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1.

Lo scambio
Donna Malisenda aveva reso possibile la pacificazione tra due
famiglie che un odio antico aveva tenuto separate. Un vecchio
sgarbo fatto dal padre di Gregorio, Ascanio di Forl, al conte
Francesco, padre di Malisenda, aveva diviso le due famiglie. La
sorella di Ascanio era stata promessa in matrimonio al figlio del
conte. Tutto era pronto per il matrimonio. I patti non mantenuti
per la dote furono la causa che ne impedirono leffettuazione.
Dallora non si erano pi salutati e i loro rapporti nel tempo si
erano trasformati in odio. Nel frattempo Il conte aveva visto le
sue ricchezze assottirgliarsi, mente il padre di Gregorio, ricco
mercante, si arricchiva sempre pi. La proposta di matrimonio
mandata attraverso un emissario del conte fu ben accolta da
Ascanio, che vide nel matrimonio loccassione per salire nella
scala sociale. In cambio di una ricca ricompensa al conte, Donna
Malisenda entr a far parte della famiglia di Ascanio.
Non si erano mai visti. Gregorio era molto pi giovane della
moglie. Accett il matrimonio perch spinto dal padre, al quale
non volle fargli torto. Donna Malisenda era donna autoritaria e
dispotica. Apparentemente si comportava da donna fedele devota,
ma, quando si trovavano da soli, il suo carattere emergeva in
tutta la sua rudezza. Si concedeva, quando lei lo riteneva. Spesso
rimproverava al marito la sua provenienza sociale. A poco a poco
divenne succube del carattere della moglie e inizi a odiarla in
segreto.
Lambivalenza di comportamento della moglie lo confondeva:
nellintimit era una donna molto diversa da come appariva di
fronte alle altre persone. La riconciliazione tra le famiglie la
aveva posta al centro dellintesa. A questo pegno e strumento di
concordia assegnava un ruolo che oltrepassava il suo destino
individuale e le sue aspirazioni. Mantenere lalleanza tra le due
famiglie, evitando qualsiasi comportamento represenbile, era
imperativo categorico. Riteneva suo dovere assicurargli luso del
suo corpo, preparare il bagno caldo, un letto pronto e una tavola
apparecchiata per quando tornava dal lavoro. Da nubile aveva
obbedito al padre al fratello e al tutore, tacendo le sue intime
aspirazioni.
Ora se ne stava chiusa nella propria camera, filava e tesseva.
Vegliava su tutta la famiglia, ordinandone i ritmi e le attivit.
Dava ordini alla cuoca e agli altri servitori. Lobbedienza al
marito era evidente. Accettava il controllo dei luoghi in cui si
recava sempre accompagnata da Angelica, la sua dama di compagnia.

Il luogo pi frequentata era la Chiesa, dove aveva conosciuto Fra


Girolamo, il quale era diventato anche il suo confessore.
Passeggiava nel borgo col marito, evitando qualsiasi sguardo
indiscreto. Indossava abiti castigati, mostrava disinteresse per
gli altri, anche se con Angelica dimostrava di sapere tutto di
tutti. Le donne erano in grado di essere false, volubili e
ingannatrici. Le loro chiacchiere riempivano la calma della casa e
ne facevano trapelare i segreti al di fuori. Cercava di evitare
qualsiasi forma dinsubordinazione al marito, perch poteva
incorrere nella sanzione collettiva di tutta la comunit, che
voleva la donna asservita al marito e ai suoi voleri. Con Angelica
si confidava e il suo corpo non era un segreto. Spesso, quando
faceva il bagno, si toccavano, si accarezzavano e si baciavano.
Dedicava abbastanza tempo alla cura e all'igiene personale. Si
faceva spesso il bagno con sostanze detergenti ed emollienti,
anche molto costose, e si acconciava con attenzione i capelli.
Indossava lunghe sopravesti di lana grezza. Spesso accompagnata
dal marito e dalla sua dama di compagnia, partecipava a qualche
festa in occasioni particolari e solenni, come un matrimonio, il
ritorno da un viaggio o da una campagna militare oppure le
festivita' religiose. La festa cominciava con la celebrazione
della messa e poi dalla chiesa si trasferiva nel salone da pranzo,
dove erano imbanditi fastosi banchetti. Mentre gli invitati
mangiavano, si esibivano giullari, ballerini, ma anche poeti,
trovatori e attori.
Fra tanti servitori vi era anche Christine. Era andata a servizio
per mettere insieme la dote e il corredo. La necessit di lavorare
era collegata a un futuro matrimoniale e alla perdita del padre.
Aveva preferito la casa di Donna Malisenda alla filanda, perch
era un luogo pi protetto e meno pieno di tentazioni. Christine
era molto giovane e piacente. Spesso incontrava Ascanio. Si
guardavano. Lo sguardo pudico di Christine era il segno che
Ascanio gli piaceva. Nottetempo, attraverso un passaggio segreto,
non visto, and nella stanza da letto di Christine. Qui i due
amanti si amarono intensamente. Per la prima volta Ascanio conobbe
che cosa fosse lamore. Altre notti seguirono.
Ascanio cercava in tutti i modi durante il giorno di evitare
lincontro di Christine. Se la moglie avesse saputo, sicuramente
lo avrebbe lasciato. La vicinanza, lambiente di vita, le
occasioni finirono per tradirlo. In assenza della moglie, che era
andata alla funzione vespertina, i due si videro e si baciarono
appassiotamente. In quel momento apparve Donna Malisenda, che era
ritornata prima della fine della cerimonia, perch si era sentita
male. Ascanio temette, ma Donna Malisenda perdon.

Tutto continu come prima. Di fronte alla gente, erano sposi


devoti e amanti felici. La notte, in un turbinio di passioni non
represse, si trovavano abbracciati: Ascanio in un letto con
Christine, Donna Malisenda e la sua dama di compagnia in un altro.
Vizi e virt avevano trovato il loro naturale collocamento
allinterno di un quadro familiare. Il sospetto di cattiva
condotta e laccusa infamante di prostituzione, tipiche della
societ dallora, dimostravano che la coppia, anche se in maniera
incoscia, aveva raggiunto una certa autonomia. Anche dentro la
casa, signorile o borghese, non si lasciavano in ozio donne e
mogli. I lavori di ago e di fuso, che dovevano occupare il tempo
per immobilizzare il corpo femminile e di intorpidire i pensieri,
lasciavano il tempo a fantasticherie morbose.
. Fra Riccardo: da fustigatore a fustigato.
Riccardo era diventato monaco non per scelta volontaria. Il padre
Don Ascanio, poich il figlio non amava la guerra, laveva
destinato al monastero. Diventare monaci era un modello di vita
che si poteva anche imparare lentamente. Era necessario imparare
a costruirsi, disporsi secondo un modello di vita che aveva, nella
conquista dellassoluto, la sua unica ragione dessere. Occorreva
poi rimanere fedele, una volta diventato monaco, al proprio stato
ed essere inflessibile nel cammino di perfezione, una volta
intrapreso, che doveva essere sua unica ragione dessere.
Era stato affidato dal Priore per la sua istruzione a Fra
Agobardo di Lione. Fra Agobardo aveva una grande cultura. La sua
insaziabile fame di culture altre e di notizie significanti, la
vastit della sua erudizione, la capacit di manovrare una
sterminata biblioteca (che non stava tutta negli scaffali ma anche
nella sua prodigiosa memoria) gli rendevano possibile raggiungere
i luoghi pi alti e drammatici della storia umana. Ai suoi
ascoltatori non elargiva mai della retorica n la accettava da
loro. Il suo dire era solenne, fluiva in un discorso che sembrava
scritto (mentre egli non aveva davanti a s neppure una
scaletta), ma allinfuori di questa eleganza egli non concedeva
sconti. Seminava cultura e inquietudini. Infatti, raccontava
strane e inquietanti storie. Si trattava di dicerie riguardanti
bambini cristiani presi in ostaggio o addirittura rubati dagli
ebrei alle loro famiglie e spesso orrendamente seviziati, di
solito in coincidenza con le festivit pasquali. Le leggende
concernenti i bambini cristiani rapiti e massacrati erano
probabilmente un orribile alibi per le violenze che i cristiani
imponevano agli ebrei. Laveva educato al pi rigido
fondamentalismo e l'integralismo, al connubbio tra la rigida e
dogmatica interpretazione dei testi sacri intollerante di
posizioni diverse e la volont di fare della derivante ideologia

