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Agamben, nuda vita, oikonomia

di Andrea De Santis

1. Largomento
La prima domanda da fare sarebbe: che senso ha isolare la nuda vita come problema filosofico?
Nuda vita indicherebbe, in maniera fin troppo facile a dirsi, un ipotetico grado zero, o grado minimo
della vita, vita in quanto tale, semplice esistenza biologica, come ci hanno detto, e richiamerebbe
immediatamente lo spettro di qualcosa daltro, una vita vestita e presa in commerci di ogni tipo, pi o
meno umana, pi o meno parlante, la vita che conosciamo e che incontriamo ovunque, e di cui la nuda
vita rappresenterebbe, appunto, il residuo, o il fondamento, o la parte pi intima.
Quando pubblica Homo Sacer nel 1995, Agamben non ha probabilmente in mente la fortuna editoriale
cui andr incontro, n la maniera in cui alcuni concetti chiave presenti nelle sue riflessioni (lo stato
deccezione, la nuda vita stessa) sarebbero diventati i protagonisti collaudati di qualsiasi discorso
filosofico-politico della fine del millennio.
Luso forte e ridondante della formula nuda vita comincia in Agamben con Homo Sacer (protagonista
di questo libro la nuda vita, la cui funzione essenziale nella politica moderna abbiamo inteso
rivendicare scrive Agamben nellintroduzione) e resta il filo conduttore di tutte le ricerche sulla
sovranit, andando a scomparire quasi del tutto solo con lultimo libro, Il Regno e la Gloria. Ed stata
senzaltro una scelta, da parte di Agamben, quella di usare come concetto strategico, quindi di mettere al
centro dei suoi discorsi, quello che era stato usato prima di lui piuttosto come la formula di un
problema-limite. (Va detto inoltre che luso sistematico del concetto di nuda vita nelle ricerche politiche
rappresenta per Agamben labito di una tematica che attraversa la sua riflessione sin dai suoi esordi).
Tra le fonti agambeniane, Benjamin aveva parlato di nuda vita alla fine della sua Critica della Violenza,
accusando la sacralizzazione, il mito che intorno a essa il pensiero borghese, nel suo lungo viaggio,
aveva creato, nello sforzo di stabilire un contrappeso alla violenza della forza rivoluzionaria che
percorre la storia: sacralizzare la vita per salvarsi la pelle. Heidegger aveva parlato, a pi riprese,
dellimpossibilit di unontologia della vita, le cui condizioni sono piuttosto costrette ad una
interpretazione privativa del vivente che pu tuttal pi ipotizzare qualcosa come un nur-noch1

lieben, qualcosa come un solo pi vita la cui consistenza ci preclusa per ragioni essenziali. La vita
nuda, solo pi vita, non n semplice-presenza, n ancora un esser-ci. Allo stesso tempo, dice
Heidegger anticipando il punto dal quale si muover il discorso agambeniano, lesser-ci non pu essere
pensato come un vivere a cui si aggiunga, oltre al vivere, qualcosaltro. Luomo non il viventeche-ha-il-linguaggio, almeno non in maniera cos pacifica.
Hannah Arendt, le cui riflessioni nelle prime pagine di The Human Condition rappresentano il nucleo di
quel meccanismo eccettivo della politica occidentale di cui Agamben traccia una analisi pervasiva e
radicale, si sofferma abbondantemente sullidea di una doppia struttura della vita delluomo. Tale
duplicit segna lo schema costante delle ricerche agambeniane. E Arendt a parlare per prima in maniera
netta di una frattura tanto insanabile quanto inapparente tra loikos, dove si tiene capo, si amministra, si
governa la vita nelle sue mute necessit biologiche, e la polis, luogo della vita politica, la buona vita di
Aristotele, che si gioca tra gli onori, gli scontri e le pubbliche parole. Avere linguaggio, avere politica,
storia, ci che rende realmente umana una vita, e la nuda vita di tutto ci il presupposto nascosto.
La politicit delluomo qualcosa di aggiunto alla sua natura di essere vivente, ma questa aggiunta, o
congiunzione, non pu essere tematizzata in nessun modo. Di pi, la politicit delluomo, la sua vera
umanit, non ha nulla a che fare, n deve portare alcuna traccia, della sua animalit, ma anzi deve essere
da essa sempre ben distinta (come noto, nel passo della Politica cui fa riferimento Arendt, e che
Agamben cita in continuazione nel corso degli anni, Aristotele distingue la voce, contrassegno
dellessere in vita, e comune a tutti gli animali, al linguaggio come proprio delluomo, ed proprio il
linguaggio a fondare per luomo storia politica e tradizione).
E questo senso della nuda vita che Agamben prende e pone a punto di partenza delle sue ricerche
filosofico-politiche. Ci che in gioco, e tutto nello stesso tempo, non solo una analisi dei
meccanismi attraverso i quali la politica occidentale nasce originariamente come luogo in cui la vita
biologica catturata e nascosta, ma anche la critica alla fondamentale complicit tra politica e
metafisica:
La domanda: in che modo il vivente ha il linguaggio? corrisponde esattamente a quella: in che modo la
nuda vita abita la polis?. Il vivente ha il logos togliendo e conservando in esso la propria voce, cos come
esso abita la polis lasciando eccepire in essa la propria nuda vita. La politica si presenta allora come la
struttura in senso proprio fondamentale della metafisica occidentale, in quanto occupa la soglia in cui si

compie larticolazione fra il vivente e il logos. La politicizzazione della nuda vita il compito metafisico
per eccellenza 1

2. La nuda vita e i suoi abiti


Dunque il senso pi generale della formula nuda vita usata da Agamben ricalca la definizione classica,
diciamo pure arendtiana, della nuda vita come semplice esistenza biologica contrapposta alla vita
politicamente qualificata. Tale scissione sarebbe allopera sempre, in ogni ambito della nostra cultura, la
cui impresa principale consiste nel non lasciare alcuna traccia della sua pericolosa presenza. In questo
suo primo senso, pi ampio e originario, la nuda vita ha direttamente a che fare con loikonomia
(anchessa intesa nel senso arendtiano): nuda vita affare non politico, muto, biologico, legato alle
pratiche che presiedono alle necessit della sua cura e conservazione. Sono argomenti noti: a questo
livello esiste una circolarit, quasi una interscambiabilit, tra i concetti biologico-economico-vivente,
che rappresentano la sponda sulla quale si stagliano la politica e la metafisica occidentali.
Nelle ricerche di Homo Sacer e di Stato di Eccezione, per, la nuda vita, incrociandosi con Schmitt e
Benjamin, diventa un vero e proprio paradigma fondamentale, perdendo la sua connotazione
arendtiana e diventando, pi fortemente, il nome pi generale dei problemi che di volta in volta
Agamben affronta. Dovendo mostrare in tutti i suoi tentacoli la perniciosa e duratura alleanza tra
politica e metafisica occidentali, occorrer innanzitutto portare i termini su un unico campo di gioco,
sempre in bilico tra le due sponde: nuda vita diventa il nome metafisico che serve ad Agamben per
condurre le sue riflessioni alla loro dovuta altezza, mostrando la centralit del meccanismo
delleccezione e la sua portata, il suo essere il dispositivo originario della nostra tradizione.
Conosciamo la teoria di Schmitt: la possibilit del potere e della legge, la sua specifica forza, riposa nella
possibilit per il sovrano - inteso tanto come persona realmente esistente in un dato momento storico,
sia come luogo logico-giuridico - di tracciare sulla vita effettiva (cos la chiama Schmitt, cio la vita
presa in una sua ipotetica consistenza anomica) la normalit, cio il campo di applicabilit della legge
stessa: prima devessere stabilito lordine, solo allora ha un senso lordinamento giuridico, e sovrano
colui che decide in modo definitivo se questo stato di normalit regna davvero. Il sovrano agisce di
qua dal diritto, si muove in una esteriorit originaria, non riferibile, a partire dalla quale, tracciando una
linea, crea un fuori e un dentro, che costituisce la forza della legge. La possibilit che la legge si applichi ai
casi della vita riposa nel fatto che il sovrano, il diritto, ha marcato la vita, proprio nel senso col quale si potrebbe dire

G. Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita. Torino, Einaudi 1995. p.11 dellintroduzione.

ha stregato, e lha resa riferibile ad un campo di normalit. Ma chi il sovrano? Sovrano colui che pu
decidere lo stato di eccezione, cio colui che, nel caso estremo in cui un fatto della vita sia tale da non
poter essere ricondotto in nessun modo al diritto che la normalizza, pu sciogliere lordinamento
proclamando lo stato deccezione, attraverso il quale fronteggiare il pericolo, in nome - come dice
Schmitt - della conservazione dellordinamento stesso.
La connessione tra lo stato di eccezione schmittiano e loriginaria cattura della nuda vita nello spazio
politico evidente. La nuda vita, lanomia, dice Agamben, al contempo lorigine, il prodotto e la posta
in gioco della nostra tradizione politica. Ci che meno evidente che la vita di cui qui si comincia a
parlare non ha pi niente di vivente: non pi la nuda vita che cercavamo, con Arendt, di maneggiare
come traccia biologica della vita, ma diventa, nello stato deccezione eretto a fondamento, un
paradigma, un fantasma e quasi uno slogan: diventa quello che , cio un limite metafisico, oppure un
luogo logico. Allesposizione di tale luogo, sostiene Agamben, allo smascheramento del suo artificio
originario, legata la possibilit di revocare la nostra intera tradizione filosofico-politica, e la sua
millenaria oppressione.
La generalit che assume lidea di nuda vita, e la contiguit con molti altri discorsi in voga, primo fra
tutti la biopolitica e Foucault, ha fatto s che si facesse confusione. Senza dilungarci troppo, va detto qui
che - anche se Agamben stesso vi fa continuo riferimento, e spesso mischia le carte nulla pi
distante da questo senso paradigmatico e onnicomprensivo della nuda vita agambeniana, quanto la vita
governata di cui cerca di parlare Foucault nelle sue ricerche sulla governamentalit. Come ha mostrato
nei suoi corsi degli anni 78 e 79, il biopotere funziona proprio, e tanto pi a fondo, in quanto lavora
economicamente, dinamicamente, sulla vita degli individui proprio in quanto essa vissuta, non in quanto
pu anche essere nuda: cos come il potere funziona tanto meglio sul corpo vivente dei governati (li si
chiami o meno popolazione) che sul suo fantasma, allo stesso modo la vita che il biopotere gestisce non
sa nulla della sua interna scissione tra zoe e bios, ma splende di una unit e una scomponibilit che
finora solo il capitalismo stato capace di sfruttare.
La nuda vita diventa quindi con Agamben ad un tempo concetto-limite e materia dellagire politico; si
tratta di unimmagine, unidea, che alloccorrenza racconta i molto concreti avvenimenti della nostra
storia. Quando parla del campo come paradigma biopolitico della modernit, Agamben descrive
lucidamente la maniera in cui, negli ultimi secoli, e fedelmente a un patto millenario, il potere, mentre
dal lato secolare andava organizzando economicamente la propria presa sulla vita degli individui,
agiva parallelamente, su un livello di pi difficile estrazione, concentrando il suo carattere e le sue
maglie intorno alla nuda vita intesa metafisicamente: la biologizzazione del politico, di cui Foucault
cercava di tracciare i tratti generali alla met degli anni settanta, analizzata da Agamben come
4

fondamentale scelta di campo e orizzonte strategico, pi che come pratica. Lo stesso Homo Sacer,
lambigua figura giuridica che Agamben sceglie nel diritto romano per dar titolo alla sua opera,
rappresenta la condizione moderna delluomo, sul quale si disegna la doppia cattura della nostra
tradizione politico-metafisica (lesposizione, in quanto corpo vivente, alla morte - ma anche alla paura,
al mutuo, al lavoro, alla noia e in quanto corpo politico alla presa del potere sovrano), ma con una
intensit tale che, a differenza forse di ogni epoca precedente, i confini tra esposizione alla morte e
esposizione al potere sovrano si sovrappongono perfettamente, mentre la relazione stessa con tale
duplice cattura inservibile, perch coestensiva allo stesso essere-in-vita.

3. oikonomia
Nellultimo libro del cantiere Homo Sacer, uscito nel 2007, la nuda vita, lo abbiamo detto, perde la sua
centralit. Il libro propone una genealogia teologica delleconomia e del governo, e, in sintonia col
metodo agambeniano, ricostruisce, attraverso una mole di fonti e riferimenti enorme, le peripezie di
quella doppia struttura della nostra tradizione politica che Agamben ci aveva raccontato nelle
precedenti ricerche. Con un passo in avanti fondamentale.
Nelle ricerche sulla sovranit il luogo dellindagine era quello politico-metafisico dello stato di
eccezione: la pinza in cui era stretta la riflessione portava i nomi nuda vita/politica, anomia/diritto,
e il luogo dellarticolazione era, metafisicamente parlando, uno spazio vuoto:
Ci che larca del potere contiene al suo centro lo stato di eccezione ma questo essenzialmente uno
spazio vuoto, in cui unazione umana senza rapporto col diritto ha di fronte una norma senza rapporto
con la vita. () Ma se possibile provarsi ad arrestare la macchina, esibirne la finzione centrale, ci
perch fra la vita e la norma non vi alcuna articolazione sostanziale. () Esibire il diritto nella sua nonrelazione alla vita e la vita nella sua non-relazione al diritto significa aprire fra di essi uno spazio per
lazione umana, che un tempo rivendicava per s il nome di politica 2 .

In Il Regno e la Gloria Agamben sposta lasse del discorso dal meccanismo delleccezione sovrana a
quello dellarticolazione economica tra Regno e Governo. La storia della politica occidentale, dice
Agamben, risulta dal gioco incessante tra due paradigmi, eterogenei e irriducibili: da una parte

G. Agamben, Stato di eccezione, Torino, Bollati Boringhieri 2003. pp. 110-112. La filosofia che viene di Agamben ha
appunto a che fare con la possibilit di un pensiero e di unetica che spodesta lo stato deccezione e procede in una reale,
vivente indistinzione tra nuda vita e politica. Si tratta di un tema che nelle prime ricerche agambeniane era quello della voce
umana (cfr. in particolare G. Agamben, Infanzia e storia, Torino, Einaudi 1978, e Il linguaggio e la morte, Torino, Einaudi
1982.).

leconomia, cio laspetto esecutivo, amministrativo del potere, nel suo essere un ordine immanente,
non epistemico degli affari del mondo, dallaltra la politica in senso stretto, il potere nel suo aspetto
trascendente e rituale, la legge, la sovranit. Ci che la nostra epoca ha mostrato abbondantemente,
e che le analisi di Foucault avevano descritto per tempo, che, nellesistenza del potere e di ogni spazio
politico, centrale non tanto la legge, quanto il suo effettuarsi. Il Governo, che pure sempre stato
considerato una derivazione della sovranit, cio del Regno, in realt la sua condizione: solo perch
esiste leconomia attraverso la quale si d, storicamente, una presa della legge sui casi della vita, solo
grazie a questo la legge e la sovranit possono avere senso. Vero mistero del potere non la sovranit e
il suo fondamento nascosto, ma levidenza delleconomia, la semplice ricorsivit attraverso la quale
esiste unordine immanente alla vita, che alla luce del sole la gestisce e la trattiene in una tradizione di
assoggettamento.
Lelemento mistico intorno al quale si gioca la gigantomachia della vita e della sovranit tenuto
insieme da tutti quegli apparati, dalla burocrazia alle questure ai supermercati, in cui la vita e la legge si
incontrano per davvero. Lo spazio vuoto tra la casa e la citt, tra la vita curata e amministrata e la vita
politicamente qualificata o soggiogata, non uno spazio vuoto, ma economia. Come Agamben conclude in uno dei
passi pi densi del libro: Il vero problema, larcano centrale della politica non la sovranit, ma il
governo, non Dio, ma langelo, non il re, ma il ministro, non la legge, ma la polizia ovvero, la
macchina governamentale che essi formano e mantengono in movimento 3 .

