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interpretazione.
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nostro malgrado, alterazione, l'autentica restituzione del testo si ha nel lasciarlo essere e valere all'interno di una problematica che lo rinnova e che , in ultima analisi, in u n
testo filosofico, il filosofare non sul testo, ma con esso, nella pi
originaria delle dimensioni filosofiche che il dialogo 3 , in
cui ci si riconosce sulla base del logo che lo fonda ed
logo l'atto stesso del riconoscersi .
Con ci la lettura di un testo, anche nell'intenzione che
potremmo dire realistica di valere come esegesi di un Autore, vale in effetti almeno come autoesegesi del pensiero, del
lettore, perch nello stesso dialogo si riproduce la situazione
dell' altro , non considerabile in un i n s oggettivo, ma,
ancora usando espressione hegeliana, in un per s attuale
e atemporale, in cui possa venire riconosciuta una problematica
fuori del tempo del suo fattuale situarsi e presentarsi.
Che quanto dire non essere la storicit riducibile simpliciter alla temporalit che ne il presupposto, essendo quella l'attualit del problema filosofico, essendo questa non altro che la
situazione in cui esso appare e se la situazione coinvolgesse
lo stesso problema , impossibile sarebbe in altra situazione riconoscerlo e dirlo *.
400
2) Lettura
[6]
metafisica.
[7]
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402
[8]
poterlo essere e che essa \'oscurarsi della verit del testo proprio nella misura in cui pretende di esserne la chiarificazione.
Procedendo a trarre le conseguenze di questo discorso, non
chi non veda che se da un canto non si possono dare interpretazioni vere , non potendo venire detta la verit di un
pensiero, dall'altro non si pu negare la verit intima del
testo. E questa verit ha per come unico modo del suo
apparire la consapevolezza critica che nessuna interpretazione (o sistema come figura della ragione , per dire con
Feuerbach) pu essere vera . Il sapere che un'interpretazione
non-vera sapere che essa un non-sapere: il sapere di essa
il suo sapersi come non-sapere.
Appare fin da questo momento, in un discorso apparentemente estraneo all'assunto di un testo come quello che mi accingo a leggere , che parlare di critica antispeculativa a
proposito di Feuerbach pu avere senso solo ridimensionando
il rapporto ( = la misura , il criterio ) della speculativit , che a chiedersi se essa possa essere antispeculativa o
non piuttosto, e pi semplicemente, antisistematica , come
critica di un preteso sapere , di un sapere che , scopertosi proiezione dell'uomo, non tanto sua creazione quanto suo riproporsi specularmente , prolungamento del suo mero
esserci esistenziale 6 .
Non si pu non vedere operante nella critica al sistema ,
implicita nella stessa affermazione della eccedenza della ragione di cui esso figura , l'istanza della radicalit con
cui, nell'intenzione di portare il discorso hegeliano alle sue conseguenze, anche lo si riporta alla sua origine teoretica. Il
movimento di chi intende svolgere coerentemente una premessa non quello dell'estrinseco applicare una teoria alla
prassi , ma quello di ritornare sul punto ritrovandolo
nella sua radicalit 7.
6
[9]
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Proprio in coerenza con il discorso svolto al primo paragrafo di questo mio scritto, il rapporto tra Feuerbach ed Hegel non
pu non venire visto in una luce ben diversa da quella in cui
abitualmente lo si vede e per la quale egli consegnato alla storia della filosofa nei generici termini di capovolgimento
{in una accettazione non critica della iniziale valorizzazione
fatta da Marx del pensiero di Feuerbach) o di passaggio dal
romanticismo al positivismo 8 , o di materialismo nominalistico 9 , nel tipico tentativo di inserire il pensatore in continuit o discontinuit fittiziamente create al di fuori del
suo pensiero 1 0 .
Dove l'atto critico con cui ci si rapporta (come si rapport Feuerbach ad Hegel) ad altro pensatore non sia da ridursi
alla mera applicazione , estrinseca e sterile, ad una realt
estranea alla sua speculazione e non si riduca alla mera analisi di tipo linguistico, vuota di significanza, e, al limite, passibile di qualsiasi alterazione , il rapportarsi si svela come
un meditato ritorno sul punto, per cui, ritornando immer wieder, per dire con Husserl, lo si ritrova, ritrovandosi in esso.
