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Capitolo 1
PRINCIPIO DI
SOVRAPPOSIZIONE
P(x) I
F1
θ
O
S
F2 O x
R
Nel punto generico P sul rivelatore R le due onde interferiscono non piu in accordo di fase poiché
hanno percorso distanze diverse per raggiungere il punto P; tuttavia mantengono una relazione di fase,
che è determinata dai rispettivi cammini ottici. Nel punto P i rispettivi campi elettrici hanno la forma
~1 = E
E ~ o ei(kx1 −ωt) (1.1)
~2 = E
E ~ o ei(kx2 −ωt) (1.2)
dove x1 e x2 sono le distanze di P dalla due fenditure e k è il numero d’onda k = 2π λ con λ lunghezza
d’onda. Secondo l’ottica ondulatoria il punto P è sede di un campo elettrico che è la somma vettoriale
dei due campi elettrici (principio di sovrapposizione) e quindi l’intensità luminosa è data dal modulo
quadro del campo risultante
~1 + E
I = |E ~ 2 |2 = 2I0 [1 + cosk(x1 − x2 )] (1.3)
2
CAPITOLO 1. PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE 3
πD
= 4I0 cos2 [ sinθ] (1.4)
λ
dove I0 = |E ~ 1 |2 = |E
~ 2 |2 è l’intensità di ciascuna componente e θ misura la direzione di P rispetto
all’orizzontale (vedi Fig.1.1). Al variare di P (o θ) sul rivelatore R si susseguono massimi (I = 4I0 ) e
minimi (I = 0) di interferenza . Il primo massimo si ha per θ = 0, il secondo per
λ
sinθ = (1.5)
D
Se λ/D ¿ 1 i massimi non sono distinguibili. L’interferenza insieme con la diffrazione sono la prova piu
diretta della natura ondulatoria della luce.
I = I1 + I2 (1.6)
Non c’è spazio per nessun fenomeno di interferenza. Tuttavia l’analogo esperimento è stato realizzato
con sorgenti di neutroni lenti in tempi recenti (A. Zeilinger et al. (Rev. Mod. Phys. 60 (1988) 1067). I
risultati mostrati in Fig.1.2 rivelano una struttura d’intensità nei rivelatori con massimi e minimi tipici
4000
Intensity (Neutrons / 125min)
3000
2000
1000
100 µm
0
Scanning slit position
di un fenomeno di interferenza. Agli albori della MQ per spiegare la presunta natura ondulatoria delle
particelle (esperimento di Davisson e Germer) de Broglie aveva associato a ciascuna particella un’onda
di materia la cui lunghezza d’onda è collegata all’impulso della particella dalla relazione
h
λ= (1.7)
p
CAPITOLO 1. PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE 4
Ma la somma delle probabilità non da luogo ad interferenza. E’ come se nel caso dell’ottica ondulatoria
uno sommasse direttamente le intensità invece che i campi elettrici. Quello che si trova è invece
Nell’ottica ondulatoria seguendo il principio di sovrapposizione uno prima somma i campi e poi fa il
modulo quadro. Questo genera quel termine addizionale che è responsabile della interferenza. Nel caso
delle particelle l’interferenza ci suggerisce che un analogo principio di sovrapposizione debba presiedere
l’interpretazione del fenomeno. Ma qual’è la grandezza che si deve sovrapporre? Cominciamo col definire
una ampiezza di probabilità associata a ciascun evento fisico. Nell’esperimento in considerazione abbiamo
due possibili eventi: l’evento E1 consistente nella emissione di una particella dalla sorgente S, passaggio
della stessa dalla fenditura F1 e rivelazione nel punto x del rivelatore R, cioè
e l’evento E2 consistente nella emissione di una particella dalla sorgente S, passaggio della stessa dalla
fenditura F2 e rivelazione nello stesso punto x del rivelatore R, cioè
A ciascun evento Ei associamo una ampiezza di probabilità Ai (x), il cui modulo quadro è la probabilità
dell’evento in assenza di eventi alternativi. Quindi nel nostro caso definiamo
Osserviamo che l’ampiezze Ai è definita mediante una operazione di misura, cioè il conteggio del numero
di particelle che arrivano in x. Non è però definita la sua fase trattandosi di un numero complesso. Questo
aspetto sarà discusso in seguito.
Quando i due eventi si presentano simultaneamente (entrambe le fenditure aperte), il principio di
sovrapposizione suggerisce di sommare prima le ampiezze e poi fare il modulo quadro
Come nel caso delle onde (vedi Eq. (3)) il termine misto è responsabile della interferenza. L’ipotesi fisica
che soggiace il principio di sovrapposizione è che i due eventi non sono mutuamente esclusivi come vorrebbe
la concezione classica che associa alla particella una traiettoria per cui o questa passa dalla fenditura F1 o
dalla fenditura F2. Dal nuovo punto di vista, volendo adoperare ancora il concetto classico di traiettoria,
è come se la particella, prima di giungere sullo schermo con le fenditure, condividesse simultaneamente
due traiettorie ed al momento di attraversare lo schermo decidesse da quale fenditura passare. La sua
decisione non è arbitraria ma dipende dalle ampiezze di probabilità. Come determinare queste ampiezze
è lo scopo della meccanica quantistica.
S S
z
Sud
θ
S Nord
a) b)
Figura 1.3: Esperimento di Stern e Gerlach con campo magnetico omogeneo (a) e disomogeneo (b).
Se il campo magnetico B (diretto lungo l’asse z) è costante (Fig.1.3a) il fascetto prosegue indeflesso e si
concentra nel punto O del rivelatore R. Se però si crea una disomogeneità di B lungo l’asse z deformando
per esempio una delle espansioni della calamita , come illustrato in Fig.1.3b, allora si desta una forza
che sdoppia il fascetto ed i singoli atomi si concentrano su due punti del rivelatore simmetrici rispetto
ad O. Questo succede con gli atomi di Ag, mentre in generale il numero di componenti in cui si sdoppia
il fascetto dipende dal momento angolare del tipo di atomi in considerazione, e comunque per atomi
paramagnetici, cioè che hanno un momento magnetico permanente. Finora l’esperimento! Vedremo ora
CAPITOLO 1. PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE 6
che l’interpretazione classica è in disaccordo con il risultato sperimentale. Ciascun elettrone atomico ha
un momento angolare orbitale ~l dovuto alla rotazione attorno al nucleo e un momento angolare di spin
~s dovuto alla rotazione intrinseca. I due momenti angolari si compongono per dare il momento angolare
totale
~j = ~l + ~s (1.14)
I momenti angolari dei singoli elettroni nell’atomo si compongono a loro volta per dare il momento
angolare totale dell’atomo. Generalmente si considerano solo gli elettroni di valenza poiché i momenti
angolari degli elettroni negli orbitali pù interni si cancellano. Nel caso dell’atomo d’argento c’è un solo
elettrone di valenza, che occupa nello stato fondamentale un orbitale s (l = 0). Quindi l’atomo di argento
ha un momento angolare totale pari allo spin dell’ elettrone. Poiché gli elettroni sono particelle cariche
l’atomo ha anche un momento magnetico proporzionale al momento angolare, cioè m ~ = cost ∗ ~j. Sotto
l’azione di un campo magnetico B ~ costante e diretto lungo l’asse z , si esercita sull’atomo una forza lungo
z (ignoriamo le altre componenti che generano una precessione attorno all’asse z) pari a
∂ ~ = m ∂Bz cosθ
Fz = − (−m
~ B) (1.15)
∂z ∂z
dove la quantità in parentesi è giusto il potenziale del campo e θ e l’angolo tra m ~ e l’asse z. Quando Bz
è costante la forza sull’atomo è nulla e il fascetto non viene deflesso, ma se Bz non è costante (campo
disomogeneo nella direzione z) il fascetto subisce una deflessione di un angolo θ. La massima deflessione
si ha quando m ~ e parallelo (verso l’alto) o antiparallelo (verso il basso) all’asse z. Ora, poiché nel fascetto
uscente da S i momenti angolari degli atomi sono distribuiti in maniera isotropa, ci si aspetterebbe
classicamente che gli atomi arrivino su S uniformemente distribuiti in tutti i punti corrispondenti alla
massima deflessione verso l’alto e la massima deflessione verso il basso. Sperimentalmente invece si
osserva che gli atomi si concentrano nei due punti di massima deflessione, diciamo A e B,come se le sole
possibili direzioni di m
~ fossero o parallela o antiparallela rispetto all’asse z (vedi Fig.(1.4). Se per qualche
I I
A O B A O B
motivo la distribuzione dei momenti angolari degli atomi nella sorgente non è isotropa, le intensità dei
due fascetti sono diverse, ma i punti in cui si concentrano sono sempre A e B. Se cambiamo atomi invece
di due fascetti se ne possono avere più di due. Vedremo che il numero di fascetti in cui si decompone
il fascio incidente sul campo magnetico disomogeneo dipende dal momento angolare totale degli atomi
in considerazione, ma la distribuzione è comunque concentrata in punti privilegiati. Si parla quindi di
quantizzazione spaziale.
CAPITOLO 1. PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE 7
I coefficienti A↑,↓ danno informazione sul peso relativo con cui ciascuno stato finale di polarizzazione
entra nella sovrapposizione. Quindi è plausibile assumere che questi siano in relazione con le probabilità
relative. Definiamo quindi
I coefficienti A↑,↓ sono necessariamente numeri complessi e quindi lo spazio di Hilbert in cui sono definiti
i vettori di stato di polarizzazione è complesso. La ragione di ciò sarà chiarita nel seguito. In questo caso
il prodotto scalare tra due vettori è definito come il prodotto dell’uno per il duale dell’altro (cioè avente
come componenti le complesse coniugate). Il duale del vettore |s > viene indicato con < s|. Seguendo
tale notazione il prodotto scalare si scrive
Da questa definizione segue che il complesso coniugato di < s0 |s > si ottiene scambiando i due stati, cioè
I due stati di polarizzazione finali sono alternativi. Infatti, se gli atomi di argento vengono prima polar-
izzati paralleli all’asse z (mediante un altro Stern-Gerlach) allora verranno deflessi tutti in A, se vengono
polarizzati antiparalleli all’asse z verranno deflessi tutti in B. Questa proprietà si traduce geometrica-
mente nella ortogonalità dei due stati; inoltre si può anche assumere che ciascuno di essi sia di modulo
unitario. Quindi
I due stati formano quindi un insieme completo ortonormale nello spazio di Hilbert bidimensionale asso-
ciato agli stati di polarizzazione della sorgente. Completezza significa che qualunque stato della sorgente
di atomi di argento può essere espressa come combinazione lineare dei due stati finali. Questa è anche
un fatto sperimentale giacché, comunque preparo il fascetto, gli atomi si distribuiscono sempre e solo fra
i due stati | ↑> e | ↓>. Proiettando su ciascuno dei due stati finali si hanno le relazioni
che giustificano l’interpretazione di A↓,↑ come ampiezze di probabilità. Consideriamo il modulo quadro
dello stato della sorgente
che segue dal fatto che non ci sono altri stati finali di polarizzazione. Questa equazione vale qualunque
sia lo stato iniziale della sorgente: le probabilità cambiano ma la loro somma deve essere uguale ad 1.
Segue da qui una proprietà generale degli stati in MQ, cioè solo la loro direzione ha significato fisico. Il
loro modulo, non avendo significato fisico, può essere arbitrario e quindi si può normalizzare ad 1, come
nel caso precedente.
Capitolo 10
Riprendiamo l’equazione di Schrödinger per il sistema di due particelle interagenti con l’intento di cercare
la classe di soluzioni che descrivono stati di diffusioni. In questo caso si deve avere E > 0, affinchè la
probabilità di trovare le particelle lontano dalla regione d’interazione sia finita.
