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LA LIRA
segue: LE BANCHE PRIVATE DI....STATO (E chi vigila? Le stesse Banche!
Prima dell'unità del Regno d'Italia sul territorio c'erano gli istituti bancari
autorizzati ad emettere banconote. Nel 1860 vi era la Banca Nazionale Sarda, la
Banca di Parma, Banca delle Quattro Legazioni (Bologna e dintorni), la Banca
Nazionale Toscana.
Nello stesso anno nasce anche la Banca Toscana di Credito, anch'essa autorizzata
ad emettere banconote. Nell'anno successivo, con la proclamazione del Regno
d'Italia, la Banca Nazionale Sarda assume la denominazione di Banca Nazionale del
Regno d'Italia, assorbe la Banca di Parma e la Banca delle Quattro Legazioni e
diventa il più importante istituto di emissione del neonato Regno d'Italia,
estendendo la sua attività anche all'Italia centrale e meridionale.
Nel 1866 anche il Banco di Napoli viene autorizzato ad emettere banconote, mentre
nell'anno successivo godrà della stessa autorizzazione il Banco di Sicilia. Tre anni
dopo, siamo quindi nel 1870, la Banca dello Stato Pontificio riassume la vecchia
denominazione di Banca Romana, ottenendo anch'essa dal governo centrale iI
riconoscimento del diritto di emissione. Alla fine del 1870, quando il giovane Stato
Italiano può stabilire a Roma la propria capitale, circolano dunque su tutto il
territorio nazionale banconote emesse dai seguenti istituti: Banca Nazionale del
Regno d'Italia, Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito, Banco di
Napoli, Banco di Sicilia, Banca Romana.
Tutte le banconote emesse da questi istituti hanno corso legale. Ma giá dal 1866 le
banconote circolavano in "corso forzoso".
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Se riflettiamo però sugli effetti pratici del corso forzoso, ossia sull'attribuzione "ope
legis" di valore a un pezzo di carta (la banconota), noteremo come il corso forzoso si
traduca, nella pratica, in un prestito obbligatorio, oltretutto senza interessi, imposto
ai cittadini. Si traduce cioè nel trasferire sulle tasche dei cittadini il debito contratto
dallo Stato con la Banca.
Questa sa che può stampare banconote senza che ne venga chiesta la conversione in
oro, quelli devono accettare le banconote che, per loro natura, conoscono però un
fenomeno sconosciuto invece all'oro: la svalutazione, ossia la perdita del "potere di
acquisto". E' vero che la legge mi impone di credere che cento lire siano sempre
cento lire, ma é altrettanto vero che l'ortolano, il salumiere, il panettiere (che sono
poi da sempre i problemi del vivere quotidiano) mi danno, giorno per giorno,
qualcosina in meno a fronte di quelle cento lire, perché a loro volta nutrono poca
fiducia in un mero pezzo di carta, anche se la legge autorizza una banca ad
emetterlo senza dar nulla in cambio.
L'imposizione del corso forzoso della lira ingenera quindi i primi fenomeni di
inflazione, per usare un termine oggi fin troppo conosciuto.
Alla fine del 1866 il "circolante" ammontava a lire 650 milioni. Ma il vero
problema ingenerato dal corso forzoso non era tanto quello dell'inflazione indotta,
quanto il fatto che, essendo all'epoca le banche di emissione delle semplici società
per azioni, ossia organi di diritto privato, si dava il là ad una autonomia bancaria
sfrenata, si creavano cioè dei soggetti privati investiti della facoltá di "creare
ricchezza". E questi soggetti potevano essere (come del resto erano) portatori di
interessi particolari (industriali, commercianti, latifondisti ecc.). Se é vero che il
periodo del corso forzoso favorì una forte crescita industriale, perché permise un
allargamento del credito, indispensabile in una nazione agricola che muoveva i
primi passi verso una struttura più moderna, é altrettanto vero che questa
espansione (basata su una presunzione di sviluppo e non su solide garanzie già
esistenti) rischiava di diventare una bomba a scoppio ritardato.
Nel frattempo la politica governativa (era al potere la "Destra Storica") era tesa al
risanamento finanziario dello Stato e il pareggio di bilancio, conseguito nel 1876 dal
governo Minghetti, contribuì al consolidarsi di un clima di fiducia in un sistema
economico che sembrava ben instradato, tant'è che nel 1884 il corso forzoso venne
abolito, con l'intento soprattutto di invogliare i capitali stranieri ad investire in
Italia. Non si verificò la corsa alla conversione in oro delle banconote (paventata
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dalla Destra che, proprio nel 1876, dopo aver pareggiato il bilancio dello Stato,
aveva dovuto però cedere il potere alla Sinistra), perché ormai la lira riscuoteva
fiducia sia all'interno che all'estero. Infatti solo 250 milioni vennero convertiti, a
fronte di un circolante ormai superiore al miliardo, e nel giro di un paio di anni
quasi la metà di quell'oro era già tornato nei forzieri delle banche di emissione. Era
una prova di grande stabilità per la nostra lira, che aumentò di quotazione in tutte
le Borse estere, attirando capitali stranieri, che vennero investiti in Italia per oltre
un miliardo.
