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Pamela D.

Stewart

Il

testo teatrale e la questione del

doppio destinatario: l'esempio della


Calandria

Argomento

questo studio il carattere specifico del testo


che distingue il testo teatrale da un altro
testo qualunque e in ispecie dal testo narrativo. Molti hanno scritto
da varie parti e con varia intenzione, su questo argomento,
di

teatrale: voglio dire ci

soprattutto,

ma non

mi fermer

in particolare sulla tecnica del doppio, o addirittura

soltanto, negli ultimi dieci o quindici anni. Io


1

plurimo, destinatario, che stata assunta a simbolo della teatralit,


tanto che in nome di essa si potuto parlare della teatralit di
un'opera narrativa
del "Decameron come teatro." 2 E concentrer

la

mia

analisi su

un esempio, quello

della Calandria del Bibbiena.-

La scelta di un esempio unico dipende dalla mia convinzione che


soltanto un'analisi sufficientemente approfondita di un testo teatrale pu avere qualche speranza di avvicinarsi alla sua specificit.
Naturalmente io credo che quel che dir della Calandria, se valido,
dovrebbe poter essere esteso ad altre opere teatrali
ma non direi
necessariamente a tutte, pensando, per esempio, al teatro d'avanguardia contemporaneo, o alla commedia elegiaca del medioevo
al "teatro dei secoli senza teatro," per servirmi dell'espressione
adoperata da Giorgio Padoan. La mia ipotesi che la mia analisi e
le mie conclusioni si possano estendere a tutto quello che potremmo chiamare, e sia pure in modo approssimativo, il teatro tradizionale. La scelta, poi, della Calandria, in particolare, dipende dal fatto
che questa commedia costituisce, almeno a mio avviso, un caso
quasi paradigmatico dell'uso della tecnica del doppio destinatario:
e cio l'esempio di un'utilizzazione particolarmente intensa e
riuscita del giuoco fra i vari destinatari e le varie prospettive dalle
quali questi considerano gli avvenimenti.

QUADERNI d'italianistica Volume No


I

1,

1980

16
II

tutto lo svolgimento della commedia nessuno dei personaggi riesce a capire interamente quel che sta accadendo: soltanto il
pubblico al corrente di tutta la verit. In alcune scene, il dialogo

Durante

sembra

ridursi a dei

dei vari personaggi

frammenti

di

monologhi divergenti,

loro piani,

e l'azione

loro complotti, le loro astuzie

svolgersi al buio, quasi ad occhi chiusi, procedendo in

direzione del tutto insospettata, nota soltanto

al

una

pubblico, olimpi-

camente divertito

e onnisciente. Nella seconda scena del secondo


Samia, scambiando Lidio femmina (e cio Santilla
travestita da uomo) per Lidio maschio, insiste perch vada a trovare

atto, la serva

di

nuovo

capire

la

la

padrona Fulvia, innamorata

di quest'ultimo, e

non pu

reazione del suo interlocutore, o piuttosto interlocutrice,

quale a sua volta non sa e non riesce a capire di che cosa Samia
parlando. Nelle due scene seguenti, Ruffo, lo pseudo-negromante, Lidio femmina e il suo servo Fannio tramano un inganno ai
la

stia

danni

di Fulvia, approfittando della sua credulit, e cio della sua

fiducia nei poteri magici di Ruffo, che grazie ad

familiare (o "favellano,

come

lo

un suo

spirito

chiama Samia storpiando

la

che vuole. Ora, Ruffo non sa che il Lidio a cui si


rivolge una femmina travestita da maschio; e Lidio femmina e
Fannio non sanno niente della vera ragione della passione di
Fulvia. Tutto ci , invece, noto agli spettatori. Nell'ultima scena
del quarto atto e nelle prime due del quinto, Samia e perfino
Fessenio (il furbo della commedia) sono portati a credere che Lidio
maschio sia stato effettivamente trasformato in femmina, per opera
del solito spirito "favellano" e dello pseudo-negromante. E cos
via. Sarebbe difficile trovare una scena che non presupponga un
diverso livello di informazione fra personaggi e spettatori.
Com' noto, il Bibbiena prese lo spunto della sua commedia dai
Mcnacchmi di Plauto." Egli per sostitu (nel contesto socio-ideologico di un'esaltazione dell'amore con forti sottintesi omosessuali,
abilmente indicati fin dall'inizio) ai due gemelli maschi della
commedia plautina un maschio e una femmina: Lidio e Santilla,
tanto simili "di volto, di persona, di parlare," che "talor vestendosi
Lidio da fanciulla e Santilla da maschio, non pur li forestieri, ma
non essa madre, non la propria nutrice sapea discernere quai fusse
Lidio o quai fusse Santilla" (LI). Intorno a ciascuno dei gemelli si
formano due gruppi di personaggi, simmetricamente atteggiati,
che si dividono in due la conoscenza della verit. Fessenio, Fulvia,
Samia, conoscono la vicenda di Lidio maschio; Fannio e Tiresia (la
nutrice, che appare sulla scena, ma non parla)" conoscono quella di
Santilla, e cio
come pi frequentemente detto nel testo, quasi
parola)

fa e disf ci

17

simmetria

a sottolineare la

commedia porta ciascuno

della

Lo svolgimento
due gruppi a incontrarsi e

di "Lidio femina."
di questi

conoscere cos l'altra met della verit: ma ci accade alla fine. Per
quanto poi riguarda Calandro e Ruffo
anch'essi simmetricamen-

te collocati,

Lidio

l'uno dalla parte di Lidio maschio, l'altro dalla parte di

femmina

essi

conoscere n Luna n

non conoscono
l'altra

non vengono mai

parte della verit, e

all'oscuro di tutto, dal principio alla fine. Calandro

Lidio maschio maschio, lo crede

femmina

si

agitano,

non

sa

che

e s'innamora di lui.

