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a
quelli
di
tipo
lato
sensu
alberghieri,
obblighi
di
messa
a
disposizione
del
personale
medico
ausiliario,
del
personale
paramedico
e
dell'apprestamento
di
ogni
attrezzatura
necessaria,
anche
in
vista
di
eventuali
complicazioni
od
emergenze.
c)
Responsabilit
contrattuale
della
casa
di
cura
nei
confronti
del
paziente
Ai
sensi
dell'art.
1218
c.c.
la
responsabilit
della
casa
di
cura
nei
confronti
del
paziente
ha
natura
contrattuale
e
pu
conseguire
sia
all'inadempimento
delle
obbligazioni
direttamente
a
carico
dell'ente
che,
ex
art.
1228
c.c.,
all'inadempimento
della
prestazione
medico
professionale
svolta
direttamente
dal
sanitario
quale
suo
ausiliario
necessario,
pur
in
assenza
di
un
rapporto
di
lavoro
subordinato,
comunque
sussistendo
un
collegamento
tra
la
prestazione
da
costui
effettuata
e
la
sua
organizzazione
aziendale.
d)
Il
risarcimento
del
danno
non
patrimoniale
da
lesione
al
diritto
alla
salute
Nella
decisione
de
qua
il
giudice
mette
in
luce
che
compito
del
giudicante
accertare
l'effettiva
consistenza
del
pregiudizio
a
prescindere
dal
nome
attribuitogli
danno
morale,
danno
biologico,
danno
da
perdita
del
rapporto
parentale
,
individuando
quali
ripercussioni
negative
sul
valore
persona
si
siano
verificate
e
provvedendo
alla
loro
integrale
riparazione.
Egli
deve
procedere
ad
una
adeguata
personalizzazione
della
liquidazione
del
danno
biologico
valutando,
nella
loro
effettiva
consistenza,
le
sofferenze
fisiche
e
psichiche
patite
dal
soggetto
leso
onde
pervenire
al
ristoro
del
danno
nella
sua
interezza.
Tratto
da:
La
Responsabilit
Civile
n.
8-9/2009
N.
8-9/2009
Con
riferimento
al
concepito,
la
giurisprudenza
riconosce
ormai
pacificamente
il
diritto
al
risarcimento
del
danno
alla
salute
e
allintegrit
fisica
eventualmente
cagionatogli
(ad
esempio
dalla
condotta
imperita
del
medico)
prima
o
durante
il
parto
(Cass.
11
maggio
2009,
n.
10741
e,
prima
ancora,
Cass.
9
maggio
2000,
n.
5881);
cos
come
anche
il
diritto
al
risarcimento
del
danno
sofferto
a
seguito
delluccisione
del
padre
ad
opera
di
un
terzo
(per
incidente
stradale)
quando
ancora
la
gestazione
era
in
corso
(Cass.
3
maggio
2011,
n.
9700;
in
senso
contrario
parrebbe
Cass.
21
gennaio
2011,
n.
1410),
fermo
restando
il
principio
dettato
al
II
comma
dellart.
1
c.c.,
ossia
fermo
restando
che
i
diritti
che
la
legge
riconosce
a
favore
del
concepito
sono
subordinati
allevento
della
nascita:
potranno
essere
fatti
valere
solo
se
e
quando
avvenga
la
nascita,
altrimenti
dovranno
considerarsi
come
mai
entrati
nella
sua
sfera
giuridica.
Alla
luce
di
ci,
si
discute
se
debba
ritenersi
che
il
concepito
abbia
una
propria
capacit
giuridica,
sia
pure
parziale
e
condizionata
(capacit
giuridica
prenatale)
o,
comunque,
una
sua
autonoma
soggettivit
giuridica:
Cass.
11
maggio
2009,
n.
10741:
Il
concepito,
pur
non
avendo
una
piena
capacit
giuridica,
comunque
un
soggetto
di
diritto,
perch
titolare
di
molteplici
interessi
personali
riconosciuti
dallordinamento
sia
nazionale
che
sovranazionale,
quali
il
diritto
alla
vita,
alla
salute,
allonore,
allidentit
personale,
a
nascere
sano,
diritti,
questi,
rispetto
ai
quali
lavverarsi
della
condicio
iuris
della
nascita
condizione
imprescindibile
per
la
loro
azionabilit
in
giudizio
ai
fini
risarcitori.
Ne
consegue
che
la
persona
nata
con
malformazioni
congenite,
dovute
alla
colposa
somministrazione
di
farmaci
dannosi
(nella
specie
teratogeni),
alla
propria
madre,
durante
la
gestazione,
legittimata
a
domandare
il
risarcimento
del
danno
alla
salute
nei
confronti
del
medico
che
quei
farmaci
prescrisse
o
non
sconsigli;
in
senso
elusivo,
Cass.
3
maggio
2011,
n.
9700:
la
corte,
superando
agilmente
qualsiasi
impasse
in
merito
alla
configurabilit
o
meno
della
soggettivit
giuridica
in
capo
al
concepito
(quaestio
iuris
sollevata
dai
ricorrenti),
precisa,
appunto,
come
non
si
ponga
invero
alcun
problema
relativo
alla
soggettivit
giuridica
di
questultimo,
non
essendo
necessario
configurarla
per
affermare
il
diritto
del
nato
al
risarcimento
e
non
potendo,
d'altro
canto,
quella
soggettivit
evincersi
dal
fatto
che
il
feto
fatto
oggetto
di
protezione
da
parte
dell'ordinamento.
Il
diritto
di
credito
,
infatti,
vantato
dal
figlio
in
quanto
nata
orfano
del
padre,
come
tale
destinato
a
vivere
senza
la
figura
paterna).
Attivit
medico-chirurgica
natura
dellobbligazione
Cass.
26
gennaio
2010,
n.
1538:
In
tema
di
responsabilit
professionale
del
medico,
spetta
a
questultimo
provare
che
non
vi
sia
stato
un
inadempimento
a
lui
imputabile
o
che
esso,
pur
esistente,
non
sia
stato
eziologicamente
rilevante
(nella
specie,
la
S.C.,
dopo
aver
ribadito
che
la
responsabilit
medica
responsabilit
contrattuale,
ha
espressamente
richiamato
il
principio
espresso
dalle
Sez.
Un,
con
sentenza
30
ottobre
2001,
n.
13533,
secondo
cui
il
creditore,
sia
che
agisca
per
ladempimento,
per
la
risoluzione
o
per
il
risarcimento
del
danno,
deve
dare
la
prova
della
fonte
negoziale
o
legale
del
suo
diritto
e,
se
previsto,
del
termine
di
scadenza,
mentre
pu
limitarsi
ad
allegare
linadempimento
della
controparte:
sar
il
debitore
convenuto
a
dover
fornire
la
prova
del
fatto
estintivo
del
diritto,
costituito
dallavvenuto
adempimento,
ex
art.
1218
c.c.
Responsabilit
contrattuale
della
struttura
sanitaria
Cass.
civ.,
sez.
III,
11
novembre
2011,
n.
23562
(in
senso
conforme,
Cass.,
Sez.
Un.,
11
gennaio
2008,
n.
577)
In
tema
di
responsabilit
contrattuale
della
struttura
sanitaria
e
di
responsabilit
professionale
da
contatto
sociale
del
medico,
ai
fini
del
riparto
dell'onere
probatorio
l'attore,
paziente
danneggiato,
deve
limitarsi
a
provare
l'esistenza
del
contratto
(o
il
contatto
sociale)
e
l'insorgenza
o
l'aggravamento
della
patologia
ed
allegare
l'inadempimento
del
debitore,
astrattamente
idoneo
a
provocare
il
danno
lamentato,
rimanendo
a
carico
del
debitore
dimostrare
o
che
tale
inadempimento
non
vi
stato
ovvero
che,
pur
esistendo,
esso
non
stato
eziologicamente
rilevante
(nella
specie
la
.Corte
ha
cassato
la
sentenza
di
merito
che
aveva
respinto
la
domanda
risarcitoria
avanzata
dai
genitori
per
ottenere
il
ristoro
dei
danni
in
conseguenza
della
condotta
colposa
tenuta
dai
sanitari
dell'ospedale
civile
in
occasione
del
parto;
condotta
dalla
quale
erano
derivati
gravissimi
danni
al
figlio
minore).