Il ritrovarsi del valore speculativo dunque una cosa sola con il ridursi ad interpretazione e, dunque, a non-sapere,
d i quella pretesa determinazione che non sia l'attualit del pensare. Che quanto dire l'impossibilit che si confonda il pensare con il rappresentare . Ora, a proposito di Feuerbach,
che avrebbe preteso di essere, non appare al tempo dei Todesgedanken
{1830), ma il movimento stesso della speculazione di F. ha questa direzione
fin dalla Dissertatio (De ratione una, universali, infinita) e quindi dalla lettera con cui F. ne invia cpia ad Hegel (1828).
8
HOFFDING, Storia della filosofia moderna, trad. it., II, 222.
* W. WINDELBAND, Storia della filosofia, trad. it., II, 347-348.
110
Nel consegnarsi ai posteri un Autore acquista rilievo per lo pi
sulla base delle sue espressioni pi empiricamente intelligibili (pretese
tali) ed a F. accade appunto di individuarsi nella espressione l'uomo
ci che egli mangia , la quale ha, nel contesto feuerbachian, non proprio la riducibilit ad un materialismo , che del resto F. rifiut con Spiritualismo e materialismo (1866), anche se fin dal 1845 si assiste ad un ripiegamento di F. dall' umanismo al naturalismo . Termini questi fuorvianti, come sempre, una lettura attenta.
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[ICO
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all'istanza
critica di
Feuerbach.
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che si mantiene interna al pensiero di Hegel, anche consapevolmente 20 e non soltanto per il linguaggio. Ma decisamente si dovr appunto scindere quell'esito, che rispetto ad Hegel, solo
una decadenza ed una involuzione 21 , dall'autentica problematica che Feuerbach trova in seno ad Hegel, ridimensionando non
poco la tesi di chi vede in Feuerbach l'esplicitazione conseguente dell' ateismo operante in Hegel, grazie al comune principio di immanenza , derivato da Cartesio 22.
Se si tiene fermo il punto, sopra delineato, della problematica inerente alla coscienza , come coscienza di s e dell'altro , si forse in grado di vedere il processo teoretico che sottende alla speculazione feuerbachiana e che sta al suo esito
naturalistico non come una premessa, ma come una critica , e dunque come la presenza dimenticata dello stesso valore
speculativo che Feuerbach cercava.
O il sapere si mantiene astratto rispetto a ci di cui
sapere (ma la critica antiintellettualistica di Hegel non lo lascia
essere), o la concretezza del sapere tutt'uno con la presenza di ci che , per la quale non possibile dire concretamente che qualcosa concreto, se non mediando questo particolare concreto con la concretezza che il sapere che
cosa significa concreto . Se per dire concretamente che questo concreto non posso non sapere che cosa significa concreto , concreto il pensiero della concretezza, o mediazione,.
20
La critica di Feuerbach ad Hegel vista da Marx come critica dal
punto di vista hegeliano, ma lo stesso Feuerbach dichiarava la propria
stretta dipendenza da Hegel (cfr. Feuerbach Verhltnis zu Hegel, in Nachlass , ed. K. Griin, Leipzig-Heidelberg 1879, Bd. I, 387 ; ed. Bolin Jodl, Bd.
IV, 147).
21
II ROSENKRANZ (Studien, V, III, 326) considera non senza tristezza
il Feuerbach (con il quale aveva difeso a suo tempo Hegel dalla critica delVAntihegel di Bachmann) un F. decaduto .
22
la tesi sostenuta da C. FABRO, Feuerbach-Marx-Engels: materialismo dialettico e materialismo storico, Brescia 1962, XII ss. ; ma anche la
tesi di G. NUDLING, Die Aflosung des Gott-Menschverhltnisses bei L.F., nel
voi. Der Mensch vor Gott, Festschrijt Th. Steinbiichel, Dusseldorf 1948,
208. Cfr. C. FABRO, Introduzione all'ateismo moderno, Roma 1964, 620-642.
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4. Il reale e il vero .
