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Lo scambio
Donna Malisenda aveva reso possibile la pacificazione tra due
famiglie che un odio antico aveva tenuto separate. Un vecchio
sgarbo fatto dal padre di Gregorio, Ascanio di Forl, al conte
Francesco, padre di Malisenda, aveva diviso le due famiglie. La
sorella di Ascanio era stata promessa in matrimonio al figlio del
conte. Tutto era pronto per il matrimonio. I patti non mantenuti
per la dote furono la causa che ne impedirono leffettuazione.
Dallora non si erano pi salutati e i loro rapporti nel tempo si
erano trasformati in odio. Nel frattempo Il conte aveva visto le
sue ricchezze assottirgliarsi, mente il padre di Gregorio, ricco
mercante, si arricchiva sempre pi. La proposta di matrimonio
mandata attraverso un emissario del conte fu ben accolta da
Ascanio, che vide nel matrimonio loccassione per salire nella
scala sociale. In cambio di una ricca ricompensa al conte, Donna
Malisenda entr a far parte della famiglia di Ascanio.
Non si erano mai visti. Gregorio era molto pi giovane della
moglie. Accett il matrimonio perch spinto dal padre, al quale
non volle fargli torto. Donna Malisenda era donna autoritaria e
dispotica. Apparentemente si comportava da donna fedele devota,
ma, quando si trovavano da soli, il suo carattere emergeva in
tutta la sua rudezza. Si concedeva, quando lei lo riteneva. Spesso
rimproverava al marito la sua provenienza sociale. A poco a poco
divenne succube del carattere della moglie e inizi a odiarla in
segreto.
Lambivalenza di comportamento della moglie lo confondeva:
nellintimit era una donna molto diversa da come appariva di
fronte alle altre persone. La riconciliazione tra le famiglie la
aveva posta al centro dellintesa. A questo pegno e strumento di
concordia assegnava un ruolo che oltrepassava il suo destino
individuale e le sue aspirazioni. Mantenere lalleanza tra le due
famiglie, evitando qualsiasi comportamento represenbile, era
imperativo categorico. Riteneva suo dovere assicurargli luso del
suo corpo, preparare il bagno caldo, un letto pronto e una tavola
apparecchiata per quando tornava dal lavoro. Da nubile aveva
obbedito al padre al fratello e al tutore, tacendo le sue intime
aspirazioni.
Ora se ne stava chiusa nella propria camera, filava e tesseva.
Vegliava su tutta la famiglia, ordinandone i ritmi e le attivit.
Dava ordini alla cuoca e agli altri servitori. Lobbedienza al
marito era evidente. Accettava il controllo dei luoghi in cui si
recava sempre accompagnata da Angelica, la sua dama di compagnia.
2.Aloigi
Era tornato dalla quarta crociata, caratterizzata da violenze
insensate, Il ritorno non fu meno avventuroso dellandata. Gi si
avvertivano i segni di stanchezza da parte dei combattenti. In
tutti vi era la convinzione che presto ci sarebbe stato un
inarrestabile declino che sarebbe culminato con il definitivo
annichilimento da parte ottomana. La nave del cavaliere Aldebrando
dovette subire in pi di unoccasione lassalto dei predoni arabi.
Si salvarono grazie alla perizia del capitano e al valore dei
soldati, quando la nave fu attaccata. La nave attracc nel porto
di Pisa e da qui Adelbrando e i suoi uomini, veramente pochi, pot
raggiungere Firenze. La gran parte dei compagni era perita e i
pochi rimasti avevano il segno di gravi menomazioni. Lui ne era
uscito incolume e senza danni, almeno fisici. La sua tempra di
soldato si era attenuata e il ritorno in Patria fu una
liberazione. Per capire cosa spingeva migliaia di cavalieri a
intraprendere una missione tanto onerosa e pericolosa non bisogna
dimenticare che si trattava di uomini medioevali, i quali la
pensavano in maniera molto differente dall'uomo moderno e
soprattutto avevano un fortissimo senso religioso.Tuttavia, questo
idealismo non fece comportare i crociati in modo particolarmente
pio durante il viaggio: erano guerrieri devoti ma altrettanto
arroganti e brutali, e non mancarono atti di violenza e azioni
riprovevoli. Era partito entusiasta e ne era ritornato deluso e
amareggiato: gli orrori e le brutture della guerra lo avevano
segnato per sempre.
