam “ad b*héma « uomini e be- stie » (vd. sp. 3). In molti altri luoghi uomini e animali sono noniinati in: sieme, ma la formula non viene usata: nel riscatto del primogenito degli uomini degli animali (Es 12.12: 13,2.13.15, Num 3,13; 8,17; 18.15), nel bottino di guerra (Num 31,11.26.35:40:46; Gios 11,14), nellolferta cul tuale del bottino di guerra (Num 3128.30.47). Come nella creazione, cosi anche quando si parla di annienta- mento uomini e animali vengono spesso nominati in- sieme, p.c. nelle piaghe d’Egitto (Es 8.13.14, 9,9.10.19.22.25: 12,12; Sal 135.8); uomini & animal sa- fanno annientati alla caduta di Babilonia (Ger 50. Spesso la distruzione totale abbraccia uomini ¢ animali (Ger 36.29 «e devastano questo territorio annientando in esso uomini € animali », inoltre Ger 7.20; 21,6; 27.Ss. 50,3: $1,62: Ez 14,13.17.19°21; 25,13; 29.8: 38.20; Sof 13 ‘Age 1,11; Solo uomini Zac 11,6). Uominie animali ven- gono accomunati nel pentimento quando in Giona 3.7.8 si annuncia lo sterminio; anche nell’invettiva di Abacuc contro l'invasore essi sono collocati sullo stesso piano (Ab 28.17). E singolare il fatio che gli annunei di ster- minio di uomini e animali ricorrano solo nelle piaghe 'Egitto € in seguito solo nei profeti a partire da Gere- mia. Anche nella promessa riguardante il tempo dopo il giudizio uomini e animali vengono talvolta nominati it sieme: Ez 36,11 « moltiplicherd fra voi uomini e ani- mali »; cosi anche Ger 31,27; Zac 2,8; 8,10 (solo uomini Ger 51,14; Ez 36,10.12.37.38; Mi 2,12) h) L'uomo condivide con gli animali la caducita; V'Ecclesiaste lo esprime chiaramente in un passo: « poiché il destino dei figli degli uomini é simile a quello delle bestie» (3,19; cfr. Sal 49,13), Anch’essa é fondata sulla storia delle origini (Gen 3,19.24), come Ia fallibilita o la malvagita dell’ uomo (nei racconti di colpa e punizione), che spesso é collegata alla caducita. Talvolta, come in Num 16,29, la caducita viene solo constatata: « se essi muoiono, come muoiono: tutti gli uomini, se a loro succede quello che suc- cede a tutti » (similmente Ez 31,14; Sal 73.5; 82,7; cfr. anche Giud 16,7.11.17). Il discorso sull’'uomo caduco trova la sua ambientazione particolare nel famento sulla caducita, che @ un ampliamento dei lamenti del singolo (o di un gruppo) (Sal 39,6.12 «ogni uomo non é che un soffio »; 49.13.21, 46 62,10; 89,48; 90,3, 144.4; Giob 14,1.10; 25,6; 34,15; Is 2,22). Questo lamento sulla caducita & particolarmente elaborato in Giobbe, soprattutto in 14,1-12. Anche qui non si puo affermare che il vocabolo « uomo » sia in se stesso un termine ca- ratteristico del lamento; ‘adam ricorre anzi solo nell’ampliamento con il quale si da libero sfogo al lamento del sofferente, per cui egli con la sua sof- ferenza particolare si considera partecipe della ca- ducita di tutti gli uomini. Questa nullita 0 cuduciti sta in stretta connes- sione con la fallibilité del'uomo o Ia sua malva- gita, sia in Gen I-11 che in Giob 141-12 (v. 4 «come potrebbe un puro derivare da un impuro? E impossibile! ») e corrispondentemente in Sal 90,7-9 (cfr. Num 5,6 «i peceati che commet- tono gli uomini »). Va spieato cosi il fatto singo- lare, che nei salmi di lamentazione individuale (¢ in altri passi) solo a proposito di nemici ¢ di mal- vagi si parla in genere di « uomini » (Sal 140.2 « li- berami, Jahwe, dagli uomini malvagi »; cosi pure altrove frequentemente: Sal 12.2-9; 57.5; 1611; 119,134; 124,2¢ Giob 20,29; 27,13; 33,17; 34.30, spesso nei Proverbi, cfr. Prov 6,12: 11.7: 12,3; 15.20, 17,18; 19.3, 21,20; 24,30; 28,17, 23,28: molto pill raramente si usa “dda nei Proverbi quando si parla dell'uomo saggio ¢ intelligente, cfr. Prov 12.23.27; 16.9; 19.11.22: 28.2: eff. Giob 35.8) i) Nel libro dell’Ecclesiaste il discorso sulla fuga- cita o sulla caducita dell’ uomo viene radicalizzato. in quanto essa non @ semplicemente constatata 0 lamentata, ma é il risultato di una riflessione che ha studiato a fondo (1,13) essere umano (2,3), Anche l’Ecclesiaste parte dalle origini; la caducita non si accorda bene con la creaturalitd dell’'uomo, qui compare il peccato: 7,29 « ho trovato... che Dio ha creato gli uomini giusti; essi pero cercano molt raggiri », cfr. 9.3. Nell'intendere a questa maniera l'uomo come creatura I'Ecclesiaste con- serva un legame con la teologia, nonostante il suo scetticismo (cfr. 3,11; 7,29:'8,17) Il _tratto fondamentale della sua concezione dell'uomo é (1) il riconoscimento radicale della nullita dell’uomo, del suo essere-per-la-monte. Nella sua fugacita 'uomo @ uguale alla bestia (3.18.19.21). L’essere autentico dell’uomo si os- serva meglio nella casa del lutto che in quella dell feste (7,2). L’essere-per-la-morte viene ancor pi aggravato dal fatto che la morte sopraggiunge im- provvisa (8,8; 9,12). (2) Qual é allora il senso di questo essere che corre velocemente verso la morte? Cid che un uomo si guadagna col lavoro e con la ricerca durante la vita, deve poi lasciarlo (1,3 «che cosa guadagna l'uomo da tutto il suo af fanno, con il quale si affatica sotto il sole? »; 2,12.18.21.22; 6,18.10.11.12; 7,14; 10,14; 12.5); Proprio se si tiene presente l'affanno, ia vanita ¢ la caducita delf'esistenza, acquista un senso l'at- timo, il presente, il consentire a tutto cid che é di- sponibile (2,24 «non c’é niente di meglio per 47 T'uomo che mangiate ¢ bere e procurarsi gioia in mezzo alle fatiche »; 3.13.22; 5,18 « prendersi ka propria parte e godere »; 7,14, 8,15; 11,8). Questa accettazione delle gioie delia vita e del gusto di vi- vere viene spesso considerato come wn accettare cid che é creato da Dio (2,24; 3,13; SA8: 7.14; 8.15). Proprio in questa agcettaziorie’ dellattimo, godendo dei doni belli della vita, 'uome, ricono- scendo Ia limitatezza della sua esistenza, pud ac- cettare il suo creatore. La visione che 'Ecelesiaste ha dell’ uomo si mani- festa (3) nel modo pid chiara in 8.17: « Allora ti conobbi che & impossibile al'uomo investigare Fintero operare di Dio, tuito cid che succede sotto il sole; poiché per quanto F'uomo si affanni a cer- care, non trova niente... ». L’Ecclesiaste ha tro- vato che I'uomo non pud avere una conoscenzi di Dio in senso globale, e percid non pud conoscere tutto quanto quello che avviene. Egli deve ricono- scere che la limitatezza dell’esistenza umana con- diziona la comprensione dellesistenza ¢ fa cono- scenza di Dio. Solo entro questi limiti un’esistenza umana pud aver senso e solo entro questi limiti acquistt significato un discorso su Dio. 1) Mentre in tuui gli usi fin qui considerati vi era una relazione con la creaturalita dell’ uomo e con quello che essa significa, AT conosce anche un uso neutrale. in cui non si suppone tale relazione: qui il termine viene usato con Ie stessa estensione e fa stessa indeterminatezza delle nostre lingu2 moderne. In un certo numero di detti dei Proverbi si parla dell’es sere del'agire del uomo in generale; si tratta di sen- tenze che contengono osservazioni sull'uomo, come in Prov 20,27 «il respiro dell'uomo & una fiaccola di Jahwe » (similmente 27.19.20), oppure osservazioni ed esperienze tratte dalla vita sociale, che riguardano per lo piv il comportamento dell'uomo, come 18.16 «i doni fanno largo all'uomo », € 161: 19.22; 20.24.25; 24.9: 29,23.25; cfr. Is 29.21; Sal 38.2: Giob 5,7 Affermazioni sull'uomo del tutto generiche e neutral ri- corrono anche altrove. p.e. in Sal 17.4 « la ricompensa che Fuomo riceve »; 1Sam_16,7; 2Sam 23.3: Is 44,15: 585; Ger 47,2: Sal 104,23; Eccle 8.1:-Lam 3.36.39. Con un tale lingudggio zeneralizzante si pud anche parlare di Dio che agisce in diverse maniere verso I'uomo: Giob 34,11 wegli ricompensa T'uomo secondo il suo agire »; Ez 20.11.1321 «ordinamenti e precetti che Tuomo deve osservare per rimanere in vita» (clr. Neem 9,29), Am 4,13 « il quale mostra all'uomo qual & i suo pensiero ». Quest’uso limitato del termine differi- sce notevolmente dagli altri: sembra delinearsi qui una specie di etica comune, che esula dal quadro del culto di- vino e della storia delia salvezza. “adam viene usato qui semplicemente per indicare un genere, per cui si prescinde dal fatto che Tuomo é creatura e quindi @ in vario modo carat- terizzato dal suo esser creato; cosi p.e. chiara mente in Deut 20,19 « sono forse uomini gli alberi dei campi? »; cft. anche Ez 19,3.6; 36,13.14 Si designa semplicemente il genere in quei passi di Ez in cui cid che appare al profeta