Consideriamo direttamente l’equazione di Schrödinger per il moto relativo
p2
[ + V (r)]|ψ >= E|ψ > (10.1)
2m
Se il potenziale si annulla e |ψ >≡ |~
p > diventa la funzione d’onda di una particella libera di impulso
√
p = 2mE. Riscriviamo l’equazione di Schrödinger mettendo in evidenza esplicitamente la soluzione di
particella libera
p2
(E − )(|ψ > −|~p >) = V|ψ >, (10.2)
2m
p2
essendo (E − 2m )|~
p >= 0. Allora possiamo scrivere
1
|ψ >= |~
p>+ V|ψ > (10.3)
E ± − p2 /2m
L’introduzione dell’operatore inverso richiede una precauzione: per evitare singolarità nel dominio reale
abbiamo introdotto in E ± = E ± i² una quantità immaginaria infinitesima, che alla fine degli sviluppi
va posta uguale a zero. Il doppio segno corrisponde, come vedremo, alla scelta di condizioni fisiche al
contorno diverse.
L’equazione di Schrödinger per la funzione d’onda si scrive infine
Z
1
< ~r|ψ >=< ~r|~p > + d3~r 0 < ~r| ± |~r 0 >< ~r 0 |V|ψ > (10.4)
E − p2 /2m
51
CAPITOLO 10. PROBLEMA A DUE CORPI: STATI DEL CONTINUO 52
Per determinare la forma asintotica dell’equazione di Schrödinger, dobbiamo studiare il kernel (fun-
zione di Green)
Z p 0 ·(~
i~ r 0 )/~
r−~
1 1 3 3 0e
G(~r, ~r 0 ) = < ~r| ± |~
r 0
>= ( ) d p
~ 02 (10.5)
E − p2 /2m 2π~ E± − p 2m
0
m e±ip|~r−~r |/~
= − (10.6)
2π~2 |~r − ~r 0 |
Ricordiamo che E = p2 /2m.
Il calcolo dell’integrale che porta all’ultima linea viene presentato nell’ Appendice a questo capitolo.
Per r → ∞ possiamo approssimare
1 1
lim ≈ (10.7)
r→∞ |~r − ~r0 | r
p ~r · ~r 0
lim |~r − ~r 0 | = r2 + r 02 − 2~r · ~r 0 ≈ r(1 − ) (10.8)
r→∞ r2
da cui la funzione di Green assume la forma asintotica
0
m e±ipr/~ e∓i~pr ·~r /~
G(~r, ~r 0 ) ≈ − (10.9)
2π~2 r
dove p~r è un vettore di modulo p nella direzione di ~r. In definitiva la equazione di Schrödinger asintoti-
camente si scrive
ψp (~r) ≈ ei~p·~r/~ − fp~p~ 0 e±ipr/~ (10.10)
dove abbiamo introdotto la quantit’a fp~p~ 0 , chiamata ampiezza di diffusione
Z
m 0
fp~p~ 0 = − 2
e−i~pr ·~r /~ V (~r 0 )ψp (~r 0 ) (10.11)
2π~
dove abbiamo scelto il segno + che fissa l’onda sferica come onda sferica uscente. L’ampiezza di diffusione,
come vedremo, descrive tutte le proprietà osservabili di un processo di diffusione quantistico. Osserviamo
che si tratta di diffusione elastica poichè il potenziale cambia solo la direzione della particella incidente
dalla direzione di p~ alla direzione di p~ 0 = p~r essendo i moduli dei due vettori gli stessi (p = p 0 ).
La forma asintotica dell’equazione di Schrödinger si interpreta facilmente con l’ausilio della figura
accanto. Si distinguono due parti: l’onda piana incidente corrispondente alle particelle incidenti di
impulso p~ e un’onda sferica uscente dal centro del potenziale che corrisponde alle particelle interagenti
con il potenziale. Queste ultime possono uscire in qualunque direzione, ma con probabilità diversa data
dalla ampiezza fp~,~p 0 . Notiamo che il segno + nell’esponenziale corrisponde ad onde sferiche uscenti,
mentre il segno meno ad onde sferiche entranti.
CAPITOLO 10. PROBLEMA A DUE CORPI: STATI DEL CONTINUO 53
dove dS = r2 dΩ Il flusso entrante nella direzione p̂ è uguale alla corrente nella direzione p̂
dΦin ~ p
= p̂ · J~in = p̂0 · [ (ψ ∗ ∇ψ − ψ∇ψ ∗ )] = =v (10.13)
dS 2im m
dove abbiamo solo preso la parte di ψ corrispondente all’onda piana incidente. La corrente uscente nella
direzione p̂ 0 è
dΦout ~ ~ ∂ ∂ v
= pˆ0 · J~out = p̂ · [ (ψ ∗ ∇ψ − ψ∇ψ ∗ )] = (ψ ∗ ψ − ψ ψ ∗ ) = 2 |fp~,~p 0 |2 (10.14)
dS 2im 2im ∂r ∂r r
dove ora abbiamo considerato la parte della funzione d’onda che corrisponde all’onda sferica uscente. Nel
∂
calcolo si è utilizzata la proprietà p̂ · ∇ = ∂r . Si sono trascurati termini dell’ordine di 1/r4 . Considerando
il rapporto tra le due correnti finiamo con
La funzione Ṽ è la trasformata di Fourier del potenziale. I due vettori p~ e p~ 0 differiscono solo in direzione.
Indicando con θ l’angolo tra le rispettive direzioni, si ha
e−µr
V (r) = V0 (10.19)
r
Osserviamo, en passant, che questo potenziale è il limite statico della interazione tra due nucleoni basata
sullo scambio di mesoni. Il raggio d’interazione è inversamente proporzionale alla massa del mesone
scambiato e quindi l’interazione di Yukawa è a raggio finito diversamente dal caso coulombiano (che è
a raggio infinito). In effetti l’interazione di Yukawa contiene come caso limite l’interazione coulombiana
per µ → 0, che è consistente col modello che anche l’interazione coulombiana sia mediata dallo scambio
di particelle. Queste ultime sono i fotoni, aventi appunto massa nulla. La trasformata di Fourier del
potenziale di Yukawa si calcola facilmente
4πV0 4πV0
Ṽ = = (10.20)
p0
(~ 2
− p~) + µ2 (2psin(θ/2))2 + µ2
Quindi si calcola la sezione d’urto di diffusione elastica. Nel caso limite di diffusione da potenziale
coulombiano (µ = 0) si ottiene
m2 V02 1
σ(θ) = · (10.21)
(2π~ ) sin4 θ2
2 2
che coincide con la formula classica di Rutherford per collisione fra due cariche puntiformi. L’approssi-
mazione di Born per la diffusione coulombiana risulta un’ottima approssimazione poichè l’intensità del
campo coulombiano è piccola. Quest’ultima è governata dalla costante di struttura fine
mce2 1
α= ≈ (10.22)
2~ 137
il cui valore ¿ 1 giustifica appunto il troncamento al primo ordine della ampiezza di diffusione.
CAPITOLO 10. PROBLEMA A DUE CORPI: STATI DEL CONTINUO 55
-∞ * +∞
*
10.5 Appendice
Effettuiamo l’integrale dell’ Eq.(10.5) facendo uso del teorema dei residui. Posto ~ = 1, r − r 0 = s
l’integrale si scrive
Z −ip 0 s
0 e
I = dp 2 (10.23)
p − p 02
Si estende prima l’integrando nel piano p 0 complesso quindi si chiude il dominio d’integrazione mediante
il semicerchio γ di raggio R → ∞ nel semipiano superiore, come illustrato in figura. L’integrale su γ da
un contributo nullo poichè l’esponenziale converge a zero per Imp 0 > 0. Avendo trasformato il dominio
d’integrazione in un circuito chiuso possiamo applicare il teorema dei residui, secondo cui I é uguale a
2πi per a somma sui residui nei poli interni al circuito
I 0 I 0
e−ip s e−ip s
I= p 0 dp 0
= p 0 dp 0
(10.24)
p2 − p 02 (p − p 0 )(p + p 0 )
Ricordiamo che la piccola quantità immaginaria aggiunta all’energia che ha consentito l’inversione del
kernel si ritrova (scegliamo il segno pi˘) in p + i² quindi abbiamo due poli come in figura di cui solo il polo
p0 = p + i² contribuisce all’integrale. Calcolato il residuo, troviamo
I = πe−ips (10.25)
10.6 Problemi
Calcolare in approssimazione di Born la sezione d’urto di diffusione elastica per il potenziale
V (r) = V0 θ(r0 − r)
SË£
Î S®¿ !
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E1 / 4 + |V01|
E1 / 4 E1 / 4
E1 / 4 - |V01|
E1
ÅgBDRF<GON>q©F©^{\©`Í 9n_Z_ZCqK=_N>AO^l
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I coefficienti della trasformazione vengono chiamati coefficienti di Clebsch − Gordon e sono di ampio
uso in MQ. Le loro proprietá e i lori valori si possono determinare facilmente dal fatto che formano una
trasformazione ortogonale1 .
I valori classici del momento angolare totale L sono compresi nell’intervallo |l1 − l2 | ≤ L ≤ l1 + l2 . Gli
autovalori quantistici sono quantizzati ma e’ ragionevole assumere che i valori estremi siano coincidenti
con quelli classici. Possiamo dare un argomento a favore di questa ipotesi. Il numero totale di autostati,
nella rappresentazione disaccoppiata, e’ N = (2l1 + 1)(2l2 + 1). Nella rappresentazione accoppiata il il
numero totale dev’essere lo stesso, ed in fatti, poiche’ per ogni L si hanno 2L+1 valori di M, allora
lX
1 +l2
1
N= (2L + 1) = [|l1 − l2 | + (l1 + l2 )] · [(l1 + l2 ) − |l1 − l2 | + 1] = (2l1 + 1)(2l2 + 1) (14.2)
2
|l1 −l2 |
ricordando che per una progressione aritmetica la somma degli elementi e’ uguale al semiprodotto della
somma degli elementi estremi per il numero dei termini. Questo risultato conferma l’assunzione fatta.
1i loro valori si possono assumere reali e quindi la trasformazione unitaria diventa ortogonale
57
CAPITOLO 14. ANCORA SUL MOMENTO ANGOLARE 58
I coefficienti < l1 m1 l2 m2 |(l1 l2 )LM > di Clebsch-Gordon sono nulli eccetto che M = m1 + m2 e
|l1 − l2 | ≤ L ≤ l1 + l2 . Essendo che formano una trasformazione ortogonale si ha
X
< l1 m1 l2 m2 |(l1 l2 )LM >< l1 m01 l2 m02 |(l1 l2 )LM >= δm1 m01 δm2 m02 (14.3)
LM
X
< l1 m1 l2 m2 |(l1 l2 )LM >< l1 m1 l2 m2 |(l1 l2 )L0 M 0 >= δLL0 δM M 0 (14.4)
m1 m2
Queste proprieta’ sono fondamentali per determinare i valori dei coefficienti di Clebsch-Gordon. Partico-
lari proprieta’ che seguono applicando l’ortogonalita’ sono le relazioni di ricorrenza
±
CLM < l1 m1 l2 m2 |(l1 l2 )LM ± 1 > = Cl∓1 m1 < l1 m1 ∓ l2 m2 |(l1 l2 )LM > (14.5)
+ Cl∓2 m2 < l1 m1 l2 m2 ∓ 1|(l1 l2 )LM >
dove
±
p
CLM = L(L + 1) − M (M ± 1) (14.6)
L̂2 (Ô|τ, LM >) = [L̂2 , Ô]|τ, LM > +ÔL̂2 |τ, LM >= ~2 L(L + 1)(Ô|τ, LM >) (14.7)
L̂z (Ô|τ, LM >) = [L̂z , Ô]|τ, LM > +ÔL̂z |τ, LM >= ~M (M + 1)(Ô|τ, LM >) (14.8)
Il numero quantico τ riassume gli altri numeri quantici che definiscono lo stato in considerazione. Un
operatore scalare soddisfa una notevole proprieta’. In base all’azione degli operatori L̂± sugli autostati
del momento angolare illustrata nel precedente capitolo sul momento angolare si ha
1
< τ 0 , LM |Ô|τ, LM > = [L(L + 1) − M (M − 1)]− 2 < τ 0 , LM |ÔL̂+ |τ, LM − 1 > (14.9)
− 12 0
= [L(L + 1) − M (M − 1)] < τ , LM |L+ Ô|τ, LM − 1 > (14.10)
0
= < τ , LM − 1|Ô|τ, LM − 1 > . (14.11)
cio’ mostra che gli elementi di matrice di un operatore scalare tra autostati del momento angolare non
dipendono dalla proiezione del momento angolare. Ricordando inoltre che Ô non cambia il momento
angolare dello stato, allora questi elementi di matrice sono anche diagonali in L ed M
Ricordiamo che O e’ un vettore colonna e quindi la precedente equazione e’ in realta’ l’insoeme di tre
equazioni. Sviluppando si ottiene facilmente
Questa legge si traduce, come prima, in relazioni algebriche tra le componenti del tensore
± (λ)
[L± , T̂µ(λ) ] = Cλ,µ T̂µ±1 (14.17)
dove
±
p
Cλ,µ = λ(λ + 1) − µ(µ ± 1) (14.19)
Per gli operatori tensoriali vale il teorema di Wigner-Eckart in una forma che e’ la generalizzazione
dell’Eq.(11). La dimostrazione parte dagli elementi di matrice dei commutatori dell’eq.(13) tra autostati
di momento angolare
± (λ)
< n0 , L0 M 0 |[L± , T̂µ(λ) ]|n, LM >=< n0 , L0 M 0 |Cλ,µ T̂µ±1 |n, LM > (14.20)
che applicando, nel membro di destra le proprieta’ degli operatori L̂± , si riscrive
Questa e’ una equazione formalmente identica, cioe’ con gli stessi coefficienti, della equazione di ricorrenza
per i coeffienti di Clebsch-Gordon, dimostrata nel capitolo precedente. La corrispondenza e’ tra gli
CAPITOLO 14. ANCORA SUL MOMENTO ANGOLARE 60
(λ)
elementi di matrice < n0 , L0 M 0 |T̂µ±1 ]|n, LM > ed i coefficienti di Clebsch-Gordon < LM λµ|(Lλ)L0 M 0 >.