La stessa impostazione del presente discorso domanda che
n o n si pervenga a proporre problemi estranei al pensiero di Feuerbach 38, ma anche domanda che legga in Feuerbach la problematica che il suo pensiero esigeva (anche se non esplicitamente
presa in considerazione dall'Autore). Del resto solo su questa
linea che appare unitariamente la possibilit di dare lo sfondo
teoretico alle interpretazioni che ne trascelgono o ne evidenziano
un aspetto . evidente che la ricerca di ci che sottende al pensiero di Feuerbach non pu approdare ad una qualche unificazione storiografica di fondo e di tipo eclettico, ma deve valere,
in coerenza con quanto ho detto fin qui, come dialogo teoretico
con il suo pensiero .
L'essenzialit della dialettica tra reale e vero appare
chiaramente l dove per essa risulta necessaria la negazione della
definitivit del sapere umano come sapere assoluto (e dunque
si restituisce all'uomo, con la affermazione della sua non-assolutezza, la possibilit di essere finito e dunque se stesso), ma
anche risulta necessario pervenire alla affermazione della finitezza del sapere umano (il sapere di non sapere, il sapere di non
essere Dio) solo mediante la negazione della pretesa monistica ed
immanentistica 4 0 .
38
Decisamente estraneo mi sembra, ad esempio, un problema dell'" essere (cfr. G. BALLANTI, Il problema dell'essere in Ludovico Feuerbach, in Rivista di filosofia neoscolastica , 1951, 125-145).
m
Si pu considerare senza difficolt di Feuerbach l'aspetto scopertamente pi esistenzialistico (cfr. H. ARVON, Ludwig Feuerbach, ou la transformation du sacre, Paris 1957), o si pu evidenziarne la drammatica frizione con la cultura accademica da parte della cultura eterodossa (cfr.
L. PAREYSON, Esistenza o Persona, Torino 1950, soprattutto 9-12), o si pu
sottolinearne ancora con lo ARVON (cit., 17) l'apparire dell'umanismo ateo
(H. d. LUBAC, Le drame de Vhumanisme athe, Paris 19453), magari facendo
risalire allo stesso Hegel l'apparire di questo ateismo (cfr. E. RAMBALDI,
Le origini della sinistra hegeliana, Firenze 1966, 190) in connessione con la
dialettica della morte sulla quale fa leva A. KOIVE, La dialettica e Videa
della morte in Hegel, trad., Torino 1948, 143 ss.).
"* L'esito dunque, materialmente, il medesimo che in FABRO, Introduzione all'ateismo moderno, cit., 620-659; o in A. DEL NOCE, // problema
dell'ateismo, Bologna 1964; ma formalmente il processo che vi porta
119]
413
Il vero fa essere il reale e lo sostanzia, perch, affermandosi, il reale intende valere e solo per valere esso si afferma. Il reale perci non il vero e il vero tale non sarebbe
se fosse reale . La tensione , tuttavia, che mantiene non identici i due termini, non pu appartenere ad entrambi i termini n
pu situarsi al di fuori di essi, neutralizzandosi come indifferente
al reale e al vero. Essa deve appartenere solo al reale perch se
non vi appartenesse, questo svanirebbe in una totale indipendenza, svuotato di essenza ; se appartenesse al vero, invertirebbe
il senso della dipendenza e vanificherebbe il vero, perdendosi
in esso.
Una tensione che sia per il tendere di entrambi i suoi
termini, del reale e del vero , sarebbe il vanificarsi dei due
termini l'uno nell'altro e l'esito della tensione sarebbe e non sarebbe, essendo la negazione di entrambi i termini, riproposti indefinitamente l'uno nell'altro e nella reciproca negazione.