viene paragonato ad un uomo (Ez |,5 « apparivano come forme umane »: inoltre DN "adam UOMO 48 18.10.26; 10,8.14.21; 41,19; oft. Is 44,13; Dan 10,16-18). Vanno qui menzionate anche le espressioni composte, come mano dell’'uomo (Deut 4,28 ecc.), voce umana (Dan 8,16), escrementi umani (Ez 4,12.15), ossa umane (IRe 13,2; 2Re 23,14.20; Ez 39,15), cadavere di un uomo (Num 9,6.7; 19,11.13.14.16, Ger 9,21, 33,5; Ez 44,25), corpo umano (Es 30,32). In questa accezione, con la quale si indica sola- mente il genere, vanno intesi anche i numerosi passi in cui '@ddmm sta per « ognuno », opp. al ne- gativo «nessuno», € anche « molti uomini », «tutti gli uomini», oppure « tra, davanti_ agli uomini», in dati numerici (come Mi 5.4; Giona 4,11; 1Cron 5,21) oppure in espressioni come «beato (aire...) colui che... » (Is 56,2; Sal 32.2: 84,6.13; Prov 3.13.13; 8,34 28,14). Qui ‘adam viene sempre usato nello stesso senso di —‘7 (vd. sp. 3). m) Riassumendo si pud dire: la parola ebraica *a- dam cortisponde solo parzialmente al termine « uomo » delle lingue moderne. Con ‘adam non si intende I'uomo come esemplare, né in primo luogo r'uomo singolo o l'individuo, ma i! genere umano, ’umanita nella sua totalita, cui il singolo appartiene. L'umanita é determinata dalla sua origine, dal suo esser creata (4b-e). La maggior parte degli usi hanno a che fare direttamente o in- direttamente con la creaturalité: P'uomo esiste in contrapposizione a Dio (4f), come essere vi- vente (4g), nella limitatezza insita nella creatura- lita (4h-i). Si pud inoltre parlare dell'uomo anche in senso del tutto generico, come nelle nostre lingue (41), 5/ Sull'uso del termine nel NT ¢ sulla conce- Zione che esso ha dell’uomo cfr. f. gli_a J.Jeremias, art. %vOgemoc, ThW 1365-367 (= GLNT 1,977-986), N.A.Dahl, art. Mensch Il, RGG 1V,863-867 (con bibliogr.}, W.Schmithals, art. Mensch, BHH I1,1189-1191 (con biliogr.). Nel NT, particolarmente in Paolo, alla figura di Adamo viene attribuita una ntevole importanza storico-salvifica, ma cid non & conforme all’uso comune del termine nell'AT (cfr. J.Jeremias, art, "\A%q2. ThW I, 141-143 = GLNT 1,377-386: J.deFraine, Adam und seine Nachkommen, 1962, 129-141). C. Westermann AID "dima SUOLO 1/“¢dama risale con ogni probabilita alla radice “dm « essere rosso », appartenente al semitico co- mune (sostituita in aram. con smq), e compare col significato di « terreno (rosso) da coltivazione, suolo, terra » oltre che in ebr. anche nel neopun (Iscrizione di Mactar, KAI ar. 145, r. 3 « per il suo popolo che abita nella terra», DISO 5) e in aram. (aram. giud. e sir. ‘adamua; forse gia aram. antico 49 AIDS dama SUOLO in KAL nr, 222 Avr. 10 “dinfh] « terra coltivata », cfr. KAI 11,239.246; diversamente Fitzmyer Sef. 36). Per 'etimologia cft. Dalman, AuS 1,333; 11.26s.: Rost, KC 77; Galling, BRL 151; R.Gradwohl, Die Farben im AT, 1963, 5s. HAL 145. Vopinione di Hertzberg (BHI 1.464). secondo cui “adom nel significato di « color terra » sarebbe derivato da “dana, € un po’ meno pro- babile dello sviluppo in ditezione inversa. BL 466 consi- dent la possibilita di una derivazione dell'azgcttivo di co- lore “adm nel significato di « color carne » da “adam «pelle » Carab. “adanat), per cui si dovrebbe ritenere come significato primario di “dama « super anche adam L) La proposta di intendere « suolo » anche in aleuni testi in cui si trova il termine “addi (M.Dahood, CBQ 25. 1963, 123s.: id.. Proverbs and Northwest Semitic Philol ogy. 1963. 575.: in parte. inoltre, anche HAL 14b) & de~ gna di nota, ma deve essere comunque respinta (in Gen 16,12 con «onagro della steppa » invece di « uomo - onagro » si avrebbe « steppa » in opposizione a « terra coltivata »; in Is 29,19 © Ger 32.20 si avrebbe senza al cuna necesita una traduzione banale in Prov 30,l4 il parallelismo con “wrars risulterebbe sopravvalutato: per i testi esegeticamente difficili di Giob 11,12: 36.28: Zac 9.1: 13.5 bisogna ricorrere ancora a delle ipotesi).” ie » (eth 2/1 225 passi in cui ricorre il termine, fra i quali si da un solo caso con ta forma plur. (Sal 49,12 «terre »), sono sparsi in tutto AT, con neta pre- ponderanza tuttavia in Gen (43x. di cui 27x nella storia delle origini 2 12x in Gen 47), in Deut (37%), Ez (28x) e Ger (18x), Gili altri testi in cui il termine ricorre sono: Is 16x, Am 10x. Es 9x, 1Re 8x, Sal e 2Cron 6x, Num e¢ 2Sam Sx. 2Re e Neem 4x, 1Sam, Zac @ Dan 3x, Lev. Gios, Give, Sot Giob e Prov 2x, Os, Giona, Age, Mal ¢ 1Cron 1x In questa lista “daa di IRe 746 = 2Cron 4,17 se- guendo l'opinione di Noth. BK IX,164 @ considerato come appellativo « terra » e non come nome di localita (clr. “dama Gios 19.36; “adam Gios 3,16; “ada Gen 10.19; 14.2.8: Deut 29.22; Os 11,8; eft. HAL 14b.15b) cosi pure Deut 32.43 (HAL 15b secondo Tur-Sinai « Sangue F0ss0 »), 3/_ Per ['uso, del termine nell’AT cfr. L.Rost, Die Bezeichnungen fiir Land und Volk im AT. FS Procksch 1934, 125-148 = KC 76-101; A.Schwar- zenbach, Die’ geographische Terminologie im Hebr. des AT, 1954, 133-136.174.187.200, a) ‘@dama designa nel suo significato fondamen- tale la terra coltivabile dell'ambiente abitato, la terra rossa(vd. sp. 1) da coltivazione (cfr. von Rad 1,34.163), in contrapposizione alla steppa e al de- serto (midbar, “*raba, jsiman, mama: cle B.Baentsch, Die Wiiste in den atl. Schriften, 1883: A Haldar, The Notion of the Desert in Sumero- Accadian and West-Semitic Religions, 1950; Schwarzenbach, I.c. 93-112; IDB 1,828s.). Caino diventa nomade per essere stato scacciato dalla “’dama (Gen 4,11.14). Essa @ il luogo che pud essere coltivato (—"bd: Gen 2.5; 3.23; 4.12; 2Sam 9,10; Is 30,24; Ger 27,11; Prov 12,11; 28.19, cfr. 1Cron 27.26). ‘obéd ha'edama & Vagricoltore 50 (Gen 4.2. Zac 13 5 ha'“dama Gen 9.20) Nell'ambito di questo vocabolo rientrano quindi i verbi che indicano seminare (2°: Gen 47,23: Is 30.23) ¢ germogliare (smi: Gen 2.9: Giob 5.6: elt jen 19,25). Solamente quando la ““damna viene irrigata & pos- sibile la vita (Gen 2.6%, se non viene ka pioggia il lavoro su di essa resta impedito (Ger 144 txt), Lat rugiada ¢ ka pioggia cadono sulla “dama (25am 17.12: [Re 17,14: 18.1) ¢ in riferimento ad essa si parla di concime (Ger 8.2: 16.4; 25.33: Sal 83.11), di frutto (Gen 4.3; Deut 7.13: 284.1118.42.51: 30.9: Ger 7.20: Sal 105.35; Mal 3.11), di primizie (Es 23.19: 34.26: Deut 262.10, Neem 10.30), di prodotti (Deut 11,17: 1s 30.23; eft. 1.7) edi decime (Neem 10,38), b) In senso materiale “ama designs il « terreno del campo »; il sinonimo pid frequente in questo caso @ afar (ctr, Schwarzenbach, Ie. 123-133) Ci si pud spargere la “ddind sul capo (Sam 4.12; 2Sam 1.2: 15.32: Neem 9.1). si puo portar via un « Garieo » di essa (2Re 5.17), negli stampi fatti con essa si puo fon- dere i metaHo (Re 746 = 2Cron 4.17, Msp. 2. Di esse pure sono latli 1 vasi (Is 45,9) ¢ con essa puo essere costruito un altare (Es 20,24). di ess sono fatte le bestic del campo ¢ gli uccelli (Gen 2.19), Cir. il modo di espri- mersi. alquanto diverso, adotiato per uomo: lo “dian & tratto dalla “dana (Gen 3.19.23) oppure & Formate con la polvere delta “ddd (Ge ¢) In una accezione pitt vasta “dama sta in genere per la superficie terrestre su cui sista (F 8.17), che pud spacearsi (Num 16.30s.), che so- stiene_ ogni tipo di reili della “Ydama (Gen 6.20: 7.8; 9.2; Lev 20.25; Ez 38.20; Os 2.20) d) Ancora pitt universalmente, per ““dama s‘in- tende semplicemente la « terra», per lo pit nel senso di « terra abitata » (ctr. « popoli della terra » Gen 12.3; 28,14, Am 3,2), da cui_uno pud venir «sterminato » o sim. (nd hi: Deut 6,15; IRe 13.34, Am 98). Le costruzioni ivi adoperaterriportano ancor pit ai signi- ficati citati sotto c) « suolo » oppure « superficie terre- stre »: ‘al ha@@damé « sulla terra» 1Sam 20,31; Is 24.21 ecc.; p'né ha'dama « superficie della terra » Gen 8,13; “al p'né ha 2dama « sulla faccia della terra » Gen 6.1.7: 7.4.23: 88; Es 32,12; 33,16, Num 12.3; Deut 6.15; 7.6: . [Sam 20,15; 2Sam 14,7, [Re 13,34: Is 23.17, Ger 28,16; Ez 38.20; Am 9.8; Sol 1.2s.). 4/ Quanto all’uso teologico del termine, ac- canto ad alcune formulazioni particolari come ‘ad- mat (hag)gbdees « terra santa » (Es 3,5: Zac 2.16), “admat Jhwh «terra di Jahwe » (Is 14.2), e oltre alla maledizione divina della ““dama (Gen 3.17; cfr. 5,29; 8,21), sulla quale si fonda la fatica legata al lavoro della terra (Gen 3,17ss.; 5.29), dobbiamo icordare la formula, soprattutto din.