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Geometria Affine
1.1
Generalit
a sugli Spazi Affini
P, Q, R ;
(1.1)
e
O , v V , |P tale che
f (O, P ) = v
(1.2)
Teorema 1.1. Si ha
f (P, P ) = 0V ,
P n
(1.3)
e
f (P, Q) = f (Q, P ) ,
P, Q n
(1.4)
Dimostrazione.
Lassioma (1.1) puo essere considerato per P = Q = R n e in questo
caso diventa f (P, P ) + f (P, P ) = f (P, P ). Poiche (V, +) e un gruppo, la
precedente implica che f (P, P ) = 0, per ogni P n .
Per ogni P, Q n lassioma (1.1) implica f (P, Q)+f (Q, P ) = f (P, P ) =
0V , avendo considerato P = R. Di nuovo lasserto segue dal fatto che (V, +)
e un gruppo.
Teorema 1.2. Si ha
P, Q n : f (P, Q) = 0V
P =Q
(1.5)
Dimostrazione.
Infatti, siano P, Q n . Se P = Q per la (1.3) risulta f (P, Q) = 0V . Se
f (P, Q) = 0V , essendo per la (1.3) anche f (P, P ) = 0V segue P = Q, perche
per lassioma (1.2)
per O = P e v = 0 il punto Q n tale che f (O, Q) = v e unico.
Dallassioma (1.2) segue
Teorema 1.3. Sia O n .
i).
Lapplicazione fO : n V , definita ponendo fO (P ) = f (O, P ), per ogni
P n , e una bigezione.
ii).
Lapplicazione +O : n n n , definita ponendo
P +O Q = fO1 (fO (P ) + fO (Q)) ,
P, Q n ;
K , P n ;
P n .
Il teorema precedente afferma che ogni spazio affine, una volta fissato
un suo punto qualsiasi, ha le stesse proprieta dello spazio vettoriale su cui e
costruito, essendo ad esso isomorfo. Questo giustifica la necessita dello studio
di tante proprieta degli spazi vettoriali.
Definizione 1.3. Lo spazio vettoriale (n , +O , O ) sul campo K sara detto
spazio puntato ( in O).
Se la famiglia (Pi )1ir , con r 1, di elementi di n e libera rispetto alla
struttura di spazio vettoriale precedente, diremo che i punti della famiglia
(Pi )0ir sono affinemente indipendenti, avendo posto P0 = O.
Per n = 0, si ha V = {0V } e quindi 0 = {P } e un insieme che contiene
un unico punto.
Teorema 1.4. Sia 6= un insieme.
Linsieme ha una struttura di spazio affine su V , se e solo se esiste una
bigezione h : V .
In ogni caso, la struttura di spazio affine su V di e determinata dalla
applicazione f : V definita da
P, Q : f (P, Q) = h(Q) h(P ) .
4
Dimostrazione.
Se ha una struttura di spazio affine su V , esiste unapplicazione f :
V che verifica gli assiomi (1.1) e (1.2).
Allora, fissato O , lapplicazione fO : V definita nel teorema 1.3
e una bigezione e si ha:
P, Q : f (P, Q) = f (P, O) + f (O, Q) = fO (Q) fO (P ) .
Quindi la prima implicazione e vera, considerando h = fO .
Viceversa, sia h : V una bigezione dellinsieme sullo spazio vettoriale V .
Denotiamo con f : V lapplicazione definita da
P, Q : f (P, Q) = h(Q) h(P ) .
Lapplicazione f verifica gli assiomi (1.1) e (1.2). Infatti, si ha
P, Q, T : f (P, Q)+f (Q, T ) = h(Q)h(P )+h(T )h(Q) = h(T )h(P ) = f (P, T ) .
Quindi, vale lassioma (1.1) Per lassioma (1.2), consideriamo O e
v V.
Esiste un unico P tale che f (O, P ) = v, se e solo se
h(P ) h(O) = v h(P ) = v h(O) P = h1 (v h(O)) ;
essendo h bigettiva.
Per la genericita di O e di v V , vale lassioma (1.2).
Osservazione 1.1. Il teorema precedente implica che su V esiste una struttura di spazio affine, detta canonica, ottenuta mediante lapplicazione identica di V in se.
Lapplicazione f : V V V che determina tale struttura e data da
f (u, v) = v u, per ogni u, v V .
Definizione 1.4. Consideriamo O n . Ogni sottospazio vettoriale dello
spazio puntato (n , +O , O ) sara detto sottospazio affine di n passante per
O, oppure sottovarieta lineare di n (passante per O).
Inoltre, se WO e un sottospazio affine di n passante per O, la dimensione
del sottospazio vettoriale WO dello spazio vettoriale puntato n , denotata con
dimK WO , e detta dimensione del sottospazio affine WO .
5
P WO
f (O, P ) W .
(1.6)
In conclusione si ha:
P WO f (O, P ) W f (T, P ) W P WT .
Dimostrazione.
E un semplice ed utile esercizio di algebra lineare basato sulle proprieta
delle basi.
Definizione 1.6. La coppia ordinata R(O, B), con O n e B = (xi )1in
base di V sara detta sistema di riferimento affine su n .
Il punto O sara detto origine (degli assi).
I punti Oi = fO1 (xi ), per i {1, . . . , n}, saranno detti punti fondamentali
del riferimento.
La retta [O, Oi ], per ogni i {1, . . . , n}, sara detta asse del riferimento
R(O, B).
Per n = 2, la retta [O, O1 ] sara detta asse delle ascisse (asse delle x),
mentre la retta [O, O2 ] sara detta asse delle ordinate (asse delle y).
Per n = 3, le rette [O, O1 ], [O, O2 ] e [O, O3 ] saranno rispettivamente dette
asse delle ascisse (asse delle x), asse delle ordinate (asse delle y) e asse delle
quote (asse delle z).
Osservazione 1.4. Nelle ipotesi della iv) del teorema 1.8, poniamo O = P0
e Oi = Pi , per ogni i {1, . . . , n}, e B = (f (O, Oi ))1in . Allora, R(O, B)
e un riferimento affine, in cui P0 = O e lorigine degli assi e, per ogni
i {1, . . . , n}, Pi = Oi e un punto fondamentale.
Teorema 1.9. Sia R(O, B) un sistema di riferimento affine su n .
Lapplicazione h = kB fO : n K n e un isomorfismo lineare tra gli
spazi vettoriali (n , +O , O ) e K n .
Dimostrazione.
Il teorema e vero, perche lapplicazione composta da due isomorfismi lineari e un isomorfismo lineare.
Definizione 1.7. Nelle ipotesi del teorema precedente lisomorfismo h :
n K n e detto sistema coordinato relativo al riferimento R(O, B).
Se P e un elemento di n e h(P ) = (i )1in si dice che (i )1in e
la famiglia (o la nupla) delle coordinate di P rispetto ad h e si scrive
P ((i )1in ).
Per n = 2, al posto di indicare le coordinate del punto P 2 con
1
( , 2 ) si preferisce indicarle con (x, y), quindi avremo h(P ) = (x, y) o
equivalentemente P (x, y).
In tal caso, x ed y sono, rispettivamente, dette l ascissa e l ordinata di P
rispetto ad h.
11
h(Q) = ( )1in
f (O, Q) =
n
X
i xi
i=1
f (P, Q) =
n
X
(i i )xi
i=1
Dimostrazione.
Per la prima equivalenza basta osservare che
h(Q) = (i )1in (kB fO )(Q) = (i )1in ;
e questultima e vera, se e solo se
fO (Q) = f (O, Q) =
n
X
i xi .
i=1
i=1
e quindi lasserto.
12
i=1
n
X
aji yj ,
i {1, . . . , n}
j=1
= +
n
X
aij j ,
i {1, . . . , n}
(1.7)
i=1
Dimostrazione.
Per il teorema precedente e la precedente identita, risulta
n
X
i=1
n
X
i=1
n
X
i yi +
i=1
i yi +
n
n
X
X
i=1
!
aij j
yi =
j=1
n
X
i +
n
X
n
X
i xi
i=1
!
aij j
yi .
j=1
i=1
1 = 10 + Pr=1 y1 t
2 = 2 + r y 2 t
0
=1
WP :
(1.8)
..
.P
n = n + r y n t
0
13
=1
o equivalentemente
WP : i = i0 +
r
X
yi t
i {1, . . . , n} .
(1.9)
=1
i
i
( 0 )xi =
t y =
t
y xi =
y t xi .
=1
i=1
=1
i=1
i=1
=1
i0
r
X
yi t ,
i {i, . . . , n} .
=1
15
Si ha
h0 (P2 ) h0 (P1 )
ah(P2 ) + b ah(P1 ) b
=
=
0
0
h (P2 ) h (P3 )
ah(P2 ) + b ah(P3 ) b
h(P2 ) h(P1 )
= (P1 ; P2 , P3 )
h(P2 ) h(P3 )
x0 + x1
2
e y0 =
y0 + y1
2
(1.11)
(1.12)
y y0
x x0
=
1
v
v2
(1.13)
(1.14)
con a = v 2 , b = v 1 e c = v 1 y0 v 2 x0 .
Per le posizioni fatte, risulta (a, b) 6= (0, 0).
Si osservi che, moltiplicando primo e secondo membro della (1.14) per
K si ottengono tutte e sole le equazioni della retta r.
In pi
u, considerata lequazione (1.14), la coppia ordinata (b, a) e sempre
una coppia di parametri direttori di r.
18
con m =
a
b
e n=
c
b
(1.15)
c
x y
+ = 1 con p =
p q
a
c
e p= .
b
(1.16)
y y0
x x0
=
x1 x0
y1 y0
(1.18)
In questo caso si puo ottenere una equazione in pi
u di r.
Per questo ricordiamo che lequazione (1.14) e sempre quella di una retta,
purche (a, b) 6= (0, 0).
Quindi consideriamo lequazione
x y 1
r : x0 y0 1 = 0 .
(1.19)
x1 y 1 1
La precedente e lequazione di una retta, perche sviluppando questo determinante con la regola di Laplace applicata alla prima riga si ottiene lequazione
(1.14), con a = y0 y1 , b = x1 x0 e c = x0 y1 x1 y0 , con (a, b) 6= (0, 0).
Infatti, se fosse a = b = 0, sarebbe x0 = x1 e y0 = y1 , da cui P = Q,
contro lipotesi P 6= Q.
Infine, i due punti P e Q appartengono ad r, perche sostituendo le loro
coordinate al posto di x e y lequazione e soddisfatta in quanto si ottiene un
determinante con due righe uguali.
Pertanto, la retta di cui la precedente e lequazione e proprio r, perche
per la iii) della osservazione 1.3 per due punti distinti passa ununica retta.
La precedente e detta equazione di r sotto forma di determinante.
n=3
Gli unici sottospazi affini non banali di 3 sono le rette e i piani.
Siano R(O, B), con B = (e1 , e2 , e3 ), un riferimento affine di 3 e h : 3
K 3 il suo sistema coordinato.
Considerati P, Q 3 , con P (x0 , y0 , z0 ) e Q(x1 , y1 , z1 ) in h, si puo definire
il punto medio M tra P e Q, come lunico punto di 3 tale che f (P, M ) =
f (M, Q). Se M (x0 , y 0 , z 0 ) in h, si ha
y0 + y1
z0 + z1
x0 + x1
x0 =
, y0 =
e z0 =
2
2
2
x = x0 + v 1 t
y = y0 + v 2 t
r = (P, v) :
(1.20)
3
z = z0 + v t
20
x = x0 + (x1 x0 )t
y = y0 + (y1 y0 )t
r = [P, Q] :
(1.24)
z = z0 + (z1 z0 )t
21
e
r :
y y0
z z0
x x0
=
=
.
x1 x0
y1 y0
z1 z0
(1.25)
Se = (P ; u, v) e un piano di 3 , con u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e3 e v =
1
v e1 + v 2 e2 + v 3 e3 , con u, v linearmente indipendenti e P (x0 , y0 , z0 ) in h,
lequazione parametrica di e
x = x0 + u1 t + v 1 s
y = y0 + u2 t + v 2 s
= (P ; u, v) :
(1.26)
3
3
z = z0 + u t + v s
Dalla equazione precedente segue che:
Il piano (O, e1 , e2 ) e detto piano xy e la sua equazione e z = 0.