Danno
da
nascita
indesiderata:
Cass.
21
giugno
2004
n.
11488
In
caso
di
gravi
malformazioni
fetali,
posto
che,
a)
si
assume
come
normale
e
corrispondente
a
regolarit
causale
che
la
gestante,
se
informata
correttamente
e
tempestivamente
sulla
gravit
delle
patologie
cui
va
incontro
il
nascituro,
interrompa
la
gravidanza;
b)
il
difetto
di
informazione
da
parte
del
medico
per
omessa
diagnosi
prenatale
impedisce
lesercizio
del
diritto
allaborto,
il
medico
che
abbia
omesso
di
diagnosticare
rilevanti
patologie
del
feto
responsabile
dei
danni,
patrimoniali
e
non,
che
siano
conseguenza
immediata
e
diretta
del
suo
inadempimento.
Cass.
10
maggio
2002,
n.
6735
In
tema
di
responsabilit
del
medico
da
nascita
indesiderata,
allorquando
occorre
stabilire
se
la
donna
avrebbe
potuto
esercitare
il
suo
diritto
di
interrompere
la
gravidanza
ove
fosse
stata
convenientemente
informata
sulle
condizioni
del
nascituro,
non
si
deve
accertare
se
in
lei
si
sia
instaurato
un
processo
patologico
capace
di
evolvere
in
grave
pericolo
per
la
sua
salute
psichica,
ma
se
la
dovuta
informazione
sulle
condizioni
del
feto
avrebbe
potuto
determinare
durante
la
gravidanza
l'insorgere
di
un
tale
processo
patologico.
(Nella
specie
la
Suprema
Corte
ha
peraltro
confermato
la
sentenza
di
merito
che,
nel
riferirsi
alla
reazione
instauratasi
nella
madre
al
momento
della
nascita
del
figlio,
ha
espresso
il
giudizio
che
analoga
reazione
si
sarebbe
determinata
durante
la
gravidanza,
ove
la
gestante
avesse
potuto
rappresentarsi
le
conseguenze
che
sulla
vita
sua
e
del
nascituro
sarebbero
potute
derivare
dalle
malformazioni
che
il
feto
presentava.)
Salvo
il
caso
di
grave
pericolo
di
vita
per
la
donna,
dopo
il
novantesimo
giorno
di
gravidanza,
la
gestante
pu
esercitare
il
diritto
all'aborto,
ai
sensi
del
combinato
disposto
degli
artt.
6
e
7
comma
terzo
legge
22
maggio
1978
n.194,
solo
in
presenza
di
due
condizioni
positive
concernenti
la
propria
salute
e
di
una
negativa,
costituita
dall'insussistenza
di
possibilit
di
vita
autonoma
per
il
feto.
Per
possibilit
di
vita
autonoma
del
feto
si
intende
quel
grado
di
maturit
del
feto
che
gli
consentirebbe,
una
volta
estratto
dal
grembo
della
madre,
di
mantenersi
in
vita
e
di
completare
il
suo
processo
di
formazione
anche
fuori
dall'ambiente
materno.
Pertanto
in
una
causa
in
cui
si
discute
se
la
donna
sia
stata
impedita
ad
interrompere
la
gravidanza
da
un
inadempimento
del
medico
ad
una
sua
obbligazione
professionale,
l'eventuale
interrogativo
concernente
la
possibilit
di
vita
autonoma
del
feto
va
risolto
avendo
riguardo
al
grado
di
maturit
raggiunto
dal
feto
nel
momento
in
cui
il
medico
ha
mancato
di
tenere
il
comportamento
che
da
lui
ci
si
doveva
attendere.
In
tema
di
responsabilit
del
medico
per
omessa
diagnosi
di
malformazioni
del
feto
e
conseguente
nascita
indesiderata,
il
risarcimento
dei
danni
che
costituiscono
conseguenza
immediata
e
diretta
dell'inadempimento
del
ginecologo
all'obbligazione
di
natura
contrattuale
gravante
su
di
lui
spetta
non
solo
alla
madre,
ma
anche
al
padre,
atteso
il
complesso
di
diritti
e
doveri
che,
secondo
l'ordinamento,
si
incentrano
sul
fatto
della
procreazione,
non
rilevando,
in
contrario,
che
sia
consentito
solo
alla
madre
(e
non
al
padre)
la
scelta
in
ordine
all'interruzione
della
gravidanza,
atteso
che,
sottratta
alla
madre
la
possibilit
di
scegliere
a
causa
dell'inesatta
prestazione
del
medico,
agli
effetti
negativi
del
comportamento
di
quest'ultimo
non
pu
ritenersi
estraneo
il
padre,
che
deve
perci
ritenersi
tra
i
soggetti
"protetti"
dal
contratto
col
medico
e
quindi
tra
coloro
rispetto
ai
quali
la
prestazione
mancata
o
inesatta
pu
qualificarsi
come
inadempimento,
con
tutte
le
relative
conseguenze
sul
piano
risarcitorio.
In
tema
di
responsabilit
del
medico
per
omessa
diagnosi
di
malformazioni
del
feto
e
conseguente
nascita
indesiderata,
l'inadempimento
del
medico
rileva
in
quanto
impedisce
alla
donna
di
compiere
la
scelta
di
interrompere
la
gravidanza.
Infatti
la
legge,
in
presenza
di
determinati
presupposti,
consente
alla
donna
di
evitare
il
pregiudizio
che
da
quella
condizione
del
figlio
deriverebbe
al
proprio
stato
di
salute
e
rende
corrispondente
a
regolarit
causale
che
la
gestante
interrompa
la
gravidanza
se
informata
di
gravi
malformazioni
del
feto.
(Nella
specie
la
Suprema
Corte
ha
confermato
la
sentenza
di
merito
che
aveva
affermato
la
responsabilit
del
medico
senza
specifica
discussione
sul
nesso
di
causalit,
non
essendo
emersi
in
causa
argomenti
-
quali
fattori
ambientali,
culturali,
di
storia
personale
-
idonei
a
dimostrare
in
modo
certo
che,
pur
informata,
la
donna
avrebbe
accettato
la
continuazione
della
gravidanza,
ed
essendo
anzi
desumibile
dalla
richiesta
al
medico
di
esami
volti
a
conoscere
l'esistenza
di
anomalie
o
malformazioni
del
feto
un
comportamento
orientato,
in
caso
positivo,
a
rifiutare
la
prosecuzione
della
gravidanza).
Nella
causa
tra
la
donna
che
chiede
il
risarcimento
dei
danni
derivatile
dal
non
aver
potuto
esercitare
il
suo
diritto
ad
interrompere
la
gravidanza,
ed
il
medico
che
sostiene
l'insussistenza
del
nesso
causale
perch
la
donna
non
avrebbe
comunque
potuto
esercitarlo,
alla
donna
spetta
provare
i
fatti
costitutivi
del
diritto,
al
medico
i
fatti
idonei
ad
escluderlo.
Pertanto
non
spetta
alla
donna
provare
che
quando
maturato
l'inadempimento
del
medico
il
feto
non
era
ancora
pervenuto
alla
condizione
della
possibilit
di
vita
autonoma,
ma
spetta
al
medico
provare
il
contrario.
In
senso
contrario:
Cass.
24
marzo
1999,
n.
2793
A
norma
dell'art.
6
lett.
b)
della
legge
n.
194
del
1978,
per
la
possibilit
giuridica
di
ricorrere
all'interruzione
di
gravidanza
dopo
il
novantesimo
giorno
non
sufficiente
la
presenza
di
anomalie
o
malformazioni
del
nascituro,
ma
necessario
che
tale
presenza
determini
processi
patologici
in
atto
consistenti
in
un
"grave"
pericolo
per
la
salute
fisica
o
psichica
della
madre.
Consegue
che
la
parte
che
richiede
il
risarcimento
del
danno
per
la
lesione
del
diritto
all'interruzione
della
gravidanza
in
conseguenza
della
violazione
da
parte
dei
sanitari
del
diritto
all'informazione
deve
provare
che,
quantomeno
in
termini
di
probabilit
scientifica,
la
patologia
richiesta
dall'art.
6
della
legge
necessaria
per
ricorrere
all'interruzione
di
gravidanza
si
sarebbe
manifestata
in
conseguenza
della
conoscenza
della
situazione
appresa
dall'informazione
da
parte
dei
medici.