Ruffo non sa che Lidio femmina femmina, crede che sia maschio e
pensa di potersene servire per convalidare la sua fama di negromante. Entrambi si credono furbi e sono le vittime delle beffe degli
altri

personaggi. Calandro lo sciocco per antonomasia, oggetto di


scherno da parte di tutti. E nel momento in cui

trastullo, di riso e di

sembrerebbe che dovesse inevitabilmente scoprire la verit, la


sostituzione di una bruttissima meretrice (II.9,p.58, "vezzosa porca," III. 1, p.60, "scanfarda" detta da Fessenio; v. anche III. 3, p.66,
dove Calandro stesso dice che brutta) a Lidio maschio, fa s che
egli si confermi nell'errore e nel suo entusiasmo erotico:
Col mal anno, lassa che mi corrucci io, non tu, dispettosa! che m'hai
cavato dal paradiso mondano e toltomi ogni mio sollazzo. Fastidiosa!
[Egli dice rivolgendosi alla moglie Fulvia e parlando della sua grande
avventura.] Tu non vali le scarpette vecchie sue, che la mi fa pi carezze
e meglio mi bacia che tu non fai. Ella mi piace pi che la zuppa del vin
dolce; e luce pi che la stella Diana; e ha pi magnificenza che la
Quintadecima; e pi astuta che la fata Morgana. (111.13, p.79)
Ruffo, dal canto suo, finisce per credere che Lidio

ritenuto maschio, sia ermafrodito, o

parola

adoperata da

pp. 87,88).
La situazione si

Fannio,

come

femmina, da

"merdafiorito,"

"barbafiorito"

(111.17,

03

lui

egli dice storpiando la

pu riassumere schematicamente

cos:

18

Ho

lasciato

appaiono

da parte alcuni personaggi del tutto marginali che

una

sulla scena soltanto

volta: gli sbirri,

il

facchino e

meretrice, pure e semplici pedine del giuoco scenico, e Polinico,

la
il

pedante, che serve da pretesto per richiamare l'attenzione sullo


sfondo socio-ideologico della commedia, sopra accennato. A Calan-

dro e a Ruffo, isolati dalla loro stessa sciocchezza e confinati senza


rimedio al grado zero di conoscenza della Verit, seguono i due
gruppi di personaggi che ne conoscono due met diverse (indicate
con v e v 2 ), e a questi, fuori della scena, gli spettatori. Le due frecce
tratteggiate indicano che, attraverso lo svolgimento dell'azione,
ciascuno dei due gruppi a verit dimidiata viene a conoscere l'altra
met del vero e viene a trovarsi, quindi, ma soltanto alla fine della
commedia, nella stessa situazione degli spettatori. Questi ultimi, se
si tien conto dell'argomento recitato da un attore, dopo il prologo,
all'inizio dello spettacolo, conoscono nei suoi elementi fondamentali la verit, prima ancora che la commedia cominci. E se poi non si
vuol tener conto dell' argomento (che pure ha in ci la sua ragion
d'essere), vengono ben presto messi al corrente della situazione,
direttamente, attraverso il monologo di Fessenio, col quale si apre
1

il

primo

quale
della

si

indirettamente, attraverso quello di Ruffo, col

atto, e,

chiude

commedia

il

primo

atto.

(l'intreccio,

il

Scene, personaggi e l'azione stessa

suo sviluppo,

la

sua conclusione)

sono resi possibili dal duplice sfruttamento della tecnica del


doppio destinatario
fra personaggi a grado zero di conoscenza
della verit e personaggi a verit dimidiata, e fra questi ultimi e il
pubblico
e dalla condizione che uno dei destinatari ne sappia
pi dell'altro (o degli altri, com' appunto il caso degli spettatori).
Sembra quasi che la commedia non sia altro che l'illustrazione, la
messa in scena di questa tecnica.

Ili

E tuttavia, nemmeno questa commedia, che si pu considerare


appunto paradigmatica e il cui successo teatrale ovviamente
affidato all'uso estremo, quasi parossistico, della tecnica in questio-

ne, riesce senz'altro a persuaderci che in tale tecnica vada ricercato


il

segreto,

il

carattere specifico, di

un

testo teatrale. L'intreccio della

Calandria rientra nel tema, che ha avuto tanta fortuna nel teatro,

un tema che si presta in modo particolare


giuoco del doppio destinatario. Ma evidentemente non questo
il tema della maggior parte delle opere teatrali. E d'altro canto, non
sarebbe difficile trovare, nelle parti dialogiche e nei discorsi
inseriti in opere narrative, esempi di una brillante utilizzazione
degli scambi di persona: 9

al

19
del doppio destinatario e del diverso livello d'informazione, o
almeno del diverso punto di vista e del diverso contesto, che

distinguono l'un destinatario

dall'altro.