Ne segue che i due devono essere uguali a meno di una costante indipendente da M, M 0 , µ. Scriviamo
quindi
M0 − M = µ (14.24)
0 0
|L − L | ≤ λ ≤ L + L (14.25)
Il teorema di Wigner-Eckart ha una ampia applicazione in MQ; interviene infatti nel calcolo degli elementi
di matrice di operatori di transizione di diversa multipolarita’. Per esempio si applica per calcolare le
transizioni elettromagnetiche in approssimazione di dipolo, che abbiamo trattato prima, cioe’ nel calcolo
degli elementi di matrice di Y1µ tra livelli elettronici. Si ha in tal caso
dove il simbolo δn,m è la delta di Kronecker. L’ortogonalità dei vettori di base riflette l’incompatibilità
dei rispettivi stati di rivelazione. Per esempio nel caso dello Stern e Gerlach con atomi di argento, se la
sorgente prepara atomi polarizzati ↑ (per esempio atomi uscenti da un precedente Stern & Gerlach, dove
la componente ↓ é stata soppressa) si avranno atomi solo nel rivelatore corrispondente alla polarizzazione
9
CAPITOLO 2. STATI E VARIABILI DINAMICHE IN MECCANICA QUANTISTICA 10
↑, come espresso dalla Eq.(1.23). I coefficienti di sovrapposizione An sono fissati (a meno di un fattore
di fase) dalle probabilità Pn associate al numero dei conteggi Nn ottenuti in un insieme di misure, cioè
Va sottolineato che stati di rivelazione e probabilità associate sono definiti da operazioni di misura. Quello
che ancora resta da determinare è la fase delle ampiezze di probabilità.
Pn = |n >< n| (2.5)
Il simbolo Pn , applicato ad un vettore di stato |φ >, lo proietta nello stato |n >, e quindi stabilisce una
corrispondenza tra vettori dello spazio di Hilbert. Una corrispondenza è quello che chiamiamo operatore:
quindi Pn è un operatore. Siccome Pn trasforma uno stato qualunque nello stato |n > viene chiamato
operatore di proiezione. Sommando su tutti gli stati di base si ottiene dall’Eq. (2.4)
X
Pn = I (2.6)
n
dove I rappresenta l’operatore identità, che trasforma uno stato in sé stesso. L’Eq.(2.6) è un modo di
esprimere formalmente il fatto che gli stati |n > formano un insieme completo ortonormale. L’Eq. (2.6)
rappresenta non l’unica ma solo una possibile realizzazione dell’operatore identità, come vedremo in
seguito.
Tornando alla descrizione dei dati sperimentali, un apparato è generalmente finalizzato a misurare
una osservabile fisica O. Ad ogni rivelatore è associato uno stato |n > a cui corrisponde un valore definito
per l’osservabile, che chiamiamo On . Ripetendo l’esperimento un gran numero N di volte abbiamo tutto
lo spettro dei possibili valori O1 , O2 , .., On , .., con le rispettive probabilità P1 , P2 , ..., Pn , ... Lo spettro dei
valori, che O puo prendere, non dipende dallo stato |ψ > di preparazione della sorgente, ma vi dipendono
le rispettive probabilità. A causa di questo comportamento probabilistico del sistema dobbiamo invocare
gli ingredienti della statistica per descrivere i fenomeni osservati e i risultati di misura. Primo di tutti
il valor medio dell’osservabile O. Adoperando il formalismo sinora sviluppato e la definizione di valor
medio, si ha
X X X
< O >= On |An |2 = < ψ|n > On < n|ψ >=< ψ|( On Pn )|ψ > (2.7)
n n n
La quantità in parentesi è la somma degli operatori di proiezione sui singoli stati di rivelazione della
osservabile O ciascuno moltiplicato per il corrispettivo valore On associato al rivelatore n-imo. Questa
quantità definisce un operatore O che associamo alla variabile dinamica O.
X
O= O n Pn (2.8)
n
CAPITOLO 2. STATI E VARIABILI DINAMICHE IN MECCANICA QUANTISTICA 11
In questo modo abbiamo introdotto l’operatore corrispondente alla osservabile O nella forma di rappre-
sentazione spettrale di O. Il valor medio si scrive quindi
Altri valori medi associati ai risultati di misura si possono scrivere in maniera altrettanto semplice nel
formalismo di Dirac. Un valor medio particolarmente importante è lo scarto quadratico medio della
osservabile O:
X
(∆O)2 = (On − < O >)2 |An |2 =< ψ|(O− < ψ|O|ψ >)2 |ψ > (2.10)
n
o anche
che è l’equazione agli autovalori per l’operatore O. Siccome i valori assunti dalla osservabile O sono
numeri reali l’operatore corrispondente deve essere un operatore autoaggiunto. Definiamo l’aggiunto di
un operatore nel modo seguente
il che equivale a scambiare On con On∗ nell’Eq. (2.8). Se gli autovalori sono numeri reali O = O+ e
l’operatore si dice autoaggiunto. Una ulteriore condizione perché un operatore possa rappresentare una
osservabile fisica è che i suoi autostati formano un insieme completo di stati. Infatti se cosı̀ non fosse, ci
sarebbero degli stati che non possono essere espressi come sovrapposizione lineare degli autostati di O e
quindi per questi stati quella osservabile non potrebbe essere misurata.
Il carattere operatoriale delle osservabili in MQ solleva un problema di enorme importanza. Se gli
operatori A e B corrispondenti a due osservabili hanno un insieme completo di autostati simultanei allora
essi commutano. Infatti scrivendo le rispettive equazioni agli autovalori
poiché i rispettivi autovalori commutano essendo numeri. In generale i due operatori, che non commutano,
sono incompatibili,cioè non si possono assegnare simultaneamente valori definiti per le corrispondenti
CAPITOLO 2. STATI E VARIABILI DINAMICHE IN MECCANICA QUANTISTICA 12
osservabili. Questo succede per la coppia posizione ed impulso di una particella, per le componenti del
momento angolare, etc.
In conclusione, nel formalismo della MQ gli stati di un sistema quantico vengono descritti da vettori
dello spazio di Hilbert e le osservabili fisiche da operatori autoaggiunti. I loro autovalori rappresentano
tutti e soli i possibili risultati di misura ed i corrispondenti autostati gli stati di rivelazione. Il carattere
operatoriale delle osservabili fisiche solleva il problema della commutatività fra le osservabili fisiche.
Capitolo 3
TRASLAZIONI SPAZIALI
La funzione ψ(~r) =< ~r|ψ > è una ampiezza di probabilità speciale e prende il nome di funzione d’onda.
Il calcolo della funzione d’onda di un sistema quantico è uno degli obbiettivi fondamentali della meccanica
quantistica. Per esempio la funzione d’onda di un elettrone interagente col nucleo atomico, di una
particella collidente su una targhetta, di un atomo in uno stato condensato e via dicendo.
L’Eq. (3.1) non differisce dall’Eq. (2.1) se non per il fatto che in quel caso gli autovalori della osservabile
formavano un spettro discreto mentre ora formano uno spettro continuo. Quindi la somma va sostituita
dall’integrale. Si trova che lo spettro dei valori (autovalori) dell’operatore di posizione coincide con quello
della meccanica classica: un sistema quantico è localizzabile in qualunque punto, compatibilmente con i
vincoli esterni.
In virtù dell’ipotesi di localizzabilità possiamo assumere che la posizione di un corpo sia una variabile
dinamica anche in meccanica quantistica e che quindi possa rappresentarsi come operatore autoaggiunto
~r i cui autostati siano gli stati in cui il sistema possa essere misurato, cioè
dove ~r 0 sono gli autovalori, cioè le possibili posizioni nello spazio in cui il sistema viene rivelato una volta
sottoposto ad osservazione.
Gli autostati formano uno spettro completo, quindi un qualunque stato del sistema |ψ > si può
esprimere come sovrapposizione degli autostati di ~r ,d’accordo con l’Eq. (3.1). Autostati di ~r appartenenti
ad autovalori diversi sono ortogonali,cioè < ~r 0 |~r >= 0 per ~r 6= ~r 0 . Cosa succede nel caso ~r = ~r 0 ?
Proiettiamo l’Eq. (3.1) sullo stato |~r 0 >
Z
< ~r 0 |ψ > = d3 ~rψ(~r) < ~r 0 |~r >
Z
= ψ(~r ) d3~r < ~r 0 |~r >
0
(3.3)
13
CAPITOLO 3. TRASLAZIONI SPAZIALI 14
Nel secondo passaggio abbiamo applicato il fatto che il solo contributo viene dal punto ~r = ~r 0 . L’integrale
che resta deve essere finito, in particolare uguale ad 1. Affinchè ció accada l’integrando dev’essere infinito.
Una possibile realizzazione di questo comportamento si ottiene mediante la funzione a gradino:
1
f (x) = se |x| ≤ L
2L
= 0 se |x| > L (3.4)
che per L → 0 tende all’infinito ma nello stesso tempo mantiene uguale ad 1 l’area del gradino. Questa
Figura 3.1: Funzione gradino. Al limite per L → 0 diventa una funzione δ di Dirac.
Gli stati |~r 0 >= |x0 , y 0 , z 0 > sono quindi autostati simultanei dei tre operatori x, y, z appartenenti agli
autovalori x0 , y 0 , z 0 rispettivamente, cioè
Ribadiamo che l’ipotesi che le tre componenti dell’operatore r̃ commutano discende dall’ipotesi di lo-
calizzabilità dei sistemi quantici. Il che non è ovvio, perchè ad esempio vedremo che le componenti del
momento angolare non commutano tra di loro, quindi non sono simultaneamente misurabili.
G
a
G
O O’ r0
Figura 3.2: La distribuzione di probabilità ψ(~r) é la stessa per O ed O’, ma per esempio il massimo che
O vede in ~r0 O’ lo vede in ~r0 − ~a.
il riferimento O di ~a, che sposta l’origine da O in O’. Se non intervengono cause esterne che possano
modificare l’omogeneità dello spazio, le proprietà del sistema restano invariate per traslazione rigida, in
particolare la funzione d’onda traslata è uguale a quella non traslata, quindi come è illustrato in Fig. (3.2)
si ha
dove con |ψ~a > abbiamo indicato il vettore di stato traslato. La traslazione genera una corrispondenza
biunivoca fra vettori di stato dello spazio di Hilbert e quindi sarà descritta in meccanica quantistica da
un operatore U~a . In particolare per gli stati di posizione si ha
A causa della invarianza delle ampiezze di probabilità, Eq. (3.9), U~a è un operatore unitario, infatti
U~a U~+ +
a = U~
a U~
a =1 (3.12)
L’esistenza dell’operatore inverso è garantita dal fatto che una traslazione del vettore ~a seguita da una
traslazione del vettore −~a riporta il sistema nella posizione iniziale, quindi U~a U−~a = 1. Ne segue che
U−~a = U~−1
a .