Il piano (O, e1 , e3 ) e detto piano xz e la sua equazione e y = 0.
Il piano (O, e2 , e3 ) e detto piano yz e la sua equazione e x = 0.
x x0 = u 1 t + v 1 s
y y 0 = u2 t + v 2 s
= (P ; u, v) :
z z0 = u3 t + v 3 s
Questultima puo essere considerata come un sistema di tre equazioni nelle
due incognite s e t.
Essendo i due vettori u e v linearmente indipendenti, la matrice dei coefficienti del precedente sistema ha rango 2, mentre quella dei coefficienti e dei
termini noti ha rango , con 2 3, .
Quindi un punto P (x, y, z) 3 appartiene a , se e solo se il sistema
precedente ammette una soluzione.
Per il teorema di RoucheCapelli, questo accade se e solo se il rango della
matrice dei coefficienti e il rango della matrice dei coefficienti e dei termini
noti sono uguali, cioe se e solo se = 2.
Condizione necessaria e sufficiente affinche cio accada e che il determinante della matrice completa sia zero.
22
Quindi lequazione di e
x x0 u1 v 1
= (P ; u, v) : y y0 u2 v 2
z z0 u3 v 3
=0.
(1.27)
(1.29)
con
2 3
u u
a = 2 3
v v
1 3
1 2
u u
, b = 1 3 , c = u1 u2
v v
v v
d = ax0 by0 cz0 ;
(1.30)
x y z
+ + =1.
p q r
(1.31)
Supponiamo che = [P, Q, T ], sia il piano passante per tre punti non
collineari P (x0 , y0 , z0 ), Q(x1 , y1 , z1 ) e T (x2 , y2 , z2 ) di 3 .
23
x = x0 + (x1 x0 )t + (x2 x0 )s
y = y0 + (y1 y0 )t + (y2 y0 )s
= [P, Q, T ] :
(1.32)
z = z0 + (z1 z0 )t + (z2 z) s
Anche in questo caso abbiamo la seconda equazione di sotto forma di determinante, data da
x y z 1
x0 y0 z0 1
=0
= [P, Q, T ] :
(1.33)
x1 y1 z1 1
x2 y2 z2 1
1.2
Per il secondo assioma sugli spazi affini, esiste un unico T n tale che
f (P, T ) = w. Essendo quindi f (P, T ) W risulta T WP .
Si ha anche f (Q, T ) = f (P, Q)+f (P, T ) = (w +u)+w = u U , per
cui risulta anche T UQ e quindi WP UQ 6= . Per il teorema precedente,
si ha
Corollario 1.1. Se W + U = V , allora WP UQ 6= .
Dimostrazione.
Infatti, in tal caso rusulta f (P, Q) V = W + U .
Teorema 1.14. Se WP UQ 6= , allora WP UQ e un sottospazio affine
di n e WP UQ = (T, W U ); cioe e il sottospazio passante per un punto
T WP UQ e avente come giacitura il sottospazio vettoriale W U di V .
Dimostrazione.
Essendo WP UQ 6= , esiste T WP UQ , da cui T WP e T UQ .
In pi
u consideriamo lapplicazione fT : n V definita nel teorema 1.3.
Per il teorema 1.6 possiamo supporre WP = (T, W ) e UQ = (T, U ).
Per provare lasserto basta dimostrare che fT (WP UQ ) = W U .
Sia S WP UQ , allora S WP e S UQ , da cui f (T, S) W e
f (T, S) U e quindi f (T, S) = fT (S) W U .
Per larbitrarieta di S WP UQ , le precedenti implicazioni provano che
fT (WP UQ ) W U .
Viceversa, se v W U , allora v W e v U .
Per lassioma 1.2 esiste S n tale che f (T, S) = v.
Essendo f (T, S) W , risulta S WP e analogamente S UQ .
Pertanto, risulta S WP UQ da cui f (T, S) = fT (S) fT (WP UQ ).
Dalle precedenti segue W U fT (WP UQ ).
Le due inclusioni precedenti implicano luguaglianza richiesta.
Teorema 1.15. Si supponga WP UQ 6= .
Allora si ha WP UQ , se e solo se W U .
Dimostrazione.
Essendo WP UQ 6= , possiamo considerare T WP UQ .
Allora, si ha WP = (T, W ) e UQ = (T, U ), per il teorema 1.6.
Supponiamo dapprima WP UQ .
Considerato w W , per lassioma (1.2) esiste S n tale che f (T, S) =
w W . Pertanto, S WP e quindi S UQ , da cui f (T, S) = w U .
25
iii).
Se r = s, WP UQ 6= e WP k UQ , allora WP = UQ .
Teorema 1.18. Supponiamo che WP = (P, W ) sia un iperpiano e che UQ =
(Q, U ) sia un sottospazio affine di n di dimensione s, con s < n.
Se WP UQ = , oppure UQ WP , allora WP k UQ .
Dimostrazione.
Se UQ WP , allora risulta U W , per il teorema 1.15 e quindi WP k UQ .
Se invece e WP UQ = , supponiamo per assurdo WP 6k UQ .
Allora, essendo dimK U dimK W , esistera v U tale che v 6 W .
Dalla precedente segue che dimK (W < v >) = n e quindi V = W <
v > W + U .
Questo implica f (P, Q) V = W + U e quindi, per il teorema 1.13,
risulta WP UQ 6= , contro lipotesi.
Lassurdo e derivato dallaver supposto WP 6k UQ e quindi WP k UQ .
Teorema 1.19. Sia Wr linsieme dei sottospazi affini di n , di dimensione
r, con 0 < r < n.
La relazione di parallelismo indotta su Wr e di equivalenza.
Sia WP = (P, W ) Wr .
Per ogni Q n il sottospazio affine WQ = (Q, W ) e lunico sottospazio
di affine di n passante per Q e parallelo a WP e appartenente a Wr .
Se UT = (T, U ) e un sottospazio affine di n passante per Q n e
parallelo a WP , risulta UT WQ , se la dimensione di UT e minore o uguale
a quella di WP , mentre risulta WQ UT nellaltro caso.
Dimostrazione.
Le prime due affermazione derivano dal fatto che lunico sottospazio vettoriale di dimensione r contenuto in W e W stesso.
Lultima affermazione deriva dalla definizione di sottospazi affini peralleli
e dal teorema 1.17, osservato che Q UT WQ .
Definizione 1.12. Due sottospazi affini di n che hanno intersezione vuota
ma non sono paralleli si dicono sghembi.
Due sottospazi affini di n non paralleli che hanno intersezione non vuota
si dicono incidenti.
Equazioni.
28
(1.34)
o equivalentemente
a b
0 0
a b
=0.
(1.35)
30
(1.36)
Ricordiamo che, lequazione (1.36) non e quella di una retta per tutte e sole
le coppie (, ) K 2 che sono soluzione del sistema
a + a0 = 0
.
b + b0 = 0
a.
Se r s = {P }, con P 2 , allora la matrice dei coefficienti del sistema
precedente ha rango massimo, perche le due rette sono incidenti nel punto
P.
Quindi questo sistema ammette solo la soluzione banale.
Pertanto, lequazione (1.36) e quella di una retta, per ogni (, ) K 2
{(0, 0}.
E di immediata verifica che in questo caso tutte le rette passano per P .
Linsieme di tutte e sole le rette passanti per P e detto fascio (proprio) e
P e detto centro del fascio, oppure linsieme di queste rette e detto fascio di
centro P .
Il fascio di centro P sara denotato con F(P ), cioe
F(P ) = {r retta di 2 |P r} .
Supponiamo P (x0 , y0 ) nel riferimento affine R(O, B).
Allora, tutte le rette di equazione
(x xO ) + (y y0 ) = 0 ,
(, ) K 2 {(0, 0)} ;
(1.37)
passano per P .
Supponiamo ora che t : ax + by + c = 0 sia una retta passante per P .
Allora, le coordinate di P soddisfano lequazione di t e quindi d =
ax0 by0 , per cui risulta t : a(x x0 ) + b(y y0 ) = 0.
Osservato che (a, b) 6= (0, 0) per gli ovvii motivi, lequazione della retta
t e del tipo (1.37)
31
(, ) K 2 .
(1.38)
K .
y y0 u2
x x0 u 1
=
v1
v2
e s :
x x0 v 1
y y0 v 2
=
u1
u2
Sostituendo le coordinate di T in entrambe le equazioni, si vede che T appartiene ad entrambe le rette r e s. Poiche queste rette non sono parallele
essendo u e v linearmente indipendenti si ha r s = {T } e quindi lasserto e
vero.
Osservazione 1.5. Con le notazioni precedenti si ha R +A S = T .
n=3
In questo caso il riferimento affine R(O, B) ha la base B = (e1 , e2 , e3 ) e
denotiamo ancora con h : 3 K 3 il relativo sistema coordinato.
Cominciamo col considerare i piani, perche ci serve un ulteriore equazione
delle rette.
Consideriamo due piani e 0 di 3 e supponiamo : ax + by + cz + d = 0
0
e : a0 x + b0 y + c0 z + d0 = 0.
Allora i punti di 0 hanno coordinate che sono soluzioni del sistema
ax + by + cz = d
(1.40)
a0 x + b0 y + c0 z = d0
La matrice dei coefficienti del sistema (1.40) e
a b c
a0 b0 c0
34
(1.41)
(1.44)
y y0 = m ,
z z0 = n ,
K.
Dimostrazione.
Supponiamo dapprima che le rette r ed s del teorema siano sghembe.
Allora i vettori v e w devono essere linearmente indipendenti, perche in
caso contrario le rette sarebbero parallele.
In pi
u deve risultare f (P, Q) 6< v > < w >, perche in caso contrario
le due rette sarebbero incidenti.
Pertanto, f (P, Q), v e w devono essere linearmente indipendenti.
Il viceversa e banale.
ax + by + cz + d = 0
a0 x + b 0 y + c 0 z + d 0 = 0
(1.49)
ax + by + cz + d = 0
(1.51)
38
Se e vera (1.50), tenuto conto del fatto che lequazione della retta r e un
sistema che ha la matrice dei coefficienti di rango massimo e supposto che
che lultimo determinante della somma (1.50) sia non nullo si ha r , se e
solo se
a b d
0 0 0
a b d =0.
(1.52)
a b d
La precedente deriva dal teorema sugli orlati.
In modo analogo si ragiona se uno dei restanti due determinanti della
somma (1.50) e non nullo.
Sia P 3 .
(1.53)
In simboli
F(r) = { piano di 3 |r } .
Se la retta r ha equazione (1.44), lequazione del fascio e
(a + a0 )x + (b + b0 )y + (c + c0 )z + d + d0 = 0 ;
al variare di (, ) (K 2 ) .
40
(1.54)
Esempi
Gli esempi pi
u importanti saranno gli spazi affini dei prossimi due numeri
dove vedremo alcune proprieta degli spazi affini reali e di quelli complessi.
Qui ci limiteremo a considerare solo gli esempi che non saranno usati successivamente.
Un primo esempio e stato gia visto nella osservazione 1.1.
Osservazione 1.6. Il campo che ha il minimo numero di elementi e K =
{0, 1}. La sua somma e definita da 0 + 0 = 0, 0 + 1 = 1 + 0 = 1 e 1 + 1 = 0.
La sua moltiplicazione opera nel modo seguente 0 0 = 1 0 = 0 1 = 0 e
1 1 = 1.
Quindi lo spazio vettoriale di K n , con n 1, con la sua struttura standard
e quello che ha meno vettori.
Allora, la struttura canonica di spazio affine su K n dara gli spazi affini
con meno punti. In particolare, la retta affine con meno punti ne ha due, il
piano affine con meno punti ne ha quattro, lo spazio affine di dimensione tre
ne ha otto.
Altri due esempi sono i seguenti.
Consideriamo il campo dei numeri reali.
Dapprima consideriamo la bigezione : R R definita da (x) = x3 ,
per ogni x R.
Essa induce una applicazione k1 : R2 R2 definita da
k1 (x, y) = ((x), (y)), per ogni (x, y) R2 .
Si verifica facilmente che k1 e unapplicazione bigettiva.
Consideriamo ora lapplicazione f1 : R2 R2 R2 , definita ponendo
f1 ((x, y), (x0 , y 0 )) = ((x0 ), (y 0 )) ((x), (y)) =
= ((x0 ) (x), (y 0 ) (y)) ,
(x, y), (x0 , y 0 ) R2 .