Basta pensare a certe novelle del Decameron. Tutti ricordano

certamente

la

famosa predica di

frate Cipolla, nella quale grazie

alle acrobazie linguistiche dell'oratore

pi comuni vengono

fatti

luoghi e

gli

avvenimenti

passare per cose meravigliose, del tutto

fuor dell'ordinario: VI. 10. 37, 10 "quelle parti dove apparisce

il

sole";

Vinegia partendomi e andandomene per lo Borgo de'


Greci e di quindi per lo reame del Garbo cavalcando e per Baldacca,
pervenni in Sardigna"; VI. 10.41, "alle montagne de' baschi pervenni, dove tutte l'acque corrono alla 'ngi"; "dove io vi giuro, per lo
abito che io porto addosso che i' vidi volare i pennati, cosa
incredibile a chi non gli avesse veduti"; ecc. Mentre le cose pi
incredibili vengono date per certe, come, per esempio, la lista delle
reliquie possedute dal "venerabile padre messer Nonmiblasmete
Sevoipiace, degnissimo patriarca di Jerusalemme": VI. 10.45, "il
VI. 10.38, "di

dito dello spirito santo cos intero e saldo

come

fu mai, e

il

ciuffetto

una dell'unghie de'


una delle coste del Verbum-caro fatti-alle-finestre, e

del serafino che apparve a San Francesco, e

Gherubini, e
de' vestimenti della Santa F cattolica, e alquanti de' raggi della
stessa che apparve a' tre Magi in oriente," e cos via (c'era anche
"uno de' denti della Santa Croce, e in una ampolletta alquanto del
suono delle campane del tempio di Salamone," VI. 10.46). Giuocando cos, nell'un caso e nell'altro, sul duplice destinatario del
discorso: "la stolta moltitudine" dei Certaldesi, con la loro credulit, da una parte, e dall'altra, i suoi amici beffardi, presenti anch'essi
alla predica,

nonch l'incredulo e

divertito lettore.

Quest'ultimo ovviamente, anche se implicitamente, coinvolto,


nelle risposte dell'abbate a Ferondo, al quale quegli ("che la moglie
di lui si gode," "santissimo," com', "fuori che nell'opera delle
donne," III. 8. 4) fa credere di essere in purgatorio:
Disse Ferondo: "Non c' egli pi persona che noi due?"
Disse il monaco: "S, a migliaia, ma tu non gli puoi n vedere n udire se

non come

essi te."

Disse allora Ferondo:


contrade?"

"Ohioh!" disse
cacheremo."

il

"O quanto siam

monaco

noi di lungi dalle nostre

"sevi di lungi delle miglia pi di

ben

la

"Gnaffe! cotesto bene assai!" disse Ferondo "e per quello che mi paia,
noi dovremmo essere fuor del mondo tanto ci ha." (III. 8. 60-63)

E similmente soprattutto
quio, in Vili. 3, fra

Maso

il

lettore l'altro destinatario del collo-

del Saggio e Calandrino circa la favolosa

20

contrada di Bengodi

un compagno

di

in particolare, Vili. 3. 12-17

(v.

Maso

il

la presenza di
quale presumibilmente assiste, consapevo-

colloquio, non ha molto rilievo). Esclusivamente al


sottintesi ironici, le allusioni
sono rivolti, in Vili. 9,
burlesche ed oscene, le invenzioni verbali e le parole comicamente
storpiate del colloquio in cui Bruno descrive a maestro Simone le
le della beffa, al

lettore

meraviglie dell'andare

in corso:

Voi vedreste quivi la donna de' barbanicchi, la reina de' baschi,


moglie del soldano, la 'mperadrice d'Osbech, la ciancianfera di Norueca,
semistante di Berlinzone e la scalpedra di Narsia. (Vili. 9. 23)

la
la

"Stanotte fu' io alla brigata: e essendomi un poco la reina d'Inghilterra


mi feci venir la gumedra del gran can d'Altarisi."

rincresciuta,

Diceva il maestro: "Che vuol dir gumedra? io non gl'intendo questi


nomi."
"O maestro mio," diceva Bruno "io non me ne maraviglio, che io ho
bene udito dire che Porcograsso e Vannaccena non ne dicon nulla."
Disse il maestro: "Tu vuoi dire Ipocrasso e Avicena." (Vili. 9. 35-38)

Per non dire degli elogi ambigui fatti a maestro Simone (Vili. 9. 15,
"l'amor che io porto alla vostra qualitativa mellonaggine da
Legnaia," Vili. 9. 47, "Per certo con voi perderieno le cetere de'
sagginali, s artagoticamente stracantate," ecc.) e del seguito della
novella, quando a Bruno si aggiunge Buffalmacco e insieme

conducono

il

maestro

Civilian, la quale era

alla
la

grande avventura con

pi bella cosa che

"la contessa di

trovasse in tutto

si

il

culattario dell'umana generazione" (Vili. 9. 73).

Sono

Ma non son certamente tutti. Il


un giuoco simile anche nelle parti pi

questi gli esempi pi ovvi.

Boccaccio, a volte, ricorre ad

semplicemente narrative, quasi proiettando, per virt del suo


illusionismo verbale, accanto al lettore pronto a cogliere il significato delle sue parole, l'immagine di un lettore comicamente
stordito, in ritardo: come, per esempio, nel racconto del corteggiamento della Nuta da parte di Guccio Imbratta:
.ancora che d'agosto fosse, postosi presso al fuoco a sedere, cominci
costei, che Nuta aveva nome, a entrare in parlare e dirle che egli era
gentile uomo per procuratore e che egli aveva de' fiorini pi di millantanove, senza quegli che egli aveva a dare altrui, che erano anzi pi che
.

con

meno,

e che egli sapeva tante cose fare e dire, che

domine pure unquanche.

(VI. 10.22)"

se, in

questo caso, possibile pensare che

limiti a trascrivere le parole del servo,

della presentazione di Ciappelletto:

12

ci

il

discorso indiretto

non

si

possibile nel caso

21
Era questo Ciappelletto di questa vita: egli, essendo notaio, aveva grandisside' suoi strumenti, come che pochi ne facesse,
fosse altro che falso trovato; de' quali tanti avrebbe fatti di quanti fosse stato
richiesto, e quelli pi volentieri in dono che alcuno altro grandemente

ma vergogna quando uno

salariato.