Possiamo anche introdurre le traslazioni infinitesime assumendo a2 ¿ a, perchè comunque una
traslazione finita si può sempre ottenere da una serie infinita di traslazioni infinitesime e queste ul-
time sono più facili da studiare. Sviluppando l’ Eq.(3.9) (con ~r + ~a al posto di ~r) in serie fino al primo
ordine si ha
~
< ~r|U~a |ψ >= ψ~a (~r) = ψ(~r + ~a) = ψ(~r) + ~a · ∇ψ (3.13)
da cui
i
U~a = 1 + ~a · p̃ (3.14)
~
avendo introdotto l’operatore ~p che gode della proprietà
~~
< ~r|~p|ψ >= ∇ψ (3.15)
i
CAPITOLO 3. TRASLAZIONI SPAZIALI 16
~~ ~~
< ~r|p̃|~r 0 >= ∇ < ~r|~r 0 >= ∇δ(~
r − ~r 0 ) (3.16)
i i
L’operatore ~p prende il nome di generatore della traslazione e risulta autoaggiunto in virtù del carattere
unitario di Uã e per l’introduzione dell’unità immaginaria i. La costante ~ = h/2π, che ha le dimensioni
di una azione, viene introdotta qui per rendere adimensionato il prodotto p~ ·~a, che ha anche le dimensioni
di una azione. Ma vedremo in seguito che h va identificata con la costante di Plank.
In analogia con il caso classico in cui il generatore delle trasformazioni canoniche in-
finitesime corrispondenti alle traslazioni spaziali risulta l’impulso totale del sistema, ora
identifichiamo il generatore delle trasformazioni unitarie infinitesime che descrivono in MQ
le traslazioni spaziali con l’osservabile impulso della MQ.
Una traslazione finita puo essere ottenuta come una successione di traslazioni infinitesime applicando
la legge di composizione:
Questa funzione d’onda è piu o meno localizzata nello spazio a seconda della forma della funzione peso
c(~p) .
CAPITOLO 3. TRASLAZIONI SPAZIALI 17
Possiamo considerare anche l’equazione agli autovalori per l’operatore p2 /2m, che vedremo in seguito
corrispondere alla energia cinetica di una particella libera. E’ una proprietà generale che una funzione
f (O) di un operatore O ha come autostati gli stessi autostati dell’operatore e come autovalori la funzione
f (Oi ) degli autovalori Oi dell’operatore O. Ne segue che
2
p2 0 p0
|~ p0 >
p >= |~
2m 2m
o nella rappresentazione delle coordinate
2
~2 2 p0
− 5 ψp0 = ψp0 (3.23)
2m 2m
Quindi le onde piane sono anche autostati della Hamiltoniana di una particella libera. Una situazione
più realistica è quella di una particella libera ma vincolata entro un volume finito. Basti pensare ad un
gas ideale contenuto in un volume V. In questo caso l’equazione agli autovalori dev’essere risolta con
la condizione che la funzione d’onda al di fuori del volume in cui la particella è contenuta sia nulla.
Consideriamo per semplicità il caso unidimensionale in cui la particella è costretta a stare in un segmento
|q| < L. Le soluzione della Eq. (3.21) devono allora soddisfare le condizioni
Separiamo prima la parte reale dalla parte immaginaria dell’equazione agli autovalori. Ciò facendo ci
ritroviamo con due equazioni accoppiate che possono essere disaccoppiate passando alle derivate seconde.
Alla fine parte reale e parte immaginaria di ψ soddisfano entrambe ad una equazione della forma della
(3.23). La soluzione generale sarà una combinazione lineare di due soluzioni particolari, che sono le
funzioni seno e coseno, quindi
p
ψ(q) = u cos(kq) + v sin(kq) (k ≡ ) (3.25)
~
Le condizioni al contorno sono soddisfatte dalle soluzioni
(2n + 1)π
i) ψn (q) = cost · cos(kn q) kn = (3.26)
2L
nπ
ii) ψn (q) = cost · sin(kn q) kn = (3.27)
L
con n intero. Incontriamo qui per la prima volta il caso in cui l’impulso e quindi l’energia
~2 kn2
En = (3.28)
2m
sono quantizzati come conseguenza del fatto che il sistema è confinato in una regione limitata dello
spazio. Vedremo che questa è una proprietà generale dei sistemi quantici che si trovano localizzati in
una regione limitata dello spazio, cioè in uno stato legato. Dalle equazioni (27) e (28) risulta che lo
stato di impulso più basso si ha per n=1 ed è proporzionale ad 1/L. Al limite per L molto grande lo
spettro è praticamente continuo, mentre per L molto piccolo il primo valore d’impulso é molto grande.
Questo proprietà importante nello studio delle nanostrutture, dove appunto solo particelle con impulsi
molto elevati posso muoversi.
CAPITOLO 3. TRASLAZIONI SPAZIALI 18
U~a~rU~†a |~r >= U~a~r|~r + ~a >= U~a |~r + ~a > (~r + ~a) = |~r > (~r + ~a) = (~r + ~a)|~r > (3.29)
secondo:
i i 1
U~a~rU~†a = (1 + ~a · ~p)~r(1 − ~a · ~p)~r =~r + [~a · ~p,~r] (3.31)
~ ~ ~
Combinando i due risultati, si ottiene ~a = ~i [~a · ~p,~r], ossia
Quindi componenti di posizione ed impulso nella stessa direzione non commutano e pertanto non possono
possedere un insieme completo di autostati simultanei, per cui le rispettive variabili dinamiche non sono
simultaneamente misurabili. La nozione di stato della meccanica classica quindi viene confutata dalla
meccanica quantistica. Precisiamo che il fatto di non essere simultaneamente misurabili significa però
che non si possono misurare con precisione assoluta, ma solo con una certa indeterminazione. Vedremo
ora che questa indeterminazione è fissata dalle proprietà di commutazione appena derivate. I limiti
della simultanea misurabilità di posizione e impulso prendono il nome di relazioni di indeterminazione di
Heisenberg, che andiamo a dimostrare.
Consideriamo un sistema quantico che si trova nello stato [ψ > normalizzato ad uno. Siano q0 e p0
posizione ed impulso medio, rispettivamente ( è sufficiente trattare il caso unidimensionale). Definiamo
2iIm < ψq |ψp >=< ψq |ψp > − < ψp |ψq >=< ψ|[q − q0 , p − p0 ] >= i~ (3.35)
da cui
~
Im < ψq |ψp >= (3.36)
2
Ricordando che la parte immaginaria di un numero complesso è minore o uguale al suo modulo, applicando
la diseguglianza di Schwartz si ha
q q
Im < ψq |ψp >≤ | < ψq |ψp > | ≤ ||ψq > | · ||ψp > | = < ψq |ψq > < ψp |ψp > (3.37)
Interpretiamo le quantità in parentesi. Inserendo dentro ciascuna ampiezza una risoluzione dell’identità
in termini di autostati di coordinate e di autostati d’impulso, rispettivamente, si ha
Z
< ψq |ψq >= (q 0 − q0 )2 | < q 0 |ψ > |2 ≡ (∆q)2 (3.38)
CAPITOLO 3. TRASLAZIONI SPAZIALI 19
Z
< ψp |ψp >= (p0 − p0 )2 | < p0 |ψ > |2 ≡ (∆p)2 (3.39)
Le due grandezze rappresentano gli scarti quadratici medi di posizione ed impulso, rispettivamente. Da
(3.37) e (3.38) in definitiva abbiamo
Questa diseguaglianza esprime il principio di indeterminazione di Heisenberg che stabilisce precisi limiti
alla accuratezza con cui possiamo misurare simultaneamente posizione ed impulso di un sistema quantico.
Il suo contenuto è in netto contrasto con la nozione classica di stato, che è appunto basata sul fatto che
posizione ed impulso di una particella possono essere assegnati simultaneamente. Due casi estremi si
presentano: la posizione del sistema è ben definita, cioè ∆q = 0, allora il suo impulso è assolutamente
indeterminato, in altri termini ∆p = ∞ e viceversa se il suo impulso è perfettamente determinato come
nel caso delle onde piane allora il sistema è completamente delocalizzato, cioè ∆q = ∞.
Possiamo illustrare il principio di indeterminazione con svariati esempi come nella diffrazione da una
fenditura, oppure nella costruzione di un pacchetto d’onde. Si può anche mostrare che, se |ψ > è una
funzione d’onda gaussiana l’Eq. (3.41) vale con il segno di uguaglianza e quindi ad uno stato descritto da
una funzione d’onda gaussiana corrisponde la minima indeterminazione nella assegnazione simultanea di
coordinate ed impulsi.
Una istruttiva applicazione del principio d’indeterminazione riguarda la stabilità dell’atomo. Uno
dei problemi della fisica classica era la sua incompatibilità con l’atomo di Rutherford . Infatti dal
punto di vista classico un elettrone non può mantenersi in un’orbita stazionariae attorno al nucleo,
perché, in quanto particella carica, variando la sua velocità dovrebbe emettere onde elettromagnetiche
e, spiralizzando attorno al nucleo da cui è attratto, dovrebbe cadere su di esso. Ma ciò non accade. Il
principio d’indeterminazione ci da una giustificazione qualitativa: infatti, cadendo nel nucleo l’elettrone
avrebbe una posizione localizzata sul nucleo e nello stesso tempo perdendo energia finirebbe con l’avere
anche impulso anche definito, cioè nullo, contro il principio di indeterminazione. Quello che succede è che
l’elettrone va ad occupare uno stato in cui posizione ed impulso sono tali che l’energia totale (cinetica e
potenziale) è la minima possibile compatibilmente con il principio d’indeterminazione. Assumendo che lo
stato dell’elettrone corrisponda alla minima indeterminazione possibile per cui ∆q∆p = ~/2 è possibile
stimare il raggio dell’atomo d’idrogeno. Intanto, poichè il potenziale coulombiano generato dal nucleo è
a simmetria sferica, la funzione d’onda dell’elettrone nello stato di minima energia dev’essere sferica e la
posizione media dell’elettrone deve coincidere con il centro della sfera e quindi con il nucleo stesso posto
nell’origine, cioè q0 = 0. Inoltre anche l’impulso medio deve essere nullo altrimenti l’elettrone col tempo
si allontanerebbe dal nucleo. Calcoliamo l’energia media
< ψ|p2 |ψ > e2
< H >= − < ψ| |ψ > (3.41)
2m r
dove e è la carica dell’elettrone ed anche del nucleo (protone). Definiamo < 1/r >= 1/r, inoltre < p2 >=
(∆p)2 . Assumiamo inoltre che ∆r ≈ r. Dalle relazioni di indeterminazione allora segue
~ ~
∆p = ' (3.42)
2∆r r0
dove abbiamo trascurato il fattore due in questa analisi semiqualitativa. Sostituendo questa espressione
nell’energia media restiamo con una funzione di r. Lo stato fondamtentale è quello di minima energia
per cui uguagliando a zero la derivata determiniamo il raggio dell’elettrone nello stato fondamentale. Si
trova subito
~2
r0 = (3.43)
me2
CAPITOLO 3. TRASLAZIONI SPAZIALI 20
Questa è l’espressione del raggio dell’elettrone nell’atomo di idrogeno, che viene anche ottenuta risolvendo
esattamente l’equazione di Schrödinger per l’atomo di idrogeno. r0 viene chiamato raggio di Bohr.
Capitolo 4
DESCRIZIONE QUANTISTICA DI
FENOMENI ELEMENTARI
h hc
λ= =√ . (4.1)
2mv 2mc2 T
dove m è la massa dell’elettrone ≈ 0.5 · 103 eV e T è misurata in eV. La costante di Planck vale
Risulta facilmente
12
λ≈ √ (4.3)
T
quindi, per avere una lunghezza d’onda di un Angstrom, l’energia cinetica dev’essere dell’ordine di 144 eV .