-dtr., della ““damé che Jahwe ha giurato ai padri e che dara o ha dato ad Israele (Es 20,12; Num 11,12; 32.11: Deut 410.40; 5,16; 7.13; 119.21; 124.19; 211: 51 25,15; 26,15: 28,11; 30,20: 31,20; [cfr. 30,18; 31,13: 32.47; 1Re 8.34.40 = 2Cron 6.25.31; IRe 9.7; 14,15, 2Re 21,8, 2Cron 7,20; 33,8). A questa for- mula corrisponde la formula di maledizione che minaccia lo sradicamento dalla “¢dama (Deut 28.21.63: Gios 23,13.15; ]Re 9,7; +3,34 ecc.). Dalla “«damda \sracle ¢ Giuda dovranna andare in esilio (2Re 17,23; 25,21 = Ger 52,27) per poi tornare in- dictro (Is 14.1s., Ger 16.15; 23,8: Ez 28.25. eff. Am 9,15 ece.). Non ¢ possibile stabilire una differenza di conte- nuto fra quest'uso di “dad e quello, ad esso cor- tispondente, di —érery (4c). J,G.Pliger, Literarkritische, formgeschichtliche und stl kritische Untersuchungen zum Deuteronomium, 1967, 121-129, ha mostrato che Posservazione di G.Minette de Tillesse. VT 12. 1962, 53 n. IL. secondo cui il Deuterono. mista ¢ le sevioni-voi del Deuteronomio userebbero di pit “wrery col signiticato di « terra promessa », mentre le Sevioni-tu userebbero “dana in un significato molto pid generale, viene a cadere se si approfondisce di pit la ti- cerca (uno sguardo al materiale dell opera storica dtc. in duce alla stessit conclusione): la scelta del termine - al- meno nel Deut = é piuttosto in relazione a composizioni fisse di parole. ““damd si trova net Deut nelle composi- Zioni pri hd dima « i Crutti della terra», hajiim “al-ha- “dda « vivente nella terra » e "rk hi. jdunimn “al-ha dd nd « vivere a lungo nella terra » (composizioni fisse con wres in Ploger. |.c.). Nella letteratura post-deuterono- mica sparisee anche questa distinzione. Mentre l'uso di ‘ars in questi contesti mete in evidenza la terra come entita geografica, ¢ talvolta politica, 'uso di “dana manifesta reminiscenze di modi di dire piu antichi dal punto di vista della storia della tradizione: per il nomade originaria- mente non si trata della promessa di una « terra » geograficamente o politicamente delimitata, ma semplicemente del possesso di un « suolo ». Ii col- legamento indistinto che si stabilisce in tutto TAT. mostra che, almeno a cominciare dal tempo dello Jahwista, la promessa generica della sedentarizza- zione viene identificata senz’altro con la promessa concreta del possesso della terra di Canaan. A tale concezione si rifa anche l'espressione ‘admar Jira- “él, che ricorre solo in Ezechiele, ma_ben 17x, la quale designa Israele non come una realta politica ma come una realta teologica. (cfr. Rost, KC 78s.; Zimmerli, BK XII1,147.168s.); cfr. pero anche ‘ad- mat J*hada in Is 19,17. Molto arcaica é anche lespressione nella quale la “edama viene determinata col pronome posses- sivo, e che nella forma « mia/tua/sua terra » si avvicina al significato di « patria» (Gen 28,15; Am 7,11.17; Giona 4,2; Dan 11,9; cfr. Sal 1374 « terra straniera »). 5/1 pochi casi in cui il termine ricorre a Qum- ran si ricollegano agli usi virt. Il greco del NT. come gia quello dei LXX, non fa distinzione fra “sdama ed “dérees. Ad entrambi corrisponde 7%, Cir. H.Sasse, art. 7%. ThW 1,676-680 (= GLNT 11,429-440), il quale a dire il vero sorvola su aspetti importanti H.H. Schmid AIT “dima SUOLO 52 STN “hb AMARE V/ La radice “hb «amare» @ diffusa solo nell’area can. (in acc. vi corrisponde per lo pid rd- mum (rm), in aram. fbb ¢ rhm, in arab. bb & wdd), In ug. (UT ar. 105; WUS ar. 103: A. van Selms, Mar- riage and Family Ugaritic Literature, 1954, 47.67) troviamo il verbo yuhb in 67 (= I* AB), V 18 in senso eulemistico con sogg. BY ¢ ogg. “elt « giowane vaccs ». il sostantivo “Abr « amore » in SE (= MAB), IV 39 e “ne HL 4 (= V ABCC 4) par. a yeu amore » (radive dd). In- certo é libs in 1002.46 (= MF V 46). Tn una iscrizione tombale neopun, proveniente da Cher- chel (Algeria) (NP 130 = NE 438d = Cooke nr. 56) JG.Février, RHR 141, 1952, 19ss. ha supposto il part pu. fem. mhbr «amata », pero secondo J.TMilik. Bibl. 38, 1957, 254 n. 2, € preferibile far derivare questa forma da fbb (h> hy Laram. “hbth in CIS 11,150 (= Cowley 75.3. trammento di papiro di Elefantina) é del tutto incerto (efr. DISO 6) Supponendo una base bilitterale (onomatopeica) hb « soffiare, respirare con forza, bramare » (cfr. Yarab. habba), ampliata con Vintroduzione di *, D.W. Thomas, The root ‘aheb ‘love’ in Hebrew, ZAW 57, 1939, 57-64 (seguendo Schultens, Wiin- sche, Schwally) collega il verbo a radici analoghe (5p, nhm, nim ecc.), te quali uniscono insieme i concetti del respirare e del moto dell‘animo (cosi anche Wolff, BK XIV/1,42). Ma da una simile etimologia non si possono ricavare conseguenze di ordine esegetico (Thomas. l.c, 64). Non si_pud accettare (contro H.H.Hirschberg. VT Ul. 1961, 373s.) una connessione etimologica con “ahha II « pelle» supposto in Cant 3,10 (con minore proba- bilit& anche in Os 11,4), eft. Driver, CML 133 n. 2; Hal 18a, Fra i derivati sono di uso corrente ‘aheb (part. € sost. «amico ») e ‘ah'ba (inf. € sost. verbale «amore »), raramente invece si trovano i «no- mina actionis » oppure gli astratti ;*habim « amo- tazzi» (Os 8,9, cfr. Rudolph, KAT. XIII/1,159), «amabilita»’ (Prov 5,19), e ““habim « gioie d'amore » (Prov 7,18). Nei nomi propri questa radice (a differenza di jdd, hps © anche finn) non é utilizzata nell’ AT; fuori della Bibbia invece si trova usata ad Elefantina n’Abi/ nhbr (part. ni. fem. « amabile », Cowley 1,4; 22.91.96.107) e su un si- gillo ebr. (Levy 46 = Diringer 217), cfr. Noth, IP nr. 924.937; J.J Stamm, Hebr. Frauennamen, FS Baum- gartner 1967, 325 II/ Statistica: le ricorrenze della radice nell’ AT sono 251, di cui 231 al qal (incl. 65x "heb e S3x “ah*ba), | al ni., 16 al pi., 2 nella forma ‘*habrm e 1 nella forma **habim. Il verbo ricorre molto fre- quentemente in Sal (41x), Prov (32x), Deut (23x), Os (19x), Cant (18x) ¢ Gen (15x). Le ricorrenze col verbo al pi. sono raggruppate in Ger/Ez/Os, quelle con ‘heb in Sal ¢ Prov (17x ciasc.), quelle con ‘ah?ba in Cant (11x, incl. 3,10) e Deut (9x). 53 3MN ‘hb AMARE Secondo Gerleman, BK. XVIIL75, su circa 30 passi col verbo ‘hb nel senso di amore erotica, 7 si trovano in Cant. 11 nello jahwista ¢ nelle pressoché contemporance narrazioni dellascesa di Davide al trono e della succes sione. . Fa meraviglia Massenza di “hb in Giob (solo 19,1 9¥-r6" HI/_ 1/ Per ampiezza di significato ¢ per la posizione dominante che esso occupa nel proprio campo semantico. “hh &¢ molto vicino allitaliano: «amare » (cfr. invece Malternarsi dei verbi_ er. hiv, piksty ce v). hb, ine sieme con altri verbi esprimenti mvoti dell’'animo come —hpy « trovar piacere in », jr" « temere » & n” «odiare », fa parte di quei pochi verbi che hanno flessione stativa ¢ valore transitivo (Bergstr. 11,76). Una distinzione appropriata dei sui usi pud basarsi sulle diverse categorie di ter- mini adoperati come oggetto (III/2. amore fra uomo e donna, III/3 altri rapporti fra. persone, 11/4 rapporto con cose); in questo contesto pos- sono essere incluse anche le affermazioni pil co- muni su “al"ba inteso come sostantivo senza og- getto. Il rapporto fra persone (che abbraccia con- temporaneamente Eros, Philia e Agape) dal punto di vista semasiologico dovrebbe essere primario ri- spetto al rapporto con le cose, per cui quando si parla di amore verso determinate cose 0 azioni il ermine va inteso in senso derivato-e figurato (Quell, TAW 1.22 = GLNT 161). “hb, quanto al contenuto, viene spesso determi- nato con maggior precisione da termini paralleli -dbq « aderire » (Gen 343 con altre formulazioni parallele; 1Re 11,2: Prov 18,24; cfr. Eichrodt 1,162; 111,205), —Aps « trovar piacere in, compiacersi di » (1Sam 18,22; Sal 109,17); hig « essere attaccato » (-dbq) e ~bhr « eleggere » (Deut 10,15; cfr. Eich- rodt L.c.; O.Buchli, Israel und die Volker, 1962, 134ss). Parallel ad "heb troviamo —re*" « compa gno, amico » (Sal 38,12, qui anche garob « vicino, Congiunto »; 88,19, coliegato a m*judda’ « confi- dente », cfr. BHS ¢ Kraus, BK XV,607 per il te- sto). Accanto ad ‘alt’ba, quando si tratta dell'amore dell'uomo per Dio troviamo, in realta solo in un senso teologico, jr’ « temere », “bd « ser- vire », Iaekeer b*kol-d'rakaw « camminare in tutte le sue vie» (Deut 10,12; cfr. Eichrodt 111,205; ThW 1,27 n. 39 = GLNT16ls. n. 39), quando si tratta dell'amore di Dio per il suo popolo —hased «grazia » (Ger 2,2; 31,2; eft. Sal 37.28) e