(1.

1.10,

ma v. anche oltre; corsivo mio)

IV

Vero
ora

che,

citati e

come ho accennato al principio, proprio per gli esempi


per l'uso della tecnica del doppio destinatario da parte

del Boccaccio,

si parlato di teatralit del Decameron. E lo stesso si


potrebbe dire di altre opere narrative che presentino caratteristiche
analoghe. Si potrebbe cos rovesciare l'argomento. Ma ci presupporrebbe di aver gi dimostrato che quella tecnica, o almeno la sua

utilizzazione in

modo

particolarmente efficace, costituisce una

caratteristica specifica del teatro, essenziale alle implicazioni del

testo teatrale e talmente


la

sua presenza,

importante e decisiva da trasformare, con


almeno in qualcosa di

narrativa in teatro, o

la

molto simile al teatro. 13


Ritorniamo, dunque, al testo della Calandria, per una rapida
verifica delle sue implicazioni sceniche e l'importanza che ha, da
questo punto di vista, la tecnica del doppio destinatario. facile
rendersi conto immediatamente come monologhi e dialoghi siano
pieni di didascalie dissimulate. Ma altrettanto ovvio che tali
didascalie nascoste
come anche quelle vere e proprie, assenti
nelle commedie del Cinquecento, ma presenti in altri testi teatrali
quanto pi ampie e complete esse sono, tanto pi tendono alla
condizione della narrativit, e cio ad attribuire al testo una

tendenziale auto-sufficienza e a ridurre l'importanza,


della sua traduzione scenica. Per esempio,

II. 7

la

necessit

(p.50):

FULVIA. Samia!

SAMIA. Odila che


che

l lo

Oppure,

di sopra mi chiama. Ara dalle


vedo parlare con non so chi.
.

finestre visto Lidio,

II.6(p.50):

FESSENIO. Or vo via sanza parlare altrimenti


veggo borbottare de s.

Samia, che

sull'uscio

O ancora, III. 1

(p.60):

FESSENIO. Io son corso inanzi perch qua mi trovi la scanfarda [la


meretrice predisposta per ingannare Calandro] che io ho ordinato per

22
questo conto. Et eccola che a me ne viene. E vedi anco
facchino [nel forziere racchiuso Calandro]. 14

l,

col forzieri, el

Le parole di Samia e di Fessenio costituiscono qui di per se stesse la


un minimo di indeterminazione circa l'eventuale, ma

scena, con

non indispensabile, completamento scenico dell'avverbio


"l lo vedo," "l su l'uscio,"

"anco

l."

lettore viene,

Il

di luogo:

dunque,

una posizione analoga, o quasi analoga, a quella dello


spettatore. E lo stesso si pu dire di altri passi dove, alla costruzione
verbale della scena, si aggiunge l'identificazione di alcuni persotrovarsi in

naggi. Cito da

LIDIO

II. 1

F. E,

(p.34):

dicendomi

el

nipote che Perillo vuol,

doman

l'altro, io

matrimonio con la figlia di Perillo], per


conferire la cosa con voi, mia nutrice, e teco, Fannio mio servo, fuora di
casa me ne sono venuta. E piena di tanto travaglio quanto io ben sento e
voi pensar potete. E non so se ...
la

sposi [allude all'impossibile

FANNIO.
noi viene,

Taci, oim! taci; a fin

non

che costei

Samia], che

afflitta

verso

attinga quel che parliamo.

L'identificazione del servo e della nutrice, pi utile per lo spettatore che per il lettore, non cambia sostanzialmente la situazione. Il
supplemento d'informazione non intacca l'autosufficienza della
lettura e tende se mai a rendere indifferente la scelta fra lettura e

rappresentazione.

L'orientamento deittico-performativo (per adoperare

la

termino-

15
logia di Alessandro Serpieri e dei suoi collaboratori)

dunque,

non ,
come

sufficiente a garantire la specificit del testo teatrale,

crede il Serpieri. 16 1 riferimenti al "contesto pragmatico," ai luoghi,


ai personaggi e ai loro movimenti ed atteggiamenti possono,
infatti, sostituirsi alla scena ed agli attori, assicurando cos al testo
un coefficiente di leggibilit non inferiore al coefficiente di rappresentabilit. soltanto l
(o,

come

io

ho

dove

la deitticit

e performativit del testo

detto, le didascalie nascoste o dissimulate)

17

sottoli-

sua incompletezza, che l'esigenza imprescindibile di una


sua integrazione scenica risulta evidente, e con essa il carattere
specificamente teatrale del testo in questione. Eccone alcuni esempi ovvi. Cito dal battibecco fra Polinico, precettore di Lidio

neano

la

maschio, e Fessenio, in

POLINICO.

El fo

FESSENIO. E che

1.1

(p.15):

per non usare altro che parole.

potresti tu

mai farmi

in cen'anni?

23

POLINICO.

El

vederesti: cos, cos, [evidentemente fa

gesto di

il

batterlo].

Altro esempio: tutto

dialogo in cui Fessenio spiega a Calandro


farlo a pezzi, in modo che possa entrare
nel forziere, in II. 6 (p.47, p.49). Cito solo il principio e la fine:

come

si

il

deve procedere per

CALANDRO.

E dove

si

scommette l'omo?

FESSENIO. In tutti e' luoghi ove tu vedi svolgersi


come qui, qui, qui, qui
.Vuo' le sapere?

giunture]:

CALANDRO.