religiosa l'unica ispiratrice della vita sociale e politica degli


altri.
Riccardo era diventato un rigido seguace di questi principi che
lavevano portato a un vero e proprio fanatismo che era diventato
per lui una vena di follia, accompagnata o addirittura causata
per da una credenza autentica e sincera. Riteneva che la credenza
o meglio la fede in una divinit, che fosse ispirata dalla
divinit stessa, non potesse per sua natura essere ritenuta falsa
dal credente. Il fanatismo laveva portato a eccessi e alla pi
rigida intolleranza nei confronti di chi sosteneva idee diverse.
Erano tempi di crisi, molto duri da affrontare. In queste
condizioni le persone spesso trovavano un capro espiatorio contro
di cui scatenare le loro angosce, anziche' affrontare la realta'
della situazione. E cos avvenne anche per Fra Riccardo,
diventato nel frattempo monaco.
Era un monaco fuori dal comune. Era estremo nei suoi slanci e
nelle sue durezze. Il suo esclusivismo monastico e la sua proposta
di vita evangelica lo spinsero a lavorare, a premere e tempestare
affinch tutti i suoi, padre, zii, fratelli e cugini, zie e
sorelle lo seguissero in questa scelta di vita. Ricorse a tutto
per raggiungere questo intento: preghiere, minacce, allettamenti,
promesse. Lo Spirito Santo, da cui si sentiva ispirato, dava alla
sua voce tale impronta di virt che a mala pena vi era qualche
legame affettivo che potesse resistergli. Non tutti, per la
verit: la zia e una cugina si ribellarono. Fu proprio a queste
due che si scaten il suo fanatismo, facendolo macchiare di
delitti gravissimi.
Accus la zia di eresia e la cugina di essere posseduta dal
diavolo. Il tribunale dell'Inquisizione, davanti al quale fu
portata la zia, condusse le indagini volte ad accertare l'eresia.
Con testimonianze false dei parenti, anchessi ormai succubi dal
monaco, la fecero ritenere colpevole. Il tribunale tent con tutti
i mezzi (compresa la tortura) di convincere l'indagata ad
abiurare, cio a ritrattare. Fu sottoposta alla tortura della
corda. Legata le braccia dietro la schiena, limputata, nuda, fu
sollevata da terra dalla corda che scorreva su una carrucola
fissata al soffitto. Fu tenuta in quella condizione per non pi di
mezzora, perch una durata superiore poteva comportare gravi
conseguenze, dalle lesioni agli arti superiori fino al collasso
cardiocircolatorio. La tortura fu reiterata pi volte nel corso
del processo. Tutti i tentavivi espletati non ebbero successo. La
zia, come presa da un divino furore, non cedette e il tribunale la

condann a morte. La condannata impenitente fu prima impiccata e


il suo cadavere fu poi bruciato e le ceneri disperse.
Non fin qui. Il furor mysticus di Fra Riccardo si accan
contro la cugina. Fece credere che era posseduta dal diavolo. La
poverina, dopo la morte della madre, soffriva di forme di
ossessione o di particolari tormenti. Al monaco, quindi, fu facile
dimostrarne la fondatezza. Fu chiamato lesorcista, che esegu la
pratica in forma solenne secondo il rituale. Con lautorit della
chiesa us prima la forma invocativa quindi, quellimperativa
comandando direttamente al maligno. Intorno, parenti e servitori,
raccolti in gruppi di preghiera, invocarono laiuto di Dio
chiedendo la liberazione dal maligno. La posseduta, ormai
liberata, fin in un convento come monaca di clausura.
Ader, ormai vecchio, al movimento patarino, una forma di
Cristianesimo fondato su di una lettura dualista del Nuovo
Testamento, dove la salvezza delluomo raggiungibile mediante la
rivelazione di Cristo. Il nodo centrale su cui si fondava la
divergenza rispetto alla dottrina cristiana di matrice romana era
la teorizzazione che il creatore delluniverso non era un unico
Dio, bens due principi in eterna lotta tra loro. Si concentrava
sullidea che allorigine dei tempi il Re delle Tenebre avesse
invaso il regno del Re della Luce. Da allora in poi, il mondo,
la realt oggettiva delle cose e degli eventi, luomo stesso,
furono costituiti da una mescolanza di luce e tenebra, spirito e
materia, bene e male. La salvezza consisteva in una totale
separazione dei due principi opposti e in un sereno ritorno alla
condizione di purezza originaria. Il cammino verso il superamento
della propria debole e contradditoria condizione imponeva la
rinuncia alla carne, al vino, prescriveva la castit e imponeva
qualsiasi azione contraria al principio della luce. La ripugnante
eresia di coloro, che alcuni chiamavano Catari, altri Patarini, e
altri ancora con differenti nomi, crebbe cos forte che essi non
praticavano pi le loro malvagit in segreto, ma proclamavano il
loro errore pubblicamente. La Chiesa dichiar che loro, i loro
difensori e chiunque li avesse ricevuti, erano sotto anatema e
minacciavamo di scomunica chiunque li avesse aiutati nella propria
casa, nella propria terra, o avesse avuto a che fare con loro. A
chi moriva in questo peccato, non sarebbe stato concesso nessuna
protezione o privilegio, per nessuna ragione; nessuna messa
sarebbe stata officiata per loro e non avrebbero ricevuto
sepoltura fra i cristiani. Quelli che, accesi dalla loro fede
avranno preso su di s il compito di condurre fuori questi
eretici, rimaranno indisturbati da ogni inquietudine, sia per i
loro beni sia per la loro persona. Se qualcuno presumeva di
molestarli, incorreva nella sentenza di scomunica da parte del
vescovo del luogo. I vescovi e i sacerdoti che non contrastavano
abbastanza gli errori erano puniti con la perdita del loro ufficio
finch non avessero ottenuto il perdono della sede apostolica.