5. Una vita ancora pi nuda


Abbiamo finora isolato due modi in cui Agamben usa il concetto di nuda vita, che alla fine sono uno la
diretta conseguenza dellaltro. Il primo e pi generico quello arendtiano di vita biologica, la scissione
originaria tra la casa e la citt, tra la vita nuda e quella politicamente qualificata; il secondo la
trasformazione della vita biologica in un fantasma, uno spazio operativo che fa da base alleccezione
sovrana-metafisica e ne inaugura le sorti. C per un altro significato forte di nuda vita, che Agamben
lascia scorrere qua e l nelle sue riflessioni, e che a tratti sembra essere il vero problema di cui vorrebbe
parlarci. Cerchiamo di tracciarne i contorni velocemente. Un passo aristotelico cui Agamben ricorre
spesso, oltre a quello gi citato della Politica, quello in cui, nel De Anima, con un gesto parallelo a
quello col quale nella Politica distingue luomo dagli altri viventi, Aristotele si trova a distinguere il
vivente dal non vivente. Lanimato, ci che porta in s il principio della vita, si distingue dallinanimato

G. Agamben Il Regno e la Gloria, Vicenza, Neri Pozza 2007, p. 303.

per il fatto di vivere. Per vivere si dice in molti modi, dice Aristotele: vive un vegetale, un pensiero,
unaffezione, un movimento e cos via. Cos Aristotele isola una facolt minima comune a tutti i viventi,
senza la quale non si pu dire che essi vivano: la facolt nutritiva. Come osserva Agamben, e Heidegger
prima di lui, non c qui alcuna definizione della vita o del suo principio: Aristotele pu solo isolare un
minimo comun denominatore, un minimo di vita, un appena pi che vita, una vita che gi in qualche
modo la vita biologica, la nuda vita intesa come vita biologica, che ritroviamo nella definizione
delluomo. Come se, appunto, non fosse possibile pensare la vita al di qua dal suo commercio col
mondo, le sue facolt, la sua consistenza economica. Ancora di pi, come se non fosse possibile
pensare la vita al di l della sua ipoteca antropomorfa, di cui la scelta della facolt nutritiva rappresenta il
dazio, la stessa ipoteca che definisce luomo come animalit pi linguaggio senza poter tematizzare n
luno n laltro. Perch, anche se non sapremmo proseguire, proprio cos come dice Aristotele: anche
una pianta vive, anche un pensiero, unaffezione
Ora, la filosofia di Agamben costellata di figure, veri e propri personaggi, che cercano di render
testimonianza di una possibile forma di vita che partecipi di una vita-limite di l dal suo commercio col
mondo, di l da ogni sua consistenza biologica. Il musulmano dei campi di sterminio, di cui parla in uno
dei suoi libri pi discussi, ne lesempio. Ma anche la figura del malinconico, o la ripresa della
trattazione heideggeriana della noia come stato danimo fondamentale che interrompendo il contatto
immediato tra luomo e il suo mondo mostra laperto di cui custode. Agamben arriva a dire che il
musulmano, lopacit inattingibile che il musulmano incastra al centro della logica mortifera del campo,
rappresenta forse una forma inaudita di resistenza, proprio perch la sua esistenza muove di l sia
dalla presa sulla vita che dalleconomia di morte che il campo, avamposto della nostra tradizione
politica, istituisce.
Come andrebbe pensata una nuda vita completamente non riferibile e impersonale? Come assenza di
mondo tout-court, come non-vita? Come il luogo in cui il soggetto classico assiste al suo dissesto,
scopre limpersonalit della vita come ci che ha di pi proprio? Agamben non lo dice mai
direttamente, esponendosi alle critiche pi feroci. Certo che se loriginaria natura irriducibilmente
economica della vita il primo segno del suo destino di oppressione, o anche solo della sua
catalogazione metafisica, nascosta e funzionante, ogni forma di conflitto che la vita possa muovere
passer anche dalla sua capacit di trattenere il fiato, di interrompere per un attimo il suo inesorabile
commercio.

5. Conclusione
Dunque, di nuovo, la nuda vita propriamente qualcosa? E se s, come dovrebbe essere intesa? Finch
se ne parla, davvero la nuda vita sembra essere una possibile natura originaria, liscia, integra della vita
delluomo, sulla quale interviene, ad un certo punto, lincantesimo maligno del linguaggio e della
politica. Macchina biopolitica, macchina antropologica, sono i nomi che Agamben d ai progetti che,
rinnovando il patto col meccanismo eccettivo che fonda la nostra cultura, mantengono in moto
larticolazione e lassoggettamento del vivente nelle parole e nella politica che abbiamo. Per questo la
filosofia che viene, dice Agamben, ha a che fare con il lavoro paziente che ovunque riconosce e
disarticola quello che la nostra tradizione filosofica ha preteso unire, nascondendone lo iato centrale.
Questo il grande telos di Agamben. In questo modo, seguendo le sue parole, ad ogni riorganizzazione
della legge sul corpo vivo delluomo, corrisponderebbe la possibilit di un Ingovernabile (sic) che
rappresenta ad un tempo la posta in gioco e lo spazio di intervento della legge, quanto la bandiera degli
oppressi, lo scoglio sul quale si ricompone la loro estraneit alla presa di questo potere e di questo
linguaggio. Dunque esiste un ingovernabile, una sostanza vivente che non ha nulla a che fare col suo
riferimento alla legge o alleconomia che la gestisce? Bisognerebbe saperlo. Leterogeneit di vivente e
politica, vivente e linguaggio, oikos e polis, rappresentano la speranza e la garanzia che un giorno tutto
questo finir.
Se non ci si accontenta di questa speranza, occorre fare attenzione ed indagare il significato della
centralit concettuale che nellultimo Agamben loikonomia assume davanti alla nuda vita. Provare a
percorrere lo spazio vuoto tra la casa e la citt pensandolo metafisicamente - come fosse uno spazio
veramente vuoto, diverso dal percorrerlo accorgendosi che tale spazio in effetti vuoto solo per le
lenti troppo spesse del metafisico, mentre invero il luogo concreto e misterioso in cui si organizza e
spende una vita, coi cento dispositivi che, mentre la nutrono, la stringono in un destino inafferrabile.
Una vita che non porta alcun segno n della sua nudit sacrificata, n di quella da riconquistare.
Alla fine di Stato di Eccezione Agamben scrive:
Non vi sono, prima, la vita come dato biologico naturale e lanomia come stato di natura e, poi, la loro
implicazione nel diritto attraverso lo stato di eccezione. Al contrario, la stessa possibilit di distinguere vita
e diritto, anomia e nomos coincide con la loro articolazione nella macchina biopolitica. La nuda vita un
prodotto della macchina e non qualcosa che preesiste ad essa. 4

G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p.112.

La possibilit di disattivare la macchina governamentale ( questo, nientemeno, il punto) legata alla


necessit di mostrarne il vuoto centrale, la finzione della sua origine. Essa non pu tendere al ripristino
di una posizione originaria, che risulterebbe altrettanto fittizia del suo nascondimento nella macchina, e
che, soprattutto, non esiste. La ricerca iniziata rivendicando il ruolo centrale che la nuda vita ha nella
nostra politica non ha come contenuto la sua emancipazione, ma la destituzione della tradizione che,
trattenendo la nuda vita in una eccezione, ne ha prodotto il mito.
C un risvolto molto concreto del lavoro che Agamben svolge intorno al problema della nuda vita. A
studiare i lavori del cantiere Homo Sacer si vede bene che, tra continue oscillazioni e temibili peripezie
filologiche, Agamben vuol mostrare fino in fondo come, nel suo essere il paradigma fondamentale della
nostra tradizione filosofica e politica, la nuda vita non esiste. Lapparente opposizione tra nuda vita e
politica, tra casa e citt, non che il trucco attraverso il quale, cercando continuamente le tracce di una
cesura alla quale non abbiamo accesso, possiamo continuare a non fare uso della loro effettiva
indistinzione, e restare, prendendo tutto molto sul serio, nel miraggio di una condizione ulteriore che
sar sempre dellavvenire, come il famoso sole, e davanti alla quale non possiamo che esitare. La fatica
di Agamben, il suo ingombrante telos, si concentra intorno alla possibilit di una filosofia che viene di
l dallo scacco che leccezione della nuda vita gli ha durevolmente teso. Con lei, detto esplicitamente,
smetterebbe di esistere ogni tentativo filosofico che cerca di isolare (attraverso la lente, pi o meno
consapevolmente utilizzata, della vita umana), un possibile limite o grado zero della vita, o
dellontologia come se in esso si esponesse un punto filosofico, lultimo, che sempre anche il primo.
La nuda vita (o il problema che con tale formula Agamben rintraccia e decodifica) non esiste, ma esiste,
e non smette di funzionare, la macchina che ne produce il mito e fa s che essa appaia di volta in volta
effettivamente come qualcosa; macchina che a ben vedere funziona pi come un sortilegio che come
una macchina vera e propria. Il fatto che ancora possiamo insistere su questo problema, ritrovandocelo,
secondo il vecchio meccanismo, sempre di nuovo davanti, mostra che, contrariamente a quanto
avevamo sperato, alla filosofia ancora non basta risalire un arcano, ed esibirne il vuoto centrale, perch
lincantesimo che la trattiene smetta di funzionare.

Per una cura dellhabitat


Pensieri sulleconomia e sullimperativo della crescita

di Stefano Maschietti
A Ste, Giggio e a xx

Augusta e pontefice la nostra civilit vuole crescere. Lo vuole tanto nelle forme di governo autoritarie
(Cina), quanto nelle pi diluite e democratiche governances (EU, USA). Lo vuole avendo incorporato il
senso creazionistico della tradizione religiosa che lha unificata e globalizzata. Lo vuole perch, ora che
il disincanto, la relativizzazione dei valori e la dissoluzione dei criteri di distinzione assiologica tra i
diversi mondi della vita hanno reso quello economico il solo ordine integralmente pervasivo del vivere
stesso, limperativo della crescita resta lunica coazione organica dei comportamenti di massa 1 .
Parlare in termini di decrescita o di diverso crescere, e tentare di farlo in prospettiva realistica, impresa
ardua, perch mai un ultimo dogma stato cos restio a cedere alla critica, quanto quello dominante un
contesto di vita, leconomia, che si rivelato onnipervasivo proprio perch capace di relativizzare ogni
fattore transitante sul suo territorio semantico.
Leconomia, intesa come allocazione calcolata delle risorse disponibili in un contesto di scarsit
percepita, funzionalizza ogni evento a fattore del ciclo di produzione e consumo. Lasse di rotazione
dellorizzonte economico, un piano inclinato come meglio vedremo, il valore di scambio, la moneta,
rispetto al quale ogni utile un convertibile. Proprio perch niente nel dominio delleconomia ha valore di
principio non negoziabile, non mercificabile, proprio per tale assenza di fondamenti luniverso
economico e la sua autocoscienza non tollerano, inconsapevole paradosso questultimo, che sia messo
in discussione il loro motore immobile.
questo il fattore della crescita, misurato quantitativamente come PIL, il valore complessivamente
monetizzabile dei beni e dei servizi prodotti allinterno di unarea o di un paese. Parlare in termini di

1 Laggettivo augusto deriva dal verbo latino augeo, a sua volta dal greco auxo, nel senso dellaccrescere e dellinnalzare. Lo
leggiamo ad esempio nel seguente passo paolino: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio che ha fatto crescere (1 Cor
3,6). Nietzsche, che pur afferma: la vita stessa per me istinto di crescita, di durata, teso ad unaccumulazione di forze, alla
potenza (Lanticristo [1888], 6), di seguito coglie nel cristianesimo solo la per lui nichilistica e deprimente vocazione
compassionevole ( 7). Il retroterra dellaccezione nietzschiana di vita in SPINOZA, Ethica, III, propp. 6-13. Quanto al
creare, deriva dal greco kraino, cui legato anche il nome krnos.

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decrescita come parlare di ateismo allinterno di una comunit esternamente tollerante, ma


incoffessatamente integralista 2 .
Il lato oscuro della crescita, vale a dire la progressiva e inesorabile distruzione delle risorse necessarie
alla conservazione della vita e dellequilibrio della biosfera, lospite ingrato, per riprendere
lespressione cara a Nietzsche, della dimensione economica. Nella sua incontenibile capacit espansiva
loikonomia ha abbattuto i muri della casa, ha dilatato le norme volte a conservare la divisione tra spazio
interno, domestico, della ri-produzione, e spazio esterno dello scambio, fino a far coincidere la
dimensione delloikos con quella globale delle aree di cosiddetta libera transazione. Leconomia globale
transfrontaliera e interdipendente, cosmopolita in un senso eticamente opposto al nesso che gli
stoici aveveno immaginato potesse darsi tra la situazione delloikiosis individuale da una parte e quella
interrelata della kosmopolita generale dallaltra 3 .
Leconomia preglobale, con il che non intendiamo uneconomia meno evoluta o, ancor peggio,
uneconomia incontaminata (che semplicemente un parto scialbo dellimmaginario religioso), (stata)
quella che ha cercato di conservare lhabitat ancor pi che il valore di scambio, quale asse portante delle
attivit di ri-produzione e di transazione. In ci coadiuvato da un fervido immaginario religioso e
dallimplicita organizzazione degli spazi sociali relativi, come ha ben evidenziato Vernant 4 .
Secondo il grande studioso francese, i numi tutelari della dimensione domestica ed economica sono da
individuare nella coppia Hermes/Hestia. Hermes charidts, amante degli spostamenti in spazi aperti,
promotore dello scambio, forza centrifuga. Hestia, raccolta nellintimit di un sacro focolare, fuoco che
si conserva mettendo(si) al riparo dal suo stesso mutare e fluire, forza centripeta ed equilibrante la
prima. Hestia, apparentemente immobile, in realt artefice dello spostamento e dello scambio che
stabilizza, rende feconda la dimora dello sposo nel grembo della consorte, principio dordine e di
ragionevole generazione. Hestia chiude per riaprire il cerchio domestico e familiare delloikonomia. Lo
dice il verbo hesti, riferibile tanto allospite che si riceve nel focolare, intorno alla propria tavola,
quanto al supplice che si integra, condividendo con lui il pasto, in un nucleo di familiarit e di intimit,
strappandolo alla condizione di straniero. Anche leconomia pregobale razionalizzazione, attenta per
al misterioso ricettacolo in cui la vita, delicatamente, prende forma e si continua.