Oh! oh! oh!

ohi! ohi! oim!

FESSENIO. Tu guasteresti il mondo. Oh che maladetta


smemorataggine e s poca pazienza! Ma potta del cielo, non ti
ora che tu non dovevi gridare? Hai guasto lo 'ncanto.
E similmente,

la

nelle

[cio

sia

tanta

dissi

pure

spiegazione di come Calandro deve fare per

morire, sempre allo scopo di entrare nel famoso forziere, in


(pp. 56-57). Cito soltanto

un

II.

passo:

FESSENIO. Torci la bocca; pi ancora; torci bene; per l'altro verso; pi


Oh! oh! Or muori a posta tua. Oh! Bene. Che cosa a far con savii!
Chi aria mai imparato a morir s bene come ha fatto questo valente omo?
El quale more di fuora eccellentemente. Se cos bene di drento more,
non sentir cosa che io gli faccia; e cognoscerollo a questo. Zas! Bene.
basso.

Zas! Benissimo. Zas!

CALANDRO.

ancora, dal

Io

Optime. Calandro! oh, Calandro! Calandro!

son morto,

III. 2

i'

son morto.

(p.63), le parole di

Fessenio alla meretrice:

"Piangi, lamentati, grida, scapigliati. Cos, su!" In tutti questi casi


la mimica dell'attore, necessario complemento del
pu assicurare l'effetto comico. 18

soltanto

Ora, l'esigenza della traduzione scenica del testo

maggiore complessit
evidente

il

giuoco

fra

si

testo,

presenta con
si fa pi

con maggiore interesse, dove

vari destinatari e

vari livelli d'informazio-

ne. In 1.4 (p.24), Fessenio, fingendo di fraintendere la

domanda

di

quale vorrebbe sapere come sta la sua Santilla, risponde


con una descrizione del modo come essa stava, e cio dell'atteggiamento che essa avrebbe tenuto, mentre lui Fessenio le parlava di
Calandro,

il

Calandro:

FESSENIO. Aaah, come

la

stava vuoi saper tu?

24

CALANDRO.

Messer

s.

FESSENIO. Quando poco


la

mano

occhi e

fa la vidi, ella stava


.aspetta! a sedere con
parlando io di te, intenta ascoltandomi, teneva gli
bocca aperta, con un poco di quella sua linguetta fuora: cos!
.

al volto; e,

la

Anche qui

la

mimica

dell' attore

ovviamente indispensabile

tradurre in atto l'effetto comico del testo.

Ma

un'ulteriore compli-

cazione distingue questo da quelli precedentemente citati. La


Santilla in questione, come ben noto agli spettatori e a Fessenio,
ma non a Calandro, un uomo, Lidio maschio, travestito da donna.

Questa ulteriore complicazione dovrebbe riflettersi nell'integrazione mimica del testo, raddoppiando cos l'appello alla complicit
del pubblico e l'effetto comico della scena.
Particolare rilievo acquistano anche le implicazioni sceniche
degli avverbi e delle altre indicazioni di luogo, quando non si
riferiscono ad un luogo qualunque realisticamente possibile, ma a
quel luogo o a quei luoghi della scena ai quali si attribuisce il
privilegio di rendere il personaggio invisibile agli altri personaggi
ma non al pubblico: "Voglio un poco starmi cos da parte e udire
quel che ragionano" (1.1, p.12); "Io, aspettando quel che avvenir di
questo fatto deve, qua da parte mi ritirer soletto" (V.4, p.124); e
cos via. Questa assurda divisione di un unico spazio in zone noncomunicanti, diversamente privilegiate
evidentemente connessa con la tecnica del doppio destinatario
pu esser resa accettabile ed acquistare evidenza drammatica soltanto nell'esecuzione

scenica del testo. Si tratta, nel caso della Calandria, di una divisione

ampiamente

utilizzata per

personaggi,

come abbiamo

il

movimento

sulla scena dei

due gruppi

di

detto, a verit dimidiata. In 11.23, Lidio

maschio e Lidio femmina, entrambi vestiti da donna, appaiono


insieme a Calandro, che corre dall'uno all'altra, senza
saper decidere quale dei due sia la sua bella. In V.3, due gemelli,
entrambi vestiti da uomo, sono in scena insieme ai loro servi,
sulla scena

Fessenio e Fannio: nel corso della scena Fessenio, inizialmente


incerto quale sia il suo vero padrone, finisce per capire come stanno
le cose (dopo che Lidio maschio si allontanato per andare a
la sua amante, Fulvia). Ma tanto nell'una quanto nell'altra
due gemelli non s'incontrano, non si parlano e rimangono
come invisibili l'uno all'altro. Queste due scene, non essenziali all'

trovare

scena,

intreccio,
la

messa

mancano di ogni evidenza alla semplice lettura. Soltanto


pu dare rilievo alla comicit, all' accelerazione

in scena

crescente degli equivoci e dei travestimenti, che


l'incontro delle

due

parti e col

si

conclude con

mutuo riconoscimento;