2.Aloigi
Era tornato dalla quarta crociata, caratterizzata da violenze
insensate, Il ritorno non fu meno avventuroso dellandata. Gi si
avvertivano i segni di stanchezza da parte dei combattenti. In
tutti vi era la convinzione che presto ci sarebbe stato un
inarrestabile declino che sarebbe culminato con il definitivo
annichilimento da parte ottomana. La nave del cavaliere Aldebrando
dovette subire in pi di unoccasione lassalto dei predoni arabi.
Si salvarono grazie alla perizia del capitano e al valore dei
soldati, quando la nave fu attaccata. La nave attracc nel porto
di Pisa e da qui Adelbrando e i suoi uomini, veramente pochi, pot
raggiungere Firenze. La gran parte dei compagni era perita e i
pochi rimasti avevano il segno di gravi menomazioni. Lui ne era
uscito incolume e senza danni, almeno fisici. La sua tempra di
soldato si era attenuata e il ritorno in Patria fu una
liberazione. Per capire cosa spingeva migliaia di cavalieri a
intraprendere una missione tanto onerosa e pericolosa non bisogna
dimenticare che si trattava di uomini medioevali, i quali la
pensavano in maniera molto differente dall'uomo moderno e
soprattutto avevano un fortissimo senso religioso.Tuttavia, questo
idealismo non fece comportare i crociati in modo particolarmente
pio durante il viaggio: erano guerrieri devoti ma altrettanto
arroganti e brutali, e non mancarono atti di violenza e azioni
riprovevoli. Era partito entusiasta e ne era ritornato deluso e
amareggiato: gli orrori e le brutture della guerra lo avevano
segnato per sempre.
Il bisogno di ritornare a vivere era vivo in tutti. Anche
Adelbrando volle la sua serata di divertimento. Dopo tanti anni di
stenti, aveva bisogno di emozioni forti. Chi poteva fornirle era
la Taverna del dannato. Qui si poteva bere e avere anche una
donna per la notte. Si vest con panni umili e plebei e si
avventur in un vicolo oscuro per raggiungerla. Era un vicolo
malfamato fatto dei peggiori deliquenti: frequenti erano rapine,
specialmente quando notavano qualcuno che vestiva con abiti
insoliti. Nessuno dei soldati osava avventurarsi nel vico dove si
trovava la Taverna: rischiava di essere quanto meno occoltellato.
La taverna veniva, per cos dire, tollerata dalle autorit. Era
frequentata dal popolo degli emarginati: giocolieri, giullari,
mimi, vagabondi, menestrelli, prostitute, ladri e banditi. Questi
ultimi, pur essendo stati cacciati dalla citt, mai se nerano
allontanati: vivevano in semiclandistinit. Apparivano e
scomparivano. Frequentavano i luoghi marginali ai mercati e alle
fiere, con lo scopo di adescare un mercante o un contadino. Era un
popolo che lasciava poche tracce. Non stabilivano rapporti, non
ereditavano, non si sposavano, ma convivevano, spesso con pi
donne.

Appena entrato, lodore nauseante di cucina, misto a quello di


sudore, di cera e di olio di lucerna, e il respiro acidoso
pasticciava laria e la rendeva irrespirabile. I tavoli sporchi
erano di un nero antico. Il vino la faceva da padrone. In un misto
di convivenza, donne e uomini si baciavano e si toccavano senza
nessun pudore. Si sedette e chiese da bere. In un angolo una donna
danzava. Aveva occhi e capelli neri. Unampia gonna lasciava
vedere le sue forme sinuose. Appena lo vide, subito si accorse del
garbo e della signorilit di quel giovane. Lui la not e dopo
essersi, in cambio di qualche fiorino, fatto dire il nome della
donna da un servitore, le si avvicin. Il suo nome era Ermelinda.
Fu uno sguardo. Subito si piacquero. Lei lo fece salire. Era una
stanza che faceva parte integrante della locanda con un grosso
letto, uno specchio e una bacinella dacqua. In un angolo un
rudimentale attaccapanni e in un altro due sedie. A lei piacque e
due si amarono per tutta la notte. Lei si don: mai le era
capitata una cosa del genere. I baci appassionati, il modo di
abbracciarsi, la tenera carezza dei capelli e delle mani da parte
di Adelbrando la fecero andare in estasi. Anche al giovane
piaceva: il suo corpo sinuoso e caldo lo fece entrare in
unatmosfera paradisiaca. Mai aveva provato per una donna una tale
ebbrezza. Il guerriero, rude e coraggioso, si lasci andare e fece
posto allamante ardente e appassionato. La mattina presto
abbandon la locale, mentre tutti dormivano. La stradina, che fino
a ora tarda era stata gremita di gente, ora era deserta. La
salut. Non volle essere pagata. Adelbrando pose sulla sedia dieci
fiorini e le don una farfalla doro che aveva portato
dallOriente.
Erano passati nove mesi. Una nuova creatura era venuta al mondo.
Ermelinda laveva partotrita non senza dolore. Era un bel maschio:
pesava circa quattro chili. Aveva occhi e capelli castani. Chi il
padre? Certamente Adelbrando, perch da quella notte non aveva
fatto pi lamore con nessuno. I tratti somatici del figlio erano
analoghi a quello di quel giovane, conosciuto e amato in quella
locanda. Le difficolt di trovare un lavoro, il bisogno di
accudire e provvedere al figlio la fecero ritornare al vecchio
mestiere, la prostituta.
E Adelbrando? Aveva sposato Donna Malisenda e aveva dimenticato la
ragazza che aveva incontrato e amato. Trascorreva le giornate tra
la cura delle armi e la calda accoglienza della sua casa.
Al bambino fu imposto il nome di Aloigi. Una notte la madre
insieme ai suoi protettori aveva adescato un mercante. I suoi
amici capirono che doveva avere un potafogli ben pieno. Lavevano
notato, quando alla locanda, pagava vino e cibo per tutti. Pass
la notte con Ermelinda. La mattina il suo portafogli era
scomparso. La denuncia ai soldati, le indicazioni precise date
sulla donna, fecero intervenire i soldati, che si recarono alla
sua umile casa per arrestarla. Le prove erano inconfutabili.

Sicuramente lavrebbero arrestata e bandita. Ermelinda decise di


fuggire. Affid il figlio ad Alderico, il giullare, e alla sua
convivente, maga, Melusina.
Scomparve. Nessuno ne seppe pi nulla.
Aloigi cresceva sano e forte. Dormiva insieme ai suoi genitori
adottivi in una camera in alto. A piano terra vi era la cucina,
una tana senza luce, che dava su un cortile posteriore.
Questultimo serviva per allontanarsi in caso fossero arrivati i
soldati. Conosceva la storia della sua nascita, perch in alcune
occasioni ne aveva accennato Melusina. Sapeva per con certezza
che n Melusina n Alderico erano i suoi genitori naturali. Il
giullare gli aveva insegnato a scrivere e a inventare storie. La
maga gli aveva anche insegnato a suonare il liuto e la ghironda.
Aveva acquisito destrezza nel rubare i portafogli agli ignari
viandanti e aveva imparato a staccare con abile maestria con
lurina di cavallo il sigillo da un documento e ad apporlo su uno
falso. Tutta la gente che lo circondava dava esempi di mestieri
pi disparati, inconciliabili con la societ del tempo che
esaltava solo gli ordini del clero, dei cavalieri e dei contadini.
Spesso Alderico era chiamato da qualche signore per raccontare
storie o per allietarne col canto le serate. Melusina invece si
arrangiava leggendo le carte o la mano di qualche mercante
speranzoso di accrescere le sue fortune. Il fenomeno della
professionilazzazione del mestiere di ladro era il sintomo
dellemerginazione. Si servivano di grimaldelli, di trapani e di
coltelli per aprire porte, ganci per tirare fuori abiti. Questi
erano anche gli attrezzi di Aloigi. Boia, aguzzini, aiutanti di
boia, becchini, macellai, custodi di bagni pubblici, barbieri,
prostitute e protettori, musicanti, acrobati, buffoni, giullari e
menestrelli: questa era la realt sociale in cui il giovane faceva
le sue esperienze. Mai si era chiesto se le sue azioni fossero
morali o immorali. Avvertiva, senza per averne piena
consapevolezza, che vi erano attivit che potevavo essere svolte
senza avere dietro i soldati e senza scappare. Spesso Alderico lo
portava con s durante le feste cittadine e in occasioni di nozze.
Si esibiva facendo esercizi acrobatici e cantando qualche canzone.
Qualche volta aveva manifestato il desiderio di diventare
professionista dello svago, perch questo mestiere aveva carattere
permanente e sovente era anche stabilizzato presso le famiglie
nobili.
Adolbrando e Donna Malisenda non avevano avuto figli. Spesso
davano feste nella loro casa invitando tutti i cavalieri ei nobili
del tempo. Fu chiamato ad allietare la serata Alderico,
ricevendone una grossa somma di denaro. Volle dare, perci, il
meglio di s. Raccont la storia di Ermelinda. Adolbrando si
mostro prima incuriosito e interessato. Quando sent della
farfalla, impallid e sbianc in vivo. Il ricord si manifest in
tutta la sua vivezza.Gli apparve davanti agli occhi quella donna
che per una notte avevca amato. La serata prosegu, non senza

