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Spazi Affini

O. M. Amici and B. C. Casciaro


Dipartimento di Matematica
Universit`a di Bari
Campus Universitario
Via Orabona 4, 70125 Bari, Italy
amici@dm.uniba.it
casciaro@dm.uniba.it

May 17, 2011

Geometria Affine

1.1

Generalit
a sugli Spazi Affini

Con K denoteremo sempre un campo, con 0 denoteremo lelemento neutro


di K rispetto alla somma e con 1 quello rispetto al prodotto.
Dora in poi, salvo avviso contrario, V denotera uno spazio vettoriale di
dimensione n 0 sul campo K.
Le leggi di composizione interna ed esterna di V saranno denotate additivamente e moltiplicativamente, rispettivamente e lelemento neutro rispetto
alla somma con 0V .
Definizione 1.1. Sia 6= un insieme.
Si dice che e uno spazio affine su V , se esiste una applicazione f :
V che verifica i seguenti assiomi:
f (P, R) = f (P, Q) + f (Q, R) ,

P, Q, R ;

(1.1)

e
O , v V , |P tale che

f (O, P ) = v

(1.2)

Se K = R, lo spazio affine e detto reale.


Se K = C, lo spazio affine e detto complesso.
Lassioma (1.1) e detto identita di Chasles.
Nel seguito, saremo interessati solo agli spazi affini reali e a quelli complessi. Utilizzeremo un campo qualsiasi, solo per studiare le proprieta comuni
ai due, che sono parecchie.
Definizione 1.2. Se e uno spazio affine su V , gli elementi di si dicono punti. Inoltre, si dice che n, dimensione di V , e la dimensione di e
scriveremo n invece di scrivere semplicemente .
Dora in poi, salvo avviso contrario, n denotera sempre uno spazio affine
sullo spazio vettoriale V fissato allinizio del paragrafo e f : n n V
denotera sempre lapplicazione che munisce n della struttura di spazio affine.

In molti libri si pone f (P, Q) = P Q e la coppia ordinata (P, P Q) e detta

vettore applicato in P , mentre P Q e detto vettore libero, per ogni P, Q n .


Alcune conseguenze dellassioma (1.1) sono:
2

Teorema 1.1. Si ha
f (P, P ) = 0V ,

P n

(1.3)

e
f (P, Q) = f (Q, P ) ,

P, Q n

(1.4)

Dimostrazione.
Lassioma (1.1) puo essere considerato per P = Q = R n e in questo
caso diventa f (P, P ) + f (P, P ) = f (P, P ). Poiche (V, +) e un gruppo, la
precedente implica che f (P, P ) = 0, per ogni P n .
Per ogni P, Q n lassioma (1.1) implica f (P, Q)+f (Q, P ) = f (P, P ) =
0V , avendo considerato P = R. Di nuovo lasserto segue dal fatto che (V, +)
e un gruppo.
Teorema 1.2. Si ha
P, Q n : f (P, Q) = 0V

P =Q

(1.5)

Dimostrazione.
Infatti, siano P, Q n . Se P = Q per la (1.3) risulta f (P, Q) = 0V . Se
f (P, Q) = 0V , essendo per la (1.3) anche f (P, P ) = 0V segue P = Q, perche
per lassioma (1.2)
per O = P e v = 0 il punto Q n tale che f (O, Q) = v e unico.
Dallassioma (1.2) segue
Teorema 1.3. Sia O n .
i).
Lapplicazione fO : n V , definita ponendo fO (P ) = f (O, P ), per ogni
P n , e una bigezione.
ii).
Lapplicazione +O : n n n , definita ponendo
P +O Q = fO1 (fO (P ) + fO (Q)) ,

P, Q n ;

e una legge di composizione interna che munisce n della struttura di gruppo


abeliano, di cui O e lelemento neutro.
Lapplicazione O : K n n definita da
O P = fO1 ( fO (P )) ,
3

K , P n ;

e una legge di composizione esterna.


iii).
La struttura algebrica (n , +O , O ) e uno spazio vettoriale su K.
iv).
Lapplicazione fO : n V e un isomorfismo lineare rispetto alle strutture di spazio vettoriale precedente.
Dimostrazione.
Fissato O n , lassioma (1.2) diventa:
v V , |P n

tale che fO (P ) = f (O, P ) = v

La precedente e una caratterizzazione delle applicazioni bigettive.


La parte rimanente del teorema e un facile esercizio di algebra lineare.
Mettiamo solo in evidenza che O e lelememto neutro rispetto alla somma.
Infatti, si ha
P +O O = fO1 (fO (P )+fO (O)) = fO1 (fO (P )+0V ) = P = O+O P ,

P n .

Il teorema precedente afferma che ogni spazio affine, una volta fissato
un suo punto qualsiasi, ha le stesse proprieta dello spazio vettoriale su cui e
costruito, essendo ad esso isomorfo. Questo giustifica la necessita dello studio
di tante proprieta degli spazi vettoriali.
Definizione 1.3. Lo spazio vettoriale (n , +O , O ) sul campo K sara detto
spazio puntato ( in O).
Se la famiglia (Pi )1ir , con r 1, di elementi di n e libera rispetto alla
struttura di spazio vettoriale precedente, diremo che i punti della famiglia
(Pi )0ir sono affinemente indipendenti, avendo posto P0 = O.
Per n = 0, si ha V = {0V } e quindi 0 = {P } e un insieme che contiene
un unico punto.
Teorema 1.4. Sia 6= un insieme.
Linsieme ha una struttura di spazio affine su V , se e solo se esiste una
bigezione h : V .
In ogni caso, la struttura di spazio affine su V di e determinata dalla
applicazione f : V definita da
P, Q : f (P, Q) = h(Q) h(P ) .
4

Dimostrazione.
Se ha una struttura di spazio affine su V , esiste unapplicazione f :
V che verifica gli assiomi (1.1) e (1.2).
Allora, fissato O , lapplicazione fO : V definita nel teorema 1.3
e una bigezione e si ha:
P, Q : f (P, Q) = f (P, O) + f (O, Q) = fO (Q) fO (P ) .
Quindi la prima implicazione e vera, considerando h = fO .
Viceversa, sia h : V una bigezione dellinsieme sullo spazio vettoriale V .
Denotiamo con f : V lapplicazione definita da
P, Q : f (P, Q) = h(Q) h(P ) .
Lapplicazione f verifica gli assiomi (1.1) e (1.2). Infatti, si ha
P, Q, T : f (P, Q)+f (Q, T ) = h(Q)h(P )+h(T )h(Q) = h(T )h(P ) = f (P, T ) .
Quindi, vale lassioma (1.1) Per lassioma (1.2), consideriamo O e
v V.
Esiste un unico P tale che f (O, P ) = v, se e solo se
h(P ) h(O) = v h(P ) = v h(O) P = h1 (v h(O)) ;
essendo h bigettiva.
Per la genericita di O e di v V , vale lassioma (1.2).
Osservazione 1.1. Il teorema precedente implica che su V esiste una struttura di spazio affine, detta canonica, ottenuta mediante lapplicazione identica di V in se.
Lapplicazione f : V V V che determina tale struttura e data da
f (u, v) = v u, per ogni u, v V .
Definizione 1.4. Consideriamo O n . Ogni sottospazio vettoriale dello
spazio puntato (n , +O , O ) sara detto sottospazio affine di n passante per
O, oppure sottovarieta lineare di n (passante per O).
Inoltre, se WO e un sottospazio affine di n passante per O, la dimensione
del sottospazio vettoriale WO dello spazio vettoriale puntato n , denotata con
dimK WO , e detta dimensione del sottospazio affine WO .
5

Nelle ipotesi della definizione precedente, si ha WO 6= , in quanto O


WO , essendo lelemento neutro rispetto a +O .
Sia WO un sottospazio affine di n passante per O. Allora, W = fO (WO )
e un sottospazio vettoriale di V avente la stessa dimensione di WO , essendo
fO : n V un isomorfismo lineare. Il sottospazio vettoriale W = fO (WO )
di V e detto giacitura di WO , oppure spazio direttore di WO .
Per questo porremo anche WO = (O, W ).
Ricordiamo che
W = fO (WO ) = {v V |P WO t.c. fO (P ) = f (O, P ) = v} .
Per questo, vale la seguente caratterizzazione dei punti di WO
P n :

P WO

f (O, P ) W .

(1.6)

Teorema 1.5. Per ogni O n e per ogni W sottospazio vettoriale di V


esiste un sottospazio affine WO di n , passante per O e avente W come
giacitura.
Dimostrazione.
Siano O un punto di n e W un sottospazio vettoriale di V . Poniamo
WO = fO1 (W ). WO e un sottospazio vettoriale di (n , +O , O ) e quindi e un
sottospazio affine di n passsante per O.
Inoltre, risulta fO (WO ) = fO (fO1 (W )) = W , essendo fO una bigezione e
quindi W e la giacitura di WO .
Pertanto il sottospazio di n passante per O e avente W come giacitura
esiste.
Teorema 1.6. Siano WO = (O, W ) un sottospazio affine di n passante
per O e avente giacitura W . Allora, per ogni T WO il sottospazio affine
WT = (T, W ) coincide con WO .
Dimostrazione.
Consideriamo T WO . Per il teorema precedente il sottospazio affine
WT = (T, W ) di n , passante per T e avente giacitura W esiste.
Siccome T WO , per (1.6) risulta f (O, T ) W .
Allora, se consideriamo un qualsiasi punto P n , per lassioma (1.1)
risulta f (T, P ) = f (T, O) + f (O, P ) = f (O, P ) f (O, T ) dove lultima
uguaglianza segue per lidentita (1.4). Essendo f (O, T ) W , sara, per le
proprieta dei sottogruppi, f (T, P ) W , se e solo se e f (O, P ) W .
6

In conclusione si ha:
P WO f (O, P ) W f (T, P ) W P WT .

Lunico sottospazio di n di dimensione n e n stesso.


Infatti, se WT = (T, W ) e un sottospazio di dimensione n, passante per
T n e avente giacitura W , risulta che W e un sottospazio vettoriale di V ,
avente la stessa sua dimensione.
Da cio segue che W = V e quindi WT = n .
Gli unici sottospazi di dimensione 0 di n sono gli insiemi che contengono
un unico punto.
I sottospazi di n di dimensione 1 sono detti rette. I punti che appartengono ad una stessa retta si dicono allineati o collineari.
I sottospazi di n di dimensione 2, se esistono, sono detti piani. Le rette
che appartengono ad uno stesso piano si dicono complanari.
I sottospazi di n di dimensione n 1, con n 2, sono detti iperpiani.
Osserviamo che una retta di un piano affine e un iperpiano, cos pure un
piano in uno spazio affine di dimensione tre e un iperpiano.
Teorema 1.7. Sia WO = (O, W ) un sottospazio affine di n passante per
O e avente giacitura W . Consideriamo lapplicazione g : WO WO W
definita da g(P, Q) = f (P, Q), per ogni P, Q W0 . Lapplicazione g munisce
WO della struttura di spazio affine.
Dimostrazione.
La prima cosa da provare e che g e una applicazione. Per questo basta
dimostrare che g(P, Q) W , per ogni P, Q WO .
Infatti, essendo g definita tramite lapplicazione f , si ha
g(P, Q) = f (P, Q) = f (P, O) + f (O, Q) = f (O, Q) f (O, P ) W ;
per ogni P, Q WO , essendo f (O, P ) e f (O, Q) elementi di W .
E banale verificare che g soddisfa i due assiomi degli spazi affini.
Osservazione 1.2. Nelle ipotesi del teorema precedente, lapplicazione g :
WO WO W sara ancora denotata con f e sara detta struttura canonica
di spazio affine indotta su WO da quella di n .

Teorema 1.8. Consideriamo un intero r 1 ed un sottoinsieme H =


{P0 , . . . , Pr } di n .
i).
Esiste un unico sottospazio affine WO di n tale che
a)
H WO
b)
Per ogni sottospazio affine UP di n tale che H UP , risulta WO UP .
ii).
Denotata con s la dimensione di WO , risulta s r.
In pi
u si puo scegliere O = P0 e come sistema di generatori della giacitura
W di WO la famiglia di vettori (f (P0 , Pi ))1ir .
iii).
Se H non e contenuto in alcun sottospazio di n di dimensione r 1,
esiste un unico sottospazio di dimensione r che lo contiene.
iv).
Se r = n e H non e contenuto in alcun iperpiamo, la famiglia
(f (P0 , Pi ))1in e una base di V .
Dimostrazione.
Dimostriamo lesistenza di WO .
Nelle ipotesi del teorema, poniamo P0 = O.
Allora la famiglia (Pi )1ir e una famiglia di vettori dello spazio vettoriale
puntato (n , +O , O ) e quindi genera un sottospazio vettoriale WO di tale
spazio vettoriale.
Per definizione, WO e un sottospazio affine di n passante per O = P0
WO , per il quale risulta Pi WO , per ogni i {1, . . . , r}.
Pertanto si ha H WO .
Proviamo la b).
Sia UP un sottospazio affine di n tale che H UP .
Possiamo supporre che UP = (P, U ), cioe che UP sia passante per P n
e abbia il sottospazio vettoriale U di V , come sua giacitura.
Siccome, P0 = O UP , possiamo supporre UP = (O, U ) = UO , per il
teorema 1.6.
Quindi UP e un sottospazio vettoriale di (n , +O , O ) e ad esso appartengono tutti i vettori di un sistema di generatori di WO .
Pertanto risulta WO UP e la b) e vera.
Proviamo lunicita di WO .
8

Sia WQ0 un ulteriore sottospazio affine verificante la a) e la b).


Poiche WO verifica la a) e WQ0 verifica la b), risulta WO WQ0 .
In modo analogo si dimostra che WQ0 WO e quindi WO = WQ0 .
Supponiamo sia s la dimensione di WO .
Essendo WO generato da un insieme contenente r vettori, si ha s r e
luguaglianza vale solo se la famiglia (Pi )1ir e libera.
Siccome fO : n V e un isomorfismo lineare, trasforma sistemi di
generatori dei sottospazi vettoriali in sistemi di generatori dei sottospazi immagine.
Quindi, se poniamo vi = fO (Pi ) = f (P0 , Pi ), per ogni i {1, . . . , r}, la
famiglia (vi )1ir e un sistema di generatori della giacitura fO (WO ) = W di
WO .
Dimostriamo la iii).
Supponiamo che H non sia contenuto in alcun sottospazio affine di dimensione r 1 e, che per assurdo, la dimensione s di WO sia minore di
r.
Non puo risultare s = r 1, perche in tal caso H WO , implicherebbe
che H e contenuto in un sottospazio affine di dimensione r1 contro lipotesi.
Non puo risultare s = 0, perche questo implicherebbe WO = {O}, e quindi
per ogni i {1, . . . , r} risulterebbe Pi = P0 = O.
Allora, fissato un qualunque sottospazio vettoriale W di V , tale che
dimK W = r 1, tutti i punti apparterrebbero al sottospazio affine WP0 =
(P0 , W ), contro lipotesi.
Non puo risultare 1 s r 2
Infatti, in questo caso linsieme H conterrebbe un sottoinsieme H 0 i cui
vettori sarebbero linearmente indipendenti, nello spazio vettoriale puntato
(n , +O , O ).
Al pi
u cambiando il nomi alle Pi possiamo suppore che H 0 sia formato
dai primi s punti e quindi H 0 = {P1 , . . . , Ps }.
Siccome in uno spazio vettoriale di dimensione finita ogni parte libera
puo essere completata in una base, esistera una base
B = {P1 , . . . , Ps , Ps+1 , . . . , Pn } di (n , +O , O ).
e = {P1 , . . . , Ps , Ps+1 . . . , Pr1 }, che sara ovviamente una parte
Allora, H
libera e si otterra da H 0 aggiungendo r s 1 punti.
e generera un sottospazio vettoriale W 0 di (n , +O , O ), di dimensione
H
O
r 1 e risultera H WO WO0 , contro lipotesi che H non sia contenuto in
alcun sottospazio di tale dimensione.

Quindi, deve necessariamente essere s = r ed il sottospazio e unico per


quanto visto nella i).
Proviamo la iv).
Se r = n e H non e contenuto in alcun iperpiano, per la iii) i punti
(Pi )1in sono linearmente indipendenti, se considerati come vettori dello
spazio vettoriale puntato (n , +P0 , P0 ) e quindi formano una base. Allora la
famiglia (f (P0 , Pi ))1in e una base di V , essendo fP0 un isomorfismo lineare.

Osservazione 1.3. Nelle ipotesi e con la notazioni del teorema precedente


si ha:
i).
Se gli r + 1 punti non appartengono ad uno stesso sottospazio di dimensione r 1 essi sono tutti distinti tra loro e la famiglia (f (P0 , Pi ))1ir e
formata da vettori linearmente indipendenti.
ii).
Per s = r = 1, poiche r 1 = 0, i due punti sono distinti e quindi
per due punti distinti passa ununica retta. Le rette verranno sempre denotate con le lettere latine minuscole e, se P0 6= P1 , si useranno indifferentemente i seguenti simboli WP0 = (P0 , W ) = [P0 , P1 ] = (P0 , < f (P0 , P1 ) >) =
(P0 , f (P0 , P1 )) = t.
iii) Per s = r = 2 per tre punti non allineati passa un unico piano che
si denotera indifferentemente con uno dei seguenti simboli WP0 = (P0 , W ) =
(P0 , < {f (P0 , P1 ), f (P0 , P2 )} >) = (P0 , f (P0 , P1 ), f (P0 , P2 )) = [P0 , P1 , P2 ] =
.
Dalla osservazione precedente segue che la lineare indipendenza dei punti
dello spazio vettoriale (n , +O , O ), non dipende dal punto O n . Per
questo poniamo la seguente
Definizione 1.5. Diremo che i punti della famiglia (Pi )0ir (n )r+1 sono
affinemente indipendenti, se e solo non esiste alcun sottospazio di dimensione
r 1, di n che contenga tutti i punti della famiglia.
Lemma 1.1. Sia B = (xi )1in una base di V e si consideri lapplicazione
kB : V K n definita da:
i
per ogni vettore v V sia kB (v) =
)1in , essendo (i )1in K n
P(
lunica famiglia di scalari tale che v = ni=1 i xi .
Lapplicazione kB e un isomorfismo lineare.
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Dimostrazione.
E un semplice ed utile esercizio di algebra lineare basato sulle proprieta
delle basi.
Definizione 1.6. La coppia ordinata R(O, B), con O n e B = (xi )1in
base di V sara detta sistema di riferimento affine su n .
Il punto O sara detto origine (degli assi).
I punti Oi = fO1 (xi ), per i {1, . . . , n}, saranno detti punti fondamentali
del riferimento.
La retta [O, Oi ], per ogni i {1, . . . , n}, sara detta asse del riferimento
R(O, B).
Per n = 2, la retta [O, O1 ] sara detta asse delle ascisse (asse delle x),
mentre la retta [O, O2 ] sara detta asse delle ordinate (asse delle y).
Per n = 3, le rette [O, O1 ], [O, O2 ] e [O, O3 ] saranno rispettivamente dette
asse delle ascisse (asse delle x), asse delle ordinate (asse delle y) e asse delle
quote (asse delle z).
Osservazione 1.4. Nelle ipotesi della iv) del teorema 1.8, poniamo O = P0
e Oi = Pi , per ogni i {1, . . . , n}, e B = (f (O, Oi ))1in . Allora, R(O, B)
e un riferimento affine, in cui P0 = O e lorigine degli assi e, per ogni
i {1, . . . , n}, Pi = Oi e un punto fondamentale.
Teorema 1.9. Sia R(O, B) un sistema di riferimento affine su n .
Lapplicazione h = kB fO : n K n e un isomorfismo lineare tra gli
spazi vettoriali (n , +O , O ) e K n .
Dimostrazione.
Il teorema e vero, perche lapplicazione composta da due isomorfismi lineari e un isomorfismo lineare.
Definizione 1.7. Nelle ipotesi del teorema precedente lisomorfismo h :
n K n e detto sistema coordinato relativo al riferimento R(O, B).
Se P e un elemento di n e h(P ) = (i )1in si dice che (i )1in e
la famiglia (o la nupla) delle coordinate di P rispetto ad h e si scrive
P ((i )1in ).
Per n = 2, al posto di indicare le coordinate del punto P 2 con
1
( , 2 ) si preferisce indicarle con (x, y), quindi avremo h(P ) = (x, y) o
equivalentemente P (x, y).
In tal caso, x ed y sono, rispettivamente, dette l ascissa e l ordinata di P
rispetto ad h.
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Per n = 3 si pone h(P ) = (x, y, z) o indifferentemente P (x, y, z), per ogni


P 3 , dove x, y e z sono dette rispettivamente ascissa, ordinata e quota
di P rispetto ad h.
Alcune volte si usa n = 4. In tal caso si pone h(P ) = (x, y, z, t) oppure
P (x, y, z, t), per ogni P 4 . Per le prime tre coordinate si usano gli stessi
nomi del caso n = 3 e t e detto tempo di P , rispetto ad h.
Nel seguito, si omettera rispetto ad h, nel caso in cui non sorgano
equivoci.
Teorema 1.10. Siano R(O, B) un sistema di riferimento di n , con B =
(xi )1in ed h : n K n il sistema coordinato ad esso relativo.
Siano P, Q n due punti qualsiasi.
Se h(P ) = (i )1in e h(Q) = (i )1in , si ha
i

h(Q) = ( )1in

f (O, Q) =

n
X

i xi

i=1

f (P, Q) =

n
X

(i i )xi

i=1

Dimostrazione.
Per la prima equivalenza basta osservare che
h(Q) = (i )1in (kB fO )(Q) = (i )1in ;
e questultima e vera, se e solo se
fO (Q) = f (O, Q) =

n
X

i xi .

i=1

Dalla precedente segue


f (P, Q) = f (P, O) + f (O, Q) = f (O, Q) f (O, P )
n
n
n
X
X
X
i
i
=
xi
xi =
(i i )xi
i=1

i=1

e quindi lasserto.

12

i=1

Teorema 1.11. Siano R(O, B) ed R(O0 , B 0 ) due sistemi di riferimento di


n , con B = (xi )1in e B 0 = (yi )1in e denotiamo con h : n K n e
h0 : n K n i rispettivi sistemi coordinati. Supponiamo inoltre che h0 (O) =
( i )1in K n .
In pi
u, denotiamo con A = (aij )1in| 1jn GL(n, K) tale che
xi =

n
X

aji yj ,

i {1, . . . , n}

j=1

Considerato un punto P n e supposto h(P ) = (i )1in e h0 (P ) =


(i )1in , risulta:
i

= +

n
X

aij j ,

i {1, . . . , n}

(1.7)

i=1

Dimostrazione.
Per il teorema precedente e la precedente identita, risulta
n
X

i yi = f (O0 , P ) = f (O0 , O) + f (O, P ) =

i=1

n
X
i=1

n
X

i yi +

i=1

i yi +

n
n
X
X
i=1

!
aij j

yi =

j=1

n
X

i +

n
X

n
X

i xi

i=1

!
aij j

yi .

j=1

i=1

Lasserto segue per la nota caratterizzazione delle basi.


Teorema 1.12. Siano WP = (P, W ) un sottospazio affine di n passante
per P e avente W come giacitura, R(O, B) un riferimento affine su n , con
B = (xi )1in e (y )1r una base di W , essendo r la dimensione di WP .
i
Supponiamo h(P ) = (i0 )P
1in e denotiamo con (y )1in la famiglia di
n
i
elementi di K tale che y = i=1 y xi .
Con queste notazioni, una equazione di WP e

1 = 10 + Pr=1 y1 t

2 = 2 + r y 2 t
0
=1
WP :
(1.8)
..

.P

n = n + r y n t
0

13

=1

o equivalentemente
WP : i = i0 +

r
X

yi t

i {1, . . . , n} .

(1.9)

=1

Inoltre, la matrice (yi )1in| 1r ha rango massimo.


Viceversa, lequazione (1.8) rappresenta sempre lequazione di un sotto
spazio affine WP di n , di dimensione r, purche la matrice (yi )1in| 1r
abbia rango massimo.
Dimostrazione.
Per prima cosa, ricordiamo che (1.8) e lequazione di WP , se e solo se
comunque si consideri un punto Q n , con h(Q) = (i1 )1in si ha che
condizione necessaria e sufficiente affinche Q WP e che esista una famiglia
(t1 )1r K r tale che sostituendo nel secondo membro al posto delle t le
t1 si ottengano le i1 .
Sia Q n , con h(Q) = (i )1in . Il punto Q appartiene a WP , se e solo
se il vettore
n
X
f (P, Q) =
(i i0 )xi V
i=1

appartiene a W e cio e vero, se e solo esiste (t )1r K r tale che


!
n
r
r
n
n
r
X
X
X
X
X
X
i
i

i
i
( 0 )xi =
t y =
t
y xi =
y t xi .
=1

i=1

=1

i=1

i=1

=1

Per le proprieta delle basi la precedente e vera, se e solo se


i

i0

r
X

yi t ,

i {i, . . . , n} .

=1

Infine, essendo (y )1r una famiglia libera, la matrice (yi )1in| 1r ha


rango massimo.
Viceversa, supponiamo che sia assegnata lequazione (1.8) e che la matrice
A = (yi )1in| 1r abbia rango massimo.
P
Per ogni {1, . . . r} poniamo y = ri=1 yi xi .
Poiche la matrice A ha rango massimo, la famiglia B 0 = (y )1r e
formata da vettori linearmente indipendenti e quindi il sottospazio vettoriale
W =< B 0 > ha dimensione r e B 0 e una base di W .
14

Infine, consideriamo il punto P n , con P = h1 ((i0 )1in ).


Possiamo allora considerare il sottospazio affine WP = (P, W ) di n ,
passante per P ed avente come giacitura W .
Dalla dimostrazione della prima parte del teorema segue che il sottospazio
affine WP ha lequazione (1.8) nel riferimento R(O, B).
Definizione 1.8. Le equazioni ottenute col teorema precedente sono dette
equazioni parametriche del sottospazio affine WP .
I sottospazi affini che si riducono ad un insieme con un unico punto (di
dimensione zero) e lunico sottospazio affine che coincide con tutto n (di
dimensione n) saranno detti banali
Se R(O, B) e un riferimento affine, con B = (xi )iin , il sottospazio
(O, W ) e detto fondamentale, se e solo se W e generato da un sottoinsieme
=
6 H {x1 , x2 . . . , xn }.
Le retta (O, xi ) e detta iesimo asse.
n=1
La retta affine 1 ha solo sottospazi banali.
Siano R(O, B) un sistema di riferimento affine dello spazio affine 1 ed
h : 1 K il relativo sistema coordinato.
La base B e formata da un solo vettore non nullo di V , pertanto il riferimento R(O, B) si denotera semplicemente con R(O, v), essendo O 1 e
v V , con v 6= 0V .
In pi
u, per ogni P 1 , si pone h(P ) = x ed x si chiama ascissa di P
rispetto ad h.
Consideriamo tre punti P1 , P2 , P3 1 , con P2 6= P3 e supponiamo
P1 (x1 ), P2 (x2 ) e P3 (x3 ).
Si pone
x2 x1
(P1 ; P2 , P3 ) =
x 2 x3
e (P1 ; P2 , P3 ) K e detto rapporto semplice di P1 , P2 e P3 .
Il rapporto semplice (P1 ; P2 , P3 ) non dipende dal sistema coordinato.
Infatti siano R(O0 , v 0 ) un ulteriore riferimento affine di 1 e h0 : 1 K
il sistema coordinato ad esso relativo.
Per il teorema 1.11 esistono a, b K, con a 6= 0, tali che h0 (P ) = ah(P ) +
b, per ogni P 1 .

15

Si ha
h0 (P2 ) h0 (P1 )
ah(P2 ) + b ah(P1 ) b
=
=
0
0
h (P2 ) h (P3 )
ah(P2 ) + b ah(P3 ) b
h(P2 ) h(P1 )
= (P1 ; P2 , P3 )
h(P2 ) h(P3 )

Consideriamo P1 , P2 1 , esiste un unico punto M 1 tale che


f (P1 , M ) = f (M, P2 ).
Supponiamo P1 (x1 ) e P2 (x2 ) nel sistema coordinato h.
Poniamo
x1 + x2
x0 =
2
e denotiamo con M il punto di 1 avente ascissa x0 in h.
Si ha
x1 + x2
x1 )v = f (M, P2 )
f (P1 , M ) = (
2
E immediato che M e unico e, se P1 6= P2 e definito dalla proprieta
(M ; P1 , P2 ) = 1/2.
M e detto punto medio tra P1 e P2 .
n=2
Gli unici sottospazi affini non banali sono le rette di 2 .
Siano R(O, B) un sistema coordinato dello spazio affine 2 , con B =
(e1 , e2 ), e sia h : 2 K 2 il sistema coordinato ad esso relativo.
La retta (O, e1 ) e detta asse delle x o asse delle ascisse e si denota con
x.
Mentre, la retta (O, e2 ) e detta asse delle y o asse delle ordinate e si
denota con y.

Considerati P, Q 2 , con P (x0 , y0 ) e Q(x1 , y1 ) in h, si puo definire il


punto medio M tra P e Q, come lunico punto di 2 tale che f (P, M ) =
f (M, Q). Se M (x0 , y 0 ) in h, si ha
x0 =

x0 + x1
2

e y0 =

y0 + y1
2

Si consideri la retta r = (P, v).


Supponiamo che P 2 sia tale che P (x0 , y0 ) e che v sia la base della
giacitura di r, con v = v 1 e1 + v 2 e2 .
16

Allora, unequazione parametrica di r rispetto al riferimento R(O, B) e



x = x0 + v 1 t
r:
(1.10)
y = y0 + v 2 t
con t K.
Se v 1 = 0, allora v 2 6= 0, essendo v 6= 0V e la seconda equazione di (1.10)
diventa inutile in quanto stabilisce semplicemente una bigezione di K su se
stesso.
Quindi lequazione di r diventa
x = x0 .

(1.11)

Analogamente, v 2 = 0 implica v 1 6= 0 e lequazione di r diventa


y = y0 .

(1.12)

Lequasione dellasse delle x e y = 0, mente quella dellasse delle y e x = 0.


Ricordiamo che noi usiamo un campo qualsiasi K, solo perche vogliamo
studiare contemporaneamente le proprieta comuni agli spazi affini reali e a
quelli complessi. Per questo, faremo uso delle frazioni anche se per un campo
qualsiasi si tratta di una notazione impropria.
Se v 1 v 2 6= 0, allora (1.10) e equivalente a
y y0
x x0
=
=tK
1
v
v2
Lultima uguaglianza puo essere sottointesa, ottenendo cos una nuova
equazione di r
r :

y y0
x x0
=
1
v
v2

(1.13)

Osserviamo che se v 1 = 0 e v 2 6= 0, la precedente e priva di significato.


Allora, noi possiamo assegnargliene uno qualsiasi e la scelta mnemonicamente
conveniente e quella di richiedere che sia zero il numeratore della frazione in
cui compare v 1 . Con questa scelta lequazione precedente di r include anche
lequazione (1.11).
Analogamente, se v 2 = 0, allequazione precedente assegniamo il significato y y0 = 0.
17

Bisogna stare molto attenti, perche le convenzioni precedenti sono usate


solo in geometria, se applicate ad altri campi (per esempio lanalisi) generano
errori.
Se v 1 = v 2 = 0, lequazione (1.13) continuera a rimanere priva di significato.
Lequazione (1.13) di r e detta equazione di r sotto forma di rapporti
uguali.
Definizione 1.9. Se nellequazione (1.13) si pone (v 1 , v 2 ) = (`, m) 6= (0, 0),
si dice che ` ed m sono i parametri direttori di r.
Siccome ogni vettore non nullo di < v > individua la stessa retta r, la
coppia (`, m) e una coppia di parametri direttori di r, per ogni K

Lequazione (1.13) e quella della retta r = (P, v), essendo P (x0 , y0 ) 2


e v = v 1 e1 + v 2 e2 6= 0.
Pertanto, comunque si scelgano (v 1 , v 2 ) 6= (0, 0) e (x0 , y0 ) appartenenti a
K 2 , la (1.13) rappresenta sempre lequazione di una retta.

Se v 1 v 2 6= 0, moltiplicando primo e secondo membro di (1.13) per v 1 v 2


si ottiene lequazione lineare (o cartesiana) di r, che e
r : ax + by + c = 0 ;

(1.14)

con a = v 2 , b = v 1 e c = v 1 y0 v 2 x0 .
Per le posizioni fatte, risulta (a, b) 6= (0, 0).
Si osservi che, moltiplicando primo e secondo membro della (1.14) per
K si ottengono tutte e sole le equazioni della retta r.