e infine al

25

giuoco velocissimo e complicatissimo (solo faticosamente comprensibile alla lettura) degli scambi di vestiti, attraverso cui i due
padroni e il servo Fannio, sotto la calcolata regia del servo Fessenio,
riescono a venire in possesso dei panni che loro convengono, quasi
a celebrare, a riconoscimento gi avvenuto, il trionfo estremo del
un episodio solo superficialmente motivato
puro ritmo comico
dalla notizia che i fratelli di Calandro (di cui non si mai parlato
prima) hanno trovato (come? quando?) Lidio con Fulvia "e mandato per Calandro e li fratelli di lei che venghino a casa per
svergognarla" (V.4, p.122).
Ma che conclusione si pu trarre da tutto questo? Si pu forse
concludere che la tecnica del doppio destinatario a richiedere di
per se stessa l'integrazione della rappresentazione scenica? O non
piuttosto il particolare uso che vien fatto di essa, nella Calandrici o in
altre opere teatrali? Se si ripercorre mentalmente la serie degli
esempi ora citati (si tratta di scene superflue per l'intreccio e per
l'impostazione fondamentale della commedia e del giuoco dei vari
destinatari), la sola conclusione che si pu ricavare proprio
quest'ultima. E cio che il Bibbiena ha utilizzato quella tecnica in
modo da sfruttare al massimo tutte le possibilit offerte dall'integrazione scenica: mimica dell'attore, luogo scenico e sua divisione
in zone non-comunicanti, immediatezza dell'evidenza visiva, ecc.
Le eventuali implicazioni sceniche della tecnica del doppio destinatario non giustificano, quindi, l'assunzione di questa tecnica a
segno, o simbolo, della teatralit. Anche lasciando da parte l'esemsi pensi all'episodio
pio di Boccaccio e altri esempi possibili
dell'arresto di Renzo (Promessi sposi, cap. XV), dove le voci del

notaio, di

Renzo

e della folla e gli stessi interventi del narratore

creano una molteplicit di prospettive e di destinatari, fra cui


evidentemente il lettore, o il lettore-spettatore, se si vuole continuare con le metafore
anche, dunque, lasciando da parte il
vario modo in cui il giuoco del doppio destinatario si pu realizzare al di fuori del teatro, proprio l'analisi della Calandria, mostra che,
analogamente a quanto ho fatto osservare a proposito dell'orienta-

mento deittico-performativo, la caratteristica specifica del testo


teatrale non gi in quella tecnica, ma ne\V integrazione scenica che il
testo,

ed eventualmente l'uso fatto in esso di quella tecnica,

richiedono. La

specificit

del

testo

teatrale sta,

dunque, nella sua

insufficienza, nella sua incompletezza, nella sua tendenziale eteronomia.

26

Mi

permettano, a chiarimento di quanto ho detto, alcune

si

considerazioni.

mio tentativo di mettere in evidenza l'incompletezza del


pu far pensare che tale incompletezza e la necessit
dell'integrazione scenica, soprattutto l'appello al giuoco mimico
1

II

testo teatrale

dell'attore, siano inevitabilmente connessi

mente

con l'aspetto pi ovvia-

farsesco del teatro. L'esempio della Calandria

pu

essere in

Ma

dovrebbe esser chiaro che l'integrazione scenica e l'esigenza di essa possono configurarsi in modi molto
diversi. Certo, se vero in generale che totus mundus agit histrionem,
ci vero in modo eminente del teatro e degli attori: ". .ora forse
indovino anche
dice il Padre nei Sei personaggi
perch il
nostro autore, che ci vide vivi cos, non volle poi comporci per la
scena." Ma, con buona pace di Pirandello, non c' motivo di
credere che l'istrionismo degli attori abbia possibilit di variazione
pi limitate dell'istrionismo del mondo: "tragedy, comedy, histoquesto caso fuorviante.

ry, pastoral; pastoral-comical, historical-pastoral, tragical-historical; tragical-comical-historical-pastoral.

vy,

nor

Plautus

too

light"

Hamlet

II. 2),

.Seneca cannot be too hea-

per citare l'inevitabile

Shakespeare.
2

Oltre che delle variazioni qualitative bisogna tener conto delle

Il grado d'incompletezza del testo teatrale


una scena all'altra e da un'opera all'altra. Tutta la letteratura drammatica si colloca fra due estremi opposti: ad un estremo, il
poema drammatico, come ad esempio il Carmagnola o 1' Adelchi di
Manzoni, all'altro estremo gli scenari della commedia dell'arte.

variazioni quantitative.
varia da

Soltanto nella misura in cui

ci

dell'autonomia, un testo teatrale

si

avvicina

al

primo,

pu leggere come un

si

al

polo

qualsiasi

come, per esempio, un testo narrativo. Ma ci non vuol


il grado di incompletezza, tanto pi
grande si debba considerare il valore intrinseco di un dramma o di
una scena. La tendenziale eteronomia del testo teatrale costituisce
soltanto il carattere specifico di esso, ci che lo distingue da altri
testi e in primo luogo dal testo narrativo; e non gi l'unico punto di
vista da cui ci si possa collocare
tanto meno poi un criterio di
valutazione, o addirittura l'unico criterio di valutazione. La realt
storica dei generi letterari un fatto innegabile, ma non certamente il modello assiologico della critica.
II corollario critico che si pu ricavare dall'eteronomia del testo
3
teatrale di tipo ermeneutico e non assiologico. Esso consiste
altro testo,

dire che quanto pi alto

nell'invito a individuare nel testo


quelli

dove

luoghi della sua incompletezza,


pu rendere giustizia al

soltanto l'integrazione scenica

27

realizzando

la sua potenzialit, conferendogli tutta la sua


suo significato. Non si tratta della costatazione
generica, apparentemente ovvia, ma in realt complessa per le sue
implicazioni, che un'opera teatrale scritta per il teatro, ma di
un'analisi puntuale. Se al critico di un'opera narrativa lecito
ricordare che situazioni, personaggi, passioni, ecc. esauriscono
tutta la loro realt nella pagina scritta, al critico dell'opera teatrale
necessario ricordare che ci non vero, o non sempre vero nel
suo caso. Il che non vuol dire che il critico debba completare il

testo,

efficacia, tutto

testo,

il

sostituendosi cos

regista e agli attori, o trasformarsi

al

necessariamente da critico del testo teatrale in critico dello spettacolo teatrale. L'ufficio del critico del testo teatrale per definizione
vincolato

al

testo.