prima far avvisare il giullare che voleva parlargli alla fine


della festa. Il giullare gli raccont di Aloigi, come lavevano
allevato e dove viveva.
Alderico rifer dellinteresse che il cavalierie aveva manifestato
nei riguardi del giovane. Una sera Adolbrando, vestito con umili
abiti, si rec presso labitazione di Melusina. And ad aprire
Aloigi. Appena lo vide, sent verso luomo unattrazione
inconsapevole. Il cavaliere riconobbe nel giovane i tratti
somatici di quando lui era giovane. Aloigi era suo figlio. Gli
rivel che era suo padre. In un attimo si trovarono abbracciati.
Il padre il giorno dopo lo port con s. Lo riconobbe di fronte
alle autorit e al conte. Aloigi, che nel frattempo si era
conquistato anche laffetto di Donna Malisenda, fu ammesso alla
scuola per diventare cavaliere.
Impar sia a stare in societ, sia a cavalcare. Pass per breve
tempo al seguito di un cavaliere in qualit di scudiero. Apprese a
maneggiare le armi, ad accudire al cavallo del suo signore, a
tenere in ordine il suo equipaggiamento. Accompagn il cavaliere
in battaglia, aiutandolo a indossare larmatura e soccorrendolo
quando era ferito o disarcionato. Impar a tirare con larco e a
trinciare la carne da mettere in tavola. Infine ricevette la
sospirata investitura a cavaliere. Cur con attenzione la loro
preparazione fisica. Esercit in continuazione i suoi muscoli e si
addestr con costanza nellimpiego delle armi. Sopport un
tirocinio di notevole durezza, cui non tutti resistevano.
Resistett. Fu nominato cavaliere con una solenne cerimonia
dinvestitura. Il cavaliere cinse poi spada e speroni, ornamenti
con cui partecip alle successive celebrazioni, in cui fece
sfoggio della sua abilit.
Ormai ricco cavaliere si spos con Donna Beatrice dal quale ebbe
tre figli. Alderico e Melusina furono chiamati a vivere nella sua
casa. Spesso dilettavano i figli di Aloigi suonando il liuto e
cantando loro dolci melodie.

3.Le fiere di Champagne


Erano frequentate da mercanti che provenivano da tutti i Paesi,
soprattuto dallItalia per la quantit dei capitali di cui
disponevano e perch avevano relazioni con le loro compagnie con
tutti i paesi del Medio-oriente. Confluivano mercanti in
particolare da Provins, Troyes, Bar-sur-Aube. Il ciclo delle
fiere della Champagne si componeva di sei fiere. Ognuna di esse
durava in genere sei settimane e si distingueva in due fasi: la
prima, riservata all'attivit commerciale, con la vendita delle
merci; la seconda dedicata ai regolamenti finanziari, assicurati
dai banchieri. Champagne, non ancora faceva parte del Regno di
Francia, era retta da un conte, che forniva scorte armate ai
mercanti e assicurava esenzione da tassazione. La garanzia degli
impegni contrattuali era assicurata dal sigillo di fiera.
Da Firenze, dopo lungo peregrinare, era giunto Giovanni di Marco
di Prato, di umili origini, che, per, era stato istruito dal
padre, dal quale aveva imparato nozioni di compusteria e di
commercio. Non gli fu difficile, avendo queste conoscenze, trovare
un lavoro di scrivano per la trascrizione di libri contabili, che
riportavano merci e provenienze. La sua ambizione era diventare
mercante e acquistare cos un posto nella gerarchia sociale.
Le merci trattate erano le pi varie, distinte in grosse e
sottili. Le sottili erano soprattutto pietre preziose, profumi e
spezie, per le quali occorrevano pochi trasporti. Quelle grosse
erano il sale, usato in cucina e principlamente per la
conservazione del pesce, il vino, il grano, la lana, il cotone e i
tessuti di cotone e lallume, usato per lavorare il cuoio e le
pelli.
Fu in mezzo a tanto clamoroso trambusto, che laspirante mercante
aguzz la mente, impar a conoscere merci, prezzi e provenienza.
Sent lo stimolo dellaudacia e avvert la necessit della
prudenza. Si form in quellambiente. Nellangoletto relativamente
tranquillo dello scrivano Giovanni complet la sua preparazione,
allargando con consapevole volont le cognizioni contabili. Vi era
un armadio con pi compartimenti, di sovente incassati nel muro.
Qui erano messi i libri su cui erano registrati prezzi e tipi di
merci.
Giovanni era apprezzato da tutti per la sua competenza e per la
sua onest. In breve tempo quasi tutti i mercanti si rivolsero a
lui per tenere in ordine i libri contabili. Si era guadagnata la
fiducia di un ricco commerciante di Troyes. Questi non aveva figli
e incominci a benvolerlo e a trattarlo come un figlio. Giovanni

gli si era affezionato e lo amava come un padre. Alla sua morte


eredit tutti i suoi averi e divenne ricchissimo. Era lora del
grande passo. Aiutato dal conte, cambi la sua posizione sociale e
divenne uno dei mercanti pi ricchi di Champagne. A lui si
rivolgevano per consigli tutti i mercanti della zona.
Latteggiamento della societ del tempo verso il mercante era
estremamente contraddittorio. Da una parte se ne riconosceva
limportanza, dallaltra se ne faceva notare la pericolosit, sia
nel mare sia in terre pagane. Doveva soprattutto mostrare prudenza
e comportarsi da persona educata per conquistare la simpatia della
gente del luogo. Occorreva mostrare particolare cautela nei
riguardi dei soci, non sempre persone oneste leali. Si
consigliava, e per i cristiani era quasi un obbligo morale,
devolvere parte del profitto alla Chiesa. Giovanni aveva seguito
questi consigli e si era ulteriormente arricchito e aveva
investito, comera costume del tempo, i due terzi del capitale
nellacquisto di terreni. Il prestigio del mercante era assai
modesto, soprattutto nei signori, che ne suscitava invidia. La
loro onest, nella loro considerazione, ispirava seri dubbi.
Durante i suoi viaggi nellOriente era andato incontro anche delle
disavventure. In Medio-oriente si era innamorato dai una dama
franco-libanese, che per aveva tradito la sua fiducia. Giovanni
aveva portato e nascosto in attesa di imbarcarli monili doro e
pietre preziose che aveva acquistato. Scomparve, dopo avergli
sottratto tutto i preziosi. Dallora non volle pi saperne di
donne, da cui volontariamente cercava di tenersi lontano. Pi
volte affront burrasche nel mare. I pericoli per terra non erano
minori. Recarsi con carovane in paesi lontani, peregrinare tra
gente e popoli stranieri, non era cosa facile. Ci simbatteva
spesso in predoni e signori locali pi simili a briganti, che li
pressavano con dazi o semplicimente toglievano loro mercanzie e
guadagni. Oggetto di rapina soprattutto erano le merci pregiate,
che se davano un buon guadagno, rappresentavano un grande rischio
per potersele procurare.
Ricco e potente volle ritornare a Firenze. La citt era cambiata e
non aveva pi ritrovato gli amici, in gran parte scomparsi o
emigrati in altri luoghi. Aveva lasciato una citt, dove tutti si
conoscevano. Ora era diventata una citt caotica: canonici e
studenti, nobili e vignioli, patrizi e proletari, mercanti
allingreosso e rigattieri, artigiani emanovali vivevano a gomito
a gomito. La vita cittadina era interessuta di episodi di
violenza, di spaventi, di rivalit fra famiglie. Le violenze erano
commesse per lo pi da giovani o da aldulti di condizione modesta.