Il bisogno di ritornare a vivere era vivo in tutti. Anche
Adelbrando volle la sua serata di divertimento. Dopo tanti anni di
stenti, aveva bisogno di emozioni forti. Chi poteva fornirle era
la Taverna del dannato. Qui si poteva bere e avere anche una
donna per la notte. Si vest con panni umili e plebei e si
avventur in un vicolo oscuro per raggiungerla. Era un vicolo
malfamato fatto dei peggiori deliquenti: frequenti erano rapine,
specialmente quando notavano qualcuno che vestiva con abiti
insoliti. Nessuno dei soldati osava avventurarsi nel vico dove si
trovava la Taverna: rischiava di essere quanto meno occoltellato.
La taverna veniva, per cos dire, tollerata dalle autorit. Era
frequentata dal popolo degli emarginati: giocolieri, giullari,
mimi, vagabondi, menestrelli, prostitute, ladri e banditi. Questi
ultimi, pur essendo stati cacciati dalla citt, mai se nerano
allontanati: vivevano in semiclandistinit. Apparivano e
scomparivano. Frequentavano i luoghi marginali ai mercati e alle
fiere, con lo scopo di adescare un mercante o un contadino. Era un
popolo che lasciava poche tracce. Non stabilivano rapporti, non
ereditavano, non si sposavano, ma convivevano, spesso con pi
donne.
4. Il testamento
Siamo a Firenze nel 1347. Le epidemie, a causa della denutrizione
conseguente alle carestie e alle guerre, avevano dimezzato la
popolazione. La citt da centomila abitanti si era ridotta dopo il
flagello a cinquantamila. Con regresso demografico si ebbe anche
la riduzione della durata media della vita che pass dai
trentacinque/quaranta si sarebbe arrivati a venticinque. Solo una
minoranza giungeva allet matura. Pochi potevano mantenere a
carico una quantit di figli e la societ si reggeva
sullesperienza di pochi.
Chi invece ne era uscito indenne, pur avendo avuto durante la
pestilenza sei figli morti, era Francesco di Iacopo del Bene. Era
un contadino povero, sopravvissuto insieme alla moglie e due
figli. Si era salvato grazie allacqua, non inquinata, del pozzo
presente nella sua terra e ai prodotti, che, pur non essendo
abbondanti, erano sufficienti per la sua famiglia e alla Chiesa
locale, i cui rappresentanti si erano ridotti di numero.
Ringraziava Dio senza lamentarsi nel posto nel quale lo aveva
collegato. Mai aveva pensato, considerandolo un peccato di
orgoglio, di elevarsi dalla sua condizione.
Non aveva animali da tiro, per i suoi lavori nei campi, che
prendeva in concessione da altri pi benestanti. La mietitura era
fatta con uana piccola falce. La sua preoccupazione fondamentale
era quella di assicurare alla sua famiglia e agli aventi diritto
la produzione cerealicola. La differenza, che era anche
gerarchica, si basava sulla qualit del pane: bianco per il
feudatario e gli ecclesiastici, pane di mistura per i contadini
pi benestanti, di segale o addiritturadi sorgo per quelli pi
poveri. I vincoli, in seguito alla pestilenza, soprattutto col
clero locale e col feudatario, si erano allentati. Si cercava in
modo affannoso di fare da s e vivo in tutto il desiderio di
anarchia. Iacopo, con la diminuzione del numero dei figli, si era
trovato in una condizione migliore, perch aveva meno bocche da
sfamare. Qualche prodotto gli sopravanzava e vincendo la sua
ritrosia morale decise di andare in citt, dove si era
incominciato a praticare il baratto. Sicuramente poteva barattare
col sale o qualche spezia oppure vendere e procurasi del denaro.