Ma

l'aderenza

al testo

assume un

significato

diverso nel caso del testo teatrale, da quello che ha nel caso del
testo narrativo. E se in quest'ultimo caso si risolve in un richiamo

completezza ed autonomia del

alla intrinseca

caso dell'opera

teatrale,

implica di

testo, nell'altro, nel

necessit

specificit di quel testo, alla sua tendenziale

l'attenzione alla

eteronomia.

McGill University

NOTE
1

V., per esempio: O. Zich, Estetika dramaticeskno umetti (Estetica dell'arte drammatica, Praha, 1931); J. Mukdfovsky, "Pokus o strukturni rozbor hereckno
zjevu" (Tentativo di analisi strutturale del fenomeno dell'attore), 1931, ora in
Studili z estetiky

(Praha, 1966; trad.

it.

in

J.

Mukurovsky,

//

significato dell' estetica,

Bogatvrev, Znaky divadelni (I segni del teatro), Shwo a Slovesnot,


4 (1938), 138-149, ora' in Potique, 8 (1971), 517-530; E. Souriau, Les 200,000
situations dramatiques (Paris, 1950); T. Kowzan, "Le signe au thtre," Diogene, 61
(1968), 59-90; M. Pagnini, "Per una semiologia del teatro classico," Strumenti
critici, 4 (1970), 121-140; G. Folena, Presentazione del volume Lingua e strutture
del teatro italiano del Rinascimento (Padova, 1970), pp. ix-xix; P. M. Levitt, A
Structural Approach to the Analysis of Drama (The Hague, 1971); P. Hamon, "Pour
un statut smiologique du personnage," Littrature, 6(1972), 86-110; R. Larthomas, Le langage dramatique (Paris, 1972); F. Ruffini, "Semiotica del teatro:
Ricognizione degli studi," Biblioteca teatrale, N.9 (1974), pp. 24-81; C. Segre, "La
funzione del linguaggio nell'/lr/f sfltts paroles di Samuel Beckett," Le strutture e il
tempo (Torino, 1974); R. Durand, "Problmes de l'analyse structurale et smiotique de la forme thtrale," Smiologie de la reprsentation, a cura di A. Helbo
Torino, 1973);

P.

(Bruxelles, 1975); T.

Kowzan,

Littrature

et

spectacle

(The Hague, 1975);

J.

L.

Styan, Drama, Stage and Audience (London, 1975); G. Nencioni, "Parlato-parlato,


parlato-scritto, parlato-recitato," Strumenti critici, 10 (1976), 1-56; P. Pavis, Problme^ de smiologie thtrale (Montral, 1976); R. Horny, Script into Performance: A
Structuralist view of Play Production (Austin, 1977); F. Ruffini, Semiotica del testo:

L'esempio teatro (Roma,

"Dramma /spettacolo,

1978);

il

Numero

20 di

Biblioteca

A. Canziani, K. Elam, R. Guiducci, P. Gull-Pugliatti, T.


Rutelli, A. Serpieri, intitolato

(Milano, 1978).

Come

si

comunica

il

teatrale

dedicato a

volume di saggi
Kemeny, M. Pagnini,

studi sulla semiologia del teatro" e

il

teatro:

Dal

testo alla

di
R.

scena

28
2

N. Borsellino, "Decameron come teatro," Rozzi

e Intronati,

(Roma, 1976), pp. 12-50.


3 Per le citazioni dalla Calandria, mi sono servita dell'edizione

2 ediz. accresciuta
a cura di G.

Padoan

(Bibbiena, 1970).
4

G. Padoan, "Il senso del teatro nei secoli senza teatro," Concetto, storia, miti e
immagini del Medio Evo, a cura di V. Branca (Firenze, 1973), pp. 325-338.

I.6,p!28

per esempio: B. Croce, "La 'commedia' del Rinascimento," Poesia popolare e


1933 (Bari, 1957), p.242; G. Padoan, ed., Calandria (Bibbiena, 1970),
P.158; P. Fossati, Nota introduttiva alla Calandria, Il teatro italiano, a cura di G.
Davico Bonino, parte II, tomo I (Torino, 1977), p.4; ecc.
V.,

poesia d'arte,

veda

II. 2

in particolare, pp. 19-20.

Si

SivedaII.l-3,pp.34-38.

e,

9 Degli scambi di persona nel teatro si occupato G. Ferroni in una sua


Comunicazione al VI Convegno interuniversitario tenuto a Bressanone, 8-10
luglio, 1978, "Tecniche del raddoppiamento nel teatro del Cinquecento," di

prossima pubblicazione negli Atti del convegno. Pi recentemente


teatrale stato

argomento

di

una delle sezioni del Convegno

il

doppio

di Studi tenuto

all'Universit della Calabria, 13-16 settembre, 1979. Per un'interpretazione


particolare, suggestiva anche se discutibile, di questo stesso tema nella Calandria,
v.

"La Calandria o

il

mito di Androgine," Struttura

e ideologia nel teatro italiano fra

'500 e '900 (Torino, 1978), pp.9-32.