Se (a, b) 6= (0, 0) lequazione (1.14) e sempre quella di una retta.


Infatti, siano (a, b) K 2 {(0, 0)}.
Se a = 0, allora b 6= 0 e lequazione (1.14) diventa y = (c/b); cioe
coincide con lequazione (1.12), se si pone y0 = (c/b).
Se b = 0 e a 6= 0, lequazione (1.14) diventa x = (c/a) e coincide con
lequazione (1.11), con x0 = (c/a).

In pi
u, considerata lequazione (1.14), la coppia ordinata (b, a) e sempre
una coppia di parametri direttori di r.

18

Ad esempio, se a b 6= 0, lequazione (1.14) e quella della retta r passante


per il punto P di coordinate (0, y0 ), con y0 = (c/b), e avente giacitura
generata dal vettore v = be1 + ae2 6= 0V .

Se b 6= 0, lequazione (1.14) si puo scrivere come


y = mx + n ,

con m =

a
b

e n=

c
b

(1.15)

ed m e detto coefficiente direttivo di r.


Le rette la cui equazione non puo essere scritta nel modo precedente sono
quelle che nel sistema coordinaro h hanno giacitura < e2 >, cioe hanno
equazione x = x0 , con x0 K.

Supponiamo che in (1.14) risulti a b c 6= 0, allora questa equazione con


facili calcoli si puo scrivere come
r :

c
x y
+ = 1 con p =
p q
a

c
e p= .
b

(1.16)

La precedente e detta equazione segmentaria di r perche per y = 0 si ottiene


il punto H(p, 0) e il vettore f (O, H) = p e1 , mentre per x = 0 si ottiene il
punto H 0 (0, q) e f (O, H 0 ) = q e2 .

Supponiamo ora che r = [P, Q], con P 6= Q, P (x0 , y0 ) e Q(x1 , y1 ).


Ricordato che in questo caso r = (P, f (P, Q)) e che f (P, Q) = (x1
x0 )e1 + (y1 y0 )e2 , tutte le equazioni di r si ottengono dalle precedenti,
ponendo v 1 = x1 x0 e v 2 = y1 y0 .
Ad esempio, lequazione parametrica di r diventa

x = x0 + (x1 x0 )t
r:
(1.17)
y = y0 + (y1 y0 )t
al variare di t K.
Come ulteriore esempio, lequazione di r sotto forma di rapporti uguali
diventa
r :

y y0
x x0
=
x1 x0
y1 y0

(1.18)

dove la coppia ordinata (x1 x0 , y1 y0 ) e una coppia di parametri direttori


di r.
19


In questo caso si puo ottenere una equazione in pi
u di r.
Per questo ricordiamo che lequazione (1.14) e sempre quella di una retta,
purche (a, b) 6= (0, 0).
Quindi consideriamo lequazione


x y 1


r : x0 y0 1 = 0 .
(1.19)
x1 y 1 1
La precedente e lequazione di una retta, perche sviluppando questo determinante con la regola di Laplace applicata alla prima riga si ottiene lequazione
(1.14), con a = y0 y1 , b = x1 x0 e c = x0 y1 x1 y0 , con (a, b) 6= (0, 0).
Infatti, se fosse a = b = 0, sarebbe x0 = x1 e y0 = y1 , da cui P = Q,
contro lipotesi P 6= Q.
Infine, i due punti P e Q appartengono ad r, perche sostituendo le loro
coordinate al posto di x e y lequazione e soddisfatta in quanto si ottiene un
determinante con due righe uguali.
Pertanto, la retta di cui la precedente e lequazione e proprio r, perche
per la iii) della osservazione 1.3 per due punti distinti passa ununica retta.
La precedente e detta equazione di r sotto forma di determinante.

n=3
Gli unici sottospazi affini non banali di 3 sono le rette e i piani.
Siano R(O, B), con B = (e1 , e2 , e3 ), un riferimento affine di 3 e h : 3
K 3 il suo sistema coordinato.
Considerati P, Q 3 , con P (x0 , y0 , z0 ) e Q(x1 , y1 , z1 ) in h, si puo definire
il punto medio M tra P e Q, come lunico punto di 3 tale che f (P, M ) =
f (M, Q). Se M (x0 , y 0 , z 0 ) in h, si ha
y0 + y1
z0 + z1
x0 + x1
x0 =
, y0 =
e z0 =
2
2
2

Consideriamo ora le rette.

Se r = (P, v) e una retta, con P (x0 , y0 , z0 ) e v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e3 6= 0V ,


lequazione parametrica di r e

x = x0 + v 1 t
y = y0 + v 2 t
r = (P, v) :
(1.20)

3
z = z0 + v t
20

Dalla precedente segue che:


La retta (O, e1 ), detta asse delle x, oppure asse delle ascisse, si denota
con x e la sua equazione e y = z = 0.
La retta (O, e2 ), detta asse delle y, oppure asse delle ordinate, si denota
con y e la sua equazione e x = z = 0.
La retta (O, e3 ), detta asse delle z, oppure asse delle quote, si denota con
z e la sua equazione e x = y = 0.

Se nella (1.20) risulta v 1 v 2 v 3 6= 0, ragionando come nel caso del piano,


si ottengono le equazioni sotto forma di rapporti uguali di r che sono
x x0
y y0
z z0
=
=
.
(1.21)
r :
1
2
v
v
v3
Alle precedenti si assegna un ovvio significato (che chiariremo con due esempi), in analogia al caso delle rette nel piano, quando al pi
u due delle
componenti del vettore v siano nulle.
Se una sola componente del vettore e zero, ad esempio se si ha v 1 = 0 e
v 2 v 3 6= 0 , alla (1.21) si da il significato

x x0 = 0
(1.22)
r = (P, v) :
(y y0 )/v 2 = (z z0 )/v 3
Anche nel caso in cui due componenti di v sono uguali a zero, il significato da
assegnare allequazione (1.21) e ovvio e se, per esempio, risulta v 1 = v 2 = 0
e v 3 6= 0, si ha

x x0 = 0
r = (P, v) :
(1.23)
y y0 = 0
In ogni caso, si pone (v 1 , v 2 , v 3 ) = (`, m, n) 6= (0, 0, 0) ed (`, m, n) si dicono
parametri direttori di r.
E immediato che, anche in questo caso, i parametri direttori di una retta
sono determinati a meno di un parametro K .

Supponiamo ora che sia r = [P, Q] con P, Q 3 , P 6= Q, P (x0 , y0 , z0 ) e


Q(x1 , y1 , z1 ) rispetto ad R(O, B).
Ragionando come nel caso delle rette nel piano, le due equazioni precedenti di r sono:

x = x0 + (x1 x0 )t
y = y0 + (y1 y0 )t
r = [P, Q] :
(1.24)

z = z0 + (z1 z0 )t
21

e
r :

y y0
z z0
x x0
=
=
.
x1 x0
y1 y0
z1 z0

(1.25)

Per questultima equazione, valgono le stesse osservazioni fatte subito dopo


lequazione (1.21).

Se = (P ; u, v) e un piano di 3 , con u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e3 e v =
1
v e1 + v 2 e2 + v 3 e3 , con u, v linearmente indipendenti e P (x0 , y0 , z0 ) in h,
lequazione parametrica di e

x = x0 + u1 t + v 1 s
y = y0 + u2 t + v 2 s
= (P ; u, v) :
(1.26)

3
3
z = z0 + u t + v s
Dalla equazione precedente segue che:
Il piano (O, e1 , e2 ) e detto piano xy e la sua equazione e z = 0.
Il piano (O, e1 , e3 ) e detto piano xz e la sua equazione e y = 0.
Il piano (O, e2 , e3 ) e detto piano yz e la sua equazione e x = 0.

Lequazione (1.26) puo essere scritta come

x x0 = u 1 t + v 1 s
y y 0 = u2 t + v 2 s
= (P ; u, v) :

z z0 = u3 t + v 3 s
Questultima puo essere considerata come un sistema di tre equazioni nelle
due incognite s e t.
Essendo i due vettori u e v linearmente indipendenti, la matrice dei coefficienti del precedente sistema ha rango 2, mentre quella dei coefficienti e dei
termini noti ha rango , con 2 3, .
Quindi un punto P (x, y, z) 3 appartiene a , se e solo se il sistema
precedente ammette una soluzione.
Per il teorema di RoucheCapelli, questo accade se e solo se il rango della
matrice dei coefficienti e il rango della matrice dei coefficienti e dei termini
noti sono uguali, cioe se e solo se = 2.
Condizione necessaria e sufficiente affinche cio accada e che il determinante della matrice completa sia zero.

22

Quindi lequazione di e

x x0 u1 v 1

= (P ; u, v) : y y0 u2 v 2
z z0 u3 v 3




=0.

(1.27)

Tale equazione e detta prima equazione di sotto forma di determinante e


si preferisce scrivere nella forma seguente.


x x0 y y0 z z0


=0.
u1
u2
u3
(1.28)
= (P ; u, v) :

1
2
3


v
v
v

Sviluppando lequazione (1.28) mediante la regola di Laplace applicata


alla prima riga, si ottiene
= (P ; u, v) : ax + by + cz + d = 0 ;

(1.29)

con
2 3
u u
a = 2 3
v v


1 3
1 2

u u

, b = 1 3 , c = u1 u2

v v
v v
d = ax0 by0 cz0 ;





(1.30)

con (a, b, c) 6= (0, 0, 0).


Lequazione precedente e detta equazione lineare (o cartesiana) di .
Si dimostra, come nel caso delle rette nel piano, che lequazione (1.29),
con (a, b, c) 6= (0, 0, 0) e sempre lequazione di un piano.

Se a b c d 6= 0, si pone p = (d/a), q = (d/b) e r = (d/c) e


lequazione di diventa
= (P ; u, v) :

x y z
+ + =1.
p q r

(1.31)

La precedente e detta equazione segmentaria del piano.


Valgono osservazioni analoghe a quelle fatte per lequazione segmentaria
della retta nel piano.

Supponiamo che = [P, Q, T ], sia il piano passante per tre punti non
collineari P (x0 , y0 , z0 ), Q(x1 , y1 , z1 ) e T (x2 , y2 , z2 ) di 3 .
23

Allora i vettori f (P, Q) e f (P, T ) sono linearmente indipendenti e =


(P, f (P, Q), f (P, T )).
Pertanto tutte le equazioni di viste prima si possono riscrivere ponendo
1
u = x1 x0 , u2 = y1 y0 , u3 = z1 z0 , v 1 = x2 x0 , v 2 = y2 y0 e
v 3 = z2 z0 e sostituendo questi valori nelle rispettive equazioni.
Per esempio lequazione parametrica di diventa

x = x0 + (x1 x0 )t + (x2 x0 )s
y = y0 + (y1 y0 )t + (y2 y0 )s
= [P, Q, T ] :
(1.32)

z = z0 + (z1 z0 )t + (z2 z) s
Anche in questo caso abbiamo la seconda equazione di sotto forma di determinante, data da


x y z 1


x0 y0 z0 1
=0
= [P, Q, T ] :
(1.33)

x1 y1 z1 1
x2 y2 z2 1

1.2

Relazioni tra i Sottospazi Affini di n

In questo numero n e uno spazio affine su uno spazio vettoriale V su un


campo K e WP = (P, W ) e UQ = (Q, U ) sono due sottospazi affini di n
passanti rispettivamente per i punti P e Q di n e aventi rispettivamente
giacitura W e U , con W e U sottospazi vettoriali di V . Lapplicazione che
determina la struttura di spazio affine sara ancora denotata con f : n n
V.
Teorema 1.13. Si ha che WP UQ 6= , se e solo se f (P, Q) (W + U ).
Dimostrazione.
Dapprima supponiamo WP UQ 6= .
Allora, esiste un punto T appartenente a WP UQ , per cui T WP e
T UQ .
Siccome T WP , risulta f (P, T ) W e, analogamente, si ha f (Q, T )
U.
Dalla precedenti segue f (P, Q) = f (P, T ) f (Q, T ) (W + U ) e quindi
lasserto.
Viceversa, supponiamo f (P, Q) (W + U ). Per definizione di W + U
esistono w W e u U tali che f (P, Q) = w + u.
24

Per il secondo assioma sugli spazi affini, esiste un unico T n tale che
f (P, T ) = w. Essendo quindi f (P, T ) W risulta T WP .
Si ha anche f (Q, T ) = f (P, Q)+f (P, T ) = (w +u)+w = u U , per
cui risulta anche T UQ e quindi WP UQ 6= . Per il teorema precedente,
si ha
Corollario 1.1. Se W + U = V , allora WP UQ 6= .
Dimostrazione.
Infatti, in tal caso rusulta f (P, Q) V = W + U .
Teorema 1.14. Se WP UQ 6= , allora WP UQ e un sottospazio affine
di n e WP UQ = (T, W U ); cioe e il sottospazio passante per un punto
T WP UQ e avente come giacitura il sottospazio vettoriale W U di V .
Dimostrazione.
Essendo WP UQ 6= , esiste T WP UQ , da cui T WP e T UQ .
In pi
u consideriamo lapplicazione fT : n V definita nel teorema 1.3.
Per il teorema 1.6 possiamo supporre WP = (T, W ) e UQ = (T, U ).
Per provare lasserto basta dimostrare che fT (WP UQ ) = W U .
Sia S WP UQ , allora S WP e S UQ , da cui f (T, S) W e
f (T, S) U e quindi f (T, S) = fT (S) W U .
Per larbitrarieta di S WP UQ , le precedenti implicazioni provano che
fT (WP UQ ) W U .
Viceversa, se v W U , allora v W e v U .
Per lassioma 1.2 esiste S n tale che f (T, S) = v.
Essendo f (T, S) W , risulta S WP e analogamente S UQ .
Pertanto, risulta S WP UQ da cui f (T, S) = fT (S) fT (WP UQ ).
Dalle precedenti segue W U fT (WP UQ ).
Le due inclusioni precedenti implicano luguaglianza richiesta.
Teorema 1.15. Si supponga WP UQ 6= .
Allora si ha WP UQ , se e solo se W U .
Dimostrazione.
Essendo WP UQ 6= , possiamo considerare T WP UQ .
Allora, si ha WP = (T, W ) e UQ = (T, U ), per il teorema 1.6.
Supponiamo dapprima WP UQ .
Considerato w W , per lassioma (1.2) esiste S n tale che f (T, S) =
w W . Pertanto, S WP e quindi S UQ , da cui f (T, S) = w U .
25

Cio implica W U , per larbitrarieta di w W .


Viceversa, supponiamo W U .
Allora, per ogni S WP si ha f (T, S) W U , per cui S UQ e quindi
lasserto.
Definizione 1.10. Il sottospazio affine HT = (T, H) di n passante per
T n e avente il sottospazio vettoriale H di V come giacitura e detto
sottospazio congiungente WP e UQ se:
i).
WP UQ HT
ii).
Per ogni sottospazio affine HT0 0 di n tale che WP UQ HT0 0 risulta
HT HT0 0 .
Teorema 1.16. Il sottospazio di n congiungente WP e UQ , esiste e unico e
coincide col sottospazio affine HP = (P, W + U + < f (P, Q) >) passante per
P ed avente W + U + < f (P, Q) > come giacitura.
Se WP UQ 6= , la giacitura di HT si riduce a W + U .
Denotiamo con r, s e k, rispettivamente, le dimensioni di WP , UQ e
WP UQ .
La dimensione di HT e r + s k + 1, nel caso in cui WP UQ = , e
r + s k, nel caso in cui WP UQ 6= .
Dimostrazione.
Consideriamo il sottospazio affine HP = (P, W + U + < f (P, Q) >) passante per P ed avente W + U + < f (P, Q) > come giacitura.
Proviamo che HP e il sottospazio congiungente WP e UQ .
Dimostriamo dapprima che HP verifica la i) della definizione.
Poiche P WP HP 6= e W W + U + < f (P, Q) >, si ha WP HP ,
per il teorema 1.15.
Il punto Q appartiene ad HP , essendo f (P, Q) W + U + < f (P, Q) >.
Essendo Q UQ HP 6= e U W + U + < f (P, Q) >, si ha UQ HP ,
ancora per il teorema 1.15.
Infine, da WP HP e UQ HP segue WP UQ HP .
Proviamo ora che HP verifica la ii) della definizione.
Sia HT0 = (T, W 0 ) un ulteriore sottospazio di n passante per T n ,
avente W 0 come giacitura e tale che WP UQ HT0 .
Essendo WP HT0 6= e UQ HT0 6= , sempre per il teorema 1.15 si ha
W, U W 0 .
26

Inoltre, f (P, Q) = f (P, T ) + f (T, Q) = f (T, Q) f (T, P ) W 0 , essendo


P, Q HT0 .
Le precedenti implicano W + U + < f (P, Q) > W 0 e per il teorema 1.15,
si ha HP HT0 , essendo P HP HT0 6= .
Allora, la ii) e vera.
Quindi, HP e un sottospazio congiungente WP e UQ .
Proviamo che esso e unico.
Sia HT0 un ulteriore sottospazio congiungente WP e UQ .
Essendo HP e HT0 entrambi sottospazi congiungenti WP e UQ , si ha HP
0
HT e HT0 HP , da cui lunicita.
Siano r, s e k le dimensioni di WP , UQ e WP UQ , rispettivamente.
Se WP UQ = , allora f (P, Q) 6 W + U e quindi, per lidentita di
Grassman, dimK (W + U + < f (P, Q) >) = r + s k + 1.
Se WP UQ 6= , risulta f (P, Q) W +U e quindi W +U + < f (P, Q) >=
W + U , da cui dimK (W + U ) = r + s k.
Quindi anche lasserzione sulle dimensioni e vera.
Definizione 1.11. Diremo che WP e parallelo a UQ e scriveremo WP k UQ ,
se e solo se W U , oppure U W .
Teorema 1.17. Supponiamo che WP e UQ abbiano dimensione r ed s, rispettivamente, con r s.
Se WP k UQ , allora WP UQ = , oppure WP UQ .
Dimostrazione.
Siano WP = (P, W ) e UQ = (Q, U ) due sottospazi affini di n , di dimensione r ed s, rispettivamente, con r s e supponiamo WP k UQ .
Se WP UQ = , lasserto e vero.
Se WP UQ 6= .
Essendo r s, per la definizione 1.11 si ha W U .
Quindi, lasserto e vero per il teorema 1.15.
Corollario 1.2. Con le notazioni del teorema precedente si ha:
i)Se WP e UQ sono paralleli e WP UQ 6= risulta WP UQ .
ii)
Se r=s, allora
WP k UQ W = U .
Per questo due sottospazi affini uguali sono paralleli.
27

iii).
Se r = s, WP UQ 6= e WP k UQ , allora WP = UQ .
Teorema 1.18. Supponiamo che WP = (P, W ) sia un iperpiano e che UQ =
(Q, U ) sia un sottospazio affine di n di dimensione s, con s < n.
Se WP UQ = , oppure UQ WP , allora WP k UQ .
Dimostrazione.
Se UQ WP , allora risulta U W , per il teorema 1.15 e quindi WP k UQ .
Se invece e WP UQ = , supponiamo per assurdo WP 6k UQ .
Allora, essendo dimK U dimK W , esistera v U tale che v 6 W .
Dalla precedente segue che dimK (W < v >) = n e quindi V = W <
v > W + U .
Questo implica f (P, Q) V = W + U e quindi, per il teorema 1.13,
risulta WP UQ 6= , contro lipotesi.
Lassurdo e derivato dallaver supposto WP 6k UQ e quindi WP k UQ .
Teorema 1.19. Sia Wr linsieme dei sottospazi affini di n , di dimensione
r, con 0 < r < n.
La relazione di parallelismo indotta su Wr e di equivalenza.
Sia WP = (P, W ) Wr .
Per ogni Q n il sottospazio affine WQ = (Q, W ) e lunico sottospazio
di affine di n passante per Q e parallelo a WP e appartenente a Wr .
Se UT = (T, U ) e un sottospazio affine di n passante per Q n e
parallelo a WP , risulta UT WQ , se la dimensione di UT e minore o uguale
a quella di WP , mentre risulta WQ UT nellaltro caso.
Dimostrazione.
Le prime due affermazione derivano dal fatto che lunico sottospazio vettoriale di dimensione r contenuto in W e W stesso.
Lultima affermazione deriva dalla definizione di sottospazi affini peralleli
e dal teorema 1.17, osservato che Q UT WQ .
Definizione 1.12. Due sottospazi affini di n che hanno intersezione vuota
ma non sono paralleli si dicono sghembi.
Due sottospazi affini di n non paralleli che hanno intersezione non vuota
si dicono incidenti.
Equazioni.

28

Per le rette, esiste la seguente osservazione che vale in tutte le dimensioni.


Se r = (P, v) e s = (Q, w) sono due rette, esse sono parallele, se e solo se
esiste K {0} tale che w = v.
Questo fatto ci da, in modo ovvio, tutte le relazioni di parallelismo e di
coincidenza tra r ed s in termine delle loro equazioni parametriche.
Se r k s, risulta r = s se e solo se Q r, se e solo se P s.
Vogliamo ora vedere proprieta di questo paragrafo dal punto di vista delle
coordinate.
Per questo, fissiamo un riferimento R(O; B) e sia h : n K n il suo
sistema coordinato.
Unosservazione banale ma molto utile e la seguente.
Se WP = (P, W ) e UQ = (Q, U ) sono due sottospazi affini, indipendentemente dal tipo delle equazioni che si usano, i loro punti comuni hanno
coordinate che sono soluzioni del sistema formato dalle due equazioni di WP
e UQ .
n=2
Fissiamo su 2 un sistema di riferimento R(O, B), con B = (e1 , e2 ) e sia
h : 2 K 2 il suo sistema coordinato.
Consideriamo due rette r = (P, v) ed s = (Q, w).
Dapprima supponiamo note le loro equazioni cartesiane; cioe r : ax+by +
c = 0 e s : a0 x + b0 y + c0 = 0.
Un punto P (x, y) di 2 appartiene ad r s, se e solo se (x, y) e soluzione
del sistema

ax + by = c
a0 x + b0 y = c0
Per determinare le soluzioni di tale sistema, useremo il teorema di Rouche
Capelli.
Consideriamo per questo le matrici




a b
a b c
e
a0 b 0
a0 b 0 c 0
che sono rispettivamente la matrice incompleta e la matrice completa del
nostro sistema e che hanno rango maggiore o uguale ad uno, essendo (a, b) 6=
(0, 0).
La prima matrice ha rango uno, se e solo se esiste K {0} tale che
a0 = a e b0 = b.
29

In tal caso, per la matrice completa si possono presentare due casi.


Se ha rango uno, allora risulta c0 = c. Quindi, il sistema ammette
1 soluzioni, pi
u precisamente ogni soluzione delle prima equazione e anche
soluzione della seconda e viceversa e quindi r = s.
Se la matrice completa ha rango due, il sistema e incompatibile e quindi
r s = .
In ogni caso, si ha r k s.

Quindi condizione necessaria e sufficiente per il parallelismo delle rette


r : ax + by + c = 0 e s : a0 x + b0 y + c0 = 0 e che
K {0} tale che a0 = a e b0 = b ;

(1.34)

o equivalentemente

a b
0 0
a b



=0.

(1.35)

Se il rango della matrice incompleta e due, il sistema ammette ununica


soluzione, per il teorema di Kramer.
Questa soluzione individua un unico punto T che e lunico punto comune
alle due rette.
Quindi, nel caso in cui le due rette r ed s non siano parallele, lintersezione
di r ed s e un sottospazio di dimensione zero, cioe un punto. Esso e unico,
perche per due punti distinti passa ununica retta.
Se le due rette non sono parallele, si dice che sono incidenti (nel punto
T ).

Se la retta r ha equazione x = , con K, allora passa per il punto


P (, ) 2 , per ogni K, ed ha giacitura generata dal vettore e2 , quindi
e parallela allasse y, cioe alla retta [O, O2 ].
Analogamente, se la retta r ha equazione r : y = , con K, e parallela
allasse x, cioe alla retta [O, O1 ] e passa per il punto P (, ), per ogni K.

Consideriamo ora due rette distinte r ed s di 2 e supponiamo che le loro


equazioni siano r : ax + by + c = 0 e s : a0 x + b0 y + c0 = 0 nel riferimento
affine R(O, B).

30

Allora possiamo considerare tutte le equazioni del tipo


(ax + by + c) + (a0 x + b0 y + c0 ) =
= (a + a0 )x + (b + b0 )y + c + c0 = 0 .
(, ) K 2

(1.36)

Ricordiamo che, lequazione (1.36) non e quella di una retta per tutte e sole
le coppie (, ) K 2 che sono soluzione del sistema

a + a0 = 0
.
b + b0 = 0

a.
Se r s = {P }, con P 2 , allora la matrice dei coefficienti del sistema
precedente ha rango massimo, perche le due rette sono incidenti nel punto
P.
Quindi questo sistema ammette solo la soluzione banale.
Pertanto, lequazione (1.36) e quella di una retta, per ogni (, ) K 2
{(0, 0}.
E di immediata verifica che in questo caso tutte le rette passano per P .
Linsieme di tutte e sole le rette passanti per P e detto fascio (proprio) e
P e detto centro del fascio, oppure linsieme di queste rette e detto fascio di
centro P .
Il fascio di centro P sara denotato con F(P ), cioe
F(P ) = {r retta di 2 |P r} .
Supponiamo P (x0 , y0 ) nel riferimento affine R(O, B).
Allora, tutte le rette di equazione
(x xO ) + (y y0 ) = 0 ,

(, ) K 2 {(0, 0)} ;

(1.37)

passano per P .
Supponiamo ora che t : ax + by + c = 0 sia una retta passante per P .
Allora, le coordinate di P soddisfano lequazione di t e quindi d =
ax0 by0 , per cui risulta t : a(x x0 ) + b(y y0 ) = 0.
Osservato che (a, b) 6= (0, 0) per gli ovvii motivi, lequazione della retta
t e del tipo (1.37)
31

Osserviamo ora che, nelle ipotesi che le rette r ed s siano incidenti in P ,


lapplicazione
(, ) K 2 7 (a + b, a0 + b0 ) K 2 ;
e un isomorfimo lineare, perche la matrice ad esso associata nella base
canonica ha rango massimo.
Tutte le eqnazione delle rette (1.37), si possono scrivere nella forma (1.36)
e viceversa.
Questo ci assicura che le equazioni di due rette qualsiasi del fascio F(P )
possono essere usate per determinare tutte le equazioni delle rette di F(P ).

Osserviamo anche che lequazione (1.13) (tenuto conto della definizione


1.9), fissato P 2 e facendo variare (`, m) (K 2 ) , rappresenta lequazione
del fascio di centro P , in funzione dei parametri direttori delle sue rette.
Infine, per b 6= 0, le rette del fascio, diverse da quella parallela allasse
delle y, hanno equazione
y y0 = (x x0 ) ;
al variare di K.
b.
Se r k s, per quanto visto prima esiste K, con 6= 0, tale che a = a0
e b = b0 .
Quindi leqauzione (1.36) diventa
( + )ax + ( + )by + c + c0 = 0 ,

(, ) K 2 .

(1.38)

In tal caso, c 6= c0 , essendo le due rette distinte e lequazione (1.36) e quella


di una retta, se e solo se 6= .
In tal caso, dividendo primo e secondo membro della equazione (1.38) per
+ e denotato con K lovvio rapporto, lequazione (1.38) diventa
ax + by + = 0 ,

K .

Oserviamo che al variare di K si ottengono tutte e sole le rette


parallele ad r ed s, che hanno giacitura generata da v = be1 ae2 6= 0V .
Lequazione (1.38) ci assicura che due rette qualsiasi del fascio individuano
tutto il fascio.
Linsieme di queste rette e detto fascio impropio di direzione v.
32

Al fascio improprio appartengono tutte e sole le rette parallele ad r ed s,


cioe individua la classe di parallelismo di r.
Pertanto, per ogni K, con 6= 0 il fascio inproprio di direzione v
coincide col fascio improprio di direzione v.

Supponiamo che r ed s abbiano rispettivamente parametri direttori (`, m)


e (`0 , m0 ).
Si ha


` m

r k s 0 0 = 0 ;
(1.39)
` m
dovendo i due vettori (`, m) e (`0 , m0 ) essere non nulli e linearmente dipendenti.

Infine, supponiamo che le equazioni delle due rette siano r : y = mx + n


e s : y = m0 x + n0 .
Allora, le due rette sono parallele, se e solo se m = m0 .
Se invece m 6= m0 , le due rette si intersecano in un unico punto le cui
coordinate si calcolano in modo ovvio.

Per m = 0 si ottengono tutte e sole le rette parallele alla retta y = 0, cioe


allasse delle x.

Consideriamo la retta t di equazione t : ax + b = 0, con a 6= 0.


Per quanto visto in precedenza lequazione di t puo essere scritta anche
come x = x0 . Pertanto, t e la retta di equazione x = 0 o hanno intersezione
vuota o coincidono.
Quindi, tutte e sole le rette ax + b = 0, sono parallele allasse delle y.
Concludendo, il fascio improprio delle rette parallele allasse delle y ha
equazione x = , al variare di K.

Siano u, v V due vettori linearmente indipendenti, vogliamo dimostrare


che in 2 la somma u+v si puo sempre fare con la regola del parallelogramma,
indipendentemente dal punto A di applicazione dei due vettori.
Ricordiamo che stiamo ragionando rispetto al riferimento R(O, B), precedentemente fissato, con B = (e1 , e2 ) ed al suo sitema coordinato h : 2 K 2 .
Supponiamo u = u1 e1 + u2 e2 e v = v 1 e1 + v 2 e2 , allora u + v = (u1 +
1
v )e1 + (u2 + v 2 )e2 .
33

Si consideri un punto A 2 , A(x0 , y0 ) in h.


Per lassioma (1.2) esistono R, S, T 2 tali che f (A, R) = u, f (A, S) = v
e f (A, T ) = u + v.
Supponiamo R(x, y), allora si ha
f (A, R) = (x x0 )e1 + (y y0 )e2 = u = u1 e1 + u2 e2 .
Da cio segue x = x0 + u1 e y = y0 + u2 e quindi R(x0 + u1 , y0 + u2 ).
In modo analogo si ha S(x0 + v 1 , y0 + v 2 ) e T (x0 + u1 + v 1 , y0 + u2 + v 2 ).
Se vale la regola del parallelogramma T sara il punto di intersezione della
retta r per R parallela alla retta [A, S] con la retta s per S parallela alla
retta [A, R]
Essendo f (A, S) = v, si ha r = (R, v) e in modo analogo s = (S, u).
Pertanto le equazioni di r ed s, sotto forma di rapporti uguali sono
r :

y y0 u2
x x0 u 1
=
v1
v2

e s :

x x0 v 1
y y0 v 2
=
u1
u2

Sostituendo le coordinate di T in entrambe le equazioni, si vede che T appartiene ad entrambe le rette r e s. Poiche queste rette non sono parallele
essendo u e v linearmente indipendenti si ha r s = {T } e quindi lasserto e
vero.
Osservazione 1.5. Con le notazioni precedenti si ha R +A S = T .
n=3
In questo caso il riferimento affine R(O, B) ha la base B = (e1 , e2 , e3 ) e
denotiamo ancora con h : 3 K 3 il relativo sistema coordinato.
Cominciamo col considerare i piani, perche ci serve un ulteriore equazione
delle rette.
Consideriamo due piani e 0 di 3 e supponiamo : ax + by + cz + d = 0
0
e : a0 x + b0 y + c0 z + d0 = 0.
Allora i punti di 0 hanno coordinate che sono soluzioni del sistema

ax + by + cz = d
(1.40)
a0 x + b0 y + c0 z = d0
La matrice dei coefficienti del sistema (1.40) e


a b c
a0 b0 c0
34

(1.41)

La matrice completa del sistema (1.40) ha lo stesso rango della matrice




a b c d
(1.42)
a0 b 0 c 0 d 0
Ragionando come nel caso delle rette nel piano si vede subito che si possono
presentare tre casi.

La matrice (1.42) ha rango uno, allora esiste K {0} tale che a0 = a,


b0 = b, c0 = c e d0 = d.
In tal caso risulta = 0 .
La matrice (1.41) ha rango uno e la matrice (1.42) ha rango due. In tal
caso esiste K {0} tale che a0 = a, b0 = b, c0 = c e d0 6= d.
Quindi risulta 0 = .
Dalle osservazioni precedenti si ricava che:
k 0 se e solo se esiste K {0} tale che a0 = a, b0 = b e c0 = c.