Lapplicazione f1 induce su R2 una struttura di spazio affine.
Consideriamo ora la bigezione : R R definita da (x) = x, per ogni
x R {0, 1}, (0) = 1 e (1) = 0.
Possiamo considerare la bigezione k2 : R2 R2 definita da k2 (x, y) =
((x), (y)), per ogni (x, y) R2 .
Lapplicazione f2 : R2 R2 R2 , definita ponendo
f2 ((x, y), (x0 , y 0 )) = ((x0 ) (x), (y 0 ) (y)) ,
(x, y), (x0 , y 0 ) R2 ;
41
42
1.3
Applicazioni affini
P, Q n .
(1.55)
ii).
Supponiamo che L : V W sia una applicazione lineare e siano O n
ed O0 m due punti qualsiasi.
Allora esiste una applicazione affine A : n m
f (O0 , A(Q)) = L(f (O, Q)) ,
In pi
u risulta A(O) = O0 .
43
Q n .
(1.56)
iii).
Se A e unapplicazione affine, lapplicazione lineare L definita in i) e
unica, dipende solo da A e non dipende dal punto O n .
iv).
A e una affinita se e solo se A = fO10 L fO : n n , con O n ed
O0 m , e L : V V isomorfismo lineare.
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Nelle ipotesi della i), risulta A(O) = O0 e A e una applicazione lineare
tra le due strutture di spazio puntato su n e m dellenunciato.
Per il teorema 1.3, le applicazioni fO : n V e fO0 : m W sono
isomorfismi lineari.
f 1
O
O
Si ha V
(n , +O , O ) (n , +O0 , O0 )
W.
Dalla precedente segue che posto L = fO0 AfO1 : V W , lapplicazione
L e lineare e per essa risulta A = fO10 L fO : n m .
Pertanto lapplicazione lineare L esiste.
Per il seguito e utile osservare che la precedente si puo anche scrivere
come fA(O) A = L fO : n W .
In pi
u risulta
P n .
(1.57)
In pi
u si ha O0 = A(O).
Infine, della definizione di A segue fO0 A = L fO : n W e
f (O0 , A(P )) = fO0 (A(P )) = L(fO ((P )) = L(f (O, P )) , P n .
Proviamo la iii).
Poniamoci nelle ipotesi della i).
Consideriamo un qualsiasi punto O1 n e poniamo A(O1 ) = O10 .
Per la (1.55) si ha
f (A(O1 ), A(P )) = L(f (O1 , P )) ,
P n .
In pi
u, p1 e lapplicazione lineare associata ad A.
Infine, siano W un ulteriore sottospazio vettoriale di V tale che V =
W U 0 e T un punto di n .
Denotato con WT = (T, W ) il sottospazio di n passante per T a avente
giacitura W , lapplicazione A|WT : WT UP e una affinita.
Dimostrazione.
Proviamo che A e una applicazione. Siano Q n e UQ0 = (Q, U 0 ) il
sottospazio di n passante per Q ed avente U 0 come giacitura.
Risultando f (P, Q) U U 0 = V , UP UQ0 e un sottospazio affine la cui
giacitura U U 0 = {0V } ha dimensione zero, per il teorema 1.14.
Da cio segue che UP UQ0 contiene un unico punto e quindi ha senso porre
{A(Q)} = UP UQ0 .
A e surgetiva.
Intatti, se Q UP , si ha {A(Q)} = UP UQ0 = {Q}.
A e una applicazione affine.e
Consideriamo O UP .
Sia P n e supponiamo fO (P ) = v V .
Per le ipotesi fatte, esistono u U e w U 0 tali che v = u + w.
Posto H = fO1 (v), S = fO1 (u) UP , si ha H UP e
f (H, T ) = f (O, P ) f (H, O) = u + w u = w U 0 .
Pertanto, T appartiene al sottospazio UH0 di n passante per H ed avente
giacitura U 0 .
Quindi, A(P ) = H ed anche A(O) = O, essendo O UP .
La precedente osservazione vale per ogni P n ed essendo fO una
bigezione si ha fO A fO1 (v) = u, se e solo se v = u + w, con u U e
w U 0 , per ogni v V .
In conlusione si ha A = fO1 p1 fO , quindi A e lineare sispetto alle
strutture di spazio vettoriale puntato (n , +O , O ) e (UP , +O , O ) e pertanto
e una applicazione affine che ha p1 come applicazione linare associata.
Infine, proviamo che A|WT : WT UP e una affintita.
Sia S UP e denotiamo con US0 il sottospazio affine di n passante per S
ed avente giacitura U 0 .
E immediato che WT US0 = {H} e che A(H) = S.
Pertanto A|WT e surgettiva ed un modo analogo si vede anche che essa e
anche ingettiva.
Pertanto, A|WT e una bigezione.
46
ii).
Lapplicazione identica id : n n e una affinita.
iii)
Se A : n n e una affinita, anche A1 : n n e una affinita.
iv).
Linsieme An delle afinita di n in se e un gruppo, rispetto alla legge di
composizione tra applicazioni.
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Per il teorema precedente, fissato O n le applicazioni
A
Dimostrazione.
Poiche V ha dinensione n, esiste una base (vi )iin di V .
Allora fissato un punto O n , posto Pi = fO1 (vi ), per ogni i
{1, . . . , n} e P0 = O, si ottiene una famiglia (Pi )0in di punti affinermente
indipendenti di n .
In modo analogo si puo ottenere una famiglia (Pi0 )0in di punti linearmente indipendenti di n .
Quindi lasserto segue dalla proposizione precedente.
Sempre dal teorema 1.27, si possono ottenere teoremi relativi allesistenza
di affinita che n e n che trasformano famiglie di sottospazi di n in famiglie
di sottospazi di n .
Consideriamo solo un esempio di questo tipo di teoremi.
Teorema 1.29. Supponiamo n = 2.
Siano r una retta di 2 ed r0 una retta di 2 .
Esiste almeno unaffinita A : 2 2 , tale che A(r) = r0 .
Dimostrazione.
Consideriamo due punti distinti P0 e P1 di r ed un punto P2 di 2 , con
P2 6 r.
Questo punto esiste, perche il campo K con un numero minimo di elementi
ha cardinalita due, il piano affine coordinabile su K ha quattro punti ed ogni
sua retta ne contiene due (vedi losservazione 1.6).
In tutti gli altri casi finiti la retta ha |K| punti, perche ammette sempre unequazione parametrica, mentre il piano ne ha |K|2 , perche il sistema
coordinaro stabilisce una bigezione ta il piano e K 2 .
Nel caso che K contenga infiniti elementi, la retta e bigettiva con K,
mentre il piano lo e con K 2 sempre per lo stesso motivo.
La famiglia (P0 , P1 , P2 ) e formata da punti linearmente indipendenti.
Infatti se non lo fossero esisterebbe una retta t che li contiene tutti e tre
e serebbe t = r, perche P1 6= P2 .
Pertanto, sarebbe P3 r,contro lipotesi.
Possiamo anche considerare una terna di punti (P10 , P20 , P20 ) linearmente
indipendenti di 2 , con P1 , P2 r0 .
Allora per il teorema 1.27 esiste una affinita A : 2 2 tale che A(Pi ) =
0
Pi , per ogni i {1, 2, 3}.
Si ha A(r) = r0 , perche A trasforma due punti distinti di r in due punti
distinti di r0 , cioe A(r) = r0 , essendo P10 = A(P1 ) 6= A(P2 ) = P20 .
49
f (O , O) +
r
X
f (O, P ) =
=1
=1
0
f (O , O) + f (O, B) = f (O0 , B) .
Quindi B = B 0 per lassioma (1.2).
Osservazione 1.8. Supponiamo n = 1.
Considerati tre punti P1 , P2 , P3 1 , con P2 6= P3 , supponiamo che il
rapporto semplice sia (P1 ; P2 , P3 ) = k K.
Allora, P1 e il baricentro della famiglia (P3 , P2 ) con pesi (k, 1 k).
Infatti, fissato in riferimento R(O, B) e denotato con h : 1 K si ha:
h(P1 ) h(P2 ) = k(h(P3 ) h(P2 )) f (P2 , P1 ) =
kf (P2 , P3 ) P1 = fP1
(kfP2 (P3 ))
2
Dalla precedente segue
P1 = k P2 P3 +P2 (1 k) P2 P2
Da cio segue lasserto.
Si osservi che tutte le implicazioni precedendi si possono invertire, quindi
se P1 e il baricentro della coppia (P3 , P2 ) con pesi (k, 1 k), k K, allora
(P1 ; P2 , P3 ) = k.
50
r
( )1r (K) tale che =1 = 1, lapplicazione A trasforma il baricentro della famiglia (P )1r con famiglia di pesi ( )1r nel baricentro
della famiglia (A(P ))1r con famiglia di pesi ( )1r .
Dimostrazione.
Supponiamo che lapplicazione A dellenunciato sia una affinita.
Considerato O n A e unapplicazione lineare di (n , +O , O )
in (m , +A(O) , A(O) ).
Allora, la prima implicazione e vera, perche A trasforma combinazioni
lineari del primo spazio vettoriale puntato in combinazioni lineari del secondo
e il baricenteo non dipende dalla struttura di spazio vettoriale puntato.
Proviamo il viceversa.
Consideriamo P, Q n e , K.
Si ha O P +O O Q = O P +O O Q +O (1 ) O O, per questo
O P +O O Q e il baricentro della famiglia di punti (P, Q, O) con famiglia
di pesi (, , 1 ).
Dalle ipotesi segue che A( O P +O O Q) e il baricentro della famiglia
di punti ((A(P ), A(Q), A(O)) con famiglia di pesi (, , 1 ). Si ha
quindi
A( O P +O O Q) =
A(O) A(P ) +A(O) A(O) A(Q) +A(O) (1 ) A(O)A(O) =
A(O) A(P ) +A(O) A(O) A(Q) .
Pertanto A e unapplicazione lineare di (n , +O , O ) su (m , +A(O) , A(O) )
quindi e unapplicazione affine.
Teorema 1.32. Sia A : n m una applicazione affine.
Consideriamo un riferimento affine R(O, B) di n e sia h : n K n il
sistema coordinato ad esso relativo.
Siano inoltre R0 (O0 , B 0 ) un riferimento affine di m e h0 : m K m il
sistema coordinato ad esso relativo.
51
(0 )1m
i0
n
X
aij j ,
i {1, . . . , m} .
(1.58)
j=1
In pi
u risulta h(A(O)) = (0 )1m .
Lequazione precedente, nella coppia di riferimenti R(O, B) e R0 (O0 , B 0 )
precedenti, con C = (aj )1m| 1jn matrice di elementi di K e (0 )1m
K m e sempre quella di unapplicazione affine.
Infine, A e una affinita, se e solo se C GL(n, K).
Dimostrazione.
Nelle ipotesi del teorema, dalla identita (1.57) si ha
fO0 (A(P )) = fA(O) (A(P )) + fO0 (A(O)) = L(fO (P )) + fO0 (A(O)) ;
per ogni P n , con L : V W applicazione lineare.
Poniamo h0 (A(O)) = (0 )1n e denotiamo con
C = (aj )1m| 1jn la matrice associata ad L nelle basi B e B 0 .
Poiche kB 0 : W K m e un isomorfismo lineare, si ha
h0 (A(P )) = kB 0 (fA(O) (A(P ))) + kB 0 (fO (A(O))) =
kB 0 (L(fO (P ))) + kB 0 (fO (A(O))) ;
per ogni P n .
Da cui lasserto segue con un semplice esercizio di algebra lineare.
Con le premesse fatte, la dimostrazione delle restanti parti del teorema e
banale.
Definizione 1.15. Consideriamo due punti O, O0 n .
Lapplicazione TOO0 : n n per cui risulta TOO0 (P ) = P +O O0 , per
ogni P n e detta traslazione.
Il vettore u = f (O, O0 ) V e detto ampiezza della traslazione T .
Nel seguito porremo sempre TOO0 = Tu .
Teorema 1.33. Sia TOO0 = Tu : n n , con O, O0 n una traslazione
di ampiezza u = f (O, O0 ) V .
52
i).
Risulta Tu (O) = O0 .
ii).