Il
risarcimento
del
danno
per
il
mancato
esercizio
del
diritto
all'interruzione
della
gravidanza
non
consegue
automaticamente
all'inadempimento
dell'obbligo
di
esatta
informazione
che
il
sanitario
era
tenuto
ad
adempiere
in
ordine
alle
possibili
anomalie
o
malformazioni
del
nascituro,
ma
necessita
anche
della
prova
della
sussistenza
delle
condizioni
previste
dagli
artt.
6
e
7
della
legge
n.
194
del
1978
per
ricorrere
all'interruzione
di
gravidanza
(La
Corte
ha
affermato
il
principio
in
un
caso
in
cui
era
stato
richiesto
un
risarcimento
del
danno
conseguente
alla
nascita
del
figlio
affetto
da
sindrome
di
Down,
sulla
base
dell'avvenuta
violazione
del
diritto
all'informazione
da
parte
dei
sanitari
circa
i
rischi
di
possibili
anomalie
o
malformazioni
del
nascituro
e
del
diritto
all'interruzione
della
gravidanza).
1)
Responsabilit
dell'ente
ospedaliero.
Cass.
18805/2009:
ove
l'istituto
ospedaliero
autorizzi
un
chirurgo
o
un
medico
ad
operare
al
suo
interno,
mettendogli
a
disposizione
le
sue
attrezzature
e
la
sua
organizzazione,
e
con
esso
cooperi,
concludendo
con
il
paziente
un
contratto
di
degenza
e
le
prestazioni
accessorie,
esso
viene
ad
assumere
contrattualmente
rispetto
al
paziente
la
posizione
e
le
responsabilit
tipiche
dell'impresa
erogatrice
del
complesso
di
prestazioni
sanitarie.
A
nulla
rileva
che
il
paziente
sia
pervenuto
all'ospedale
attraverso
il
medico
e
per
sua
indicazione
e,
invero,
il
medico
non
avrebbe
potuto
operare
se
non
nell'ambito
dell'organizzazione
ospedaliera.
Accettandone
l'attivit,
la
casa
di
cura
ha
assunto
le
conseguenze
della
responsabilit.
2)
Responsabilit
professionale
per
mancata
informazione.
Cass.
2847/2010:
l'intervento
del
medico,
anche
in
funzione
diagnostica,
d
comunque
luogo
all'instaurazione
di
un
rapporto
di
tipo
contrattuale.
Ne
consegue
che,
effettuata
la
diagnosi
in
esecuzione
del
contratto,
l'illustrazione
al
paziente
delle
conseguenze
della
terapia
costituisce
un'obbligazione
il
cui
adempimento
deve
essere
provato
dalla
parte
che
l'altra
affermi
inadempiente
e,
dunque,
dal
medico
a
fronte
dell'allegazione
dell'inadempimento
da
parte
del
paziente.
L'omessa
informazione
viola
il
diritto
all'autodeterminazione
del
paziente.
Tale
diritto
rappresenta
una
forma
di
rispetto
per
la
libert
dell'individuo
e
un
mezzo
per
il
perseguimento
dei
suoi
migliori
interessi,
che
si
sostanzia
non
solo
nella
facolt
di
scegliere
tra
le
diverse
possibilit
di
trattamento
medico,
ma
altres
di
eventualmente
rifiutare
la
terapia
e
decidere
consapevolmente
di
interromperla.
Secondo
la
definizione
della
Corte
Costituzionale
(sent.
438/2008),
il
consenso
informato
si
configura
quale
vero
e
proprio
diritto
della
persona
e
trova
fondamento
nei
principi
espressi
negli
artt.
2,
13
e
32
Cost.
Ne
deriva
che
la
mancanza
di
consenso
pu
assumere
rilievo
ai
fini
risarcitori
quante
volte
siano
configurabili
conseguenze
pregiudizievoli
che
siano
derivate
dalla
violazione
del
diritto
fondamentale
di
autodeterminazione
in
se
stesso
considerato.
3)
Responsabilit
del
medico
nell'esercizio
della
professione.
La
diligenza
qualificata
del
medico
deve
valutarsi
secondo
il
combinato
disposto
dell'art.
1176,
comma
secondo,
c.c
e
2236
c.c.,
atteso
che
il
medico
un
prestatore
d'opera
intellettuale.
L'esistenza
di
vasta
letteratura
che
illustrava
le
conseguenze
della
terapia
ci
porta
ad
escludere
che
la
prestazione
del
medico
coinvolgesse
problematiche
tecniche
di
particolare
complessit.
Cass.
20806/2009:
se
la
prestazione
professionale
di
routine
spetta
al
professionista
superare
la
presunzione
che
le
complicanze
sono
state
determinate
da
omessa
o
insufficiente
diligenza
professionale,
o
da
imperizia,
o
da
inesperienza
o
inabilit,
dimostrando
invece
che
sono
sorte
a
causa
di
un
evento
imprevisto
ed
imprevedibile
secondo
la
diligenza
qualificata
in
base
alle
conoscenze
tecnico-scientifiche
del
momento.
4)
Mancata
interruzione
della
gravidanza.
Cass.
13/2010:
l'omessa
rilevazione,
da
parte
del
medico
specialista,
della
presenza
di
gravi
malformazioni
nel
feto,
e
la
correlativa
mancata
comunicazione
di
tale
dato
alla
gestante,
deve
ritenersi
circostanza
idonea
a
porsi
in
rapporto
di
causalit
con
il
mancato
esercizio,
da
parte
della
donna,
della
facolt
di
interrompere
la
gravidanza,
in
quanto
deve
ritenersi
rispondente
ad
un
criterio
di
regolarit
causale
che
la
donna,
ove
adeguatamente
e
tempestivamente
indormata
della
presenza
di
una
malformazione
atta
ad
incidere
sulla
estrinsecazione
della
personalit
del
nascituro,
preferisca
non
portare
a
termine
la
gravidanza.
Cass.
2354/2010:
per
stabilire
se
i
danni
risarcibili
sono
conseguenza
dell'inadempimento
all'obbligo
della
completa
informazione
da
parte
del
medico,
necessario
che
il
giudice
del
merito
accerti
ex
ante
se
la
conoscibilit
delle
rilevanti
anomalie
e
malformazioni
del
feto
avrebbe
determinato
un
grave
pericolo
della
lesione
del
diritto
alla
salute
della
madre,
avuto
riguardo
alle
condizioni
concrete
fisiopsichiche
patologiche
della
stessa,
cos
da
determinare
i
presupposti
per
attuare
la
tutela
di
tale
interesse
consentendo
alla
madre
di
interrompere
la
gravidanza.
Solo
nella
concomitanza
di
tali
condizioni
possono
essere
risarciti
i
danni
ingiusti
che
sono
derivati,
in
termini
di
causalit
adeguata,
dalla
lesione
degli
interessi
tutelati
dalla
legge
sull'interruzione
volontaria
della
gravidanza.
5)
Diritti
del
padre.
Cass.
13/2010:
trattasi
di
contratto
di
prestazione
d'opera
professionale
con
effetti
protettivi
anche
nei
confronti
del
padre
del
concepito
che,
per
effetto
dell'attivit
professionale
del
ginecologo
diventa
o
non
diventa
padre
(o
diventa
padre
di
un
bambino
anormale).
Il
danno
provocato
da
inadempimento
del
sanitario
costituisce
conseguenza
immediata
e
diretta
anche
nei
suoi
confronti
e,
come
tale,
risarcibile
ex
art.
1223
c.c.
Cass.
2354/2010:
Al
padre,
terzo
del
contratto
intercorso
tra
la
madre
del
figlio
gravemente
malformato
ed
il
medico,
ma
obbligato
alla
pari
di
essa
nei
confronti
del
figlio,
sono
direttamente
risarcibili
i
danni
provocati
dall'inadempimento
del
medico
all'obbligo
di
informare
la
madre
sullo
stato
di
salute
del
feto
e
di
individuare
e
suggerire
tutti
gli
strumenti
diagnostici
idonei
a
tal
fine.
Cass.
11
maggio
2009,
n.
10741
Gli
effetti
del
contratto
debbono
essere
individuati
avendo
riguardo
anche
alla
sua
funzione
sociale,
e
tenendo
conto
che
la
Costituzione
antepone,
anche
in
materia
contrattuale,
gli
interessi
della
persona
a
quelli
patrimoniali.