La matrice dei coefficienti ha rango due quindi il sistema ammette 1


soluzioni e, per quanto visto in precedenza, 0 e una retta di 3 .
Il sottospazio 0 e una retta se e solo se la matrice


a b c
(1.43)
a0 b0 c0
ha rango massimo e lequazione della retta 1 2 e

ax + by + cz + d = 0
a0 x + b 0 y + c 0 z + d 0 = 0

(1.44)

In questo caso il sistema (1.44) consente il calcolo diretto di una terna di


parametri direttori della retta 0 che, con lovvio significato dei simboli,
e data da:






b c
a c
a b





` = 0 0 , m = 0 0 , n = 0 0 .
(1.45)
a c
a b
b c
Dimostriamo che la precedente e vera.
Sia P (x0 , y0 , z0 ) un punto di 0 .
Poiche le coordinate di P soddisfano sia lequazione di che quella di 0 ,
si ha d = (ax0 + by0 + cz0 ) e d0 = (a0 x0 + b0 y0 + c0 z0 ).
35

Sostituendo queste espressioni di d e d0 nel sistema (1.40) si ottiene il


sistema seguente

a(x x0 ) + b(y y0 ) + c(z z0 ) = 0
(1.46)
a0 (x x0 ) + b0 (y y0 ) + c0 (z z0 ) = 0
Le soluzioni del precedente sistema sono
x x0 = ` ,

y y0 = m ,

z z0 = n ,

K.

Infatti, sostituendo le precedenti in ciascuna delle equazioni del sistema (1.46)


si ottiene sempre lo sviluppo secondo la prima riga, con la regola di Laplace,
di un determinante avente due righe proporzionali.
Quindi, entrambe le equazioni sono soddisfatte.
Se ` m n 6= 0, la precedente implica
y y0
z z0
x x0
=
=
= , K
`
m
n
Pertanto (`, m, n) e una terna di parametri direttori.
Negli altri casi si ragiona nel modo ovvio.
Il caso (`, m, n) = (0, 0, 0) e escluso, perche la matrice (1.43) ha rango
massimo.

Sia r = (P, v) una retta di 3 .


Essendo v 6= 0, esiste una base B = (1 , 2 , 3 ) di V tale che v = 1 .
Consideriamo i piani = (P ; 1 , 2 ) e 0 = (P ; 1 , 3 ) di 3 .
Poiche 0 = r, lequazione di una retta qualsiasi puo essere scritta
nella forma (1.40).
Possiamo ottenere lo stesso risultato a partire dallequazione (1.21) di una
retta.
Se al pi
u due dei denominatori sono nulli, lequazione (1.21) da sempre
lequazione della retta come intersezione di due piani, come mostrano gli
esempi dati con le equazioni (1.22) ed (1.23).
Se invece in (1.21) tutti i denominatori sono non nulli, e facile verificare
che questa si puo scrivere come
 2
v (x x0 ) v 1 (y y0 ) = 0
(1.47)
v 3 (y y0 ) v 2 (z z0 ) = 0
La precedente e evidentemente lequazione dei punti comuni a due piani
distinti che si intersecano nella retta di equazione (1.21). Sussiste il seguente
teorema
36

Teorema 1.20. Due rette r ed s di 3 sono parallele o si intersecano in un


unico punto, se e solo se sono complanari.
Dimostrazione.
Supponiamo dapprima che r ed s siano due rette complanari di 3 e
denotiamo con il piano che le contiene.
Per il teorema 1.7, il piano ha una struttura indotta di sottospazio affine
e quindi le due rette o sono parallele, oppure si intersecano in un punto.
Per il viceversa supponiamo r = (P, v), s = (Q, w) e distinguiamo tre
casi.
Se r = s, i vettori f (P, Q), v e w appartengono al sottospazio vettoriale
< w > di V , che ha dimensione uno, perche w 6= 0 e individua la giacitura
di una retta.
Quindi esiste un vettore u V tale che u e w siano linearmente indipendenti.
E immediato verificare che r = s e contenuta nel piano = (P ; u, w) di
3 .
Supponiamo r k s e r 6= s.
In tal caso f (P, Q) e v sono linearmente indipendenti.
Infatti se cosi con fosse, si avrebbe f (P, Q) < v >, quindi Q r, da cui
r s 6= e pertanto, per il teorema 1.17, sarebbe r = s, contro lipotesi.
E immediato verificare che le due rette r ed s sono contenute nel piano
= (P ; f (P, Q), v).
Supponiamo ora che le due rette siano distinte e incidenti e poniamo
{T } = r s.
In tal caso v e w sono linearmente indipendenti, perche in caso contrario
le due rette sarebbero parallele e coinciderebbero, per il teorema 1.17.
In pi
u, r = (T, v) e s = (T, w), pertanto r ed s sono contenute nel piano
= (T ; v, w). Supponiamo che r ed r siano due rette di S3 aventi parametri
direttori (`, m, n) e (`0 , m0 , n0 ), rispettivamente.
E immediato verificare che


` m n
rks
ha rango uno .
(1.48)
`0 m0 n0
Infine si ha
Teorema 1.21. Siano r = (P, v) ed s = (Q, w) due rette di 3 .
Le rette r ed s sono sghembe, se e solo se i vettori f (P, Q), v e w sono
linearmente indipendenti.
37

Dimostrazione.
Supponiamo dapprima che le rette r ed s del teorema siano sghembe.
Allora i vettori v e w devono essere linearmente indipendenti, perche in
caso contrario le rette sarebbero parallele.
In pi
u deve risultare f (P, Q) 6< v > < w >, perche in caso contrario
le due rette sarebbero incidenti.
Pertanto, f (P, Q), v e w devono essere linearmente indipendenti.
Il viceversa e banale.

Siano r e una retta ed un piano di 3 , rispettivamente.


Supponiamo che le loro equazioni nel sistema coordinato h siano r : ax +
by + cz + d = 0 = a0 x + b0 y + c0 z + d0 e : ax + by + cz + d = 0,
rispettivamente.
Allora i punti conuni ad r e hanno in h coordinate che sono soluzioni
del sistema

ax + by + cz + d = 0
a0 x + b 0 y + c 0 z + d 0 = 0
(1.49)

ax + by + cz + d = 0

Se il rango della matrice dei coefficienti e tre, per il teorema di Kramer


il sistema (1.49) ammette ununica soluzione, che da le coordinate dellunico
punto di r .

Se il determinante di tale matrice e zero si ha








b c
a c
a b
a 0 0 b 0 0 + c 0 0 = 0 ;
(1.50)
b c
a c
a b
che, per la proprieta (1.45), e equivalente a
a` + bm + cn = 0 ;

(1.51)

essendo (`, m, n) 6= (0, 0, 0) una terna di parametri direttori di r.


Poiche e un iperpiano di 3 , tenuto conto delle loro dimensioni, r e o
si intersecano in un sottospazio di dimensione zero, o sono parallele.
Quindi, la (1.50) o la successiva sono le condizioni necessarie e sufficienti
per il parallelismo tra r e .

38

Se e vera (1.50), tenuto conto del fatto che lequazione della retta r e un
sistema che ha la matrice dei coefficienti di rango massimo e supposto che
che lultimo determinante della somma (1.50) sia non nullo si ha r , se e
solo se


a b d
0 0 0
a b d =0.
(1.52)


a b d
La precedente deriva dal teorema sugli orlati.
In modo analogo si ragiona se uno dei restanti due determinanti della
somma (1.50) e non nullo.

Sia P 3 .

Linsieme di tutti e soli i piani cui P appartiene e detto stella di piani di


centro P .
In simboli
S(P ) = { piano di 3 |P } .
Valgono osservazioni analoghe a qualle fatte per i fasci di rette.
In particolare, se P (x0 , y0 , z0 ) rispetto al sistema coordinato h, lequazione
della stella di piani di centro P e
a(x x0 ) + b(y y0 ) + c(z z0 ) = 0 (a, b, c) (K 3 ) .

(1.53)

Linsieme di tutte e sole le rette cui P appartiene e detto stella di rette


di centro P .
In simboli
S 0 (P ) = {r retta di 3 |P r} .
Lequazione (1.20), fissato P (x0 , y0 , z0 ), rappresenta lequazione della
stella di centro P al variare di (`, m, n) = (v 1 , v 2 , v 3 ) (K 3 ) .
Da questa si ricavano tutte le possibili equazioni del stella, facendo le
dovute sostituzioni.

Consideriamo una retta r di 3 .


Linsieme di tutti e soli i piani di 3 che verificano la propieta r e
detto fascio di piani.
39

In simboli
F(r) = { piano di 3 |r } .
Se la retta r ha equazione (1.44), lequazione del fascio e
(a + a0 )x + (b + b0 )y + (c + c0 )z + d + d0 = 0 ;
al variare di (, ) (K 2 ) .

40

(1.54)

Esempi
Gli esempi pi
u importanti saranno gli spazi affini dei prossimi due numeri
dove vedremo alcune proprieta degli spazi affini reali e di quelli complessi.
Qui ci limiteremo a considerare solo gli esempi che non saranno usati successivamente.
Un primo esempio e stato gia visto nella osservazione 1.1.
Osservazione 1.6. Il campo che ha il minimo numero di elementi e K =
{0, 1}. La sua somma e definita da 0 + 0 = 0, 0 + 1 = 1 + 0 = 1 e 1 + 1 = 0.
La sua moltiplicazione opera nel modo seguente 0 0 = 1 0 = 0 1 = 0 e
1 1 = 1.
Quindi lo spazio vettoriale di K n , con n 1, con la sua struttura standard
e quello che ha meno vettori.
Allora, la struttura canonica di spazio affine su K n dara gli spazi affini
con meno punti. In particolare, la retta affine con meno punti ne ha due, il
piano affine con meno punti ne ha quattro, lo spazio affine di dimensione tre
ne ha otto.
Altri due esempi sono i seguenti.
Consideriamo il campo dei numeri reali.
Dapprima consideriamo la bigezione : R R definita da (x) = x3 ,
per ogni x R.
Essa induce una applicazione k1 : R2 R2 definita da
k1 (x, y) = ((x), (y)), per ogni (x, y) R2 .
Si verifica facilmente che k1 e unapplicazione bigettiva.
Consideriamo ora lapplicazione f1 : R2 R2 R2 , definita ponendo
f1 ((x, y), (x0 , y 0 )) = ((x0 ), (y 0 )) ((x), (y)) =
= ((x0 ) (x), (y 0 ) (y)) ,
(x, y), (x0 , y 0 ) R2 .
Lapplicazione f1 induce su R2 una struttura di spazio affine.
Consideriamo ora la bigezione : R R definita da (x) = x, per ogni
x R {0, 1}, (0) = 1 e (1) = 0.
Possiamo considerare la bigezione k2 : R2 R2 definita da k2 (x, y) =
((x), (y)), per ogni (x, y) R2 .
Lapplicazione f2 : R2 R2 R2 , definita ponendo
f2 ((x, y), (x0 , y 0 )) = ((x0 ) (x), (y 0 ) (y)) ,
(x, y), (x0 , y 0 ) R2 ;
41

munisce R2 di una ulteriore struttura di spazio affine.


Infine, consideriamo la struttura di spazio affine f : R2 R2 R2 definita
dalla applicazione identica di R2 in se.
Un utile esercizio e confrontare tra loro le diverse geometrie definite su
R2 dalle tre diverse strutture di spazio affine precedenti.

42

1.3

Applicazioni affini

Siano V e W due spazi vettoriali di dimensione rispettivamente n ed m, con


n 1 e m 1, sullo stesso campo K.
Siano n e m due spazi affini su V e W , rispettivamente.
Poiche non potranno sorgere equivici denoteremo con lo stesso simbolo
sia lapplicazione f : n n V definisce la struttura di spazio affine su
n che lapplicazione f : m m W che determina la stuttura di spazio
affine di m .
Definizione 1.13. Sia A : n m unapplicazione.
Si dice che A e una applicazione affine, se e solo se esistono O n e
O0 m tale che A sia unapplicazione lineare dello spazio vettoriale puntato
(n , +O , O ), nello spazio vettoriale puntato (m , +O0 , O0 ).
Se A e una applicazione affine bigettiva, si dice che A e una affinita.
Teorema 1.22. Sia A : n m una applicazione affine e siano O n e
O0 m tale che A sia unapplicazione lineare dello spazio vettoriale puntato
(n , +O , O ), nello spazio vettoriale puntato (m , +O0 , O0 ). Allora, risulta
A(O) = O0 .
Dimostrazione.
Segue dal fatto O e lelemento neutro del primo spazio vettoriale puntato,
come O0 lo e del secondo.
Teorema 1.23. Sia A : n m unapplicazione.
i). Se A e una applicazione affine e se O n e O0 m sono tali
che A sia unapplicazione lineare rispetto alle strutture di spazio vettoriale
puntato (n , +O , O ) e (m , +O0 , O0 ), allora, esiste una applicazione lineare
L : V W tale che A = fO10 L fO e si ha
f (A(P ), A(Q)) = L(f (P, Q)) ,

P, Q n .

(1.55)

ii).
Supponiamo che L : V W sia una applicazione lineare e siano O n
ed O0 m due punti qualsiasi.
Allora esiste una applicazione affine A : n m
f (O0 , A(Q)) = L(f (O, Q)) ,
In pi
u risulta A(O) = O0 .
43

Q n .

(1.56)

iii).
Se A e unapplicazione affine, lapplicazione lineare L definita in i) e
unica, dipende solo da A e non dipende dal punto O n .
iv).
A e una affinita se e solo se A = fO10 L fO : n n , con O n ed
O0 m , e L : V V isomorfismo lineare.
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Nelle ipotesi della i), risulta A(O) = O0 e A e una applicazione lineare
tra le due strutture di spazio puntato su n e m dellenunciato.
Per il teorema 1.3, le applicazioni fO : n V e fO0 : m W sono
isomorfismi lineari.
f 1

O
O
Si ha V
(n , +O , O ) (n , +O0 , O0 )
W.
Dalla precedente segue che posto L = fO0 AfO1 : V W , lapplicazione
L e lineare e per essa risulta A = fO10 L fO : n m .
Pertanto lapplicazione lineare L esiste.
Per il seguito e utile osservare che la precedente si puo anche scrivere
come fA(O) A = L fO : n W .
In pi
u risulta

f (A(O), A(P )) = fA(O) (A(P )) = (fA(O) A)(P )


(L fO (P )) = L(f (O, P )) , P n .
Pertanto, si ha
f (A(O), A(P )) = L(f (O, P )) ,

P n .

(1.57)

Dalla precedente e dallessere L lineare segue


f (A(P ), A(Q)) = f (A(O), A(Q)) f (A(O), A(P )) =
L(f (O, Q)) L(f (O, P )) = L(f (P, Q)) , P, Q n .
Pertanto luguaglianza (1.55) e vera.
Proviamo la ii).
Siano L : V W una applicazione lineare, O n ed O0 m .
Poniamo A = fO10 L fO : n m .
Dal modo in cui e definita di A si ricava subito che A e unapplicazione
lineare rispetto alle ovvie strutture di spazio vettoriale, quindi A e una applicazione affine.
44

In pi
u si ha O0 = A(O).
Infine, della definizione di A segue fO0 A = L fO : n W e
f (O0 , A(P )) = fO0 (A(P )) = L(fO ((P )) = L(f (O, P )) , P n .
Proviamo la iii).
Poniamoci nelle ipotesi della i).
Consideriamo un qualsiasi punto O1 n e poniamo A(O1 ) = O10 .
Per la (1.55) si ha
f (A(O1 ), A(P )) = L(f (O1 , P )) ,

P n .

Inoltre, osserviamo che lapplicazione L1 = fO10 A fO11 : V W e


lineare e per quanto visto in precedenza risulta
f (A(O1 ), A(P )) = L1 (f (O1 , P )) , P n .
Da cui segue
L(f (O1 , P ) = L1 (f (O1 , P )) , P n .
Pertanto L fO1 = L1 fO1 da cui L = L1 , essendo fO1 surgettiva.
Infine, la dimostrazione della iv) e banale.
Osservazione 1.7. Con lovvio significato dei simboli usati, la iii) del teorema precedente ci assicura che per ogni O n lapplicazione lineare L della
i) dipende solo da A e non dipende da O.
Per questo L e detta applicazione lineare associata ad A.
Inoltre, lapplicazione A : (n , +O , O ) (m , +A(O) , A(O) ) e lineare, per
ogni O n , se e solo se A e una applicazione affine.
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Teorema 1.24. Esempio
Consideriamo in n un sottospazio affine UP = (P, U ) passsante per P
n e avente giacitura U .
In V esiste un sottospazio vettoriale U 0 tale che V = U U 0 .
Sia p1 : V U lapplicazione lineare definita ponendo, per ogni p1 (v) =
u U , se e solo se esiste u0 U 0 tale che v = u + u0 .
Allora, siste una applicazione surgettiva A : n UO tale che per ogni
Q n risulta {A(Q)} = UP UQ0 , essendo UQ0 il sottospazio affine di n
pessante per Q ed avente U 0 come giacitura.
45

In pi
u, p1 e lapplicazione lineare associata ad A.
Infine, siano W un ulteriore sottospazio vettoriale di V tale che V =
W U 0 e T un punto di n .
Denotato con WT = (T, W ) il sottospazio di n passante per T a avente
giacitura W , lapplicazione A|WT : WT UP e una affinita.
Dimostrazione.
Proviamo che A e una applicazione. Siano Q n e UQ0 = (Q, U 0 ) il
sottospazio di n passante per Q ed avente U 0 come giacitura.
Risultando f (P, Q) U U 0 = V , UP UQ0 e un sottospazio affine la cui
giacitura U U 0 = {0V } ha dimensione zero, per il teorema 1.14.
Da cio segue che UP UQ0 contiene un unico punto e quindi ha senso porre
{A(Q)} = UP UQ0 .
A e surgetiva.
Intatti, se Q UP , si ha {A(Q)} = UP UQ0 = {Q}.
A e una applicazione affine.e
Consideriamo O UP .
Sia P n e supponiamo fO (P ) = v V .
Per le ipotesi fatte, esistono u U e w U 0 tali che v = u + w.
Posto H = fO1 (v), S = fO1 (u) UP , si ha H UP e
f (H, T ) = f (O, P ) f (H, O) = u + w u = w U 0 .
Pertanto, T appartiene al sottospazio UH0 di n passante per H ed avente
giacitura U 0 .
Quindi, A(P ) = H ed anche A(O) = O, essendo O UP .
La precedente osservazione vale per ogni P n ed essendo fO una
bigezione si ha fO A fO1 (v) = u, se e solo se v = u + w, con u U e
w U 0 , per ogni v V .
In conlusione si ha A = fO1 p1 fO , quindi A e lineare sispetto alle
strutture di spazio vettoriale puntato (n , +O , O ) e (UP , +O , O ) e pertanto
e una applicazione affine che ha p1 come applicazione linare associata.
Infine, proviamo che A|WT : WT UP e una affintita.
Sia S UP e denotiamo con US0 il sottospazio affine di n passante per S
ed avente giacitura U 0 .
E immediato che WT US0 = {H} e che A(H) = S.
Pertanto A|WT e surgettiva ed un modo analogo si vede anche che essa e
anche ingettiva.
Pertanto, A|WT e una bigezione.
46

Considerato H WT , lapplicazione A : n UP e lineare rispetto alle


strutture di spazio vettoriale puntato (n , +H , H ) e (UP , +A(H) , A(H) ).
In pi
u, lo spazio vettoriale puntato (WT , +H , H ) e un sottospazio vettoriale di (n , +H , H ), quindi A|WT e la restrizione di una applicazione lineare
ad un sottospazio dello spazio ambiente e quindi e lineare.
Teorema 1.25. Siano A : n m unapplicazione affine e L : V W
lapplicaziome lineare associata ad A.
i).
A trasforma sottospazi affini di dimensione r passanti per O n , con
0 r n, di n ed aventi come giacitura il sottospazio vettoriale V 0 di V ,
in sottospazi affini di dimensione minore o uguale di r, passanti per A(O) ed
aventi come giacitura L(V 0 ).
ii).
A conserva il parallelismo.
iii).
Se A e unaffinita, risulta n = m e A trasforma sottospazi affini di n in
sottospazi affini di m della stessa dimensione.
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Sia VO0 = (O, V 0 ) un sottospazio affine passante per O n e avente come
giacitura V 0 , sottospazio vettoriale di V .
Allora, per losservazione precedente lapplicazione A e lineare rispetto
alle strutture di spazio vettoriale puntato (n , +O , O ) e (m , +A(O) , A(O) ).
Poiche VO0 e un sottospazio vettoriale di (n , +O , O )), esso e tasformato da
A in un sottospazio vettoriale di (m , +A(O) , A(O) ), e quindi in un sottospazio
affine di m , tale che A(O) A(VO0 ).
In pi
u si la giacitura di A(VO0 ) e fA(O) (A(V 0 O)) = L(fO (VO0 )) = L(V 0 ).
La ii) deriva banalmente dal fatto che due sottospazi affini paralleli o
sono contenuti uno nellaltro, oppure hanno intersezione vuota.
Infine la iii) segue dalla i) e dalle proprieta degli isomorfismi lineari.
Teorema 1.26. Si ha
i).
Sia r un ulteriore spazio affine di dimensione r sullo spazio vettoriale
U su K.
Se A1 : n m e A2 : m r sono due applicazioni affini,
allora A2 A1 : n r e una applicazione affine.
47

ii).
Lapplicazione identica id : n n e una affinita.
iii)
Se A : n n e una affinita, anche A1 : n n e una affinita.
iv).
Linsieme An delle afinita di n in se e un gruppo, rispetto alla legge di
composizione tra applicazioni.
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Per il teorema precedente, fissato O n le applicazioni
A

(n , +O , O ) 1 (m , +A1 (O) , A1 (O) ) 2 (r , +A2 (A1 (O)) , A2 (A1 (O)) ) ;


sono lineari, quindi la loro composta e lineare.
Tutte la altre asserzioni derivano in modo analogo dalle proprieta delle
applicazioni lineari.
Dora in poi, salvo avviso contrario, An denotera sempre il gruppo delle
affinita di n in se.
Teorema 1.27. Supponiamo n = m.
Siano (Pi )0in e (Pi0 )0in due famiglie formate da punti affinemente
indipendenti di n e di m , rispettivamente.
Esiste ununica affinita A : n n tale che A(Pi ) = Pi0 , per ogni
i {0, . . . , n}.
Dimostrazione.
Poniamo P0 = O e P00 = O0 .
La famiglia (Pi )1in e libera rispetto alla struttura di spazio vettoriale
(n , +O , O ) ed e massinale, quindi e una base.
Analogamente, la famiglia (Pi0 )1in e una base dello spazio vettoriale
(n , +O0 , O0 ).
Per questo esiste un unico isomorfismo lineare
A : (n , +O , O ) (n , +O0 , O0 ) tale che A(Pi ) = Pi0 , per ogni i {0, . . . , n}.
Poiche A(P0 ) = A(O) = O0 = P00 , A e una affinita che verifica la condizione richiesta dal teorema.
Lunicita di A e immediata.
Teorema 1.28. Esiste almeno unaffinita tra due spazi affini della stessa
dimensione.
48

Dimostrazione.
Poiche V ha dinensione n, esiste una base (vi )iin di V .
Allora fissato un punto O n , posto Pi = fO1 (vi ), per ogni i
{1, . . . , n} e P0 = O, si ottiene una famiglia (Pi )0in di punti affinermente
indipendenti di n .
In modo analogo si puo ottenere una famiglia (Pi0 )0in di punti linearmente indipendenti di n .
Quindi lasserto segue dalla proposizione precedente.
Sempre dal teorema 1.27, si possono ottenere teoremi relativi allesistenza
di affinita che n e n che trasformano famiglie di sottospazi di n in famiglie
di sottospazi di n .
Consideriamo solo un esempio di questo tipo di teoremi.
Teorema 1.29. Supponiamo n = 2.
Siano r una retta di 2 ed r0 una retta di 2 .
Esiste almeno unaffinita A : 2 2 , tale che A(r) = r0 .
Dimostrazione.
Consideriamo due punti distinti P0 e P1 di r ed un punto P2 di 2 , con
P2 6 r.
Questo punto esiste, perche il campo K con un numero minimo di elementi
ha cardinalita due, il piano affine coordinabile su K ha quattro punti ed ogni
sua retta ne contiene due (vedi losservazione 1.6).
In tutti gli altri casi finiti la retta ha |K| punti, perche ammette sempre unequazione parametrica, mentre il piano ne ha |K|2 , perche il sistema
coordinaro stabilisce una bigezione ta il piano e K 2 .
Nel caso che K contenga infiniti elementi, la retta e bigettiva con K,
mentre il piano lo e con K 2 sempre per lo stesso motivo.
La famiglia (P0 , P1 , P2 ) e formata da punti linearmente indipendenti.
Infatti se non lo fossero esisterebbe una retta t che li contiene tutti e tre
e serebbe t = r, perche P1 6= P2 .
Pertanto, sarebbe P3 r,contro lipotesi.
Possiamo anche considerare una terna di punti (P10 , P20 , P20 ) linearmente
indipendenti di 2 , con P1 , P2 r0 .
Allora per il teorema 1.27 esiste una affinita A : 2 2 tale che A(Pi ) =
0
Pi , per ogni i {1, 2, 3}.
Si ha A(r) = r0 , perche A trasforma due punti distinti di r in due punti
distinti di r0 , cioe A(r) = r0 , essendo P10 = A(P1 ) 6= A(P2 ) = P20 .
49

Definizione 1.14. Siano (P )1r una famiglia diPpunti di n , con r 2


e ( )1r una famiglia di elementi di K tale che r=1 = 1.
Si definisce baricentro della famigla (P )1r con famiglia di pesi

( )1r il punto B n tale che


B = 1 O P1 +O 2 O P2 +O +O r O Pr ;
dove O e un qualsiasi punto di n .
Teorema 1.30. Nelle ipotesi della definizione precedente il centro di massa
non dipende dal punto O.
Dimostrazione.
Sia O0 un ulteriore punto di n e denotiamo con B 0 il baricentro della
famiglia (P )1r con famiglia di pesi ( )1r ottenuto mediante la
definizione precedente sostituendo O con O0 .
Dalla definizione di spazio vettoriale puntato segue
r
X
f (O0 , P ) =
f (O0 , B 0 ) =
=1
r
X

f (O , O) +

r
X

f (O, P ) =

=1

=1
0

f (O , O) + f (O, B) = f (O0 , B) .
Quindi B = B 0 per lassioma (1.2).
Osservazione 1.8. Supponiamo n = 1.
Considerati tre punti P1 , P2 , P3 1 , con P2 6= P3 , supponiamo che il
rapporto semplice sia (P1 ; P2 , P3 ) = k K.
Allora, P1 e il baricentro della famiglia (P3 , P2 ) con pesi (k, 1 k).
Infatti, fissato in riferimento R(O, B) e denotato con h : 1 K si ha:
h(P1 ) h(P2 ) = k(h(P3 ) h(P2 )) f (P2 , P1 ) =
kf (P2 , P3 ) P1 = fP1
(kfP2 (P3 ))
2
Dalla precedente segue
P1 = k P2 P3 +P2 (1 k) P2 P2
Da cio segue lasserto.
Si osservi che tutte le implicazioni precedendi si possono invertire, quindi
se P1 e il baricentro della coppia (P3 , P2 ) con pesi (k, 1 k), k K, allora
(P1 ; P2 , P3 ) = k.
50

Teorema 1.31. Sia A : n m unapplicazione.


Le seguenti affermazioni sono equivalenti.
i).
A e unapplicazione affine.
ii).
Per ogni famiglia (P )1r
Pr di punti di n , con r 2 e per ogni famiglia

r
( )1r (K) tale che =1 = 1, lapplicazione A trasforma il baricentro della famiglia (P )1r con famiglia di pesi ( )1r nel baricentro
della famiglia (A(P ))1r con famiglia di pesi ( )1r .
Dimostrazione.
Supponiamo che lapplicazione A dellenunciato sia una affinita.
Considerato O n A e unapplicazione lineare di (n , +O , O )
in (m , +A(O) , A(O) ).
Allora, la prima implicazione e vera, perche A trasforma combinazioni
lineari del primo spazio vettoriale puntato in combinazioni lineari del secondo
e il baricenteo non dipende dalla struttura di spazio vettoriale puntato.
Proviamo il viceversa.
Consideriamo P, Q n e , K.
Si ha O P +O O Q = O P +O O Q +O (1 ) O O, per questo
O P +O O Q e il baricentro della famiglia di punti (P, Q, O) con famiglia
di pesi (, , 1 ).
Dalle ipotesi segue che A( O P +O O Q) e il baricentro della famiglia
di punti ((A(P ), A(Q), A(O)) con famiglia di pesi (, , 1 ). Si ha
quindi
A( O P +O O Q) =
A(O) A(P ) +A(O) A(O) A(Q) +A(O) (1 ) A(O)A(O) =
A(O) A(P ) +A(O) A(O) A(Q) .
Pertanto A e unapplicazione lineare di (n , +O , O ) su (m , +A(O) , A(O) )
quindi e unapplicazione affine.
Teorema 1.32. Sia A : n m una applicazione affine.
Consideriamo un riferimento affine R(O, B) di n e sia h : n K n il
sistema coordinato ad esso relativo.
Siano inoltre R0 (O0 , B 0 ) un riferimento affine di m e h0 : m K m il
sistema coordinato ad esso relativo.
51

Esiste una matrice C = (aj )1m| 1jn ed un vettore


K m tale che, per ogni P n , supposto h(P ) = (i )1in
e h(A(P )) = ( )im , si ha

(0 )1m

i0

n
X

aij j ,

i {1, . . . , m} .

(1.58)

j=1

In pi
u risulta h(A(O)) = (0 )1m .
Lequazione precedente, nella coppia di riferimenti R(O, B) e R0 (O0 , B 0 )
precedenti, con C = (aj )1m| 1jn matrice di elementi di K e (0 )1m
K m e sempre quella di unapplicazione affine.
Infine, A e una affinita, se e solo se C GL(n, K).
Dimostrazione.
Nelle ipotesi del teorema, dalla identita (1.57) si ha
fO0 (A(P )) = fA(O) (A(P )) + fO0 (A(O)) = L(fO (P )) + fO0 (A(O)) ;
per ogni P n , con L : V W applicazione lineare.
Poniamo h0 (A(O)) = (0 )1n e denotiamo con
C = (aj )1m| 1jn la matrice associata ad L nelle basi B e B 0 .
Poiche kB 0 : W K m e un isomorfismo lineare, si ha
h0 (A(P )) = kB 0 (fA(O) (A(P ))) + kB 0 (fO (A(O))) =
kB 0 (L(fO (P ))) + kB 0 (fO (A(O))) ;
per ogni P n .
Da cui lasserto segue con un semplice esercizio di algebra lineare.
Con le premesse fatte, la dimostrazione delle restanti parti del teorema e
banale.
Definizione 1.15. Consideriamo due punti O, O0 n .
Lapplicazione TOO0 : n n per cui risulta TOO0 (P ) = P +O O0 , per
ogni P n e detta traslazione.
Il vettore u = f (O, O0 ) V e detto ampiezza della traslazione T .
Nel seguito porremo sempre TOO0 = Tu .
Teorema 1.33. Sia TOO0 = Tu : n n , con O, O0 n una traslazione
di ampiezza u = f (O, O0 ) V .
52

i).
Risulta Tu (O) = O0 .
ii).
Per ogni P n , risulta f (P, Tu (P )) = u.
iii).
e n e per ogni P n risulta f (O,
e Tu (P )) = f (O,
e P ) + u.
Per ogni O
iv).
e P n risulta Tu (P ) = P + e O
e0 , con O
e0 = Tu (O).
e
Per ogni O,
O
Dimostrazione.
Essendo Tu (O) = O +O O0 ed essondo O lememento neutro rispatto a
+O , si ha Tu (O) = O0 .
Osserviamo che da P +O O0 = fO1 (fO (P ) + fO (O0 )) = Tu (P ) segue
f (O, T (P )) = f (O, P ) + f (O, O0 ) = f (O, P ) + u, per ogni P n .
Per questo si ha
f (P, Tu (P )) = f (O, P ) + f (O, Tu (P )) = u , P n
Dalla precedente segue
e Tu (P )) = f (O,
e P ) + f (P, Tu (P )) = f (O,
e P) + u ,
f (O,

e P n .
O,

e Tu (O))
e = f (O,
e O)
e + u = u, per ogni O
e n .
Quindi risulta f (O,
Dalle due precedenti segue
e0
e
Tu (P ) = fO1
e O ,
e (O)) = P +O
e (P ) + fO
e (fO

P n ;

e =O
e0 .
con Tu (O)
Osservazione 1.9. Il precedente teorema dimostra che la traslazione TO,O0 =
Tu non dipende da O, O0 n ma solo da u V e cio spiega il cambiamento
di notazione.
Teorema 1.34. Ogni traslazione Tu : n n di ampiezza u V e una
affinita tale che fTu (O) Tu = fO , per ogni O n .
Viceversa, se A : n n e una affinita ed esiste O n per cui
risulti fA(O) A = fO , allora A e una traslazione e la sua ampiezza e u =
f (O, A(O)).