Per ogni P n , risulta f (P, Tu (P )) = u.
iii).
e n e per ogni P n risulta f (O,
e Tu (P )) = f (O,
e P ) + u.
Per ogni O
iv).
e P n risulta Tu (P ) = P + e O
e0 , con O
e0 = Tu (O).
e
Per ogni O,
O
Dimostrazione.
Essendo Tu (O) = O +O O0 ed essondo O lememento neutro rispatto a
+O , si ha Tu (O) = O0 .
Osserviamo che da P +O O0 = fO1 (fO (P ) + fO (O0 )) = Tu (P ) segue
f (O, T (P )) = f (O, P ) + f (O, O0 ) = f (O, P ) + u, per ogni P n .
Per questo si ha
f (P, Tu (P )) = f (O, P ) + f (O, Tu (P )) = u , P n
Dalla precedente segue
e Tu (P )) = f (O,
e P ) + f (P, Tu (P )) = f (O,
e P) + u ,
f (O,
e P n .
O,
e Tu (O))
e = f (O,
e O)
e + u = u, per ogni O
e n .
Quindi risulta f (O,
Dalle due precedenti segue
e0
e
Tu (P ) = fO1
e O ,
e (O)) = P +O
e (P ) + fO
e (fO
P n ;
e =O
e0 .
con Tu (O)
Osservazione 1.9. Il precedente teorema dimostra che la traslazione TO,O0 =
Tu non dipende da O, O0 n ma solo da u V e cio spiega il cambiamento
di notazione.
Teorema 1.34. Ogni traslazione Tu : n n di ampiezza u V e una
affinita tale che fTu (O) Tu = fO , per ogni O n .
Viceversa, se A : n n e una affinita ed esiste O n per cui
risulti fA(O) A = fO , allora A e una traslazione e la sua ampiezza e u =
f (O, A(O)).
53
Dimostrazione.
Sia Tu : n n una traslazione di ampiezza u V e consideriamo un
punto O n .
Si ha
(fTu (O) Tu )(P ) = f (Tu (O), Tu (P )) = f (Tu (O), O) + f (O, Tu (P )) =
u + f (O, P ) + u = fO (P ) , P n ;
Quindi Tu e una affinita, essendo Tu = fT1
fO un isomorfismo lineare fra
u (O)
le ovvie strutture di spazio vettoriale puntato.
Viceversa, sia A : n n una affinita e supponiamo che esista O n
per cui risulti fA(O) A = fO , cioe che lisomorfismo lineare associato da A
sia lapplicazione identica.
Posto A(O) = O0 , si ha fO0 A = fO . Dalla precedente segue
f (O0 , O) + f (O, A(P )) = f (O, P ) ,
P n .
Si ha quindi
A(P ) = fO1 (fO (P ) + fO (O0 )) = P +O O0 ,
P n .
Dimostrazione.
Proviamo la i).
Siano Tu , Tv Tn due traslazioni di ampiezza rispettivamente u e v, con
u, v V .
Proviamo che Tu Tv e una traslazione di ampiezza u + v.
Per il teorema 1.33, fissato O n e posto Tu (O) = O0 e Tv (O) = O, si
ha
Tv (Tu (P )) = (P +O O0 ) +O O = P +O (O0 +O O) ,
P n .
(1.59)
Fissiamo O n .
1
Essendo A = fA(O)
L fO , risulta A1 = fO1 L1 fA(O) .
Poiche, per la iii) del teorema 1.23, lisomorfiamo L1 dipende solo da
1
A si ha anche A1 = fA11 (O) L1 fO .
Quindi, per losservazione successiva al teorema 1.23 e per il teorema 1.34
si ha
A1 T A =
1
fA11 (T (A(O))) L1 fT (A(O)) fT1
f
O =
A(O)
(A(O))
A(O)
1
fA11 (T (A(O))) L1 f((T (A(O)) fT1
(A(O)) L fO = fA1 (T (A(O))) fO .
57
58
Dimostrazione.
Sia H il luogo dei punti uniti dellaffintita A. Per le ipotesi fatte, risulta
H 6= .
Da cio segue che possiamo suppore O H.
Quindi nella equazione del teorema 1.60 si ha bi = i0 = 0, per ogni
i {1, . . . , n}.
Quindi il sistema che determina tutti e soli i punti uniti di A diventa
an 1 + an 2 + + (an 1)n = 0
1
Dimostrazione.
Siano P n e A An .
Consideriamo Tu Tn .
Allora, Tu A AP , se e solo se Tu (A(P )) = P .
Per un teorema precedente esiste ed e unica la taslazione Tu Tn tale
che Tu (A(P )) = P .
Poniamo A1 = Tu A AP .
1
Risulta anche Tu
= Tu Tn e si ha A = Tu A.
Siano Tv Tn e A1 , A01 AP tali che A = Tu A1 = Tv A01 .
Si ha A(P ) = Tu A1 (P ) = Tu (P ) = Tv (P ) e quindi Tu = Tv .
Questo implica A1 = A01 , in modo ovvio e da qui segue lunicita.
La parte restante del teorema si prova in modo analogo.
Osservazione 1.10. Si osservi che, nelle ipotesi del teorema precedente,
risulta in genere A1 6= A2 , essendo An un gruppo non cummutativo, in cui
le traslazioni in genere non commutano con gli elementi del stabilizzatore di
un punto.
Teorema 1.44. Siano L(V ) il gruppo degli isomorfismi di V in se e O n .
i).
Esiste un isomorfismo : AO L(V ) che associa ad ogni A AO
associa (A) = L L(V ), se e solo se fO A = L fO .
ii).
Esiste una bigezione : An V L(V ) che ad A An associa (A) =
(u, (A1 )), se e solo se A = Tu A1 con Tu Tn di ampiezza u = f (O, A(O))
e A1 AO .
iii).
Sia p1 : V L(V ) V le proiezione canonica sul primo fattore.
Lapplicazione 1 = p1 : An V e un omomorfismo surgettivo di
(An , ) su (V, +), e risulta Ker1 = AO .
Dimostrazione.
Osserviamo che la definizione di e ben posta.
Infatti, da A AO , segue che A(O) = O, e per losservazione 1.7 risulta
L = fO A fO1 .
Se A, A0 AO e (A) = L L(V ) e (A) = L L(V ), si ha
(A) (A0 ) = fO A fO1 fO A0 fO1 =
fO A A0 fO1 = (A A0 ) .
60
Quindi e un omomorfismo.
Infine, e bigettiva, perche ammette lapplicazione inversa che e
1 : L(V ) AO definita da 1 (L) = A = fO1 L fO , per ogni L L(V ).
Denotiamo ora con 0 : Tn AO V L(V ), tale che 0 (T, A) =
(g(T ), (A)), per ogni (T, A) Tn AO , dove g : Tn V e lisomorfismo
definito nel teorema 1.35.
E un utile esercizio di algebra verificare che 0 e una bigezione.
Consideriamo A An .
Per il teorema precedente, esistono e sono unici Tu Tn e A1 AO tali
che A = Tu A1 .
Consideriamo : An V L(V ) tale che (A) = (g(Tu ), (A1 )) =
(u, (A1 )), se e solo se A = Tu A1 , con Tu Tn e A1 AO .
E di immediata verifica che e una applicazione.
e surgettiva.
Infatti, per considerati u V e L L(V ) esistono Tu Tn traslazione di
ampiezza u e laffinita A1 = fO1 L fO AO .
Posto A = Tu A1 , si ha (A) = (u, L).
e ingettiva.
Consideriamo due affinita A, A0 An tali che (A) = (A0 ) = (u, L), con
u V e L L(V ).
Allora, denotato con Tu Tn traslazione di ampiezza u e posto A1 =
1
fO L fO AO si ha A = Tu A1 = A0 .
Proviamo che 1 e un omomorfismo.
Siano A, A0 An due affinita.
Esistono Tu Tn e A1 , A01 AO , tali che A = Tu A1 e A0 = Tv A01 .
Si osservi che A = A1 Tv e una affinita, pertanto esiste A1 AO tale
che A = A1 Tv = Tv A1 .
Si ha quindi
1 (A A0 ) = 1 (Tu A1 Tv A01 ) = 1 (Tu Tv A1 A01 ) =
1 (Tu+v A1 A01 ) = u + v = 1 (A) + 1 (A0 ) .
Lapplicazione 1 e surgettiva, perche Tn An la restrizione di 1 a Tn
concide con la surgezione g.
Osservazione 1.11. Poiche K e un campo, fissati K, con 6= 0, 1, e
O
O n , lapplicazione AO
: n n definita da A (P ) = O P , per ogni
P n e un isomorfismo lineare e quindi una affinita.
61
P n .
(1.61)
Considerato P n , si ha AO
e se e solo
(P ) = P , se e solo se P = O P , cio
( 1) O P = 0.
Lultima uguaglianza e vera se e solo se P e lelemento neutro delllo spazio
vettoriale (n , +O , O ), cioe se e solo se P = O.
Se L : V V e lisomorfismo lineare associato ad AO
, per la precedente,
1
O
possiamo porre L = fO A fO . Quindi, per lidentita (1.61), segue
L(v) = v, per ogni v V .
Pertanto, L = iV .
Per dimostrare che AO e un sottogruppo normale di (An , ), basta osservare che A : (n , +O , O ) (n , +A(O) , A(O) ) che A1 : (n , +A(O) , A(O) )
(n , +O , O ) sono un isomorfismi lineari.
62
P +O A(P ) = O .
ii).
P n :
iii).
Siano R(O, B) un riferimento affine, avente lorigine coincidente con il
centro di A e h : n K n il suo sistema coordinato.
Per ogni P n , se P ((i )1in ) rispetto ad h, A(P ) ha coordinate
(i )1in sempre rispetto ad h.
Dimostrazione.
La dimostrazione e banale.
Teorema 1.47. Teorema di Talete.
Supponiamo n = 2 e siano r = (Q, v) ed s = (T, w) due rette distinte
passanti per i punti Q, T 2 ed eventi giacitura < v > e < w >, rispettivamente.
Consideriamo P, H r e P 0 , H 0 s, con P 6= H e P 0 6= H 0 .
Se r s = {O} e O 6= P, P 0 , H, H 0 , si ha
[P, P 0 ] k [H, H 0 ] (P ; H, O) = (P 0 ; H 0 , O) .
Se r k s, risulta
[P, P 0 ] k [H, H 0 ] f (P, H) = f (P 0 , H 0 ) .
Dimostrazione.
Consideriamo il primo caso, con r 6k s.
Supponiamo dapprima [P, P 0 ] k [H, H 0 ].
Poniamo f (P, P 0 ) = u.
Poiche [P, P 0 ] r = {P }, u e v sono linearmente indipendenti e quindi
V =< v > < u >.
63
Da cio segue
f (P, H 0 ) = f (P, P 0 )+f (P 0 , H 0 ) = f (P, P 0 )+f (P, H) = f (P, H)+f (P, P 0 )
La precedente implica
(1 )f (P, H) + ( 1)f (P, P 0 ) = 0V
Quindi, deve risultare 1 = 1 = 0, essendo i due vettori linearmente
indipendenti, cioe = = 1 e quindi
f (H, H 0 ) = f (P, P 0 ).
Teorema 1.48. Teorema di Desargues.
Siano r1 , r2 e r3 tre rette diestinte di 2 formanti fascio (proprio o
improprio).
Si considerino i punti Pi e Qi appartenenti ad ri , per ogni i {1, 2, },
tutti distinti tra loro e distinti dalleventuale centro del fascio.
Si ha
[P1 , P2 ] k [Q1 , Q2 ] e [P1 , P3 ] k [Q1 , Q3 ] [P2 , P3 ] k [Q2 , Q3 ] .
Dimostrazione.
Supponiamo dapprima che le tre rette dellenunciato appartengano al
fascio proprio di centro O 2 .
Consideriamo le rette r1 e r2 .
Consideriamo le rette r1 e r2 .
Poiche [P1 , P2 ] k [Q1 , Q2 ], possiamo applicare il teorema di Talete e otteniamo (Q1 ; P1 , O) = (Q2 ; P2 , O).
In modo analogo, considerate le rette r1 e r3 , per lo stesso teorema, risulta
(P1 ; Q1 , O) = (P3 ; Q3 , O).