Ne
consegue
che
il
contratto
stipulato
tra
una
gestante,
una
struttura
sanitaria
ed
un
medico,
avente
ad
oggetto
la
prestazione
di
cure
finalizzate
a
garantire
il
corretto
decorso
della
gravidanza,
riverbera
per
sua
natura
effetti
protettivi
a
vantaggio
anche
del
concepito
e
del
di
lui
padre,
i
quali
in
caso
di
inadempimento,
sono
perci
legittimati
ad
agire
per
il
risarcimento
del
danno.
Il
concepito,
pur
non
avendo
una
piena
capacit
giuridica,
comunque
un
soggetto
di
diritto,
perch
titolare
di
molteplici
interessi
personali
riconosciuti
dall'ordinamento
sia
nazionale
che
sovranazionale,
quali
il
diritto
alla
vita,
alla
salute,
all'onore,
all'identit
personale,
a
nascere
sano,
diritti,
questi,
rispetto
ai
quali
l'avverarsi
della
"condicio
iuris"
della
nascita
condizione
imprescindibile
per
la
loro
azionabilit
in
giudizio
ai
fini
risarcitori.
Ne
consegue
che
la
persona
nata
con
malformazioni
congenite,
dovute
alla
colposa
somministrazione
di
farmaci
dannosi
(nella
specie
teratogeni),
alla
propria
madre,
durante
la
gestazione,
legittimata
a
domandare
il
risarcimento
del
danno
alla
salute
nei
confronti
del
medico
che
quei
farmaci
prescrisse
o
non
sconsigli.
La
gestante
alla
quale
vengano
prescritti
farmaci
potenzialmente
dannosi
per
il
concepito
vanta
un
diritto
soggettivo
perfetto
ad
essere
informata
dei
rischi
derivanti
dal
loro
uso;
la
violazione
da
parte
del
medico
curante
dell'obbligo
d'informazione
al
riguardo
costituisce
causa
non
di
nullit,
ma
di
inadempimento
del
contratto
di
prestazione
d'opera
intellettuale
e
comporta
il
risarcimento
del
danno.
La
valutazione
del
nesso
causale
in
sede
civile,
pur
ispirandosi
ai
criteri
di
cui
agli
artt.
40
e
41
cod.
pen.,
secondo
i
quali
un
evento
da
considerare
causato
da
un
altro
se
il
primo
non
si
sarebbe
verificato
in
assenza
del
secondo,
nonch
al
criterio
della
cosiddetta
causalit
adeguata,
sulla
base
del
quale,
all'interno
della
serie
causale,
occorre
dar
rilievo
solo
a
quegli
eventi
che
non
appaiano
-
ad
una
valutazione
"ex
ante"
-
del
tutto
inverosimili,
presenta
tuttavia
notevoli
differenze
in
relazione
al
regime
probatorio
applicabile,
stante
la
diversit
dei
valori
in
gioco
tra
responsabilit
penale
e
responsabilit
civile.
Nel
processo
civile
vige
la
regola
della
preponderanza
dell'evidenza
o
del
"pi
probabile
che
non",
mentre
nel
processo
penale
vige
infatti
la
regola
della
prova
"oltre
il
ragionevole
dubbio".
Nel
caso
in
cui
ad
una
gestante
siano
stati
somministrati
senza
adeguata
informazione
farmaci
che
abbiano
provocato
malformazioni
al
concepito,
la
violazione
dell'obbligo
d'informazione
da
parte
dei
sanitari
d
luogo
al
risarcimento
del
danno
in
favore
sia
della
gestante-madre
che
del
concepito,
una
volta
che
quest'ultimo
sia
venuto
ad
esistenza,
ma
solo
in
relazione
all'inosservanza
del
principio
del
c.d.
consenso
informato,
non
potendo
invece
ravvisarsi
a
carico
dei
sanitari
una
responsabilit
nei
confronti
del
concepito
perch
la
madre
non
stata
posta
in
condizione
di
esercitare
il
diritto
all'interruzione
volontaria
della
gravidanza,
non
essendo
configurabile
nel
nostro
ordinamento
un
diritto
"a
non
nascere
se
non
sano",
in
quanto
le
norme
che
disciplinano
l'interruzione
della
gravidanza
la
ammettono
nei
soli
casi
in
cui
la
prosecuzione
della
stessa
o
il
parto
comportino
un
grave
pericolo
per
la
salute
o
la
vita
della
donna,
legittimando
pertanto
la
sola
madre
ad
agire
per
il
risarcimento
dei
danni.
Cass.
Sez.
Un.,
n.
26972
del
2008
Il
danno
non
patrimoniale
da
lesione
della
salute
costituisce
una
categoria
ampia
ed
omnicomprensiva,
nella
cui
liquidazione
il
giudice
deve
tenere
conto
di
tutti
i
pregiudizi
concretamente
patiti
dalla
vittima,
ma
senza
duplicare
il
risarcimento
attraverso
lattribuzione
di
nomi
diversi
a
pregiudizi
identici.
Ne
consegue
che
inammissibile,
perch
costituisce
una
duplicazione
risarcitoria,
la
congiunta
attribuzione
alla
vittima
di
lesioni
personali,
ove
derivanti
da
reato,
del
risarcimento
sia
per
il
danno
biologico,
sia
per
il
danno
morale,
inteso
quale
sofferenza
soggettiva,
il
quale
costituisce
necessariamente
una
componente
del
primo
(posto
che
qualsiasi
lesione
della
salute
implica
necessariamente
una
sofferenza
fisica
o
psichica),
come
pure
la
liquidazione
del
danno
biologico
separatamente
da
quello
c.d.
estetico,
da
quello
alla
vita
di
relazione
e
da
quello
cosiddetto
esistenziale.
La
perdita
di
una
persona
cara
implica
necessariamente
una
sofferenza
morale,
la
quale
non
costituisce
un
danno
autonomo,
ma
rappresenta
un
aspetto
del
quale
tenere
conto,
unitamente
a
tutte
le
altre
conseguenze,
nella
liquidazione
unitaria
ed
omnicomprensiva
del
danno
non
patrimoniale.
Ne
consegue
che
inammissibile,
costituendo
una
duplicazione
risarcitoria,
la
congiunta
attribuzione,
al
prossimo
congiunto
di
persona
deceduta
in
conseguenza
di
un
fatto
illecito
costituente
reato,
del
risarcimento
a
titolo
di
danno
da
perdita
del
rapporto
parentale,
del
danno
morale
(inteso
quale
sofferenza
soggettiva,
ma
che
in
realt
non
costituisce
che
un
aspetto
del
pi
generale
danno
non
patrimoniale).
Il
danno
non
patrimoniale
derivante
dalla
lesione
di
diritti
inviolabili
della
persona,
come
tali
costituzionalmente
garantiti,
risarcibile
sulla
base
di
una
interpretazione
costituzionalmente
orientata
dellart.
2059
cod.
civ.
anche
quando
non
sussiste
un
fatto-reato,
n
ricorre
alcuna
delle
altre
ipotesi
in
cui
la
legge
consente
espressamente
il
ristoro
dei
pregiudizi
non
patrimoniali,
a
tre
condizioni:
(a)
che
linteresse
leso
e
non
il
pregiudizio
sofferto
abbia
rilevanza
costituzionale
(altrimenti
si
perverrebbe
ad
una
abrogazione
per
via
interpretativa
dellart.
2059
cod.
civ.,
giacch
qualsiasi
danno
non
patrimoniale,
per
il
fatto
stesso
di
essere
tale,
e
cio
di
toccare
interessi
della
persona,
sarebbe
sempre
risarcibile);
(b)
che
la
lesione
dellinteresse
sia
grave,
nel
senso
che
loffesa
superi
una
soglia
minima
di
tollerabilit
(in
quanto
il
dovere
di
solidariet,
di
cui
allart.
2
Cost.,
impone
a
ciascuno
di
tollerare
le
minime
intrusioni
nella
propria
sfera
personale
inevitabilmente
scaturenti
dalla
convivenza);
(c)
che
il
danno
non
sia
futile,
vale
a
dire
che
non
consista
in
meri
disagi
o
fastidi,
ovvero
nella
lesione
di
diritti
del
tutto
immaginari,
come
quello
alla
qualit
della
vita
od
alla
felicit.