haemla (Crhm) « pieta » (Is 63.9). Come sinonimi di ‘hb ricorrono nell’ AT. benché rara- mente: hb « amare », che é il termine corrispondente & “hb in aram. ¢ in arab. (Wagner nr. 82a), in Deut 33,3, un testo difficile, con Dio come soggetto: inoltre ‘gb «desiderare _(sensualmente)» (Ger 4.30; Ez 235.7.9.12.16.20; Ez 16,37 txt em, cfr. Zimmerli, BK XII1,339.543) con significato pitt specifico. La radice jdd, cosi largamente diffusa nell’arca semitic (KBL 363b), si riscontra solo in alcune formazioni nomi nali (jadid «amabile » Sal 84.2; « amato, amico », Is 5.1.1; Ger 11.15 txt em: altri quattro passi vd. st. 1V/2; Ff di dist « amato » Ger 12.7: 377 j'didot « canto d'amore » 54 Sal 45,1) e in alcuni nr. 571.576.577.843). rhm pi. « aver pietd » & gia pid distante quanto a signi- ficato; nell'unico caso in cui ricorre nella forma aramaiz- zante’ rim q. «amare», € cioe in Sat 18,2 (oggetto. Jahwe), per io pill viene corretto con un’emendazione (rémimka « voglio esaltarti »). Come sostantivo va menzionato dad (61x) con i suoi numerosissimi significati, corrispondenti tutti alla sua origine, la quale consisterebbe in un « vocabolo del lin- guaggio infantile » (J.J.Sjamm, SVT 7, 1960, 174ss): a) «diletto, amato » (Is 5,1 ¢ 33x in Cant, con il fem. raja «amata», —re ace. dadu, cfr. Aw 1498: CAD D 20%, : b) al plur. « amore. piacere d'amore » (9x. Ez 16.8: 23,17; Prov 7,18; Cant 1.2.4; 4.10.10; 5,1; 7,13; ace. dat plur. « love-making [corteggiamento]| » CAD D 20a; ug. dd 51 (= I AB], VI 12: 77 [= NK], 23, ‘mt (= V AB]. MN 2.4), ¢) « Zio » (18x; — ha in comune con nomi propri (Noth, IP 3a), un significato speciale che Nebr. rab. e Param, (Stamm, Le., 1753s.) I contrario di "hb & sempre —sn" « odiare ». | duc verbi_compaiono insieme in altri 30 passi (Gen 29,31s.; 37,4; Es 205s. Lev 19,17s.; Deut 598.5 21.15.16; Giud 14,16; 2Sam 13,15 l'amore che si muta in odio; 19,7; Is 61.8; Ez 16,37, Os 9,15, Am 5,15; Mi 3,2; Zac 8,17, Mal_ 1.2s.; Sal 11,5; 45,8; 97,10; 109,35.5; 119,113.127s.163: Prov 1,22; 8,36: 9.8; 12.1; 13,24; 14.20; 15.17, Ec cle 3,8: 9,6; 2Cron 19,2). Occasionali contrapposi- Zioni, p.e. con stn « avversare » in Sal 109.4, non hanno al confronto nessun peso. Stranamente, la coppia di opposti “dheb «amico» e * mico» dal lato stilistico non viene quasi_mai sfruttata nella sua assonanza; cfr. Giud 531 e forse Lam 1,2. Le forme derivate del verbo si trovano soltanto al participio. Solo una volta troviamo il ni: hannee’*habiin «i degni di amore », con signifi- cato gerundivo, come epiteto di Saul e di Gionata nel lamento di Davide (2Sam 1,23, par. hann'rmim «gli amanti »); vd. sp. I/riguardo ai nomi propri. lpi. ricorre solo al part. plur.gn®ah#b7m col signi- ficatopeggiorativo di «amanti, _drudi» (Ger 22,20.22; 30,14; Ez 16,33.36.37; 23,5.9.22; Os 2,7.9.12.14.15; Zac 13,6; Lam 1,19), mentre per il significato normale di « amico, colui che ama » viene usato il part. gal. I! pi. « amoreggiare » va inteso non come un intensivo, ma come un itera- tivo che sintetizza singoli commerci successivi, che non possono essere realizzati contemporanea- mente, « amare (alternativamente pid persone) » (cfr. Jenni, HP 158) Un hi. « rendere amato » si trova in Eccli 4.7 e nel me- dioebr. Incerta é la forma pe‘al‘al 'hbhb « amoreggiare », che viene supposta in Os 4,18 (HAL 17b). 2/ Il rapporto primario d'amore fra uomini & quello fra uomo e donna (terminologicamente in 2Sam 1,26 “ah*bat nésim « amore di donna » come punto di comparazione per l'amore verso l'amico): Isacco-Rebecca (Gen 24,67), Giacobbe-Rachele 55 (29,18.20.30.32), Sichem-Dina (34,3), Sansone-la donna filistea (Giud 14,16), Sansone-Dalila (16,4.15), Elkana-Anna (1am 1.5), Davide-Mikal (18.20.28; cfr. Gerleman, BK XVII,73:_ unico passo al di fuori del Cant in cui ci sft una donna come soggetto), Amnon-Tamar (2Sam 13,1.4.15), Salomone-molte donne straniere (con accentua- Zione negativa, cfr. Quell, ThW 1.23 n. 20 = GLNT 1,63s. n. 20) oltre alla figlia del faraone (1Re 11.1.2), Roboamo-Maaca (2Cron 11.21; sul overno dell’harem» cfr. Rudolph, HAT 21,233), Assuero-Ester (Est 2,17). Per il caso spe: ciale di Osea (Os 3,1) efr. Wolff, BK XIV/175 ¢ Rudolph, KAT XIII/1,89. In questi casi amore & inteso evidentemente in senso sessustle Che Famore sia costitutivo per Fistituto giuridicy del matrimonio solo in maniera condizionata, 10 st puo ve. dere £. a. nelle espressioni comparative: Gen 29.30 (con mink, 1am. 1,5 Cho « preferire »), 2Cron 11.21 ed Est 2.17 (con _valore superlativo). La legge sullerediti in Deut 21.15-17 metie addirittura sullo stesso piano il fi. wlio di una donna amata (“h2ba) e quello di una donna odiata ($1). £ qui che bisogna collocare quanto la lirica cbr. (e Ja Tetteratura sapienziale) ha da dire sull'amore (clr. soprattutto Gerleman, BK. XVIII72-75). Li espressioni col verbo descrivono Tattrattiva dell'amato (Cant 1.3.4), che nel Cant di solite viene chiamato dad? « mio amato », od anche, con una parafrasi poetica usata come variante. « quello che anima mia ama » (1,7; 31-4). In 7,7 bisogr leggere probabilmente ““hiibd « amata » invece di “ah*ba (U'astratto starebbe per il conereto, cli. pero Gerleman 201). Il sostantivo ‘ah*bd « amore » in 244 viene concretizzato in maniera singolare ed é posto come insegna sopra la casa del vino: dai tra- duttori viene messo fra virgolette (Rudolph, KAT XVII/2,130s.; Gerleman 117s.): in 2.5 ¢ 5.8 la ragazza @ wammalata d'amore » (sulla malattia amore cfr. Sam 13.2 e Rudolph 131 n. 4: Ger- leman 119); in 2,7 (= 3,5) e 8.4 'amore non deve essere svegliato prima del tempo né disturbato, Gii altri passi-con ‘alba riportano espressioni co- muni, ma senza ipostatizzare l'amore: esso é forte come la morte (8,6), acque abbondanti non pos- sono spegnerlo (8,7), @ senza prezzo (8.7). Nella comparazione « pitt dolce del vino » (Cant 1.2.4: 4,10) ed anche per esprimere in modo pitt specifico il vo- dimento (inebriante) dell'amore (Cant 5,1, 7.13; Prov 5,19 txt em; 7.18) viene usato dodim, nei due passi di Prov pero in parallelo rispettivamente ad ‘alba ¢ ad “habim. Nella letteratura sapienziale si trova inoltre la radice "hb con valore erotico per designare gli amanti in Prov 5,19a Cajieelert ‘ah*ba « cerva amata»), anche in Eccle 9.9 (83a “Seer ‘Ghabtd) in riferimento alla moglie (Hertz~ berg, KAT XVII/4,172). Per Cant 3,10 vd. sp. I/a proposito di ‘ah“ba Il « pelle (2) ». La presentazione spontanea e naturale dell'amore e della realta sessuale non tenta di sublimare amore in senso astratto e spirituale o di condan- ATK Vib AMARE 56 narlo dal punto di vista morale e in tal modo di ri- durlo al piano psicologico; anzi, proprio attraverso questa rappresentazione esso viene spogtiato del suo carattere numinoso e sottratto all'influenza di quello che le religioni vicine ad Israele collocano Su un piano mitico-sessuale. Nella lotta contro la religione erotico-orgiastica di Baal il Cantico dei Cantici ha una grande importanza (cfr. von Rad 1.36: « Israele non partecipo alla * divinizzazione deft sessualita ») 3/7 Fra le altre relazioni fra persone va ricordato prima di tutto Pamore, fra genitori ¢ fixli, di cui pero nella lettcratura narrativa si parla solo in casi partivolari (unicita del figlio, preferenza unilate- rale. p.e. per il pid giovane): Abramo-Isacco (Gen 22,2), Isacco-Esat._ e Rebecca-Giacobbe (25,28), Israele-Giuseppe (37.3.4 in senso comparativo per indicare preferenza), Giacobbe-Beniamino (44.20). La straniera Rut ama la suocera Noemi (Rut 4.15). I caso normale traspare nella formula paradossale di Prov 13,24 (« chi ama suo figlio, lo castiga »); per il resto cfr. piuttosto —rhm, Anche padrone ¢ servo possono essere legati fra loro da un vincolo di amore, cosi nel codic dellalleanza in Es 21,5 (incl. moglie ¢ figli) e nella legge din. in Deut 15,16, inoltre nella letteratura narrativa Saul-Davide (1Sam 16.21); anche il fa- vore di cui gode Davide presso il popolo (18.16.22) va inteso in questo senso. Un caso particolare nellimpiego di ‘rb si ha quando esso esprime il rapporto di amicizia Gio- nata-Davide. L’anima di Gionata @ legata (gir) alfanima di Davide (1Sam 18,1), Gionata ama Davide A*nafid « come la sua vita » (18.1.3; 20.17; contro l'interpretazione del termine come perver- sione cfr. M.A.Cohen, HUCA 36, 1965, 83s.) ¢ giura a Davide « a motivo del suo amore » (20,17); Davide a sua volta nel canto di lamento confessa «il tuo amore era per me pitt meraviglioso (Hertz- berg, ATD 10,189) dell’amore di donna » (2Sam 1,26, cfr. v. 23), 1 Anche se amore fondato sull'amicizia porta qui a con- cludere un patto (cfr. Quell, ThW IL,112s. = GLNT I 1031ss.; —b%r71), non si trascura per cid stesso l'aspetto emotivo. Casi come questo aiutano perd a capire come mai il vocabolo « amare » sia entrato a far parte anche della terminologia politico-giuridica della stipulazione dei contratti, per esprimere sincera lealta; W.L,Moran, CBQ 25, 1963, 82 n. 33, € Th.C.Vriezen, ThZ 22, 1966. 