53

Dimostrazione.
Sia Tu : n n una traslazione di ampiezza u V e consideriamo un
punto O n .
Si ha
(fTu (O) Tu )(P ) = f (Tu (O), Tu (P )) = f (Tu (O), O) + f (O, Tu (P )) =
u + f (O, P ) + u = fO (P ) , P n ;
Quindi Tu e una affinita, essendo Tu = fT1
fO un isomorfismo lineare fra
u (O)
le ovvie strutture di spazio vettoriale puntato.
Viceversa, sia A : n n una affinita e supponiamo che esista O n
per cui risulti fA(O) A = fO , cioe che lisomorfismo lineare associato da A
sia lapplicazione identica.
Posto A(O) = O0 , si ha fO0 A = fO . Dalla precedente segue
f (O0 , O) + f (O, A(P )) = f (O, P ) ,

P n .

Si ha quindi
A(P ) = fO1 (fO (P ) + fO (O0 )) = P +O O0 ,

P n .

Per questo A e una traslazione di ampiezza u = f (O, A(O)).


Teorema 1.35. Sia Tn linsieme contenente tutte e sole le trastazioni di n
in se.
i).
Siano Tu e Tv due traslazioni aventi rispettivamente ampiezza u e v, con
u, v V . Risulta Tu Tv = Tu+v = Tv Tu .
ii).
Linsieme Tn e un sottogruppo di An e il gruppo (Tn , ) e abeliano.
iii).
In pi
u, Tn e un sottogruppo normale di (An , ).
iv).
Inoltre, se consideriamo u, v V , con u 6= v, risulta Tu (P ) 6= Tv (P ), per
ogni P n .
v).
Se si considera u V , con u 6= 0V , risulta Tu (P ) 6= P , per ogni P n .
vi).
Il gruppo (Tn , ) e isomorfo a (V, +).
54

Dimostrazione.
Proviamo la i).
Siano Tu , Tv Tn due traslazioni di ampiezza rispettivamente u e v, con
u, v V .
Proviamo che Tu Tv e una traslazione di ampiezza u + v.
Per il teorema 1.33, fissato O n e posto Tu (O) = O0 e Tv (O) = O, si
ha
Tv (Tu (P )) = (P +O O0 ) +O O = P +O (O0 +O O) ,

P n .

Siccome fO e un isomorfismo, risulta fO (O0 +O O) = u + v.


In pi
u, essendo (O0 +O O) n , Tv Tu e una traslazione, per definizione
e si ha
Tu Tv = TOO0 +O O = Tu+v = Tv Tu ;

(1.59)

dove, lultima uguaglianza segue dal fatto che (n , +O ) e un gruppo commutativo.


Proviamo la ii).
Intanto, per il teorema precedente, risulta Tn An .
Quindi, se Tn e un gruppo rispetto alla legge di composizione tra applicazioni, esso e un sottogruppo di An .
Dalla (1.59) segue che (Tn , ) e una struttura algebrica commutativa.
E immediato verificare che la traslazione TOO = T0V , con O n , e
lapplicazione identica di n in se.
Inoltre, siano Tu Tn una traslazione di ampiezza u V e O n .
Posto Tu (O) = O0 , esiste O n tale che O0 +O O = O, essendo
(n , +O ) un gruppo abeliano che ha O come elemento neutro.
Si ha quindi
TOO (Tu (P ) = P +O (O0 +O O) = P
Poiche (n , +O ) e una struttura algebrica commutativa, la precedente implica
che Tu1 = TOO .
Quindi (Tn , ) e un gruppo abeliano ed e un sottogruppo di An .
Proviamo la iii).
Per questo bisogna provare che per ogni A An e per ogni T Tn risulta
A1 T A Tn .
Siano quindi A An e T Tn e denotiamo con L : V V lisomorfismo
lineare associato ad A.
55

Fissiamo O n .
1
Essendo A = fA(O)
L fO , risulta A1 = fO1 L1 fA(O) .
Poiche, per la iii) del teorema 1.23, lisomorfiamo L1 dipende solo da
1
A si ha anche A1 = fA11 (O) L1 fO .
Quindi, per losservazione successiva al teorema 1.23 e per il teorema 1.34
si ha
A1 T A =

 
 

1
fA11 (T (A(O))) L1 fT (A(O)) fT1

f
O =
A(O)
(A(O))
A(O)
1
fA11 (T (A(O))) L1 f((T (A(O)) fT1
(A(O)) L fO = fA1 (T (A(O))) fO .

Pertanto, risulta A1 T A Tn e quindi lasserto e vero.


Proviamo la iv).
Siano u, v V , con u 6= v, e denotiamo con Tu e Tv le traslazioni di n
di ampiezza u e v rispettivamente.
Fissato O n , poniamo Tu (O) = O0 e Tv (O) = O.
Si ha O0 6= O e quindi P +O O0 6= P +O O, da cui segue Tu (P ) 6= Tv (P ),
per ogni P n .
La v) e un caso particolare delle prededente e si ottiene per v = 0V .
Proviamo la vi).
Sia g : Tn V lapplicazione definita ponendo g(Tu ) = u, per ogni
Tu Tn , essendo u V lampiezza della traslazione Tu .
g e effettivamente una applicazione.
Infatti, se Tu Tn e una taslazione, la sua ampiezza e univocamente
determinata dalla proprieta u = f (O, Tu (O)), essendo O un qualsiasi punto
di n .
Proviamo ora che g e ingettiva.
Consideriamo Tu , Tv Tn e supponiamo che g(Tu ) = g(Tv ) = u.
Allora, fissato O n , esiste ed e unico il punto O0 n tale che
f (O, O0 ) = u.
Si ha Tu (P ) = P +O O0 = Tv (P ), per ogni P n .
Quindi, risulta Tu = Tv e g e ingettiva.
g e surgettiva.
Sia u V e, fissto O n e denotiamo con O0 il punto di n tale che
f (O, O0 ) = u.
Poniamo
Tu (P ) = P +O O0 , P n .
56

E immediato che Tu e una traslazione di ampiezza u e g(Tu ) = u.


Infine, g e un omomorfismo per luguaglianza (1.59).
Teorema 1.36. Per ogni P, Q n esiste ununica traslazione Tu Tn tale
che Tu (P ) = Q.
Dimostrazione.
Siano P, Q n .
Per il teorema precedente, lunica traslazione che trasforma P in Q e
Tu Tn , con u = f (P, Q).
Teorema 1.37. Sia Tu : n n una traslazione di ampiezza u V .
Siano R(O, B) un riferimento affine ed h : n K n il relativo sistema
coordinato.
P
Supponiamo B = (xi )1in e u = ni=1 i0 xi , con (i0 )1in K n .
Allora, considerato P n e posto h(P ) = (i )1in e h(Tu (P )) =
i
( )1in si ha
i = i + i0 , i {1, . . . , n} .
Dimostrazione.
Considerata la traslazione dellenunciato essa e una affinita, per il teorema
1.34.
Quindi la sua equazione nel sistema coordinato h e data dal teorema 1.32,
con la matrice C = (aij )1in| 1jn = (ji )1in| 1jn , essendo ji il simbolo
di Kronecker.
Infatti, per quanto visto inprecedenza lapplicazione lineare associata a
Tu e lapplicazione identica.
Definizione 1.16. Sia A : n n una affinita.
Un punto P n si dice unito (in A), se e solo se A(P ) = P .
Se esiste P n tale che A(P ) = P , laffinita A e detta centro affinita e
P e detto centro di A.
Si dice che H e il luogo di punti uniti di A, se A(P ) = P , se e solo se
P H, per ogni P n .
Un insieme H n , con H 6= , si dice unito (in A), se e solo se
A(H) = H.
Dal teorema 1.32 segue

57

Teorema 1.38. Siano R(O, B) un un sistema di riferimento affine, h : n


K n il relativo sistema coordinato e A : n n una affinita. Un punto
P n avente coordinata (i )1in e unito in A avente equazione (1.58)
relativamente ad h e unito in A se e solo se le sua coordinate soddisfano
lequazione

(a11 1)1 + a12 2 + . . . + a1n n = b1

a21 1 + (a22 1)2 + + a2n n = b2


(1.60)
..

an1 1 + an2 2 + + (ann 1)n = bn


con bi = i0 , per ogni i {1, . . . , n}.
Si osservi che la matrice dei cofficienti del precedente sistema e C In ,
con C = (aij )1in| 1jn GL(n, K), e In matrice icentica di GL(n, K).
Quindi, lautovalore uno e luatospazio corrispondente a tale autovalore
hanno un ruolo importante per lesistenza di punti uniti nellaffinita A.
Per esempio si ha
Teorema 1.39. Se uno non e un autovalore di C, laffinita A ammette un
unico punto unito.
Il teorema precedente deriva dal teorema di Kramer, essendo in questo
caso il il determinante della matrice C In non nullo.
Un altro esempio e il seguente
Teorema 1.40. Le traslazioni di n in se diverse dallidentita sono prive di
punti uniti.
Infatti, in questo caso C = In , per quanto visto in precedenza, quindi
C In e la matrice nulla, mentre il vettore (b1 , . . . , bn ) K n e non nullo.
Gli esempi precedente mostrano come la determinazione dei punti uniti
di A si ottiene mediante il teorema di RoucheCapelli.
Si ha
Teorema 1.41. Nelle ipotesi del teorema 1.38, se laffinita A ha almeno un
punto unito, il luogo dei punti uniti e un sottospazio affine di n e la dimensione di H e uguale a r, essendo r la molteplicita geometrica dellautovalore
uno di C.

58

Dimostrazione.
Sia H il luogo dei punti uniti dellaffintita A. Per le ipotesi fatte, risulta
H 6= .
Da cio segue che possiamo suppore O H.
Quindi nella equazione del teorema 1.60 si ha bi = i0 = 0, per ogni
i {1, . . . , n}.
Quindi il sistema che determina tutti e soli i punti uniti di A diventa

(a11 1)1 + a12 2 + . . . + a1n n = 0

a21 1 + (a22 1)2 + + a2n n = 0


..

an 1 + an 2 + + (an 1)n = 0
1

Il precedente sistema e omogeneo di n equazioni in n incognite, pertanto le


sue soluzioni determinano un sottospazio di K n , che coincide con lautospazio
delleutovalore uno.
Da cio segue lasserto.
Definizione 1.17. Sia P n .
Lo stabilizzatore di P e linsieme
AP = {A An |A(P ) = P } .
Teorema 1.42. Sia P n .
Lo stabilizzatore AP e un sottogruppo di An .
Dimostrazione.
Intanto, lapplicazione identica id : n n e una affinita tale che
id(P ) = P .
Quindi Id AP .
Inotre se A1 AP , si ha A1 An e A1 (P ) = P .
1
1
Pertanto, A1
1 An e A1 (P ) = P , da cui A1 AP .
Siano A1 , A2 AP .
Si ha A1 A2 An e A1 A2 (P ) = P .
Da cui segue A1 A2 AP .
Dalle precedenti osservazioni lasserto segue facilmente.
Teorema 1.43. Per ogni P n e per ogni A An , esistono e sono unici
T Tn e A1 , A2 AP tali che A = T A1 = A2 T .
59

Dimostrazione.
Siano P n e A An .
Consideriamo Tu Tn .
Allora, Tu A AP , se e solo se Tu (A(P )) = P .
Per un teorema precedente esiste ed e unica la taslazione Tu Tn tale
che Tu (A(P )) = P .
Poniamo A1 = Tu A AP .
1
Risulta anche Tu
= Tu Tn e si ha A = Tu A.
Siano Tv Tn e A1 , A01 AP tali che A = Tu A1 = Tv A01 .
Si ha A(P ) = Tu A1 (P ) = Tu (P ) = Tv (P ) e quindi Tu = Tv .
Questo implica A1 = A01 , in modo ovvio e da qui segue lunicita.
La parte restante del teorema si prova in modo analogo.
Osservazione 1.10. Si osservi che, nelle ipotesi del teorema precedente,
risulta in genere A1 6= A2 , essendo An un gruppo non cummutativo, in cui
le traslazioni in genere non commutano con gli elementi del stabilizzatore di
un punto.
Teorema 1.44. Siano L(V ) il gruppo degli isomorfismi di V in se e O n .
i).
Esiste un isomorfismo : AO L(V ) che associa ad ogni A AO
associa (A) = L L(V ), se e solo se fO A = L fO .
ii).
Esiste una bigezione : An V L(V ) che ad A An associa (A) =
(u, (A1 )), se e solo se A = Tu A1 con Tu Tn di ampiezza u = f (O, A(O))
e A1 AO .
iii).
Sia p1 : V L(V ) V le proiezione canonica sul primo fattore.
Lapplicazione 1 = p1 : An V e un omomorfismo surgettivo di
(An , ) su (V, +), e risulta Ker1 = AO .
Dimostrazione.
Osserviamo che la definizione di e ben posta.
Infatti, da A AO , segue che A(O) = O, e per losservazione 1.7 risulta
L = fO A fO1 .
Se A, A0 AO e (A) = L L(V ) e (A) = L L(V ), si ha
(A) (A0 ) = fO A fO1 fO A0 fO1 =
fO A A0 fO1 = (A A0 ) .
60

Quindi e un omomorfismo.
Infine, e bigettiva, perche ammette lapplicazione inversa che e
1 : L(V ) AO definita da 1 (L) = A = fO1 L fO , per ogni L L(V ).
Denotiamo ora con 0 : Tn AO V L(V ), tale che 0 (T, A) =
(g(T ), (A)), per ogni (T, A) Tn AO , dove g : Tn V e lisomorfismo
definito nel teorema 1.35.
E un utile esercizio di algebra verificare che 0 e una bigezione.
Consideriamo A An .
Per il teorema precedente, esistono e sono unici Tu Tn e A1 AO tali
che A = Tu A1 .
Consideriamo : An V L(V ) tale che (A) = (g(Tu ), (A1 )) =
(u, (A1 )), se e solo se A = Tu A1 , con Tu Tn e A1 AO .
E di immediata verifica che e una applicazione.
e surgettiva.
Infatti, per considerati u V e L L(V ) esistono Tu Tn traslazione di
ampiezza u e laffinita A1 = fO1 L fO AO .
Posto A = Tu A1 , si ha (A) = (u, L).
e ingettiva.
Consideriamo due affinita A, A0 An tali che (A) = (A0 ) = (u, L), con
u V e L L(V ).
Allora, denotato con Tu Tn traslazione di ampiezza u e posto A1 =
1
fO L fO AO si ha A = Tu A1 = A0 .
Proviamo che 1 e un omomorfismo.
Siano A, A0 An due affinita.
Esistono Tu Tn e A1 , A01 AO , tali che A = Tu A1 e A0 = Tv A01 .
Si osservi che A = A1 Tv e una affinita, pertanto esiste A1 AO tale
che A = A1 Tv = Tv A1 .
Si ha quindi
1 (A A0 ) = 1 (Tu A1 Tv A01 ) = 1 (Tu Tv A1 A01 ) =
1 (Tu+v A1 A01 ) = u + v = 1 (A) + 1 (A0 ) .
Lapplicazione 1 e surgettiva, perche Tn An la restrizione di 1 a Tn
concide con la surgezione g.
Osservazione 1.11. Poiche K e un campo, fissati K, con 6= 0, 1, e
O
O n , lapplicazione AO
: n n definita da A (P ) = O P , per ogni
P n e un isomorfismo lineare e quindi una affinita.
61

e detta omoteDefinizione 1.18. Laffinita AO


dellosservazione precedente
tia di cento O e e detto e detto rapporto dellomotetia.
Si ha
Teorema 1.45. Sia AO
: n n una omotetia di centro O n e rapporto
K {0, 1}.
i).
Per ogni P n , risulta f (O, AO
(P )) = f (O, P ).
ii).
Il punto O e lunico punto unito in AO
.
iii).
e iV , essendo iV : V V lisomorfismo
Lisomorfismo associato ad AO

identico.
iv).
Fissato O n , linsieme
AO = {A An |A omotetia di centro O e rapporto K {0, 1}} {in } ;
e un sottogruppo normale di (An , ), dove in : n n e lapplicazione
identica di n in se.
Dimostrazione.
Sia AO
: n n una omotetia di centro O n e rapporto
K {0, 1}.
Essendo fO : n V un isomorfismo lineare, per il teorema 1.23 si ha
f (O, AO
(P )) = fO ( O P ) = fO (P ) = f (O, P ) ,

P n .

(1.61)

Considerato P n , si ha AO
e se e solo
(P ) = P , se e solo se P = O P , cio
( 1) O P = 0.
Lultima uguaglianza e vera se e solo se P e lelemento neutro delllo spazio
vettoriale (n , +O , O ), cioe se e solo se P = O.
Se L : V V e lisomorfismo lineare associato ad AO
, per la precedente,
1
O
possiamo porre L = fO A fO . Quindi, per lidentita (1.61), segue
L(v) = v, per ogni v V .
Pertanto, L = iV .
Per dimostrare che AO e un sottogruppo normale di (An , ), basta osservare che A : (n , +O , O ) (n , +A(O) , A(O) ) che A1 : (n , +A(O) , A(O) )
(n , +O , O ) sono un isomorfismi lineari.
62

Definizione 1.19. Una omotetia A : n n di centro O n e peso 1


e detta simmetria di centro O.
Teorema 1.46. Sia A : n n una simmetria di centro O. Si ha
i).
P n :

P +O A(P ) = O .

ii).
P n :

f (O, A(P )) = f (O, P ) .

iii).
Siano R(O, B) un riferimento affine, avente lorigine coincidente con il
centro di A e h : n K n il suo sistema coordinato.
Per ogni P n , se P ((i )1in ) rispetto ad h, A(P ) ha coordinate
(i )1in sempre rispetto ad h.
Dimostrazione.
La dimostrazione e banale.
Teorema 1.47. Teorema di Talete.
Supponiamo n = 2 e siano r = (Q, v) ed s = (T, w) due rette distinte
passanti per i punti Q, T 2 ed eventi giacitura < v > e < w >, rispettivamente.
Consideriamo P, H r e P 0 , H 0 s, con P 6= H e P 0 6= H 0 .
Se r s = {O} e O 6= P, P 0 , H, H 0 , si ha
[P, P 0 ] k [H, H 0 ] (P ; H, O) = (P 0 ; H 0 , O) .
Se r k s, risulta
[P, P 0 ] k [H, H 0 ] f (P, H) = f (P 0 , H 0 ) .
Dimostrazione.
Consideriamo il primo caso, con r 6k s.
Supponiamo dapprima [P, P 0 ] k [H, H 0 ].
Poniamo f (P, P 0 ) = u.
Poiche [P, P 0 ] r = {P }, u e v sono linearmente indipendenti e quindi
V =< v > < u >.
63

Da cio segue che possiamo considerare lapplicazione A : 2 2 tale


che per ogni T 2 risulta {A(T )} = t r, essendo t = (T, u) la retta di 2
passante per T e avente giacitura < u >, per il teorema 1.24.
Risulta A(O) = O, essendo O r.
Si ha anche A(P ) = P 0 , essendo [P, P 0 ] = (P, u).
Infine, essendo [P, P 0 ] k [H, H 0 ], si ha [H, H 0 ] = (H, u) e quindi A(H) =
H 0.
Si osservi ora che anche u e w sono linearmente indipendenti e quindi,
sempre per il teorema 1.24, A|s : s r e una affinita. Ora, essendo una
affinita, A|s conserva i baricentri con pesi, per il teorema 1.31.
Per losservazione 1.8 questo implica che A conserva i rapporti semplici,
quindi si ha (P ; H, O) = (A(P ); A(H), A(O)) = (P 0 ; H 0 , O).
Viceversa supponiamo (P ; H, O) = (A(P ); A(H), A(O) = (P 0 ; H 0 , O).
Possiamo sempre considerare laffinita A|s costruita in precedenza, per la
quale risulta A(O) = O e A(P ) = P 0 .
Invece, poniamo A(H) = H e dobbiamo provare che H 0 = H.
Essendo A|s unaffinita, si ha
(P ; H, O) = (A(P ); A(H), A(O)) = (P 0 ; H 0 , O) ;
dove lultima uguaglianza e vera per ipotesi.
Dalla precedente segue (P 0 ; H, O) = (P 0 ; H 0 , O), da cui H 0 = H, parche
entrambi i punti H 0 e H sono il baricentro della famiglia di punti (O, P 0 )
con la famiglia di pesi (k, 1 k).
Pertanto, [P 0 , H 0 ] = [P 0 , H] k [P, H].
Consideriamo ora il caso r k s.
Supponiamo dapprima f (P, P 0 ) = f (H, H 0 ) = u.
Poiche r 6= s, risulta P 6= P 0 , da cui u 6= 0V e quindi [P, P 0 ] = (P, u) e
[H, H 0 ] = (H, u).
Pertanto, le due rette sono parallele, avendo la stessa giacitura.
Supponiamo ora [P, P 0 ] k [H, H 0 ].
Con osservazioni analoghe alle precedenti, si puo facilmente verificare che
r = (P, f (P, H)), s = (P 0 , f (P 0 , H 0 )), [P, P 0 ] = (P, f (P, P 0 )) e [H, H 0 ] =
(H, f (H, H 0 )).
Inoltre, i vettori f (P, H) e f (P, P 0 ) sono linearmente indipendenti.
Poiche r k s e [P, P 0 ] k [H, H 0 ], si ha rispettivamente
f (P 0 , H 0 ) = f (P, H) e f (H, H 0 ) = f (P, P 0 ), con , opportuni elementi
di K.
64

Da cio segue
f (P, H 0 ) = f (P, P 0 )+f (P 0 , H 0 ) = f (P, P 0 )+f (P, H) = f (P, H)+f (P, P 0 )
La precedente implica
(1 )f (P, H) + ( 1)f (P, P 0 ) = 0V
Quindi, deve risultare 1 = 1 = 0, essendo i due vettori linearmente
indipendenti, cioe = = 1 e quindi
f (H, H 0 ) = f (P, P 0 ).
Teorema 1.48. Teorema di Desargues.
Siano r1 , r2 e r3 tre rette diestinte di 2 formanti fascio (proprio o
improprio).
Si considerino i punti Pi e Qi appartenenti ad ri , per ogni i {1, 2, },
tutti distinti tra loro e distinti dalleventuale centro del fascio.
Si ha
[P1 , P2 ] k [Q1 , Q2 ] e [P1 , P3 ] k [Q1 , Q3 ] [P2 , P3 ] k [Q2 , Q3 ] .
Dimostrazione.
Supponiamo dapprima che le tre rette dellenunciato appartengano al
fascio proprio di centro O 2 .
Consideriamo le rette r1 e r2 .
Consideriamo le rette r1 e r2 .
Poiche [P1 , P2 ] k [Q1 , Q2 ], possiamo applicare il teorema di Talete e otteniamo (Q1 ; P1 , O) = (Q2 ; P2 , O).
In modo analogo, considerate le rette r1 e r3 , per lo stesso teorema, risulta
(P1 ; Q1 , O) = (P3 ; Q3 , O).
Si ha quindi (P2 ; Q2 , O) = (P3 ; Q3 , O) e, sempre per il teorema di Talete,
applicato alle rette r2 e r3 , si ha [P2 , P3 ] k [Q2 , Q3 ].
Supponiamo oer che il fascio a cui appartengono le tre rette dellenunciato
del teorema sia improrio, cioe che le tre rette siano parallele.
Il Teorema di Talete, applicato alle ovvie rette, in questo caso inplica che
[P1 , P2 ] k [Q1 , Q2 ] f (P1 , P2 ) = f (Q1 , Q2 )
[P1 , P3 ] k [Q1 , Q3 ] f (P1 , P3 ) = f (Q1 , Q3 ) .
Si ha quindi
f (P2 , P3 ) = f (P2 , P1 ) + f (P1 , P3 ) = f (Q2 , Q1 ) + f (Q1 , Q3 ) = f (Q2 , Q3 ) .
Allora, sempre per il teorema di Talete, si ha [P2 , P3 ] k [Q2 , Q3 ].
65

1.4

Appendice: Una ulteriore caratterizzazione degli


spazi affini.

Siano A 6= un insieme e denotiamo con (B(A), ) il gruppo delle bigezioni


di A in se.
Sia (G, ) un gruppo qualsiasi.
Un omomorfismo : G B(A) sara detto rappresentazione di G (come
gruppo di permutazioni su A).
Una applicazione : G A A sara detta azione (sinistra) di G su A
se gode delle due seguenti proprieta
a A : (1G , a) = a ;

(1.62)

dove 1G e lelemento neutro di G.


x, y, G, a A : (x y, a) = (x, (y, a)) .

(1.63)

Teorema 1.49. i).


Se : G B(A) e una rappresentazione di G come gruppo di permutazioni su A, lapplicazione : G A A definita da (x, a) = ((x))(a),
per ogni x G e per ogni a A e una azione di G su A.
ii).
Se : G A A e unazione di G su A, lapplicazione : G B(A) e
una rappresentazione di G come gruppo di permutazioni su A.
iii) Cone lovvio significato dei simpboli si ha = e = .
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Sis : G A A lapplicazione definita ponendo (x, a) = ((x))(a),
per ogni x G e per ogni a A.
Lapplicazione verifica lassioma (1.62), in quanto si ha
a A : (1G , a) = ((1G ))(a) = id(a) = a ;
essendo id : A A lapplicazione identica e un omomorfismo.
In pi
u verifica lassioma (1.63), essendo
x, y G, a A : (x y, a) = ((x y))(a) =
((x))(((y, a)) = (x, (y, a)) .
66

Proviamo la ii).
Considerato x G. E immediato che per ogni x G si ottiene una
applicazione di A in se, che denotiamo con (x), ponendo ((x))(a) = (x, a),
per ogni a A.
Per lassioma (1.62), si ha
a A : ((1G ))(a) = (1G , a) = a .
Pertanto (1G ) = id : A A e lapplicazione identica.
In pi
u, per lassioma (1.63) risulta
x, y G, a A : ((x y))(a) = (x y, a) =
(x, (y, a)) = ((x) (y))(a)
La precedente implica (x y) = (x) (y), per ogni x, y G.
Infine, le due precedenti implicano che
x G : (x) (x1 ) = (x x1 ) = (1x ) = id = (x1 ) (x) .
. Pertanto, (x) e una bigezione e la sua inversa e (x1 ). Riassumendo
: G Bper losservazione precedente.
In pi
u e un omomorfismo, perche (x y) = (x) (y), per ogni x, y G.
Infine la dimostrazione della iii) si ottiene semplicemente applicando le
rispettive definizioni.
Definizione 1.20. Lazione : G A A e libera oppure che G agisce
liberamente su A, se e solo se
x G e a A tale che (x, a) = a x = 1G .
Si diece che lazione di G su A e semplicemente transitiva su A, se e solo se
a, b A |x G tale che (x, a) = b .
Teorema 1.50. Siano V uno spazio vettoriale su un campo K e A 6= un
insieme.
Linsieme A ha una struttura di spazio affine su V , se e solo se esiste
unazione libera e semplicemente transitiva del gruppo (V, +) su A.

67

Dimostrazione.
Supponiamo dapprima che A sia uno spazio affine su V e denotiamo con
f : A A V lapplicazione che munisce A della struttura di spazio affine.
Denotiamo con : V A A lapplicazione definita, ponendo
(v, a) = Tv (a) ,

v V, a A ;

essendo Tv : A A la traslazione di ampiezza v.


Proviomo che e una azione di V su A.
Per ogni P A risulta (0V , A) = T0V (P ) = P .
In pi
u, denotato con (T , ) il gruppo delle traslazioni su A, oer il teorema
1.35 si ha Tu Tv = Tu+v , per ogni u, v V .
La precedente implica
(u + v, P ) = Tu+v (P ) = Tu (Tv (P )) = (u, Tv (P )) = (u, (v, P )) ;
per ogni u, v V e per ogni P A.
Quindi e una azione di V su A.
Proviamo che lazione di e libera.
Consideriamo v V e supponiamo che esiste P A tale che (v, P ) = P .
Allora, per il teorema 1.33 risulta v = f (P, Tv (P )) = f (P, P ) = 0V .
Proviamo che lazione e semplicemente transitiva.
Siano P, P 0 A e supponiamo f (P, P 0 ) = v V .
Consideriamo la traslazione Tv : A A.
Per il teorema 1.33 anche questa volta risulta f (P, Tv (P )) = v e allora
dallassioma (1.2) segue Tv (P ) = P 0 .
Proviamo ora lunicita di v.
Siano u, v V e P A tali che (u, P ) = (v, P ), da cio segue Tu (P ) =
TV (P ) e per il teorema 1.33, u = v.
Supponiamo che lazione : V A A sia libera e semplicemente
transitiva.
Essendo lazione libera, otteniamo una applicazione f : A A V ,
ponendo
P, Q A : f (P, Q = u V (u, P ) = u) .
Infatti, comunque si considerano P, Q A esiste un unico v V tale che
(u, P ) = Q e quindi tale che f (P, Q) = u.
Dimostriamo che f verifica lassioma (1.1).
Siano P, Q, R A e supponiamo che f (P, Q) = u V e che f (Q, R) = v.
68

Per la definizione di f , risulta ((u, P ) = Q e (v, Q) = R.


Si ha quindi
R = (v, Q) = (v, (u, Q)) = (v + u, P ) = (u + v, P ) .
Pertanto, si ha
f (P, R) = u + v = f (P, Q) + f (Q, R) .
Quindi, f verifica lassioma (1.1).
Proviamo che f verifica lassioma (1.2).
Siano O A e v V , esiste un unico punto P A tale che f (O, P ) = v
se e solo se esiste un unico P A tale che (v, O) = P e questultima e vera,
essendo unapplicazione.

69

Spazi affini reali

In questo numero supporremo che V sia uno spazio vettoriale reale.


Inoltre, con n denoteremo sempre uno spazio affine su V , quindi n sara
uno spazio affine reale di dimensione n 1.
Infine, con f : n n V lapplicazione che munisce n della struttura
di spazio affine.

2.1

Spazi affini orientati

Fissiamo un orientamento (B, GL+ (n, R)) sullo spazio vettoriale V , dove B
e una base di V e GL+ (n, R) denota il gruppo delle matrici quadrate non
singolari aventi determinante positivo.
Ricordiamo che, se denotiamo con L(V ), L+ (V ) e L (V ) rispettivamente
linsieme di tutte le basi di V , linsieme di tutte le basi orientate concordemente con lorientamento fissato e linsieme delle basi orientate discordemente
con lo stesso.
Si ha L(V ) = L+ (V ) L (V ) e L+ (V ) L (V ) = .
Inoltre, su V esistono solo due orientamenti che si ottengono scambiando
il ruolo di L (V ) con quello di L+ (V ).
Infine, qualunque base di L+ (V ) determina lo stesso orientamento
(B, GL+ (n, R)), per questo dora in poi non terremo pi
u conto di come esso
+
e stato ottenuto e considereremo solo L (V ).
Definizione 2.1. Diremo che n e uno spazio affine orientato, se e solo se
vale il seguente assioma:
Per ogni O n , lo spazio vettoriale reale (n , +O , O ) e orientato in
modo tale che lisomorfismo lineare f0 : O V conservi lorientamento.
Noi non siamo interessati alle proprieta generali degli spazi affini orientati,
quindi faremo solo poche osservazioni di carattere generale, riservandoci di
vedere le proprieta nei casi particolari che consideriamo usualmente.
La definizione precedente equivale a dire che:
H = (Oi )1in e una base positiva di O , se e solo se B = (fO (Oi ))1in
+
L (V ),
o equivalentemente
L+ (O ) = {H L(O )|B = (xi )1in L+ (V ) t. c. H = (fO1 (xi ))1in }
70

per ogni O n .
Dalla precedente e dal teorema 1.12 segue facilmente che i cambiamenti
di riferimento avvengono sempre con la (1.7), con la condizione aggiuntiva
che il determinante della matrice C = (aij ) sia maggiore di zero; cioe che la
matrice C GL+ (n, R).