Non
ammissibile
nel
nostro
ordinamento
lautonoma
categoria
di
danno
esistenziale,
inteso
quale
pregiudizio
alle
attivit
non
remunerative
della
persona,
atteso
che:
ove
in
essa
si
ricomprendano
i
pregiudizi
scaturenti
dalla
lesione
di
interessi
della
persona
di
rango
costituzionale,
ovvero
derivanti
da
fatti-reato,
essi
sono
gi
risarcibili
ai
sensi
dellart.
2059
cod.
civ.,
interpretato
in
modo
conforme
a
Costituzione,
con
la
conseguenza
che
la
liquidazione
di
una
ulteriore
posta
di
danno
comporterebbe
una
duplicazione
risarcitoria;
ove
nel
danno
esistenziale
si
intendesse
includere
pregiudizi
non
lesivi
di
diritti
inviolabili
della
persona,
tale
categoria
sarebbe
del
tutto
illegittima,
posto
che
simili
pregiudizi
sono
irrisarcibili,
in
virt
del
divieto
di
cui
allart.
2059
cod.
civ.
Responsabilit
medica
danni
alla
vita
prenatale
omessa
diagnosi
danno
da
contatto
sociale
Cass
Civ
Sez
III,
4
gennaio
2010,
n
13
La
sentenza
affronta
il
delicato
problema
relativo
alla
configurabilit
ed
alla
natura
della
responsabilit
della
clinica
in
relazione
alla
nascita
di
bambino
malformato
addebitabile
a
negligenze
di
natura
omissiva
nella
diagnosi
delle
malformazioni
nel
feto.
Nella
specie,
la
Suprema
Corte
afferma
la
violazione
della
libert
di
autodeterminazione
della
madre
con
riferimento
alla
possibilit
dell'interruzione
della
gravidanza
e
la
dispensabilit
di
una
tutela
risarcitoria
sia
in
favore
della
madre
sia
in
favore
del
padre.
Ai
fini
della
compiuta
valutazione
del
caso
vanno
richiamati
i
principi
di
legittimit
che
disciplinano
la
responsabilit
della
struttura
sanitaria
e
del
medico
nei
confronti
del
paziente.
Loggetto
dellobbligazione
assunta
dalla
prima
non
costituito
semplicemente
dalla
prestazione
medica
dei
propri
dipendenti,
ma
da
una
pi
complessa
prestazione,
definita
come
assistenza
sanitaria,
oggetto
di
un
contratto
atipico,
inquadrabile
nella
categoria
della
locatio
operis.
A
carico
della
struttura
sanitaria
gravano
infatti,
prestazioni
non
solo
di
diagnosi
e
cura,
ma
anche
di
tipo
organizzativo,
connesse
allassistenza
post-operatorie,
alla
sicurezza
delle
attrezzature,
dei
macchinari,
alla
vigilanza
ed
alla
custodia
dei
pazienti,
oltre
prestazioni
pi
propriamente
riconducibili
al
contratto
dalbergo
(cfr.
Cass
S.U.
n.
577/2008).
Lattivit
del
medico
costituisce
quindi
solo
un
momento
di
una
pi
complessa
prestazione
ed
il
danno
non
sempre
conseguenza
dellerrore
del
singolo
operatore,
ma
talvolta
anche
del
comportamento
di
pi
soggetti.
Tanto
comporta,
oltre
la
responsabilit
vicaria
per
il
fatto
del
dipendente,
altra
diretta
per
la
carente
organizzazione,
che
pu
riguardare
numerosi
aspetti,
quali
la
disponibilit
di
personale
qualificato
ed
in
numero
sufficiente,
la
sorveglianza
sul
coordinamento
dei
servizi,
la
garanzia
sulla
salubrit
degli
ambienti,
la
disponibilit
di
attrezzature
di
adeguato
livello
tecnologico,
la
cui
disponibilit
sia
esigibile
per
la
natura
delle
prestazioni
ivi
offerte.
Il
rapporto
fra
paziente
e
struttura
trova
quindi
fondamento
in
un
contratto
autonomo
ed
atipico,
definito
come
contratto
di
spedalit
o
contratto
di
assistenza
sanitaria,
per
il
cui
inadempimento
si
applicano
le
regole
fissate
dallart.
1218
c.c.
(si
vedano
Cass.
s.u.
n.
9556/2002;
Cass.
n.
571/2005,
Cass.
sez.
III,
n.
1698/2006;
Cass.
sez.
III,
n.
8826/2007).
Conseguentemente
la
responsabilit
dellente
per
il
fatto
dei
propri
medici
ausiliari
si
fonda
sulla
previsione
dellart.
1228
c.c.,
in
forza
del
quale
il
debitore
che
nelladempimento
dellobbligazione
si
avvale
dellopera
di
terzi,
risponde
anche
dei
fatti
dolosi
o
colposi
di
costoro.
Al
riguardo
la
Cassazione
ha
peraltro
precisato
che
irrilevante
che
si
tratti
di
una
casa
di
cura
privata
o
di
un
ospedale
pubblico,
in
quanto
sono
sostanzialmente
equivalenti
a
livello
normativo
gli
obblighi
dei
due
tipi
di
strutture
verso
il
fruitore
dei
servizi.
In
entrambi
i
casi
le
violazioni
incidono
sul
bene
della
salute,
tutelato
quale
diritto
fondamentale
della
costituzione,
senza
possibilit
di
limitazione
di
responsabilit
o
differenze
risarcitorie
a
seconda
della
diversa
natura,
pubblica
o
privata
della
struttura
sanitaria
(cfr.
Cass.
S.U.
n.
577/2008;
Cass.
n.
4058/2005)
Ed
ancora
la
natura
della
responsabilit
della
struttura
non
muta
se
il
paziente
si
sia
rivolto
direttamente
ad
una
struttura
sanitaria
del
servizio
sanitario
nazionale
o
convenzionata
o
se
si
sia
rivolto
ad
un
medico
di
fiducia
che
ha
effettuato
lintervento
presso
una
struttura
privata,
sempre
che
il
professionista
sia
inserito
nella
stessa,
in
rapporto
di
dipendenza
o
di
mera
convenzione,
supponendo
anche
la
seconda
forma
di
collaborazione
una
scelta
del
medico
da
parte
della
struttura,
con
assunzione
del
relativo
rischio
(cfr.
Cass.
N.
1698/2006).
Quanto
alla
responsabilit
del
medico,
da
circa
un
decennio
la
Suprema
Corte
qualifica
la
responsabilit
professionale
del
medico
di
natura
contrattuale,
pur
fondandola,
ove
manchi
il
rapporto
contrattuale
diretto,
sul
solo
contatto
sociale
(cfr.
Cass.
sez.
III,
n.
589/99;
id.
n.
11488/2004;
id.
12362/2006;
Cass.
sez.
III,
n.
8826/2007;
Cass.
S.U.
n.
577/2008).
Il
contatto
sociale
infatti
la
fonte
di
un
rapporto
che
non
ha
ad
oggetto
la
protezione
del
paziente,
bens
una
prestazione
che
si
modella
su
quella
propria
del
contratto
dopera
professionale,
in
base
al
quale
il
medico
tenuto
allesercizio
della
propria
attivit
nellambito
dellente
con
il
quale
il
paziente
ha
stipulato
il
contratto,
ad
essa
ricollegando
obblighi
di
comportamento
di
varia
natura,
diretti
a
garantire
che
siano
tutelati
gli
interessi
emersi
o
esposti
a
pericolo
in
occasione
del
detto
contatto
e
in
ragione
della
prestazione
medica
da
eseguirsi.
In
sostanza,
in
assenza
di
vincolo,
il
paziente
non
pu
pretendere
la
prestazione
sanitaria
dal
medico,
ma
se
il
medico
in
ogni
caso
interviene,
perch
tenuto
nei
confronti
dellente
ospedaliero,
lesercizio
della
sua
attivit
sanitaria
non
pu
essere
differente
nel
contenuto
da
quello
che
ha
come
fonte
un
contratto
fra
paziente
e
medico.
Il
contatto
sociale
fonte
quindi
di
responsabilit
contrattuale
per
non
avere
il
soggetto
fatto
ci
cui
era
tenuto.
Tale
inquadramento
ha
conseguenze
importanti
sul
piano
della
ripartizione
e
del
contenuto
dellonere
probatorio,
nonch
sulla
disciplina
applicabile
in
tema
di
prescrizione.