21
CAPITOLO 4. DESCRIZIONE QUANTISTICA DI FENOMENI ELEMENTARI 22
û
p′
G
{
θ
G
p
Figura 4.1: Schema dell’esperimento di Young. Vedi anche Fig. 1.1
dove x è il punto sullo schermo nella direzione di p~ 0 . La natura di A non è importante in questo contesto.
Le due fenditure sono uguali ma spostate l’una rispetto all’altra di D nella direzione û ortogonale a quella
di incidenza, quindi le due ampiezze di probabilità differiscono per una semplice traslazione di D. Se
chiamiamo una A(x), come appare nell’Eq. (1), l’altra sarà data da
dove pu è l’operatore impulso che genera una traslazione nella direzione û ortogonale alla direzione
dell’impulso delle particelle incidenti e quindi
pu |~
p >= 0 p 0 >= |~
pu |~ p 0 > p sinθ . (4.8)
Una volta note le due ampiezze A(x) e AD (x) il principio di sovrapposizione impone che, quando entrambe
le fenditure sono aperte, l’ampiezza totale sia la somma delle ampiezze e la probabilità che la particella
raggiunga il punto x sullo schermo è
i
P (x) p 0 > + < p~|A|~
= | < p~|A|~ p 0 > e ~ pDsinθ |2 (4.9)
i
= P0 (x)|1 + e ~ pDsinθ
| 2
(4.10)
i
= 4 P0 (x) cos2 ( pDsinθ/2) , (4.11)
~
che coincide con l’Eq. (1.4). In effetti P0 (x) non dipende da x e (quindi dall’angolo) poichè, se la fenditura
è puntiforme, la particella prende con uguale probabilità qualunque direzione (nel caso di diffrazione da
singola fenditura).
p′
G G
p
ϑ D
Figura 4.2: Diffrazione alla Bragg.
di un reticolo unidimensionale di passo reticolare D. Un fascio di particelle (una alla volta) incide sul
reticolo e, dopo diffusione elastica (|~p 0 | = |~
p|) da uno dei centri diffusori, viene diffratto in una certa
direzione. Vogliamo calcolare la probabilitá di diffusione all’angolo θ. Il fenomeno è simile a quello di
Young eccetto che, invece di avere interferenza da due fenditure, abbiamo interferenza da molteplici centri
diffusori. Chiamiamo < p~|An |~ p 0 > l’ampiezza di diffusione dal centro diffusore n-imo. Ancora una volta
le ampiezze di diffusione di due centri contigui differiscono per una traslazione di D. Generalizzando
l’Eq. (4.7) ad N centri diffusori abbiamo
i i i
P (x) = P0 (x)[1 + e ~ pDsinθ + e ~ p2Dsinθ + e ~ p3Dsinθ + · · ·|2 , (4.12)
sin2 [N ∆φ/2]
P (x) = P0 . (4.13)
sin2 [∆φ/2]
Invece di mettere in evidenza la probabilità associata all diffusione da un singolo centro, mettiamo in
evidenza la probabilità massima che si ottiene per θ = 0(o x = 0). Si ha facilmente
sin2 (N ∆φ/2)
P (x) = P (0) (4.14)
(N ∆φ/2)2
Questa espresione è una generalizzazione dell’Eq. (4.11) a cui si riduce per N=2. Si vede facilmente che
l’interferenza da molteplici centri diffusori esalta l’entitã del fenomeno.
poichè i due eventi differiscono solo per una traslazione ~s, come indicata in figura. Applicando le due
equazioni agli autovalori
(~p · ~s) |~
p > = |~
p > p D sinθ (4.16)
0 0
(~p · ~s) |~
p > = |~
p > p D sinθ, (4.17)
CAPITOLO 4. DESCRIZIONE QUANTISTICA DI FENOMENI ELEMENTARI 24
π−θ
π−θ
I massimi di inteferenza si hanno per 2Dsinθ = nλ, dove n è un numero intero e λ = hp , in accordo alla
relazione di de Broglie, Eq. (1.7). Questa legge coincide con la legge di Bragg per la diffrazione di raggi
X da un cristallo.
Il fattore di fase (di modulo uno) è stato introdotto poichè l’ampiezza di diffusione definisce la sezione
d’urto a meno di un fattore di fase (vedremo in Cap.10 che σ = |f |2 ), che diventa essenziale quando la
sezione d’urto scaturisce da più processi come in questo caso. Se effettuo una rotazione di π, si ha
10
dσ/dω, b sr (c.m.)
-1
1
0.1
0 20 40 60 80 100 120
angolo nel baricentro, gradi
Figura 4.4: Distribuzione angolare nella diffusione elastica carbonio su carbonio.La linea continua è la
previsione teorica assumendo che le particelle sono identiche; i cerchi sono i dati sperimenatali.
Poichè il sistema è simmetrico per una rotazione di π le due probabilità devono essere uguali e quindi
e−iδ = eiδ , cioè eiδ = ±1. In definitiva si ha
La sovrapposizione delle due ampiezze da luogo ad effetti di interferenza che vengono normalmente
riscontrati in esperimenti di collisione tra particelle identiche (vedi Fig.4.4 ).
L’ambiguità del segno non si può dirimere se non nel contesto della MQ relativistica. Si trova che il
segno più si ha nel caso di particelle con spin intero (bosoni), il segno meno a particelle con spin semintero
(fermioni).
Se le due particelle sono identiche, scambiando le due particelle la funzione d’onda deve restare invariata
a meno di un fattore di fase, quindi
Dopo un secondo scambio che porta un altro fattore di fase, la funzione d’onda deve ritornare quella di
prima, per cui si deve avere e2iδ = 1, cioé eiδ = ±1, come prima. Quindi la funzione d’onda o resta
invariata per scambio di due particelle (simmetrica) o cambia segno (antisimmetrica). Queste condizioni
sono soddisfatte automaticamente dalle funzioni d’onda della forma
Il segno + vale per bosoni, il segno − vale per fermioni. La funzione d’onda di due fermioni, per
~r1 = ~r2 , è nulla. Quindi due fermioni identici non possono occupare la stessa posizione. Generalizzan-
do questo risultato possiamo affermare che due fermioni identici non posson occupare lo stesso stato.
Questo è il principiodiesclusionediPauli. Il suo ruolo è fondamentale in molti campi della fisica sia su
scala microscopica (atomi, nuclei,...) che su scala macroscopica (fenomeni quantistici macroscopici come
superconduttività, superfluidità,ecc).
Capitolo 5
TRASLAZIONI TEMPORALI
L’evoluzione temporale dello stato da t0 a t si puè pensare come una corrispondenza biunivoca tra stati,
che definisce un operatore nello spazio degli stati
L’operatore U(t, t0 ) prende il nome di operatore di evoluzione temporale e descrive una traslazione lungo
l’asse dei tempi. La probabilità sommata su tutti i possibili stati finali dev’essere ugual ad 1 a prescindere
dal tempo t per cui si ha
X X
| < ψk |ψ(t) > |2 = | < ψk |U(t, t0 )|ψ(t0 ) > |2 (5.3)
X
= < ψ(t0 )|U† (t, t0 )|ψk >< ψk |U(t, t0 )|ψ(t0 ) > (5.4)
= < ψ(t0 )|U† (t, t0 )U(t, t0 )|ψ(t0 ) > (5.5)
= 1 (5.6)
assunto che esiste anche l’operatore inverso U−1 (t, t0 ) = U(t0 , t).
L’esistenza dell’operatore U(t, t0 ) equivale ad assumere che anche in meccanica quantistica le leggi del
moto sono deterministiche.
L’operatore di evoluzione per un tempo molto piccolo δt differisce dall’operatore identità per un
termine proporzionale a δt
i
U(t + δt, t) = 1 − δt H(t) (5.8)
~
26
CAPITOLO 5. TRASLAZIONI TEMPORALI 27
dove H(t) prende il nome di generatore della traslazione temporale, e, in analogia con le corrispondenti
trasformazioni canoniche classiche, va identificato con l’osservabile Hamiltoniana del sistema all’istante t.
La traslazione per un tempo finito t0 − t si ottiene dividendo l’intervallo in N (→ ∞) intervalli infinitesimi
tali che N · δt = t0 − t e quindi dalla legge di composizione segue
Questa espressione non è sommabile eccetto che in casi eccezionali, cioè quando l’Hamiltoniana presa a
tempi diversi commuta con se stessa
Solo in questo caso infatti il prodotto degli esponenziali è uguale allo esponenziale della somma degli
esponenti, cioè
i 0
U(t0 , t) = e− ~ δt[H(t )+H(t1 )+···H(tN ) (5.12)
R t0
− ~i dτ H(τ )
= e t (5.13)
Negli altri casi per valutare l’operatore di evoluzione temporale si fa ricorso a metodi di approssimazione
di cui si parlerà nel capitolo sulla teoria perturbativa dipendente dal tempo.
Osserviamo che per la classe delle Hamiltoniane indipendenti dal tempo U(t0 , t) dipende solo dalla durata
t0 − t e non dai due istanti di tempo t e t’ separatamente. Infatti una Hamiltoniana indipendente dal
tempo non viola l’uniformità del tempo e quindi le proprietà del sistema non dipendono dall’istante scelto
come origine dell’asse dei tempi. Hamiltoniane indipendenti dal tempo corrispondono in genere a sistemi
isolati o sottoposti a perturbazioni costanti nel tempo.
In generale si ha
sicchè lo stato del sistema all’istante t’ viene determinato univocamente dallo stato all’istante t, ove
sia nota la Hamiltoniana nell’intervallo t0 − t. Pertanto l’evoluzione dinamica di un sistema in MQ è
deterministica come in meccanica classica; quello che è profondamente diversa è la nozione di stato,
che in MQ ha un significato probabilistico. Consideriamo ad esempio una particella. Classicamente
possiamo assegnare una posizione definita ~r(t) allo stato della particella all’istante t, e questa cambia
al trascorere del tempo secondo le leggi della dinamica classica. La posizione ~r(t) evolve in maniera
deterministica. Quantisticamente possiamo assegnare una funzione d’onda ψ(~r, t) alla particella, che
CAPITOLO 5. TRASLAZIONI TEMPORALI 28
assegna la probabilità di trovarla nei vari punti dello spazio all’istante t. Al trascorrere del tempo ψ(~r, t)
varia secondo le leggi della meccanica quantistica. Ora ψ(~r, t) e non ~r(t) varia in maniera deterministica.
L’Eq. (17) è di per se una equazione del moto per lo stato di un sistema quantico; alternativamente
possiamo formulare le equazioni del moto per gli stati come anche per l’operatore di evoluzione temporale
in forma differenziale. Consideriamo una traslazione δt infinitesima
i
|ψ(t + δt) >= U(t + δt, t)|ψ(t) >= (1 − δtH(t))|ψ(t) > (5.17)
~
Isolando al primo membro il rapporto incrementale dello stato, ricaviamo la cosiddetta equazione di
Schrödinger dipendente dal tempo
d
i~ |ψ(t) >= H(t)|ψ(t) > (5.18)
dt
Per un fissato istante di tempo t0 arbitrario, lo stato |ψ(t) si può scrivere U(t, t0 )|ψ(t0 ) >, per cui
l’equazione precedente si trasforma in una equazione del moto per l’operatore di evoluzione una volta
eliminato lo stato ausiliario |ψ(t0 ) >, cioè
d
i~ U(t, t0 ) = H(t)U(t, t0 ) (5.19)
dt
Consideriamo un sistema con Hamiltoniana indipendente dal tempo. Una classe di soluzioni dell’equazione
di Schrödinger è quella per cui la dipendenza dal tempo può essere isolata in un fattore di fase, cioè
i
|ψ(t) >= exp(− E t)|ψ > (5.20)
~
Questi stati, ove esistano, rivestono grande importanza poichè valori medi di osservabili fisiche O (in-
dipendenti dal tempo) rispetto a questi stati son costanti nel tempo. Infatti si verifica immediatamente
che
e per questo vengono chiamati stati stazionari. Un sistema che si trova in uno stato stazionario mantiene
nel tempo le sue proprietà fisiche. Applicando su uno stato stazionario l’equazione di Schrödinger
dipendente dal tempo,Eq. (19), si trova subito che
Questa equazione rappresenta la condizione affinchè uno stato sia stazionario e prende il nome equazione
di Schrödinger indipendente dal tempo. Riconosciamo nella equazione precedente una tipica
equazione agli autovalori, cioè l’equazione agli autovalori per la Hamiltoniana H. Concludiamo allo-
ra che gli stati stazionari del sistema sono gli autostati |ψE > appartenenti ai rispettivi autovalori E. La
ricerca delle proprietà stazionarie nel tempo di un sisitema fisico equivale quindi alla risoluzione dell’e-
quazione agli autovalori per l’Hamiltoniana H. Studieremo nei prossimi capitoli la risoluzione di questa
equazione per una varietà di sistemi quantici.