4-7, rimandano f. la. ai paralleli dei contratti di vassal- laggio di Asarhaddon: « (giurate) che amerete Assurba- nipal come la vostra anima (Ai nap3arkuntt) », col verbo ramu «amare » (D.J.Wiseman, The Vassal-Treaties of Esarhaddon [= Iraq 20/1], 1958, 49, col. 1V,268). Vd. st Wi. Con chiaro riferimento a relazioni politiche inter- nazionali @ adoperato "fb in IRe 5,15, dove il re Chiram di Tiro @ detto "6heb, amico che stipula al- leanza con Davide (Moran, I.c., 78-81, con espres- sioni simili nelle lettere di Amarna; Noth BK IX.89). Anche in 1Sam 18,16 e soprattutto in $7. STN ‘hb AMARE 2Sam 19,7 “oheb ha, secondo Moran. il senso po- litico secondario di fealta dei sudditi nei confronti de! re. In un contesto di politica religiosa il voc: bolo ricorre nel rimprovero del profeta di 2Cron 19,2, secondo cui Giosafat « ha nutrito amicizia verso coloro che odiano Jahwe » (cioé Act c il re- gno del nord). Una connotazione spregiativa po siede lespressione « tutti i tuoi/suoi amici », nel signiticato di « partigiani », riferita a persone de- seritte con tratti negativi come Pascur (Ger 20.4.6) © Aman (Est 5.10.14; 6.13) Resta da considerare ancora uso di “hb per descri- vere i rapporti con il prossimo nelle espressioni pitt generiche dei sami ¢ della letteratura sapienciale. II salmista si lamenta perché fa situazione normale © turbata: | suoi amici gli voltano Ie spalle (Sal 38.13; similmente Giob 19,19), Jahwe Ii ha estra nati da lui (88,19), il suo amore viene ripagato solo con ostilita e odio (1094.5). Nei Proverbi « amico » ¢ « amore » sono realtd note e fattori po- sitivi nella scala dei valori. Accanto a considera- zioni pid specifiche (Prov 14.20 il ricco ha molti amici: 9,8 il saggio ama chi lo corregge, lo stesso in 27.3.6; 16.13 il re ama colui che parla con sin- cerita) si trovano affermazioni di principio pit ge- nerali: il (vero) amico ama in ogni tempo (17.17), un amico pud essere pid affezionato (—dbq) di un fratello (18.24). Espressioni generali sull"amore si trovano in 10,12 (amore copre tutte le oflese. lo stesso in 17.9) e nella frase comparativa 15,17 (« meglio un piatto di verdura con amore. che un bue grasso con odio »). L'astrazione giunge al massimo grado nelle espressioni__meristiche dell’ Ecclesiaste: amore e odio hanno il loro tempo (Eccle 3.8). gli uomini non conoscono né amore né odio (9,1), Famore e odio sono ormai finiti (9.6). Per amore del prossimo, l'amore degli estranei e lamore di se stessi vd. st. IV/I 4/ “hb in quanto esprime un rapporto con le cose, le situazioni e le azioni, rapporto che deriva da quello tra persone, pone in evidenza l'affetto che tende verso un fine e sceglie unilateralmente, mentre tralascia l'aspetto della reciprocitay l'og- getto in questo caso non viene personificato (sull'amore verso la sapienza ¢'la sua controparte vd. st. IV/3). “hb conserva un accento appassio- nato, pitt forte di quello di —hps e —rgh « aver go- dimento, compiacersi ». Oltre a realta neutrali (pe. 2Cron 26,10 Ozia amava Magricoltura) 0 po- sitive (p.e. Zac 8,19 veritaé © pace) compaiono spesso come oggetto, nell'accusa, anche cose e azioni riprovevoli (p.c. Is 1,23 la corruzione con doni; Os 128 la frode). Altri passi_in cui uso non @ teologico sono: Gen 27.4.9.14 (piatto prelibato); Is 56,10 (dormire); 57.8 (gia- ciglio), Ger 5,31; 14,10; Am 4,5 (ken « cosi»), Os 3,1 (dolci d'uva passa); 4,18 (ignominia); 9,1 (mercede di fornicazione); 10,11 (trebbiatura), Am 5,15 (il bene); Mi 2 (il male), 6.8 (—harsaed), Zac 8,17 (giuramento falso), ‘al 4,3 (cose vane); 11,5 (delitto); 34,13 (giorni buoni): 58 45.8 (giustizia ): 52.5 (il male pitt che il bene).6 (parole di rovinay, 109,17 (maledizione , Prov 1.22 (stupidazgine 12,1 (disciplina, conoscenzay, 15,12. (ammonizione): 17,19 (lite, delitto, 18,21 (lingua), 19.8 (la propria vita): 20.13 (il sonno).17 (divertimentoy: 21.17 (vinok, Eecle 5,9 (denaro, rieche7za). IV Le espressioni con “hb con un certo riliewo teologico vengono trattate nelle tre sezioni che se- guono: 1) amore del prossimo (amore degli estra- nei, amore di sé). 2) amore di Dio per Tuomo. 3) amore dell’'uomo per Dio 1/ I passo pid volte citato nel NT (MU 5.3: 19,19; 22.39; Me 12,31; Le 10,27: Rom 13.9: Gal 5,14; Giae 2.8), ¢ ciog Lev 19,18 « amerai il pros- simo tuo come te stesso» (J.Fichtner, WuD N.F, 4, 1955, 23-52, = Gottes Weisheit, 196: 88-114, spec. 102ss.), & unico nell AT. Il codice di santita giunge a questa esigenza di amore, che su- pera nettamente le norme legali esteriori, trastor- mando in comandamenti positivi, generalizzando con scopo parenetico ¢ interiorizzando una pi an- tiva serie di proibizioni negative riguardanti la vita giuridica degli Israeliti (cfr. v. 17 « non odiare in cuor tuo il tuo fratello»). A differenza del NT il comandamento rimane tuttavia _ristretto ai « membri dello stesso popolo » (—ré") ed inoltre non abbraccia ancora come principio superiore Fintera etica'del comportamento sociale, come in- vece avviene gia nella prima parte de! duplice co- mandamento dell'amore (Deut 6.5) per quanto ri guarda il comportamento verso Dio. Unraggiunta in Lev 19,34 « trauterete il forestiero (ser. -gar) dimorante fra voi come colui che & nato fra di voi: lo amerai come te stesso » include nel comandamento anche colui che risiede in un luogo senza pieni diritti (Elliger, HAT 4,259), ma implicitamente lascia ancora fuori lo straniero (nokri, —nkr), per il quale valgono altre norme. Amore verso il forestiero viene anche richiesto in maniera positiva in Deut 10,19 «e amerete il fo- restiero », ma in questo caso il comandamento si inquadra nella conceziortt tipica dell’antico Isracle (cfr. le formulazioni negative in Es 22,20ss.), dove si insist sulla misericordia verso i deboli (v. 18 orfani, vedove. forestieri, —rhm). Ovunque il co- mandamento dell'amore del prossimo oppure del forestiero non é semplice espressione di una mo- tale di gruppo (Pedersen, Israel 1-11,309; al contra- rio Th.C.Vriezen, Bubers Auslegung des Liebes- gebots, ThZ 22, 1966, 8s.), esso si fonda teologi- camente sull’'amore di Jahwe per il suo popolo o per il forestiero e, come gli altri comandamenti di Jahwe, & basato sul rapporto stabilito dall'alleanza (Lev 19,18 conclude con « io sono Jahwe », — &nr: Es 22,20b; Lev 19.34b e Deut 10,19b si richia- mano alla condizione di forestiero in cui Israele si trovava in Egitto). In tal senso si possono citare anche i paralleli del linguaggio politico e giuridico dell’antico Oriente (vd. sp. III/3), i quali mostrano che I'amore di se stessi (Lev 19.18.34 Aamoka 59 «come te stesso »; efi, anche 1Sam 18.1.3; 20,17 «come fa sua propria vita »; Deut 13,7 « come la lua Vila ») & un presupposto del tutto normale (H. van Oyen. Ethik des AT, 1967, 101s.) e non viene considerato ad esempio come una pericolosa ten- lazione che va combattuta con Littinnegazione di se stessi (cosi F.Maass, Die Selbstliebe nach Lev 19.18. FS Baumgiirtel 1959, 109-113). E passi vurt. ccome Ex 234s. ¢ Prov 25.21) spesso citati a proposity delFamore del nemico, non utilizzano il verbo “hb. 2/ — Delfamore di Jahwe parliamo in quel che se: gue soltanto nella misura in cui nei testi si usa il verbo “hnh (per il tema dell'amore di Dio nel suo insieme cfr. p.e. Eichrodi 1,162-168; Jacob 86-90: J.Deak, Die Gottesliebe in den alten semitischen Religionen, 1914: J.Zicgler, Die Liebe Gottes bei den Propheten. 1930: ~heésced, ~qn'. -rhm), Solo in epoca relativamente recente si dice che Jahwe ama il suo popolo. Tale affermazione si trova per ka prima volta in una tradizione di cui fanno parte Osea, i! Deuteronomio ¢ Geremia (von Rad. Gottesvolk 78-83; Alt, KS 11.272): pit esuttamente la si ritrova quando, volendo appro- fondire teologicamente la fede ‘nell’elezione. si trata il problema del fondamento dell’elezione di- vina di Israele (H.Breit, Die Predigt des Deutero- nomisten. 