Nellambito
della
responsabilit
professionale
del
medico
la
giurisprudenza
delle
sezioni
semplici
ha
infatti
ritenuto
che
gravi
sullattore,
paziente
danneggiato
che
agisce
in
giudizio
deducendo
linesatto
adempimento
della
prestazione
sanitaria,
oltre
alla
prova
del
contratto,
anche
quella
dellaggravamento
della
situazione
patologica
o
linsorgenza
di
nuove
patologie,
nonch
la
prova
del
nesso
di
causalit
fra
lazione
o
lomissione
del
debitore
e
tale
evento
dannoso,
allegando
il
solo
inadempimento
del
sanitario,
restando
di
contro
a
carico
del
debitore
lonere
della
prova
di
aver
tenuto
un
comportamento
diligente
e
che
lesito
negativo
sia
stato
determinato
da
un
evento
imprevisto
ed
imprevedibile
(cfr.
Cass.
n.
12362/2006;
n.
9085/2006;
n.
22894/2005;
n.
10297/2004).
In
particolare
in
una
recente
pronuncia
a
sezioni
unite,
relativa
ad
azione
risarcitoria
per
epatite
contratta
a
seguito
di
trasfusione
di
sangue
infetto,
lattore
aveva
provato
il
contratto
relativo
alla
prestazione
sanitaria
ed
il
danno,
ovvero
la
patologia
epatica,
ed
aveva
allegato,
quale
inadempienza
dei
convenuti,
la
trasfusione
con
sangue
infetto.
La
Suprema
Corte
ha
quindi
affermato
che
competeva
ai
convenuti
provare
linesistenza
dellinadempimento
o
quanto
meno
linsussistenza
del
rapporto
di
causalit
fra
linadempienza
ed
il
danno,
ad
esempio
per
la
preesistenza
dellaffezione
ed
ha
ritenuto
che
violava
tali
principi
la
sentenza
di
merito,
che
aveva
posto
a
carico
del
danneggiato
lonere
della
prova
della
preesistente
inesistenza
della
patologia,
evidenziando
peraltro
come
gli
accertamenti
ematici
che
avrebbero
dovuto
precedere
lintervento
e
che
andavano
diligentemente
inseriti
nella
cartella
clinica,
non
potevano
non
evidenziare
tali
dati
(Cass.
S.U.
n.
577/2008).
probabilmente,
ovvero
secondo
quello
che
accade
nella
gran
parte
dei
casi,
levento
si
sarebbe
avverato
anche
se
il
comportamento
omesso
fosse
stato
posto
in
essere.
Responsabilit
del
medico,
ginecologo,
contatto
sociale,
onere
probatorio
Cassazione
civile
,
sez.
III,
sentenza
01.02.2011
n
2334
La
responsabilit
del
medico
in
ordine
al
danno
subito
dal
paziente
presuppone
la
violazione
dei
doveri
inerenti
allo
svolgimento
della
professione,
tra
cui
il
dovere
di
diligenza
da
valutarsi
in
riferimento
alla
natura
della
specifica
attivit
esercitata;
tale
diligenza
non
quella
del
buon
padre
di
famiglia
ma
quella
del
debitore
qualificato
ai
sensi
dell'art.
1176,
secondo
comma
cod.civ.
che
comporta
il
rispetto
degli
accorgimenti
e
delle
regole
tecniche
obbiettivamente
connesse
all'esercizio
della
professione
e
ricomprende
pertanto
anche
la
perizia.
La
limitazione
di
responsabilit
alle
ipotesi
di
dolo
e
colpa
grave
di
cui
all'art.
2236,
secondo
comma
cod.civ.
non
ricorre
con
riferimento
ai
danni
causati
per
negligenza
o
imperizia
ma
soltanto
per
i
casi
implicanti
risoluzione
di
problemi
tecnici
di
particolare
difficolt
che
trascendono
la
preparazione
media
o
non
ancora
sufficientemente
studiati
dalla
scienza
medica.
Quanto
all'onere
probatorio,
spetta
al
medico
provare
che
il
caso
era
di
particolare
difficolt
e
al
paziente
quali
siano
state
le
modalit
di
esecuzione
inidonee
ovvero
a
questi
spetta
provare
che
l'intervento
era
di
facile
esecuzione
e
al
medico
che
l'insuccesso
non
dipeso
da
suo
difetto
di
diligenza.
In
tema
di
responsabilit
contrattuale
della
struttura
sanitaria
e
di
responsabilit
professionale
da
contatto
sociale
del
medico,
ai
fini
del
riparto
dell'onere
probatorio
l'attore,
paziente
danneggiato,
deve
limitarsi
a
provare
l'esistenza
del
contratto
(o
il
contatto
sociale)
e
l'insorgenza
o
l'aggravamento
della
patologia
ed
allegare
l'inadempimento
del
debitore,
astrattamente
idoneo
a
provocare
il
danno
lamentato,
rimanendo
a
carico
del
debitore
dimostrare
o
che
tale
inadempimento
non
vi
stato
ovvero
che,
pur
esistendo,
esso
non
stato
eziologicamente
rilevante.
Medico
e
prova
della
responsabilit.
Cassazione
Sez
III
Civile
n.
3520/2008
dep
14
febbraio
"
.....va
in
questa
sede
ribadito
come
sia
principio
di
diritto
del
tutto
consolidato
quello
secondo
cui,
positivamente
e
previamente
accertata
l'esistenza
di
un
nesso
di
causalit
giuridicamente
rilevante
(secondo
i
criteri
di
recente
affermati
da
questa
stessa
corte
con
la
sentenza
21619/07)
tra
la
condotta
e
l'evento
di
danno,
consentito
al
giudice
il
passaggio,
logicamente
e
cronologicamente
conseguente,
alla
valutazione
dell'elemento
soggettivo
dell'illecito,
e
cio
della
sussistenza,
o
meno,
della
colpa
dell'agente
(che,
pur
in
presenza
di
un
comprovato
nesso
causale,
potrebbe
essere
autonomamente
esclusa
secondo
criteri,
storicamente
elastici,
di
prevedibilit
ed
evitabilit).
Orbene,
criteri
funzionali
all'accertamento
della
colpa
medica
-
la
prova
della
cui
assenza
grava,
nelle
fattispecie
di
responsabilit
contrattuale
quale
quella
di
specie,
sempre
sul
professionista/debitore
(Cass.
ss.uu.
13533/2001,
sia
pur
con
riferimento
a
vicenda
processuale
diversa
dall'inadempimento
del
medico)
-
risultano
essere,
in
astratto,
quelli:
a)
della
natura,
facile
o
non
facile,
dell'intervento
del
medico;
b)
del
peggioramento
o
meno
delle
condizioni
del
paziente;
c)
della
valutazione
del
grado
di
colpa
di
volta
in
volta
richiesto:
lieve,
nonch
presunta,
in
presenza
di
operazione
routinarie;
grave,
sia
pur
sotto
il
solo
profilo
della
sola
imperizia
(Corte
cost.
166/1973),
se
relativa
ad
interventi
che
trascendano
la
ordinaria
preparazione
media
ovvero
non
risultino
sufficientemente
studiati
o
sperimentati,
salvo
l'ulteriore
limite
della
particolare
diligenza
e
dell'elevato
tasso
di
specializzazione
richiesti
in
tal
caso
al
professionista;
d)
del
corretto
adempimento
tanto
dell'onere
di
informazione
-
con
conseguente
consenso
del
paziente
-,
quanto
dei
successivi
obblighi
"di
protezione"
del
paziente
stesso
attraverso
il
successivo
controllo
degli
effetti
dell'intervento."
Diritto
alla
sessualit.
Cassazione
,
sez.
III
civile,
sentenza
02.02.2007
n
2311
Quanto
al
diritto
alla
sessualit,
occorre
ricordare
lincipit
della
Corte
Costituzionale
(Corte
costituzionale
561/87)
che
lo
inquadra
tra
i
diritti
inviolabili
della
persona
(articolo
2),
come
modus
vivendi
essenziale
per
io
espressione
e
lo
sviluppo
della
persona.