Se la lira dell'ancora adolescente Regno d'Italia iniziava il suo cammino nelle valute
di importanza internazionale, il sistema bancario di emissione evidenziava invece i
suoi difetti di fondo e la carenza di controlli veramente efficaci. Il Diavolo, é cosa
nota, produce ottime pentole ma, in quanto a coperchi, non vale molto. In vena di
proverbi, vorremmo citarne un altro: "La tentazione fa l'uomo ladro". Ma prima di
spiegarvi perché citiamo questa popolar saggezza, permettete, cari lettori, una
domanda un po' maliziosa; mettetevi una mano sul cuore e rispondete con tutta
sincerità: chi di voi, se in un domani, per qualche strana ed eccezionale circostanza,
si trovasse autorizzato a stampare dei bei foglietti di carta con scritto "vale lire
mille", se la legge imponesse a tutti i cittadini di accettare questi foglietti, chi di voi,
dicevamo, non indugerebbe, almeno per un attimo, nel pensierino di quante cose
belle si potrebbero fare se il pulsante che ferma la macchina da stampa si guastasse,
e la macchina continuasse a stampare, stampare, stampare.
( LA BANCA ROMANA )
La Banca Romana era sorta nel 1835, per iniziativa di un gruppo di capitalisti
francesi e belgi. Nel 1851 aveva assunto la denominazione di Banca dello Stato
Pontificio, divenendo l'istituto di emissione degli Stati della Chiesa. Dopo gli eventi
militari e politici che culminarono nel 20 settembre del 1870, e con la proclamazione
di Roma Capitale, la banca riassunse la sua vecchia denominazione, mantenendo,
come avevamo già visto, il suo diritto ad emettere banconote. La proclamazione di
Roma Capitale aveva provocato una vera "febbre" edilizia e per alimentare i
cantieri che sorgevano come funghi gli imprenditori fecero un gran ricorso al
credito. Nell'atmosfera da "conquista del West" in cui si svolgeva questa attività
erano carenti i controlli sulla reale solvibilità dei debitori, ed esistevano già (vizio
antico, Calvi, Sindona & C., in fondo, non hanno inventato proprio nulla di
nuovo...) i clienti e le "clientele" a cui non si poteva negare un credito bancario.
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E proprio quest'ultimo, quando divenne a sua volta primo ministro, tentó il colpo
gobbo per calare definitivamente il sipario sullo scandalo della Banca Romana:
propose la nomina di Tanlongo a senatore (i senatori erano all'epoca, giova
ricordarlo, di nomina regia). Ma venne battuto sul tempo da un irruente deputato
repubblicano, già combattente garibaldino, Napoleone Colajanni, che il 20
dicembre 1892 rendeva noto in Parlamento il rapporto dell'ispettore Alvisi (che
l'aveva affidato, in punto di morte, ad amici per scaricarsi la coscienza). Una
commissione d'inchiesta, che concluse i suoi lavori il 20 marzo 1893, rilevò tra
l'altro, oltre a quanto già appurato a suo tempo dagli ispettori, un "buco" di cassa
di 20 milioni. II cassiere principale, Lazzaroni, sfuggí col suicidio al carcere, le cui
porte si aprirono invece, il 13 giugno del 1893, per il governatore della Banca,
Tanlongo. Giolitti rassegnò le dimissioni da primo ministro e per una decina d'anni
dovette restarsene in freezer.
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In quel 1926 fu quindi creata la situazione in cui viviamo tuttora: la Banca d'Italia é
l'unico istituto autorizzato ad emettere banconote. Le banconote dei banchi
meridionali circolarono ancora per un quinquennio, ad esaurimento, venendo via
via ritirate e sostituite con quelle della Banca d'Italia. Questo provvedimento
doveva essere quello definitivo per il riordino della monetazione, anche in armonia
col resto dell'Europa, dove ogni paese aveva un solo istituto di emissione, con
l'eccezione della Gran Bretagna, che manteneva la differenza sul suo territorio tra
sterlina inglese, scozzese e irlandese (peraltro tra loro intercambiabili), per poter
esercitare meglio e in modo accentrato il controllo sulla massa circolante di danaro
liquido. L'esclusiva alla Banca d'Italia arrivava dopo che il grande aumento della
massa circolante (favorito dal corso forzoso) aveva causato un incremento dei prezzi
all'interno e un crollo delle quotazioni internazionali della lira. All'epoca la moneta
di riferimento era la sterlina (come oggi é il dollaro).
( LA QUOTA "NOVANTA" )
Nel 1922 per acquistare una sterlina erano necessarie 90 lire. Nel 1926 ne servivano
154. Il governo di Mussolini fece del ritorno a "quota novanta" una questione di
prestigio: l'obiettivo fu raggiunto nel dicembre del 27, quando fu fissata una
quotazione di lire 92,46 per una sterlina. E il 21 dicembre, come dicevamo sopra, il
corso forzoso veniva abolito.
Era però alle porte un'altra crisi, quella del 29, che dal crollo di Wall Street portò i
suoi effetti in tutto il resto del mondo occidentale.
E nel 1925, pur mantenendo la convertibilità della lira, venne sospeso l'obbligo
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(I MINIASSEGNI )
Da ultimo, vorremmo ricordare il curioso fenomeno dei "mini-assegni". Negli anni
1976 e 77 la carenza di monete di piccolo e piccolissimo taglio era diventata così
grave da indurre alcune banche ad emettere assegni circolari per importi che
variarono dalle cinquanta alle trecentocinquanta lire, per far fronte alle richieste
della clientela che aveva bisogno di questi tagli per le normali esigenze quotidiane di
pagamenti. Per ragioni pratiche questi assegni erano più piccoli dei tradizionali
assegni del "libretto": da qui la denominazione di "mini-assegni". Le banche che
non erano autorizzate all'emissione di assegni circolari trovarono l'escamotage di
emettere assegni bancari, da loro interamente compilati a stampa, ma ufficialmente
tratti da loro clienti a favore di "portatore". La faccenda durò un paio d'anni e fu
un ottimo rimedio ad una carenza di spiccioli che diventava davvero insopportabile,
ma si tradusse anche in un ottimo affare per le banche: infatti moltissimi di questi
mini-assegni non tornarono mai alla banca per il pagamento, vuoi perché smarriti o
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