Il mercato era fatto: uno, pi modesto, fatte da persone che
indirizzavano il lavoro alla finalit della sussistenza secondo la
mentalit artigiana, un altro, molto pi ristretto, fatto da
mercanti che commerciavano con loriente dal quale importavano le
spezie, il sale e lallume. A distinguirli era non tanto la
ricchezza, non sempre coincidente, quanto dal tipo di mercato. Il
per le sue sante questue. Ora aveva cambiato richiesta in: Date
lofferta al seminario!
6. Lenclave di S.Cesario
La posizione degli orafi nella societ era elevata e grande era la
considerazione presso vescovi e conti, che si avvalevano delle
loro opere per adornare chiese e cattedrali. Loreficeria era una
delle grandi tecniche-pilota dellarte, tecnica in cui si
provarono i migliori artefici. Il pregio della materia prima
utilizzata, il loro prezzo, la loro rarit erano avvertite come
una sfida per lartista. Tutte le opere pi pregevoli, per, non
erano firmate dallautore, ma dal committente. Anche le monete,
con le quali il grande mercato italiano domin il mercato
internazionale, erano doro. Il genovino, il fiorino, lambrogino
e il ducato tenevano banco su tutti i mercati ed erano apprezzati
per la loro stabilit. Tutte le monete doro erano allineate col
fiorino che pesava g 3,56 doro a 18 carati. Il fiorino,
certamente, era il pi ricercato per la bellezza del conio.
Arduino da Forl, piccolo mercante, era affascinato da questo
metallo, non tanto per gli scopi artistici quanto per il suo
valore intrinseco. Aveva obbligato i due figli, Ardovino e
Romualdo, a imparare il mestiere di alchimista, che combinava
insieme chimica fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia,
medicina, misticismo, e religione. La trasmutazione dei metalli di
base in oro, con la pietra filosofale, simbolizzava un tentativo
di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini
dell'esistenza. Gli alchimisti credevano che l'intero universo
stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l'oro, per la sua
intrinseca natura dincorruttibilit, era considerato la pi
perfetta delle sostanze. Era anche logico pensare che, riuscendo a
svelare il segreto dell'immutabilit dell'oro, si sarebbe ottenuta
la chiave per vincere le malattie e il decadimento organico. Tutti
i tentavini fatti, combinando insieme vari elementi tra cui zolfo
e mercurio, avevano dato risultati negativi.
Ardovino e Romualdo si erano convinti che ogni fatto, ogni evento
o fenomeno naturale andava compreso e analizzato passandolo al
vaglio dell'esperimento. Riuscire a riprodurre concretamente il
fenomeno, previsto dalle teorie, era la base per verificare
concretamente ed empiricamente l'esattezza delle teorie fisiche.La
capacit di replicarlo a piacere e di prevederlo con esattezza
erano condizioni fondamentali di qualsiasi conoscenza scientifica.
Ben presto si erano convinti che trasformare gli altri metalli in
oro era assurdo e che lunico modo per ricavarlo era trovarlo in
natura, o in sabbie aurifere o in filoni contenuti nelle rocce.
7. Il Templare
La scansione della societ cristiana in ricchi e poveri era
sostituita in quella pi pratica e indicativa di milites e rustici
che implicava lindividuazione funzionale tra coloro (pochi) che
avevano il prestigio di portare armi e coloro i quali (la gran
parte) ci si aspettava un impegno nel mondo della produzione tale
da soddisfare le esigenze materiali di tutti. I tre livelli
funzionali di societ degli oratores, dei bellatores e dei
laboratores nascondevano sotto unapparente realt profonde
contraddizioni sociali. Far parte dei laboratores (contadini e
artigiani) era molto pi duro che far parte degli oratores e dei
bellatores. Proprio di questultimo era entrato a far parte
Tibaldo di Bethune, diventato da poco con una solenne cerimonia
cavaliere.