1933. 113s. HLWildberger, Jahwes Eigentumsvolk, 1960, 110ss: O.Biichli, Isracl und die Vélker, 1962, 1348s.) Il fondamento. sta nelfamore di Dio in quanto decisione della sua volonta sovrana ¢ del tutto indipendente. Osea (F.Buck. Die Liebe Gottes beim Propheten Osee, 1953) adopera le metafore dell’amore pa- temo (11.1 «quando Israele cra fanciullo, io Vamavo »: v. 4 «con vincoli damore») e& dell'amore sponsale (3,1 «ama una donna che ama un altro ed é adultera, cosi come Jahwe ama i fighi di Israele »), ma usa “Ab anche in senso pitt generale (9.13 « d’ora in avanti non li amerd pitt »; 14.5 «con libera grazia [n*daba} li amerd ») Nel Deut assieme a “hb si usa il verbo hq « essere attaccato a qualcuno », entrambi molto vicini a —bhir « eleggere » (4,37 « poiché ha amato i tuoi padri e ha eletto la loro discendenza »; 7,7s. « non perché eravate pitt numerosi di tutti i popoli, Jahwe si é legato [/3q] a voi e vi ha scelti..., ma perché Jahwe vi ha amati...»; 7,13; 10,15 «ma Jahwe ha prediletto {/q] soltanto i tuoi padri. i ha amati ed ha scelto voi, loro discendenza »; 23.6) In Ger 31.3 («ti ho amato di amore eterno, per questo {i ho atiratto a me, pieno di misericordia ») come parallelo ad ‘ah*bd troviamo il termine —heesad, « segno quesio che per Geremia le due tradizioni, quella dell’elezione e quella dell'al- leanza, cominciano a convergere » (Wildberger, Le. 112), Risonanze tardive di queste tradizioni si trovano in [Re 10.9 (= 2Cron 2.10 9.8), Is 43.4; 63,9; Sof 3.17. Mal 1,2. BON “hb AMARE 60 Se "hb per esprimere 'amore di Dio verso il suo popolo viene gia adoperato in un ambito relativa- mente limitato, lo stesso vale ancora di pi quando il riferimento € a persone singole. Sc si prescinde da Sal 47,5 (« la gloria di Giacobbe, che egli ama »), dove né il soggetto né l'oggetto sono chiaramente determinati, e se si prescinde pure da quelle formule che riguardano intere categorie (fo- restiero Deut 10,18, vd. sp. 1V/1; Sal 97,10 txt em «coloro che odiano il male »; 146.8 i giusti; Prov 3.12 « Jahwe corregge colui che ama »: 15.9 « chi va dietro alla giustizia »; 22,11 «chi @ di cuore puro »), solo per due personaggi regali si parla di un atteggiamento d'amore da parte di Dio: Salo- mone (2Sam 12,24, probabilmente in connessione col nome J*drd*ja « diletto di Jahwe» del v. 25 fi, Noth, IP 149; Neem 13,26 « egli era caro [ahi] al suo Dio ») e Ciro (Is 48,14 « uno che Jahwe ama »). Si pud supporre che questo linguaggio ri- specchi quello dell'ideologia regale dell’Oriente antico (Quell, ThW 1,29 = GLNT 1,79s.), ef Face. naramu/rimu « diletto » come epiteto regale (Seux 189ss.251) e nei nomi propri (p.e. Naram- Sin, Rim-Sin); eg.: H.Ranke, Die g. Personenna- men Il, 1952, 226. Dail’ambiente dell’Oriente antico si possono far derivare anche le espressioni con ‘hb che si riferi- scono a cose e situazioni (cfr. 11/4): Jahwe ama il diritto e la giustizia (Is 61,8; Sal 11,7; 33,5; 37.28: 99.4: inispat —Spt $*daga —sdg; cf. i paralleli delle iscrizioni regali accadiche in Seux 236s.). Dalla teologia dtr. dell’elezione derivano le espressioni che parlano dell‘amore di Jahwe per il suo santua- rio in Sion (Mal 2,11; Sal 78,68 in parallelo a blir, cfr. 132,12; anche 87,2 « pid che tutte le dimore di Giacobbe » ha un senso comparativo e contiene idea di elezione) Vanno ancora menzionate in questo contesto le espres- sioni con jadid (Deut 33,12 « Beniamino @ l'amato di Jahwe »; Sal 60,7 = 108,7 «quelli che ti sono cari», 127,2 «al suo diletto »), per bb vd. sp. HI/1 3/ Nell'AT si parla dell’amore ‘per Jahwe in un’epoca posteriore a quella in cui si parla dell’'amore di Jahwe; !e espressioni di questo tipo si trovano ancora una volta concentrate nella teo- logia din. (bibliogr.: G.Winter, Die Liebe zu Gott im AT, ZAW 9, 1889, 211-246; H.Breit, L.c., 156- 165; C. Wiéner, Recherches sur l'amour pour Dieu dans I’A.T., 1957; Eichrodt II/III, 200-207; J.Cop- pens, La doctrine biblique sur l'amour de Dieu et du prochain, ALBO 1V/16, 1964). Bisogna distinguere in questo caso fra I'uso dell’indicativo e quello dell’imperativo. Le sem- plici constatazioni con ’ohéb (per lo pid al plur.) usato come sostantivo nel significato di « se- guace » (vd. sp. III/3), in contrapposizione a « odiatore » (—Sn’) € « nemico » (—"6jéb), potreb- bero avere la loro origine nella formulazione tipica del culto (N.Lohfink, Das Hauptgebot, 1963, 78). Si tratta della formula « per quelli che mi amano » di Es 20,6 e Deut 5,10, che si trova nelle aggiunte 61 AAS hb AMARE al decalogo di datazione incerta, ma_probabil- mente dtn. (similmente in Deut 7.9 e, pitt tardi ¢ senza la contrapposizione, in Dan 9,4 ¢ Neem 1.5: per l'intera formula cfr. J.Scharbert, Bibl 38,1957, 130-150), e si tratta inoltre della conclusione del canto di Debora, di datazione discussa, in“ Giud 5.31 (cfr. A.Weiser, ZAW 71, 1959, 94) e di Sal 145,20. In Is 41,8 ‘6h"b7 «che mi ha amato » viene detto di Abramo (da questo testo dipendono 2Cron 20,7. Giac 2,23, anche Sura 4,125 [124] « Dio si & preso Abramo per amico [half/] »). Ger 2,2 « amore Cah“ba) del tuo fidanzamento », il pill antico testo sicuramente databile, risale alle concezioni tipiche di Osea (Rudolph, HAT 12.14s.), L’amore verso Dio comincia ad essere richiesto con la parenesi din., che si rivolge a tutto il popoto (Deut 6.5; 10,12; 11,1.13.22; 13,4; 19,9; 30,6.16.20; da questi testi dipendono Gios 22,5, 23,11; in [Re 3.3 Salomone soddisfa a tale esigenza). ‘hb in que- sti testi non é dovuto né ad una parabola sponsale né al rapporto padre-figlio e pertanto non é in- fluenzato da Osea. L'amore viene comandato (al- trove solo nell'‘ammonimento didattico del salmo di ringraziamento Sal 31,24), compare assieme ad altri verbi come —j’ « temere » (R.Sander, Furcht und Liebe im palistinischen Judentum, 1935) e —bd « servire », ed altri ancora che indicano un rapporto con Jahwe (N.Lohfink, L.c., 738s., tavola 303s. anche —dbq « aderire » in Deut 11,22; 13,5; 30,20; Gios 22,5; 23,12), si realizza come ri- sposta all'amore di Jahwe, nella fedelta e nell ub- bidienza al’imterno —_dell‘alleanza. Secondo W.L.Moran, The Ancient Near Eastern Back- ground of the Love of God in Deuteronomy, CBQ 25, 1963, 77-87, tutte queste caratteristiche fanno supporre che l'uso din. derivi dal vocabolario della diplomazia dell’antico Oriente (vd. sp. III/3: esempi tratti soprattutto dalle lettere di Amarna). Secondo lui “hd significa esattamente « osservare sincera lealta verso il partner dell’alleanza » e ap- partiene, anche se nel nostro caso viene adoperato con valore religioso, alla terminologia tipica della dichiarazione di alleanza. L'aggiunta « con tutto il cuore, con tutta I'anima e con tutte le tue forze » in Deut 6,5 (formula simile pero anche in 10,12; 11,13 dopo ‘hd « servire »)€ l"espressione sulla cir- concisione del cuore operata da Jahwe (30,6) mo- strano la tendenza ed anche la necessita di raffor- zare e di interiorizzare il vocabolo troppo tenue € consunto, E difficile riscontrare nell"AT amore verso Dio come sentimento religioso soggettivo, cosa che non dovrebbe meravigliare, poiché non si ha una religiosita mistica. In- certi dal punto di vista della critica testuale sono Sal 18.2 «ti_amo, Jahwe, mia forza» con rhm qal (Kraus. BK XV,138; vd. sp. III/1) € 16,1 « amo, perché Jahwe ascolta » con “hb (Kraus, Lc., 793). Ancor pit, problema- lico & 73,25 «se io ho te, non desidero nient’aliro sulla tera con —hpf, ma non si rfeisee dretamente a ahwe. Poiché esiste questo ostacolo ad usare Jahwe come og- getto del verbo "hd, la devozione dei salmi preferisce ser- 62 virsi di circonlocuzioni (vd. sp. II1/4), Come oggetto ap- paiono: il nome di Jahwe (—iém) in Sal 5,12, 69,37; 119,132; anche Is 56,6; la sua salvezza Sal 40,17 = 70,5; il suo santuario 26,8; cfr. 122,6 ed Is 66,10 Gerusa- lemme; inolire ta sua legge, il suo comandamento ecc. Sal 119,47s,97.113.119.127.140.159.163.167. Un_ gruppo a parte formano le proposizioni sull'amore della sapienza e sull’amore verso la sa- pienza. Esse possono essere citate a questo punto, per il fatto che la sapienza ipostatizzata si avvicina molto a Jahwe. Le formule, con una certa diffe- renza rispetto alle frasi din., esprimono tutte un rapporto reciproco: Prov 4,6 « amala, ed essa ti cu- stodira »; 8,17 «io amo quelli che mi amano »; 8,21 « largisco ricchezza a coloro che mi amano », cfr. 8,36 « tutti