Cfr. S.LATOUCHE, La scommessa della decrescita, tr. it di M. Schianchi, Milano 2006, p. 11, da cui ho tratto alcune suggestioni
pur non seguendo il realismo solo altalenante della sua impostazione. Cfr. cap. 2 sulla questione del prodotto interno lordo
(PIL). Cfr. anche la n. 40 dellintroduzione, per una semantica comparata, nelle lingue moderne, della parola dcroissance.
3 Loikiosis , nelletica stoica (ben nota anche a Spinoza), la capacit degli esseri viventi di conservare s stessi e realizzarsi
tendendo ad un rapporto di armonia con lordine del mondo, cui si risulta appropriati sulla base di una synaesthesis, una
percezione interna di s.
4 Cfr. J.-P.VERNANT, Hestia-Hermes.Sullespressione religiosa dello spazio e del movimento presso i Greci (1963), in Mito e pensiero presso i
Greci, Torino 2001, pp. 155-69.
2

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Bisogna quindi riprendere ad indagare il nesso profondo che si d, o si pu scorgere, tra la vita da una
parte, intesa come capacit di ricevere, ri-produrre e restituire, e dallaltra leconomia, intesa come il
tessuto infrastrutturale del vivere stesso. E bisogna provare a partire proprio da una nozione economica
del vivente.
Cosa sia il vivere possiamo, noi viventi dotati di coscienza, intuirlo, ma non ridurlo e riprodurlo
concettualmente, perch latto di vivere presupposto dallo stesso tentativo di obiettivarlo in una
definizione: il vivere il presupposto non riducibile allatto definitorio che il vivente rende possibile,
sottraendosi alla sua presa concettuale e residuando quindi in unequivoca marginalit.
Con riferimento alla teoria degli insiemi e alla sua connatuarata incompletezza, potremmo indicare nel
vivere la capacit di costituire domini, ripetto ai quali la vita , al contempo, grazie alla sua capacit
linguistico-performativa, tanto elemento incluso, quanto principio residuante il dominio stesso.
La vita capacit di costituire domini in un contesto aperto, molteplice e ricettivo di opportunit date.
In questo senso la vita, in quanto equivoca e residua marginalit dei domini costituiti, habitat. La vita
ha, possiede, in quanto riceve, in quanto irriducibile ricettacolo del materiale organico che si trasforma
in movimento, produzione e psichichismo. La vita va allora intesa intorno allasse differenziale della
coppia concettuale e aporetica di materia e massa.
La materia il limite ideale del semplice e naturale darsi di una molteplicit di punti-evento non
riducibili ad un ordine unitario, ad un cosmo retto da s stesso o da un dio. La materia il caso limite,
inattingibile e sempre differito dalla vita, di una pura e simultanea spazialit degli eventi, il momento di
scomposizione ultima dei fattori costitutivi di tutto ci che accade. Ma anche, di converso, il punto di
origine (mater), il limite delleventuale ordinamento (da orior, nascere) del vivente stesso.
Rispetto a questo secondo punto, la massa la quantit di energia ricevuta materialmente e passibile
di trasformazione organica o artificiale. Sappiamo ora, in virt della seconda legge della termodinamica,
che nel processo di conversione della massa potenziale in movimento e lavoro effettivo, parte
dellenergia viene uniformenente dispersa sotto forma di calore, non a sua volta riconvertibile in energia
organizzata. tale la naturale tendenza alla caoticit del potenziale energetico che sostiene la vita, la
tendenza ad una inesorabile e non reversibile situazione di entropia, quella che segna la fine del tempo
fisico e lideale risoluzione di ci che ad elemento informe di una materia ultima, pura e pulviscolare,
eterna. E cos torniamo circolarmente al primo punto, alla nozione ideale di materia.
Riassumendo i termini della questione possiamo, in prospettiva bioenergetica, definire la vita come la
capacit di contrastare l'entropia mantenendo l'omeostasi in un ambiente interno ben distinto
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dall'universo esterno. La vita quindi, spazialmente parlando, tensione, spanna (Spannung), espansione:
dellinterno nellesterno (produzione), e dellesterno nellinterno (immaginazione, riproduzione creativa).
La vita inoltre, temporalmente parlando, differimento dellentropia, divisione, distribuzione ed
organizzazione nel tempo: temnein, da cui il suo essere habitat, il suo essere tmenos.
La vita si distende, ricevendosi dalla propria irriducibile base organica, nello spaziotempo delle sue
formazioni. La vita si muove, pro-duce avanzando e crescendo, soggetta alle costanti inesorabili del
movimento, la velocit e laccelerazione. La vita endogena capacit di dare movimento al corpo, senza
averlo ricevuto effettivamente da altro, ma solo imprimendolo alla base organica da cui ne riceve le
potenzialit.
La vita intrinseca al movimento della natura e delle sue basi organiche, il suo stesso essere ricezione
modificazione sensibile, quindi interno movimento. La vita partecipa della stessa aporeticit del
movimento, dato intuitivo del vivere e non concettualizzabile se non attraverso la paradossale
immobilizzazione delle sue fasi.
La vita infatti la potenzialit del movimento, la sua vis, la sua forza, la sua organica energheia. Le sue
membra, gli organi, sono veicolo per la trasmissione di forze. E se il movimento passaggio dalla
potenza allatto, la vita la capacit stessa di questo inafferrabile e aporetico passare. Non infatti latto
di per s a render possibile il passaggio dalla potenza allatto, perch latto perfetto e quindi gi
compiuto, mentre il passaggio sempre sul punto di compiersi, e non mai mera possibilit.
allora il passaggio una forma di potenza attiva? Ma cosa significa tale ossimoro se non
linafferrabilit concettuale di quel dato intuitivo che diciamo il movimento (del vivente)? Una potenza
attiva una potenza che non (pi) possibilit pura, ma neanche (gi) atto compiuto. Cosa significa
quindi il sintagma potenza attiva, se non la messa in moto di un progresso ad infinitum, quello del
movimento intuibile ma non concettualmente fissabile?
Lo stesso si ricava e si riceve se al dato intuitivo del movimento si d il nome complementare a quello
della potenza attiva. questo il nome dellatto imperfetto. Il movimento un atto imperfetto. E cosa
significa tale nuovo sintagma, se non la messa in moto di unennesima aporia, quella per cui il
movimento un atto che non atto, visto che latto sempre compiuto e perfetto, quindi giammai
imperfetto, mentre un atto imperfetto dice appunto di un perfetto (latto) che non appunto tale, atto
(perfetto)?
Se quindi la potenzialit della vita dei mortali una tendenza alla realizzazione di s che non si mai
compiutamente data come tale, possiamo dire, in ultima istanza, che linterno/esterno della vita
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intessuto di virtualit. E cos la virtualit se non la condensazione semantica, in una parola oramai
corrente e inflazionata, dellimpossibilit di definire la vita e il relativo movimento intuitivo e intuibile?
In effetti non c niente di pi reale, oggi che il mondo si desostanzializzato a realt effettiva e a
fondaco di risorse disponibili alluso, di ci che diciamo virtuale. E non solo perch, per fare un banale
esempio, la banca (dati e valori) virtuale, quella on-line, pi effettiva ed accessibile di quella che la
nostra superstizione ha bisogno di rappresentarsi in blocchi di cemento armato (dentro i quali non si
trovano pi n i valori, n, tantomeno, i dati), ma perch il virtuale il terreno di coltura delleconomia,
che oggi , ancor prima che produzione di beni, induzione al bisogno delleffimero attraverso la
pubblicit e le potenze dellimmaginario collettivo.
Ancor prima che nelle sentenze di Nietzsche allora nei presupposti dellontologia aristotelica che
possiamo scorgere come la vita, nella sua forma pi intuitiva ed elementare, sia volont di potenza,
volont di vita, secondo un ritmo circolare nel quale la massa potenziale il punto di partenza e la materia
possibile il punto di arrivo di una dinamica sistemica che ha come sfondo oscuro la tendenza entropica
della forze naturali 5 .
Leconomia linfrastrutturazione senza termine ultimo di questo movimento circolare della vita:
linsieme di tecniche volte a divaricare il punto di partenza e quello di arrivo del circolo, volte a differire
il momento del loro inesorabile reincontro.
In termini economici la vita si d storicamente nellordine della natura, secondo i due sensi di questo
genitivo equivoco: la vita capacit di dare ordine (ordinamento) alla natura, quindi di generare,
trasformare e produrre i suoi spazitempi, accellerandone i relativi processi; ovvero la vita soggetta
allordine che la natura le impone, dis-ordinata attraverso effetti di rimbalzo (rebound effects), nel
momento in cui controtendenze inesorabili spingono la vita e la relativa energia nei gorghi del caos e
dellentropia 6 .

Non ora il caso di tentare una ricognizione storica della terminologia e del problema qui appena toccato. Essenziale
sarebbe un riferimento, oltre che ad Aristotele, anche a Leibniz (e a Suarez). I principali due autori erano certo noti a
Bergson, di cui tornerebbe utile tornare a leggere alcune parti della Evoluzione creatrice (1907). Qui rinvio solo ad un suo
breve saggio, molto fortunato tra i filosofi della successiva generazione, Il possibile e il reale (1930), in La pense et le mouvant
(1938), tr. it. di F. Sforza, Milano 2000, pp. 83-97, dove il tempo detto ci che impedisce che tutto sia dato in un colpo
solo. Esso ritarda o piuttosto ritardo, cio lindeterminazione stessa nelle cose (p. 85), e dove il possibile non altro
che il reale con, in pi, un atto dello spirito che ne rigetta limmagine nel passato una volta che questo si prodotto (p. 92).
Come a dire che il possibile il reale differito, ritardato. Si noti che la traduzione italiana pi pertinente di mouvant (il
movente, il mobile, il non stabile), potrebbe essere il movente(si).
6 Di rebound effects, altrimenti detti paradosso di Jevons, ne illustra molteplici, nella pars destruens del suo libro (la pi
facilmente condivisibile), S.LATOUCHE, op. cit., p. 33.
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In quanto leconomia la strumentazione, linfrastruttura amplificante la naturale tendenza della vita ad


espandersi, essa lattivit di estensione e proiezione del governo della casa a quello dellintero orbe
terracqueo. Leconomia, orizzonte inclinato ed onnipervasivo delle dimensioni del vivere, per
definizione globale e per naturale inclinazione gerachizzante, costituente domini articolati secondo il
rimando senza termine ultimo tra mezzi e scopi. Leconomia amministra il movimento espansivo della
vita e vi imprime ogni reperibile accelerazione produttiva: dinamismo, flessibilit e velocit sono le
direttrici fondamentali del dogma della crescita.
Velocit e accelerazione voglion dire rapporto tra spazio e tempo. In quanto pure grandezze intuitive
dotate di indistinta e illimitata continuit potenziale, spazio e tempo necessitano di essere misurati. la
vita in quanto mente a dare allo spazio abitabile ununit di misura (mensura) utile ad ordinare nel tempo i
processi produttivi. Serve un numero, un convenzionale nomos, che appropri, nomini e segni lo
spaziotempo, per immobilizzarvi gli istanti del processo. Il valore di scambio, la moneta, il convenuto
adatto a tale scopo, ci che conviene, nello spazio-tempo, a stringere i nodi strutturali del processo
produttivo della vita.
La moneta un indicatore del tempo, serve ad accelerare i processi di scambio in quanto astrae il
tempo da una situazione circoscritta ad un mondo vissuto, quindi lo incorpora, il tempo, in unit di
misura e conversione tra produzioni lontane nello spazio. La moneta il segno che istituisce la drastica
frattura gerarchica, nello spazio-tempo, tra i fattori del ciclo economico, disponendoli su di un piano
inclinato, dove impossibile star fermi o chiamarsi fuori dal gioco o giogo di forze. Perch?
Perch il capitale viaggia, volatilizzandosi (ora nei cyberspazi della tecnofinanza), a velocit difficilmente
sostenibili dalla mobilit del lavoro. Questo, nelle sue forme di base, ad alta intensit di manodopera,
ancorato a terra e costringe il lavoratore ad una sfiancante rincorsa del capitale, che appunto sinnalza
attraverso il cielo virtuale della rete, non per divenire astratto, si badi, bens per concretizzare la
premessa critica della crescita stessa, vale a dire labbattimento dei costi di produzione e la messa in
concorrenza delle relative forze lavoro a bassa qualificazione.
da questo dato che occorre partire se si vuole provare a reimpostare un discorso realistico sui destini
delleconomia, tenendo conto anche degli anelli pi deboli della catena, ovvero i due fattori energetici:
a) del lavoro umano prestato; b) delle risorse ambientali sfruttate senza cura n lungimiranza. Del resto,
economia ed ecologia, stando almeno al corpo verbale dei due termini, dovrebbero voler dire lo stesso.
Chiediamoci quindi, come spesso si fa nel dibattito corrente di cui leggiamo i rapporti sui giornali e sul
web, se la globalizzazione, vale a dire lestensione del regime di interdipendenza tra le diverse regioni
della produzione mondiale sotto legida dellorganizzazione mondiale del commercio (WTO), sia un
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insieme di processi che: a) emancipa la forza lavoro del pianeta; b) conserva e rigenera le risorse
energetiche in esso disponibili. Si tratta di due domande strettamente correlate.
Circa la risposta alla seconda tutti, anche chi governa senza tener in alcun conto i relativi rischi, sono
daccordo: se larea del quasi benessere si estendesse, come sta di fatti avvenendo, fino ad includere nel
modello di consumo euroamericano la popolazione di subcontinenti quali lIndia, la Cina, il Brasile,
limpatto ambientale dovuto allimpiego inquinante della principale ed irrinunciabile fonte di energia, i
combustibili fossili (petrolio e carbone), risulterebbe insostenibile per la biosfera del pianeta, soffocata
in un effetto serra incendiario.
Del resto, un segnale indiretto di tale processo, sebbene equivocamente interpretato come meglio
vedremo oltre, quello della spirale inflazionistica che oggi accompagna la crescita delleconomia
produttiva e della domanda interna di beni di consumo nei paesi emergenti.
Un segnale non univoco questo, perch noi esponenti delle classi medie europee percepiamo il
fenomeno in termini di scarsit e rischio dimpoverimento, senza tener conto dellaltro suo aspetto,
ovvero che la crescita dei prezzi dei beni primari, quali energia e derrate alimentari, una barriera che
parzialmente difende le aree a maggiore benessere, mentre precipita nella disperazione quei paesi il cui
reddito personale per circa l80% (contro il nostro 20%) destinato ai consumi di prima necessit, e
risulta sismicamente sensibile alle minime oscillazioni del prezzo del riso o del mais alla borsa di
Chicago. Noi tagliamo il bilancio familiare, altrove, in Africa e in Asia, si cerca di assaltare i forni e i
silos. O si emigra, che lunico modo per oltrepassare la barriera protezionista con cui USA ed EU
hanno recintato le rispettive agricolture, facendo dei loro non pi competitivi contadini i difensori del
suolo, sovvenzionati del welfare.
Possiamo ora provare ad affrontare il primo punto, che pi controverso perch interamente partecipe
dellambiguit percettiva cui sopra abbiamo accennato. La globalizzazione emancipa la forza lavoro?
Tale domanda assilla le nostre speranze da quando i sogni dellideologia sono sfumati con il definitivo
tramonto del comunismo, al termine di un processo economico inaugurato dalla Cina della met degli
anni 70 con le politiche di accumulo individuale benedette da Deng.
Ora che lunico sistema economico imperante quello a minor tasso di ideologismo, vale a dire la libera
economia di mercato finalizzata al profitto (amica del relativismo culturale di cui abbiamo detto sopra,
ma anche del welfare e della redistribuzione), restano le cifre statistiche e il loro uso prospettico ad aprire
panoramiche sul mondo. Da quando, circa 15 anni or sono, il WTO diventato il principale motore
dellallargamento delle aree di libero scambio, alcuni calcolano che circa 500 milioni di famiglie nel
mondo sono risalite al di qua della soglia che definisce la povert massima.
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Questo dato quantitativamente positivo va letto a riscontro di un altro su cui anche i pi accesi
sostenitori della globalizzazione e della liberalizzazione dei fattori produttivi sono daccordo: nellultimo
quindicennio la polarizzazione della ricchezza mondiale si drammaticamente accentuata, spingendo
persino molti esponenti delle classi medie dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo, vicino a
quelle soglie di povert da cui si sono parzialmente emancipati alcuni lavoratori a basso costo delle aree
in via di impetuoso sviluppo.
un processo inevitabile la polarizzazione della ricchezza? In certo qual modo s, ed il motivo la
diversa e sproporzionata velocit con cui viaggiano, sul piano inclinato tra cielo e terra, il capitale da una
parte, e lesercito di riserva della forza lavoro dallaltra. Diciamo intanto che la polarizzazione un
tipico processo che, nelle economie preindustriali, accompagnava il tendenziale aumento della
popolazione. Gli storici lo documentano con sufficiente approssimazione per i periodi 1250-1350 e
1550-1650 7 .
Nelle economie industriali, invece, non solo laumento della popolazione a mettere in moto la
dinamica, quanto laumento della popolazione inclusa nellarea del benessere, ovvero quella che lavora
in aree in cui cresce anche la domanda interna di prodotti finiti, aree quindi non pi sottosviluppate e
solo costrette allesportazione delle proprie risorse di base. Quando si d, come oggi nei tre
subcontinenti, tale positivo processo, nel quale laccumulo si accompagna anche a forme di globale
redistribuzione del reddito, ecco che il capitale si mette in moto impetuoso.
Poich laumento del benessere comporta il rischio dellinflazione, intollerabile in economie
iperconsumiste di effimero come quella occidentale, necessario abbassare i costi di produzione. E
visto che i costi delle materie prime in tempi di accumulo e redistribuzone crescono, bisogna operare
sulla leva del lavoro, automatizzando e cercandone altrettanto a bassa qualificazione e a basso costo 8 .
tale lo scenario in cui ci muoviamo da quando crollato il comunismo. Svaniti i sogni degli
intellettuali organici il momento questo di considerare un paradosso che ha accompagnato il ciclo del
benessere occidentale delle aristocrazie operaie, il cui massimo risultato culturale stato il welfare state. A
ben vedere, ci che dal dopoguerra fino agli anni ottanta ha reso possibile un dignitoso tasso di