Moltiplichiamo questa equazione per ψ ∗ (~r, t) e la sua complessa coniugata per ψ(~r, t), quindi sottraiamo
membro a membro. Il termine di potenziale scompare poichè il potenziale è reale (escludiamo nel pre-
sente contesto potenziali complessi che vengono usati in MQ per descrivere fenomeni di assorbimento).
L’equazione risultante è allora
∂ ~2 ¡ ∗ ~2 2 ∗ ¢
i~ |ψ(~r, t)|2 = − ψ (~r, t)∇2 ψ(~r, t) − ψ(~r, t) ∇ ψ (~r, t) (5.24)
∂t 2m 2m
Introduciamo le due grandezze
(5.27)
EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER
STAZIONARIA: Buche di Potenziale
Consideriamo lo studio di stati stazionari di sistemi elementari. Il sistema più semplice è quello di una
particella libera, la cui Hamiltoniana si identifica con l’energia cinetica
p2
H= (6.1)
2m
Essendo H funzione dell’impulso i suoi autostati sono anche autostati dell’impulso che, come abbiamo
gia visto nel Cap. III, sono le onde piane. La loro espressione completa si ottiene aggiungendo alla parte
spaziale la parte temporale tipica degli stati stazionari. Quindi abbiamo
i
ψt (q) = cost ∗ e ~ (Et−pq) (6.2)
Il sistema più semplice dopo la particella libera è quello di due particelle (di massa uguale, per semplicità)
mutuamente interagenti. Assumendo che il potenziale d’interazione dipenda solo dalla distanza tra le due
particelle, la Hamiltoniana si scrive
p1 2 p2 2
H= + + v(q1 − q2 ) (6.3)
2m 2m
Introducendo, come in meccanica classica, la coordinata del centro di massa Q = (q1 + q2 )/2 e la coor-
dinata del moto relativo q = q1 − q2 ed i corrispondenti impulsi canonicamente coniugati, cioè l’impulso
totale P = p1 +p2 e p = (p1 − p2 )/2 si può separare il moto del centro di massa (CM) dal moto relativo.
Il moto del CM è quello di una particella libera di massa M = 2m, mentre il moto relativo equivale al
moto di una particella di massa pari alla massa ridotta delle due particelle (cioè m/2 nel caso di masse
uguali) sottoposta ad un potenziale centrale con centro nel baricentro. L’indipendenza dei due moti si
riflette nel fatto che la Hamiltoniana del sistema si possa riscrivere come somma di due Hamiltoniane
non accoppiate da coordinate comuni, cioè
P2 p2
H= + + v(q) ≡ HCM (P) + Hrel (p, q) (6.4)
2M m
In termini di autofunzioni l’indipendenza dei due moti si riflette nel fatto che una qualunque autofunzione
del sistema si scriva come il prodotto di una autofunzione del moto (libero) del baricentro per una
autofunzione del moto relativo, cioè (omettiamo la parte temporale)
30
CAPITOLO 6. EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER STAZIONARIA: BUCHE DI POTENZIALE 31
dove l’autofunzione del centro di massa è scritta già nella forma di onda piana. In definitiva il problema
del moto delle due particelle interagenti si traduce in quello del moto di una particella in un campo di
potenziale.
Ci occupiamo di studiare prima le proprietà generali dell’equazione di Schrödinger di una particella
di massa m sottoposta ad un potenziale unidimensionale. Il più semplice tipo di potenziale è la buca di
potenziale
V0 per |q| < l
V (q) =
0 altrove
La buca di potenziale si caratterizza per la presenza di punti di discontinuità dove il potenziale varia
bruscamente da zero ad un valore costante non nullo. Potenziali a corto raggio come il potenziale nucleare
o il potenziale ionico si possono approssimare con buche di potenziale; potenziali a lungo raggio come il
campo coulombiano non possono essere approssimati da buche.
La buca è attrattiva per V0 < 0 e repulsiva per V0 > 0 (ricordiamo che la forza f~ = −grad ~ v). E’
importante ricordare sempre che quello che ha significato fisico è la differenza di potenziale tra due punti,
di cui uno si può fissare all’infinito. Quindi V0 < 0 significa V0 (P ) − V0 (∞) < 0. In genere si pone
V0 (∞) = 0
Nonostante le semplificazioni adottate molte proprietà del sistema ancora rivestono carattere generale.
L’equazione di Schrödinger si scrive
~2 d2
[− + V (q)]ψE (q) = EψE (q) (6.6)
2m dq 2
che studieremo nei due casi, di buca attrattiva e buca repulsiva.
Consideriamo prima la regione dove il potenziale è nullo, cioè |q| > l. Qui la funzione d’onda soddisfa
l’equazione
~ 2 d2
− ψE (q) = EψE (q) (6.7)
2m dq 2
La soluzione dipende dal segno di E: se E è positiva la soluzione è di tipo onda piana (oscillante), se E è
negativa e maggiore di V0 la soluzione è di tipo esponenziale (crescente o decrescente); infine se E < V0
non c’è nessuna soluzione fisicamente accettabile poichè si avrebbe un moto con velocità immaginaria,
come nel caso classico.
Il caso E > 0 viene interpretato come lo stato di una particella che si trova non confinata in una
regione finita dello spazio, per esempio una particella che, avvicinandosi alla buca, interagisce con questa,
ma la sua energia è tale che non ne resta intrappolata, ma se ne allontana. Questa situazione clas-
sicamente corrisponde al moto su orbita illimitata, cioè una collisione elastica di una particella da un
centro diffusore. Vedremo che l’equazione di Schrödinger ha sempre soluzione per E > 0: l’insieme degli
autostati appartenenti ad autovalori E > 0 forma lo spettro continuo della Hamiltoniana.
Il caso V0 < E < 0 corrisponde ad uno stato confinato nello spazio poichè la funzione d’onda decresce
esponenzialmente al di fuori della buca (la soluzione esponenzialmente crescente dev’essere scartata perchè
corrisponderebbe ad una probabilità che cresce indefinitamente per q → ∞). Questo stato equivale
classicamente ad un moto su un’orbita chiusa. Essendo E < 0 la particella resta intrappolata entro la
buca anche se esiste una probabilità finita di trovarla nelle immediate vicinanze. Vedremo che stati legati
esistono solo per valori speciali di E (negativo) e quindi formano uno spettro discreto della Hamiltoniana.
Quest’ultima situazione rappresenta la quantizzazione dell’energia e non ha analogo classico. Per E < V0
la particella, come gia’ detto, si muoverebbe all’interno della buca con impulso immaginario, in quanto
CAPITOLO 6. EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER STAZIONARIA: BUCHE DI POTENZIALE 32
0.2
-0.2
-0.4
-0.6
-0.8
-1
-1.2
-10 -5 0 5 10
E − V0 e negativo e quindi classicamente questa soluzione va scartata. Va anche scartata dal punto di
vista quantistico perche’ in tal caso la media dell’energia cinetica sarebbe negativa. In pratica l’argomento
fisico è lo stesso.
0 0
ψII (l) = ψIII (l) ; ψII (l) = ψIII (l) (6.12)
Quattro equazioni sono ridondanti per determinare tre parametri, tuttavia non dobbiamo dimenticare
che stiamo risolvendo una equazione agli autovalori ed i possibili valori del parametro E devono essere
determinati. Una delle equazioni serve allora a selezionare i valori permessi per l’energia. Nel caso
di energia positiva si aveva una equazione in meno per cui qualunque valore di E > 0 era autovalore
CAPITOLO 6. EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER STAZIONARIA: BUCHE DI POTENZIALE 33
R
T
I II III
-l +l
Ricavando a/b e c/b dalle prime due e sostituendo nelle seconde due si ottiene
k̃
sin(k̃l − φ) = cos(k̃l − φ) (6.15)
k
k̃
sin(k̃l + φ) = − cos(k̃l + φ) (6.16)
k
Combinando le due equazioni ricaviamo φ = nπ/2 dove n è un intero arbitrario e sostituendo questo
valore in una delle due restiamo con l’equazione che stabilisce gli autovalori dell’energia
k̃
tan(k̃l − nπ/2) = (6.17)
k
Questa equazione non può essere risolta analiticamente. Per ogni fissato valore di n (intero) si determina
numericamente un valore dell’energia En . L’autovettore corrispondente ψn è dato dalle Eq. (8,9,10).
dopo aver sostituito E = En ed i valori dei coefficienti determinati dalle condizioni al contorno. Un caso
interessante di buca attrattiva è V0 = −∞, che simula (nel caso tridimensionale) un box a pareti rigide
contenente un gas ideale.
• E < V0
In conformità a quanto detto cerchiamo soluzioni della forma
e−kq + R ekq per q < −l
ψ(q) = a e−k̃ q + b ek̃ q
|q| < l
S e−k q per q > l
CAPITOLO 6. EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER STAZIONARIA: BUCHE DI POTENZIALE 34
p p
dove k = 2mE/~2 e k̃ = 2m(v0 − E)/~2 . Osserviamo che R è il coefficiente dell’onda riflessa
mentre S è il coefficiente dell’onda trasmessa. Calcoliamo la corrente a sinistra ed a destra della
buca. Si ottiene facilmente
~k 2 ~k
j< = |S| j> = (1 − |R|2 ) (6.18)
m m
Ricordiamo che per stati stazionari div j = 0, cioè la corrente è costante in tutti i punti; ne segue
4E (v0 − E)
T = |S|2 = (6.20)
4E (v0 − E) + v02 sinh2 (2k̃L
Il coefficiente di riflessione viene determinato dalla Eq. (19). Il risultato più importante qui è che |S|2
è diverso da zero. Non ostante l’energia della particella sia inferiore alla altezza della barriera esiste
una probabilità finita che la particella attraversi la barriera. Questo effetto puramente quantistico
viene chiamato tunneling.
• E > V0
In questo caso vanno cercate soluzioni della forma
e−kq + R ekq per q < −l
ψ(q) = a sin(k̃ q) + b cos(k̃ q) |q| < l
S e−k q per q > l
p p
dove k = 2mE/~2 e k̃ = 2m(E − v0 )/~2 . Notiamo che dentro la buca le soluzioni sono di tipo
oscillatorio poichè E > v0 . Procedendo analogamente al caso precedente si calcola il coefficiente di
trasmissione. Diamo in alternativa l’espressione del coefficiente di riflessione, che è
In questo caso il risultato più importante è che, non ostante l’energia della particella sia maggiore
dell’altezza della barriera, esiste una probabilità finita che la particella venga riflessa. Questo è
anche un effetto puramente quantistico.
Capitolo 7
7.1 Rotazioni
In meccanica classica le rotazioni nello spazio costituiscono una classe di trasformazioni canoniche il cui
generatore è il momento angolare orbitale. Una rotazione si può sempre decomporre in tre rotazioni
indipendenti, una attorno all’asse x, una attorno all’asse y ed una attorno all’asse z cosı̀ come una
traslazione si può sempre decomporre in tre traslazioni indipendenti. La differenza sta nel fatto che per
le traslazioni l’ordine in cui si effettuano le tre traslazioni indipendenti è arbitrario e questo implica il
fatto che i generatori px ,py e pz commutano, mentre nel caso delle rotazioni l’ordine è essenziale come è
illustrato nell’esempio della figura. Un corpo posto lungo l’asse y positivo viene sottoposto a tre rotazioni
antiorarie di π/2 nell’ordine Rx (π/2),Ry (π/2),Rz (π/2): il corpo ritorna nella posizione di partenza. Se
effettuiamo le rotazioni in ordine inverso il corpo si colloca lungo l’asse y negativo. La conseguenza di
ciò è, come vedremo sotto, che i generatori lx ,ly ed lz non commutano il chè ha profonde implicazioni
sulle proprietà del momento angolare. Le rotazioni vengono descritte da matrici 3 × 3 nello spazio reale.
z z z z
y y y y
x x x x
z z z z
y y y
y
x
Figura 7.1: Tre rotazioni indipendenti ciascuna di 90 gradi attorno ai tre assi. Sopra l’ordine è Rx , Ry , Rz ;
sotto l’ordine è Rz , Ry , Rx . Il risultato finale dipende dall’ordine!