coloro che mi odiano, amano la morte » (in 29,3 « chi ama la sapienza, allieta suo padre » la sapienza non é personificata; questo te- sto va incluso nella serie dei casi enumerati in 11/4). | paralleli eg., che trattano dell’amore della Maal e dell'amore verso la Maat, l'ordine cosmico realizzato da Dio, fanno pensare che le espressioni vur. sulla Chokma ipostatizzata traggano spunto proprio da essi (Ch. Kayatz, Studien zu Proverbien 1-9, 1966, 98-102; prima ancora e di diversa opi- nione G.Bostrém, Proverbiastudien, 1935, 156ss.; cfr. anche Prov 7,4 «di alla sapienza: tu sei mia sorella {ah 3c], ¢ chiama amica l'intelligenza, perché ti preservi..: »). Nell'ambito degli usi sopra descritti rientra anche “Ab di Get 2.25 «io amo gli stranieri » (sotto Vinfluenza di Osea: cfr. 2.33) di 8,2 « davanti al sole e alla luna e da- vanti a tutto l'esercito del cielo, che essi hanno amato e a cui hanno servito » (con dicitura din.) con divinita straniere come oggetto. Os 3,1 “*hiibat ré% « che si fa amare da altri » (Rudolph, Kat XIII/1, 84) il part. plur. di "hb pi. « amanti, drudi » (vd. sp. 11/1) riferito ai Baalim in Os 2,7.9.12.18.15 ea presunti amici politici in Ger 22.20.22 30,14: Ez 16,33.36.37, 23,5.9.22; Lam 1,19 (off. 1.2) (in Zac 13,6 con linguaggio non’ metaforico), conservano anche allinterno del linguaggio metaforico il loro significato proprio di « amanti » e non vanno intesi, facendo confu- sione con la natura della religione eananeo-sincretistica pur soggiacente alla metafora, come espressioni tecniche del culto (di parere contrario A.D.Tushingham, JNES 12, 1953, 150 ss.) V/_ILNT risulta strettamente legato all’ AT gia solo per il fatto che utilizza i testi fondamentali di Lev 19,18 e di Deut 64s. e il sostantivo 25/3:77,. che & poco testimoniato in epoca precristiana allinfuori dei LXX. Una visione sintetica e indi- cazioni bibliografiche sull’abbondante materiale del NT si trovano negli articoli dei dizionari, che contengono di solito una sezione preliminare ri- guardante "AT; cosi p.e. G.Quell-E.Stauffer, art. dyando. TW 120-55 GLNT 157-146), W.Zimmerli-N.A.Dahl, RGG _ 1V,363-367, E.M.Good-G. Johnston, IDB III,168-178. Fra le monografie pi ampie citiamo solo C.Spicq, Agape dans le NT, I-lll, 1958-60. E.Jenni 63 TDN “hah AH! 1/ Per le semplici interiezioni (suoni accompa- gnati da gesti) come "*hah « ah! », —haj « guai! » ece. non esiste un’etimologia (a differenza p.e. di Aaltla « lontano! », hil). La fonetica e la gral spesso subiscono ampie variazioni, per cui si de- vono raggruppare le singole forme a seconda della identita o della somiglianza delle funzioni. Tratte- remo percid insieme ““hah, hah (Ez 20.2) e RBA (Gnd, BL 652) composto probabilmente da" ah + nd « perd ». 2/ _“*hah s‘incontra 15x, specialmente nel ciclo di Eliseo, in Ger e in Ez. anna & attestato 13x. 3/ Il _grido istintivo di reazione e di spavento “hah «ah! » si trova, non a caso per quanto ri- guarda lo stile (cfr. P.Grebe, Duden Grammatik der deutschen Gegenwartssprache, 1959, 324), so- lamente nelle leggende popolari che riporano mo- tivi fiabeschi: Giud 11,35 (il voto di lefie), 2Re 3,10, 65.15 (storie di Eliseo). “dont « mio si- gnore » che segue in 2Re 6.5.15 va riferito alla per- sona alla quale @ rivolto il discorso (Eliseo; cfr. Giud 11,35 biu7 « figlia mia»), non a Dio. innd «ah », sospiro lamentoso all'inizio di una pre- ghiera rivolta a persona pil potente, compare soltanto in Gen 30,17 € non ha alcuna connotazione teologica 4/-— Gli altri passi in cui compare “hah apparten- gono quasi esclusivamente al linguaggio della pre- ghiera. Con la formula “hah ““donaj Jhwh « ah, Si- gnore Jahwe » sono comunemente introdotte le preghiere di lamento o di supplica particolarmente intense (Gios 7,7, Giud 6,22; Ger 1,6; 4,10; 14,13; 32,17; Ez 4,14; 9,8; 11,13; 21,5): in esse Porante insorge contro la volonia di Dio, reale o supposta che sia. F.Baumgartel (FS Rudolph 1961, 2.9s. 185.27) ha mostrato che l'espressione "hah “*dénaj Jhwh & un’antica formula fissa dell’invocazione ri- tuale. H.W.Wolff (BK XIV/2,25s.) riscontra in. hah lajjom (Ez 30,2) € in ‘*hah lajiém (Gioe 1,15) «ahimé, quel giorno! » un’altra formula fissa: € il grido di spavento all’annuncio del giorno di Jahwe, introdotto da héli/a « urlate! » (cfr. anche Is 13,6; Sof 1,11.14s.). ‘anna’ (6x; Es 3231; Sal 118,25.25; Dan 9.4, Neem 15.11) “énna (6x: 2Re 20,3 = Is 38,3; Giona 1.14; 4.2; Sal 1164.16) fungono da introduzione o da ripresa del motivo in una preghiera di supplica. Ad eccezione di Es 32,31 T'interiezione & sempre seguita dall'invocazione a Dio (sempre Jhwh, solo in Dan 9,4 “#déndj), Poiché la parola & composta da un'esclamazione di dolore € dalla particella esortativa nd’, il termine significa allo stesso tempo lamento e preghiera. 5/ Nel NT non vi sono esclamazioni collegate con linvocazione a Dio (i LXX traducono “hah con &, & %, olupor, jxdaxpme oppure con déoua:), E.Jenni TS “hah AH! 64 5ak’dhel TENDA ~ 7° bajit ‘MN wh pi. DESIDERARE 1/ ‘wh pi. « desiderare, bramare » non ha corri- spondenti immediati al di fuori dell"ebr. In arab, (‘awd « donarsi ». eft. Néideke, NB 190) ¢ in sir. Cewa « concordare »)€ attestato un verbo con radice “wh ie, Semantic Notes on the Hebrew Lexi- 5. vuol.scoprire un significato primario gi comune « adattarsi, concordare » (pi. esti: mativo « ritener adatto/bello » > « bramare »k; quanto al significato € perd molto pitt attinente un accosta- mento con /nwh Ill (ebr. hawwd « desiderio. cupidigia »: arab. hawija « amare», hawan « brama, desiderio ») Del verbo si usano il pi. e Phipt. (Ie forme ritenute ni. «essere bello, grazioso; convenire » in Is 52,7; Sal 93,5; Cant 1.10 potrebbero appartenere a 7'ht nonostante BL 422 e HAL 20a). Si hanno inoltre tre forme nominali: con il preformativo ma- (ma“wajjim & voglia », solo in Sal 140.9 « non soddisfare i desideri degli empi») oppure ta- (1a’°wd « desiderio, brama ») ¢ il termine derivato dalla radicale raddoppiata (‘awwa « brama »). 2/ 127 passi in cui il verbo é attestato (pi. 11x, hitp. 16x, ma vd. BH’ per Num 34,10) si trovano in quasi tutti i generi letterari dell" AT: per quanto Figuarda fa'“wd (22x, inoltre Sx nel nome di luogo Qibrot hatia’*wa, Num 11.34s.; 33.16s.: Deut 9,22) si riscontra una particolare frequenza nei Salmi e nei Proverbi (16x, tuttavia Prov 18,1 e 19.22 pre- sentano un testo molto incerto). ‘awwa (7x) é si- curamente attestato in Deut 12,15.20.21, 18,6; 1Sam 23,20; Ger 2,24 (per Os 10,10 vd. i comm.). 3/ ‘wh pi. e hitp. presentano una gamma di si- gnificati ricca di sfumature entro un ben delimi- tato campo semantico: le due coniugazioni verbali indicano il desiderare, il bramare e il volere dell'uomo, molto differendiato a seconda dell'in- tensita e dello scopo. | bisogni elementari della vita, anche di tipo istintivo, muovono al desiderio di determinate cose: Davide vuole bere dell’acqua (2Sam_ 23,15), gli israeliti desiderano mangiare carne (Deut 12,20); le ghiottonerie della tavola at- tirano lospite invitato (Prov 23,3.6), si bramano giorni felici, si desidera il bene in senso generale (Is 26,9; Am 5,18; Mi 7,1); lo sposo desidera la sposa (Sal 45,12). Questo desiderio é ritenuto sano, buono e normale; il sapiente sa che il desi- derio soddisfatto (1a’*wa baa opp. nihja, Prov. 13,12.19) @ cosa gradevolissima. Ma il desiderio pud andar oltre la giusta misura e Tivolgersi ad oggetti sbagliati (Prov 21,10 « il mal- vagio desidera fare il male »); pud danneggiare gli altri o perdere le sue probabilita di riuscita (Prov 13,4). Percid il desiderio o la brama smodati sconvenienti sono proibiti (Prov 23,3.6; 24,1; Deut 5,21). 65 TN ‘wh pi. DESIDERARE Il campo semantico di ‘wh € quindi molto affine a quello di —hmd_ W.L.Moran, The Conclusion of the Decalo- gue (Ex 20,17 = Din 5,21), CBQ 29. 1967, 543ss.. sta- bilisce una differenza tra fd in quanto desiderio mosso dall'ammirazione del bello (solo Dan 10,L.collegato con il cibo) e ‘wh in quanto desiderio che proviene da un bi. ‘sogno essenziale (fame, sete, ecc.; solo in Gen 3,6 comu: nicato dagli occhi). Si confrontino inolire — $°/ « desiderare » (Deut 14,26), — gwh pi. « sperare in qualcosa » (Is 26.8), Shr pi. « mi- rare a qualeost » (Is 26.9), ‘vis « spingere a qualcosa » (Ger 17,16), —blir « cleggere » (Sal 132,13) in parallelo con ‘wh: si veda anche ksp qal/ni. « aspirare », ‘ry « de- siderare qualcosa ». aram. bibl. $5 « bramare, volere ».