Cfr. C.M.CIPOLLA, Storia economica dellEuropa preindustriale, Bologna 1980, pp. 221 e sgg. La dinamica ruota intorno al punto
dellaumento della popolazione, che causa dellaumento dei prezzi della terra, fonte della ricchezza per chi ci ricava una
rendita, fonte di sostentamento per chi aspira, a costi sempre maggiori, coltivarla. Per il rentier diventa cos pi conveniente
speculare che investire in attivit produttive, mentre il lavoratore non riesce ad entrare nel ciclo del benessere. Lesito di
questo avvitamento poi lalta mortalit e il decremento demografico.
8 In epoca protocapitalista tale fine era quello perseguito dal cosiddetto mercante imprenditore, che acquistava materia
prima da far lavorare, non pi nei centri urbani condizionati dai vincoli (anche salariali) corporativi, bens nei piccoli centri o
in campagna, dove si trovava mano dopera sostitutiva a minor costo, una volta fornita di un telaio.
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redistribuzione del reddito nellarea dei paesi sviluppati, stato proprio quel comunismo che, nei paesi
orientali ed in Cina, immobilizzava un imponente esercito di lavoratori nellindigenza e nella sudditanza.
Tutto questo venuto meno con la caduta della cortina di ferro, la quale ha di rimbalzo messo a rischio
le basi del consenso nelle democrazie del benessere e trasformato le strutture della loro sovranit
economica. E ci perch ha liberato unimmensa fonte di energia primaria, il lavoro umano di un
esercito di ex affamati ora pronto a sostenere ritmi produttivi che, nei settori primari, sia leggeri che
pesanti, riducono a zero la competitivit dei colleghi occidentali.
Sembra un paradosso, ma non lo per chi sa leggere in profondit le tendenze relative alla
mobilitazione multinazionale dei capitali e alla difficolt del lavoro umano di correre ad un ritmo
paragonabile a quello dei flussi finanziari. Le classi medio-basse che in Occidente hanno beneficiato
delle prestazioni dello stato sociale - e talvolta avversavano il pericolo comunista mentre talvolta ne
agitavano con furore simpatetico lo spettro - devono il ciclo quarantennale del loro benessere alla forza
dinerzia con cui il blocco comunista orientale ha resistito alla globale liberalizzazione della forza lavoro
e dei capitali, liberalizzazione che oggi spinge invece quelle classi in una corsa accelerata verso il ribasso
delle retribuzioni. Cos, chi prima stava sotto giogo ora pu, certo tra stenti, sognare il benessere
occidentale, mentre chi godeva di questo sogno ora visitato, certo tra gli agi, dallo spettro del declino e
della povert.
Il risultato di questa dinamica epocale quello sfruttato dallimpiego delle tecnologie dellinformazione,
grazie a cui possibile compiere sforzi produttivi di beni standardizzati come nessunaltra era ha mai
conosciuto. I costi sociali per questa disponibilit, apparentemente senza limiti, di beni di consumo alla
portata dei piccoli portafogli, sono tre: a) limpoverimento della forza lavoro globale; b) il drenaggio e la
redistribuzione delle risorse delle classi medie euroamericane a favore dei lavoratori poveri dei paesi
emergenti (uno dei fenomeni pi democratici dellultimo ventennio!); c) da ultimo, ed questo il
problema inoltrepassabile, la crescita esponenziale del tasso di inquinamento del pianeta, dovuto al
decentramento produttivo senza vincoli ambientali e al traffico planetario delle merci low cost.
Gli economismi pi ottimisti sostengono che lantidoto alle distorsioni della globalizzazione sia
rappresentato dallinnalzamento dei livelli di istruzione e di specializzazione professionale. Se questo,
per, pu esser vero ai vertici delle societ pi sviluppate, lo molto meno per quanto riguarda il grosso
della forza lavoro globale. Nel Sud del mondo, infatti, la polarizzazione della ricchezza rende evidente
quale sia linclinazione del piano delleconomia globale: la forza lavoro costa sempre meno; i costi di
accesso agli strumenti di produzione e della ricchezza accumulabile, vale a dire la conoscenza, lenergia
e le macchine, progrediscono a causa di una domanda in crescita; infine, le attivit speculative ai danni

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di una forza lavoro in movimento e in cerca di alloggio e allocazione divengono sempre pi comode e
fruttuose.
Ma anche nel Nord del mondo non sar listruzione, mito venerabile e monumentale della Rivoluzione
Francese, ad emancipare dal bisogno. E ci per due ragioni. La prima che una maggior
consapevolezza critica rende meno vulnerabili allirrinunciabile strapotere della pubblicit, di indurre
compulsivamente a soddisfare bisogni effimeri. Listruzione tenderebbe insomma a raffinare troppo le
aspettative dei consumatori, mentre i beni e i servizi del nostro tempo necessitano, nella loro
sovrapproduzione quotidiana (la stessa, si badi, che alimenta i costi di redistribuzione del reddito
sociale, tra cui listruzione appunto), di un consumatore passivo, interattivo semmai, malleabile e
bulimico, prossimo allobesit.
Per avere un riscontro indiretto di tale tendenza basterebbe considerare statisticamente limpiego, nelle
aziende medio-grandi, delle figure pi professionalizzate, quali gli ingegneri, i tecnici, ma anche i
professionisti come gli avvocati. Si vedr che la maggior parte di loro non svolge mansioni conformi
alla propria preparazione professionale, bens allocata nellamministrazione, e principalmente negli
uffici di marketing e di customer-hunting.
La qualit del prodotto, oggigiorno, data da standard tecnologici controllabili attraverso non molti
professionisti. Quello che conta la commercializzazione della produzione in serie, sempre pi
eccedente. Saremo sempre pi tutti, nessuno escluso, alla ricerca, sul piano inclinato della
globalizzazione che spinge a ribassare lofferta, di un consumatore pronto a digerire il bene inutile (ma
emozionale) che ci sar dato di sovraprodurre. Tra questi inutilia anche listruzione di massa, perch tutti
siamo risucchiati in questo collo dimbuto. Il colpo decisivo allistruzione della cittadinanza verr dato
proprio dal Sud del mondo. Come? necessaria una premessa per dare un risposta.
Gli ambiti di spesa dello stato del benessere sono stati e tuttora sono i seguenti quattro: 1) la stessa
amministrazione, i cui costi verranno riassorbiti e compressi grazie alla sua messa on-line e progressiva
automazione (il numero eccedente di funzionari verr convertito in sales manager e operatori di customer
services nel terziario privato); 2) le pensioni, i cui costi verranno bilanciati dallinnalzamento dellet
lavorativa e dallintegrazione con polizze private (quelle che, attraverso i fondi pensione, il pi
importante investitore finanziario globale, gi permettono operazioni speculative e di mercato, le quali,
senza che noi risparmiatori ce ne accorgiamo, accelerano il moto dei capitali, aumentano linclinazione
del piano economico globale schiacciando i paesi dove non si danno risparmio in eccedenza e borse di
rilievo, e contribuendo, come linflazione, alla barriera protettiva che in parte scherma e difende il
Nord); 3) la sanit, che comunque, anche nelle versioni pi pubbliche e civili, fa gi la fortuna
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dellindustria farmaceutica privata, e che quindi continuer a sperimentare forme di riequilibrio


finanziario con le agenzie private e le relative polizze assicurative (quelle che stanno oggi, ad esempio.
dietro alla planetaria campagna etica contro il fumo, in lotta intestina con lobbies uguali e contrarie); 4)
listruzione, di cui vedremo crescere il segmento materno e primario, in modo da rendere le
riproduttrici libere e al pi presto performanti e produttrici (di beni e servizi di consumo), mentre
continueremo ad osservare attoniti il declino del segmento medio-superiore, perch la nostra economia
ha bisogno di consumatori-produttori malleabili li formano gi diplomifici e masterifici - disponibili al
ricambio e adatti alle relative tecniche di commercializzazione. (Collaterale a ci gi la crescita della
devianza giovanile e lesposizione sempre pi frequente ai relativi eccessi, da consumo appunto).
Dicevamo che il colpo decisivo alle spese occidentali in istruzione lo daranno proprio internet ed il Sud
del mondo. Come? Il Sud, che non pu affrontare i costi infrastrutturali di unistruzione di medio
livello, cercher di rendere le attuali infrastrutture, allo stesso modo del cemento armato delle banche
cui accennavamo prima, obsolete. Gi oggi infatti possibile, lo fanno le migliori universit come le pi
dinamiche agenzie di formazione dei paesi emergenti quali lIndia, mettere on-line tutte le nozioni da
interiorizzare per costruire una personalit applicativa di adeguato livello. Scuole e insegnanti reali
verranno ridotti ai minimi termini da lezioni virtuali, persino curate nella forma e riproducibili tramite
internet, che provveder anche alla somministrazione dei test di verifica della comprensione. I pochi
insegnanti necessari verranno riconvertiti in tutors (lautomazione non pu del tutto sostituire il fattore
antropico), cos che la spesa in istruzione verr compressa, zippata, come quella della pubblica
amministrazione.
inevitabile tale ristrutturazione? Quando una democrazia colossale come lIndia decider di
organizzarsi su queste basi, e sar il modo pi veloce per superare un cultural divide con lOccidente, le
sue aziende pagheranno meno tasse per lamministrazione della formazione, con un ulteriore salto in
avanti della competitivit del sistema-paese, cosa che frener la produttivit occidentale, costringendo
ad abbassare i costi dei servizi sociali intermedi, in questo caso listruzione. Il tutto allinterno di
unottica di parziale redistribuzione del reddito mondiale a favore dei paesi emergenti, e di una
planetaria diffusione di comportamenti consumistici, divoratori ed inquinanti 9 .
Abbiamo cos concluso un giro dorizzonte relativo ai fattori della produzione (capitali, cervelli,
braccia), e abbiamo visto come essi si dispongano su di un piano inclinato dove le delocalizzazioni e le
accelerazioni informatiche dei detentori di capitale mettono in crisi gli altri due fattori, costringendo alla

Sulla condizione paradossale della scolarizzazione, cfr. anche S.LATOUCHE, op. cit., p. 104 e sgg.