Si ha quindi (P2 ; Q2 , O) = (P3 ; Q3 , O) e, sempre per il teorema di Talete,
applicato alle rette r2 e r3 , si ha [P2 , P3 ] k [Q2 , Q3 ].
Supponiamo oer che il fascio a cui appartengono le tre rette dellenunciato
del teorema sia improrio, cioe che le tre rette siano parallele.
Il Teorema di Talete, applicato alle ovvie rette, in questo caso inplica che
[P1 , P2 ] k [Q1 , Q2 ] f (P1 , P2 ) = f (Q1 , Q2 )
[P1 , P3 ] k [Q1 , Q3 ] f (P1 , P3 ) = f (Q1 , Q3 ) .
Si ha quindi
f (P2 , P3 ) = f (P2 , P1 ) + f (P1 , P3 ) = f (Q2 , Q1 ) + f (Q1 , Q3 ) = f (Q2 , Q3 ) .
Allora, sempre per il teorema di Talete, si ha [P2 , P3 ] k [Q2 , Q3 ].
65
1.4
(1.62)
(1.63)
Proviamo la ii).
Considerato x G. E immediato che per ogni x G si ottiene una
applicazione di A in se, che denotiamo con (x), ponendo ((x))(a) = (x, a),
per ogni a A.
Per lassioma (1.62), si ha
a A : ((1G ))(a) = (1G , a) = a .
Pertanto (1G ) = id : A A e lapplicazione identica.
In pi
u, per lassioma (1.63) risulta
x, y G, a A : ((x y))(a) = (x y, a) =
(x, (y, a)) = ((x) (y))(a)
La precedente implica (x y) = (x) (y), per ogni x, y G.
Infine, le due precedenti implicano che
x G : (x) (x1 ) = (x x1 ) = (1x ) = id = (x1 ) (x) .
. Pertanto, (x) e una bigezione e la sua inversa e (x1 ). Riassumendo
: G Bper losservazione precedente.
In pi
u e un omomorfismo, perche (x y) = (x) (y), per ogni x, y G.
Infine la dimostrazione della iii) si ottiene semplicemente applicando le
rispettive definizioni.
Definizione 1.20. Lazione : G A A e libera oppure che G agisce
liberamente su A, se e solo se
x G e a A tale che (x, a) = a x = 1G .
Si diece che lazione di G su A e semplicemente transitiva su A, se e solo se
a, b A |x G tale che (x, a) = b .
Teorema 1.50. Siano V uno spazio vettoriale su un campo K e A 6= un
insieme.
Linsieme A ha una struttura di spazio affine su V , se e solo se esiste
unazione libera e semplicemente transitiva del gruppo (V, +) su A.
67
Dimostrazione.
Supponiamo dapprima che A sia uno spazio affine su V e denotiamo con
f : A A V lapplicazione che munisce A della struttura di spazio affine.
Denotiamo con : V A A lapplicazione definita, ponendo
(v, a) = Tv (a) ,
v V, a A ;
69
2.1
Fissiamo un orientamento (B, GL+ (n, R)) sullo spazio vettoriale V , dove B
e una base di V e GL+ (n, R) denota il gruppo delle matrici quadrate non
singolari aventi determinante positivo.
Ricordiamo che, se denotiamo con L(V ), L+ (V ) e L (V ) rispettivamente
linsieme di tutte le basi di V , linsieme di tutte le basi orientate concordemente con lorientamento fissato e linsieme delle basi orientate discordemente
con lo stesso.
Si ha L(V ) = L+ (V ) L (V ) e L+ (V ) L (V ) = .
Inoltre, su V esistono solo due orientamenti che si ottengono scambiando
il ruolo di L (V ) con quello di L+ (V ).
Infine, qualunque base di L+ (V ) determina lo stesso orientamento
(B, GL+ (n, R)), per questo dora in poi non terremo pi
u conto di come esso
+
e stato ottenuto e considereremo solo L (V ).
Definizione 2.1. Diremo che n e uno spazio affine orientato, se e solo se
vale il seguente assioma:
Per ogni O n , lo spazio vettoriale reale (n , +O , O ) e orientato in
modo tale che lisomorfismo lineare f0 : O V conservi lorientamento.
Noi non siamo interessati alle proprieta generali degli spazi affini orientati,
quindi faremo solo poche osservazioni di carattere generale, riservandoci di
vedere le proprieta nei casi particolari che consideriamo usualmente.
La definizione precedente equivale a dire che:
H = (Oi )1in e una base positiva di O , se e solo se B = (fO (Oi ))1in
+
L (V ),
o equivalentemente
L+ (O ) = {H L(O )|B = (xi )1in L+ (V ) t. c. H = (fO1 (xi ))1in }
70
per ogni O n .
Dalla precedente e dal teorema 1.12 segue facilmente che i cambiamenti
di riferimento avvengono sempre con la (1.7), con la condizione aggiuntiva
che il determinante della matrice C = (aij ) sia maggiore di zero; cioe che la
matrice C GL+ (n, R).
71
2.2
Spazi metrici
d(a, b) 0 e
a, b A :
a, b, c A :
d(a, b) = 0 a = b
d(a, b) = d(b, a)
(2.1)
(2.2)
(2.3)
72
P, Q, R n .
In pi
u il prodotto scalare definito positivo di V ne induce uno su W e le
norme di ogni vettore di W rispetto ai due prodotti scalari coincidono.
Da qui segue facilmente lasserto.
Ovviamente, anche in questo caso la distanza d0 si denotera semplicemente
co d (e g con f ).
Definizione 2.3. Sia R(O, B) sistema di riferimento di n . Diremo che
R(O, B) e un sistema di riferimento metrico, se e solo se B e una base
ortogonale unitaria.
Anche il suo sistema coordinato h : n Rn sara detto metrico.
Teorema 2.3. Siano R(O, B) e R(O0 , B 0 ) due riferimenti metrici ed h :
n Rn e h0 : n Rn i rispettivi sistemi coordinati.
Sia P n e supponiamo h(P ) = (i )1in e h0 (P ) = (i )1in .
La famiglia (i )1in e ottenuta dalla famiglia (i )1in mediante la (1.7),
tramite una matrice (aij )1in| 1jn O(n), cioe (aij )1in| 1in e una matrice ortogonale.
Dimostrazione.
E una immediata conseguenza del teorema 1.11 e del fatto che la matrice
i
(aj ) trasforma le componenti di un vettore rispetto ad una base ortogonale
unitaria in quelle dello stesso vettore rispetto ad unaltra base ortogonale
unitaria.
Teorema 2.4. Sia R(O, B) un sistema di riferimento metrico e h : n Rn
il suo sistema coordinato.
Comunque si considerino due punti P, Q n , con h(P ) = (i0 )1in e
h(Q) = (i1 )1in , si ha:
v
u n
uX
(2.4)
d(P, Q) = t (i1 i0 )2
i=1
Dimostrazione.
Per il teorema 1.10 si ha
f (P, Q) =
n
X
(i1 i0 )e1 ;
i=1
Da cui, per una nota proprieta delle basi ortogonali unitarie, si ha:
v
u n
uX
d(P, Q) = kf (P, Q)k = t (i1 i0 )2 .
i=1
| < u, v > |
kukkvk
Dimostrazione.
Supponiamo r = (P, u) ed s = (Q, v).
Osserviamo che per ogni , R {0}, per le proprieta del parallelismo,
risulta r = (P, u) e s = (Q, v).
Ricordiamo che il coseno dellangolo tra due vettori non indipende dalla
scelta dellorientamento su V .
Quindi in ogni caso si ha
\ = < u, v > .
cos (u)(v)
kukkvk
Da cui, per le note proprieta dei prodotti scalari e delle norme, si ottiene
\ =
cos (u)(v)
< u, v >
=
cos u
cv .
|||| kukkvk
||||
Dimostrazione.
Ricordiamo che dimR (W ) = 1, essendo dimR (W ) = n 1, in quanto
WP e un iperpiano.
Sia Q n , risulta
Q WP
f (P, Q) W
iv).
Per ogni H WP , risulta d(WP , Q) = d(Q, T ) d(Q, H).
Dimostrazione.
Per la i) ricordiamo dapprima che, per Q n , risulta
Q WP f (P, Q) W < f (P, Q), v >= 0 ;
Quindi
Q WP d(WP , Q) =
Proviamo la ii).
Sia Q un punto di n .
Per ogni H WP , si ha f (P, H) W .
Rissultando quindi < f (P, H), v >= 0 si hanno le seguenti uguaglianze
< f (P, Q), v >=< f (P, H), v > + < f (H, Q), v >=< f (H, Q), v > ;
che implica la ii).
Proviamo la iii).
Se Q WP , il piede della perpendicolare per Q a WP coincide con Q e la
iii) e vera per la i).
Se Q 6 WP , la retta UQ = (Q, v) e il sottospazio affine di n passante per
Q e ortogonale a WP .
Sia T n il piede di UQ , risulta {T } = WP UQ . Quindi esiste R
tale che f (Q, T ) = v.
In pi
u, siccome T 6= Q, perche Q 6 WP e T WP , risulta 6= 0.
Da cio segue v = f (Q, T ), con = 1 .
Infine, per la ii), risulta < f (P, Q), v >=< f (T, Q), v >.
Quindi si ha
d(WP , Q) =
Si ha f (T, H) W e quindi
1
d(H, Q) = kf (H, Q)k =< f (H, T ) + f (T, Q), f (H, T ) + f (T, Q) > 2 =
1
R(O0 , w).
Esiste un numero reale > 0 tale che w = v.
Inolte, se u V e un qualsiasi altro vettore e u = v = w, con , R,
si ha = 1 .
Dal teorema 1.11 segue allora che, se P 1 , con h(P ) = e h0 (P ) = ,
risulta = + 1 , dove si e posto h0 (O) = R.
Siano ora Q, T 1 e supponiamo h(T ) = x0 , h0 (T ) = x00 h(Q) = x1
h(Q) = x01 . Rispetto al riferimento R(O0 , w), si ha T Q, se e solo se
h0 (Q) h0 (T ) = x01 x00 0 + x1 1 ( + x0 1 ) = 1 (x1 x0 ) 0 ;
cioe se e solo se x1 x0 0, o equivalentemente T Q rispetto al riferimento
R(O, v).
Siano P, Q 1 . Se P Q ed M 1 e il punto medio tra P e Q, allora
P M Q.
In questo caso si puo anche definire la distanza orientata d0 : 1 1 R,
ponendo d0 (P, Q) = d(P, Q), se P Q, e d0 (P Q) = d(P, Q) se Q P , per
ogni P, Q 1 .
Pertanto, se P (x0 ) e Q(x1 ) sono due punti di 1 , si ha d0 (P, Q) = x1 x0 .
Considerati P, Q 1 , con P Q, si puo definire il segmento P, Q,
ponendo
P, Q = {P T Q|T 1 }
In pi
u, fissato P 1 si possono definire le semirette di origine P , ponendo
[P, ) = {P T |T 1 } e (, P ] = {T P |T 1 }
Per gli enti geometrici definiti prima, valgono le stesse osservazioni e definizioni usate per gli intervalli e le semirette di R.
Le relazioni degli intervalli e delle semirette di 1 , con gli intervalli e le
semirette di R determinate dal sistema coordinato h sono ovvi.
Usando le coordinate dei punti, si verifica facilmente che
(P ; Q, T ) =
d0 (P, Q)
,
d0 (Q, T )
P, Q, T 1 , con Q 6= T .
n=2
Su 2 fissiamo un riferimento metrico R(O, B) e ricordiamo che B =
(e1 , e2 ) e una base ortogonale unitaria. Denotiamo con h : 2 R2 il
sistema coordinato relativo a tale riferimento.
81
Ricordiamo anche che nei piani euclidei i riferimenti metrici sono anche
detti riferimenti ortogonali monometrici, in quanto la norma e determinata
dalla lunghezza di un unico segmento.
Siano P (x0 , y0 ) e Q(x1 , y1 ) due punti di 2 , dove le coordinate sono quelle
relative al sistema coordinato h.
La distanza di P da Q, in funzione delle rispettive coordinate, e data da
p
(2.5)
d(P, Q) = kf (P, Q)k = (x1 x0 )2 + (y1 y0 )2 .
Sia ora r = (P, v) una retta di 2 e supponiamo r : ax + by + c = 0 nel
sistema coordinato h.