Indichiamo con Rz (δφ) una rotazione infinitesima di δφ attorno all’asse z. L’effetto della rotazione sul
35
CAPITOLO 7. ROTAZIONI E MOMENTO ANGOLARE 36
La rotazione Ry (δφ) si ottiene da Rz (δφ) scambiando y con -z (il segno meno per avere sempre una terna
sinistrorsa), quindi
1 − 12 δφ2 0 δφ
Ry (δφ) = 0 1 0
−δφ 0 1 − 12 δφ2
Il fatto che la rotazione dipende dall’ordine in cui le tre rotazioni indipendenti vengono effettuate
comporta che le matrici di rotazione corrispondenti non commutano. Calcolando i commutatori si trova
facilmente al secondo ordine in δφ
generatori. Per ottenerle facciamo l’assunzione fondamentale che esista un isomorfismo tra il gruppo degli
operatori di rotazione ed il gruppo delle matrici di rotazione, cioè le regole di commutazione che valgono
per le matrici di rotazione valgono anche per gli operatori di rotazione.
Facciamo una breve digressione. Uno può immaginare di estendere la nozione di rotazione a spazi
diversi dallo spazio reale per cui valgono le stesse regole di commutazione e quindi definire i generatori
chiamandoli ancora momento angolare con analoghe proprietà di quelle che andremo a derivare subito.
Questo è il caso delle rotazioni nello spazio intrinseco di un sistema quantico, chiamato anche spazio
dello spin (o momento angolare intrinseco). Quest’ultimo fu introdotto per spiegare nell’esperimento di
Stern e Gerlach lo splitting di molti atomi in un numero pari di componenti (ma anche altri fenomeni).
Secondo l’ipotesi dello spin infatti il momento angolare totale di un elettrone per esempio si compone del
suo momento angolare orbitale (intero) e dello spin (semintero)
~j = ~l + ~s (7.3)
che da luogo ad un numero pari di componenti secondo la regola 2j + 1 che dimostreremo nel seguito.
Assumiamo allora che le regole di commutazione (Eq.(7.1)) siano soddisfatte dagli operatori di ro-
tazione in meccanica in MQ, cioè
e circolando si scrivono le altre. Scrivendo esplicitamente gli operatori U in termini dei rispettivi gener-
atori jx ,jy ,jz , troviamo le regole di commutazione tra le componenti del momento angolare (nel seguito
riserveremo il simbolo l al momento angolare orbitale e j al momento angolare totale):
Poichè i generatori delle rotazioni non commutano tra di loro, le rotazioni stesse formano un gruppo non
abeliano.
Generelizzando l’espressione classica potremmo definire il momento angolare orbitale in MQ come
l = r̃ × p̃ da cui potremmo ricavare le regole di commutazione di l dalle regole di commutazione tra
posizione ed impulso. Si trova facilmente che questa procedura porta allo stesso risultato. Ma la procedura
seguita è piu generale perchè interessa non solo l ma j, e quindi altre forme di momento angolare come
discusso prima.
Gli autovalori sono espressi in unità di ~ che, come il momento angolare, ha le dimensioni di una azione;
tuttavia negli sviluppi algebrici che seguono porremo ~ = 1 per semplicità di scrittura. Gli autovalori di
j2 si sono scritti nella forma j(j + 1) (con j > 0) per convenienza ma ciò non porta a restrizioni poiché
devono comunque essere positivi o nulli. Gli stati |lm >, in quanto autostati di osservabili fisiche, devono
soddisfare alle relazioni di completezza ed ortonormalità
X
|jm >< jm| = 1 (7.8)
j,m
Definiamo due operatori ausiliari j± = jx ±ijy , che sono l’uno aggiunto dell’altro. Si dimostrano facilmente
a partire dalle Eq.(7.5) le seguenti regole di commutazione
j∓ j± = j2 − jz (jz ± 1) (7.13)
jz j± |jm >= [jz , j± ]|jm > +j± jz |jm >= ±j± |jm > +mj± |jm >= (m ± 1)j± |jm > (7.15)
Dalle Eq.(7.13) segue poi che il modulo quadro dei vettori j± |jm >
−j ≤ m ≤ +j (7.17)
Applicando p volte l’operatore j+ ad un autostato |jm > si ottiene un autostato con autovalore m+p. Ci
sarà un pmax per cui m + pmax = j, essendo j l’estremo superiore degli autovalori di jz . Analogamente,
applicando q volte l’operatore j− ad un autostato |jm > si ottiene un autostato con autovalore m-q. Ci
sar‘a un qmax per cui m − qmax = −j, essendo -j l’estremo inferiore degli autovalori di jz . Sottraendo
membro a membro le due relazioni segue che 2j = pmax + qmax , quindi i possibili valori di l sono o numeri
interi o numeri seminteri. Gli m sono anch’essi interi o semionteri e variano di unità intere da -j a +j. Il
loro numero è 2j+1.Per esempio per j=2, i possibili valori di m sono:-2,-1,0,1,2. Lo spettro degli autovalori
di jz si osserva sperimentalmente nell’esperimento di Stern e Gerlach: il numero delle componenti in cui si
decompone il fascio di atomi dopo aver attraversato il campo magnetico disomogeneo è uguale al numero
degli autovalori di jz e quindi, in virtù della regola 2j+1, questo numero ci dice quanto vale j, in particolare
se il numero delle componenti è dispari, j è intero, se è pari j è semintero. L’osservazione di un numero pari
di componenti, cioè j semintero, è una evidenza dell’esistenza dello spin s = 21 ~ dell’elettrone. Vedremo
CAPITOLO 7. ROTAZIONI E MOMENTO ANGOLARE 39
dopo che se il momemto angolare è puramente orbitale (no spin) i suoi autovalori sono numeri interi e
cosı̀ anche gli autovalori della sua proiezione jz .
In conclusione abbiamo determinato lo spettro degli autovalori simultanei di j2 e jz . Gli autovettori
si generano applicando ripetutamente l’operatore j+ (operatore di innalzamento) o j− (operatore di
abbassamento) allo stato |jm >. Il problema è che dobbiamo conoscere almeno uno degli autostati per
generare gli altri; vedremo nel prossimo paragrafo come determinare in particolare l’autostato |jj > con
m=j.
~ × ~r
~r + δ~r = ~r + δφ (7.18)
Nella prima linea abbiamo applicato l’operatore di rotazione sul vettore di sinistra e quindi nella seconda
linea abbiamo sviluppato in serie di Taylor al primo ordine in δφ. Nell’ultima linea abbiamo scambiato
il prodotto scalare col prodotto vettoriale. Dalla espressione dell’operatore di rotazione, Eq. (7.2), segue
i ~ · lû |ψ >= δφ
~ · ∇û ψ
< ~r|δφ (7.22)
~
Ricordando che p̃ → (~/i)∇, possiamo esprimere il momento angolare orbitale in termini dell’impulso,
cioè l̃ = ~r × p̃. Questa espressione è equivalente all’espressione classica del momento angolare orbitale.
Consideriamo una rotazione infinitesima attorno all’asse z. In questo caso, poichèφ ~ è nella direzione
~
di z, abbiamo lz = i (x∂y − y∂x ). Ora una rotazione infinitesima attorno all’asse z corrisponde ad una
variazione dell’angolo azimutale φ di δφ senza variazione dell’angolo radiale θ. Si verifica facilmente
~ ~ ∂ψ
(x∂y − y∂x )ψ = (7.23)
i i ∂φ
L’espressione di una rotazione attorno all’asse x o all’asse y in coordinate polari è meno semplice poichè
in questi casi varia non solo φ ma anche θ. Riportiamo semplicemente le espressioni di l+ ed l− che
saranno utili nel seguito
∂ ∂
< ~r|l± |ψ >= e±iφ [± + icotθ ]ψ (7.24)
∂θ ∂φ
Dalle Eq. (7.23) e (7.24) si deduce l’espressione di l2 in coordinate polari
1 ∂ ∂ 1 ∂2
l2 = l+ l− + lz (lz + 1) = −[ (sinθ ) + ] (7.25)
sinθ ∂θ ∂θ sin2 θ ∂φ2
CAPITOLO 7. ROTAZIONI E MOMENTO ANGOLARE 40
Abbiamo ora quanto serve per determinare gli autostati del momento angolare orbitale |lm > nella rapp-
resentazione delle coordinate polari. Chiamiamo ψlm (~r) la funzione d’onda del sistema che è autofunzione
simultanea di l2 ed lz . L’equazione agli autovalori per lz nella rappresentazione delle coordinate polari si
scrive in virtù dell’Eq. ()
~ ∂ψ(r, θ, φ)
= ~mψ(r, θφ) (7.26)
i ∂φ
L’integrale di questa equazione è
Ylm (θ, φ) = flm (θ)eimφ (7.27)
A questo punto possiamo trarre una importante conclusione. Per poterle interpretare come ampiezze di
probabilità queste autofunzioni devono essere ad un sol valore, in altri termini l’esponenziale dev’essere
tale che
eimφ = eim(φ+2π) (7.28)
per cui m dev’essere intero e quindi anche l dev’essere intero. Gli autovalori del momento angolare
orbitale sono quindi numeri interi. Vedremo invece che la dipendenza dallo spin può generale
autovalori del momento angolare totale che sono numeri seminteri.
Consideriamo infine lo stato |ll > che gode della proprietà l+ |ll >= 0 poichè m ≤ l. Quest’ultima in
coordiante polari si scrive
∂ ∂
< ~r|l+ |ll > = eiφ [ + icotθ ]|Yll (θ, φ) = (7.29)
∂θ ∂φ
∂flm (θ)
= ei(1+l)φ [ − lcotθflm (θ)] = 0. (7.30)
∂θ
L’equazione differenziale che ne segue ammette come soluzione sinl θ. Quindi l’autofunzione simultanea
di l2 ed lz è
Ylm (θ, φ) = cost · sinl (θ)eimφ (7.31)
7.4 Spin
La presenza dello spin si manifesta tutte le volte che atomi (dotati di spin) entrano in interazione con
campi magnetici come nel caso dell’esperimento di Stern e Gerlach o nel caso dell’effetto Zeeman. In
entrambi i casi si deve supporre che ciascun elettrone, oltre a possedere un momento angolare orbitale~l
CAPITOLO 7. ROTAZIONI E MOMENTO ANGOLARE 41
possegga un momento angolare di spin~s dovuto al moto intrinseco. Quest’ultimo ha per l’elettrone un
modulo pari ad 21 ~. I due momenti angolari si accoppiano nel momento angolare totale
La presenza dello spin (semintero) genera momenti angolari totali seminteri e quindi la separazione di
fasci atomici nell’espeimento di Stern e Gerlach in un numero intero di componenti corrispondenti alle
2j+1 proiezioni di~j nella direzione del campo magnetico. Analogamente genera nell’effetto Zeeman lo
splitting di un livello elettronico in un numero 2j+1 pari di livelli in presenza di un campo magnetico.
Lo spin dell’elettrone ha tutte le proprietà algebriche del momento angolare. Avendo lo spin valore 12 ~ ci
sono due soli valori della proiezione lungo un asse arbitrario (che assumeremo come asse z), e cio ± 21 ~.
Dal punto di vista geometrico si può assumere che lo spin genera rotazioni nello spazio dello spin, che,
come detto, ha due dimensioni. I due stati di spin sono autostati simultanei di s2 ed sz :
dove s = 12 ed sz = ± 12 . Nel seguito poniamo |s, sz >≡ |sz >. I due autostati dello spin formano un
insieme completo ortonormale nello spazio di Hilbert a due dimensioni.