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compressione dei relativi costi e alla riallocazione delle relative componenti in una catena di montaggio
interminabile quanto effimera, una catena di produzione-consumo onnipervasiva delle dimensioni del
vivere e dellimmaginario collettivo.
Ci che non ancora stato preso in considerazione da questo schema levento che contrasta e rallenta
le sue dinamiche strutturali, mettendole in disordine. Non mi riferisco alla guerra, che tengo
volutamente fuori dal discorso, bens allinquinamento, agli effetti di rimbalzo di quello stato di
occupazione militare cui il produttivismo incontenibile della volont di crescita sottopone lambiente
delle risorse energetiche disponibili e la biosfera del pianeta.
Proprio in questi mesi il problema del dissesto ambientale e del riscaldamento globale sono tornati
allordine del giorno, ma attraverso lambiguit, o meglio, la distorsione percettiva di cui dicevamo
prima, ovvero la scoperta (una simile la si fece nel 1973, allindomani della guerra arabo-israeliana dello
Yom Kippur e della reazione dellOPEC) che le riserve di petrolio scarseggiano in modo pi che critico.
Non gi quindi la presa datto che il petrolio, oggi richiesto da un parco consumatori almeno triplo
rispetto a quello degli anni 70, impiegato su vasta scala porta al collasso delle riserve organiche della
biosfera. Bens la scoperta (che la notizia di nuovi giacimenti di gas naturale non baster a rimuovere),
che il petrolio agli sgoccioli e quindi laumento della sua richiesta porter ad un decennio di probabile
stagflazione e di brusca contrazione dei consumi, con tutto quello che ci comporter per i destini
delloccupazione, del welfare state e della sua incombente riduzione.
Ci accorgiamo di vivere al di sopra delle nostre possibilit materiali, senza per mettere in discussione
limplicita convinzione di essere noi i sovrani della materialit e della natura. Dovremmo invece renderci
conto di vivere al di sopra di quelle possibilit ambientali da cui riceviamo le basi naturali della
rigenerabilit e della trasformabilit delle energie, patrimonio esauribile e da prendere in gran cura.
Dovremmo insomma fingerci non gi signori e padri della materialit, quanto umili e deperibili figli
della naturalit, della possibilit del darsi di nuova vita.
possibile, nellepoca del compiuto disincanto e della riduzione della natura a dominio di forze,
possibile recuperare unidea apparentemente arcaica e infantile, quella che attribuisce allambiente
paesistico una dignit personale rispetto a cui noi saremmo in debito, tributari delle risorse energetiche
che permettono la vita sulla terra? Solo le riserve simboliche dellimmaginario religioso possono dare
vita e forma ad una tale visione degli scenari naturali, che lodierna velocit dei processi di
trasformazione dei relativi paesaggi potrebbe invece far apparire di candore appunto puerile.
difficile, inutile nasconderselo, parlare in termini di unetica della naturalit e delle forze vitali della
materia. addirittura impossibile forse, perch non sarebbe arduo rilevare in ogni atto ed in ogni
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intendimento di tipo etico, nientaltro che unazione o una strategia di tipo anti-economico, quindi non
dotata di valore autonomo, bens subordinata alle dinamiche del paradigma stesso che vorrebbe
riformare od oltrepassare. la situazione di chi scopre di poter rispettare laltro solo perch ha provato
in profondit la possibilit di ucciderlo e si quindi deciso per la rinuncia a tale atto cos connaturato
allumanit, risentendosi contro un proprio irrinunciabile istinto.
Di questa situazione, che come il cuore della questione relativa agli statuti e alle possibilit di unetica,
potrebbe tornar utile recuperare una variante, che troviamo nella pi importante filosofia pratica della
modernit. Ci riferiamo ad una pagina problematica della Fondazione della metafisica dei costumi, nella quale
Kant, illustrando esempi della procedura di univirsalizzabilit della massima soggettiva e di verifica del
suo carattere morale e non solo economico-strumentale, ne presenta uno in qualche modo fuorviante.
Egli sottopone a verifica la massima che assume la liceit di non restituire un prestito ricevuto, per
giungere alla conclusione che essa non morale perch, se tutti agissero cos, verrebbero semplicemente
meno le condizioni per concedere a chicchessia un prestito 10 .
Perch fuorviante tale esempio? In prospettiva kantiana, il rifiuto della liceit morale alla massima di
non restituire il prestito ricevuto non d come conseguenza il riconoscimento della moralit
dellopposto atteggiamento, quello di chi decide di sanare il debito contratto e di assumerne la massima
come regola di vita. Chi agisce cos, infatti, non lo fa in base ad un imperativo categorico ed
incondizionato, bens in ossequio al principio ipotetico-economico della reciprocit, quello che ci spinge
a saldare un debito al fine di poter anche noi legittimamente avanzare la pretesa che un analogo debito,
contratto da altri con noi, venga altrettanto civilmente sanato. Siamo appunto in pieno ambito di
reciprocit, di reciproco condizionamento dei soggetti, in ambito di imperativo ipotetico-economico e
non di imperativo categorico-morale.
Eppure proprio in prospettiva bio-economica, legittimata non da cristalline argomentazioni
filosofiche, bens da riserve dellimmaginario simbolico-cosmico-religioso, solo cos che a noi dato
porre la questione della dignit dellambiente circostante e della necessit ecologica della sua tutela.
solo valorizzando il nostro circolare rapporto con le risorse energetico-naturali in termini di reciprocit,
di debito contratto e di reciproco condizionamento (oikonomico e preglobale), che la natura non sar pi
solo intesa come ostacolo limitante e condizionante le potenzialit dellazione pratica e dei relativi
imperativi (ipotetici), bens come la condizione di possibilit stessa della presente e delle future azioni.
La natura va intesa come la condizione positiva e non limitante per tessere un rapporto intergenerazionale

10

Cfr. Akademie-Ausgabe, IV, p. 422, tr. it. *** ***

22

tra presente e futuro e per fare dellhabitat il dignitario di cui postulare, non gi la necessaria esistenza
(ontologica), bens la deperibilit e la dovuta e necessaria (assiologica) conservazione 11 .
Oggi che incombe una probabile contrazione delliperconsumismo occidentale, dovuta alla crescita dei
costi delle materie prime, tale situazione va intesa non solo come negativo ostacolo alle potenzialit
della crescita, bens come occasione di rilancio della questione ambientale, habitativa e delletica
dellausterit, della rinuncia alleffimero.
La contrazione dei consumi, che certo porter disoccupazione e tagli al welfare state, lunico antidoto
agli eccessi dellimperativo autodistrutttivo della crescita a tutti i costi. Non ce ne sono pi di carattere
politico-ideologico, di antidoti, oggi lunica rivoluzione un gesto individuale con scarse probabilit di
divenire comportamento responsabile condiviso. il gesto di chi dice no alle seducenti promesse di
consumo illimitato liberate e indotte dalla pubblicit (la pi importante forma di comunicazione e
cultura dei nostri tempi), di chi volge lattenzione altrove, ad altri modelli di (de)crescita e di
organizzazione del consumo.
Non sono i soggetti politici tradizionali a poter convogliare tale gesto in un comportamento collettivo,
perch interamente irretititi nella logica populistico-pubblicitaria che mette in scacco ogni pia illusione
circa le possibilit di formazione di unopinione condivisa di tipo antieconomico o resistente alla logica
della continua sostituzione e ricreazione dei prodotti, anche di quelli durevoli. Sono i barlumi di nuovi
movimenti a poterlo fare, e internet in minima misura agevolare. Perch la rete determina le condizioni
per il massimo decentramento possibile di quel pilastro costituente del potere, che la formazione
dellopinione e del consenso.
La rete non pu fare miracoli e qui nessuno vuole benedire tale labirinto di strumentazioni atte a
rendere onnipresente laltrove. Solo che nella rete chi riceve uninformazione allo stesso tempo
qualcuno che pu a sua volta produrne altrettanta e metterla in circolazione. Il consumatore anche

11 in questa prospettiva che pu essere letto il tentativo operato da Jonas, autore di unetica della responsabilit
(ambientale), di adattare ai criteri di questa, riformulandoli, gli imperativi delletica kantiana, che unetica dellintenzione e
non gi della responsabilit relativa alle conseguenze della propria azione. Limperativo di Jonas, indicando la necessit
morale di agire in modo che le conseguenze della propria azione siano compatibili con la permanenza di unautentica vita
umana sulla terra, sospende in qualche modo la condizione dellumanit e quella connessa allamor proprio, allistinto di
conservazione. Lumanit infatti intesa, da questo imperativo, sia come il fine dellazione, sia come la condizione positiva di
unazione responsabile dei mezzi impiegati. Lumanit, quindi, si rivela fine dellazione, solo in quanto la sua materiale
fragilit sia colta come condizione delle scelte relative al nostro amor proprio. Questo viene in qualche modo rivalutato,
allargandone la portata non alla dimensione individuale, bens a quella delle generali condizioni che consentono la
prosecuzione in futuro della vita sulla terra. Cfr. H. JONAS, Il principio di responsabilit. Unetica per la civilt tecnologica, Torino
1993, pp. 16-18.

23

produttore di opinione, quindi accede in un circolo di idee non solo perch stimolato e sedotto da un
potente messaggio pubblicitario o propagandistico.
Proviamo a sondare, come esempio, il terreno dellagricoltura. I prezzi delle derrate stanno crescendo e
si prevede la necessit di una contrazione del consumo. Quale occasione pi opportuna per riscoprire e
promuovere una dieta di tipo glocal, basata cio sui prodotti primari della terra dove si abita e sulla
riscoperta del sapore e del valore nutritivo degli alimenti poveri, quelli meno sfruttati dai saporifici con
lo scopo di determinare gi nei bambini, allo stesso tempo, regressione nella facolt del gusto e
dipendenza dagli additivi chimici? Produrre carne ha costi energetici altissimi, come alternativa i legumi
possono in buona parte soddisfare il fabbisogno proteico quotidiano, aiutano la fertilizzazione dei
terreni e sono lingrediente centrale di unarte povera di lunga tradizione.
La rete pu a basso costo e in forma wiki convogliare le conoscenze relative a questa sobria dieta,
preparare il terreno per un suo sviluppo sistematico e creativo, rilanciare un progetto di solidariet che
garantisca condizioni di mercato competitivo anche alle leguminose dei paesi poveri, senza che a ci
provvedano mastodontiche e parassitarie burocrazie, che bruciano il 90% dei trasferimenti ricevuti dai
governi nazionali per alimentare la loro sontuosa volont di convegno, in grado di partorire
imbarazzanti documenti dal contenuto nullo. Molto meglio la selvatica anarchia delle pi coraggiose ed
oneste Ong. Non anche questa liberalizzazione (della solidariet)?
La rete pu inoltre favorire la nascita di cooperative di consumo finalizzate ad una distribuzione di
qualit e solidale. Difficile proibire la pubblicit dei prodotti nella societ della comunicazione totale 12 .
per possibile in parte aggirarne il potere. Come? Investendo in supermercati che pubblicizzino come
unico brand quello del distributore stesso, garante dei soci cooperanti. Il brand unico garantisce la qualit
del prodotto e rispetta le aspettative dei consumatori. Sugli scaffali di questi centri dovrebbero poter
accedere, non pubblicizzate: merci di largo consumo, dagli ingredienti poco elaborati e di media qualit;
prodotti biologicamente allavanguardia, per un consumo di qualit seppure pi costoso; prodotti del
circuito equo-solidale per il sostegno a distanza delle agricolture meno avvantaggiate dal mercato.
Se nelle aree povere del mondo arrivassero un po di elettricit e la rete, in forma wiki potrebbero
giungere anche le consulenze agronomiche necessarie per un uso intensivo di terre desolate. E spesso
povere dacqua, altro elemento simbolico su cui costruire forme di nuovo consumo e nuova
propaganda attraverso la rete. LOnu continua a ri-fissare lobiettivo della globale accessibilit allacqua,
regolarmente lo manca e differisce, mentre il divario dei popoli assetati si allarga. Esplodono guerre tra

12

Come sembra alludere, poco realisticamente, S.LATOUCHE, op. cit., pp. 140-42.

24

poveri e ne esploderanno di nuove per accaparrarsi le falde acquifere lasciate indifese da gruppi umani
sfollati con la violenza. I corifei del mercato libero (in un solo senso di marcia) sono pronti a dichiarare
anche lacqua bene privatizzabile, per imbottigliarla in direzione delle aree del benessere. Che fare?
Da noi potrebbe partire lesempio della sobriet. Basterebbe ridurre ai minimi termini il consumo di
acqua imbottigliata, specie quella proveniente da lontano. Ogni giorno migliaia di tir inquinano i valichi
di montagna trasportando acqua francese in Italia e acqua italiana in Germania. Come la terra, lacqua
deve essere in parte rilocalizzata attraverso le spinte dei potenziali consumatori. Linformazione in rete
ci sensibilizzi e aiuti a consumare acqua naturale delle falde vicine al nostro abitato, le confezioni
imbottigliate in plastica siano restituite al proponente lallettante offerta.
Dallacqua si potrebbe infatti passare allobiettivo simbolico dei contenitori, sempre sotto legida e il
coordinamento del centri di distribuzione dal brand unico di qualit. La gran parte di ci che
consumiamo contenuto in flaconi di plastica imballati. Il contenitore la pi tipica concrezione della
spazialit, intesa come ricettacolo. Si scateni la fantasia del designer, questa volta con un obiettivo
inverso a quello della consueta e inutile sofisticazione. Sul modello delli-pod, oggetto dal design
funzionale, limpido, e per questo assurto gi a capolavoro da museo (reazione nervosa ma positiva alla
sovrapproduzione di tecnologia portatile tanto complicata quanto inutilizzata dai pi), si provi a
standardizzare la produzione dei flaconi e di altre tipologie di prodotti dalle caratteristiche affini.
Quanto pi i recipienti plastici, il cui smaltimento mette in moto un ciclo della durata di 200 anni,
potranno rivelarsi intercambiabili tra pi prodotti, tanto pi torner utile non gi riciclarli, quanto
restituirli al distributore, affinch vengano disinfettati e riutilizzati per contenere prodotti analoghi.
Ma il contenitore di tutti i contenitori, il ricettacolo di tutti i ricettacoli, simbolo cosmico
dellimpossibile oggettivazione della soglia tra interno ed esterno, la casa in cui abitiamo, nel suo
rapporto con la citt, con il tessuto urbano che ingloba le case nelle piazze e nel circuito della viabilit. Il
divario abitativo tra centri e periferie da sempre un indiretto riscontro della difficolt del lavoro a
muoversi a velocit paragonabili a quelle del capitale. Sono gli alti costi di accesso ai presupposti della
ricchezza.
La crescita convulsa attrae sovraffollamento, che a sua volta provoca un abbassamento del livello della
domanda e degli standard di qualit. Eppure, dal modo in cui si decide di edificare e larchitettura
perlopi edilizia civile dipende una quota circa del 30% complessivo dellenergia che consumiamo e
che potrebbe essere ridotta se fossero frenate le fameliche lobbies dei costruttori. I quali hanno come
primario obiettivo di riversare, per ogni unit abitativa, quanto pi cemento armato possibile. Compito
della politica e del city-planning dovrebbe allora essere quello di difendere le buone ragioni del progetto,
25

specie se finalizzato ad una riduzione dellimpatto energetico e ad unarmonizzazione delledificazione