Il padre era stato cavaliere e crociato. Accanto ovviamente ai
privilegi erano connessi anche i doveri. Nel tempo questi ultimi
erano diventati pi gravosi dei primi. La stessa cerimonia di
addobamento era diventata costosa. Il cavaliere novello era tenuto
a offrire ai convenuti il banchetto e doveva provvedere agli
addobamenti con la veglia darmi, il bagno e i doni. Il suo eroe
era Rolando, il nipote di Carlomagno, morto eroicamente durante
unimboscata al passo pirenaico di Roncisvalle, esempio di
martirio per la fede.
Anche senza guerre, lavventura si viveva anche nel quotidiano. La
caccia al cervo, al cinghiale, allorso, assumeva il carattere,
oltre che agonistico, anche quello dinizializzazione alla guerra
ed era funzionale alladdestramento militare. Vi erano poi i
tornei, che si configuravano come vere e proprie battaglie. Il
cavaliere, come tutte le persone che vi rotavano attorno ad essi
(giullari, trovatori, araldi) non cessava di vantare le lodi del
torneo come scuola di coraggio e di lealt. Tibaldo era diventato
uno dei calvalieri pi apprezzati per il suo coraggio e per la sua
abilit. La Chiesa non li vedeva di buon occhio, perch nel torneo
si commettevano tutti i settte peccati, dalla superbia per il
desiderio smodato di gloria e di onori, allavidit per il bottino
costituito dalle armi e dai cavalli degli avversari. Infine, il
vizio di cui era vittima e succube Tibaldo, la lussuria, perch i
torneanti si scontravano per compiacere le loro dame, delle quali
portavano in combattimento i colori e altri pegni, a mo di
stendardo. Tibaldo percorreva castelli e citt, sfidando chiunque
volesse misurarsi in torneo con lui.
8.Lincesto
Aveva viaggiato per tutta lEuropa, dalle Fiandre alla Castiglia.
Ovunque aveva lasciato il segno del suo passaggio. Accompagnato
dal suo fedele Igino, Adolfo, figlio del conte Don Ubaldo, aveva
corteggiato e posseduto molte donne, da quelle nobili a quelle dei
prostriboli. Cercato da tutte le parti da mariti traditi e offesi,
doveva continuamente nascondersi e spostarsi da un posto
allaltro. Frequentatore assiduo dei luoghi pi malfamati, fatto
soprattutto da prostitute e protettori, aveva conosciuto Igino,
tanto esperto nelle truffe quanto pronto con la lingua con le sue
battute salaci. Adolfo era stato colpito dalla furbizia e dalla
sua intelligenza e gli aveva proposto di seguirlo nelle sue
avventure.
Igino era figlio di una prostituta. La madre lo aveva voluto solo
per ottenere maggiori favori. Partecipava ai riti religiosi,
faceva lofferta al prete. Al figlio aveva dato suoi padrini e al
battesimo avevano partecipato altre rappresentanti della sua arte.
Divenuto grande, Igino si diede a esercitare il mestiere di
protettore delle prostitute, avendo fatto tesoro dellesperienza
materna. La madre aveva provveduto a introdurlo nel suo giro,
trattandolo, per, come un estraneo se solo avesse cercato di
farle concorrenza in fatto di astuzia. Era diventato come sul
dirsi un illegale roi del filles amoureuses. Il suo ambiente
erano i luoghi dincontro delle popolazioni rurali, i mercati, le
fiere, i mulini e le taverne, le prostitute si spostavano da un
villaggio allaltro, accompagnavano gruppi di mietitori, di operai
o di mercanti. Nelle citt le meretrici avevano un posto fisso,
lamore venale era uno dei prodotti offerti sul mercato cittadino.