¢ i sost. “raat « desiderio » (Sal 21,3), mdrdi « deside- rio » (Giob 17,11), bagqaid « bramosia » (Esd 7,6 ¢ 7x in Est), hawwd « voglia » (Mi 7,3; Prov 10,3, 11,6), mis'alé « bramosia » (Sal 20,6; 37,4). Come il verbo, anche il nome sa’wa designa senza una gradualita determinata i! desiderio pid ‘© meno intenso (del giusto: Prov 10,24; 11,23, del re: Sal 21,3; del malvagio: Sal 10,3: 112.10; del pi- gro: Prov 21,25) e, in senso oggettivo, anche il de- siderabile, Poggetto bramato: ‘és 1a¢wa « albero desiderabile » (Gen_3,6), ma’*kal 1a""wa « cibo squisito » (Giob 33,20). Per la spiegazione del nome di luogo Qibror hatta’éwa « sepolcri del desiderio » in Num 11,34 cfr. Noth, ATD 7,76. Le due coniugazioni verbali pi. ¢ hitp. non presen- tano variazioni di significato, tuttavia si notano in esse particolarita sintattiche che hanno poi conse- guenze semasiologiche. I! pi. ha quasi sempre per soggetto néfies « anima », cioé il desiderio viene considerato quale tipica espressione della forza vi- tale, dell'io. Anche il nome ‘awwa (forma con rad- doppiamento senza aumento) é collegato diretta- mente a n@fe5 nell’espressione kol-awwat neefees «secondo il desiderio de! cuore » (solo in Ger 2,24, dove si parla della brama della cammella, manca kol: significati pitt generici di ‘wh pi.: Deut 14,26; 1Sam 2,16; 3.21; IRe 11,37; hitp.: Eccle 6,2). Vhitp. a volte ha un oggetto (di regola la per- sona soggetto @ nominata direttamente, cft. Deut 5,21; Ger 17,16; Am 5,18; Sal 45,12; Prov 23.3.6, 24,1), ma tende chiaramente all'uso assoluto (piit (© meno nel senso di: « essere avido, vorace, Ius- surioso »), cosi in 2Sam 23,15 1Cron 11,17) € con loggetto interno: hi'awwa ta’@wa in Prov 21,26; Num 11,4; Sal 106,14 4/Negli ultimi due passi si ha un chiaro signi- ficato teologico: il desiderio insaziabile si rivolge contro Jahwe (tradizione de! deserto!), cfr. Sul 78,29s. Per il resto, non si pud dire che il verbo e i sostantivi posseggano uno specifico valore teolo- gico, neppure in Is 26,8s. (coloro che pregano bra- mano Jahwe); Sal 132,13 (Jahwe desidera inse- diarsi in Sion), Giob 23,13 (Dio riesce a fare cid che vuole). 5/ Dai valori originari dell’ AT (cfr. particolar- mente Num 11,4.34; Sal 106,14; 78,29s.) si é arri- vati nel giudaismo ¢ nel cristianesimo alle affer- 66 mazioni sulla peccaminosita del desiderio e degli istinti (per influsso anche di dottrine ellenistiche), cfr. 19S 9,25; 10,19 e 1QS 4,9ss.; 5,5 per la setta di Qumran: fonti rabbiniche in SB Ill, 234ss.: per il NT cfr. F.Biichsel, art. Enuuyte, ThW 111,168-173 (= GLNT " 1V,589-604), _ RGG VI.482ss.: P.Wilpert, art. Begheren, RAC I1.62ss. E.Gerstenberger Sus “wil STOLTO 1/ Le forme nominali “isi «stolto, stupid » (sost. della forma *gitil, cfr. GVG_1.356, BL 471), “«will « insensato » (agg. con suffisso ~F di appar- tenenza, a meno che in Zac 11,15 non vi sia un er- rore di scrittura, cfr. Delitzsch § 53s.) ¢ “ivwaeer « stoltezza » (forma astratta fem., clr. BL 477; Nyberg 215), che troviamo solo in ebr. (le voci néo-sudarab. in Leslau 10 sono troppo distanti) sono futte derivare generalmente da una radice “wi, non attestata come verbo, la cui etimologia & stata oggetto di molte discussioni (cfr. GB 16a ¢ Konig 7b con Zorell 21a e HAL 2la che si espri- mono con maggiori riserve). HAL 21a propone (con interrogativo) un’etimologia araba “w/ « coagularsi, diventar denso » > « diventar stupido », Si pud confrontare il verbo affine j°/ « essere stolto/agire da stolto » che é attestato 4x al ni, (vd. KBL, 358a) In alcuni casi ““w7/ viene inteso come age. 7x da GB. ima solo in tre passi da Lis. e HAL. cioe Ger 4.22: Os 9.7 Prov 29,9; sicuro sembra solamente Prov 29.9 dove “'wi/ € attributo di ‘73 « womo »; cf. Barth § 29a. 2/ Anche se la derivazione etimologica é ancora incerta, il valore semantico di questi termini & perd chiaro. Gia la loro diffusione é significativa, in quanto si tratta di voci che compaiono come termini sapienziali in data piuttosto antica Ad eccezione di “*wilf attestato solo in Zac 11.15 (al v.17 difficilmente si puoveggere questa parola, cfr. B.Ot- zen, Deuterosacharja, 1964, 260), i termini compaiono prevalentemente in Prov: “*wi/ € attestato in questo li- bro 19x sulle 26 del suo totale nell’ AT (70%), mentre Siwweelcer compare 23x su un totale di 25x (92%). Sono altestati soprattutto nelle raccolte ritenute pid antiche (si confronti a questo proposito Gemser, HAT 16,4s.55ss. 938s; U.Skladny, Die altesten Spruchsammlungen in Israel, 1962, 6ss.; anche H.H.Schmid, Wesen und Ge- schichte der Weisheit, 1966, 145ss.), pid. precisamente. nella II raccolta (10,1-22,16) “*wi! compare 13x, € iwwie- lat 16x, mentre nella V raccolta (c. 25-29), “wil & atie- stato 3x e “iwweblat 4x: in complesso dunque 36x su un totale di 42x in Prov. Queste voci (in complesso 52x) non compaiono in Eccle, menire in Giob si ha solo “*wil 2x (5,2s.). 3/ Il significato primario del nome concreto- personale “wil & « stolto » oppure « insensato », quello di ‘iwwelaer & « stoltezza ». Per delineare la gamma dei loro significati sono patricolarmente interessanti i sinonimi e i contrari (cfr. T.Donald, 67 The Semantic Field of « Folly » in Proverbs, Job, Psalms and Ecclesiastes, VT 13. 1963. 285-292) Nelle parti pit antiche del libro dei Prov “wil ¢ il mine contrapposto a (‘%) hakdm « savvio » (10,8.10.14: L 14,3, 17,28; 29,9), a ndhon wintelligemte » (17.28). Grim « astuto » (12,16; cfr. 15,5). In contrapposizione a h®kam 166 (10.8; 11,29) egli & un A''sar leh « colui al quale manca il senno » (10,21), tuttavia questa espres- sione sinonima non @ in paralletismo con “wi! (neppure altri sinonimi;, vd. pero pdi@ « ingenuo » in Giob 52 ¢ pdnim s*kalim « fanciulli ingenui » in Ger 4.22) Alii termini di significato affine sono —k'si/(il sinonimo pitt importante con 70 rivorrenze: per la diflerenza di siuni- ficato rispetto a “wil cfr. p.c, B.Skladny, Le. 52 nM), =ndbal e parti (—pthy, pid distante & mn" iuged” « paso w 10s 9,7). “iwwielet & collegato pid volte a Af (3x nel ritrauo dello stolto di Prov 26,1-12: inolire 1 13.6: SM 15.214, 17,12), oppure a “wil (1 im wenui » (14.18: pth), AYsar leh « priv di senno » (15.21, eft. 1021), gsar “appdiim/ritth « iracondo » (14,1729), Un termine parallelo a “isweeter & k*linund «vergogna » (18.13); Fopposto pid: importante & dara « sapere, conoscenza » (12,23, 13,16, 14.18: 15.2. 14) op- pure 1biind « giudizio » (14,29), sékel « prudenza » 116.22) @ anche hakmér (SicW/hokmd « sapienca » (14.1.8). La figura dello “*wr/ é vista senz’altro in luce ne- gativa. Egli @ Pesatta « controfigura del saggio » (Skladny, Lc., 12). La mancanza di intelligenza che lo caratterizza va intesa come « stupidita » Alla « porta» lo stolto deve tacere perché ka sa pienza é « troppo alta» per lui (24.7); la sua stol- tezza & spesso legata alla bocca/labbra, civ’ alle sue (poche) affermazioni intelligenti (17.28: anche 10,8.10.14; 14,3 e 12,23; 15,2.14Q; 18.13). Vi sono perd anche aspetti morali e sociali: egli & collerico (12,16; 27,3; 29.9; cfr. 14,17.29 e Giob 5,2) ¢ ris- soso, mentre manca di kabdd « onore » (20.3: 29.9); egli non ascolta, come il saggio, lo “esd, il «consiglio », ritenendosi sapiente (12,15), di- sprezza anzi il miisdr, la « cortezione » (—jsr; 15.5: anche 1,7; 5,23; 7,22 senza modificare il testo. 14,3; 16,22 vd. st. 4.). La “iwweéeler del giovane sari allontanata dal « bastone della correzione » (22,15), ma in genere lo “*w7/ & legato inseparabil- mente alla sua stoltezza (27,22). P 4/ Essendo « stolto » e « stoltezza » tra loro in- separabili, si applica anche alla stoltezza in quanto comportamento la connessione inevitabile che sussiste tra un’azione e la sua conseguenza (K.Koch, ZThK 52, 1955, 2ss.; G.von Rad, KuD 2, 1956, 68s.). La stoltezza diventa infatti « ca- stigo » per lo stolto (contrario: « fonte di vita » 16,22; eft. 14,3). Pid ancora: la bocca dello stolto @ una « rovina imminente » (10,14; cfr, 10,8.10); gli stolti muoiono per dissennatezza (10,21; cfr 19,3; Giob 5,2). La stoltezza procura disgrazie ¢ conduce alla morte, da un punto di vista religioso essa & negativa e diventa l'equivalente di « em- pieta/peccato »; cosi anche in 5,23, cioé nella parte recente dei Prov, la stoltezza é legata alla morte dell'« empio » (—73), mentre lo “wil in 1.7 é in SUN “il STOLTO 68

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