con le condizioni di traffico di uno spazio urbano dato. Il progettare e labitare devono riscoprire il
potenziale edificante ed ospitale del vuoto, che il presupposto stesso del poter uno spazio prender
forma e attrarre luce, movimento e vita.
Qui entrerebbero in gioco le responsabilit di una politica democratica, mai come oggi in crisi, tanto a
livello locale quanto a livello globale. Da quando Machiavelli si espresso sulle buone ragioni della
repubblica, dovrebbe essere pi o meno acquisito che una politica democratica se, e solo se in grado
di mettere un freno agli impeti della parte grassa della societ, in modo che il popolo minuto non finisca
in sua balia e dei suoi interessi, secondo la logica scontata di un utile chiamato sofisticamente e
populisitcamente giustizia. Il linguaggio propagandistico-pubblicitario in cui oggi irretita la
comunicazione politica rende la platea plagiata dei consumatori-produttori sempre pi desiderosa di
circenses e sempre meno preoccupata di come si possa procurare panem ad una popolazione globale tra
poco di 7 miliardi di anime.
Se oggi esistesse una politica, se insomma non continuasse a nascondersi nei labirinti di imponenti
burocrazie autoreferenziali, i paesi leaders delloccidente si preoccuperebbero non gi di mettere in
mano alle lobbies le organizzazioni della finanza mondiale (FMI e BM), ma di incrementare il margine
di azione autonomo di queste, fissando lobiettivo dellintroduzione di un prelievo di solidariet sulle
transazioni finanziarie (capital gains). Esso rallenterebbe la velocit dei circuiti finanziari e i suoi proventi
tornerebbero utili a sostenere le economie povere, vietando se possibile il loro investimento in
tecnologia militare per i capobanda al potere in molte di quelle aree. Ci si dice che tale provvedimento
di difficile attuazione. Strana la politica mondiale. Si parla da ventanni di uno scudo stellare dalle
probabilit di riuscita pari a quelle del volo libero degli elefanti, e non si tirano fuori i prodigi della
tecnologia informatica per operare su un circuito, la finanza, che non pu non servirsi della stessa rete
su cui verrebbe applicato il dazio di solidariet.
Il grande problema delleconomia globale la difficolt ad elaborare e mettere in vigore pratiche tanto
di redistribuzione del reddito in favore del lavoro personale, quanto di restituzione del patrimonio
energetico allhabitat indispensabile alla prosecuzione della vita organizzata. Lesempio pi lampante di
ci quello delle risorse energetiche disponibili. Intorno ai giacimenti di petrolio andata prendendo
forma, negli ultimi 120 anni, la geopolitica dei pi importanti stati nazione, tanto dei paesi
industrializzati quanto di quelli emergenti. Laccaparramento di riserve per fronteggiare congiunture
critiche la fondamentale ragione tra quelle che si definiscono le ragioni dello stato centralizzato.
Lenergia viene conquistata attraverso la lunga mano degli stati, le compagnie petrolifere (sostenute
persino dai servizi segreti), quindi distribuita attraverso la rete attraversante il territorio nazionale. Dal
26

centro alla periferia, in ununica direzione di trasmissione. Tutto ci mentre buona parte dellumanit
fatica ad entrare in un sistema adeguato di distribuzione dellelettricit.
Lacqua, la terra impoverita e la mancanza di elettricit sono i tre fattori che mantengono bassa la
capacit di accelerazione dei processi produttivi nelle aree depresse del mondo, costringendole allunica
alternativa possibile, essere fornitrici di manodopera migrante a basso costo. Eppure proprio a partire
dallacqua, dallelemento di Talete, potrebbe prendere forma una futuribile rivoluzione energetica,
industriale ed ambientale. quella legata al processo elettrolitico attraverso cui ricavare una
straordinaria fonte di energia pulita, lidrogeno con cui alimentare le celle a combustibile per garantire
una propulsione diversa da quella finora resa possibile dagli idrocarburi. I problemi legati a tale
rivoluzionario ciclo di produzione energetica sono riducibili a quello, certo imponente, della sua ancor
costosa dipendenza proprio dallenergia elettrica necessaria allelettrolisi e dal connesso processo di
steam reforming che fa degli idrocarburi e del metano i fattori di avvio del processo stesso.
Si tratta di un classico problema strutturale delleconomia, la quale paragonabile ad una squadra di
biciclette lanciate in corsa su di un piano inclinato. Non si pu mutare la loro rotta smettendo di
pedalare o addirittura scendendo dal sellino e mettendosi ad esaminare, da fermi, la fattura degli
ingranaggi. questo il sogno utopico di chi crede che i processi politici ed economici possano essere
modificati rifugiandosi nella posizione dello spettatore neutrale, estraneo al gioco, desideroso (in modo
puerile) di dibattere soltanto la natura dei problemi, di discettare esteticamente sulla fattura dei pedali.
Purtroppo le biciclette, che poi sono treni inarrestabili, possono essere in parte riorientate solo restando
aggrappati al loro instabile manubrio, spingendo sui loro scomodi sellini.
Se uno sforzo condiviso di ricerca e sviluppo, oltre che delle fonti di energia rinnovabile (il fotovoltaico
e il suo costoso semiconduttore in silicio, il promettente geotermico, leolico), riuscisse ad alleggerire i
costi di conversione dei modi di produzione dellenergia, rendendo quella ad idrogeno pi conveniente
e in grado di sostenere i costi della nascita di una rete alternativa a quella elettrica, sarebbe possibile uno
stravolgimento dei tradizionali modi di trasmissione del potere stesso, uno stravolgimento paragonabile
a quello in corso attraverso internet, che rende ogni periferia un possibile centro di selezione e
produzione delle informazioni, non solo un ricettore passivo di pacchetti preconfezionati di
conoscenza.
Bisogna riconosce a Jeremy Rifkin di aver illustrato efficacemente questo possibile parallelo moto di
mutamento delle gerarchie spaziali tipiche della lunga storia degli stati sovrani, basati appunto sul
rapporto, per lo pi unidirezionale, o quantomeno sbilanciato sul centro, tra centro e periferia. Internet

27

fa di ogni periferia un possibile centro, e ci mette in questione la possibilit di controllare fattori


decisivi della produzione, basti pensare solo alla propriet intellettuale dei prodotti dellingegno.
Ma una dinamica analoga si potrebbe ottenere se uninfrastruttura adeguate alle modalit di conversione
delle energie attraverso lidrogeno, facesse s che il consumatore di energia riuscisse ad essere anche
produttore di quantitativi determinati di essa. Attraverso una dinamica analoga a quella del web, il web,
alimentato appunto dallenergia elettrica, potrebbe essere esteso su base planetaria, abbattendo
quellimpercettibile digital divide che rende gli uni, a sud, molto pi lenti degli altri, a nord. Riportiamo le
parole, scontandole certo di qualche eccessivo ottimismo, dello stesso Rifkin.
Se tutti gli individui e le comunit del mondo diventassero produttori della propria energia, il risultato
sarebbe un radicale cambiamento della configurazione dei flussi di potere: non pi dallalto verso il basso,
ma dal basso verso lalto. Le persone non sarebbero pi soggette alla volont di centri di potere lontani; le
comunit potrebbero produrre molti dei beni e dei servizi di cui necessitano, e consumare localmente i
frutti del proprio lavoro. Ma essendo tutti, comunque, connessi attraverso le reti globali dellenergia e delle
comunicazioni, ciascuno potrebbe condividere con altre comunit in tutto il mondo prodotti, servizi,
competenze tecniche e capacit economiche [], punto di partenza di uninterdipendenza globale, assai
diversa dai regimi coloniali del passato 13 .

Il principale difetto della globalizzazione la sua incapacit di elaborare meccanismi di rallentamento, il


suo procedere per shock di liberalizzazione per lo pi a senso unico, che costringono il lavoro, specie
quello delle aree povere, a rincorrere linnovazione rendendosi disponibile a prezzi non pi dignitosi per
la vita della persona. E privato di dignit risulta lhabitat in cui la grande povert risiede, perch a
renderlo appetibile a nuovi investimenti ci pensa la deregulation, che mina le norme a tutela dellambiente
e della salute, rendendo meno competitive le aree pi vincolate e spingendo ad una corsa al ribasso delle
condizioni di vivibilit. E cos il pianeta si fa discarica, serbatoio della sempre maggior entropia generata
dalla velocit produttiva. Tutto ci noi fingiamo di non vederlo, e del resto i media non possono fare a
meno di venderci cirecenses apparentemente inesauribili, perch il divertimento un fattore compulsivo
della crescita.
Dovremmo provare a riattingere al serbatoio di riserva dellimmaginario simbolico e religioso, provare a
riscoprire lutilit sociale e il valore ambientale di istituti che, nelle profondit della nostra storia,
invitano alla redistribuzione del reddito, prendendosi cura del debito contratto dai pi deboli anelli della

Cfr. J.RIFKIN, Economia allidrogeno, tr. it. di P. Canton, Milano 2003, p. 296. Cfr. anche p. 225 (sullelettrolisi); p. 232 (sulle
celle a combustibile); p. 302 (sulla geopolitica); infine p. 305 e sgg., le pagine conclusive, che riprendono il dibattito relativo
allipotesi di Gaia e al carattere di vivente della biosfera. Cfr. anche S. LATOUCHE, op. cit., pp. 124-26 e p. 134.
13

28

catena. Si pensi soltanto al significato della pratica periodica dellindulgenza nella tradizione ebraica.
Lindulgenza allevia e rende dolce, o meno amara, la situazione di svantaggio del povero, o forse spinge il
ricco ad un atto quasi dovuto, dovuto alla comune appartenenza, del ricco e del povero, ad un ordine
ambientale e naturale di risorse disponibili quanto deperibili.
Linvito alla moderazione e allumile sobriet, proprio quando si cavalca londa inebriante del benessere,
quanto raccomanda anche la saggezza dei poeti tragici, i cantori della catena delle appropriazioni di
beni e poteri, foriere di delitti e sciagure. Chiudiamo quindi con linvito-invocazione pronunciata dal
coro dellAgamennone.
Purtroppo, leccessiva salute
limite che non sa placarsi: il male
muro a muro, insidioso vicino,
il suo puntello!
Cos la sorte umana nave
dalla dritta scia ecco, in pezzi
su uno spuntone che non vedi affiorare.
Cautela ci vorrebbe, gettare a mare
parte del carico ricco: un colpo di fionda,
ben misurato. Non sprofonda
allora, lintera casa, lei
e la sua straripante ricchezza,
non si prende il mare la chiglia.
I doni a piene mani di Zeus,
i doni della zolla,
solcata stagione dopo stagione
scacciano il famelico tormento 14 .

Vv. 1001-1017 (tr. it. di E. Savino, Milano 1989). Mi piace ricordare che anche quel complesso intreccio di miti tragici
condensati nella Tetralogia wagneriana, composta negli anni della piena industrializzazione delleconomia europea, ruotano
intorno allidea che loro sottratto alle figlie del Reno, simbolo di un potere bramato a costo della rinuncia allamore e della
contrazione del male intrinseco al ricco possesso (linevitabile decadenza), venga restituito incontaminato al suo luogo
dorigine, affinch lintegrit della terra sia preservata e sia impedito (come invece accadr nel mito) il finale olocausto del
mondo. Sulletica dellaccoglienza e della restituzione, e sul dono, cfr. S.LATOUCHE, op. cit., pp. 67-69, pp. 110-115, pp. 15556, e p. 13 (su un rituale indiano di restituzione).
14

29

Economia generale ed economia ristretta in G. Bataille

Io appartengo a coloro che destinano gli uomini a qualcosa di diverso


dallincessante aumento della produzione, che li incitano allorrore sacro 1 .

di Ambra Guarnieri

Tra gli oggetti della speculazione batailleana tanto intensa quanto frammentaria uno spazio di rilievo
occupato dalla sua riflessione economica.
Il progetto cui lautore intende dar vita si pu realizzare solo a condizione di superare la concezione
propria delleconomia ristretta la cui operazione limitata alla produzione ed allaccumulazione utile delle
ricchezze in direzione di uneconomia generale, in cui il dispendio (il consumo) delle ricchezze [sia],
in rapporto alla produzione, loggetto primo 2 .
La ricostruzione di questa operazione affidata da Derrida al suo saggio Dalleconomia ristretta alleconomia
generale 3 . In questo testo, lautore riproduce lintenzione di Bataille oltrepassando, sulla scia del primo, i
margini delleconomia intesa come la scienza che tratta luso delle ricchezze, limitata al senso ed al
valore degli oggetti, alla loro circolazione 4 , e, aprendone il circuito concluso, approda ad un contesto
illimitato in cui si evidenzia lesistenza di uneccedenza di energia che non si lascia utilizzare, ma viene
inevitabilmente perduta 5 .
Ma vediamo di individuare quali questioni solleva il passaggio tra le due prospettive.

G. Bataille, Il limite dellutile, tr. it. a cura di Felice Ciro Papparo, Adelphi edizioni, Milano 2000, p. 113.
G. Bataille, La parte maledetta preceduto dalla nozione di dpense, tr.it a cura di Francesco Serna, Bollati Boringhieri, Torino
1992, p. 63.
3 J. Derrida, Dalleconomia ristretta alleconomia generale, in La scrittura e la differenza, tr.it. a cura di Gianni Pozzi, Einaudi, Torino,
1971.
4 Ibid, p. 351.
5 Derrida sembra in maggior grado interessato a declinare il passaggio tra le due prospettive nellambito della scrittura. Il
paradigma delleconomia intesa nel suo significato classico, in cui essa limitata alla circolazione delle ricchezze, definisce
una forma di scrittura caratterizzata dalla circolazione del senso, in cui nessun valore viene perduto: lesempio pi calzante di
questa scrittura rappresentato dalla Fenomenologia dello spirito. Viceversa, il paradigma delleconomia intesa in una accezione
estesa, generale, definisce una scrittura che fa del debordamento del senso il suo tratto principale, mostrando come
qualche valore fuoriesca inevitabilmente dal circolo del sapere. Scrittura di sovranit, essa trova nella scrittura del sogno
proprio della Traumdeutung di Freud un contributo essenziale alla sua esemplificazione.
1
2

30

Se lambito che designa leconomia ristretta mantiene una struttura odisseica in cui ogni valore
ritorna e rientra nel circuito del consumo produttivo ammettere, viceversa, che esiste uno spazio in cui
lenergia determina un plusvalore che non si pu impiegare, comporta per la specie umana di non essere
pi limitata alla sola funzione della produttivit.
Per sfociare nella generalit di una economia la mesure de lunivers 6 , che non pi legata a funzioni
parziali comprenda in s non solo i processi produttivi ma anche quelli improduttivi, occorre
inserire lambito delleconomia intesa nel suo contesto ristretto in cui si riconosce esclusivamente il
valore del dispendio produttivo allinterno di un insieme pi vasto, in cui a questultimo si preferisce il
dispendio improduttivo.
Per realizzare una simile operazione teorica di fondamentale importanza, innanzitutto, distinguere il
consumo in due parti. Osserva a questo proposito Bataille:
Lattivit umana non interamente riducibile ai processi di produzione e di conservazione, e il consumo
devessere diviso in due parti distinte. La prima, riducibile, rappresentata dalluso del minimo necessario,
agli individui di una data societ, per la conservazione della vita e per la continuazione dellattivit
produttiva: si tratta dunque della condizione fondamentale di questultima. La seconda parte
rappresentata dalle spese cosiddette improduttive: il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni di
monumenti suntuari, i giochi, gli spettacoli, le arti, lattivit sessuale perversa (cio deviata dalla finalit
genitale) rappresentano altrettante attivit che, almeno nelle condizioni primitive, hanno il loro fine in se
stesse 7 .

La prima parte del consumo si inserisce ancora nellottica dellattivit produttiva, di cui rappresenta
insieme la condizione ed il termine intermedio. Per ora, limitamoci a chiamare la seconda parte di
questultimo consumo improduttivo, ed a rilevare che esso mostra una certa corrispondenza con
leconomia generale.
Ora che iniziamo ad intravedere lorizzonte dischiuso dalleconomia generale, sarebbe opportuno
spendere qualche parola sulle basi su cui Bataille intende fondarla. Innanzitutto ci chiederemo: quali
principi garantiscono la sua possibilit? Imiter qui abbastanza fedelmente landamento seguito della
riflessione di Bataille nella Parte Maledetta.
Lorganismo vivente riceve in teoria pi energia (..) di quanta sia necessaria al mantenimento della vita:
lenergia (la ricchezza) eccedente pu essere utilizzata per la crescita di un sistema (per esempio di un

Si veda OC, vol.VII, pp. 7-16.