71

2.2

Spazi metrici

Definizione 2.2. Sia A un insieme non vuoto. Si dice funzione distanza


una applicazione d : A A R che verifica i seguenti assiomi:
a, b A :

d(a, b) 0 e

a, b A :
a, b, c A :

d(a, b) = 0 a = b

d(a, b) = d(b, a)

d(a, c) d(a, b) + d(b, c)

(2.1)
(2.2)
(2.3)

Lassioma (2.2) ci diece che lapplicazione d e simmetrica.


La disuguaglianza (2.3) e detta disuguaglianza triangolare.
Se su A e fissata una funzione distanza A e detto spazio metrico.
Gli spazi metrici hanno moltissime applicazioni in campi molto diversi
tra loro.
Per darvene unidea, un curioso esempio di spazio metrico che utilizzate
molto spesso e il seguente.
Sia H un insieme i cui elementi sono dette lettere.
Ogni successione finita di lettere non necessariamente distinte (xi )1in ,
con n 1, e detta parola e si dice che n e la lunghezza della parola (xi )1in .
Linsieme Fn costituito da parole di lunghezza n 2 formate con lettere
di H e detto vocabolario.
Se a, b Fn sono due parole, con d(a, b) si denota il numero delle lettere
che compaiono in a e non compaiono in b.
Si verifica facilmente che d : F F R e una funzione distanza.
Se sbagliate a scrivere una parola, la macchina di ricerca cerca le parole
pi
u vicine a quella scritta da voi e ve le suggerisce.
Nei vocabolari umani ci sono parole in cui compaiono le stesse lettere,
nello stesso ordine ma che hanno significato diverso a seconda del contesto
in cui vengono usate.
Se come distanza si assume la distanza precedente e come vocabolario la
parola pi
u il suo significaro, allora ci sono parole diverse a distanza nulla
e la seconda parte dellassioma (2.1) non e verificato (in questo caso d si
chiama pseudodistanza) e Wikipedia vi chiede di eliminare lambiguita.

72

Cio premesso, sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione n 1 su cui e


fissato un prodotto scalare definito positivo < , >: V V R la cui norma
sara denotata con k k : V R.
Fissiamo uno spazio affine n su V e sia f : n n V lapplicazione
che definisce la struttura di spazio affine.
Teorema 2.1. Su n e definita una funzione distanza d : n n R,
data da d(P, Q) = kf (P, Q)k, per ogni P, Q n . Pertanto n e uno spazio
metrico.
Dimostrazione.
Lapplicazione d verifica lassioma (2.1) della definizione di funzione distanza per la definizione di norma.
Infatti, la norma di un vettore e maggiore o uguale a zero.
Viceversa, se P, Q n tali che d(P, Q) = 0, si ha f (P, Q) = 0, essendo
uguale a zero la norma di questo vettore. Da cio segue P = Q per il teorema
1.5.
Lassioma (2.2) segue dal fatto che:
d(Q, P ) = kf (Q, P )k = k f (P, Q)k = kf (P, Q)k = d(P, Q) , P, Q n
Lassioma (2.3) e verificato, in quanto
d(P, R) = kf (P, R)k = kf (P, Q) + f (Q, R)k =
kf (P, Q)k + kf (Q, R)k = d(P, Q) + d(Q, R) ,

P, Q, R n .

Da qui segue lasserto.


Teorema 2.2. Sia WP = (P, W ) un sottospazio affine di n passante per
P n ed avente giacitura W .
Su WP esiste una struttura di spazio metrico indotta da quella di n e tale
che, denotata con d0 : WP WP R la distanza definita da tale struttura,
risulta d0 (Q, T ) = d(Q, T ), per ogni Q, T WP , essendo d la distanza definita
su n dalla struttura metrica considerata.
Dimostrazione.
Il teorema 1.7 ci assicura che WP ha una struttura indotta di sottospazio
affine e che se g : WP WP W e lapplicazione che definisce tale struttura
si ha g(Q, T ) = f (Q, T ), per ogni Q, T n .
73

In pi
u il prodotto scalare definito positivo di V ne induce uno su W e le
norme di ogni vettore di W rispetto ai due prodotti scalari coincidono.
Da qui segue facilmente lasserto.
Ovviamente, anche in questo caso la distanza d0 si denotera semplicemente
co d (e g con f ).
Definizione 2.3. Sia R(O, B) sistema di riferimento di n . Diremo che
R(O, B) e un sistema di riferimento metrico, se e solo se B e una base
ortogonale unitaria.
Anche il suo sistema coordinato h : n Rn sara detto metrico.
Teorema 2.3. Siano R(O, B) e R(O0 , B 0 ) due riferimenti metrici ed h :
n Rn e h0 : n Rn i rispettivi sistemi coordinati.
Sia P n e supponiamo h(P ) = (i )1in e h0 (P ) = (i )1in .
La famiglia (i )1in e ottenuta dalla famiglia (i )1in mediante la (1.7),
tramite una matrice (aij )1in| 1jn O(n), cioe (aij )1in| 1in e una matrice ortogonale.
Dimostrazione.
E una immediata conseguenza del teorema 1.11 e del fatto che la matrice
i
(aj ) trasforma le componenti di un vettore rispetto ad una base ortogonale
unitaria in quelle dello stesso vettore rispetto ad unaltra base ortogonale
unitaria.
Teorema 2.4. Sia R(O, B) un sistema di riferimento metrico e h : n Rn
il suo sistema coordinato.
Comunque si considerino due punti P, Q n , con h(P ) = (i0 )1in e
h(Q) = (i1 )1in , si ha:
v
u n
uX
(2.4)
d(P, Q) = t (i1 i0 )2
i=1

Dimostrazione.
Per il teorema 1.10 si ha
f (P, Q) =

n
X

(i1 i0 )e1 ;

i=1

avendo supposto B = (ei )1in .


74

Da cui, per una nota proprieta delle basi ortogonali unitarie, si ha:
v
u n
uX
d(P, Q) = kf (P, Q)k = t (i1 i0 )2 .
i=1

Definizione 2.4. Siano r ed s due rette di n . L angolo rs


b e uno qualsiasi
degli angoli formati da due vettori che determinano la giacitura delle due
rette, quando per V si e scelto uno qualsiasi dei due possibili orientamenti.
Teorema 2.5. Langolo tra due rette non e univocamente definito ma si ha
| cos rs|
b =

| < u, v > |
kukkvk

Dimostrazione.
Supponiamo r = (P, u) ed s = (Q, v).
Osserviamo che per ogni , R {0}, per le proprieta del parallelismo,
risulta r = (P, u) e s = (Q, v).
Ricordiamo che il coseno dellangolo tra due vettori non indipende dalla
scelta dellorientamento su V .
Quindi in ogni caso si ha
\ = < u, v > .
cos (u)(v)
kukkvk
Da cui, per le note proprieta dei prodotti scalari e delle norme, si ottiene
\ =
cos (u)(v)

< u, v >

=
cos u
cv .
|||| kukkvk
||||

Quindi, passando al valore assuluto nel primo e nel secondo membro, si ha


lasserto.
Teorema 2.6. Sia WP = (P, W ) un iperpiano di n passante per P n e
avente giascitura W .
Consideriamo un vettore non nullo v di W , essendo W il sottospazio
vettoriale di V ortogonale a W .
Si ha
Q n : Q Wp < f (P, Q), v >= 0 .
75

Dimostrazione.
Ricordiamo che dimR (W ) = 1, essendo dimR (W ) = n 1, in quanto
WP e un iperpiano.
Sia Q n , risulta
Q WP

f (P, Q) W

< f (P, Q), v >= 0 .

Viceversa, essendo V = W W e W =< v >, esiste w W e esiste R


tale che f (P, Q) = w + v.
Quindi, < f (P, Q), v >= 0, se e solo se 0 =< w + v, v >= < v, v >.
Poiche v 6= 0 nella precedente deve risultare = 0 e quindi si ha f (P, Q) =
w W da cui Q WP .
Dalla genericita di Q n segue lasserto.
Definizione 2.5. Siano WP = (P, W ) e UQ = (Q, U )due sottospazi affini
di n . Diremo che WP e ortogonale a UQ , se e solo se W U , oppure
U W .
Teorema 2.7. Sia WP = (P, W ) un sottospazio affine di n , di dimensione
r, con r {1, . . . , n 1}, passante per P n e avente giacitura W .
i).
Per ogni Q n esiste un unico sottospazio affine UQ di n passante per
Q e avente dimensione n r.
ii).
Se UT0 e un ulteriore sottospazio di n , con T UQ , avente dimensione
s, con s n r ed ortogonale a WP , allora UT0 UQ .
iii).
Se UT0 e un ulteriore sottospazio di n , con T UQ , avente dimensione
s, con s n r, allora UQ UT0 .
Dimostrazione.
Sia WP il sottospazio di n verificante le ipotesi del teorema.
Ricordiamo che il sottospazio W esiste, e unico ed ha dimensione
n r. Quindi, per ogni Q n , lunico sottospazio passante per Q e avente
dimensione n r e UQ = (Q, W ).
Supponiamo che UT0 sia un ulteriore sottospazio ortogonale a WP , passante per T UQ ed avente dimensione s, giacitura U 0 .
Se s n r, deve risultare U 0 W , perche linclusione contraria non e
possibile. Allora i due sottospazi UQ e UT0 sono paralleli e hanno T in comune,
quindi UT0 UQ .
76

Se s n r, deve risultare W U 0 , per lovvio motivo e pertanto UQ


e UT0 sono paralleli e hanno T in comune, quidndi UQ UT0 .
Da qui, lasserto.
Teorema 2.8. Sia WP un sottospazio di n evente dimensione r e consideriamo un punto Q n .
Sia UQ un sottospazio per Q ortogonale a WP .
Se r = n 1, cioe se WP e un iperpiano, e UQ non e banale, allora UQ e
una retta.
Se s = n r, con s dimensione di UQ , esiste un unico punto T n tale
che UQ WP = {T }.
Dimostrazione.
Siccome WP ha dimensione n 1 il sottospazio UQ passante per Q e
ortogonale a WP ha dimensione n (n 1) = 1, quindi e una retta di n .
I sottospazi WQ e UQ non sono paralleli e quindi la loro intersezione e un
sottospazio.
Inoltre, se W e U sono rispettivamente la giacitura di WP e di UQ , essendo
U W , si ha W U W W = {0V }.
Pertanto, WP UQ ha dimensione zero e quindi WP UQ = {T }, con
T n .
Definizione 2.6. Se WP e un iperpiamo, il punto T n del teorema precedente e detto piede della perpendicolare per Q a WP .
Definizione 2.7. Siano WP = (P, W ) un iperpiano di n passante per P
n e avente giacitura W , Q n e v W {0}.
Diremo distanza di Q da WP il numero reale
d(WP , Q) =

| < f (P, Q), v > |


.
kvk

Teorema 2.9. Nelle ipotesi della definizione precedente si ha:


i).
Un punto Q n appartiene a WP , se e solo se d(WP , Q) = 0.
ii).
La distanza d(WP , Q) non dipende dal punto P .
iii).
Per ogni Q n , d(WP , Q) = d(Q, T ), essendo d(Q, T ) la distanza di Q
dal piede T n della perpendicolare per Q a WP .
77

iv).
Per ogni H WP , risulta d(WP , Q) = d(Q, T ) d(Q, H).
Dimostrazione.
Per la i) ricordiamo dapprima che, per Q n , risulta
Q WP f (P, Q) W < f (P, Q), v >= 0 ;
Quindi
Q WP d(WP , Q) =

| < f (P, Q), v > |


=0
kvk

Proviamo la ii).
Sia Q un punto di n .
Per ogni H WP , si ha f (P, H) W .
Rissultando quindi < f (P, H), v >= 0 si hanno le seguenti uguaglianze
< f (P, Q), v >=< f (P, H), v > + < f (H, Q), v >=< f (H, Q), v > ;
che implica la ii).
Proviamo la iii).
Se Q WP , il piede della perpendicolare per Q a WP coincide con Q e la
iii) e vera per la i).
Se Q 6 WP , la retta UQ = (Q, v) e il sottospazio affine di n passante per
Q e ortogonale a WP .
Sia T n il piede di UQ , risulta {T } = WP UQ . Quindi esiste R
tale che f (Q, T ) = v.
In pi
u, siccome T 6= Q, perche Q 6 WP e T WP , risulta 6= 0.
Da cio segue v = f (Q, T ), con = 1 .
Infine, per la ii), risulta < f (P, Q), v >=< f (T, Q), v >.
Quindi si ha
d(WP , Q) =

| < f (T, Q), f (Q, T ) > |


| < f (P, Q), v > |
=
= kf (Q, T )k
kvk
kf (Q, T )k

e lultimo membro delluguaglianza precedente coincide con d(Q, T ).


Proviamo la iv).
Poiche il piede T della perpendicolare per Q a WP appartiene a WP , per
il teorema 1.6, possiamo porre WP = (T, W ).
Consideriamo un qualsiasi punto H WP .
78

Si ha f (T, H) W e quindi
1

d(H, Q) = kf (H, Q)k =< f (H, T ) + f (T, Q), f (H, T ) + f (T, Q) > 2 =
1

(< f (H, T ), f (H, T ) > + < (f (T, Q), f (T, Q) >) 2


1

< (f (T, Q), f (T, Q) > 2 = kf (T, Q)k = d(T, Q) = d(WP , Q) .

Osservazione 2.1. Nelle ipotesi del teorema precedente si ha


d(WP , Q) = min {d(H, Q)}
HWP

Definizione 2.8. Nelle ipotesi del teorema 2.9 lequazione


WP :

< f (P, Q), v >


=0
kvk

e detta equazione Hessiana di WP .


Definizione 2.9. Sia A : n n una affinita. Si dice che A e una isometria, se e solo se A conserva le distanze; cioe se e solo se
P, Q n : d(A(P ), A(Q)) = d(P, Q) .
In questo caso, fissato un riferimento R(O, B) lequazione di A e data dal
teorema 1.11, solo che in questo caso la matrice (aij ) e ortogonale, cioe (aij )
appartiene al sottogruppo O(n) delle matrici ortogonali di GL(n, R).
Definizione 2.10. Si dice che n e uno spazio metrico orientato o uno
spazio euclideo, se su di esso si sono fissati contemporanemente un orientamento ed una metrica.
In questo caso i cambiamenti si riferimento sono determinati sempre dal
teorema 1.11, solo che in questo casola matrice (aij ) oltre ad essere ortogonale
ha anche il determinante uguale ad uno, cioe (aij ) On+ .
n = 1.
Siano R(O, v) un sistema di riferimento affine di 1 ed h : 1 R il suo
sistema coordinato. Considerati due punti P, Q 1 , con P (x0 ) e Q(x1 ),
rispetto ad h, si definisce punto medio tra P e Q il punto M 1 avente
ascissa (x0 + x1 )/2, rispetto ad h.
79

E di immediata verifica che, nelle ipotesi precedenti da P = Q segue


P = Q = M.
Supponiamo che 1 sia uno spazio metrico.
In questo caso i riferimenti metrici sono le coppie formate da un punto
O 1 e da un vettore e V tale che kek = 1.
Quindi esistono solo due possibili vettori che determinano le basi dei
riferimenti metrici e, se indichiamo uno di essi con e, laltro sara e.
Fissiamo un riferimento metrico di 1 , che per semplicita denoteremo con
R(O, e), con O 1 .
Se P, Q 1 , con P (x0 ) e Q(x1 ) nel riferimento considerato.
Si ha d(P, Q) = |x1 x0 |.
Inoltre, se M 1 e il punto medio tra P e Q, risulta d(P, M ) = d(M, Q).
Fissare un orientamento su 1 significa fissare un vettore v V {0} e
poi considerare come basi tutti i vettori che v, con > 0 e numero reale.
Fissare un orientamento e equivalente a fissare una coppia ordinata di
punti (P, Q) 1 , con P 6= Q.
Infatti se consideriamo P, Q 1 , con P 6= Q, possiamo utilizzare come
base che determina lorientamento il vettore f (P, Q) 6= 0.
Viceversa, se il vettore v 6= 0 determina lorientamento di V e quindi di
1 , scelto un arbitrario punto P 1 , per lassioma (1.2), esiste un unico
punto Q 1 tale che f (P, Q) = v.
Risulta P 6= Q, perche v 6= 0 e quindi lorientamento di 1 e determinato
dalla coppia ordinata (P, Q).
Fissato un orientamento su 1 , si puo definire una relazione dordine su
1 nel modo seguente.
Sia R(O, v) un sistema coordinato concorde con lorientamento fissato e
si denoti con h : 1 R il relativo sistema coordinato.
Si pone
P, Q 1 : P Q h(P ) h(Q) .
Siano P, Q 1 . Se P Q, rispetto alla relazione precedente si dice che P
precede Q, oppure che Q segue P .
Consideriamo lorientamento determinato dal riferimento R(O, v), con
O 1 , v V e v 6= 0.
Vogliamo dimostrare che la relazione dordine definita precedentemnente
su 1 dipende solo dallorientamento e non da v.
Siano R(O0 , w) un ulteriore riferimento su 1 concorde con lorientamento
fissato da R(O, v) e sia h0 : 1 R il sistema coordinato determinato da
80

R(O0 , w).
Esiste un numero reale > 0 tale che w = v.
Inolte, se u V e un qualsiasi altro vettore e u = v = w, con , R,
si ha = 1 .
Dal teorema 1.11 segue allora che, se P 1 , con h(P ) = e h0 (P ) = ,
risulta = + 1 , dove si e posto h0 (O) = R.
Siano ora Q, T 1 e supponiamo h(T ) = x0 , h0 (T ) = x00 h(Q) = x1
h(Q) = x01 . Rispetto al riferimento R(O0 , w), si ha T Q, se e solo se
h0 (Q) h0 (T ) = x01 x00 0 + x1 1 ( + x0 1 ) = 1 (x1 x0 ) 0 ;
cioe se e solo se x1 x0 0, o equivalentemente T Q rispetto al riferimento
R(O, v).
Siano P, Q 1 . Se P Q ed M 1 e il punto medio tra P e Q, allora
P M Q.
In questo caso si puo anche definire la distanza orientata d0 : 1 1 R,
ponendo d0 (P, Q) = d(P, Q), se P Q, e d0 (P Q) = d(P, Q) se Q P , per
ogni P, Q 1 .
Pertanto, se P (x0 ) e Q(x1 ) sono due punti di 1 , si ha d0 (P, Q) = x1 x0 .
Considerati P, Q 1 , con P Q, si puo definire il segmento P, Q,
ponendo
P, Q = {P T Q|T 1 }
In pi
u, fissato P 1 si possono definire le semirette di origine P , ponendo
[P, ) = {P T |T 1 } e (, P ] = {T P |T 1 }
Per gli enti geometrici definiti prima, valgono le stesse osservazioni e definizioni usate per gli intervalli e le semirette di R.
Le relazioni degli intervalli e delle semirette di 1 , con gli intervalli e le
semirette di R determinate dal sistema coordinato h sono ovvi.
Usando le coordinate dei punti, si verifica facilmente che
(P ; Q, T ) =

d0 (P, Q)
,
d0 (Q, T )

P, Q, T 1 , con Q 6= T .

n=2
Su 2 fissiamo un riferimento metrico R(O, B) e ricordiamo che B =
(e1 , e2 ) e una base ortogonale unitaria. Denotiamo con h : 2 R2 il
sistema coordinato relativo a tale riferimento.
81

Ricordiamo anche che nei piani euclidei i riferimenti metrici sono anche
detti riferimenti ortogonali monometrici, in quanto la norma e determinata
dalla lunghezza di un unico segmento.
Siano P (x0 , y0 ) e Q(x1 , y1 ) due punti di 2 , dove le coordinate sono quelle
relative al sistema coordinato h.
La distanza di P da Q, in funzione delle rispettive coordinate, e data da
p
(2.5)
d(P, Q) = kf (P, Q)k = (x1 x0 )2 + (y1 y0 )2 .
Sia ora r = (P, v) una retta di 2 e supponiamo r : ax + by + c = 0 nel
sistema coordinato h.
Il vettore w = ae1 + be2 e ortogonale alla giacitura di r ed essendo P r
si ha c = (ax0 + by0 ).
Quindi, per il teorema 2.9, la distanza di Q da r e data da
d(Q, r) =

|a(x1 x0 ) + b(y1 y0 )|
| < f (P, Q), w > |

=
=
kwk
a2 + b 2
|ax1 + by1 + c|

=
a2 + b 2

(2.6)

e lequazione hessiana di r e
r :

a(x x0 ) + b(y y0 )

=0
a2 + b 2

Supponiamo ore che su 2 sia fissato un orientamento (B 0 , GL+ (2, R)).


Supponiamo inoltre che il vettore v determini un orientamento di r e
denotiamo con T 2 il piede della perpendicolare per Q ad r.
Supposto Q 6 r, si puo considerare la distanza orientata di Q da r nel
modo seguente

d(Q, r) = d(Q, r) se (v, f (T, Q)) e una base concorde
d(Q, r) = d(Q, r) se (v, f (T, Q)) e una base discorde
Siano P, Q e T tre punti non allineati di 2 e supponiamo P (x0 , y0 ), Q(x1 , y1 )
e T (x2 , y2 ) nel sistema coordinato h.
4

Vogliamo dimstrare che larea del triangolo P QT e il valore assoluto del


seguente numero reale


x0 y 0 1

1
x1 y1 1 .
(2.7)

2

x2 y 2 1
82

Sonsideriamo lequazione (1.19) della retta [Q, T ].


Supposto che lequazione della retta [Q, T ] sia ax + by + c = 0, allora
a = y1 y2 e b = x2 x1 . Quindi la distanza d(P, [Q, T ]) e




x0 y0 1










x1 y1 1


x2 y 2 1


.
d(P, [Q, T ]) = p
2 + (y y )2
(x

x
)

1
2
1
2






p
Ricordiamo che d(Q, T ) = (x1 x2 )2 + (y1 y2 )2 e che d(P, [Q, T ]).
Poiche d(P, [Q, T ]) e la distanza di P dal piede della perpendicolare per
P a [Q, T ] e quindi coincide con laltezza del triangolo, si ha lasserto.
Anche in questo caso si puo definire la misura orientata dellarea del
4

triangolo P QT , se si e fissato un orientamento su 2 .


Infatti, si considera la misura orientata dellarea maggiore di zero se
(f (P, Q), f (Q, T )) e una base concorde, minore di zero nellaltro caso.
Sia r una retta di 2 e supponiamo che abbia equazione ax + by + c = 0
nel sistema coordinato h.
Allora, un vettore che individua la sua giacitura e v = be1 ae2 per il
teorema 2.9.
Sia P un punto di 2 e supponiamo P (x0 , y0 ) nel sistema coordinato h.
La retta s di 2 per P , perpendicolare ad r ha giacitura determinata da
w = ae1 + be2 e quindi v e un vettore non nullo ortogonale ad s. Quindi
lequazione cartesiana di s e < f (Q, P ), v >= 0, con Q punto generico di s.
Quindi, lequazione di s si puo scrivere come
b(x x0 ) a(y y0 ) = 0 .
Siano v = v 1 e1 + v 2 e2 e w = w1 e1 + w2 e2 due vettori non nulli di V , e
consideriamo due rispettivi vettori ortogonali v 0 = (v 2 e1 v 1 e2 ) e w0 =
(w2 e1 w2 e2 ) con , R {0}.
Risulta
0 w0 |
| cos vw|
c = | cos vd
La precedente implica che, considerate due rette r ed s di 2 e supposto
r : ax + by + c = 0 ed s : a0 x + b0 y + c0 = 0, si ha
|aa0 + bb0 |
p
| cos rs|
b =
a2 + b2 (a0 )2 + (b0 )2
83

Una particolare rilevanza ha langoli che la rerra r forma con lasse delle x.
In quato caso possiamo scegliere a0 = 0 e b0 = 1 e la precedente diventa
|b|
| cos rc
x| =
.
2
a + b2
Supponiamo che 2 sia orientato e che la retta r = (P, v) sia orientata dal
vottore v 6= 0.
Allora v = be1 ae2 e il versore n di v e
n = cos x
cre1 + sin x
cre2 =

a
b
e1
e2 .
2
2
+b
a + b2

a2

Quindi lequazione hessiana di r diventa


r : (x x0 ) sin x
cr + (y y0 ) cos x
cr = 0 ;
dove P0 (x0 , y0 ) e un qualsiasi punto di r.
Se cos x
cr 6= 0, cioe se x
cr 6= 2 e x
cr 6= + 2, con Z, si ha
b

b
sin x
cr
2
2
= a a+b = = m ,
tan x
cr =

cos x
cr
a
a2 +b2

Quindi il parametro direttore m di r e uguale alla tangente dellangolo formato dallasse delle x con r.
In conclusione osserviamo che essendo e1 e2 si ha xy. Quindi sin x
cr =
cos yr
b e lequazione hessiana di r diventa
r : (x x0 ) cos yr
b + (y y0 ) cos x
cr = 0 .
n = 3.
Supponiamo di aver fissato su V un prodotto scalare ed un orientmanto
(B, GL+ (3, R)), con B = (e1 , e2 , e3 ) base ortogonale unitaria.
Poiche V ha dimensione tre, possiamo definire su di esso una legge di
composizione interna : V V V definita, per ogni u, v V , con
u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e3 e v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e2 , ponendo


e1 e2 e3 2 3
1 3
1 2
1 2 3 u u
u u
u u
u v = u u u = 2 3 e1 1 3 e2 + 1 2 e3 ; (2.8)
v v
v v
v v
v1 v2 v3
84

dove il determinante al secondo membro e strettamente formale e serve solo


a ricordare che lespressione al terzo membro si ottiene dal precedente determinante formale, applicando la regola di Laplace alla prima linea.
La precedente legge di composizione interna su V e detta prodotto vettoriale.
Lemma 2.1. Il prodotto scalare verifica le seguenti proprieta:
i).
E antisimmetrico, cioe
u v = v u ,

u, v V .

ii).
Siano u, v, w V , con u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e3 , v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e3 e
w = w1 e1 + w2 e2 + w3 e3 , si ha
1 2 3
w w w


< u v, w >= u1 u2 u3
(2.9)
v1 v2 v3
iii).
u, v V : u v = 0V

u e v sono linearmente dipendenti .

iv).
Il prodotto vettoriale non e associativo.
v).
u, v V : u vu e u vv
vi).
Il prodotto vettoriale non cambia, se invece di B di considera una qualsiasi
altra base ortogonale unitaria B 0 , orientata concordemente con B.
vii).
Siano u e v due vettori di V . Allora, esiste un unico vettore e3 di V tale
che (u, v, e3 ) sia una base concorde con lerientamento scelto avente ke3 k = 1.
Allora, risulta
u v = kukkvk sin u
cve3 .

(2.10)

In pi
u lespessione precedente non dipende dallorientamento scelto sul sottospazio W =< {u, v} >.
85

Dimostrazione.
Considernamo u, v V e siano (u1 , u2 , u3 ) e (v 1 , v 2 , v 3 ) due elementi di
R3 tali che u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e2 e v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e3 .
Proviamo la i),
Si ha
1 2
1 3
2 3
v v
v v
v v
v u = 2 3 e1 1 3 e2 + 1 2 e3 .
u u
u u
u u
Confrontando il secondo membro della precedente con l ultimo membro della
(2.8), si vede che i tre determinanti che vi compaiono hanno le due righe
invertite e quindi hanno segno opposto, da qui lasserto.
Proviamo la ii).
Consideriamo w V , con w1 e1 + w2 e2 + w3 e3 e (w1 , w2 , w3 ) R3 .
Tenuto conto del fatto che B e una base ortogonale unitaria, da (2.8)
segue




2 3
u u 1 u1 u3 2 u1 u2 3





< u v, w >= 2 3 w 1 3 w + 1 2 w ;
v v
v v
v v
da cui la (2.9) segue banalmente.
La iii) e una conseguenza immediata della definizione di prodotto vettoriale.
Infatti, u v = 0V equivale a
2 3 1 3 1 2
u u u u u u
2 3 = 1 3 = 1 2 =0.
v v v v v v
La precedente e vera, se e solo se i due vettori u e v sono linearmente dipendenti, per la teoria dei determinanti.
Per provare la iv) basta verificare che (e1 e1 )e2 e diverso da e1 (e1 e2 )
applicando la definizione.
La v) e una conseguenza immediata della ii), in quanto < u v, u > e
< u v, v > sono determinanti con due righe uguali.
La vi) e conseguenza della iii), nel caso che i vettori u e v siano linearmente dipendenti, perche il concetto di dipendenza lineare non dipende dalla
scelta della base e della vii) nel caso che siano linearmente indipendenti,
perche luguaglianza (2.8) dipende solo dalla metrica e dallorientamento di
V.
Proviamo la iv).
86

Poiche u e v sono due vettori linearmente indipendenti, essi sono non nulli
e quindi possiamo considerare i rispettivi versori e1 e t per i quali risulta
u = kuke1 e v = kvkt.
Il sottospazio vettoriale W =< {u, v} > di V e uno spazio vettoriale
reale munito di un prodotto scalare e quindi possiamo determinare un versore
e2 W , tale che (e1 , e2 ) sia una base ortogonale unitaria di W .
Lo spazio W ha simensione uno e quindi esistono due versori e se ne
denotiamo uno con e3 laltro sara e3 .
Supponiamo dapprima che i due vettori siano linearmente indipewndenti
e che lorientamento scelto su W sia quello determinato dalla base (e1 , e2 ) e
che e3 denoti il vettore tale che la base (e1 , e2 , e3 ) sia oriantata concordemente
con lorientamento di V .
In tale caso si ha v = kvk(cos u
cve1 + sin u
cve2 ) e


e1
e2
e3

0
0 = kukkvk sin u
cve3 ;
u v = kuk
kvk cos u

cv sin u
cv 0
Se i due vettori sono linearmente dipendenti, allora u v = 0V e sin u
cv = 0,
risultando u
cv = 0, oppure u
cv = .
Se su W si considera laltro orientamento, la sua base ortogonale unitaria
orientata in cui si ha u = kuke1 e (e1 , e2 ).
Quindi la base di V diventa (e1 , e2 , e3 ) ed il vettore u v non cambia.