Il vettore w = ae1 + be2 e ortogonale alla giacitura di r ed essendo P r
si ha c = (ax0 + by0 ).
Quindi, per il teorema 2.9, la distanza di Q da r e data da
d(Q, r) =
|a(x1 x0 ) + b(y1 y0 )|
| < f (P, Q), w > |
=
=
kwk
a2 + b 2
|ax1 + by1 + c|
=
a2 + b 2
(2.6)
e lequazione hessiana di r e
r :
a(x x0 ) + b(y y0 )
=0
a2 + b 2
x
)
1
2
1
2
p
Ricordiamo che d(Q, T ) = (x1 x2 )2 + (y1 y2 )2 e che d(P, [Q, T ]).
Poiche d(P, [Q, T ]) e la distanza di P dal piede della perpendicolare per
P a [Q, T ] e quindi coincide con laltezza del triangolo, si ha lasserto.
Anche in questo caso si puo definire la misura orientata dellarea del
4
Una particolare rilevanza ha langoli che la rerra r forma con lasse delle x.
In quato caso possiamo scegliere a0 = 0 e b0 = 1 e la precedente diventa
|b|
| cos rc
x| =
.
2
a + b2
Supponiamo che 2 sia orientato e che la retta r = (P, v) sia orientata dal
vottore v 6= 0.
Allora v = be1 ae2 e il versore n di v e
n = cos x
cre1 + sin x
cre2 =
a
b
e1
e2 .
2
2
+b
a + b2
a2
b
sin x
cr
2
2
= a a+b = = m ,
tan x
cr =
cos x
cr
a
a2 +b2
Quindi il parametro direttore m di r e uguale alla tangente dellangolo formato dallasse delle x con r.
In conclusione osserviamo che essendo e1 e2 si ha xy. Quindi sin x
cr =
cos yr
b e lequazione hessiana di r diventa
r : (x x0 ) cos yr
b + (y y0 ) cos x
cr = 0 .
n = 3.
Supponiamo di aver fissato su V un prodotto scalare ed un orientmanto
(B, GL+ (3, R)), con B = (e1 , e2 , e3 ) base ortogonale unitaria.
Poiche V ha dimensione tre, possiamo definire su di esso una legge di
composizione interna : V V V definita, per ogni u, v V , con
u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e3 e v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e2 , ponendo
e1 e2 e3 2 3
1 3
1 2
1 2 3 u u
u u
u u
u v = u u u = 2 3 e1 1 3 e2 + 1 2 e3 ; (2.8)
v v
v v
v v
v1 v2 v3
84
u, v V .
ii).
Siano u, v, w V , con u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e3 , v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e3 e
w = w1 e1 + w2 e2 + w3 e3 , si ha
1 2 3
w w w
< u v, w >= u1 u2 u3
(2.9)
v1 v2 v3
iii).
u, v V : u v = 0V
iv).
Il prodotto vettoriale non e associativo.
v).
u, v V : u vu e u vv
vi).
Il prodotto vettoriale non cambia, se invece di B di considera una qualsiasi
altra base ortogonale unitaria B 0 , orientata concordemente con B.
vii).
Siano u e v due vettori di V . Allora, esiste un unico vettore e3 di V tale
che (u, v, e3 ) sia una base concorde con lerientamento scelto avente ke3 k = 1.
Allora, risulta
u v = kukkvk sin u
cve3 .
(2.10)
In pi
u lespessione precedente non dipende dallorientamento scelto sul sottospazio W =< {u, v} >.
85
Dimostrazione.
Considernamo u, v V e siano (u1 , u2 , u3 ) e (v 1 , v 2 , v 3 ) due elementi di
R3 tali che u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e2 e v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e3 .
Proviamo la i),
Si ha
1 2
1 3
2 3
v v
v v
v v
v u = 2 3 e1 1 3 e2 + 1 2 e3 .
u u
u u
u u
Confrontando il secondo membro della precedente con l ultimo membro della
(2.8), si vede che i tre determinanti che vi compaiono hanno le due righe
invertite e quindi hanno segno opposto, da qui lasserto.
Proviamo la ii).
Consideriamo w V , con w1 e1 + w2 e2 + w3 e3 e (w1 , w2 , w3 ) R3 .
Tenuto conto del fatto che B e una base ortogonale unitaria, da (2.8)
segue
2 3
u u 1 u1 u3 2 u1 u2 3
< u v, w >= 2 3 w 1 3 w + 1 2 w ;
v v
v v
v v
da cui la (2.9) segue banalmente.
La iii) e una conseguenza immediata della definizione di prodotto vettoriale.
Infatti, u v = 0V equivale a
2 3 1 3 1 2
u u u u u u
2 3 = 1 3 = 1 2 =0.
v v v v v v
La precedente e vera, se e solo se i due vettori u e v sono linearmente dipendenti, per la teoria dei determinanti.
Per provare la iv) basta verificare che (e1 e1 )e2 e diverso da e1 (e1 e2 )
applicando la definizione.
La v) e una conseguenza immediata della ii), in quanto < u v, u > e
< u v, v > sono determinanti con due righe uguali.
La vi) e conseguenza della iii), nel caso che i vettori u e v siano linearmente dipendenti, perche il concetto di dipendenza lineare non dipende dalla
scelta della base e della vii) nel caso che siano linearmente indipendenti,
perche luguaglianza (2.8) dipende solo dalla metrica e dallorientamento di
V.
Proviamo la iv).
86
Poiche u e v sono due vettori linearmente indipendenti, essi sono non nulli
e quindi possiamo considerare i rispettivi versori e1 e t per i quali risulta
u = kuke1 e v = kvkt.
Il sottospazio vettoriale W =< {u, v} > di V e uno spazio vettoriale
reale munito di un prodotto scalare e quindi possiamo determinare un versore
e2 W , tale che (e1 , e2 ) sia una base ortogonale unitaria di W .
Lo spazio W ha simensione uno e quindi esistono due versori e se ne
denotiamo uno con e3 laltro sara e3 .
Supponiamo dapprima che i due vettori siano linearmente indipewndenti
e che lorientamento scelto su W sia quello determinato dalla base (e1 , e2 ) e
che e3 denoti il vettore tale che la base (e1 , e2 , e3 ) sia oriantata concordemente
con lorientamento di V .
In tale caso si ha v = kvk(cos u
cve1 + sin u
cve2 ) e
e1
e2
e3
0
0 = kukkvk sin u
cve3 ;
u v = kuk
kvk cos u
cv sin u
cv 0
Se i due vettori sono linearmente dipendenti, allora u v = 0V e sin u
cv = 0,
risultando u
cv = 0, oppure u
cv = .
Se su W si considera laltro orientamento, la sua base ortogonale unitaria
orientata in cui si ha u = kuke1 e (e1 , e2 ).
Quindi la base di V diventa (e1 , e2 , e3 ) ed il vettore u v non cambia.
Essendo wu e wu, risulta w < {u, v} > {0V } e quindi puo essere
usate pre determinare lequazione hessiana del piano .
Si ottiene cos una nuova giustificazione del modo in cui dalle componenti
dei vettori u e v si passa alla equazione cartesiana del piano.
Sia ora r una retta di 3 .
Se : ax + by + cz + d = 0 e lequazione del piano nel sistema coordinato
h e r e la retta passante per il punto Q(x0 , y0 , z0 ) di 3 e ortogonale a .
Ricordato che il vettore v = ae1 + be1 + ce3 e ortogonale alla giacitura di
, lequazione di r sotto forma di rapporti uguali e
y y0
z z0
x x0
=
=
.
(2.12)
a
b
c
Siccome la relazione di perpendicolarita e simmetrica, si ha r, se e solo
se r.
Quindi, se r e una retta di 3 avente parametri direttori (`, m, m) 6=
(0, 0, 0) e Q(x0 , y0 , z0 ) e un punto di 3 , il piano passante per Q e perpendicolare ad r ha equazione
r :
(2.13)
(2.14)
Se una delle due rette e data come intersezione di due piani, le equazioni
del numewro precedente ci sonsentono di calcolare i parametri direttori e
di sostituirli nelle precedenre, analogamente se entrambe le rette sono date
come intersezione di due piani.
Se = (P, u, v), i vettori u e v sono linearmente indipendenti e quidi
u v 6= 0V .
Quindi, considerato un punto Q 3 , la retta r = (Q, u v) e perpendicolare a e i suoi prametri direttori sono
2 3
1 3
1 2
v v
v v
v v
` = 2 3 , m = 1 3 , n = 1 2 .
u u
u u
u u
88
.
a2 + b 2 + c 2
(2.15)
(2.16)
Se si ha lequazione di r come intersezione di due piani, oppure e individuato da un pinto e da due vettori linearmente indipendenti, si calcolano i dati
che compaiono nella precedente con i metodi gia visti e si ottiene il valore di
c
| sin s|.
Siano e due piani di 3 .
c uno qualsiasi degli angoli formati dal vettore n1 orDiremo angolo
togonale a e n2 ortogonale a .
Se si hanno le equazioni cartesiane di : ax + by + cz + d = 0 e di
c e ben
: a0 x + b0 y + c0 z = 0 il valore assoluto del coseno dellangolo
definito e risulta
c =
| sin |
(2.17)
Definizione 2.11. Nelle ipotesi del teorema precedente e con le stesse notazioni, la retta [I, J] = (I, f (I, J)) e detta retta di minima distanza tra r
ed s.
Inoltre, la distanza d(I, J) = ||kwk e detta minima distanza tra r ed s
90
2.3
Movimenti
u, v V .
v V , R .
u, v V .
Pertanto e lineare.
Proviamo che e ingettiva.
Se u ker , si ha
0 =< (u), (v) >=< u, v > , v V .
91
Dimostrazione.
Laffinita A esite per il teorema 1.27.
Osserviamo dapprima che se A e un movimento A conserva le distanze,
per il teorema 2.14 e quindi d(Pi , Pi ) = d(Qi , Qj ), per ogni i, j {0, . . . , n}.
Per dimostrare il viceversa, denotiamo con L : V V lisomorfismo
lineare associato ad A.
Basta far vedere che L O(V ).
Per questo poniamo f (P0 , Pi ) = vi e f (Q0 , Qi ) = wi , per ogni i
{1, . . . , n} ed osserviano che (vi )1in e (wi )1in sono due basi di V .
Si ha per ogni i {1, . . . , n}.
In pi
u si ha
vi vj = f (P0 , Pi ) f (P0 , Pj ) = f (Pj , Pi ) e wi wj = f (Qj , Qi ) ;
per ogni i, j {1, . . . , n}.
Dalla precedente segue
kwi wj k = d(Qi , Qj ) = d(Pi , Pj ) = kvi vj k , i, j {1, . . . , n} .
Questultima implica banalmente kL(vi vj )k = kvi vj k, per ogni i, j
{1, . . . , n}.
Cio premesso il teorema e la conseguenza del seguente lemma.
Lemma 2.3. Sia L : V V un isomorfismo lineare.
Se esiste una base (vi )1in tale che
kL(vi )k = kvi k ,
i {1, . . . , n}
e
kL(vi vj )k = kvi vj k , i, j {1, . . . , n} ;
Allora M e un operatore unitario.
Dimostrazione.
Essendo < , >: V V V una applicazione bilineare e L : V V
una applicazione lineare, basta provare che
< L(vi ), L(vj ) >=< vi , vj > ,
i, j {1, . . . , n} .
v, w V .
Da cio segue
2 < v, w >= kvk2 + kwk2 kv wk2 ,
v, w V .
Pertanto, si ha
< L(vi ), L(vj ) >= kL(vi )k2 + kL(vj )k2 kL(vi vj )k2 =
kvi k2 + kvj k2 kvi vj k2 =< vi , vj > , i, j {1, . . . , n} .
Dalla uguaglianza precedente segue lasserto.
Definizione 2.13. Sia M : En n un movimento.
Diremo che il punto O En e unito in M , se e solo se M (O) = O.
Osservazione 2.3. Ricordato che ogni movimento e una affinita, per i suoi
punti uniti valgono le proprieta viste in precedenza. In particolare, se linsime
dei pinti uniti e non vuoto, esso e un sottospazio affine che ha come giacitura
il sottospazio V1 degli autovettori dellautovalore uno.