10
11

Per le citazioni dal Decameron, mi sono servita dell'edizione a cura di V. Branca


(Milano, 1976).
Ma si veda anche la descrizione della reazione di frate Cipolla, quando si
accorge della beffa: "La quale come piena di carboni vide, non sospic che ci
Cuccio Balena gli avesse fatto, per ci che noi conosceva da tanto, n il maladisse
del male aver guardato che altri ci non facesse, ma bestemmi tacitamente s,
che a lui la guardia delle sue cose aveva commessa, conoscendol, come faceva,
negligente, disubidente, trascutato e smemorato" (VI. 10.35). La serie di aggettivi, "negligente, disubidiente, trascutato e smemorato," riprende per il divertimento del lettore, parole e ritmo della presentazione che frate Cipolla era solito
fare del suo servo (VI. 10. 17), quasi che il Boccaccio intervenisse a questo punto,
interrompendo la narrazione, per rivolgersi direttamente al lettore, facendo il
verso

Ma

al frate.

12

veda ci che dice in proposito il Borsellino. Sottolineando le espressioni


"per procuratore," "pi di millantanove senza quegli che egli aveva a dare
altrui, che erano anzi pi che meno," "che domine pure unquanche," egli
osserva che "il discorso indiretto non trascrive le parole del servo; le commenta
ironicamente o ne accentua la risonanza burlesca" ("Decameron come teatro,"

13

E' questa, mi sembra, la tesi sostenuta con molta finezza dal Borsellino. Egli
considera l'intervenire del doppio destinatario nella narrativa, e in particolare
nel Decameron (pp. 31, 32), come un vero e proprio procedimento teatrale, che
presuppone "un reale condizionamento scenico" (p.22) e la trasformazione del
lettore in spettatore (o in "lettore-spettatore," p.33). Il racconto della beffa di
Bruno e Buffalmacco ai danni di maestro Simone sarebbe "il testo scenicamente
pi elaborato del Decameron," e cio l'esempio pi riuscito di una teatralit
portata "al limite del pi audace effettismo" (p.33). Il Borsellino parla di
"animazione spettacolare della battuta comica, ingiustificata narrativamente e

si

p.30).

non

assimilabile per intero dall' interlocutore, cui in realt non diretta" (p.27),
Ferondo; di "ambiguit" e di "sottintesa complicit

a proposito della novella di

col pubblico" per quella di Calandrino; di astuzie

che trasmettono "fuori dal

dialogo, agli spettatori invisibili della novella, nuovi pretesti per la derisione di
Calandrino," come anche dei "grulli devoti" nella novella di frate Cipolla
(p.28); di "parlato scenico

equivoco che coinvolge continuamente

il

pubblico"

(p.37), a proposito della novella di maestro Simone. Si veda anche L. Russo,


Letture critiche del Decameron, 1956 (Bari, 1970), pp.61-62; M. Baratto, Realt e stile

29
nel

Decameron (Vicenza, 1970), pp. 271, sgg.; G. Padoan, "Il senso del teatro nei
Al Borsellino si ricollega direttamente lo studio
Decameron come pubblico teatrale," Studi sul

secoli senza teatro," pp. 335-336.


di A. Stauble, "La brigata del

Boccaccio,9 (1975-76), 103-1 17.

14

V.

15

Mi

anche

le

battute conclusive di Fessenio alla fine di

riferisco alla raccolta di studi intitolata

II.

9 e di

Come comunica

il

III. 2.

teatro:

Dal

testo alla

scena, citata sopra, n.l.

16

Si

veda nella raccolta

citata (pp. 11-54)

il

saggio, "Ipotesi teorica di segmenta-

zione del testo teatrale," pubblicato per la prima volta in Strumenti critici, N.3233 (1977). La dimensione deittico-performativa, inscritta nel testo
come
insiste a pi riprese il Serpieri (pp. 17, 20, 25, ecc.)
dovrebbe costituire la base
di una segmentazione, intesa a preparare il testo teatrale alla messinscena,
mettendo in evidenza "la primaria virtualit scenica del testo scritto" (p.29).
Questa ipotesi teorica illustrata da una serie di esempi di segmentazione di
testi, per lo pi shakespeariani. Il Serpieri non distingue, per,
casi in cui (1)
l'orientamento deittico-performativo tende a risolversi nell'esigenza dell'integrazione scenica, mettendo in evidenza l'incompletezza del testo, da quelli in
cui, invece, (2) tende a sostituirsi all'integrazione scenica, assicurando la completezza del testo in se stesso, indipendentemente dalla rappresentazione. Il suo
discorso rimane cos ambiguo. La specificit del testo teatrale risulta evidente,
infatti, soltanto nel primo caso. Nel secondo caso, niente vieta che deitticit e
performativit si riscontrino in testi non teatrali. Criterio discriminante ,
quindi, non la dimensione deittico-performativa, ma appunto l'incompletezza,
che risulta da un uso particolare della deissi, come anche da ogni altro
riferimento implicito e esplicito all'integrazione scenica.
17 Si veda ci che detto delle didascalie nel saggio, ora citato, del Serpieri (p.51,
n.4). Particolarmente interessante quel che egli osserva a proposito delle
didascalie "troppo circostanziate," che sarebbero "segno di una dfaillance
teatrale." Analogo mi sembra il caso di un'articolazione deittico- performativa
che tenda ad esaurirsi in se stessa. Non si dovrebbe, anche in questo caso,
considerare l'iperdeterminazione come indizio di una scarsa teatralit del testo?
18 Da questo stesso punto di vista, si dovrebbe riprendere e sviluppare ulteriormente la breve ma acuta analisi, che G. Padoan fa del linguaggio teatrale della
Venicxiana, nell'introduzione alla sua edizione della commedia: La Veniexiana,
Testo critico, tradotto e annotato, a cura di G. Padoan (Padova, 1974), pp. 9-10.

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