G. Bataille, La parte maledetta preceduto dalla nozione di dpense, tr.it a cura di Francesco Serna, Bollati Boringhieri, Torino 1992
p. 44.
6
7

31

organismo); se il sistema non pu crescere, o se leccedenza non pu per intero essere assorbita nella sua
crescita, bisogna necessariamente perderla senza profitto, spenderla, volentieri o meno, gloriosamente o in
modo catastrofico 8 .

Lesistenza di una sovrabbondanza di energia di cui lorganismo, o il sistema, dispongono normalmente


in natura e che questi ultimi non possono impiegare n per la crescita n per la riproduzione il
presupposto su cui si fonda leconomia generale. Essa annuncia lesistenza di uneccedenza di energia che
non potendo prendere parte ai processi produttivi inevitabilmente perduta, spesa senza profitto.
Del resto, un fatto evidente che, in natura:
Solo limpossibilit di continuare la crescita apre la via alla dilapidazione. La vera eccedenza comincia
dunque soltanto una volta che sia limitata la crescita dellindividuo o del gruppo 9 .

Seguendo la via tracciata da Bataille, ammettiamo, allora, che, per la materia vivente in generale,
lenergia [sia] sempre in eccesso 10 .
A dire il vero, guardando le cose dallangolazione propria delleconomia ristretta, siamo portati a
ricevere limpressione contraria: la scienza economica tradizionale, considerando solo il punto di vista
dei sistemi particolari ( siano essi organismi od imprese), e, limitando il suo oggetto alle operazioni fatte
in vista di un fine limitato, finisce inevitabilmente per accentuare laspetto di separazione che esiste sia
tra gli esseri viventi sia tra le risorse che essi hanno a disposizione, portando ad evidenza, di queste
ultime, la sostanziale mancanza. Avviene cos che lessere separato osserva Bataille
incessantemente manca di risorse, (..) soltanto un eterno bisognoso 11 .
Un alternativa ci offerta dallassunzione del punto di vista delleconomia generale. Attraverso il suo
spettro si rende evidente il gioco della materia vivente in generale, presa nel movimento di luce di
cui effetto 12 , e il problema non pi posto dallinsufficienza delle risorse, bens dal loro eccesso.
Stando cos le cose lindividuo, coinvolto in un movimento generale di essudazione della materia
vivente 13 , poich la questione, che allessere separato si poneva in termini di necessit, si presenta ora in
termini di lusso, pu limitare la sua scelta al modo di dilapidare le ricchezze. Come negare, del resto, che
linsieme della vita per essenza un traboccare 14 ?

Ibid, p. 73.
Ibid, p. 80.
10 Ibid, p.74.
11 Ibid, p.75.
12 Ibid.
13 Ibid.
14 Ibid.
8
9

32

Ora che abbiamo individuato nella sovrabbondanza di energia disponibile nelluniverso la condizione
sine qua non per uneconomia generale, sarebbe opportuno riflettere su quali siano gli oggetti ai quali
questa scienza 15 si applica e le modalit in base alle quali questo rapporto si istituisce.
Se infatti possiamo affermare con certezza che leconomia generale non si interessi alla circolazione
delle ricchezze e al loro investimento produttivo che costituiscono nel complesso gli oggetti
privilegiati di indagine di una economia ristretta ai valori di mercato 16 quali fenomeni pu essa
riguardare? Quali fenomeni cio possono essere inclusi, o meglio, inscritti nel suo orizzonte, in qualit di
manifestazioni di quellenergia eccedente che sembra, da ogni parte, animare luniverso? Al di l delle
intenzioni ristrette degli esseri individuali, quali forme prende il movimento generale della
dilapidazione dellenergia? Si pu, con qualche ragione, iniziare a cercare una risposta a queste questioni
sviluppando preliminarmente alcune implicazioni contenute nel concetto di dpense.
, in definitiva, nella nozione di dpense 17 che Bataille sembra gettare le premesse teoriche per il suo
discorso sulleconomia generale. Nelle prime pagine del saggio, Bataille illustra quel vizio che sembra
inficiare la coscienza comune, il quale consiste nella sottomissione quasi incondizionata al principio
classico dellutilit (cio della pretesa utilit materiale) come fine implicito di ogni attivit. Osserva
Bataille:
Tuttavia, la pratica corrente non si preoccupa di queste difficolt elementari, e la coscienza comune, al
primo approccio, sembra non possa opporre altro che riserve verbali al principio dellutilit , cio della
pretesa utilit materiale. Questa, teoricamente, ha per fine il piacere ma soltanto in una forma blanda,
temperata, essendo considerato patologico il piacere violento e viene limitata allacquisizione
(praticamente alla produzione) e alla conservazione dei beni, da un lato; alla riproduzione ed alla
conservazione delle vite umane, dallaltro(..) 18 .

Fedelmente a questa concezione dellesistenza, la parte pi apprezzabile della vita destinata a essere
la condizione, talvolta deplorevole, dellattivit produttiva, mentre un ruolo marginale affidato al
piacere, poich, si tratti di arte, di vizio consentito o di gioco 19 , esso ridotto a una concessione.

15 Nel Methode de mditation, compare questa definizione di economia generale: La scienza che rapporta gli oggetti di
pensiero ai momenti sovrani non di fatto se non una economia generale, che studia il senso di quegli oggetti, gli uni in
rapporto agli altri e, infine, in rapporto alla perdita di senso51. La definizione citata da Derrida,in J. Derrida, Dalleconomia
ristretta alleconomia generale, in La scrittura e la differenza, tr.it. a cura di Gianni Pozzi, Einaudi, Torino, 1971, p. 349.
16 Ibid, p. 349.
17 G. Bataille, La nozione di dpense in La parte maledetta preceduto dalla nozione di dpense, tr.it a cura di Francesco Serna, Bollati
Boringhieri, Torino 1992.
18 Ibid, p. 42.
19 Ibid.

33

La spartizione tra utilit e piacere, con la relegazione del secondo ad aspetto marginale della vita sociale,
sottintende chiaramente il principio dellutilit, in base al quale la maggior parte dellattivit sociale deve
essere votata alla produzione ed alla conservazione delle ricchezze. Insieme al primo, la specie umana
ha adottato il principio del lavoro, nella cui prospettiva essa si pone inevitabilmente in una costante
protensione verso il futuro, con levidente rischio di perdere la centralit del tempo presente e di
misconoscere il valore dellistante.
Smentendo le concezioni dominanti, Bataille fa del principio di utilit un valore relativo, ed, insufficiente a
far fronte ai bisogni reali della societ, gli oppone il principio della perdita.
Sulla base della distinzione tra il consumo produttivo che comprende solo le spese che servono da
condizione e da termine medio alla produzione, ed rappresentato dal minimo necessario, agli
individui di una data societ, per la conservazione della vita e per la continuazione dellattivit
produttiva 20 ed il consumo improduttivo di cui il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni di
monumenti suntuari, i giochi, le arti, lattivit sessuale 21 sono solo alcune forme Bataille trova in
questultimo un terreno fertile per evidenziare la portata della legge della perdita:
Orbene, necessario riservare il nome di dpense a queste forme improduttive, escludendo tutti i modi del
consumo che servono da termine medio alla produzione. Pur essendo sempre possibile opporre le diverse
forme enumerate le une alle altre, esse costituiscono un insieme caratterizzato dal fatto che, in ciascun
caso, laccento viene posto sulla perdita, che dev essere la pi grande possibile affinch lattivit acquisti il
suo vero senso 22 .

Se cerchiamo di interpretare queste prime riflessioni sulla dpense un po pi ampiamente, diremo che
lautore, che pur riconosce nei processi di produzione e di conservazione dei beni uno dei fini che pu
assumere lattivit umana, non condivide una posizione che la limiti allorizzonte dei processi utili,
essendo ai suoi occhi evidente come nel rovescio di queste attivit si nasconda sempre un lato
oscuro che consacrato al dispendio di quelle stesse energie e ricchezze che i primi miravano a far
fruttare. in definitiva su questa zona dombra che egli intende porre la propria attenzione.
In effetti, una delle intenzioni proprie delloperazione di Bataille sembra consistere nel rivendicare la
necessit, per lattivit umana, di ritagliarsi uno spazio autonomo dai processi di produzione e di sviluppo:
chiamato parte maledetta, esso si configura come linsieme delle forme improduttive in cui il segnale pi
evidente del ritiro dal circuito della produzione dato dal desiderio dello spreco. Tutte queste queste

Ibid, p.44.
Ibid.
22 Ibid.
20
21

34

forme, poich trovano il loro fine in se stesse, o anche, non servono a nulla, sono chiamate da
Bataille sovrane, e si basano evidentemente sul principio della perdita.
Pensando lumanit nellorizzonte configurato dai momenti sovrani, si aprono per la prima nuove
possibilit. Innanzitutto, essa pu iniziare a ritrovare il proprio spazio di realizzazione nel presente, cosa
che il lavoro, subordinando sempre il presente ad un risultato collocato nel futuro, le aveva reso
impossibile. E, ancor pi importante, essa pu riconvertire in sovrana la sua natura, degradata in servile
per la sottomissione a scopi ulteriori, riacquistando la libert di scatenare il suo desiderio oltre ogni
incatenamento ragionevole. Osserva Bataille:
Lintroduzione del lavoro nel mondo sostitu sin dallinizio allintimit, alla profondit del suo desiderio ed
al suo libero scatenarsi, lincatenamento ragionevole ove la verit dellistante presente non conta pi, bens
importa lulteriore risultato delle operazioni 23 .

A quanto pare, la scoperta di una zona dombra nel rovescio del senso del lavoro non rappresenta la
fase pi compiuta della riflessione condotta dallautore, ma solamente il primo passo in direzione di una
riaffermazione categorica del carattere sovrano, gioioso e risibile dellesistere.
L ipotesi avanzata da Bataille mira infatti a dimostrare per quanto paradossale questa operazione
possa apparire sulle prime come la dpense, in qualit di funzione sociale, abbia un ruolo centrale e forse,
talmente preminente, da subordinare a s i processi ai quali attualmente consacrato il nostro mondo, e
che appaiono ad essa opposti: la produzione e lacquisizione.
E se vero che la produzione e lacquisto, cambiando forma nel loro sviluppo, introducono una variabile
la cui conoscenza fondamentale per la comprensione dei processi storici, essi , tuttavia, non sono altro
che processi subordinati alla dpense 24 .

cos che il discorso batailleano intreccia la prospettiva storica 25 : una economica generale deve
iniziare proprio con i dati storici, portata a percorrerli secondo una nuova angolazione, in modo tale
da introdurre una variabile alla loro comprensione.

23 G. Bataille, La parte maledetta preceduto dalla nozione di dpense, tr.it a cura di Francesco Serna, Bollati Boringhieri, Torino
1992, p.105.
24 G. Bataille, La nozione di dpense in La parte maledetta preceduto dalla nozione di dpense, tr.it a cura di Francesco Serna, Bollati
Boringhieri, Torino 1992, p. 47.
25
Possiamo affermare a buon diritto che leconomia generale si presta a diventare un valido strumento ausiliare all indagine
storica, orientandola in direzione di una fuoriuscita da quel contenitore limitante che rappresentato dallutilit, come
principio di valutazione di ogni attivit.

35

Questa operazione comporta di fare spazio ad aspetti che prima, nello studio delle societ, erano
considerati secondari, marginali, e mira a metterne in luce la primariet: per il loro tramite si rivela,
innanzitutto, un modo diverso di abitare la terra.
A questo punto, incuriositi dalloperazione bateilliana, ci chiediamo: cosa avviene se lindagine storica,
che di preferenza si soffermata sui fattori che determinano la crescita delle societ, comincia la sua
ricerca partendo proprio dal modo in cui queste impiegano il sovrappi dellenergia? In poche parole,
cosa avviene se ci accingiamo alla comprensione storica adottando un punto di vista che privilegia la
dpense improduttiva? Partendo da questo punto di vista, possibile arrivare a dimostrare, a parere
dellautore, la primariet della dpense rispetto ai processi di acquisizione e sviluppo, che apparirebbero
cos come dei semplici derivati della prima:
Il carattere secondario della produzione e dellacquisizione in rapporto alla dpense appare nel modo pi
chiaro nella istituzioni primitive, dal fatto che lo scambio vi ancora trattato come una perdita suntuaria
degli oggetti ceduti: si presenta cos, alla base, come un processo di dpense sul quale si sviluppato un
processo di acquisizione 26 .

La via per la dimostrazione della primariet della spesa improduttiva offerta allautore dallanalisi di
alcune istituzioni primitive. In particolare, il carattere derivato delleconomia dello scambio rispetto alla
dpense sarebbe verificabile nel potlc 27 istituzione molto antica ma praticata tuttoggi dagli indiani in
alcune regioni del Nord-america che stata oggetto dindagine anche da parte di Marcel Mauss 28 .
In verit, il tema del potlc incluso generalmente in un campo estrinseco alleconomia rappresenta
uno dei termini-chiave di cui la ricerca batailleana si avvale per declinare il punto di vista delleconomia
generale, e per pensare il suo rovesciamento:
Lesame di questa istituzione cosi strana e tuttavia cosi familiare(..) ha del resto, nelleconomia
generale, un valore privilegiato 29 .

Infatti, se Bataille considera questa strana istituzione uno dei cardini per la formulazione dei
principi che stanno alla base di una economia generale, perch essa esibisce delle modalit che
riflettono e si riflettono nelleconomia generale. Sin dallinizio il potlc mostra una contraddizione,

Ibid, p. 48.
Il potlc consiste, per farla breve, nel dono di ricchezze che un capo fa al suo rivale, offerta al quale questi risponde con un
dono ancor piu generoso del primo. Si innesca cosi un sistema di doni a catena, uno scambio-di-doni.
28 Mauss si soffermato sul fenomeno del potlc nel celebre Saggio sul dono, dove ha avanzato lipotesi che questultimo, e non
il baratto, si situi alle origini dello scambio mercantile.
29 Ibid, p. 115.
26
27

36

unambiguit fondamentale: regolato da un movimento dellenergia che non riducibile allutilit, esso
sembra fare della dilapidazione, inaspettatamente, un oggetto di appropriazione.
Ma, se il movimento che regola il potlc lo stesso delleconomia generale, Bataille ne riassume in questo
modo le leggi fondamentali:
Un sovrappi di risorse di cui le societ dispongono in modo costante, in certi luoghi, in certi momenti,
non pu essere oggetto di una piena appropriazione (non se ne pu fare un impiego utile, non lo si pu
impiegare nella crescita delle forze produttive), ma la dilapidazione di queste risorse diventa essa stessa
oggetto di appropriazione.
ci di cui ci si appropria nella dilapidazione il prestigio che essa d al dissipatore ( individuo o gruppo),
prestigio che viene da lui acquisito come un bene e determina il suo rango
reciprocamente, il rango nella societ (o il rango di una societ o di un insieme) pu essere un oggetto di
cui ci si appropria nello stesso modo in cui ci si appropria di un utensile o di un campo; se infine fonte di
profitto, il principio non meno determinato da una dilapidazione decisa di risorse che avrebbero potuto,
in teoria, essere acquisite 30 .