Poich il tendere necessario al reale (se il reale non tendesse al vero, sarebbe esso il vero e non vi sarebbe posto per
la possibilit della negazione in cui v e la realt della ricerca
od esperienza o storia ), e il vero condizionante il tendere (orientato dalla operante presenza del vero), diremo che
il tendere esclusivo del reale e nulla vi pu essere di reale che sia estraneo al tendere : il reale tutto nel proprio
tendere e nulla v' in esso che permanga. Se qualcosa in esso permanesse, non reale sarebbe, ma vero e varrebbe come vet realizzata e dunque perduta.
Dire infatti che qualcosa del reale estraneo al vero equivale
a dire che il vero estraneo al reale, cos da realizzare entrambi i
termini in una estraneit che li assolutizza entrambi. Cos)
l' esserci (realt) e il valere (verit) si identificherebbero, ma
assurdamente, perch anche l'identificazione tra reale e suo
non una mera esclusione o condanna sulla base della critica del
principio di immanenza , che faccia leva sulle sue deleterie conseguenze (Fabro) o sulla riformulazione del pari pascaliano (Del Noce),
bens la determinazione critica della contraddittoriet intima dell'immanentismo, per il quale il reale vero, perch, al limite, il vero non
<storicismo, nei suoi epigoni).
414
[20]
valore intende valere ( = essere vera) e dunque assume se stessa come verit 41 . Ogni reale dunque tale per il suo tendere al vero, che il suo stesso non essere l'essere a cui tende,
il suo non-essere concluso ed autosufficiente nei confronti dell' essere . Ed questa la sua finitezza , cos che non potendosi mai identificare con il vero , continua ad essere il proprio
tendere . Il tendere perci infinito ; ma la infinitezza del
tendere l'attualit del finito , essendo la realt del reale^
che il suo stesso non essere il vero 42 .
Usando la metafora della luce , della quale il pensiero filosofico conosce l'intuitiva significanza, si potrebbe tradurre, i n
questo contesto, lo spinoziano verum index sui et falsi nel linguaggio di Hlderlin : la verit la luce che illumina se stessa e
anche la notte 43 . Nella tensione tra reale e vero, che la non
reificabilit del vero , si pu dire dell'intero che un quieto
41
L'assurdo di tale identificazione, che si ritrova in qualsiasi immanentizzazione , anche l'insignificanza della positivizzazione del
valore nel senso inteso dal positivismo, ossia della fattualit del
vero : se il vero il fatto, non il fatto in realt si assume, ma il vero
che si pretende che sia (sulla innegabilit del valore cfr. il mio Su l'autentico nel filosofare, Roma 1963 ; la portata di tale innegabilit acutamente
sviluppata da E. BERTI, II valore teologico del principio di non contraddizione nella metafsica aristotelica, in Rivista di Filosofia Neoscolastica ,
56, 1968, 1-24).
42
La problematica del finito sullo sfondo dell'intera speculazione feuerbachiana, ma, come si sa, essa ha particolare risalto nei Todesgedanken, per l'identificazione tra il fine della cosa e la sua fne~
Come si vedr pi avanti, la finitezza e la coscienza di essa sono
essenziali all'uomo. Se per Hegel l'essenza universale dell'uomo lo Spirit (Enc, par. 384), la determinazione dell'uomo procede in senso metafisico e non in senso antropologico . Quando Feuerbach vorr fondare con la critica della filosofia divina, la critica della filosofia umana
(Premessa ai Grundsdtze der Philosophie der Zukunft), intender sostituire la considerazione metafisica dell'uomo con quella antropologica ,
ma in effetti solo all'interno della finitezza saputa tale (metafisica)
dell'uomo che avrebbe senso determinare l'uomo come corporeit . Il
rifiuto della considerazione speculativa qui piuttosto un oblio di essa.
43
121]
415
equilibrio di tutte le sue parti **, senza essere l' inerte solitudine 45 .
5. Il significato
dei Todesgedanken.