Essendo l’autovalore di s2 uguale a 34 ~2 , si ha anche
1 2
s2x = s2y = s2z = ~ . (7.37)
4
Si introducono poi s± che trasformano uno stato nell’altro. Il loro quadrato, non potendo variare sz di
due unità è identicamente nullo:
sx sy + sy sx = sy sz + sz sy = sz sx + sx sz = 0 (7.39)
Si suole introdurre~s = 12~σ. Le matrici 2x2 che rappresentano σ̃ nello spazio dello spin prendono il nome
di matrici di Pauli e rivestono grande importanza nello studio dello spin. Avendo σz autovalori ±1 la
matrice corrispondente si scrive
1 0
σz = .
0 −1
Per gli elementi di matrice di σx,y osserviamo che gli elementi diagonali sono nulli di cui ci si convince
scrivendoli in termini di σ± e osservando che < ±|σ+ |± >=< ±|σ− |± >= 0. Gli elementi non diagonali
si ottengono facilmente dalle Eq.i (37)-(39). In definitiva si ottiene
0 1 0 −i 1 0
σx = , σy = , σz = .
1 0 i 0 0 −1
sistema. Per un moto rotatorio in tre dimensioni nello spazio reale la Hamiltoniana si scrive
~2 l2 ~2 l(l + 1)
H|lm > = = |lm > . (7.41)
2I 2I
Autostati con lo stesso autovalore l ma con diverso di m hanno la stessa energia. Si dice allora che
2
l’autovalore di energia El = ~ l(l+1)
2I è 2l+1 volte degenere, giacchè vi sono 2m+1 autostati distinti
appartenenti allo stesso l.
Considerazioni analoghe si fanno per rotazioni associate allo spin o al momento angolare totale.
Capitolo 8
OSCILLATORE ARMONICO
41
CAPITOLO 8. OSCILLATORE ARMONICO 42
Al variare delle condizioni iniziali l’energia varia con continuità ed assume sempre valori positivi.
p2 1
H= + mω 2 q2 (8.4)
2m 2
determina con i suoi autovalori ed autovettori le proprietà dell’oscillatore quantistico. L’equazione di
Schrödinger
p2 1
( + mω 2 q2 )|ψn > = En |ψn > (8.5)
2m 2
si può risolvere con un metodo algebrico (proposto da P.A.M. Dirac). Introduciamo i tre operatori
r
mω ip
a ≡ (q + ) (8.6)
2~ mω
r
mω ip
a† ≡ (q − ) (8.7)
2~ mω
N ≡ a† a, (8.8)
Le prime due proprietà sono semplici conseguenze delle regole di commutazione Eq.(8.9); la terza proprietà
si dimostra come segue. Intanto n ≥ 0 poichè < n|N|n >=< n|a+ a|n >= ||a|n > ||2 ≥ 0. Inoltre,
dato un autostato n, applicando ripetutamente l’operatore a si arriva necessariamente ad uno stato
am |n >∼ |n − m >= 0 che implica n = m ed essendo m intero anche n è intero. Chiamiamo |0 > lo stato
con autovalore nullo. Applicando ripetutamente l’operatore a† si possono costruire tutti gli autostati di
N:
CAPITOLO 8. OSCILLATORE ARMONICO 43
|1 > = a† |0 >
a† (a† )2
|2 > = √ |1 >= √ |0 >
2 2
a† (a† )3
|3 > = √ |2 >= √ |0 >
3 3!
...... . .............
(a† )n
|n > = √ |0 >
n!
Questi sono anche autostati di H ed i rispettivi autovalori sono
1
En = ~ω(n + ) (n = 0, 1, 2, 3, ...) (8.11)
2
La principale caratteristica dello spettro di energia è che i livelli sono equidistanti l’uno dall’altro con
una distanza pari a ~ω e ciò rende facilmente identificabili le oscillazioni collettive negli spettri nucleari,
atomici e molecolari. L’energia ~ω prende il nome di quanto di eccitazione perchè è l’unità di energia
(più piccola) con cui si costruisce l’intero spettro dell’oscillatore armonico. L’applicazione di a+ (a)
aggiunge (sottrae) un quanto allo stato |n >, da cui il nome di operatore di creazione (annichilazione).
L’operatore N conta il numero di quanti nello stato |n > e prende il nome di operatore numero. Lo
stato fondamentale |0 >, che è il vuoto di quanti , ha energia non nulla, pari a 12 ~ω, chiamata energia
di punto zero. Questa è una conseguenza del principio di indeterminazione ∆q∆p ≥ ~/2, che per lo
stato fondamentale dell’oscillatore armonico vale con il segno uguale (minima indeterminazione). Infatti
consideriamo il valor medio della hamiltoniana in uno stato generico
< p2 > 1
< H >= + mω 2 < q2 > . (8.12)
2m 2
Sostituiamo < p2 > con (~2 /4 < q2 >) e quindi cerchiamo il minimo (il che equivale a determinare
lo stato fondamentale) che si ottiene per < q2 >= ~2 /4m2 ω 2 . Questo valore, sostituito a sua volta in
< H > da giusto l’energia di punto zero, 21 ~ω.
di p e q, con delle semplici operazioni di derivazione. Come illustrazione vediamo come si genera il primo
stato eccitato.Applicando l’eq. (8.7) si ottiene:
r
mω ~ d
ψ1 (q) = < q|1 >=< q|a† |0 >= (q − )ψ0 (q) (8.14)
2~ mω dq
1/4
4 mω 3 1 mω 2
= q e− 2 ~ q (8.15)
π ~3
0.7 0.7
n=0 n=1
classico classico
0.6 0.6
0.5 0.5
0.4 0.4
0.3 0.3
0.2 0.2
0.1 0.1
0 0
-10 -5 0 5 10 -10 -5 0 5 10
0.7 0.7
n=3 n = 10
classico classico
0.6 0.6
0.5 0.5
0.4 0.4
0.3 0.3
0.2 0.2
0.1 0.1
0 0
-10 -5 0 5 10 -10 -5 0 5 10
Figura 8.1: |ψn |2 (q) per quattro autostati dell’oscillatore armonico. La probabilita’ classica, Eq.(18), e’
rappresentata dalla linea tratteggiata.
da cui
1 1
P (q) = p (8.18)
π qi 1 − q 2 /qi2
La probabilità classica è graficata in Fig.1 assieme alla corrispondente probabilità quantistica, quest’ulti-
ma per diversi autostati dell’oscillatore armonico. Per stati di bassa energia si osserva un forte discrepanza
tra le due grandezze, che tuttavia si affievolisce man mano che l’energia cresce. Si ha perfetto accordo per
n → ∞. In altri termini, ad alta energia la quantizzazione dell’energia diventa sempre meno significativa
poiché En >> ~ω, ed il sistema si comporta classicamente.
Capitolo 9
Il sistema più semplice è quello di due particelle interagenti, per esempio un protone ed un elettrone
interagenti per via della forza elettrostatica (campo coulombiano). La Hamiltoniana è
p21 p2
H= + 2 + V (|r1 − r2 |) (9.1)
2m1 2m2
dove 1 si riferisce al protone e 2 all’elettrone. Notiamo che m2 ¿ m1 . A seconda delle condizioni iniziali,
le due particelle formano stati legati (atomo di idrogeno) o stati di diffusione. Entrambe le classi di stati
corrispondono a soluzioni dell’equazione di Schrödinger
Gli stati legati corrispondono a valori di E < 0, gli stati di diffusione ad E > 0.
dove R ~ e P~ sono coordinata ed impulso del baricentro, rispettivamente. L’equazione di Schrödinger del
moto relativo si scrive
p2
( + V (r))ψ(~r) = Eψ(~r) (9.4)
2m
dove p~ è l’impulso del moto relativo, ~r = ~r1 − ~r2 ed m la massa ridotta. In pratica m è la massa
dell’elettrone, Poichè la massa del protone è molto più grande della massa dell’elettrone, m ≈ m2 e il
moto relativo è in pratica il moto dell’elettrone nel campo del protone. Dato che l’interazione dipende
solo dalla distanza tra le due particelle il potenziale del moto relativo (nel riferimento del baricentro) è a
simmetria sferica.
47
CAPITOLO 9. PROBLEMA A DUE CORPI: STATI LEGATI DELL’ATOMO DI IDROGENO 48
Vcentr
1/r2
r
totale
Vcoul 1/r
• comportamento all’origine In prossimità dell’origine la barriera centrifuga, che va come r−2 , prevale
sul potenziale coulombiano, che va come r−1 , e l’equazione radiale si può approssimare
~2 1 d2 ~2 l(l + 1)
(− 2
r+ )ψ(∼ 0) = 0, (9.9)
2m r dr 2mr2
dove il primo termine è p2r . La soluzione fisicamente accettabile è rψ(∼ 0) = rl+1 .
• equazione radiale Incorporando le due soluzioni estreme nella funzione d’onda, l’equazione d’onda
radiale diventa una una equazione di Laplace per la funzione fl (r). Introducendo l’espressione
~
del campo coulombiano V (r) = −e2 /r,dove e è la carica dell’elettrone, e la costante a = 2me 2,
1
(2l + 2)c1 = 2(l + 1 − ) (9.12)
ka
1
2(2l + 3)c2 = 2(l + 2 − )c1 (9.13)
ka
....... (9.14)
La soluzione viene chiamata serie ipergeometrica confluente e può essere studiata asintoticamente per
r → ∞. Si trova che fl diverge più rapidamente di quanto e−kr converga. Quindi con questa classe
di soluzioni non ci sono stati legati. L’unica possibilità è che per speciali valori dell’energia la serie si
riduca ad un polinomio, perchè qualunque polinomio per r → ∞ diverge meno rapidamente di quanto
l’esponenziale converga. Questa classe di soluzioni è accettabile. Si vede cosı̀ in dettaglio come nasce
la quantizzazione dell’energia quando si vogliono determinare soluzioni che corrispondono a stati legati,
cioè funzioni d’onde la cui probabilità associata va rapidamente a zero al di fuori di una regione limitata
dello spazio.
Vediamo in dettaglio come nascono gli stati legati. Scegliamo il parametro E tale che ka = 1/l + 1
allora dall’Eq.(9.11) c1 = 0, dall’Eq.(9.12) c2 = 0 e cosı̀ tutti gli altri coefficienti. Per questa scelta di E la
soluzione fl = c0 = 1 e la funzione d’onda radiale completa si scrive a meno del fattore di normalizzazione
Su questa linea si generano tutti gli autovalori ed autovettori della Hamiltoniama che corrispondono a
stati legati.
CAPITOLO 9. PROBLEMA A DUE CORPI: STATI LEGATI DELL’ATOMO DI IDROGENO 50
continuo
0
-1.5
-3.4 l=2
l=1
-13.6
~2 kn2 ~2 1
En = = (n0 = 0, 1, 2, ....) (9.17)
2m 2m l + 1 + n0
En dipende da n’ e da l attraverso la combinazione n=l+1+n’, che prende il nome di numero quantico
principale. A un dato n corrisponde un definito autovalore di energia, ma non un singolo autostato che
dipende anche da altri numeri quantici, cioè l ed m. Fissato n, l varia da 0 a n-1 e ad ogni l corrispondono
2l+1 valori di m, per cui la degenerazione del livello energetico En è data da
n−1
X
N = 2l + 1 = n2 (9.18)
0
Notiamo che la funzione d’onda radiale non dipende da m. Lo stato fondamentale corrisponde ad
n=1,l=0,m=0 con energia E1 = ~2 /2ma2 , dove a prende il nome di raggio di Bohr, perchè rappresenta
l’ordine di grandezza delle dimensioni dell’atomo di idrogeno. Ricordando la definizione di a si trova
che a ' 0.53A e quindi E1 ' −13.5 eV. L’energia decresce come n2 , quindi E2 = E1 /4,E3 = E1 /9,....
avvicinandosi a zero molto rapidamente. E=0 è la soglia del continuo, cioè il confine tra lo spettro di
energia degli stati legati e quello degli stati non legati. Quest’ultimo prende il nome di continuo perchè
non è quantizzato, in quanto non corrisponde a nessuna condizione di confinamento. In effetti corrisponde
a stati di diffusione come vedremo dopo.