Certamente
la
perdita
della
sessualit
costituisce
anche
danno
biologico
(la
cui
valutazione
nelle
tabelle
medico
legali
convenzionali
supera
normalmente
il
livello
della
micropermanente
e
determina
un
rilevante
ritocco
del
punteggio
finale)
consequenziale
alla
lesione
per
fatto
della
circolazione
(come
nel
caso
di
specie),
ma
nessuno
ormai
nega
(v:da
ultimo
Cassazione,
Sezioni
Unite
6572/06
e
13546/06)
che
la
perdita
o
la
compromissione
anche
soltanto
psichica
della
sessualit
(come
avviene
nei
casi
di
stupro
e
di
pedofilia)
costituisca
di
per
s
un
danno
esistenziale,
la
cui
rilevanza
deve
essere
autonomamente
apprezzata
e
valutata
equitativamente
in
termini
non
patrimoniali
e
con
una
congrua
stima
dellequivalente
economico
del
debito
di
valore.
(Cfr.
Suprema
Corte
di
Cassazione,Sezione
prima
civile,Sentenza
10
maggio
2005,
n.
9801).
Danni
alla
sessualit
La
Corte
di
cassazione,
ribaltando
le
precedenti
sentenze
dei
giudici
di
merito,
ha
stabilito
che
anche
i
danni
sessualit
vanno
risarciti
autonomamente:
tale
danni
vanno
risarciti
in
quanto
il
diritto
alla
sessualit
stato
riconosciuto
dalla
stessa
Corte
Costituzionale
con
la
sentenza
n.
561/09,
che
lo
ha
inquadrato
tra
i
diritti
inviolabili
della
persona
(art.
2
cost.)
e
come
modus
vivendi
essenziale
per
l'espressione
e
lo
sviluppo
della
persona.
Ancora
sui
danni
alla
sessualit
Sentenza
19092/2009
Ancora
la
Cassazione
con
la
sentenza
n.
19092/09
ha
riconosciuto
il
diritto
al
risarcimento
dei
danni
per
il
coniuge
non
pu
pi
avere
rapporti
sessuali
con
l'altro
a
causa
di
un
intervento
medico
errato
Danni
al
feto
e
nascituro
Col
ricovero
della
gestante
l'ente
ospedaliero
si
obbliga
non
soltanto
a
prestare
alla
stessa
le
cure
e
le
attivita'
necessarie
al
fine
di
consentirle
il
parto,
ma
altresi'
ad
effettuare,
con
la
dovuta
diligenza
e
prudenza,
tutte
quelle
altre
prestazioni
necessarie
al
feto
(ed
al
neonato),
si'
da
garantirne
la
nascita,
evitandogli
-
nei
limiti
consentiti
dalla
scienza
(da
valutarsi
sotto
il
profilo
della
perizia)
-
qualsiasi
possibile
danno.
La
controparte
del
contratto
rimane
sempre
la
partoriente,
o,
comunque,
colui
che
lo
abbia
stipulato,
ma
il
terzo,
alla
cui
tutela
tende
quell'obbligazione
accessoria,
non
e'
piu'
il
nascituro,
bensi'
il
nato,
anche
se
le
prestazioni
debbono
essere
assolte,
in
parte,
anteriormente
alla
nascita.
E'
quindi
il
soggetto
che,
con
la
nascita,
acquista
la
capacita'
giuridica,
che
puo'
agire
per
far
valere
la
responsabilita'
contrattuale
per
l'inadempimento
delle
obbligazioni
accessorie
cui
il
contraente
sia
tenuto
in
forza
del
contratto
stipulato
col
genitore
o
con
terzi,
a
garanzia
e
protezione
di
uno
suo
specifico
interesse,
anche
se
le
prestazioni
debbano
essere
assolte,
in
parte,
anteriormente
alla
sua
nascita.
Ne'
puo'
obiettarsi
-
come
si
e'
fatto
-
che
il
feto
e'
parte
del
corpo
materno
sicche'
non
potrebbe
ipotizzarsene
una
tutela
riflessa.
L'affermazione
e',
anzitutto,
destituita
di
fondamento
giuridico,
dacche'
le
norme
prima
esaminate
dimostrano
che
trattasi,
sin
dal
concepimento,
di
una
entita'
distinta,
tutelata
anche
contro
gli
eventuali
attentati
che
provengano
dalla
stessa
madre
(aborto
al
di
fuori
delle
ipotesi
previste).
Da
quanto
si
e'
detto
risulta,
soprattutto,
che
la
tutela
riflessa
non
concerne
tanto
il
feto
quanto
il
nato
ed
il
suo
diritto
ad
essere
e
rimanere
integro,
anche
se
attraverso
le
prestazioni
da
effettuarsi
anteriormente
alla
nascita.
Sentenza
della
Cassazione
Civile
n
11503
del
22/11/93
Sez.III.
Obbligo
informativo,
medico
e
case
di
cura.
Cass.
3847/11.
Una
volta
inquadrato,
con
motivazione
infondatamente
censurata,
il
rapporto
intercorso
tra
paziente,
medico
e
casa
di
cura
privata
come
conseguito
ad
un
contratto
trilaterale
e
correttamente
affermato
che
"la
struttura
sanitaria
aveva
l'obbligo
di
una
compiuta
informativa
del
paziente
sui
rischi
di
eventuali
dimensioni
od
entit
del
suo
equipaggiamento
non
idonee
a
fronteggiare
particolari
situazioni
patologiche
o
devianti
-
sia
pure
con
una
qualificabilit
di
normalit
statistica
-
dalla
norma",
la
corte
d'appello
ha
pi
avanti
rilevato
che
"non
interessa
alla
controparte
del
rapporto
negoziale
-cio
alla
gestante
o
ai
danneggiati
per
colpa
aquiliana
quale
fosse
la
struttura
interna
dell'organizzazione
dei
danneggianti,
attesa
la
natura
delle
obbligazioni
comunque
assunte".
La
conclusione
corretta
in
diritto,
in
quanto
l'obbligo
informativo
circa
i
limiti
di
equipaggiamento
o
di
organizzazione
della
struttura
sanitaria
grava,
in
ipotesi
siffatte,
anche
sul
medico,
convenzionato
o
non
con
la
casa
di
cura,
dipendente
o
non
della
stessa,
che
abbia
concluso
con
la
paziente
un
contratto
di
assistenza
al
parto
(o,
con
qualunque
paziente,
di
tipo
comportante
la
possibilit
dell'instaurarsi
di
situazioni
patologiche
che
non
sia
agevole
fronteggiare)
presso
la
casa
di
cura
in
cui
era
convenuto
che
ella
si
sarebbe
ricoverata.
E
ci
non
solo
per
la
natura
trilaterale
del
contratto,
ma
anche
in
ragione
degli
obblighi
di
protezione
che,
nei
confronti
della
paziente
e
dei
terzi
che
con
la
stessa
siano
in
particolari
relazioni,
come
l'altro
genitore
ed
il
neonato,
derivano
da
un
contratto
che
abbia
ad
oggetto
tale
tipo
di
prestazioni.
Ne
consegue
che,
in
caso
di
violazione
dell'obbligazione
di
informare,
ove
sia
sostenibile
che
il
paziente
non
si
sarebbe
avvalso
di
quella
struttura
se
fosse
stato
adeguatamente
informato
(secondo
uno
schema
analogo
a
quello
descritto,
in
tema
di
consenso
informato,
da
Cass.,
n.
2847/10),
delle
conseguenze
derivate
dalle
carenze
organizzative
o
di
equipaggiamento
della
struttura
risponde
anche
il
medico
col
quale
il
paziente
abbia
instaurato
un
rapporto
di
natura
privatistica.
Cassazione
2334/11.
Carenze
strutturali
clinica.
Responsabilit
della
clinica
e
del
medico.
Cassazione
Civile,
Sez.
III,
sentenza
7
gennaio
2011,
n.
257.
Cartella
clinica.
MASSIMA:
Lomessa
analisi
emocolturale,
con
la
conseguente
adozione
di
medicinali
rivelatisi
inefficaci,
non
pu
essere
giustificata
sulla
base
di
forzature,
quali
il
carattere
improbabile
del
verificarsi
di
quel
tipo
di
infezione
(che
peraltro
il
medico
sarebbe
tenuto
a
ipotizzare,
considerata
la
gravit
delle
conseguenze
che
ne
possono
derivare
e
la
facilit
delladozione
dei
mezzi
di
indagine)
ed
il
generico
riferimento
alladozione
di
un
criterio
empirico
epidemiologico,
che
non
costituisce
una
cura
o
diagnosi
alternativa,
ma
sembra
consistere
nella
mera,
oggettiva
giustificazione
del
comportamento
omissivo.