In coerenza con il discorso svolto, dunque, posta cos la pregiudiziale, non arbitrariamente pregiudicante, della insignificanza di ci che si pretende estraneo alla coscienza filosofica. Se
la ragione spirito, dacch la certezza di essere ogni realt elevata a verit ed essa consapevole a se stessa di s come del suo
mondo e del mondo come di se stessa *6, dire che per giungere alla conoscenza del mondo, bisogna passare attraverso la
conoscenza degli altri uomini, l'altro il vincolo tra l'io e il
mondo 47 , per cui il Mondolfo intende valorizzare il motivo
feuerbachiano dell' umanit , significa equivocare sull'uso delle parole coscienza e ragione , perch supporre o reintrodurre surrettiziamente un uso della ragione come quello che,
rivelatosi astratta distinzione, Hegel mostra impossibile, nella
Einleitung alla Fenomenologia: la ragione come strumento, come
semplice Werkzeug*3.
In tanto sarebbe possibile vedere la filosofia come la cultura umana che prende coscienza di s ** e la coscienza presente nella cultura dove questa sia saputa come tale, ma irriducibile ad essa. Cos, l'emergenza della coscienza sulla cultura
gi per se stessa il risolversi dialettico della cultura come nonfilosofia 50.
** HEGEL, Fenom., cit., 11,20.
45
46
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50
183.
416
[22]
A questo punto, il discorso diventa non altro che una esplicitazione, dunque lo posso interrompere. Ci che, nella luce originaria della speculazione che vi sottende, emerge dai passi essenziali del testo ancora e solo la dialettica essenziale al filosofare :
la metafisica di finito-infinito. Il resto (l' umanit , la corporiet ) solo retorica ed enfasi.
L'importanza che annetto ai Todesgedanken pu apparire
dunque superiore a quella che lo stesso Feuerbach, interprete di
se stesso, pot attribuire loro, ma in essi la speculazione
ancora essenziale ed il momento interpretativo ancora contenuto, o almeno si assiste al sovrapporsi di quest'ultimo alla sottesa ed operante tensione speculativa 51 .
L'essenza dell'uomo la sua finitezza e la coscienza di essa.
La coscienza sapere che tutto il finito finisce nel proprio finire,
che il finire del finito il suo essere da sempre finito, perch altronon pu essere, se non finito . Il suo essere, da sempre finito,
il suo non-essere.
Pensare risolvere nella coscienza la finitezza del finito, sapendola. La finitezza , dunque, l'essenza di ci che non-essente
e come tale esiste , la sua non-essenza. L'autentico essere di
ci che finito come essere il suo sapersi non-essente. E questo sapersi solo nella forma della coscienza di ci che non ..
questo l'atto della coscienza in cui e per cui ci che finito
ad andare oltre la terza parte della sua Fenomenologia ed al primo volume
della sua Logica (cfr. K. LOWITH, op. cit., 129, nota). Ma, a rigre, sarebbe
bastata la lettura della prima parte della Vorrede alla Fenomenologia.
51
Le vicende estrinseche dell'opera sono note: fu pubblicata anonima nel 1830 a Norimberga, col titolo Gedanken uber Tod und Unsterblichkeit, aus den Papieren eines Denkers, nebst einem seiner Freunde, ma
Feuerbach riconbbe di esserne l'autore solo nel 1839. Tuttavia gi nel
1836 l'opera costituiva, nonostante l'anonimo, argomento contro la nomina di F. a professore straordinario a Erlangen (cfr. la lettera del protettore Engelhardt del 22 settembre 1836). L'A. rimaneggi il testo allorch
raccolse nel terzo volume dei Sdmmtliche Werke (edito nel 1847) i suoi
scritti sul problema della immortalit . La presente lettura del testo
condotta sull'edizione del 1830, riprodotta in S.W., Bolin-Jodl, 1860, nella
ristampa del 1959-60 (S.W., Bd. I e Bd. XI). Utilizzo passi tradotti da
C. CESA, FEUERBACH, Opere, Bari 1965, 11-75, che sono in effetti essenziali
alla intelligenza dell'opera.