Pertanto, la sua dimensione e pari alla moltiplicita geometrica dellautovalore uno.
I seguenti due teoremi hanno dimostrazioni analoghe a quelle viste per le
affinita.
Teorema 2.18. Sia O n .
Linsime dei movimenti che lasciano fisso O e un sottogruppo di On , che
sara denotato con OnO .
Teorema 2.19. Per ogni movimento M On e per ogni O n esistono
e sono unici la traslazione Tu Tn , con u = f (O, M (O)), e i movimenti
M1 , M10 OnO tali che M = Tu M1 = M10 Tu
Teorema 2.20. Sia un iperpiano di n .
Esiste un univo movimento M : n n tale che considerato un punto
P n e denotato com H il piede della perpendicolare per P a risulta
f (P, H) = f (H, M (P )).
M e una involuzione e un punto P n e unito in M , se e solo se P .
Dimostrazione.
Supponiamo che = (O, W ) sia liperpiamo di n passante per O ed
avente giacitura W .
96
i=1
solo se P .
La precedente osservazione prova che M non e lapplicazione identica e
che tutti e solo i punti uniti di M sono quelli di .
Siano P n e H il piede della perpendicolare per P a .
Osservato che H e anche il piede della perpendicolare per M (P ) a , si
ha f (H, M (M (P ))) = f (H, M (P )) = f (H, P ).
La precedente implica che M 2 e lidentita su n e quindi lasserto.
Teorema 2.21. Sia M : n n un movimento.
M si puo esprimere come la composta di al pi
u n + 1 riflessioni rispetto
ad iperpiani.
Dimostrazione.
Se M = id : n n e lapplicazione identica, qualunque sia la riflessione
: n n rispetto ad un iperpiano si ha 2 = id = M , con 2 1+1 n+1.
Supponiamo M 6= id.
Allora, esiste O n tale che M (O) 6= O.
Sulla retta [O, M (O)], con la struttura indotta di spazio affine, possiamo
considerare il punto H medio tra O e M (O), per il quale risulta f (O, H) =
f (H, M (O)).
Denotato con liperpiano di n passante per H e perpendicolare a
[O, M (O)], sia : n n la riflessione rispetto alliperpiano .
Si ha f (H, (O)) = f (H, O) = f (H, M (O)) e quindi (O) = M (O).
Per questo, il movimento M1 = M ha O come punto unito.
Consideriamo ora lo spazio vettoriale puntato (n , +O , O ).
Su di esso si puo considerare la il prodotto scalare < , >O , definito nel
modo seguente < P, Q >O =< fO (P ), fO (Q) >, per ogni P, Q n .
E di immediata verifica che M1 e un operatore unitario rispetto al precedente prodotto scalare e quindi si decompone in al pi
u n riflessioni rispetto a
sottospazi di dimensione n1, cioe in al pi
u n riflessioni rispetto ad iperpiani
di n .
Si ha quindi M = M1 = 1 s , dove (i )1is e la famiglia
delle riflessioni in cui si decompone M1 , con s n.
Da qui lasserto.
2.4
99
P n .
Pertanto la i) e vera.
Osserviamo che, posto f (O, P ) = v, si ha fO (M (P )) = fO (P ) = v,
per ogni P n .
Proviamo la ii).
Consideriamo P n .
Da cio segue che i tre punti sono allineati, essendo [O, P ] = (O, v) =
(O, v) = [O, M (P )].
Proviamo la iii).
Fissata una base B di V , e detta C la matrice associata a id : V V
in tale base, si ha det C = (1)n .
Proviamo la iv).
Sia P n un punto unito di M , allora M (P ) = P .
Da cio segue f (O, M (P )) = f (O, P ) e f (O, M (P )) = f ((O, P ), per
qunto visto in precedenza.
Le precedenti implicano f (O, P ) = 0V e quindi P = O.
Pertanto, M e diversa dalla applicazione identica su n , im pi
u si ha
fO (M (M (P ))) = fO (M (P )) = (fO (P )) ,
P n .
100
In questo numero denoteremo con C il campo dei numeri complessi, V denotera uno spazio vettoriale complesso e n sara uno spazio affine si V .
Le proprieta generali sugli spazi affini complessi sono state viste nella
sezione sugli spazi affini.
In questo numero siamo interessati solo alla definizione a allo studio di
alcune proprieta degli ampliamenti complessi degli spazi affini reali.
Per questo ricordiamo che identificato nel modo canonico R con il sottoinsieme dei numeri complessi a+0i, dove i e lunita immaginaria, al variare
di a R, il campo dei numeri reali R diventa un sottocanpo di C.
Questa identificazione induce linclusione di GL(n, R) con il sottogruppo
di GL(n, C) delle matrici aventi tutti i termini reali.
Con queste premesse, si ottiene la struttura di ampliamento complesso
di spazio vettoriale reale su V , come la coppia (B, GL(n, R)), dove B =
(x )1n e una base qualsiasi di V .
Le basi di V che si ottengono da B mediante le matrici di GL(n, R) sono
dette basi reali.
Linsieme
n
X
z x }
=1
P, Q R .
= +
n
X
a ,
{1, . . . , n};
=1
n
X
a = ,
=1
103
{1, . . . , n} .
n
X
x .
=1
Pertanto, risulta
f (O, P ) =
n
X
x f (O, P ) =
=1
n
X
=1
x =
n
X
x = f (O, P ) .
=1
n
X
x = f (O, P ) ;
=1
104
Anche il sottospazio vettoriale W di V esiste, perche su V stiamo considerando una struttura di ampliamento complesso di spazio vettoriale reale.
Sia Q n , si ha
Q W P f (P , Q) = f (P, Q) W f (P, Q) W .
Pertanto, Q W P , se e solo se Q WP ; cioe W P e linsieme complesso
coniugato di di WP .
Definizione 3.3. Sia WP un sottospazio affine di n . Si dice che WP e
un sottospazio affine reale di n , se e solo se UQ = WP R e tale che
dimR (UQ ) = dimC (WP ).
Teorema 3.3. Sia P e un punto di n . Il punto P e un punto reale, se e
solo se P = P .
Sia WP un sottospazio affine reale di n di dimensione r, allora W P =
WP .
Dimostrazione.
Consideriamo un punto P n ed un riferimento reale R(O, B) di n .
Se P e un punto reale, f (O, P ) sara un vettore reale, quindi f (O, P ) =
f (O, P ) = f (O, P ). Allora, per lassioma 1.2, risulta P = P .
Viceversa, per il teorema precedente e per le ipotesi si ha f (O, P ) =
f (O, P ) = f (OP ). Pertanto f (O, P ) e un vettore reale e quindi P e un
punto reale.
Supponiamo che il sottospazio affine reale WP = (P, W ) di n , avente W
come giacitura e passante per P n , abbia dimensione r e proviamo che
W P = WP .
Siccome il sottospazio affine UQ = WP R = (Q, U ) ha dimenzione r,
Possiamo supporre Q = P R , quindi WP R = (P, U ).
Sia v U , per lassioma 1.2, esiste Q n tale che f (P, Q) = v. Quindi
Q UP WP , essendo v U . La precedente implica che v W e quindi
U W.
Esiste B = (y )1n dello spazio vettoriale reale VR i cui elementi sono
i vettori reali di V , tale che {y1 . . . , yr } sia una base di U .
B e una base di V . Per quanto visto prima, per ogni {1, . . . , r}
risulta y W , quindi (y )1r e una base di W .
Quindi
)1n Cn tale che
Pn v W , se e solo se esiste una famiglia (
v = =1 y e par ogni {r + 1, . . . n} si ha = 0.
105
n
X
e {r + 1, . . . n} : = 0 .
=1
P, Q n .
108
Spazi proiettivi
4.1
1 K
tale che v = 1v .
v V .
e un isomorfismo.
Considerate f, g GLn(n+2) (K) e posto (f ) = [L]E e (g) = [F ]E , con
L, F GL(n + 1, K), per ogni P =< v > Pn (K), con v (K n+1 ) , si ha
f (g(P )) = f (< F (v) > ) =< L(F (v)) > = L F (< v > ) .
Dalla precedente segue che
(f g) = [L F ]E = [L]E [F ]E = (f ) (g) ;
e quindi lasserto.
Osservazione 4.1. Anche in questo caso si considera come un isomorfismo
di identificazione. Quindi, risulta GL(n + 1, K)/E = GLn(n+2) (K).
Il gruppo GLn(n+2) (K) e detto gruppo proiettivo ad n per n + 2 parametri
su K.
Il motivo di questo nome e il seguente.
Per determinare un elemento di GL(n+1, K) occorrono (n+1)2 elementi
soggetti alla ovvia condizione.
La relazione E mette in una stessa classe le matrici che hanno un termine
non nullo con le matrici che sulla stessa linea e sulla stessa colonna hanno
come termine 1.
Pertanto, viene riduotto di uno il numero degli elemente di K necessari
per individuare un elemento di GLn(n+2) (K), cioe per individuare un elemento di GLn(n+2) (K) occorrono (n + 1)2 1 elementi di K.
Daremo ora la definizione di spazio geometrico proiettivo. Per questo
sono necessarie alcune premesse.
Sai Sn 6= e supponiamo che esista una bigezione f : Sn Pn (K).
Allora, linsieme F delle bigezione si Sn su Pn (K) e non vuoto e noi su F
possiamo considerare la relazione binaria E definita nel modo seguente
f, g F : f E g T GLn(n+2) (K) tale che g = T f .
(4.1)
115
Definizione 4.5. Supponiamo che B = (xi )0in sia una base di V . Porremo Oi =< xi > , per ogni i {0, . . . , n} e diremo che = (Oi )0in e un
(n + 1)edro fondamentale di P(V ) o equivalente che (Oi )0in e un sistema
di riferimento proiettivo di P(V ). Inoltre, lapplicazione k : P(V ) Pn (K)
definita da
P P(V ), v V tale che P =< v > e (i )0in (K n+1 )
n
X
tale che v =
i xi e porremo k(P ) = n ((i )0in ) .
i=0
116
tale che
n
X
aij j ,
i {0, . . . , n} ;
j=0
Dimostrazione.
Osserviamo che le ipotesi del teorama implicano che linsieme F delle
bigezioni di di Sn0 su Pn (K) e non vuoto.
Quindi basta provare che Hf e una classe di equivalenza rispetto alla
relazione E definita in (4.1).
Per questo siano kf , kf0 Hf .
Allora esistono k, k 0 H tali che kf = k f e kf0 = k 0 f ed esiste
T GLn(n+2) (K) tale che k 0 = T k.
Si ha quindi kf0 = k 0 f = T k f = T kf .
Viceversa, consideriamo una bigezione e
k : Sn0 Pn (K) e supponiamo
che esista kf Hf tale che e
kEkf . Allora esiste T GLn(n+2) (K) tale che
e
k = T kf ed esiste k H tale che kf = k f .
Si ha quindi e
k = T k f = k 0 f = kf0 Hf , avendo posto k 0 = T k H.
Si ha cos lasserto.
Definizione 4.7. Sia k H un sistema coordinato di Sn .
Consideriamo un sottospazio vettoriale di K n+1 e il sottospazio proiettivo
P(W ) di Pn (K), W = k 1 (P(W )) e detto sottospazio proiettivo di Sn .
Teorema 4.8. Siano W un sottospazio proiettivo di Sn e k H un sistema
coordinato di Sn , tale che W = k 1 (P(W )), con W sottospazio vettoriale di
K n+1 , con dimK W = r + 1 e r 0.
W non dipende dal sistema coordinato k.
Sia k H e denotiamo con HW la classe dei sistemi coordinati su P(W ).
Poniamo
Hk = {k1 k|k1 HW } .
(4.2)
Definizione 4.8. Nelle ipotesi del teorema precedente, diremo che (W, Hk )
e la struttura di spazio geometrico proiettivo canonicamente indotta da Sn
su W.
Nelle ipotesi del teorema e della definizione precedenti precedente si ha
Per r = 0, il sottospazio geometrico proiettivo W e un insieme contenente
un unico punto.
Per r = 1, il sottospazio geometgrico proiettivo W e detto retta geometrica
proiettiva.
Per r = 2, il sottospazio geometrico proiettivo W e detto piano geometrico
proiettivo.
Per r = n 1, il sottospazio geometgrico proiettivo W e detto iperpiano
geometrico proiettivo.