Gli archivi giudiziari svelavano un aserieinpressionante di


vendette commesse a sangue freddo, di risseindividuali e di grupo
che si risolvevano a colpi di coltello. Anche se Giovanni era
ricco, viveva in questa citt inquieta, temendo per la propria
incolumit. La ricchezza spesso era motivo di ricatto da parte di
gente senza scrupoli. Giovanni si era adattato alla convivenza a
questo fenomeno. Aveva fatto amicizia che amvano larte
esoprattutto la musica.
Il tempo passava, Alcuni mercanti abbandonavano i loro beni e
tentavano di riscattarsi vivendo in mezzo ai poveri. Laccusadi
usura pesava su chi possedeva denaro. Era costume fare testamento.
Era una pratica favorita dalle autorit eclessiastiche che vedeva
in tal modo la possibilit di ereditare un aparte dei beni.
Giovanni fece tre testamenti. Da principio si orient, sollecitato
dagli interessati, a favore della Chiesa. Il notaio, pur
religiosissimo, lo mise in guardia contro preti e frati che
dilapidavano i lasciti in conviti e in cavalli. Poi pens al
comuneche offriva migliori garanzie di gestione. Infine decise di
dare tutte le ricchezze alla comunit il Ceppo dei poveri. Fu la
sua ultima decisione. Incominci a frequentare la comunit. Ogni
anno in occasione del pellegrinaggio del perdono era lui che
offriva da mangiare e da bere a tutti i pellegrini. Giovanni in
questo modo pens di prepararsi al perdono di Dio e alla salvezza
eterna.

4. Il testamento
Siamo a Firenze nel 1347. Le epidemie, a causa della denutrizione
conseguente alle carestie e alle guerre, avevano dimezzato la
popolazione. La citt da centomila abitanti si era ridotta dopo il
flagello a cinquantamila. Con regresso demografico si ebbe anche
la riduzione della durata media della vita che pass dai
trentacinque/quaranta si sarebbe arrivati a venticinque. Solo una
minoranza giungeva allet matura. Pochi potevano mantenere a
carico una quantit di figli e la societ si reggeva
sullesperienza di pochi.
Chi invece ne era uscito indenne, pur avendo avuto durante la
pestilenza sei figli morti, era Francesco di Iacopo del Bene. Era
un contadino povero, sopravvissuto insieme alla moglie e due
figli. Si era salvato grazie allacqua, non inquinata, del pozzo
presente nella sua terra e ai prodotti, che, pur non essendo
abbondanti, erano sufficienti per la sua famiglia e alla Chiesa
locale, i cui rappresentanti si erano ridotti di numero.
Ringraziava Dio senza lamentarsi nel posto nel quale lo aveva
collegato. Mai aveva pensato, considerandolo un peccato di
orgoglio, di elevarsi dalla sua condizione.
Non aveva animali da tiro, per i suoi lavori nei campi, che
prendeva in concessione da altri pi benestanti. La mietitura era
fatta con uana piccola falce. La sua preoccupazione fondamentale
era quella di assicurare alla sua famiglia e agli aventi diritto
la produzione cerealicola. La differenza, che era anche
gerarchica, si basava sulla qualit del pane: bianco per il
feudatario e gli ecclesiastici, pane di mistura per i contadini
pi benestanti, di segale o addiritturadi sorgo per quelli pi
poveri. I vincoli, in seguito alla pestilenza, soprattutto col
clero locale e col feudatario, si erano allentati. Si cercava in
modo affannoso di fare da s e vivo in tutto il desiderio di
anarchia. Iacopo, con la diminuzione del numero dei figli, si era
trovato in una condizione migliore, perch aveva meno bocche da
sfamare. Qualche prodotto gli sopravanzava e vincendo la sua
ritrosia morale decise di andare in citt, dove si era
incominciato a praticare il baratto. Sicuramente poteva barattare
col sale o qualche spezia oppure vendere e procurasi del denaro.
Il mercato era fatto: uno, pi modesto, fatte da persone che
indirizzavano il lavoro alla finalit della sussistenza secondo la
mentalit artigiana, un altro, molto pi ristretto, fatto da
mercanti che commerciavano con loriente dal quale importavano le
spezie, il sale e lallume. A distinguirli era non tanto la
ricchezza, non sempre coincidente, quanto dal tipo di mercato. Il

primo era esercitato nelle stradine della citt per soddisfare i


bisogni quotidiani. A questo mercato pens Iacopo. La mattina,
aiutato dalla moglie, raccoglieva gli ortaggi e li portava al
mercato. Si trattava di qualche paniere con qualche pomodoro e
qualche verdura. Si alzava presto per raggiungerlo. Si svolgeva
nell parte pi in luce, a evitare la frode, si svolgevano le
trattative con i clienti. In un angolo, al desco, stava appartato
lo scrivano, perch non tutti gli occhi indiscreti dovevano
potersi posare sulle cifre che egli andava scrivendo. Nel fondo
fervevano discussioni di un gruppo sempre vario di uomini di
affari che commentavano gli avvenimenti politici o nediscutevano.
Si cercavano luno laltro per scambiarsi notizie commerciali.
Nella parte pi buia vi erano quelli che come condizione non erano
mercanti ma contadini che scambiavano la loro merce col baratto. I
prodotti erano scarsi e il baratto tollerato anche dalle autorit.
Iacopo era cercato da tutti per la bont e la frescheza dei suoi
prodotti. A poco poco incominci ad avere quanche una clientela
fissa. Il baratto si ridusse e il denaro incominci ad avere il
sopravvento. Orami iacopo poteva compare tutto quello che voleva.
La moglie conservava il denaro.
La moglie si chiamava Falchetta. Proveniva dalla classe dei
mercanti poveri. Era stata data in moglie a Iacopo, perch,
essendo la prima di tre sorelle, il padre stentava a trovare loro
un marito. Nei primi tempi era donna litigiosa e inasprita e
continuamente rimproverava al marito la sua nascita pi modesta.
Gli eventi della vita, la morte di sei figli, lavevano provata e
il suo atteggiamento verso il marito, compagno di tante sciagure,
lavevano addolcita. Aveva cura di conservare e trasformare per il
consumo familiare i prodotti che essa incamerava. Ora sua
principale occupazione era la gestione quotidiana delle provviste
e la previsione del loro impiego. Era diventata una buona moglie,
una donna accorta, dolce e temperante, capace di regolare con
equilibrio e parsimonia la circolazione interna dei beni, che,
grazie al marito, affluivano dallesterno versola casa. Faceva
trovare al marito la tavola apparecchiata, un pasto caldo e un
letto pulito quando tornava dal lavoro. Il denaro, che Iacopo
guadagnava con i suoi piccoli traffici, era conservato. Iacopo
aveva conosciuto Michele di Naddo Bandini, un mercante caduto in
disgrazia in seguito alla perdita di un carico durante un
nubifragio. Aveva perduto tutti i suoi averi e ora si arrangiava
con piccoli traffici. Erano diventati amici, pur provenendo da
classi sociali diverse. La situazione economica ora li
accomuninava. Un giorno lo invit a casa. Dopo pranzo,
approfittando dellallontanamento dellamico, Michele rivel a