[23]
417
saputo come finito e intanto finisce. Il finire, inerente alla finitezza, tutto negativo per ci che-finisce, ma la sua positivit
nella coscienza della negativit del suo finire . Perci il valore
di ci che finisce tutto nel sapere che esso finisce ; tutto nella
coscienza del suo finire. La coscienza del finire , in quanto
finita ( = in quanto coscienza dell'uomo) tutta nel finire di cui
coscienza. Ma, poich la stessa finitezza della coscienza, in quanto finitezza, il suo finire, la coscienza umana non la coscienza, che questa non pu finire.
Non pu infatti finire la coscienza, perch in virt della
infinitezza che possibile sapere la finitezza e, se questa fosse
tutto l'essere (se solo il finito fosse), il finito sarebbe infinito, non
sarebbe. Il finito non , ma il suo non-essere il non-essere finito,
non il suo non essere l'infinito solo apparentemente, ed essere in
realt infinito. La differenza tra il finito e l'infinito che la differenza tutta nel finito e finisce in esso e con esso.
L'affermazione che solo l'infinito vale come affermazione
che l'essere solo come infinito essere e che l'essere del finito
tutto nel finire di essere e dunque il suo inizio coincide con
la sua fine e muore sul nascere, il suo nascere il suo morire.
L'essere del finito, essendo il suo finire, la sua morte: la
morte la finitezza, ed nel suo morire che essa , ed come
"il suo stesso morirsi : la morte stessa si muore e si muore
nell'immortalit della coscienza, nella infinitezza del suo essere
tutta e solo coscienza.
La coscienza che il finito ha dell'infinito ancora la finitezza
che si proietta su di esso e lo ricopre e, per quanto si sforzi di
vederlo nella sua infinitezza, non l'infinito essa vede, ma se stessa,
nella propria finitezza : la coscienza che il finito ha dell'infinito
infatti coscienza finita; e il finito finitizza tutto, anche l'infinito,,
e tutto muore in esso, anche l'immortale.
Il finito, infatti, si finge immortale perch non accetta la propria morte, anche accettando la propria finitezza, anzi, pretende
di accettare la finitezza che morte, che fine, senza accettare
di morire e di essere il proprio morire. Cos esso concepisce
l'infinito che non muore come ci che garantisce ad esso il suo
418
[24]
non morire, dove, invece, per esso ed in esso si muore anche l'immortale che lo riflette o sul quale esso si proietta.
L'immortale l'infinito che la coscienza fa morire in se stessa ; ma poich la coscienza finita finita nel suo morire, muore in
essa anche la morte dell'Infinito e questo resta perci immortale.
vera dunque la morte di Dio nella misura in cui Dio
gi morto nella coscienza, finita, che il finito ha di Lui. Ma questa
"verit tutta nella coscienza finita e si perde con essa ; e dunque
non vera la morte di Dio , come non vera la vita reale del
finito che lo fa morire.
Il pensiero della morte , dunque, l'essenza della coscienza
del finito che sa la sua finitezza, che la sua morte ; e la coscienza finita, infatti, pretende di essere coscienza della morte e
della immortalit e di essere immortale nonostante la sua finitezza ; ma la sua verit che essa l'immortalit in quanto coscienza e la coscienza , in quanto coscienza, non-finita.
dunque l' immortalit che pensa la morte od nella immortalit della coscienza che appare e si svela il morire di ci che
gi morto, essendo finito . Cos, da un canto, la morte fisica,
quella che nel tempo verr, solo un mostrarsi nel tempo di
ci che da sempre morto, o il tempo di questo mostrarsi , che
anche il tempo finitezza e morte; dall'altro, questo mostrarsi
della morte metafisica , che la finitezza, come fisico morire
delle cose poi tutt'uno con il tempo che si estingue, che ci in
cui ma non per cui ogni cosa si muore.
Perisce, infatti, nel tempo solo ci che per se stesso perituro e il tempo non fa che togliere il velo nel tempio di Iside, il
suo atto disvelare . Perci non si perisce propriamente
con il tempo, ma tempo questo perire e l'infinito ci in cui
si perisce: il perire del finito l'essere stesso dell'infinito che
non pu perire, non altro e insieme non identico, dialetticamente
presente nella nostra morte.