Secondo lautore, laspetto di acquisizione che si sviluppa nel potlc 31 , non tanto rappresentato
dallinevitabile sovrappi dei doni di rivincita che tornano al donatore quanto piuttosto dal rango e
dal prestigio che il dono di rivalit conferisce a chi ha lultima parola 32
Ma se vero che il potlc resta linverso di una rapina, di uno scambio redditizio o, generalmente, di una
appropriazione di beni, ci nondimeno lacquisizione ne il fine ultimo 33 .

Animato da un movimento affine a quello del potlc, il sacrificio risponde alla volont di negare
limpiego servile di una cosa, ci che sia la schiavit, ma anche, primariamente, il lavoro, hanno come
diretta conseguenza:
Il sacrificio restituisce al mondo del sacro ci che luso servile ha degradato, reso profano. Luso servile ha
reso cosa (oggetto) una realt che, nel profondo, della stessa natura del soggetto, che si trova con il
soggetto in un rapporto dintima partecipazione 34 .

Ibid, p. 118.
Quale forma sovrana , che proclama la dissipazione gloriosa e senza profitto della ricchezza, il potlc si configura come un
fenomeno di pura perdita (dal momento che, come il dono, permette la sospensione di ogni calcolo economico) dallaltro,
tuttavia visto come un mezzo attraverso il quale le ricchezze in linea di massima possono circolare, e riprendendo su
questo punto lesito della ricerca di Mauss come quella forma arcaica di commercio che si pone ai primordi dello
scambio mercantile vero e proprio. Da un lato gioco, e come tale contrario ad un principio di conservazione
dallaltro mezzo che garantisce la circolazione della ricchezza, il potlc sembra riflettere in tutto e per tutto le ambiguit e le
contraddizioni proprie del dono. Sulla problematica del rapporto dono-economia, cfr. J.Derrida, Donare il tempo, tr.it. a cura di
Graziella Berto, Raffaello Cortina editore, Milano, 1996.
32 Ibid, corsivo mio, p. 117.
33 Ibid, p. 118.
30

31

37

Nel tentativo di restituire al mondo del sacro ci che luso profano, cio servile, ha degradato, rendendo
oggetto una realt che si poneva conforme alla natura di un soggetto 35 , questo gesto estremo si
serve della distruzione, poich questultima appare, in definitiva, il miglior mezzo per negare un
rapporto utilitario tra luomo e lanimale o la pianta 36 .
Il sacrificio votato alla distruzione senza profitto delle ricchezze, operazione il cui scopo , al limite,
quello di garantire una comunicazione sacra tra i suoi partecipanti, conquistata tramite lannientamento
della cosa e della sua utilit. Tuttavia, il movimento che lo rivela talmente denso di contraddizioni da
farne un enigma. Si verifica nel sacrificio qualcosa di simile a ci che abbiamo visto (in opera) nel potlc:
se in questultimo la perdita mutata in acquisto nel rango, la consumazione che si mette in gioco nel
sacrificio volta ad una sostanziale conservazione.
Il sacrificio il calore, dove si ritrova lintimit di quelli che compongono il sistema delle opere comuni. La
violenza n il principio, ma le opere la limitano nel tempo e nello spazio ; essa si subordina alla
preoccupazione di unire e di conservare la cosa comune 37 .

Non pi la distruzione assoluta e sfrenata delle ricchezze, ma, diversamente, la distruzione delle
ricchezze in vista della loro preservazione sembra racchiudere il significato pi profondo del rito
sacrificale. Lungi dal segnare linterruzione del calcolo economico, il suo movimento potrebbe rientrare
per un colpo di dadi negli stessi margini di quel consumo produttivo o ri-produttivo che
intendeva interrompere. Riflettiamo su una metafora:
Alla nostra sinistra non basta sapere ci che d la destra: cerca di riprenderlo tortuosamente 38 .

Oltre al sacrificio, esiste un altro momento sovrano in cui la relazione tra soggetto ed oggetto appare
spostata oltre le coordinate oppositive e frontali: la modalit comunicativa esibita dal primo si ritrova
infatti nel riso, quella forma di comunicazione maggiore in cui tutto violentemente messo in
questione, che rappresenta un altro dei temi e dei termini-chiave di cui Bataille si serve per declinare il

Ibid, p. 104.
Rendendo indistinguibili il sacrificante e la vittima, che si fondono e si confondono in una partecipazione intima, assoluta,
il sacrificio apre la possibilit di pensare una forma di comunicazione estrema, realizzabile solo a condizione di quella
perdit di s che segna la distruzione dellipseit.
36 Ibid, p. 104. Se vero che la violenza il principio che domina il sacrificio, opportuno sottolineare come questultima sia
sempre controllata: limitata dalla parte della vittima, essa non coinvolge il resto della comunit, la quale, oltre ad essere
preservata dalla rovina, garantita dal sacrificio stesso. In definitiva, se la comunit si dedica al rito, nella speranza che
questo sia un mezzo adatto per garantirla.
37 Ibid, corsivo mio, p. 107.
38 Ibid.
34
35

38

suo originale pensiero della soggettivit, orientato in direzione di una fuoriuscita delluomo dal suolo
solo calcolante.
Colui che inavvertitamente cade [colui di cui si ride] il sostituto di una vittima messa a morte, la gioia
comune del riso il sostituto di una comunicazione sacra 39 .

Se vero che il riso ed il sacrificio si muovono su di un terreno comune, perch entrambi i fenomeni
rivelano la capacit di aprire, per coloro che hanno la possibilit di farne esperienza, uno spazio in cui
vigono logiche e principi differenti rispetto a quelli che dominano il mondo del serio caratterizzato da
una modalit di comunicazione che si gioca sulla perdita di s.
Ci non significa propriamente che il riso riproduca in senso concreto la pratica sacrificale, quanto
piuttosto che esso imiti la modalit relazionale che in esso inscritta, avvalendosi di quella perdit di s
come condizione imprescindibile che, sfiorando il limite della morte, equivale ad una messa in gioco 40
totale, violenta, in cui il soggetto pu trovare coinvolta anche la propria vita:
La comunicazione pu mettere in gioco la vita intera, e le possibilit minori si cancellano in confronto ad
una possibilit cos grande 41 .

Modo per eccellenza delloperazione sovrana, il riso presentato da Derrida 42 come lo strumento che
Bataille predilige per prendere le distanze dal sistema hegeliano, e per scardinare i concetti sui quali
esso si fonda. Introdotto come quel tratto che [esploso] solo in seguito alla rinuncia assoluta al senso,
in seguito al rischio assoluto della morte 43 permette alla sovranit di farsi beffe del sistema hegeliano
e di vanificare la sua pretesa compiutezza, esso lelemento chiamato a dimostrare come sia possibile
eccedere la dialettica, ed il dialettico, in direzione di un orizzonte in cui il lavoro del senso proprio
della Fenomenologia pu essere inscritto in uno spazio illimitato di non-senso e di gioco.

G. Bataille, Il limite dellutile, tr. it. a cura di Felice Ciro Papparo, Adelphi edizioni, Milano 2000, p. 146. Su questo
argomento, lintroduzione del riso a partire dallenigma del sacrificio, cfr. Il limite dellutile di Bataille. Come il sacrificio, il riso
rappresenta un enigma; anzi, i due enigmi sono tra loro sostituibili: la questione del riso solamente unaltra formulazione
dellenigma del sacrificio, una ri-formulazione del primo che si serve di termini differenti.
40 La messa in gioco della propria vita della vita oltre ad evidenziarsi nel sacrificio e nel totale dono di s si serve
della maschera del riso, indossata ed esibita dalla sovranit come quel simbolo di rischio assoluto che le consente di
superare la signoria hegeliana. Ma che distanza intercorre tra le due figure? Secondo Derrida, lintervallo che distingue la
signoria dalla sovranit si pu cos esprimere : la differenza del senso[ e ] lintervallo unico che separa il senso da un certo
non-senso(Dalleconomia ristretta alleconomia generale, cit., p. 330).
41 Ibid, p. 144.
42 Su questo argomento, cfr. J. Derrida, Dalleconomia ristretta alleconomia generale, in La scrittura e la differenza, tr.it. a cura di
Gianni Pozzi, Einaudi, Torino, 1971.
43 Ibid, p. 331.
39

39

Sarebbe bastato, del resto, attenersi alla ricostruzione delloperazione sovrana compiuta da Derrida 44 , per
coglierla in tutta la sua portata complessa e paradossale. Osserva in proposito lautore:
Ben lungi dallinterrompere la dialettica, la storia ed il movimento del senso, la sovranit d alleconomia
della ragione il suo elemento, il suo ambiente, i suoi margini illimitati di non-senso. Lungi dal sopprimere
la dialettica, essa la inscrive e la fa funzionare nel sacrificio del senso 45 .

A questo punto, la nostra breve ricerca attraverso i momenti sovrani contenuti nella riflessione di
Bataille sta per concludersi, nella speranza che la loro analisi abbia fornito una piccola mappa per
esplorare i margini propri di una economia generale. Richiamo, infine, la nostra attenzione ad una delle
sue definizioni:
La scienza che rapporta gli oggetti di pensiero ai momenti sovrani non di fatto se non una economia
generale, che studia il senso di quegli oggetti, gli uni in rapporto agli altri e, infine, in rapporto alla perdita
di senso 46 .

Tuttavia, se possibile raccogliere insieme le considerazioni che sono state elaborate fino a qui,
ancora opportuno considerare il consumo dellenergia eccedente che si mette in gioco nel contesto
delleconomia generale come un movimento volto alla consumazione distruttrice del senso? Non si
rischia forse di incorrere in un errore grossolano ad interpretare le definizioni intorno a questa scienza
in senso cos reazionario? Ancora, se la trasgressione del senso messa in moto dalloperazione
sovrana non comporta laccesso ad un non-senso assoluto, che valore pu essa rivestire?
Una breve precisazione di Derrida alla definizione appena citata contiene, a mio avviso, il significato pi
compiuto di economia generale:
Il consumo dellenergia eccedente da parte di una classe determinata non la consumazione distruttrice
del senso: la riappropriazione significante nello spazio delleconomia ristretta 47 .

Rileggendo la questione relativa alleconomia generale e alleconomia ristretta secondo questa chiave,
leconomia generale ci apparir attraversata dal suo stesso limite, leconomia ristretta, che, in questi
termini, non appare pi un contesto ad essa esterno, ma lelemento che dallinterno ne marca il margine.
Ci si offre la possibilit di ri-considerare la relazione che, sulle prime, ci apparsa segnata da una netta
discontinuit da un profondo iato tra leconomia ristretta e leconomia generale: quale intervallo

Ibid.
Ibid, p. 337.
46 Ibid, p. 349. La definizione, citata da Derrida, contenuta nel Mthode de mditation di Bataille.
47 Ibid, p. 349.
44
45

40

divide lambito della cosiddetta spesa senza riserva, dell usura irreversibile dellenergia 48 che al
limite come pulsione di morte interrompe ogni economia, e quello proprio invece del calcolo
economico?
Accogliendo questa prospettiva, la condizione per la significazione di entrambi i contesti richiede che
ciascun elemento si rapporti allaltro. Cos come il consumo, sia pure nella sua forma produttiva, cio
limitata razionalmente, sempre il rovescio o laltra faccia dellattivit 49 , in quanto lattivit lo produce
inevitabilmente, ed un certo consumo appare sempre funzionale allattivit produttiva, allo stesso
modo, partendo dalle forme del puro dispendio improduttivo che abbiamo visto assumere le
sembianze delle forme sovrane sempre possibile ravvisare in esse degli aspetti che rimandano
alleconomia come movimento di circolazione ed acquisizione di ricchezze .
Una scommessa ci porta, infine, ad inscrivere lintervallo tra leconomia ristretta e leconomia generale
nella diffrance, n parola n concetto, ma movimento di spaziamento e temporeggiamento, divenirspazio del tempo o divenir-tempo dello spazio 50 . Con questo, non si vuole cancellare lopposizione
che divide i due ambiti, lorizzonte del lavoro e dellutile dalla parte maledetta del dispendio assoluto, il
futuro come temporalit in cui inscritta lattivit delluomo serio, dal presente che abita luomo
sovrano, n abolire la distanza tra la necessit ed il piacere come principi sottesi, rispettivamente, alla
condotta di ciascuno. Si vuole mostrare piuttosto come uno dei termini appaia come la diffrance
dellaltro, come laltro differito nelleconomia del medesimo 51 . Sicuramente i due ambiti sono tra loro
differenti e discernibili: c uno scarto a dividerli, uno spaziamento.
Tuttavia, la differenza che solca le due prospettive pu essere esplorata anche in chiave storica:
Un tempo il valore era attribuito alla gloria improduttiva, mentre ai nostri giorni lo si riferisce alla
produzione: la dpense deve cedere il passo allacquisizione dellenergia 52 .

La prospettiva storica quella che, tutto sommato, riveste maggior interesse agli occhi di Bataille, dal
momento che lanalisi dei dati storici attinenti alle societ diventa il mezzo pi adatto per informare il
lettore su quel sentimento arcaico suscitato dal conferire valore alla gloria improduttiva che
nellepoca presente sembra velato, se non, addirittura perduto, verificandosi al giorno doggi che il
valore [risulti] proporzionale alla produzione 53 .

J. Derrida, La diffrance, in Margini della filosofia, tr.it. a cura di Manlio Iofrida, Einaudi, Torino 1997, p. 48.
Vedere pi sopra, quando si parlato della differenza tra il consumo produttivo e quello improduttivo.
50 Ibid, p. 40.
51 Ibid, p. 46.
52 G. Bataille, La parte maledetta preceduto dalla nozione di dpense, p. 79.
53 Ibid, p. 79.
48
49

41

Ma se necessario come sembra difatti essere procedere a ritroso per guadagnare, o riguadagnare,
quellinversione della morale comune che lassunzione del punto di vista delleconomia generale porta
con s, allora la diffrance che inscrive in s il gioco, il dialogo, o anche la discordia tra leconomia
ristretta e leconomia generale qui anche temporeggiamento: il punto di vista che privilegia la
produzione si presenta storicamente con un certo ritardo rispetto a quello che esalta la gloria
improduttiva, rappresentandone, forse, una deviazione.
Non gi questa la svolta (Aufschub) che instaura [in Freud], il rapporto tra il piacere e la realt( Al di l del
principio di piacere)? 54 .

J. Derrida, Freud e la scena della scrittura, in La scrittura e la differenza, tr.it. a cura di Gianni Pozzi, Einaudi, Torino, 1971, p.
261.

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