Teorema 4.9. Sia W un sottospazio geometrico proiettivo di Sn , di dimensione r, con r 1.
Fissato un sistema coordinato k H, lequazione di W in k e
i
r
X
(4.3)
=0
r+1
una famiglia (t )0r (K ) tale che v = r=0 t y .
120
n
X
ai i = 0 ,
{1, . . . , n r} ;
(4.4)
i=0
nulli, se e solo se
. . . 0r
. . . 1r
= 0 , i {r + 1, . . . , n} .
r
. . . r
. . . ir
123
(4.5)
124
n
X
ai i = 0 ,
{1, . . . , n r} ;
bi i = 0 ,
{1, . . . , n s} ;
i=0
U :
n
X
i=0
125
n
X
ui i = 0 ;
(4.6)
i=0
n=1
I riferimenti proiettivi di S1 sono tutti e soli quelli determinati da due
punti distinti e ogni punto ha in ogni riferimento proiettivo due coordinate
proiettive omogenee che sono denotate con (x0 , x1 ).
Gli unici sottospazi sono quelli banali e sono la retta geometrica proiettiva
S1 e gli insiemi ridotti ad un unico punto.
n=2
I riferimenti proiettivi di S2 sono tutti e solo quelli determinati da tre
punti non collineari e ogni punto ha in ogni riferimento proiettivo tre coordinate proiettive omogenee che sono denotate con (x0 , x1 , x2 ).
Oltre ai sottospazi proiettivi banali, esistono i sottospazi proiettivi di
dimensione uno; cioe le rette.
Sia k H un sistema coordinato proiettivo di S2 .
r=1
In questo caso, lequazione (4.7) diventa
0 0 0
x 0 1
1 1 1
x 0 1 = 0
2 2 2
x 0 1
Pertanto, possiamo scegliere
0 0
1 1
0 1
u0 = 2 2 , u1 = 01 11
0 1
0 1
0 0
, u2 = 01 11
0 1
(4.8)
e abbiamo
W : u 0 x0 + u 1 x1 + u 2 x2 = 0 .
(4.9)
Dimostrazione.
Siano W e U due rette geometriche proiettive di S2 , k H un sistema
coordinato proiettivo di S2 e supponiamo W : u0 x0 + u1 x1 + u2 x2 = 0 e
U : v0 x0 + v1 x1 + v2 x2 = 0.
Allora tutti e soli i punti di WU hammo coordinate proiettive omogenee
soluzioni del sistema lineare omogeneo
u0 x0 + u1 x1 + u2 x2 = 0
;
v 0 x0 + v 1 x1 + v 2 x2 = 0
la cui matrice dei coefficienti e
A=
u0 u1 u2
v0 v1 v2
(4.13)
u0 u1 u2 u3
v0 v1 v2 v3
.
Ragionando come nel caso delle rette si vede facilmente che o 1 = 2 , oppure, se i due piani sono distinti che W = 1 2 e una retta e si determinano
facilmente le coordinate dei suoi punti.
Tutte le rette di S3 (K) si possono ottenere come intersezione di due piani
distinti.
Quindi considerati due punti distini P1 , P2 S3 , con k(P1 ) = 3 (y) =
3 (y 0 , y 1 , y 2 , y 3 ) e k(P2 ) = 3 (z) = 3 (z 0 , z 1 , z 2 , z 3 )vettori y = (y 0 , y 1 , y 2 , y 3 )
129
1
x = y 1 + z 1
[P1 , P2 ] :
(, ) (K 2 )
(4.15)
2
2
2
x
=
y
+
z
3
x = y 3 + z 3
Lquazione (4.15) puo essere considerata come un sistema di quattro
equazioni nelle due incognite (, ) K 2 .
Per scrivere il sistema (4.5), possiamo supporre che il minore di ordine
massimo non nullo sia
0 0
y z
a = 1 1 6= 0
y z
Allora, il punto P (x0 , x1 , x2 , x3 ) appartiene a [P1 , P2 ], se e solo se
0 0 0
0 0 0
x y z
x y z
1 1 1
x y z = 0 e x1 y 1 z 1 = 0
3 3 3
2 2 2
x y z
x y z
Se un qualsiasi altro determinante della matrice dei coefficienti dellequazione
(4.15) considerata come sistema di quattro equazione nelle incognite (, ) e
non nullo si puo ragionare in modo analogo.
Torniamo ora al caso generale per dimostrare il principio di dualit
a.
Sia n linsieme degli iperpiani dello spazio geometrico proiettivo Sn .
Teorema 4.15. Sia k H un sistema coordinato proiettivo di Sn .
Esiste una bigezione k : n Pn (K), tale che
k (W)
0 , u1 , . . . , un ), per ogni iperpiano W 2 , avente equazione
Pn= n (u
i
W : i=0 ui x = 0 nel sistema coordinato proiettivo k.
La struttura di spazio geometrico proiettivo definita da k mediante il
teorema 4.7, non dipende dal sistema coordinato k.
Dimostrazione.
La relazione binaria k e unapplicazione.
Infatti, sia W n e unPiperpiano proiettivo P
di Sn , e consideriamo due
n
i
sue equazioni diverse W : i=0 ui x = 0 e W : ni=0 vi xi = 0 nel sistema
coordinato proiettivo k.
Allora, risulta (ui )0in , (vi )0in (K n+1 ) ed esiste K tale che
i
v = ui , per ogni i {0, . . . , n}.
130
k e ingettiva.
Per questo siano W, U n due iperpiani geonetrici proiettivi di Sn tali
che k (W) = k (U).
Supponiamo
che le loro
siano rispettivamente
Pn
Pnequazioni
i
i
W : i=0 ui x = 0 e U : i=0 vi x = 0 nel sistema coordinato proiettivo k.
Dovendo essere n ((ui )0in ) = n ((vi )0in ), esiste K tale che
v i = ui , per ogni i {0, . . . , n}.
Pertanto, si ha W = U.
Essendo k una applicazione bigettiva, esiste ununica struttura di spazio
geometrico proiettivo definita dal teorema 4.7.
Sia k 0 H un ulteriore sistema coordinato proiettivo di Sn .
Allora esiste una matrice A = (bij )0in| 0jn GL(n + 1, K) tale che
per ogni punto
P Sn , con k(P ) = n ((xi )0in ) e k 0 (P ) = n ((y i )0in ),
P
risulta xi = nj=0 bij y j .
Sia ora W n un iperpiano geometrico
P proiettivo di Sn e supponiamo
che la sua equazione rispetto a k sia W : ni=0 ui xi , con (ui )0in (K n+1 ) .
Nel sistema coordinato proiettivo k 0 la sua equazione sara
!
!
n
n
n
n
X
X
X
X
i j
i
W:
ui
bj y =
u i bj y j
i=0
j=0
j=0
i=0
Da cio, in modo ovvio segue che esiste T GL(n(n + 2), K) tale che (k 0 ) =
T k , con lovvio significato di (k 0 ) .
Si ha cos lasserto.
Definizione 4.10. Consideriamo P Sn e linsieme
F(P ) = {W n |P W} .
Per n 4, F(P ) e detto stella di iperpiani di centro P .
Per n = 3, F(P ) e detta stemma di piani di cento P .
Per n = 2, F(P ) e dotto fascio di rette di centro P .
131
4.2
133
134
5
5.1
Osservazione 5.1. Se K = R, oppure K = C le asservazioni fatte si applicano direttamente agli spazi geometrici proiettivi considerati e sono sufficienti per il seguito, pertanto, per gli spazi geometrici proiettivi reali e per
quelli complessi non considereremo nessuna ulteriore proprieta.
Supponiamo K = C e consideriamo su Cn+1 la struttura standard di
ampliamento complesso di spazio vettoriale reale.
Un esempio
5.2
Sia n uno spazio affine su K n , con K campo e denotiamo con (ei )1in la
sua base naturale.
Indichiamo con = W1 linsieme delle rette di n .
Il teorema 1.19 ci assicura che possiamo considerare il quoziente n1, =
/ k, essendo la relazione di parallelismo tra rette una relazione di equivalenza.
Poniamo Sn = n n1, ed osserviamo che n n1, = .
Osserviamo che per ogni P n1, esiste una retta r = (A, v) di n tale
che P = [r]k e che la classe di parallelismo [r]k e completamente determinata
dalsottospazio vettoriale < v > , con v V .
Vale anche il viceversa ed ogni vettore v V determina una classe di
parallelismo [r]k , con r = (A, v) e A n . Inoltre, la classe [r]k non dipende
dal vettore arbitrariamente scelto in < v > .
Le osservazioni precedenti ci consentono di porre P =< v > , per ogni
P n1, , con P = [r]k , r = (A, v), A n e v V . Cio premesso,
fissiamo un riferimento affine R(O, B) di n , con B = (xi )1in e denotiamo
con h : n K n il sistema coordinato da esso determinato.
Teorema 5.1. Esiste unapplicazione bigettiva k : Sn Pn (K), definita nel
modo seguente. Per ongni P Sn , poniamo:
Dimostrazione.
Per prima cosa proviamo che k e una applicazione.
Sia P Sn .
Supponiamo dapprima che P appartenga solo a n .
Poiche h e una applicazione, esiste ed e unico h(P ) = (1 )1in K n .
Quindi, k(P ) = n (1, 1 , . . . , n) esiste ed e unico, poiche (1, 1 , . . . , n)
(K n+1 ) e unico e n e una applicazione.
Supponiamo ore che P appartenga solo a n1, .
Allora, esiste v (K n ) tale che P =< v > , con v = (i )1in . Pertanto
si ha (0, 1 , . . . , n ) (K n+1 ) .
Inoltre, risulta < (0, 1 , . . . , n ) > = {0} < v > .
Consideriamo ora A n e poniamo r = (A, v), risulta P = [r]k . Sia ora
s = (Q, w), con Q n e w (K n ) . Allora, s [r]k se e solo se w < v > .
Dalle osservazioni precedente segue che n (0, 1 , . . . n ) non dipende dal
rappresentante della calsse di equivalenza P = [r]k e quindi k(P ) esiste ed e
unico anche in questo caso.
Non esistono altri casi possibili, perche n n1, = .
Osservazione 5.2. Nelle ipotesi del teorema precedente se P Sn con
k(P ) = n (0 , . . . , n ) si possono presentare due casi.
n
1
Se 0 6= 0, allora si ha anche k(P ) = n (1, 0 , . . . , 0 ) e si ha
1
n
P = h1 ( 0 , . . . , 0 ) n
Se 0 = 0, deve esistere i0 {1 . . . , n} tale che i0 6= 0, essendo
i
( )0in (K n+1 ) .
P
Allora, considerato il vettore v = ni=1 i ei 6= 0K n ed un punto A n si
ha P = [(A, v)]k .
Definizione 5.1. Nelle ipotesi precedenti si dice che (Sn , H), con k H, e
lo spazio geometrico proiettivo associato allo spazio affine n .
n1, e detta iperpiano improprio di n .
Per n = 1, 0, , contiene un unico punto detto punto improprio della
retta affine 1 .
Per n = 2, 1, e detta retta impropria dello spazio affine 3 .
Per n = 3, 3, e detto piano improprio delle 3 .
I punti di n1, sono detti punti impropri.
I punti di n sono detti punti propri.
Il passaggio dalle coordinate affini a quelle proiettive di un punto P n
tramite il remark 5.2 e detto disomogenizzazione delle coordinate proiettive
136
0
e
h
(P
)
=
h(P ) =
0 1in
0 1in
Allora, denotata con A = (aij )1in| 1in GL(n, K) la matrice del teorema
1.11, sempre per lo stesso teorema si ha
n
X j
i
i
=
+
aij 0 ,
0
i=1
Posto = 0 /0 ,
0
= 0
P
i = 0 i + ni=1 aij j ,
i {1, . . . , n}
i {1, . . . , n}
e rappresenta il cambiamento delle coordinate di P rispetto al sistema coordinato proiettivo k in quelle di P stesso rispetto al sistema coordinato
proiettivo k 0 .
Lespessione precedente ci assicura che k 0 = T k, con T GLn(n+2) (K),
se e solo se la matrice H che la determina ha rango massimo.
Cio e vero in quanto
0... 0
0 1 a1 . . . a 1
1
n
H=
..
.
0 n n
n
a1 . . . a n
137
138