Falchetta di avere assolutamente bisogno di denaro per rimettere


in sesto la sua economia. Falchetta gli promise di prestarglielo
in cambio, per, chiese interessi molto alti. Chiese a Michele di
non farne parola col marito. In breve tempo le cose per Michele
cambiarono. Iacopo riusc a sapere del prestito chela moglieaveva
fatto a Michele. Fece una scenata. Il litigio, pi violento del
solito, e linvocazione di aiuto della moglie, fecero accorrere i
vicini chesi interposero per pacificare e soccorrere. Dopo essersi
calmato la moglie, gli spieg la natura dellaccordo del prestito.
Michele rimase in un primo tempo molto perplesso, perch lusura
era uno dei peccati condannati dalla Chiesa e dalla morale comune.
Liniziativa della moglie gli piacque. Ne vide subito gli sviluppi
e le prospettive: prestare denaro e averne il doppio in
restituzione lo allett. Cos da contadino-mercante divent
usuraio. Tante furono le famiglie distrutte, perch non riuscivano
a restituire il denaro. In breve tempo divenne ricchissimo. Spos
le due figlie a due mercanti, facendole cambiare posizione e
classe sociale. Grazie al suo denaro, al suocero e al Vescovo, nei
confronti del quale fu particolarmente prodigo, divent mercante.
Il passaggio alla nuova classe sociale lo inorgogl. Dopo la morte
dellamoglie, a causa di una grave malattia agli occhi, divenne
cieco. Ormai vecchio, aveva quasi cinquantanni, volle porre
rimedio al male che aveva provocato a tante persone. ChDett il
suo testamento nel quale era scritto che, pur essendo infermo,
disponeva che tutte le usure e il mal tolto da lui illecitamente
acquisito fossero restituite a tutte le persone chesi trovavano
scritte nel suo ?libro della ragione? Ordin che tutti i crediti
fossero restituiti e che tutto quello che possedeva fosse venduto
e restituito. Il testamento fu affidato a frate Ugo di Galgano,
affinch lo rendesse esecutivo dopo la sua morte. Osssesionato dal
peccato, che aveva commesso abbandonandosi al diavolo, aveva
voluto con questatto salvarsi lanima. Pur essendosi lasciato
vincere dal peggiore dei peccati, il pentimento, sincero, era
lunica azione, voluta da Dio a salvarlo della perdizione eterna.

5. Date lofferta al seminario


La natura laveva severamente punito. Il suo organo genitale era
enorme: misurava sette zolfanelli e mezzo. Per la moglie era un
vero supplizio. Aveva trovato un escamotage: aveva costruito degli
anelli di legno con un buco al centro. Egli li infilava uno
sullaltro. Solo cos la poverina riusciva a sopportarlo. Riteneva
la grave menomazione opera del diavolo, che aveva cos voluto
vendicarsi degli incesti paterni. Nel villaggio tutti lo sapevano.
Gli uomini lo guardavano con sospetto. Le donne: alcune erano
vogliose, altre spaventate. Il povero uomo era costretto a portare
calzoni molto ampi e a legarlo con delle fascie vicino a una
gamba. Si sentiva osservato e additato. Cercava indifferenza, ma
tutti al suo passaggio lo guardavano. Si sentiva estraneo alla
realt e vedeva la propria vita pervasa di solitudine e di
angoscia. Dellinfanzia ricordava solo immagini grottesche, da
incubo. Vedeva la folla travolta da una specie disterismo. Si
sentiva a disagio, spaventosamente solo in mezzo alla folla; aveva
resistito ed esitato allo stesso tempo. In quel momento non era il
suo pensiero a resistere, non erano le argomentazioni che gli
venivano in mente; era la sua "personalit" che si ribellava. Non
resistette. Abbandon la moglie e si ritir in convento. Essendo,
come la gran parte delle persone, analfabeta, i frati gli
assegnarono il compito della questua. Andava in villaggio in
villaggio a chiedere lelemosima per il convento. Era rozzamente
vestito con un saio annodato alla vita con un cordone, con umili
calzari dal quale emergevano i nudi piedi. Chiedeva e benediceva,
pur non avendone la facolt. Tutti per volevano baciare in segno
di religiosit il suo cordone. Un giorno era particolamente
brillo, per qualche bicchiere di vino offerto in pi, alla
richiesta consueta, alz il saio e apparve con tutto il suo
immenso armamentario. Mai cosa fu gradita. La signora baci e
ringrazi. Presto la voce si diffuse per tutto il villaggio.
Ognuno voleva baciare il suo cordone. Lui acconsentiva e
ringraziava: aveva incominciato a prenderne gusto. Un giorno una
signora, era sola, alla richiesta non solo lo baci ma se lo
strinse fino a ch il suo organo non la sput in faccia, con
piacere del santo monaco e della signora. Aveva voluto cos
punirla della sua impudicizia. Altre ne seguirono. Si sussurr in
giro. Questa volta era lastuto monaco a chiederlo: Bacia questo
cordone! Le richieste da parte delle donne del villaggio si
rivolsero anche ai mariti. Chiesero chi laveva imparato a farlo.
Tutti risposero: il monaco. Prepararono la vendetta. Uno di essi
si travest da donna e attese larrivo del monaco. Alla consueta
richiesta, tir un coltello affilato e in men che non si dica
glielo tagli. Urla e strazi da parte del monaco, che presto fu
invaso da una pozza enorme di sangue. Solo larrivo del curato,
che aveva nozioni di medicina, riusc a tamponargli la grave
ferita. Il suo organo ormai era perso per sempre. Cambi villaggio

per le sue sante questue. Ora aveva cambiato richiesta in: Date
lofferta al seminario!

6. Lenclave di S.Cesario
La posizione degli orafi nella societ era elevata e grande era la
considerazione presso vescovi e conti, che si avvalevano delle
loro opere per adornare chiese e cattedrali. Loreficeria era una
delle grandi tecniche-pilota dellarte, tecnica in cui si
provarono i migliori artefici. Il pregio della materia prima
utilizzata, il loro prezzo, la loro rarit erano avvertite come
una sfida per lartista. Tutte le opere pi pregevoli, per, non
erano firmate dallautore, ma dal committente. Anche le monete,
con le quali il grande mercato italiano domin il mercato
internazionale, erano doro. Il genovino, il fiorino, lambrogino
e il ducato tenevano banco su tutti i mercati ed erano apprezzati
per la loro stabilit. Tutte le monete doro erano allineate col
fiorino che pesava g 3,56 doro a 18 carati. Il fiorino,
certamente, era il pi ricercato per la bellezza del conio.
Arduino da Forl, piccolo mercante, era affascinato da questo
metallo, non tanto per gli scopi artistici quanto per il suo
valore intrinseco. Aveva obbligato i due figli, Ardovino e
Romualdo, a imparare il mestiere di alchimista, che combinava
insieme chimica fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia,
medicina, misticismo, e religione. La trasmutazione dei metalli di
base in oro, con la pietra filosofale, simbolizzava un tentativo
di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini
dell'esistenza. Gli alchimisti credevano che l'intero universo
stesse tendendo verso uno stato di perfezione, e l'oro, per la sua
intrinseca natura dincorruttibilit, era considerato la pi
perfetta delle sostanze. Era anche logico pensare che, riuscendo a
svelare il segreto dell'immutabilit dell'oro, si sarebbe ottenuta
la chiave per vincere le malattie e il decadimento organico. Tutti
i tentavini fatti, combinando insieme vari elementi tra cui zolfo
e mercurio, avevano dato risultati negativi.
Ardovino e Romualdo si erano convinti che ogni fatto, ogni evento
o fenomeno naturale andava compreso e analizzato passandolo al
vaglio dell'esperimento. Riuscire a riprodurre concretamente il
fenomeno, previsto dalle teorie, era la base per verificare
concretamente ed empiricamente l'esattezza delle teorie fisiche.La
capacit di replicarlo a piacere e di prevederlo con esattezza
erano condizioni fondamentali di qualsiasi conoscenza scientifica.
Ben presto si erano convinti che trasformare gli altri metalli in
oro era assurdo e che lunico modo per ricavarlo era trovarlo in
natura, o in sabbie aurifere o in filoni contenuti nelle rocce.