I suoi compagni erano ladri, banditi, giocolieri e giullari.
Avevano trovato rifugio in un convento grazie allaccoglienza del
Priore, amico e vecchio confessore del conte Ubaldo. Alla sua
morte, Adolfo, oramai diventato conte, aveva sposato Donna
Ermelinda dal quale aveva avuto una figlia e un figlio. Era
tornato alla vita ordinaria, fatta di feste e di ricevimenti. La
mattina riceveva contadini, mezzadri, coloni, monaci e cavalieri.
Questo per tutta la settimana, solo il venerdi si allontanava dai
suoi compiti. Era giorno, diceva, quando andava a far visita al
conte della contea vicina, don Reginaldo, col quale si esercitava
nel mestiere delle armi.
La figlia, donna Rachela, era una bella donna, ma aveva una forte
accentuazione quantitativa della sessualit, una sorta di
9. Suicidio o omocidio?
Fu trovato morto ai piedi della torre. Suicida o era stato spinto?
Perch si era suicidato? Chi poteva volerlo morto? E perch? I
frati del convento si rivolgevano queste domande, mentre si
preparavano al suo funerale e alla sua sepoltura. Se era stato
suicida, non poteva essere portato in chiesa per la cerimonia
funebre. Nellindecisione decisero per questultima.
Il novizio Adalgiso era stato accolto nel convento per diventare
monaco. Non era il solo: ve nerano altri provenienti da tutte le
classi sociali, figli di borghesi mercanti e contadini. Proveniva
da famiglia contadina. Era stato ammesso al convento, quale
novizio, grazie alle roccomandazioni del curato del villaggio, Don
Romualdo, che aveva notato nel giovanetto una predisposizione al
canto, alla preghiera e alla recitazione dei salmi. I genitori
erano contenti della sua vocazione e lammissione al convento fu
per loro motivo di orgoglio. Finalmente uno dei loro figli poteva
diventare monaco e assicurare privilegi a s e alla sua famiglia.
Lo accompagnarono con animo lieto. Furono ricevuti dal Priore e da
uno dei monaci che sarebbe stato suo precettore e tutore, Don
Salvatore. Al precettore piacque subito il giovane non solo per il
suo aspetto fisico, ma anche, laveva subito notato, per la sua
vocazione e per il senso di rispetto che dimostrava verso
lautorit. Si recava la mattina presto in chiesa a pregare e vi
rimaneva anche oltre la regola prescritta. Si confessava spesso e
si avvicinava con frequenza e continuit ai sacramenti. Nello
studio eccelleva in tutte le discipline, tranne che in greco, il
cui professore era il suo precettore.
Don Salvatore era stato cavaliere. Aveva servito duchi e conti.
Nelle sue numerose avventure aveva conosciuto gente di ogni razza
e di ogni tipo. La sua era stata una vera vocazione. Stanco del
mondo, aveva lasciato beni e ricchezze ed era andato in convento a
farsi monaco. Qui aveva, una volta presi gli ordini, accanti i
numerosi compiti, quello di insegnare. Accanto allinsegnamento vi
erano la preghiera, la confessione, la coltivazione dellorto e,
cosa pi importante, lazione di tutoraggio nei riguardi dei
novizi. Cercava di nascondere le sue pulsioni sessuali, che ogni
tanto e specialmente di notte, lo assalivano. La cosa strana, non
erano sogni con rapporti con laltro sesso ma quelli strani e
indescrivibili con qualcuno o qualcosa di cui non riusciva a
vederne con esattezza i contorni. La presenza di Adalgiso era per
lui un vero conforto. Don Salvatore lo facilitava nelle sue
lezioni di greco, spesso il giorno prima del compito, gliene dava