Su 3 fissiamo un riferimento metrico R(O, B) e ricordiamo che B =


(e1 , e2 , e3 ) e una base ortogonale unitaria. Denotiamo con h : 3 R3 il
sistema coordinato relativo a tale riferimento.
Anche in questo caso i riferimenti metrici sono anche detti riferimenti
ortogonali monometrici, in quanto la norma e determinata dalla lunghezza
di un segmento.
Siano P (x0 , y0 , z0 ) e Q(x1 , y1 , z1 ) due punti di 3 , dove le coordinate sono
quelle relative al sistema coordinato h.
La distanza di P da Q, in funzione delle rispettive coordinate, e data da
Si ha
p
(2.11)
d(P, Q) = (x1 x0 )2 + (y1 y0 )2 + (z1 z0 )2
. Siano = (P, u, v) un piano di 3 ,con u e v vettori linearmente indipendenti
di V e P 3 . Poiche u e v sono linearmente indipendenti, orientato in un
modo qualsiasi lo spazio 3 , possiamo considerare il vettore w = u v 6= 0V .
87

Essendo wu e wu, risulta w < {u, v} > {0V } e quindi puo essere
usate pre determinare lequazione hessiana del piano .
Si ottiene cos una nuova giustificazione del modo in cui dalle componenti
dei vettori u e v si passa alla equazione cartesiana del piano.
Sia ora r una retta di 3 .
Se : ax + by + cz + d = 0 e lequazione del piano nel sistema coordinato
h e r e la retta passante per il punto Q(x0 , y0 , z0 ) di 3 e ortogonale a .
Ricordato che il vettore v = ae1 + be1 + ce3 e ortogonale alla giacitura di
, lequazione di r sotto forma di rapporti uguali e
y y0
z z0
x x0
=
=
.
(2.12)
a
b
c
Siccome la relazione di perpendicolarita e simmetrica, si ha r, se e solo
se r.
Quindi, se r e una retta di 3 avente parametri direttori (`, m, m) 6=
(0, 0, 0) e Q(x0 , y0 , z0 ) e un punto di 3 , il piano passante per Q e perpendicolare ad r ha equazione
r :

: `(x x0 ) + m(y y0 ) + n(z z0 ) = 0

(2.13)

Le rette passanti per Q e perpendicolari ad r sono tutte contenute in ; pi


u
precisamente sono tutte e sole le rette del fascio di centro Q, del piano affine
.
Quindi la retta s di 3 passante per Q ed avente parametri direttori
0
(` , m0 , n0 ) e perpendicolare ad r, se e solo se ``0 + mm0 + nn0 = 0.
Se s non e perpendicolare ad r, langolo formato dalle due rette e tale che
| cos rs|
b =

|``0 + mm0 + nn0 |


p
.
`2 + m2 + n2 (`0 )2 + (m0 )2 + (n0 )2

(2.14)

Se una delle due rette e data come intersezione di due piani, le equazioni
del numewro precedente ci sonsentono di calcolare i parametri direttori e
di sostituirli nelle precedenre, analogamente se entrambe le rette sono date
come intersezione di due piani.
Se = (P, u, v), i vettori u e v sono linearmente indipendenti e quidi
u v 6= 0V .
Quindi, considerato un punto Q 3 , la retta r = (Q, u v) e perpendicolare a e i suoi prametri direttori sono
2 3
1 3
1 2
v v
v v
v v




` = 2 3 , m = 1 3 , n = 1 2 .
u u
u u
u u
88

Nelle ipotesi e con le notazioni usate nella equazione (2.12), la distanza di P


da e
d(, P ) =

|ax0 + by0 + cz0 + d|

.
a2 + b 2 + c 2

(2.15)

Supponiamo che se 3 sia orientato e che il problema che si sta considerando


imponga la scelta di un orientamento di .
Ricordato che lorientamento di = (Q, W ), con Q 3 e W sottospazio
vettoriale di V di dimensione due, si ottinene fissando una base (v, w) della
giacitura W di , si puo definire la sistanza orientata di P da nel modo
seguente.
Si pone d0 (, P ) = d(, P ), se (v, w, f (Q, P )) e una base concorde con
lorientamento di 3 e d0 (, P ) = d(, P ), se (v, w, f (Q, P )) e una base
disconcorde con lorientamento di 3
Se s e una ulteriore retta di 3 e avente parametri direttori (`0 , m0 , n0 ) 6=
(0, 0, 0), uno qualsiasi degli angoli rs
b e detto angolo tra ed s e si denota
c
con s.
Si ha
|a`0 + bm0 + cn0 |
c =
p
.
| sin s|
a2 + b2 + c2 (`0 )2 + (m0 )2 + (n0 )2

(2.16)

Se si ha lequazione di r come intersezione di due piani, oppure e individuato da un pinto e da due vettori linearmente indipendenti, si calcolano i dati
che compaiono nella precedente con i metodi gia visti e si ottiene il valore di
c
| sin s|.
Siano e due piani di 3 .
c uno qualsiasi degli angoli formati dal vettore n1 orDiremo angolo
togonale a e n2 ortogonale a .
Se si hanno le equazioni cartesiane di : ax + by + cz + d = 0 e di
c e ben
: a0 x + b0 y + c0 z = 0 il valore assoluto del coseno dellangolo
definito e risulta
c =
| sin |

|aa0 + bb0 + cc0 |


p
.
a2 + b2 + c2 (a0 )2 + (b0 )2 + (c0 )2

(2.17)

Ovviamente, se si conosce la giaciture dei due piani, si calcolano i coefficienti


dellequazione cartesiane con il prodotto vettoriale, fissando un orientamento
qualsiasi di 3 , e si sostituiscono nella precedente.
89

Teorema 2.10. Siano r ed s due rette sghembe di 3 .


Esiste ununica retta t tale che tr, ts e t incide sia r che s.
Inoltre, posto {I} = t r e {J} = t s, per ogni P r e per ogni Q s
risulta d(I, J) d(P, Q).
Dimostrazione.
Denotiamo con u e v due vettori che determinano la giacitura di r ed s,
rispettivamente.
Pioche le due rette sono sghembe, u e v sono linearmente indipendenti
ed, orientato 3 in un modo qualsiasi, possiamo considerare il vettore w =
u v 6= 0V .
Siccome w 6= 0V , wu, wv e u e v sono linearmente indipendenti,
(u, v, w) e una base di V .
Siano P r e Q s.
Per il teorema di caratterizzazione delle basi, esistono e sono unici
, , R tali che f (P, Q) = u + v + w, con 6= 0.
Per lassioma 1.2 esistono e sono unici i punti I e J di 3 tali che
f (P, I) = u e f (Q, J) = v.
Le precedenti implicano che I r e J s, e I 6= J, essendo le due rette
sghembe.
In pi
u, per lassioma 1.1, risulta
f (I, J) = f (I, P ) + f (P, Q) + f (Q, J) =
u + u + v + w v = w 6= 0V .
Pertanto, la retta [I, J] = (I, f (I, J)) e perpendicolare sia ad r che ad s ed
incide entrambe queste rette. Infine si ha
d(P, Q)2 = kf (P, Q)k2 =< u + v + w, u + v + w >=
< u + v, u + v > + 2 < w, w >
2 < w, w >= d(I, J)2 .

Definizione 2.11. Nelle ipotesi del teorema precedente e con le stesse notazioni, la retta [I, J] = (I, f (I, J)) e detta retta di minima distanza tra r
ed s.
Inoltre, la distanza d(I, J) = ||kwk e detta minima distanza tra r ed s

90

2.3

Movimenti

Prima di considerare i movimenti su uno spazio metrico, abbiamo besogno


di due lemmi.
Lemma 2.2. Siano V e W due spazi vettoriali reali della stessa dimensione.
Su V e W siano fissati due prodotti scalari che, per abuso di notazione,
denoteremo con lo stesso simbolo < , >.
Se lapplicazione : V W conserva i prodotti scalari, allora f e un
isomorfismo lineare.
Dimostrazione.
Poiche lapplicazione : V W conserva i prodotti scalari si ha
< (u), (v) >=< u, v > ,

u, v V .

Considerati v V e R e immediato che (v) (v) < (V ) >.


In pi
u si ha
< (v) (v), (u) >=< (v), (u) > < (v), (u) >=
< v, u > < v, u >= 0 , u V .
Dalla precedente segue che (v) (v) (V ) =< (V ) > .
Quindi risulta
(v) (v) < (V ) > < (V ) >= {0W }
Pertanto, si ha (v) = (v) e per le ipotesi fatte su v ed si ha quindi
(v) = (v) ,

v V , R .

In modo analogo si prova che


(u + v) = (u) + (v) ,

u, v V .

Pertanto e lineare.
Proviamo che e ingettiva.
Se u ker , si ha
0 =< (u), (v) >=< u, v > , v V .

91

Le precedente implica u = 0V e quindi ker = {0V }, da cui segue lingettivita


di .
Essendo lineare ingettiva, e anche surgettiva e quindi e un isomorfismo lineare.
Sia n uno spazio affine su uno spazio vettoriale reale V e denotiamo con
f : n n V lapplicazione che munisce n della struttura di spazio
affine.
Fissiamo su V un prodotto scalare < , >: V V R e consideriamo su
n la struttura di spazio metrico che deriva da questa struttura di prodotto
scalare. si ha
Teorema 2.11. Per ogni O n , sullo spazio vettoriale puntato (n , +O , O )
esiste un prodotto scalare < , >O : n n R tale che fO : n V sia
un operatore unitario.
Dimostrazione.
Fissato O n , basta porre < P, Q >O =< fO (P ), fO (Q) >, per ogni
P, Q n .
Lapplicazione < , >O : n n R e simmetrica.
Infatti
P, Q n : < P, Q >O =< fO (P ), fO (Q) >=
< fO (Q), fO (P ) >=< Q, P >O .
Lapplicazione precedente e bilineare.
Infatti, essendo fO un isomorfiso loeare, per ogni , R e per ogni
P, Q, S n risulta
< O P +O O Q, S >O =< fO (P ) + fO (Q), fO (S) >=
< P, S >O + < Q, S >O .
Laltra uguaglianza necessaria segue dalla simmetria di < , >O .
Si dimostra in modo analogo che < , >O e definito positivo.
Definizione 2.12. Una applicazione M : n n e detta movimento o
isometria, solo se esistono O, O0 n tale che M conserva i prodotti scalari
< , >O e < , >O0 , cioe , se e solo se
P, Q n : < P, Q >O =< M (P ), M (Q) >O0
92

Teorema 2.12. Sia M : n n un movimento.


M e una affinita e lapplicazione associata ad M e un operatore unitario
di V in se.
Dimostrazione.
Sia M : n n un movimento e siano O, O0 n i due punti dellenunciato.
Per il lemma 2.2, lapplicazione M e un isomorfismo lineare dello spazio
vettoriale puntato (n , +O , O ) sullo spazio vettoriale puntato (n , +O0 , O0 ).
Da cio segue che M e unaffinita.
Sia L : V V lapplicazione lineare associata ad M , per essa risulta
fO 0 M = L fO .
Per ogni u, v V esistono P, Q n tali che fO (P ) = u e fO (Q) = v e si
ha
< L(u), L(v) >=< L(fO (P )), L(fO (Q)) >=
< fO0 M ((P )), fO0 M ((Q)) >=< M (P ), M (Q) >O0 =
< P, Q >O =< fO (P ), fO (Q) >=< u, v > .

Osservazione 2.2. Nelle ipotesi della proposizione precedente si ha fM (O)


M = L fO , per ogni O n .
Nel seguito denoteremo con On , O(V ) e O(n) rispettivamente linsieme
dei movimenti di n , il gruppo degli operatori unitari di V e il gruppo degli
operatori unitari di Rn identificato con il gruppo delle matrici ortogonali di
R.
Si ha
Teorema 2.13. Per ogni L O(V ) e per ogni O, O0 n , lapplicazione
M = fO10 L fO : n n e un movimento.
Dimostrazione.
Consideriamo L O(V ) e O, O0 n . Inoltre, poniamo
M = fO10 L fO : n n .
Si ha
< M (P ), M (Q) >O0 =< L(fO (P )), L(fO (Q)) >=
< fO (P ), fO (Q) >=< P, Q >O , P, Q n
Quindi si ha lasserto per la definizione 2.12.
93

Teorema 2.14. Sia M : n n un movimento.


Si ha:
M conserva le distanze.
M conserva gli angoli.
M conserva lortogonalita.
Dimostrazione.
Si denoti con L : V V loperatore unitario associato ad M .
Per ogni P, Q n risulta
d(M (P ), M (Q)) = kf (M (P ), M (Q))k = kfM (P ) (M (Q))k =
kL(fP (Q)k = kf (P, Q)k = d(P, Q) .
Osserviamo che tutti gli angoli considerati sono angoli fra due rette.
Inoltre, considerata la retta WA = (A, W ), con W sottospazio di V di
dimensione uno, M (WA ) = (M (A), L(W )).
Sia UP = (P, U ) unulteriore retta passante per di N .
Supposto W =< w > e < u >= U , si ha L(W ) =< L(w) > e L(U ) =<
L(u) >.
Scelto un qualsiasi orientamento, langolo tra M (WA ) e M (UP ) e uno
degli angoli tra L(w) e L(u) che coincide con il corrispondente angolo tra u
e v, essendo L un operatore unitario.
Un discorso analogo vale per lortogonalita, senza bisogno di fissare alcun
orientamento.
Teorema 2.15. Linsieme dei movimenti On e un sottogruppo del gruppo
delle affinita (An , ).
Il gruppo delle traslazione Tn e un sottogruppo normale di On .
Dimostrazione.
La dimostrazione e analoga a quella gia vista per le affinita.
Dalla dimostrazione del teorema 1.32 segue che
Teorema 2.16. Fissato su n un riferimento R(O, B), con B base ortogonale unitaria di V , lequazione di un movimento M : n n e data
dallequazione (1.58), con C O(n).
Teorema 2.17. Siano (Pi )0in e (Qi )0in due (n + 1)ple di punti affinemente indipendenti di n .
Laffinita A : n n tale che A(Pi ) = Qi , per ogni i {0, . . . , n} e un
movimento, se e solo d(Pi , Pi ) = d(Qi , Qj ), per ogni i, j {0, . . . , n}.
94

Dimostrazione.
Laffinita A esite per il teorema 1.27.
Osserviamo dapprima che se A e un movimento A conserva le distanze,
per il teorema 2.14 e quindi d(Pi , Pi ) = d(Qi , Qj ), per ogni i, j {0, . . . , n}.
Per dimostrare il viceversa, denotiamo con L : V V lisomorfismo
lineare associato ad A.
Basta far vedere che L O(V ).
Per questo poniamo f (P0 , Pi ) = vi e f (Q0 , Qi ) = wi , per ogni i
{1, . . . , n} ed osserviano che (vi )1in e (wi )1in sono due basi di V .
Si ha per ogni i {1, . . . , n}.
In pi
u si ha
vi vj = f (P0 , Pi ) f (P0 , Pj ) = f (Pj , Pi ) e wi wj = f (Qj , Qi ) ;
per ogni i, j {1, . . . , n}.
Dalla precedente segue
kwi wj k = d(Qi , Qj ) = d(Pi , Pj ) = kvi vj k , i, j {1, . . . , n} .
Questultima implica banalmente kL(vi vj )k = kvi vj k, per ogni i, j
{1, . . . , n}.
Cio premesso il teorema e la conseguenza del seguente lemma.
Lemma 2.3. Sia L : V V un isomorfismo lineare.
Se esiste una base (vi )1in tale che
kL(vi )k = kvi k ,

i {1, . . . , n}

e
kL(vi vj )k = kvi vj k , i, j {1, . . . , n} ;
Allora M e un operatore unitario.
Dimostrazione.
Essendo < , >: V V V una applicazione bilineare e L : V V
una applicazione lineare, basta provare che
< L(vi ), L(vj ) >=< vi , vj > ,

i, j {1, . . . , n} .

Per questo osserviamo che


< v w, v w >=< v, v > 2 < v, w > + < w, w > ,
95

v, w V .

Da cio segue
2 < v, w >= kvk2 + kwk2 kv wk2 ,

v, w V .

Pertanto, si ha
< L(vi ), L(vj ) >= kL(vi )k2 + kL(vj )k2 kL(vi vj )k2 =
kvi k2 + kvj k2 kvi vj k2 =< vi , vj > , i, j {1, . . . , n} .
Dalla uguaglianza precedente segue lasserto.
Definizione 2.13. Sia M : En n un movimento.
Diremo che il punto O En e unito in M , se e solo se M (O) = O.
Osservazione 2.3. Ricordato che ogni movimento e una affinita, per i suoi
punti uniti valgono le proprieta viste in precedenza. In particolare, se linsime
dei pinti uniti e non vuoto, esso e un sottospazio affine che ha come giacitura
il sottospazio V1 degli autovettori dellautovalore uno.
Pertanto, la sua dimensione e pari alla moltiplicita geometrica dellautovalore uno.
I seguenti due teoremi hanno dimostrazioni analoghe a quelle viste per le
affinita.
Teorema 2.18. Sia O n .
Linsime dei movimenti che lasciano fisso O e un sottogruppo di On , che
sara denotato con OnO .
Teorema 2.19. Per ogni movimento M On e per ogni O n esistono
e sono unici la traslazione Tu Tn , con u = f (O, M (O)), e i movimenti
M1 , M10 OnO tali che M = Tu M1 = M10 Tu
Teorema 2.20. Sia un iperpiano di n .
Esiste un univo movimento M : n n tale che considerato un punto
P n e denotato com H il piede della perpendicolare per P a risulta
f (P, H) = f (H, M (P )).
M e una involuzione e un punto P n e unito in M , se e solo se P .
Dimostrazione.
Supponiamo che = (O, W ) sia liperpiamo di n passante per O ed
avente giacitura W .
96

Essendo la dimensione di W uguale ad n 1, possiamo determinare una


sua base ortogonale unitaria (ei )1in1 .
Inoltre, avendo W dimensione uno ad esso oppartengono due versori e,
se denotiamo con en uno di essi, laltro sara en .
Quinidi, completare la base ortogonale unitaria di W in una base ortogonale unitaria B = (ei )1in di V , analogamente esiste unaltra base B 0 ,
ottenuta completando la stessa base di W con en .
Per un noto teorema di algebra lineare esiste un unico isomosrfismo
L : V V tale che L(ei ) = ei , per ogni i {1, . . . , n 1} e L(en ) = en .
Si ha
n
n1
X
X
i
n
i
( )1in R : L(
ei ) =
i e i n e n .
i=1

i=1

Dalla precedente segue che per ogni vettore w W si ha L(w) = w, poiche


tutti questi vettori hanno la nesima componente nulla e vale banalmente il
viceversa, cioe se v V e tale che L(v) = v, si ha v W .
Per la ii) del teorema 1.23 possiamo considerare laffinita M : n n
tale che fO M = L fO .
Si osservi che per ogni H risulta fO (H) e quindi fO (H) =
L(fO (H)) = fO (M (H)), per cui M (H) = H, per ogni H .
Cio implica che fH M = L fH , per ogni H .
Consideriamo ora P n e denotiamo con H il piede della perpendicolare
per P a .
Poiche la retta t = (P, w), passante per P e pertendiconare a , ha
giacitura < w >= W , esistono , R tali che fH (P ) = w = en .
Da cio segue fH (M (P )) = L(fH (P )) = L(en ) = en = fH (P ) e
quindi f (P, H) = f (H, M (P )).
Proviamo ora lunicita di M .
Se M 0 : n n e un ulteriore movimento soddisfacente le ipotesi del
teorema, per ogni P n risultera f (H, M 0 (P )) = f (H, M (P )), essendo
H il piede della perpendicolare per P a .
Quindi, per lassiona (1.2), risultera M (P ) = M 0 (P ), per ogni P n e
le due applicazioni coincideranno.
Proviamo che M e involutiva. Intanto, sia P n . Allora, denotato con
H il piede della perpendicolare per P a , risulta f (P, H) = en , con K.
Da cio segue f (H, M (P )) = en .
Pertanto, risulta M (P ) = P , se e solo se f (H, M (P )) = f (H, P ), che
equivale a en = en , che a sua volta e vera se e solo se = 0, cioe se e
97

solo se P .
La precedente osservazione prova che M non e lapplicazione identica e
che tutti e solo i punti uniti di M sono quelli di .
Siano P n e H il piede della perpendicolare per P a .
Osservato che H e anche il piede della perpendicolare per M (P ) a , si
ha f (H, M (M (P ))) = f (H, M (P )) = f (H, P ).
La precedente implica che M 2 e lidentita su n e quindi lasserto.
Teorema 2.21. Sia M : n n un movimento.
M si puo esprimere come la composta di al pi
u n + 1 riflessioni rispetto
ad iperpiani.
Dimostrazione.
Se M = id : n n e lapplicazione identica, qualunque sia la riflessione
: n n rispetto ad un iperpiano si ha 2 = id = M , con 2 1+1 n+1.
Supponiamo M 6= id.
Allora, esiste O n tale che M (O) 6= O.
Sulla retta [O, M (O)], con la struttura indotta di spazio affine, possiamo
considerare il punto H medio tra O e M (O), per il quale risulta f (O, H) =
f (H, M (O)).
Denotato con liperpiano di n passante per H e perpendicolare a
[O, M (O)], sia : n n la riflessione rispetto alliperpiano .
Si ha f (H, (O)) = f (H, O) = f (H, M (O)) e quindi (O) = M (O).
Per questo, il movimento M1 = M ha O come punto unito.
Consideriamo ora lo spazio vettoriale puntato (n , +O , O ).
Su di esso si puo considerare la il prodotto scalare < , >O , definito nel
modo seguente < P, Q >O =< fO (P ), fO (Q) >, per ogni P, Q n .
E di immediata verifica che M1 e un operatore unitario rispetto al precedente prodotto scalare e quindi si decompone in al pi
u n riflessioni rispetto a
sottospazi di dimensione n1, cioe in al pi
u n riflessioni rispetto ad iperpiani
di n .
Si ha quindi M = M1 = 1 s , dove (i )1is e la famiglia
delle riflessioni in cui si decompone M1 , con s n.
Da qui lasserto.

2.4

Movimenti degli spazi euclidei

Definizione 2.14. Siano H =


6 un insieme e : H H un a applicazione.
Diremo che H e involutiva oppure che H e una involuzione, se e solo se
98

2 = = id e 6= id, dove id : H H e lapplicazione identica.


E di facile verifica la seguente osservazione
Osservazione 2.4. Siano H 6= e : H H unapplicazione.
Se e una involuzione, allora e bigettiva.
Lapplicazione e una involuzione, se e solo se = 1 e 6= id.
Supponiamo ora di fissare un orientamento (B, GL+ (n, R)) su V e di
considerare lorientamento di n indotto da quello di V .
In tal caso n e detto spazio euclideo e si pone n = n .
Osservazione 2.5. Gli spazi euclidei sono gli spazi che soddisfano gli assiomi
di Euclide.
Una determinazione rigorosa di questi ultimi assiomi fu fatta da Hilbert
che nel caso del piano euclideo ne conto ventidue.
Il loro alto numero deriva dal fatto che le proprieta geometrice del piano
non sono distinte da quelle che derivano dalla struttura algebrica di campo e
dalla relazione dordine di R e con quelle della struttura di spazio vettoriale
di R2 .
A questo punto molti di tali assiomi sono stati dimostrati, ma semplicemente farne lelenco richiederebbe troppo tempo.
Supponendo che tutte tutte le costruzioni fatte nella scuola media superiore siano prive di contraddizioni, per il piano si puo operare nel modo
seguente.
Si fissi su E2 un sistema di riferimento cartesiano e si consideri il sistema
coordinato h : E2 R2 .
Quindi, applicando il teorema 1.4, si verifica facilmente che il piano euclideo nel senso classico coincide con quello costruito da noi.
Definizione 2.15. Siano M : n n un movimento e L : V V
loperatore unitario associato.
Diremo che M e un movimento diretto oppore che M e una congruenza,
se e solo se L conserva gli orientamenti.
Diremo che M e un movimento indiretto nellaltro caso.
Osservazione 2.6. Si osservi che, se M e un movimento diretto, lapplicazione L e un operatore unitario che conserva gli orientamenti e quindi e
una rotazione di V .

99

Teorema 2.22. Sia M : n n una simmetria rispetto al punto O n ,


cioe tale che fO M = id fO , dove id : V V e lisomorfismo identico.
Allora, si ha
i).
d(O, P ) = d(O, M (P )) , P n .
ii).
I punti P , M (P ) e O sono allineati, per ogni P n .
iii). Se n e pari, M e un movimento diretto, se n e dispari, M e un
movimento indiretto.
iv).
M e una involuzione, che ha O come unico punto unito.
Dimostrazione.
Nelle ipotesi del teorema si ha
d(O, M (P )) = kfO (M (P ))k = k fO (P )k = d(O, P ) ,

P n .

Pertanto la i) e vera.
Osserviamo che, posto f (O, P ) = v, si ha fO (M (P )) = fO (P ) = v,
per ogni P n .
Proviamo la ii).
Consideriamo P n .
Da cio segue che i tre punti sono allineati, essendo [O, P ] = (O, v) =
(O, v) = [O, M (P )].
Proviamo la iii).
Fissata una base B di V , e detta C la matrice associata a id : V V
in tale base, si ha det C = (1)n .
Proviamo la iv).
Sia P n un punto unito di M , allora M (P ) = P .
Da cio segue f (O, M (P )) = f (O, P ) e f (O, M (P )) = f ((O, P ), per
qunto visto in precedenza.
Le precedenti implicano f (O, P ) = 0V e quindi P = O.
Pertanto, M e diversa dalla applicazione identica su n , im pi
u si ha
fO (M (M (P ))) = fO (M (P )) = (fO (P )) ,

P n .

La precedente implica M 2 = id, dove id : n n e lapplicaziobe identica.

100

Ampliamenti complessi degli spazi affini


reali

In questo numero denoteremo con C il campo dei numeri complessi, V denotera uno spazio vettoriale complesso e n sara uno spazio affine si V .
Le proprieta generali sugli spazi affini complessi sono state viste nella
sezione sugli spazi affini.
In questo numero siamo interessati solo alla definizione a allo studio di
alcune proprieta degli ampliamenti complessi degli spazi affini reali.
Per questo ricordiamo che identificato nel modo canonico R con il sottoinsieme dei numeri complessi a+0i, dove i e lunita immaginaria, al variare
di a R, il campo dei numeri reali R diventa un sottocanpo di C.
Questa identificazione induce linclusione di GL(n, R) con il sottogruppo
di GL(n, C) delle matrici aventi tutti i termini reali.
Con queste premesse, si ottiene la struttura di ampliamento complesso
di spazio vettoriale reale su V , come la coppia (B, GL(n, R)), dove B =
(x )1n e una base qualsiasi di V .
Le basi di V che si ottengono da B mediante le matrici di GL(n, R) sono
dette basi reali.
Linsieme

VR = {v V |(z )1n R tale che v =

n
X

z x }

=1

e lo spazio vettoriale dei vettori reali di V .


VR ha una struttura di spazio vettoriale reale e dimR VR = dimC V .
Cio premesso, fissiamo su V una struttura di ampliamento complesso di
spazio vettoriale reale e sia BR linsime delle basi reali di V .
Definizione 3.1. Diremo che n e l ampliamento complesso di uno spazio
affine reale, se e fissato un punto O n .
In questo caso si dicono punti reali i punti dellinsieme
R = {P n | f (O, P ) VR }
In pi
u, i riferimenti R(O0 , B 0 ), con O0 R e B 0 BR sono detti reali.
Dora in poi supporremo che n ssia lampliamento complesso di uno
spazio affine reale e useremo tutte le notazioni precedenti.
101

Teorema 3.1. i).


Linsime R dei punti reali non varia al variare di O R .
ii).
R e uno spazio affine reale di dimensione n.
iii).
I punti reali hanno coordinate reali in ogni riferimento reale.
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Sia P R un punto reale.
Risulta f (O, P ) VR , per definizione di punto reale.
Inoltre, par ogni O0 R si ha
f (O0 , P ) = f (O, P ) f (O, O0 ) VR .
Proviamo la ii).
Denotiamo con g : R R VR lapplicazione definita da g(P, Q) =
f (P, Q), per ongi P, Q R .
Essendo definita tramite f , g e una applicazione, in quanto
g(P, Q) = f (P, Q) = f (O, Q) f (O, P ) VR ,

P, Q R .

E di immediata verifica che g verifica gli assiomi (1.1) e (1.2).


Infine, si ha
dimR R = dimR VR = dimC V = dimC n = n .
Proviamo la iii).
Siano R(O0 , B 0 ) e un riferimento reale e P R .
Risulta f (O0 , P ) VR , per quanto visto prima, essendo O0 R .
Essendo la base B 0 reale le componenti di f (O0 , P ) rispetto a B 0 sono reali
e queste sono le coordinate di P nel sistema coordinato relativo al riferimento
R(O0 , B 0 ).
Definizione 3.2. Dato un punto P n si dira complesso coniugato di
P e si denotera con P Il punto che ha coordinate complesse coniugate delle
coordinate di P , rispetto ad un qualsiasi dei riferimenti reali di n .
Dato un sottospazio affine WP = (P, W ) di n si dira complesso coniugato di WP e si denotera con W P linsieme W P = {Q|Q WP }.
102

Teorema 3.2. i).


Se il punto P e il complesso coniugato di P n rispetto al riferimento
reale R(O, B), allora P e il complesso coniugato di P in ogni riferimento
reale.
In pi
u, si ha P = P .
ii).
Se W P e linsieme complesso coniugato del sottospazio affine WP =
(P, W ) di n rispetto al riferimento reale R(O, B), allora W P e linsieme
complesso coniugato del sottospazio affine WP = (P, W ) in ogni riferimento
affine reale R(O0 , B 0 ).
iii).
Se P, Q n sono due punti reali su ha f (P , Q) = f (P, Q).
iv).
Linsieme complesso coniugato W P del sottospazio affine WP = (P, W )
di n e un sottospazio affine di n e W P = (P , W ), dove W e lo spazio
vettoriale complesso coniugato di W
Dimostrazione.
Siano P n e R(O, B) un riferimento reale di n .
Supponiamo che P abbia coordinate ( )1n nel sistema coordinato
h : n C relativo al riferimento R(O, B).
Allora, per definizione, P avra coordinate ( )1n sempre nel sistema
coordinato h.
Sia R(O0 , B 0 ) un ulteriore rofrrimento reale, sia h0 : n C il relativo sistema coordinato e supponiamo infine h0 (P ) = ( )1n e h0 (O) = ( )1n .
Osserviamo che, essendo O un punto reale, si ha R, per ogni
{1, . . . , n}.
Inoltre, per il teorema 1.11, posto h0 (P ) = ( )1n , si ha

= +

n
X

a ,

{1, . . . , n};

=1

dove la matrice (a ) appartiene a GL(n, C).


Poiche la matrice (a ) ha tutti i termini reali e le sono reali, per
ogni {1, . . . , n}, per le propieta delloperazione di coniugio rispetto alla
somma e al prodotto si ha

n
X

a = ,

=1

103

{1, . . . , n} .

Pertanto, il punto P e il complesso coniugato di P anche nel riferimento


affine R(O0 , B 0 ).
Supponiamo che B = (x )1n .
Allora, esiste una famiglia ( )1n Cn , per la quale si ha
f (O, P ) =

n
X

x .

=1

Pertanto, risulta
f (O, P ) =

n
X

x f (O, P ) =

=1

n
X
=1

x =

n
X

x = f (O, P ) .

=1

Quindi per lassioma (1.2) si ha P = P .


Lasserzione ii) segue banalmente dalla precedente.
Proviamo la iii).
Siano P, Q n due punti reali e consideriamo un riferimento reale
R(O, B), con B = (x )1n .
Denotato con h : n C il sistema coordinato del riferimento R(O, B),
supponiamo h(P ) = ( )1n e h(Q) = ( )1n .
Per la definizione di coordinate di un punto e complesso coniugato di un
punto di n , si ha
f (O, P ) =

n
X

x = f (O, P ) ;

=1

dove si e usata anche la definizione di vettore complesso coniugato.


Un analogo risultato vale anche per Q e quindi si ha
f (P , Q) = f (O, Q) f (O, P ) = f (O, Q) f (O, P ) =
= f (O, Q) f (O, P ) = f (P, Q) .
Quindi la iii) e vera.
Proviamo ora la iv).
Sia WP = (P, W ) un sottospazio affine reale di n , passante per P n
ed avente giacitura W .
Il punto P n esiste per quanto visto prima.

104

Anche il sottospazio vettoriale W di V esiste, perche su V stiamo considerando una struttura di ampliamento complesso di spazio vettoriale reale.
Sia Q n , si ha
Q W P f (P , Q) = f (P, Q) W f (P, Q) W .
Pertanto, Q W P , se e solo se Q WP ; cioe W P e linsieme complesso
coniugato di di WP .
Definizione 3.3. Sia WP un sottospazio affine di n . Si dice che WP e
un sottospazio affine reale di n , se e solo se UQ = WP R e tale che
dimR (UQ ) = dimC (WP ).
Teorema 3.3. Sia P e un punto di n . Il punto P e un punto reale, se e
solo se P = P .
Sia WP un sottospazio affine reale di n di dimensione r, allora W P =
WP .
Dimostrazione.
Consideriamo un punto P n ed un riferimento reale R(O, B) di n .
Se P e un punto reale, f (O, P ) sara un vettore reale, quindi f (O, P ) =
f (O, P ) = f (O, P ). Allora, per lassioma 1.2, risulta P = P .
Viceversa, per il teorema precedente e per le ipotesi si ha f (O, P ) =
f (O, P ) = f (OP ). Pertanto f (O, P ) e un vettore reale e quindi P e un
punto reale.
Supponiamo che il sottospazio affine reale WP = (P, W ) di n , avente W
come giacitura e passante per P n , abbia dimensione r e proviamo che
W P = WP .
Siccome il sottospazio affine UQ = WP R = (Q, U ) ha dimenzione r,
Possiamo supporre Q = P R , quindi WP R = (P, U ).
Sia v U , per lassioma 1.2, esiste Q n tale che f (P, Q) = v. Quindi
Q UP WP , essendo v U . La precedente implica che v W e quindi
U W.
Esiste B = (y )1n dello spazio vettoriale reale VR i cui elementi sono
i vettori reali di V , tale che {y1 . . . , yr } sia una base di U .
B e una base di V . Per quanto visto prima, per ogni {1, . . . , r}
risulta y W , quindi (y )1r e una base di W .