Abbandonarono lalchimia e con laiuto economico del padre


comprarono in vicinanza di un castello alcuni agri di terreno,
apparentemente per coltivarlo, ma con lintenzione di scavare per
trovare loro. Avevano sentito parlare delloro d alcuni fornitori
del posto, quando erano allievi alchimisti.
Il castello si ergeva sulla parte alta, circondato da un ampio
fossato per tre parti, mentre laltra era arroccata alla montagna.
Erano riusciti a scavare un lungo tunnel. Ogni tanto trovavano
qualche vena del prezioso metallo. Questi ritrovi, se puri rari,
li incoraggiavano a continuare.
Erano passati circa cinque anni, il tunnel nella roccia si
estendeva per circa cinquecento metri. Una notte, sempre a lume di
lucerca, avvertirono il cedimento della parete. Un lungo tunnel
apparve alla loro vista. Incuriositi, con cautela, percorsero il
tunnel. Si accorsero che finava nelle stalle del castello, in una
posizione non ben visibile, se non dallalto. Forse qualcun altro
aveva nel passato fatto quello che loro stavano facendo: trovare
loro. Il posto delle lucerne, rudimentali carriole per
trasportare la roccia, alcune fessure alle pareti erano segni
evidenti delle loro supposizioni. Continuarono lesplorazione. In
un angolo ben nascosto, iniziava una scaletta in pietra che
portava verso lalto. La percorsero. Si trovarono di fronte a una
parete di pietra ben lavorata. In alto sulla destra vi era una
pietra. La pinsero. Come per incanto la parete si gir su se
stessa e si ritrovrono allinterno della camera di un focolare che
dava in una grossa sala. Subito si affrettarono a chiuderla,
toccando la pietra. Erano capitati nella grande sala, dove erano
stati la prima volta a comprare il terreno dal conte.
Il conte Marchisio, di spirito ribelle e gueriero, dominava tutti
i terreni circostanti. Geloso della propria indipendenza, mal
tollerava lintrusione di altri nelle sue faccende politiche.
Quando sulla contea della citt vicino il feudo fu affidato a un
vescove-conte, non volle accettarne la sudditanza. Invitato a
dichiarare lomaggio di fedelt, non solo non si present, ma fece
sapere da un suo emissario che mai e poi mai si sarebbe sottomesso
alla sua autorit. Per il vescovo-conte era unesplicita
dichiarazione di guerra.
Tutti i tentativi di espugnare il castello erano stati vani. Il
castello era ben fortificato e difficile da espugnare. Viveri di
ogni genere erano stati stipati nelle capienti stanze del
castello. Le stalle erano piene di animali ed erano affidati a
mani esperte e competenti. Poteva sopportare una guerra a
oltranza. Inoltre, nottetempo, usciva con i suoi guerrieri a fare

razzie nelle campagne circostanti. Questa volta capit anche ai


due fratelli, che finora si erano mantenuti equidistanti fra i
due contendenti: luno o altro per loro era indifferente.
Svuotarono le stalle, sequestrando tutti gli animali e presero
tutte le provviste accumulate, nonostante le suppliche dei due
fratelli.
Ardovino e Romualdo giurarono vendetta. Si ricordarono del vecchio
tunnel e lo riferirono al vescove-conte. Di notte, approfittando
del buio, guidati dai due fratelli, con circa duecenti guerrieri
penetrarono nel castello e attraverso la scaletta di pietra
raggiunsero la stanza del conte. Mentre i guerrieri disarmavano i
castellani, il vescove-conte con un manipolo dei suoi intim al
conte la resa. Il conte fu preso e con decreto fu allontanato.
Il vescove-conte fu grato ai due fratelli, ai quali don il
castello, cui aggiunse cento agri di terreno circostante. Inoltre
dichiar larea enclave economica, cui fu imposto il nome di
enclave di S. Cesario. In essa vi era esenzione di tasse e
balzelli e potevano battere moneta autonoma, cui il vescovo-conte
riconobbe valore legale anche fuori della zona.
La zona era divenuta la base di una consistente corrente di
commercio, un grande emporio, dove affluivano tutti i tipi di
merci della contea, una specie di fiera permanente cui attingevano
mercanti provenienti anche di l dei confini fino a Costantinopoli
e fino alle Fiandre.
A questa funzione di capitale partecipava la nobilt cittadina,
che si era radicata nella zona, ma le cui basi materiali erano il
possesso fondiario e di censi nellentroterra.
Fu agevolata una maggiore mobilit mercantile con listituzione di
un consolato e fu data forza alle fiere e alla loro fitta rete di
traffici minori. Il sogno del padre di Ardovino e Romualdo era
diventato realt.

7. Il Templare
La scansione della societ cristiana in ricchi e poveri era
sostituita in quella pi pratica e indicativa di milites e rustici
che implicava lindividuazione funzionale tra coloro (pochi) che
avevano il prestigio di portare armi e coloro i quali (la gran
parte) ci si aspettava un impegno nel mondo della produzione tale
da soddisfare le esigenze materiali di tutti. I tre livelli
funzionali di societ degli oratores, dei bellatores e dei
laboratores nascondevano sotto unapparente realt profonde
contraddizioni sociali. Far parte dei laboratores (contadini e
artigiani) era molto pi duro che far parte degli oratores e dei
bellatores. Proprio di questultimo era entrato a far parte
Tibaldo di Bethune, diventato da poco con una solenne cerimonia
cavaliere.
Il padre era stato cavaliere e crociato. Accanto ovviamente ai
privilegi erano connessi anche i doveri. Nel tempo questi ultimi
erano diventati pi gravosi dei primi. La stessa cerimonia di
addobamento era diventata costosa. Il cavaliere novello era tenuto
a offrire ai convenuti il banchetto e doveva provvedere agli
addobamenti con la veglia darmi, il bagno e i doni. Il suo eroe
era Rolando, il nipote di Carlomagno, morto eroicamente durante
unimboscata al passo pirenaico di Roncisvalle, esempio di
martirio per la fede.
Anche senza guerre, lavventura si viveva anche nel quotidiano. La
caccia al cervo, al cinghiale, allorso, assumeva il carattere,
oltre che agonistico, anche quello dinizializzazione alla guerra
ed era funzionale alladdestramento militare. Vi erano poi i
tornei, che si configuravano come vere e proprie battaglie. Il
cavaliere, come tutte le persone che vi rotavano attorno ad essi
(giullari, trovatori, araldi) non cessava di vantare le lodi del
torneo come scuola di coraggio e di lealt. Tibaldo era diventato
uno dei calvalieri pi apprezzati per il suo coraggio e per la sua
abilit. La Chiesa non li vedeva di buon occhio, perch nel torneo
si commettevano tutti i settte peccati, dalla superbia per il
desiderio smodato di gloria e di onori, allavidit per il bottino
costituito dalle armi e dai cavalli degli avversari. Infine, il
vizio di cui era vittima e succube Tibaldo, la lussuria, perch i
torneanti si scontravano per compiacere le loro dame, delle quali
portavano in combattimento i colori e altri pegni, a mo di
stendardo. Tibaldo percorreva castelli e citt, sfidando chiunque
volesse misurarsi in torneo con lui.