Lincompleta
redazione
della
cartella
clinica
costituisce
di
per
s
inesatto
adempimento
per
difetto
di
diligenza
(fattispecie
relativa
ad
omessa
registrazione
dei
dati
relativi
allevolvere
di
una
ferita
episiotomica
dalla
quale
potrebbe
aver
avuto
origine
linfezione
che
ha
reso
necessario
protesizzare
il
collo
del
femore).
Con
la
sentenza
n
10741
della
Sez
III
della
Suprema
Corte
del
11
maggio
2009,
vengono
affrontate,
in
linea
di
continuit
con
la
precedente
giurisprudenza
di
legittimit
in
materia,
una
serie
di
profili
inerenti
la
responsabilit
del
medico
nei
confronti
del
nascituro
e
dei
genitori
in
relazione
ad
omesse
informazioni,
nella
specie
in
relazione
alla
somministrazione
di
un
farmaco
pericoloso
(per
favorire
l'ovulazione)
e
ritenuto,
sulla
base
delle
consulenze
esperite
in
giudizio,
causa
delle
malformazioni
del
successivamente
nato.
La
Suprema
Corte
afferma,
in
primo
luogo,
che
sulla
base
di
una
serie
di
indicazioni
normative,
tra
le
quali
merita
in
particolare
specifica
sottolineatura
la
Legge
n
40/2004,
il
nascituro
da
intendersi
come
dotato
di
soggettivit
giuridica
anche
prima
della
nascita
configurandosi
quest'ultima
come
condizione
sospensiva
di
efficacia
delle
situazioni
giuridiche
ad
esso
riferibili
(la
Suprema
Corte
coglie
ulteriori
espressioni
normative
della
soggettivit
giuridica
del
nascituro
le
norme
codicistiche
in
materia
di
successione
mortis
causa
ove
si
prevede
che
il
nascituro
concepito
possa
succedere
sia
per
testamento
che
ab
intestato
e
che
il
nascituro
non
concepito
possa
succedere
per
testamento
se
figlio
di
persona
vivente
al
momento
dell'apertura
della
successione).
In
secondo
luogo
ha
affermato
che,
con
riferimento
ai
danni
indotti
da
un'omessa
informativa,
da
un'omessa
diagnosi
o
da
una
cattiva
diagnosi
medica
nei
confronti
dei
genitori,
la
tutela
risarcitoria
deve
riconoscersi
anche
al
concepito
che,
al
contrario,
non
pu
vantare
un
diritto
a
non
nascere
se
non
sano.
La
linea
argomentativa
seguita
dalla
Suprema
Corte
pone
la
responsabilit
del
medico
ed
il
diritto
al
risarcimento
del
concepito
come
connessi
e
consequenziali
all'omessa
informativa
del
medico.
Ed
allora
dubbia
appare
la
soluzione
del
caso
diverso
in
cui
i
genitori
siano
stati
adeguatamente
informati
dei
rischi
dell'assunzione
di
un
determinato
farmaco
e
cinonostante
si
siano
determinati
per
l'assunzione
del
medesimo
cagionando
danni
al
nascituro.
Cassazione
Civile
Sez.
III
del
11
maggio
2009
n.
10741
Nel
caso
in
cui
ad
una
gestante
siano
stati
somministrati
senza
adeguata
informazione
farmaci
che
abbiano
provocato
malformazioni
al
concepito,
la
violazione
dell'obbligo
d'informazione
da
parte
dei
sanitari
d
luogo
al
risarcimento
del
danno
in
favore
sia
della
gestante-madre
che
del
concepito,
una
volta
che
quest'ultimo
sia
venuto
ad
esistenza,
ma
solo
in
relazione
all'inosservanza
del
principio
del
c.d.
consenso
informato,
non
potendo
invece
ravvisarsi
a
carico
dei
sanitari
una
responsabilit
nei
confronti
del
concepito
perch
la
madre
non
stata
posta
in
condizione
di
esercitare
il
diritto
all'interruzione
volontaria
della
gravidanza,
non
essendo
configurabile
nel
nostro
ordinamento
un
diritto
"a
non
nascere
se
non
sano",
in
quanto
le
norme
che
disciplinano
l'interruzione
della
gravidanza
la
ammettono
nei
soli
casi
in
cui
la
prosecuzione
della
stessa
o
il
parto
comportino
un
grave
pericolo
per
la
salute
o
la
vita
della
donna,
legittimando
pertanto
la
sola
madre
ad
agire
per
il
risarcimento
dei
danni.
Il
nascituro
ha
il
diritto
a
nascer
sano,
in
virt,
in
particolare,
degli
art.
2
e
32
cost.
(nonch
dell'art.
3
della
Dichiarazione
di
Diritti
fondamentali
dell'Unione
europea
che
esplicitamente
prevede
il
diritto
di
ogni
individuo
all'integrit
psico-fisica).
Per
tale
motivo,
sia
la
mancata
informazione,
sia
la
prescrizione
di
un
farmaco
ritenuto
teratogeno
devono
essere
ritenute
dai
giudici
come
fonti
autonomi
di
responsabilit
nei
confronti
del
nascituro,
per
la
violazione
dell'obbligo
di
non
prescrivere
farmaci
potenzialmente
lesivi
del
bene
salute.
Il
nascituro
terzo
protetto
dal
contratto
stipulato
dalla
madre
con
il
sanitario
e
con
la
struttura
sanitaria.
Gli
va
riconosciuta,
pertanto,
legittimazione
risarcitoria
per
i
danni
derivanti
dalla
somministrazione
di
farmaci
dannosi
per
la
sua
salute.
La
soggettivit
giuridica
che,
sulla
scorta
di
una
pluralit
di
fonti
e
della
c.d.
giurisprudenza
normativa,
non
pu
essergli
negata,
gli
consente,
infatti,
di
essere
titolare
del
diritto
alla
vita,
alla
salute,
all'onore,
alla
reputazione
ed
all'identit
personale.
Ritenuto
che
il
nostro
ordinamento
privatistico
tradizionale
non
costituisce
pi
l'unica
fonte
di
riferimento
per
l'interprete
a
seguito
della
concreta
attuazione
dei
cc.dd.
principi
di
decodificazione
e
di
depatrimonializzazione;
ritenute,
ormai,
la
sussistenza
e
la
rilevanza
di
una
pluralit
di
fonti,
nazionali,
comunitarie
ed
internazionali;
ritenuta
la
vigenza
del
cogente
ed
irriducibile
principio
di
centralit
della
persona
umana,
portatrice
non
solo
di
interessi
patrimoniali,
ma
anche
di
inviolabili
interessi
squisitamente
personali;
ritenuta
la
funzione
nomofilattica
della
cd.
giurisprudenza
normativa,
specie
dei
giudici
di
legittimit
quale
autonoma
fonte
del
diritto;
ritenuto
che
il
concepito
nascituro
,
gi
in
quanto
tale,
soggetto
giuridico
titolare
dei
diritti
personali
fondamentali,
primo
tra
i
quali
il
diritto
alla
salute,
pur
se
azionabili,
anche
ai
fini
risarcitorii,
dopo
il
verificarsi
dell'evento
(nascita)
di
cui
all'art.
1
c.c.;
ritenuto
quanto
precede,
i
sanitari
che
abbiano,
ai
fini
dell'ovulazione,
del
concepimento
e
della
gravidanza,
somministrato
ad
una
donna,
anche
dopo
l'insorgere
di
una
gravidanza,
senza
averne
chiesto
il
consenso
informato,
un
farmaco
dalle
notorie
propriet
effettuali
teratologiche,
devono
in
via
solidale
-
qualora
il
feto
sia
venuto
alla
luce
con
gravissime,
permanenti,
irreversibili
infermit
fisiopsichiche
-
alla
donna,
al
padre
del
minore
ed
al
minore
stesso,
terzo
destinatario
diretto
dell'attivit
tecnica,
assolutamente
negligente,
spiegata
dai
medici
curanti,
un
risarcimento,
dovendosi,
altres,
escludere,
nel
nostro
ordinamento,
il
cd.
aborto
eugenetico.