Quindi
)1n Cn tale che
Pn v W , se e solo se esiste una famiglia (

v = =1 y e par ogni {r + 1, . . . n} si ha = 0.
105

Consideriamo il riferimento R(P, B) e sia Q WPP


. Poiche f (P, Q) W
n

esiste una famiglia ( )1n C tale che v =


=1 y e par ogni
{r + 1, . . . n} si ha = 0.
Da cio segue
f (P, Q) =

n
X

e {r + 1, . . . n} : = 0 .

=1

La precedente implica f (P, Q) W , da cui Q WP e quindi lasserto.


Osservazione 3.1. Siano WP un sottospazio affine reale di n ed R(O, B)
un riferimento reale di n .
La seconda parte della proposizione precedente implica che, nella determinazione della equazioni parametriche di WP rispetto al riferimento affine
reali R(O, B), possiamo sceglere un punto che abbia cordinate reali e vettori
aventi componenti reali, ottenendo in questo modo equazione reali.
Cio implica che tutte le equazioni ottenute nella primma parte hanno tutti
i loro coefficienti reali.
Questo non vuol dire che tutte le equazioni dei sottospazi affini reali
rispetto a riferimenti reali che si possono incontrare abbiano coefficinti reali,
ma che siano equivalentei ad equazioni a coefficienti reali.
Esempio:
Siano a, b, c R3 , con (a, b) 6= (0, 0). Le due equazioni ax + by c = 0 e
iax + iby ic = 0 rappresentano lequazione dello stessa retta in C2 rispetto
allovvio riferimento reale.
Ovviamente, la retta e reale, la prima e a coefficienti reali, la seconda non
lo e.
Ricordiamo che, se V e uno spazio vettoriale reale, lo spazio vettoriale
V iV = {u + iv|u, v V }, con la somma ed il prodotto esterno definiti nel
modo standard, rendono V iV lapliamento coplesso dell spazio vettoriale
reale V = VR .
Teorema 3.4. Sia n uno spazio affine reale, sullo spazio vettoriale reale V .
Esiste uno un ampliamento complesso di spazio affine reale 0n tale che lo
spazio affine reale dei suoi punti reali coincide con n .
Dimostrazione.
Denotiamo con f : n n V lapplicazione che munisce n della
struttura di spazio affine reale.
106

Consideriamo un insieme qualsiasi 6= tale che n = e che


esista una bigezione : (V iV ) \ V
Poniamo 0n = n e fissiamo in punto O n .
Definiamo lapplicazione h : 0n V iV definita da

fO (P ) se P n
h(P ) =
(3.1)
(P ) se P
Lapplicazione h definisce una struttura di spazio affine complesso per il
teorema 1.4. Infatti, h e una applicazione bigettiva, essendo h|n = fO ,
h| = e n = .
In pi
u, si ha
fO (Q) fO (P ) = f (P, O) + f (O, Q) = f (P, Q) V ,

P, Q n .

Per questo n = 0R e lo spazio affine reale dei punti reali.


Se su V e fissato un prodotto scalare definito positivo < , >: V V R,
esso puo essere esteso ad una applicazione bilineare
< , >: (V iV ) (V iV ) C definita da < u+, v, u0 + iv 0 >=< u, u0 >
< v, v 0 > +i(< u, v 0 > + < u0 , v >), per ogni u, v, u0 , v 0 V .
Ovviamente, sui i vettori reali di V iV il prodotto scalare rimane definito
positivo e si puo usare la sua norma.
Per i vettori complessi cio non e possibile, in quanto a =< u + iv, u +
iv >=< u, u > < v, v > +2i < u, v >, con u, v V , assume valori
complessi, se u non e ortogonale a v, valori reali se u e ortogonale a v. In
pi
u, se u e ortogonale a v, si ha a > 0, se kuk > kvk, a < 0, se kuk < kvk e
a = 0, se kuk = kvk.
Si estende la norma, con un abuso concettuale e di notazione, anche ai
vettori v V nel caso in cui < v, v > R, ponendo kvk2 =< v, v >.
Cio premesso si ha
Osservazione 3.2. Le osservazioni precedenti ci assicurano che se n e uno
spazio metrico reale su V e 0n e un suo ampliamento complesso su V
iV , la distanza d : n n R definita su n dal prodotto scalare di
V , puo essere estesa ad un ovvio sottoinsieme di punti complessi, ponendo
d(P, Q)2 = kf (P, Q)k2 , per ogni P e Q appartenente a tale sottoinsieme.
Se P, Q n si considera come distanza la norma precedente e per gli
elemente di n vale lassioma (2.1).
Ovviamente, se si aconsiderano tutti i punti per cui vale la relazione che
stiamo considerando lassioma (2.1) non e pi
u verificato.
107

Per esempio, Fissato P n linsieme dei punti Q 0n che soddisfa


lequazione d(P, Q) = 0 e detta superficie sferica di raggio nullo

108

Spazi proiettivi

4.1

Definizioni e prime propriet


a

In questo numero V e uno spazio vettoriale su un campo K e poniamo


dimK V = n + 1, con n 0.
Definizione 4.1. Diremo spazio proiettivo di dimensione n e denoteremo
con P(V ) linsieme di tutti i sottospazi di dimensione uno di V , privati dello
0.
Gli elementi di P(V ) saranno detti punti.
Se V = K n+1 , porremo P(K n+1 ) = Pn (K) e Pn (K) sara detto spazio
numerico proiettivo.
Nel seguito porremo V = V {0} e < v > =< v > {0}, per ogni
v V . Quindi si ha
P(V ) = {< v > {0}|v V {0}} = {< v > |v V }
Teorema 4.1. Si ha P(V ) = V /E dove E e la relazione di equivalenza su
V definita da
u, v V : uEv K = K {0} tale che u = v .
Dimostrazione.
La relazione E e riflessiva, perche
v V

1 K

tale che v = 1v .

La relazione E e simmetrica. Infatti, considerati u, v V tali che uEv. se e


solo se
K tale che u = v 1 K tale che v = 1 u ;
che e vera se e solo se vEu, da qui lasserto.
Per la proprieta transitiva, consideriamo u, v, w V , si ha
uEv e vEw , K tale che u = v e v = w ;
dalla quale segue
K tale che u = ( )v uEw .
109

Quindi E e una relazione di equivalenza.


Ha senso allora considerare linsieme quoziente V /E. Sia v V . La
classe di equivalenza di v rispetto ad E e
[v]E = {u V |uEv} = {u V |u = v, K } =< v > .
Da qui segue luguaglianza V /E = P(V ).
Se V = K n+1 , la surgezione canonica di (K n+1 ) su (K n+1 ) /E = Pn (K)
sara sempre denotata con n : (K n+1 ) Pn (K).
Nel seguito denoteremo con (ei )0in la base naturale di K n+1 .
Ricordiamo che la delta di Kronecker e lapplicazione : {0, . . . , n}
{0, . . . , n} {0, 1}, definita da

0 se i 6= j
i
(i, j) = j =
(i, j) {0, . . . , n} {0, . . . , n}
1 se i = j
Allora, i vettori che costituiscono la base naturale di K n+1 sono ei = (ij )0jn
e si pone oi =< ei > , per ogni i {0, . . . , n}.
Definizione 4.2. Una applicazione f : Pn (K) Pn (K) e detta proiettivita
di Pn (K) in se, se e solo se esiste un isomorfismo lineare L : K n+1 K n+1
tale che T n = n L.
Teorema 4.2. Con le notazioni della definizione precedebte si ha
i).
Per ogni isomorfismo lineare L : K n+1 K n+1 esiste una proiettivita
f : Pn (K) Pn (K) tale che T n = n L.
ii).
Ogni proiettivita e una applicazione bigettiva.
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Sia L : K n+1 K n+1 un isomorfismo lineare.
Per ogni v (K n+1 ) risulta L(< v > ) =< L(v) > .
Pertanto, per ogni P Pn (K), con P =< v > e v (K n+1 ) , possiamo
porre f (P ) =< L(v) > , ottenendo cos una applicazione f : Pn (K)
Pn (K).
Dal modo in cui e definita lapplicazione f e dalla notazione introdotta
subito dopo la dimostrazione del teorema 4.1 segue che f n = n L e
quindi f e una proiettivita.
110

Sia f : Pn (K) Pn (K) una proiettivta e sia L : K n+1 K n+1 un


isomorfismo lineare tale che T n = n L.
f e surgettiva.
Infatti, poiche L e bigettiva e lineare, considerato v 0 (K n+1 ) esiste
v (K n+1 ) tale che L(v) = v 0 .
quindi, considerato P 0 Pn (K) e v 0 (K n+1 ) tale che P 0 =< v 0 > esiste
v (K n+1 ) tale che L(v) = v 0 . Allora, posto P =< v > Pn (K) e si ha
f (P ) = f (n (v)) = n (L(v)) =< v 0 > = P 0 .
La surgettivita segue dalla genericita di P 0 P(V ).
f e ingettiva.
Siano P, Q Pn (K) e supponiamo f (P ) = f (Q).
Allora, se u e v sono due elementi di (K n+1 ) tali che P =< u > e
Q =< v > , risulta < L(u) >=< L(v) > e quindi esiste K tale che
u = v. Da queste segue che < u >=< v > e quindi P = Q, da cui
lingettivita di f .
Linsieme delle proiettivita di Pn (K) sara denotato con GLn(n+2) (K).
Si ha
Teorema 4.3. GLn(n+2) (K) e un gruppo rispetto alla legge di composizione
tra applicazioni.
Dimostrazione.
Siccome lapplicazione identica i : K n+1 K n+1 e un isomorfismo lineare
e, denotata con id : Pn (K) Pn (K) lapplicazione identica di Pn (K) in se
si ha id n = n i e quindi id GLn(n+2) (K).
Siano f, g GLn(n+2) (K) e siano L, F : K n+1 K n+1 i due isomorfismi
lineari tali che f n = n L e g n = n F .
Si ha
(g f ) n = g (n L) = (n F ) L = n (F L) .
Quindi g f GLn(n + 2)(K).
Sia f GLn(n+2) (K) e denotiamo con L : K n+1 K n+1 lisomorfismo
lineare tale che f n = n L.
Dalla precedente identita segue n = f 1 n L, da cui n L1 =
1
f n .
Poiche L1 : K n+1 K n+1 e un isomorfismo lineare, si ha che f 1
GLn(n+2) (K) e quindi lasserto.
111

Nel seguito, identificheremo il gruppo degli isomorfismi lineari di K n+1 in


se con il gruppo GL(n + 1, K) delle matrici quadrate di ordine n + 1 aventi
determinante non nullo, munito della moltiplicazione righe per colonne, mediante lapplicazione che fa corrispondere ad ogni isomorfismo lineare di K n+1
in se la matrice ad esso associata nella base naturale di K n+1 .
Questa identificazione ha senso, essendo tale appicazione un isomorfismo
tra le due strutture di gruppo.
Teorema 4.4. i).
Consideriamo f GLn(n+2) (K) e sia L GL(n + 1, K) un isomorfismo
lineare tale che f n = n L.
Sia L0 : V V unulteriore isomorfismo lineare tale che f n = n L0 .
Allora, esiste K tale che L0 = L.
ii).
La relazioe E definita da
L, L0 GL(n + 1, K) : LEL0 K tale che L0 = L
e una congruenza (cioe e una relazione di equivalenza compatibile con la legge
di composizione interna di GL(n + 1, K)).
iii).
In pi
u, sul quoziente resta definita una legge di composizione interna,
denotata ancora con
: (GL(n + 1, K)/E) (GL(n + 1, K)/E) GL(n + 1, K)/E ;
che munisce GL(n + 1, K)/E della struttura di gruppo.
Esiste un isomorfismo : GLn(n+2) (K) GL(n + 1, K)/E, tale che
f GLn(n+2) (K)L GL(n + 1, K) : (f ) = [L]E f n = n L
Dimostrazione.
Consideriamo la relazione binaria E su GL(n + 1, K) definita da
L, L0 GL(n + 1, K) : LEL0 K tale che L0 = L .
E facile vedere, in maniera analoga a quanto fatto nella dimostrazione
del teorema 4.1, che E e una relazione di equivalenza su GL(n + 1, K).
Poniamo H = GL(n + 1, K)/E e, denotiamo ancora con : H H H
la legge di composizione interna definita in questo modo.
112

Per ogni L, F GL(n + 1, K), poniamo [L]E [F ]E = [L F ]E = [L F ]E ,


dove lultimo prodotto e quallo righe per colonne.
Vogliamo provare che la struttura algebrica (H, ) e un gruppo.
Dapprima, proviamo che : H H H e una applicazione.
Per questo siano , H e supponiamo = [L]E = [L0 ]E e = [F ]E =
[F 0 ]E , con L, L0 , F, F 0 GL(n + 1, K).
Per la definizione della relazione E, esistono , K tali che L0 = L e
0
F = F .
Si ha
L0 (F 0 ((v)) = L0 (F (v)) = (L(F (v)) = ()L(F (v)) ,

v V .

Poiche K si ha (L F )E(L0 F 0 ), per cui = [L F ]E = [L0 F 0 ]E


non dipende dai rappresentanti scelti per e , come si doveva dimostrare.
Si dimostra facilmente che la legge di composizione interna cos definita e
associativa, il suo elemento neutro e la classe di equivalenza dellapplicazione
identica e che il simmetrico di un elemento di H ha come rappresentante
lisomorfismo lineare inverso di un qualsiasi rappresentante di .
Consideriamo, ora, una proiettivita f : Pn (K) Pn (K) una proiettivita
e siano L, L0 GL(n+1, K) due isomorfismi lineari tale che f n = n L =
n L0 .
Allora, per ogni v (K n+1 ) si ha < L(v) > =< L0 (v) > .
Con lidentificanione precedente, risulta che L = (aij )0in|0jn e L0 =
(bij )0in|0jn .
Quindi, si ha L(ei ) = (a0i , . . . , ani ) e L0 (ei ) = (b0i , . . . , bni ), per ogni i
{0 . . . , n}.
Pertanto, esiste K tale che L0 = L.
Da cio segue che (f ) = [L]E = [L0 ]E non dipende dallisomorfismo L tale
che f n = n L e quindi e una applicazione.
lapplicazione e ingettiva
Consideriamo f, g GLn(n+2) (K) tali che (f ) = (g) = [L]E , con L
GL(n + 1, K).
Allora, risulta f n = n L = g n .
Quindi, per ogni v (K n+1 ) si ha f (< v > ) = f n (v) = g n (v) =
g(< v > ), da cui segue f = g.
Lapplicazione e surgettiva.
Infatti, per ogni isomorfismo lineare L GL(n + 1, K), esiste f
GLn(n+2) (K) tale che f n = n L e si ha (f ) = [L]E .
113

e un isomorfismo.
Considerate f, g GLn(n+2) (K) e posto (f ) = [L]E e (g) = [F ]E , con
L, F GL(n + 1, K), per ogni P =< v > Pn (K), con v (K n+1 ) , si ha
f (g(P )) = f (< F (v) > ) =< L(F (v)) > = L F (< v > ) .
Dalla precedente segue che
(f g) = [L F ]E = [L]E [F ]E = (f ) (g) ;
e quindi lasserto.
Osservazione 4.1. Anche in questo caso si considera come un isomorfismo
di identificazione. Quindi, risulta GL(n + 1, K)/E = GLn(n+2) (K).
Il gruppo GLn(n+2) (K) e detto gruppo proiettivo ad n per n + 2 parametri
su K.
Il motivo di questo nome e il seguente.
Per determinare un elemento di GL(n+1, K) occorrono (n+1)2 elementi
soggetti alla ovvia condizione.
La relazione E mette in una stessa classe le matrici che hanno un termine
non nullo con le matrici che sulla stessa linea e sulla stessa colonna hanno
come termine 1.
Pertanto, viene riduotto di uno il numero degli elemente di K necessari
per individuare un elemento di GLn(n+2) (K), cioe per individuare un elemento di GLn(n+2) (K) occorrono (n + 1)2 1 elementi di K.
Daremo ora la definizione di spazio geometrico proiettivo. Per questo
sono necessarie alcune premesse.
Sai Sn 6= e supponiamo che esista una bigezione f : Sn Pn (K).
Allora, linsieme F delle bigezione si Sn su Pn (K) e non vuoto e noi su F
possiamo considerare la relazione binaria E definita nel modo seguente
f, g F : f E g T GLn(n+2) (K) tale che g = T f .

(4.1)

Siccome GLn (K) e un gruppo, E e una relazione di equivalenza.


Definizione 4.3. La coppia ordinata (Sn , H), essendo H una qualsiasi classe
di equivalenza contenuta in F, rispetto alla relazione precedente e detta spazio
geometrico proiettivo.
Ogni elemento di Sn e detto punto.
114

Ogni elemento di H e detto sistema coordinato.


Sia k H un sistema coordinato.
Osservato che, se P Sn , k(P ) Pn (K) e quindi esiste (i )0in tale
che k(P ) = n (0 , . . . , n ).
La famiglia (i )0in (K n+1 ) e detta famiglia delle coordinate proiettive omogenee di P .
Si dice anche che P ha coordinate proiettive omogenee (i )0in , oppure
che le i sono le coordinate proiettive omogenee di P (al variare di i
{0, . . . , n}).
Se K = R, lo spazio geometrico proiettivo (Sn , H) e detto reale.
Se K = C, lo spazio geometrico proiettivo (Sn , H) e detto complesso.
Se non potranno sorgere equivoci, lo spazio geometrico proiettivo (Sn , H)
sara denotato pi
u semplicemente con Sn .
Osservazione 4.2. Nelle ipotesi della definizione precedente, osserviamo che
l(n + 1)pla nulla non rappresenta le coordinate di alcun punto di Sn , perche
il vettore nullo non individua alcun punto in ogni sistema coordinato k H.
Il punto P Sn avente coordinate proiettive omogenne (i )0in nel sistema coordinato k H, ha anche coordinate proiettive omogenne (i )0in
rispetto al sistema coordinato k, per ogni K .
Infine, se consideriamo P Sn , k H e (i )0in (K n+1 ) si ha
k(P ) = n (0 , . . . , n ) k(P ) =< v > e v = (i )0in .
Per n = 0, lo spazio geometgrico proiettivo (S0 , H) e un insieme contenente un unico punto.
Per n = 1, lo spazio geometgrico proiettivo (S1 , H) e detto anche retta
geometrica proiettiva.
Per n = 2, lo spazio geometgrico proiettivo (S2 , H) e detto anche piano
geometrico proiettivo.
Per n 3, si parlera semplicemente dello spazio geometgrico proiettivo
(Sn , H).
Definizione 4.4. Siano (Sn , H) uno spazio geometrico proiettivo e k H
un sistema coordinato. Per ogni i {0, . . . , n} porremo Oi = k 1 (oi ). La
(n + 1)pla = (Oi )0in sara detta (n + 1)edro fondamentale del sistema
coordinato k, oppure riferimento proiettivo relativo al sistema coordinato k.

115

Definizione 4.5. Supponiamo che B = (xi )0in sia una base di V . Porremo Oi =< xi > , per ogni i {0, . . . , n} e diremo che = (Oi )0in e un
(n + 1)edro fondamentale di P(V ) o equivalente che (Oi )0in e un sistema
di riferimento proiettivo di P(V ). Inoltre, lapplicazione k : P(V ) Pn (K)
definita da
P P(V ), v V tale che P =< v > e (i )0in (K n+1 )
n
X
tale che v =
i xi e porremo k(P ) = n ((i )0in ) .
i=0

sara detta sistema coordinato definito da .


Teorema 4.5. Lo spazio proiettivo P(V ) e uno spazio geometrico proiettivo.
I suoi sistemi coordinati sono tutti e soli quelli che si ottengono nel modo
seguente.
Sia L(V ) linsieme di tutte le basi di V .
Se B L(V ), con B = (xi )0in , denoteremo con kB : V P K n+1
lapplicazione tale che kB (v) = (i )0in K n+1 , se e solo se v = ni=0 i xi ,
per ogni v V .
Si ottiene il sistema coordinato proiettivo k : P(V ) Pn (K) che ha
= (< xi > )0in come (n + 1)edro fondamentele, ponendo k(< v > ) =
n (kB (v)), per ogni v V .
Dimostrazione.
Per dimostrare lasserto basta far vedere che tutte e sole le applicazioni
definite nellenunciato del teorema sono delle bigezioni che determinano ad
ununica classe di equivalenza rispetto alla relazione di equivalenza (4.1).
Sia B = (xi )0in una base di V .
Poniamo = (Oi )0in , con Oi =< xi > , per ogni i {0, . . . , n}
e sia k : P(V ) Pn (K) lapplicazione definita nellenunciato del teorema
mediante B.
Lapplicazione k e surgettiva.
P
Infatti, se (i )0in (K n+1 ) , si ha v = ni=0 i xi V .
Da cio segue che esiste P =< v > P(V ) e k(P ) = (i )0in .
Lapplicazione k e ingettiva.
Infatti, se P, Q P(V ), con P =< v > , Q =< w > e v, w V , essendo
k(P ) = k(Q), in modo ovvio si ha < v > =< w > e quindi lasserto.

116

Sia B 0 = (yi )0in unulteriore base di V e poniamo 0 = (< yi > )0in


e denotiamo con k 0 : P(V ) Pn (K) il sistema coordinato definito da B 0
come nellenunciato del teorema.
Allora, esiste una matrice A = (aij )0in|0jn GL(n + 1, K) che determina il cambiamento delle componenti di un qualsiasi vettore di V rispetto
alla base B in quelle dello stesso vettore rispetto alla base B 0 .
La matrice A determina un a classe di equivalenza T GLn(n+2) (K) ed
e facile verificare che k 0 = T K.
Il viceversa dipende dal fatto che ogni matrice A GL(n + 1, K) e la
matrice associata alla base B di un isomorfismo lineare L : V V . Allora,
posto yi = L(xi ), per ogni i {0, . . . , n}, si verifica facilmente che il sistema coordinato [L]E k e proprio quello ottenuto nel modo ovvio dalla base
(yi )0in .
Definizione 4.6. La precedente struttura di spazio geometrico proiettivo su
P(V ) sara detta canonica.
Teorema 4.6. Siano k, k 0 H due sistemi coordinati di Sn .
Allora, esiste una matrice (aij ) GL(n + 1, K) tale che
K

tale che

n
X

aij j ,

i {0, . . . , n} ;

j=0

per ogni P Sn , avendo posto k(P ) = (i )0in e k 0 (P ) = (i )0in .


Dimostrazione.
Poiche k, k 0 H esiste T GLn(n+2) (K), tale che k 0 = T k.
Dalla precedente segue k 0 k 1 = T e quindi
T (0 , . . . , n ) = k 0 (k 1 (0 , . . . , n )) = k 0 (P ) = (0 , . . . , n ) .
Infine, lasserto segue dal teorema 4.3 e dal successivo remark.
Teorema 4.7. Sia Sn0 6= un insieme e supponisamo che esista una bigezione
f : Sn0 Sn .
Poniamo
Hf = {k f |k H} .
(Sn0 , Hf ) e una struttura spazio geometrico proiettivo che si dira indotta da
f.
117

Dimostrazione.
Osserviamo che le ipotesi del teorama implicano che linsieme F delle
bigezioni di di Sn0 su Pn (K) e non vuoto.
Quindi basta provare che Hf e una classe di equivalenza rispetto alla
relazione E definita in (4.1).
Per questo siano kf , kf0 Hf .
Allora esistono k, k 0 H tali che kf = k f e kf0 = k 0 f ed esiste
T GLn(n+2) (K) tale che k 0 = T k.
Si ha quindi kf0 = k 0 f = T k f = T kf .
Viceversa, consideriamo una bigezione e
k : Sn0 Pn (K) e supponiamo
che esista kf Hf tale che e
kEkf . Allora esiste T GLn(n+2) (K) tale che
e
k = T kf ed esiste k H tale che kf = k f .
Si ha quindi e
k = T k f = k 0 f = kf0 Hf , avendo posto k 0 = T k H.
Si ha cos lasserto.
Definizione 4.7. Sia k H un sistema coordinato di Sn .
Consideriamo un sottospazio vettoriale di K n+1 e il sottospazio proiettivo
P(W ) di Pn (K), W = k 1 (P(W )) e detto sottospazio proiettivo di Sn .
Teorema 4.8. Siano W un sottospazio proiettivo di Sn e k H un sistema
coordinato di Sn , tale che W = k 1 (P(W )), con W sottospazio vettoriale di
K n+1 , con dimK W = r + 1 e r 0.
W non dipende dal sistema coordinato k.
Sia k H e denotiamo con HW la classe dei sistemi coordinati su P(W ).
Poniamo
Hk = {k1 k|k1 HW } .

(4.2)

La coppia ordinata (W, Hk ) e una struttura di spazio geometrico proiettivo


di dimensione r, che non dipende da k.
Sia P Sn e supponamo k(P ) = n (0 , . . . , n ), essendo (i )0in un
elemento di (K n+1 ) . Si ha
P W n (0 , . . . , n ) P(W )
Dimostrazione.
Siano k, k 0 H due sistemi coordinati.
Allora, per il teorema 4.3 ed il successivo remark esiste T GLn(n+2) (K)
tale che k 0 = T k.
118

Dalla precedente segue k 0 (W) = T (k(W)).


Cioe W = (k 0 )1 (T (P(W ))).
Ora esiste L GL(n + 1, K) tale che T (P(W )) = P(L(W )) e la prima asserzione segue, perche L trasforma sottospazi vettoriali di K n+1 in sottospazi
proiettivi vettoriali di K n+1 della stessa dimensione.
Proviamo ora che W ha una struttura indotta di spazio proiettivo di
dimensione r.
Sia HW la classe di equivalenza che munisce P(W ) della struttura canonica di spazio proiettivo.
Per il teorema precedente, la classe di equivalenze Hk ottenuta da HW
mediante la (4.2) munisce W della struttura di spazio proiettivo di dimensione
r, essendo la ridotta della restrizione k a W una bigezione.
Rimane da far vedere che essa non dipende da k H.
Consideriamo ora k 0 H come nella prima parte della dimostrazione e
denotiamo ancora T GLn(n+2) (K) la proiettivita tale che k 0 = T k e con
L : K n+1 K n+1 lisomorfismo lineare tale che T n = n L.
Inoltre, si ha W = (k 0 )1 (P((L(W ))).
Quindi, denotiamo con Hk0 linsieme dei sistemi coordinati che si ottengono madiante la (1.8) da HL(W ) .
Lasserto e vero se Hk = Hk0 .
Sia k1 Hk0 .
Per definizione, esiste un sistema coordinato k2 HL(W ) tale che k1 =
k2 k 0 .
Si ha k1 = k2 T k.
Poiche k2 e il sistema coordinato rispetto alla struttura canonica di spazio
proiettivo definita su L(W ), per il teorema 4.5 esiste una base B 0 = (y )0r
tale che k2 (< v > ) = r (kB 0 (v)).
Poiche L e un isomorfismo lineare esiste una base B = (x )0r di W
tale che L(x ) = y , per ogni
P
Pr {0, . . . , r}.
Da cio segue che v = =0 x , se e solo se L(v) = r=0 y , per
ogni ( )0r K r+1 . Allora, denotato con k3 HW il sistema coordinato
ottenuto
4.5 a partire dalla base B, per ogni v W , con
Pr nel teorema

v = =0 x e ( )0r (K r+1 ) risulta


k3 (< v > ) = r (0 , . . . , r ) = k2 (< L(v) > )) = k1 (T (< v > )) .
Pertanto, risulta k3 = k2 T e quindi k1 = k2 k Hk , da cui lasserto.
Lultima asserzione e banale.
119

Definizione 4.8. Nelle ipotesi del teorema precedente, diremo che (W, Hk )
e la struttura di spazio geometrico proiettivo canonicamente indotta da Sn
su W.
Nelle ipotesi del teorema e della definizione precedenti precedente si ha
Per r = 0, il sottospazio geometrico proiettivo W e un insieme contenente
un unico punto.
Per r = 1, il sottospazio geometgrico proiettivo W e detto retta geometrica
proiettiva.
Per r = 2, il sottospazio geometrico proiettivo W e detto piano geometrico
proiettivo.
Per r = n 1, il sottospazio geometgrico proiettivo W e detto iperpiano
geometrico proiettivo.
Teorema 4.9. Sia W un sottospazio geometrico proiettivo di Sn , di dimensione r, con r 1.
Fissato un sistema coordinato k H, lequazione di W in k e
i

r
X

i t , K , (t )0r (K r+1 ) i {0, . . . , n} ;

(4.3)

=0

con la matrice A = ()0in| 0r di rango massimo.


Vale anche il viceversa.
Linsieme dei punti di Sn le cui coordinate verificano una equazione del
tipo (4.3) , con la matrice A di rango massimo, sono tutti e soli quelli di un
sottospazio geometrico proiettivo W di Sn .
Dimostrazione.
Siano W un sottospazio geometrico proiettivo di dimensione r 1, di Sn
e k H un suo sistema coordinato.
Per la definizione 4.7 esiste un sottospazio vettoriale W di dimensione
r + 1 di K n+1 tale che P W, se e solo se k(P ) P(W ), o eqivalentemente
k(P ) = n ((i )0in ), con (i )0in W .
Sia (y )0r una base di W e supponiamo che per ogni {0, . . . , r}
risulti y = (i )0in K n+1 .
Osserviamo che la matrice A = (i )0in| 0r ha rango massimo, peche
la famiglia (y )0r e libera.
Allora, considerato un punto P P(V ) si ha che P W, se e solo se
P = n ((i )0in ), con v = (i )0in W , ilP
che e vero se e solo se esiste

r+1
una famiglia (t )0r (K ) tale che v = r=0 t y .
120

Da qui, con semplici osservazioni, segue lasserto.


Viceversa, consideriamo linsieme dei punti di Sn le cui coordinate proiettive omogenee in un sistema coordinato k H soddisfano lequazione (4.3),
con la matrice A = (i )0in| 0r di rango massimo e r 1.
Poiche la matrice ()0in,0r ha rango massimo, posto y = (i )0in ,
per ogni {0, . . . , r}, la famiglia (y )0r e libera.
Allora il sottospazio vettoriale W =< (y )0r > di K n+1 ha dimensione
r + 1.
Consideriamo il sottospazio geometrico proiettivo W0 = k 1 (P(W )) di
dimensione r di Sn .
Possiamo calcolare lequazione di W0 nel sistema coordinato k, come nella
priam parte della dimostrazione, riottenendo lequazione (4.3).
Pertanto W = W0 e quindi lasserto.
Teorema 4.10. Consideriamo una famiglia (P )0r (Sn )r+1 .
Esiste un unico sottospazio geometrico proiettivo W di Sn tale che P
W, per ogni {0, . . . r} e se U e un ulteriore sottospazio geometrico proiettivo tale che P U, per ogni {0, . . . , r}, si ha W U.
Se i punti (P )0r non appartengono tutti ad unico sottospazio proiettivo di dimensione r 1, allora appartengono tutti ad un unico sottospazio
proiettivo di dimensione r.
Se r = n e i punti (P )0n non appartengono tutti ad unico iperpiano,
allora sono i punti fondamentale di un riferimento proiettivo.
Dimostrazione.
Consideriamo la famimiglia (P )0r (Sn )r+1 e fissiamo un sistema
coordinato proiettivo k H di Sn .
Poniamo k(P ) =< v > , con v V , per ogni {0, . . . , r} di K n+1 .
Otteniamo cos una famiglia di vettori che genera il sottospazio vettoriale
W =< (v )0r > di dimensione s r.
Poiche per ogni {0, . . . , r} risulta v W , si ha P W.
Sia U un altro sottospazio proiettivo di Sn tale che P U, per ogni
{0, . . . , r} e poniamo k(U) = P(U ), con U sottospazio vettoriale di K n+1 .
Essendo v U , per ogni {0, . . . , r}, si ha dimK U dimK W = s + 1.
Se dimK U = s + 1, allora gli elementi della base di W estratta della
famiglia (v )0r appartengono a U e quindi U = W , da cui W = U.
Quindi la prima parte del teorema e vera.
Supponiamo ora che i punti P non appartengano tutti ad uno stesso
sottospazio proiettivo di dimensione r 1.
121

Allora la famiglia (v )0r e libera.


Infatti, se per assurdo cos non fosse, ci sarebbe almeno un vettore dipendente dai rimanenenti e la spazio vettoriale W avrebbe dimensione s r 1
che e sempre contenuto in un sottospazio vettoriale U di dimensione r.
Pertanto tutti i punti apparterrebbero al sottospazio U di dimensione
r 1.
Lasserzione precedente e contro le ipotesi del teorema, quindi la famiglia
(v )0r e libera, pertanto W e il sottospazio vettoriale avente dimensione
minima cui appartengono i suoi elementi ed esso e unico.
Quindi anche la seconda asserzione del teorema e vera.
Supponiamo ora r = n.
Per quanto visto nelle dimostrazione del punto precedente (v )0n e
una famiglia libera e quindi una base di K n+1 .
Per questo esiste un isomorfismo lineare L : K n+1 K n+1 tale che
L(vi ) = ei , per ogni i {0, . . . , n}, essendo (ei )0in la base naturale di
K n+1 .
Lisomorfismo L determina a sua volta ununica proiettivita
T GLn(n+2) (K) tale che T n = n L.
Possiamo quindi considerare il sistema coordinato proiettivo k 0 = T k
H di Sn .
Infine, per ogni i {0, . . . , n}, si ha k 0 (Pi ) = T (k(Pi )) = T (n (vi )) =
n (L(vi )) = n (ei ) = oi , da cui segue lasserto.
Teorema 4.11. Siano W un sottospazio geometrico proiettivo di Sn , di dimensione r 0 e k H un sistema coordinato proiettivo di Sn .
Allora lequazione di W rispetto a k si puo scrivere come
W :

n
X

ai i = 0 ,

{1, . . . , n r} ;

(4.4)

i=0

con la matrice C = (ai )0in| 1nr di rango massimo.


Vale anche il viceversa.
Il sistema lineare omogeneo (4.4), con la matrice C = (ai )0in| 1nr
di rango massimo e r 0, e sempre lequazione di un sottospazio geometrico
proiettivo W di Sn , di dimensione r, rispetto al sistema coordinato proiettivo
k.
Dimostrazione.
122

Dapprima consideriamo un sottospazio geometrico proiettivo di Sn , di


dimensione r 0 e un sistema coordinato priettivo k H di Sn .
Allora, lequazione di W e data da (4.3), con la matrice
A = ()0in| 0r di rango massimo.
Consideriamo un pinto P Sn , avente
K(P ) = n ((i )0in , con (i )0in (K n+1 ) .
Il punto P appartiene a W, se e solo se esiste una famiglia (t )0r (K r+1 )
che rende il primo membro della equazione (4.3) uguale al secondo membro
della stessa equazione.
La precedente affermazione equivale a dire che, considerata la (4.3) come
un sistema di n + 1 equazioni nelle r + 1 incognite (t )0r , il punto P
appartiene a W, se e solo se le sue coordinate proiettive omogenee (i )0in ,
sono tali che il sistema ammatte una soluzione diversa dalla banale.
Osserviamo che, essendo le i non tutte nulle, la soluzione del sistema
(4.3), se esiste, e diversa da quella banale.
Per il teorema di RoucheCapelli, il sistema (4.3) ammette soluzione se e
solo se il rango della sua matrice completa e quello della sua matrice incompleta coincidono.
Infine, per il teorema sugli orlati, i due ranghi precedenti coincidono se
e solo se, considerato un minore di ordine massimo non nullo nella matrice
incompleta tutti i suoi orlati nella matrice completa sono nulli. Al pi
u cambiando lurdine delle equazioni, possimo suppore che il minore di ordine massimo non nullo sia quello dei coefficienti delle prime r + 1 equazioni; cioe


0 0 . . . 0
r
0 1
1 1 . . . 1
r
0 1
6= 0

..


.

r r
r
0 1 . . . r
I suoi orlati sono tutti

0 0 0
0 1

1 1 1
0 1


..

r r r.
0 1
i i i
0 1

nulli, se e solo se

. . . 0r
. . . 1r

= 0 , i {r + 1, . . . , n} .

r
. . . r
. . . ir
123

(4.5)

Il sistema (4.5) ha n r equazioni nelle incognite (i )0in , ed e lineare


omogeneo.
La matrice dei coefficienti deve avere rango massimo, perche posto
k(W) = P(W ), W e un sottospazio vettoriale di dimensione r + 1 e tutti e
solo i suoi vettori devono essere le soluzioni del sistema (4.5).
Viceversa, osserviamo che linsime W delle solusioni del sistema omogeneo
(4.4) e un sottospazio vettoriale di K n+1 di dimensione n+1(nr) = r +1,
essendo per ipotesi la matrice del sistema di rango massimo, con r 0.
Allora, denotato con k H il sistema coordinato proiettivo di Sn in cui
stiamo considerando il sistema, e immediato verificare che (4.4) e lequazione
di W = k 1 (P(W )).
La posizione reciproca di due sottospazi geometrici proiettivi di Sn e data
dal seguente teorema.
Teorema 4.12. Siano W e U due sottospazi geometrici proiettivi di Sn .
Linsieme W U o e linsieme vuoto, oppure e un sottospazio geometrico
proiettivo di Sn
Se r e la dimensione di W, s quella di di U e W U 6= la dimensione
h di W U e minore o uguale sia di r, che di s
Dimostrazione.
Sia k H un sistema coordinato proiettivo di Sn .
Supponiamo W = k 1 (P(W )) e U = k 1 (P(U )), con W e U sottospazi
vettoriali di dimensione r + 1 e s + 1, rispettivamente.
Sia P Sn e supponiamo k(P ) =< v > , con v (K n+1 ) .
Si ha
P W U < v > W e < v > U < v > W U
Se W U coincide con linsieme ridotto al solo zero di K n+1 , allora WU = ,
perche in Sn non esistono punti che abbiano tutte le coordinate proiettive
omogenee nulle.
Se W U e un sottospazio vettoriale di dimensione h 1, con h 0,
allora dalla precedente segue
P W U k(P ) P(W U ) P k 1 (P(W U ))

124

Usando le stesse ipotesi e notazioni della proposizione precedente e della


sua dimostrazione, le equazioni dei due sottospazi sono rispettivamente
W :

n
X

ai i = 0 ,

{1, . . . , n r} ;

bi i = 0 ,

{1, . . . , n s} ;

i=0

U :

n
X
i=0

I punti di W U hanno in k coordinate proiettive omogenee che soddisfano


entrambe le equazioni precedenti e pertanto le loro coordinate proiettive omogenee sono le soluzioni del sistema omogeneo
 Pn i
ai = 0 , {1, . . . , n r}
Pi=0
n
i
{1, . . . , n s}
i=0 bi = 0 ,
Se la matrice di tale sistema ha rango n + 1, allora lunica sua soluzione e
quella banale e W U = .
Se invece il rango della matrice del sistema precedente e minore di n + 1,
il sistema ammette soluzioni dieverse dalla banale e queste sono le coordinate
proiettive omogenee dei punti di W U.
Definizione 4.9. Siano W e U due sottospazi proiettivi di Sn .
Sia k H un sistema coordinato proiettivo di Sn e supponiamo W =
1
k (P(W )) e U = k 1 (P(U )), con W e U sottospazi vettoriali di K n+1 .
Il sottospazio proiettivo W U = k 1 (P(W + U )) e detto sottospazio
proiettivo congiungente W e U.
Teorema 4.13. Nelle ipotesi della definizione precedente, supponiamo che
le dimensioni di W e U siano rispettivamente r ed s.
Se W U = , allora la dimensione di W U e r + s + 1.
Se W U 6= e la dimensione di W U e h, la dimensione di W U e
r + s h.
Dimostrazione.
Con le notazioni dellenunciato, le dimensioni di W e U sono rispettivamente r + 1 e s + 1.
Nel primo caso si ha W +U = W U e la dimensione di questo sottospazio
vettoriale e r + s + 2.
Nel secondo caso la dimensione di W +U e r+s+2(h+1) = r+sh+1.

125

Osservazione 4.3. Nelle ipotesi del teorema precedente, se r = n 1, il


sistema (4.4) si riduce allunica equazione
W :

n
X

ui i = 0 ;

(4.6)

i=0

essendo la matrice dei coefficienti di rango massimo, si ha


(ui )0in (K n+1 ) .
In pi
u lo stesso teorema afferma che ogni equazione (4.6), con (ui )0in
(K n+1 ) , e quella di un iperpiamo geometrico proiettivo di Sn .
La precedente si ricorda meglio se si scrive nella sua forma originale (4.5)



0 0 0 . . . 0
n1
1
0


1 1 1 . . . 1
n1
1
0



..
(4.7)
=0 .

.

n1 n1 n1
n1
0 1
. . . n1
n
n
n

0 1 . . . nn1
Lequazione (4.7) e anche lequazione di un iperpiano geometrico proiettivo
di Sn , passante per gli n punti P aventi coordinate proiettive omogenee
(i )0in nel sistema coordinato proiettivo k, per ogni {0, . . . , n 1}, e
non appartenenti tutti ad uno stesso sottospazio geometrico proiettivo di Sn
di dimensione n 2.
In genere si preferisce usare invece del determinante (4.7) quello della
matrice trasposta.
Si ha anche, sempre per lo stesso teorema, per la parte precedente del
remark e per il teorema sullintersezione di due sottospazi proiettivi esteso ad
un numero qualsiasi purche finito di sottospazi proiettivi, che ogni sottospazio
geometrico proiettivo di Sn di dimensione r, e lintersezione di n r iperpiani geometrici proiettivi, le cui equazioni determinano un sistema lineare
omogeneo, la cui matrice dei coefficienti ha rango massimo.
Infine, se r 1, lequazione (4.5), puo anche essere considerata come
quella del sottospazio geometrico proiettivo W, passante per gli r + 1 punti
Pj di Sn , aventi coordinate priettive onogenee (ij )0in rispetto a k e non
appartenenti tutti ad un unico sottospazio geometrico proiettivo di Sn , con
j {0, . . . , r}.
Con le notazioni precedenti, i casi di maggiore interesse per noi sono i
seguenti.
126

n=1
I riferimenti proiettivi di S1 sono tutti e soli quelli determinati da due
punti distinti e ogni punto ha in ogni riferimento proiettivo due coordinate
proiettive omogenee che sono denotate con (x0 , x1 ).
Gli unici sottospazi sono quelli banali e sono la retta geometrica proiettiva
S1 e gli insiemi ridotti ad un unico punto.
n=2
I riferimenti proiettivi di S2 sono tutti e solo quelli determinati da tre
punti non collineari e ogni punto ha in ogni riferimento proiettivo tre coordinate proiettive omogenee che sono denotate con (x0 , x1 , x2 ).
Oltre ai sottospazi proiettivi banali, esistono i sottospazi proiettivi di
dimensione uno; cioe le rette.
Sia k H un sistema coordinato proiettivo di S2 .
r=1
In questo caso, lequazione (4.7) diventa
0 0 0
x 0 1
1 1 1
x 0 1 = 0
2 2 2
x 0 1
Pertanto, possiamo scegliere
0 0
1 1

0 1
u0 = 2 2 , u1 = 01 11
0 1
0 1


0 0


, u2 = 01 11

0 1

(4.8)

e abbiamo
W : u 0 x0 + u 1 x1 + u 2 x2 = 0 .

(4.9)

quindi, se P0 (00 , 10 , 20 ) e P0 (00 , 10 , 20 ) sono due punti distinti, lequazione


della retta geometrica proiettiva [P0 , P1 ] si puo anche scrivere come
0 0
0 0
1 1






0 0 1
1 0 1
2 0 1

(4.10)
[P0 , P1 ] : x 2 2 + x 1 1 + x 1 1 = 0
0 1
0 1
0 1
Rispetto al sistema coordinato proiettivo k tutte e sole le equazioni u0 x0 +
u1 x1 + u2 x2 = 0, con (u0 , u1 , u2 ) 6= (0, 0, 0), sono le equazioni di una retta.
Per due punti distinti di S2 passa ununica retta.
Teorema 4.14. Due rette distinte di S2 si intersecano in un unico punto.
127

Dimostrazione.
Siano W e U due rette geometriche proiettive di S2 , k H un sistema
coordinato proiettivo di S2 e supponiamo W : u0 x0 + u1 x1 + u2 x2 = 0 e
U : v0 x0 + v1 x1 + v2 x2 = 0.
Allora tutti e soli i punti di WU hammo coordinate proiettive omogenee
soluzioni del sistema lineare omogeneo

u0 x0 + u1 x1 + u2 x2 = 0
;
v 0 x0 + v 1 x1 + v 2 x2 = 0
la cui matrice dei coefficienti e

A=

u0 u1 u2
v0 v1 v2

Denotiamo con il rango della matrice A.


I casi possibile sono due, essendo (u0 , u1 , u2 ), (v0 , v1 , v2 ) (K 3 ) .
Se = 1, le due righe sono proporzionali, quindi anche le due equazioni
lo sono e le due rette coincidono.
Vale anche il viceversa; cioe se le due rette coincidono il rango della
matrice A e uno e le due righe sono proporzionali.
Se = 2, tutte e sole le soluzioni non baleli del sistema sono
0 1
0 2
1 2
u u
u u
u u
2
1
0
(4.11)
x = 1 2 , x = 0 2 , x = 0 1
v v
u v
v v
al variare di in K .
Queste soluzioni sono tutte e sole le coordinate proiettive omogenee
dellunico punto comune alle due rette.
Si dice fascio di rette (di centro P S2 ) linsieme a cui appartengono
tutte e sole le rette di S2 passanti per uno stesso punto di S2 (per P ).
n = 3.
I riferimenti proiettivi di S3 sono tutti e solo quelli determinati da quattro
punti non complanari e ogni punto ha in ogni riferimento proiettivo quattro
coordinate proiettive omogenee che sono denotate con (x0 , x1 , x2 , x3 ).
Oltre ai sottospazi proiettivi banali, esistono i sottospazi proiettivi di
dimensione uno che sono le rette e quelli di dimensione due che sono i piani.
Accenniamo ora alle equazioni dei piani e delle rette di S3 .
Sia k H un sistema coordinato proiettivo di S3 .
r = 2.
128

Con scelte analoghe alle precedenti si pone


0 0 0
0 0 0
1 1 1
0 1 2
0 1 2
0 1 2


2 2 2
2 2 2




u0 = 0 1 2 , u1 = 0 1 2 , u2 = 10 11 12
30 31 32
30 31 32
30 31 32
0 0 0
0 1 2


(4.12)
u2 = 10 11 12
20 21 22
e
[P0 , P1 , P2 ] : u0 0 + u1 1 + u2 2 + u3 3 = 0;

(4.13)

e lequazione del piano geometrico proiettivo passante per i punti P0 , P1 e


P2 non collineari di S3 .
Nel sistema coordinato k tutte e sole le equazioni omogenee u0 x0 + u1 x1 +
u2 x2 + u3 x3 = 0, con (u0 , u1 , u2 , u3 ) 6= (0, 0, 0, 0), sono le equazioni di un
piano.
Siano 1 e 2 due piani di S3 .
Supponiamo che le rispettiva equazioni nel sistema coordinato k siano
1 : u0 x0 + u1 x1 + u2 x2 + u3 x3 = 0 e 2 : v0 x0 + v1 x1 + v2 x2 + v3 x3 = 0.
I punti comuni ai due piani hanno nel sistema coordinato proiettivo k
coordinate proiettive omogenee soluzioni non banali del sistema omogeneo

u0 x0 + u1 x1 + u2 x2 + u3 x3 = 0
1 2 :
(4.14)
v0 x0 + v1 x1 + v2 x2 + v3 x3 = 0
con la matrice dei coefficienti


u0 u1 u2 u3
v0 v1 v2 v3


.

Ragionando come nel caso delle rette si vede facilmente che o 1 = 2 , oppure, se i due piani sono distinti che W = 1 2 e una retta e si determinano
facilmente le coordinate dei suoi punti.
Tutte le rette di S3 (K) si possono ottenere come intersezione di due piani
distinti.
Quindi considerati due punti distini P1 , P2 S3 , con k(P1 ) = 3 (y) =
3 (y 0 , y 1 , y 2 , y 3 ) e k(P2 ) = 3 (z) = 3 (z 0 , z 1 , z 2 , z 3 )vettori y = (y 0 , y 1 , y 2 , y 3 )

129

e z = (z 0 , z 1 , z 2 , z 3 ) linearmente indipindenti di K 4 e posto W =< {y, z} >


lequazione della retta proiettiva P(W ) e
0
x = y 0 + z 0

1
x = y 1 + z 1
[P1 , P2 ] :
(, ) (K 2 )
(4.15)
2
2
2
x
=
y

+
z

3
x = y 3 + z 3
Lquazione (4.15) puo essere considerata come un sistema di quattro
equazioni nelle due incognite (, ) K 2 .
Per scrivere il sistema (4.5), possiamo supporre che il minore di ordine
massimo non nullo sia
0 0
y z
a = 1 1 6= 0
y z
Allora, il punto P (x0 , x1 , x2 , x3 ) appartiene a [P1 , P2 ], se e solo se
0 0 0
0 0 0
x y z
x y z


1 1 1
x y z = 0 e x1 y 1 z 1 = 0
3 3 3
2 2 2
x y z
x y z
Se un qualsiasi altro determinante della matrice dei coefficienti dellequazione
(4.15) considerata come sistema di quattro equazione nelle incognite (, ) e
non nullo si puo ragionare in modo analogo.
Torniamo ora al caso generale per dimostrare il principio di dualit
a.
Sia n linsieme degli iperpiani dello spazio geometrico proiettivo Sn .
Teorema 4.15. Sia k H un sistema coordinato proiettivo di Sn .
Esiste una bigezione k : n Pn (K), tale che

k (W)
0 , u1 , . . . , un ), per ogni iperpiano W 2 , avente equazione
Pn= n (u
i
W : i=0 ui x = 0 nel sistema coordinato proiettivo k.
La struttura di spazio geometrico proiettivo definita da k mediante il
teorema 4.7, non dipende dal sistema coordinato k.
Dimostrazione.
La relazione binaria k e unapplicazione.
Infatti, sia W n e unPiperpiano proiettivo P
di Sn , e consideriamo due
n
i
sue equazioni diverse W : i=0 ui x = 0 e W : ni=0 vi xi = 0 nel sistema
coordinato proiettivo k.
Allora, risulta (ui )0in , (vi )0in (K n+1 ) ed esiste K tale che
i
v = ui , per ogni i {0, . . . , n}.
130

Da cio segue che esiste n ((ui )0in ) e risulta


n ((ui )0in ) = n ((vi )0in )
Quindi k (W) esiste ed e unico.
k e surgettiva.
Se (ui )0in (K n+1 ) , esiste un iperpiano geometrico proiettivo W n
di
che lequazione di W nel sistema coordinato proiettivo k e W :
PnSn , tale
i

i=0 ui x = 0 per cui k (W) = n ((ui )0in ).

k e ingettiva.
Per questo siano W, U n due iperpiani geonetrici proiettivi di Sn tali
che k (W) = k (U).
Supponiamo
che le loro
siano rispettivamente
Pn
Pnequazioni
i
i
W : i=0 ui x = 0 e U : i=0 vi x = 0 nel sistema coordinato proiettivo k.
Dovendo essere n ((ui )0in ) = n ((vi )0in ), esiste K tale che
v i = ui , per ogni i {0, . . . , n}.
Pertanto, si ha W = U.
Essendo k una applicazione bigettiva, esiste ununica struttura di spazio
geometrico proiettivo definita dal teorema 4.7.
Sia k 0 H un ulteriore sistema coordinato proiettivo di Sn .
Allora esiste una matrice A = (bij )0in| 0jn GL(n + 1, K) tale che
per ogni punto
P Sn , con k(P ) = n ((xi )0in ) e k 0 (P ) = n ((y i )0in ),
P
risulta xi = nj=0 bij y j .
Sia ora W n un iperpiano geometrico
P proiettivo di Sn e supponiamo
che la sua equazione rispetto a k sia W : ni=0 ui xi , con (ui )0in (K n+1 ) .
Nel sistema coordinato proiettivo k 0 la sua equazione sara
!
!
n
n
n
n
X
X
X
X
i j
i
W:
ui
bj y =
u i bj y j
i=0

j=0

j=0

i=0

Da cio, in modo ovvio segue che esiste T GL(n(n + 2), K) tale che (k 0 ) =
T k , con lovvio significato di (k 0 ) .
Si ha cos lasserto.
Definizione 4.10. Consideriamo P Sn e linsieme
F(P ) = {W n |P W} .
Per n 4, F(P ) e detto stella di iperpiani di centro P .
Per n = 3, F(P ) e detta stemma di piani di cento P .
Per n = 2, F(P ) e dotto fascio di rette di centro P .
131

Il teorema precedente, con le ovvie osservazioni sugli iperpiani di n e sui


punti di Sn , consentono di enunciare il principio di dualita :
Tutti i teoremi relativi a Sn continuano a valere se si sostituisce la parola
punto con la parola iperpiano e la parola iperpiano con la parola stella
di iperpiani.
Per n = 3 e n = 2, nellenunciato precedente bisogna fare gli ovvii adattamenti di linguaggio.

4.2

Ampliamenti Complessi degli Spazi Proiettivi Reali

Supporremo che V sia un ampliamento complesso di uno spazio vettoriale


reale VR di dimensione n + 1 e considereremo solo le basi reali di V .
Se C 6= e un sottinsieme di VR , denoteremo con < C >R il sottospazio
vettoriale reale generato da C e con < C >C quello complesso anchesso
generato di C.
E immediato che < C >C e lampliamento complesso di < C >R .
In questo caso avremo due spazi proiettivi: lo spazio proiettivo reale P(VR )
e lo spazio proiettivo complesso P(V ).
Teorema 4.16. i).
Esiste una applicazione ingettiva j : P(VR ) P(V ) definita nel modo
seguente j((< v >R ) ) = (< v >C ) , per ogni v VR .
ii).
Inoltre j trasforma sottospazi proiettivi di dimensione r 0 di P(VR ) in
sottospazi proiettivi di P(V ) della stessa dimensione.
iii).
Infine se W e un sottospazio vettoriale di VR e C e una sua base, si ha
j(P(W )) = j(P(< C >R ) = P(< C >C ) .
Dimostrazione.
La i) e immediatamente vera.
Proviamo che j e ingettiva.
Per questo siano P, Q P(VR ) tali che j(P ) = j(Q).
Considerati v, w (VR ) tali che P = (< v >R ) e Q = (< w >R ) , per il
modo in cui e definita j, si ha (< v >C ) = (< w >C ) .
Dalla precedente uguaglianza segue che esiste C tale che v = w.
132

Essendo v, w (VR ) , deve essere R e quindi si ha lingettivita,


essendo P = (< v >R ) = (< w >R ) = Q.
Infine, la dimostrazione del fatto che la iii) e vera, e banale.
Osservazione 4.4. Nel seguito useremo j per identificare i punti di P(VR )
con i corrispondenti punti di P(V ).
Con questa identificazione avremo
P(VR ) = j(P(VR )) = {(< v >C ) |v (VR ) } = PR (V ) .
Inoltre, se W e un sottospazio vettoriale di VR , di dimensione r 1, si ha
lidentificazione
P(W ) = j(P(W )) = {(< v >C ) |v W } = PR (W ) .
In entrambi le precedenti, lultima uguaglianza e posta per definizione.
In pi
u, ultima identificazione ogni sottospazio proiettivo di P(VR ) diventa
un sottospazio proiettivo di P(V ) della stessa dimensione.
Ricordato che una base reale di V e una base di V i cui elementi appartengono tutti a VR , nel seguito denoteremo con LR (V ) linsieme di tutte e
sole le basi reali di V .
Cio premesso possiamo porre la seguente
Definizione 4.11. Diremo che la coppia ordinata (P(V ), LR (V )) e
l ampliamento complesso di uno spazio proiettivo reale.
Se B = (x )0n LR (V ), porremo o = (< x >C ) e diremo che
l(n + 1)edro (o )0n e un (n + 1)edro reale, o equivalentemente che e
un riferimento proiettivo reale.
I pinti di PR (V ) si dicono punti reali.
Dora in poi supporremo sempre che (P(V ), LR (V )) sia lampliamento
complesso di uno spazio proiettivo reale.
I seguenti teoremi hanno tutti dimostrazioni che derivano in modo abbastanza diretto dagli ampliamenti complessi degli spazi vettoriali reali e quindi
sono lasciate agli studenti come utile esercizio.
Teorema 4.17. I punti reali di P(V ) hanno coordinate omogeneamente reali
in ogni riferimento reale.

133

Osservazione 4.5. Il precedente teorema ci assicura che, se P PR (V )


ha coorinate proiettive omogenee ( )0n (Cn+1 ) rispetto ad un riferimento proiettivo reale, allora esiste C tale che R, per ogni
{0, . . . , n}.
Cioe per i punti reali le coordinate possono essere sempre scelte reali nei
riferimenti reali.
Definizione 4.12. Dato un punto P P(V ), con P = (< v >C ) si dira
complesso coniugato di P il punto P = (< v >C ) .
Dato un sottospazio proiettivo P(W ) di P(V ), con W sottospazio vettoriale di V , si dira complesso coniugato di P(W ) il sottospazio proiettivo P(W ).
Teorema 4.18. i).
Se il punto P P(V ) e il complesso coniugato di P P(V ) rispetto ad un
riferimento proiettivo reale, allora P e il complesso coniugato di P in ogni
riferimento proiettivo reale. In pi
u, si ha P = P e P = P , se e solo se P e
reale.
ii).
Se P(W ) e il sottospazio proiettivo di P(V ), complesso coniugato del sottospazio proiettivo P(W ), allora P(W ) = {P |P P(W ).
Dalla precedente segue che la nozione di sottospazio proiettivo complesso
coniugato di un sottospazio pproiettivo di P(V ) non dipende dal riferimento
proiettivo.
iii).
Se P(W ) e un sottospazio proiettivo reale di P(V ), si ha P(W ) = P(W ).
Osservazione 4.6. Dalle proposizioni precedenti che nellequazione di un
sottospazio proiettivo reale (4.3) di P(V ), possiamo sceglere tutti i coefficienti
reali, fatta eccezione per che deve appartenere a C .
Inoltre, in tutte le equazioni ottenute successivamente per i casi particolari
tutti i coefficienti possono essere scelti reali.

134

5
5.1

Spazi Geometrici Proiettivi e Spazi Affini


Definizioni e Propriet
a

Osservazione 5.1. Se K = R, oppure K = C le asservazioni fatte si applicano direttamente agli spazi geometrici proiettivi considerati e sono sufficienti per il seguito, pertanto, per gli spazi geometrici proiettivi reali e per
quelli complessi non considereremo nessuna ulteriore proprieta.
Supponiamo K = C e consideriamo su Cn+1 la struttura standard di
ampliamento complesso di spazio vettoriale reale.
Un esempio

5.2

Spazi Geometrici Proiettivi e Spazi affini

Sia n uno spazio affine su K n , con K campo e denotiamo con (ei )1in la
sua base naturale.
Indichiamo con = W1 linsieme delle rette di n .
Il teorema 1.19 ci assicura che possiamo considerare il quoziente n1, =
/ k, essendo la relazione di parallelismo tra rette una relazione di equivalenza.
Poniamo Sn = n n1, ed osserviamo che n n1, = .
Osserviamo che per ogni P n1, esiste una retta r = (A, v) di n tale
che P = [r]k e che la classe di parallelismo [r]k e completamente determinata
dalsottospazio vettoriale < v > , con v V .
Vale anche il viceversa ed ogni vettore v V determina una classe di
parallelismo [r]k , con r = (A, v) e A n . Inoltre, la classe [r]k non dipende
dal vettore arbitrariamente scelto in < v > .
Le osservazioni precedenti ci consentono di porre P =< v > , per ogni
P n1, , con P = [r]k , r = (A, v), A n e v V . Cio premesso,
fissiamo un riferimento affine R(O, B) di n , con B = (xi )1in e denotiamo
con h : n K n il sistema coordinato da esso determinato.
Teorema 5.1. Esiste unapplicazione bigettiva k : Sn Pn (K), definita nel
modo seguente. Per ongni P Sn , poniamo:

n (1, 1 , . . . , n ) se P n e h(P ) = (i )1in


n (0, 1 ,P
. . . , n ) se P =< v > n1,
k(P ) =
(5.1)

e v = ni=1 i ei con (i )1in (K n )


135

Dimostrazione.
Per prima cosa proviamo che k e una applicazione.
Sia P Sn .
Supponiamo dapprima che P appartenga solo a n .
Poiche h e una applicazione, esiste ed e unico h(P ) = (1 )1in K n .
Quindi, k(P ) = n (1, 1 , . . . , n) esiste ed e unico, poiche (1, 1 , . . . , n)
(K n+1 ) e unico e n e una applicazione.
Supponiamo ore che P appartenga solo a n1, .
Allora, esiste v (K n ) tale che P =< v > , con v = (i )1in . Pertanto
si ha (0, 1 , . . . , n ) (K n+1 ) .
Inoltre, risulta < (0, 1 , . . . , n ) > = {0} < v > .
Consideriamo ora A n e poniamo r = (A, v), risulta P = [r]k . Sia ora
s = (Q, w), con Q n e w (K n ) . Allora, s [r]k se e solo se w < v > .
Dalle osservazioni precedente segue che n (0, 1 , . . . n ) non dipende dal
rappresentante della calsse di equivalenza P = [r]k e quindi k(P ) esiste ed e
unico anche in questo caso.
Non esistono altri casi possibili, perche n n1, = .
Osservazione 5.2. Nelle ipotesi del teorema precedente se P Sn con
k(P ) = n (0 , . . . , n ) si possono presentare due casi.
n
1
Se 0 6= 0, allora si ha anche k(P ) = n (1, 0 , . . . , 0 ) e si ha
1
n
P = h1 ( 0 , . . . , 0 ) n
Se 0 = 0, deve esistere i0 {1 . . . , n} tale che i0 6= 0, essendo
i
( )0in (K n+1 ) .
P
Allora, considerato il vettore v = ni=1 i ei 6= 0K n ed un punto A n si
ha P = [(A, v)]k .
Definizione 5.1. Nelle ipotesi precedenti si dice che (Sn , H), con k H, e
lo spazio geometrico proiettivo associato allo spazio affine n .
n1, e detta iperpiano improprio di n .
Per n = 1, 0, , contiene un unico punto detto punto improprio della
retta affine 1 .
Per n = 2, 1, e detta retta impropria dello spazio affine 3 .
Per n = 3, 3, e detto piano improprio delle 3 .
I punti di n1, sono detti punti impropri.
I punti di n sono detti punti propri.
Il passaggio dalle coordinate affini a quelle proiettive di un punto P n
tramite il remark 5.2 e detto disomogenizzazione delle coordinate proiettive
136

di P , mentre quello inverso e detto omogenizzazione delle coordinate affini


di P .
Teorema 5.2. La struttura di spazio proiettivo (Sn , H) non dipende dal riferimento affine R(O, B).
Dimostrazione.
Osserviamo dapprima che la definizione di n1, non dipende dal sistema
coordinato, pertanto Sn non dipende da R(O, B).
Siano R(O0 , B 0 ) un ulteriore sistema di riferimento affine di n , h0 : n
n
K il suo sistema coordinato e k 0 : Sn Pn (K) il sistema coordinato proiettivo dedotto da h mediante il teorema 5.1.
Consideriamo un punto P n .
Supponiamo, inoltre, k(P ) = n ((i )0in ) e k 0 (P ) = n ((i )0in ).
Poiche P n , si ha 0 , 0 6= 0 per cui risulta
 i
 i

0
e
h
(P
)
=
h(P ) =
0 1in
0 1in
Allora, denotata con A = (aij )1in| 1in GL(n, K) la matrice del teorema
1.11, sempre per lo stesso teorema si ha
n

X j
i
i
=

+
aij 0 ,
0

i=1
Posto = 0 /0 ,
 0
= 0
P
i = 0 i + ni=1 aij j ,

i {1, . . . , n}

i {1, . . . , n}

e rappresenta il cambiamento delle coordinate di P rispetto al sistema coordinato proiettivo k in quelle di P stesso rispetto al sistema coordinato
proiettivo k 0 .
Lespessione precedente ci assicura che k 0 = T k, con T GLn(n+2) (K),
se e solo se la matrice H che la determina ha rango massimo.
Cio e vero in quanto

0... 0
0 1 a1 . . . a 1
1
n

H=

..

.
0 n n
n
a1 . . . a n
137

e da cio segue che il determinante di H e uguale a quello di A che a sua volta


e diverso da zero.
Pertanto, si ha che lasserto e vero.
Definizione 5.2. La struttura di spazio geometrico proiettivo (Sn , H) ottenuta con le costruzioni precedenti e detta struttura naturale di spazio geometrico proiettivo associata a n .

138

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