Tornei, caccie erano comunque simulazioni di combattimento, nulla


a che fare con la guerra vera. Le notizie che giungevano dalla
Terrasanta non erano le pi confortanti: disordini, desolazioni,
massacri indiscrimati della gente del posto insieme allesodo di
parecchi terrorizzati superstiti avevano ridotto alla miseria
contrade fiorenti. Nacque la necessit, nei confronti dellIslam,
che si andava organizzando, di presiedere i terreni gudagnati, di
difendere i pellegrini, di assistere i deboli e gli ammalati.
Tibaldo era giunto in Palestina. Il combattere i disordini,
rimettere ordine e autorit, lo fecero macchiare di altri atroci
delitti. Tibaldo aveva avvertito un senso di disagio della sua
condizione di cavaliere. Abbandon la cavalleria e ader
allordine dei cavalieri di Malta, che aveva come principale
obiettivo laccoglienza e lassistenza dei pellegrini. Non cur
pi i capelli, che ras in segno di penitenza, e per meglio
calzare lelmo, si lasci crescere una barba incolta. Smise di
indossare vesti colorate e non port pi armi cesellate, perch la
regola gli prescriveva il divieto di dorature e di ornamenti.
Pur essendo monaco, uccise per difendere i cristiani e impedire
lingiustizia. Il templare Tibaldo fu costretto a sopprimere anche
la vita, pur senza negarla. Da semplice cavaliere di caccia e di
torneo era tornato a uccidere, in nome non della morte, ma della
vita.

8.Lincesto
Aveva viaggiato per tutta lEuropa, dalle Fiandre alla Castiglia.
Ovunque aveva lasciato il segno del suo passaggio. Accompagnato
dal suo fedele Igino, Adolfo, figlio del conte Don Ubaldo, aveva
corteggiato e posseduto molte donne, da quelle nobili a quelle dei
prostriboli. Cercato da tutte le parti da mariti traditi e offesi,
doveva continuamente nascondersi e spostarsi da un posto
allaltro. Frequentatore assiduo dei luoghi pi malfamati, fatto
soprattutto da prostitute e protettori, aveva conosciuto Igino,
tanto esperto nelle truffe quanto pronto con la lingua con le sue
battute salaci. Adolfo era stato colpito dalla furbizia e dalla
sua intelligenza e gli aveva proposto di seguirlo nelle sue
avventure.
Igino era figlio di una prostituta. La madre lo aveva voluto solo
per ottenere maggiori favori. Partecipava ai riti religiosi,
faceva lofferta al prete. Al figlio aveva dato suoi padrini e al
battesimo avevano partecipato altre rappresentanti della sua arte.
Divenuto grande, Igino si diede a esercitare il mestiere di
protettore delle prostitute, avendo fatto tesoro dellesperienza
materna. La madre aveva provveduto a introdurlo nel suo giro,
trattandolo, per, come un estraneo se solo avesse cercato di
farle concorrenza in fatto di astuzia. Era diventato come sul
dirsi un illegale roi del filles amoureuses. Il suo ambiente
erano i luoghi dincontro delle popolazioni rurali, i mercati, le
fiere, i mulini e le taverne, le prostitute si spostavano da un
villaggio allaltro, accompagnavano gruppi di mietitori, di operai
o di mercanti. Nelle citt le meretrici avevano un posto fisso,
lamore venale era uno dei prodotti offerti sul mercato cittadino.
I suoi compagni erano ladri, banditi, giocolieri e giullari.
Avevano trovato rifugio in un convento grazie allaccoglienza del
Priore, amico e vecchio confessore del conte Ubaldo. Alla sua
morte, Adolfo, oramai diventato conte, aveva sposato Donna
Ermelinda dal quale aveva avuto una figlia e un figlio. Era
tornato alla vita ordinaria, fatta di feste e di ricevimenti. La
mattina riceveva contadini, mezzadri, coloni, monaci e cavalieri.
Questo per tutta la settimana, solo il venerdi si allontanava dai
suoi compiti. Era giorno, diceva, quando andava a far visita al
conte della contea vicina, don Reginaldo, col quale si esercitava
nel mestiere delle armi.
La figlia, donna Rachela, era una bella donna, ma aveva una forte
accentuazione quantitativa della sessualit, una sorta di

esaltazione degli impulsi sessuali che la spingeva alla continua


ricerca di nuovi partners. Il primo a farne le spese era stato il
cuoco, cui erano seguiti il macellaio e laddetto alle stalle.
Tanti ne seguirono. Questa ipersessualit era accompagnata dalla
perdita dinibizioni e contraddistinta da continue manifestazioni
di seduzione, provocazione, desiderio e fisiologia sessuale, tanto
che aveva assunto caratteristiche psicopatologiche. Cercava di
esprimere a livello sessuale uninsoddisfazione psico-fisica. Il
continuo contatto sessuale non era fatto per ricercare nuove
sensazioni e piaceri, ma per avere un soddisfacimento psichico e
fisico che non riesciva a raggiungere. Serviva unicamente ad
alleviare i tumulti psichici interni. Contrariamente a quanto si
poteva pensare era frigida, spinta ad agire dalla sua stessa
insoddisfazione. Cercava e trovava numerosi partners i in grado di
rispondere al loro imperioso desiderio sessuale. Tendeva a
infilare nei propri orifizi tutti gli oggetti che trovava, come
bottiglie, maniglie, porte. Soffriva di questo disturbo, ma non
era da considerare libertina n una poco di buono: non era n
lerotomane n unipersessuale.
Il conte Adolfo mentiva. Il venerdi non si recava dal conte
Reginaldo, ma non spostava neanche dal castello. Qui attraverso
una porta segreta arrivava in un ampio salone con un grosso tavolo
al centro sul quale si era abbondanza di cibo e di vino. Adiacente
vi era una grande stanza con un letto enorme. Il salone era
preceduto da una stanza pi piccola, nella quale vi era abbondanza
di vestiti, di scarpe, di profumi e soprattutto di maschere per
nascondere gli occhi. Era qui che Igino, dopo averle adescate e
selezionate, portava le prostitute. Le faceva accomodare nella
stanza e qui impartiva gli ordini per i vestiti le scarpe che
dovevano indossare, Erano sempre vestiti neri e di seta, le scarpe
rigidinamente appuntite. Erano poi introdotte nel salone, dove
trovavano il conte, anchegli mascherato, che le accoglieva e
donava loro un oggetto doro. Spesso era una lucertolina, pi
spesso una farfalla. Si mangiava e si gozzovigliava fino a tarda
notte. A un certo punto Igino, dopo aver parlato col conte, faceva
accomodare nella stanza da letto la prescelta.
La faceva stendere sul letto, la faceva spogliare e le leccava le
scarpe. Il gioco procedeva e non sempre si concludeva con un
amplesso. Il pi delle volte era unammirazione estatica. Le
baciava il seno in un atto di adorazione e le accarezza gli occhi
e il mento. A volte, ma questo capitava di rado, lamplesso era
violento e contro natura. Il tutto durava fino alle prime luci
dellalba, quando Igino le bendava e le faceva uscire da un lungo

tunnel, cos come aveva fatto anche allinizio. Il conte, ormai


rilassato, prendeva sonno.
Donna Ermelinda al ritorno lo accoglieva amorevolmente. I segni
della stanchezza erano evidenti sul suo viso e lo implorava, data
let, a non sottoporsi allesercizio delle armi.
Le donne del villaggio parlavano e pettegolavano. Si sussurrava
sulle tresche di un personaggio del luogo dedito a orgie e
banchetti, che terminavano con amplessi favolosi. Donna Rachela,
dal racconto della sua dama di compagnia, aveva saputo e volle,
presa dalla sua insaziabile mania, di provare. Si era informata
sul luogo delladescamento e vi si era recata mascherata per non
farsi riconoscere. Qui era stata subito notata da Igino, che lei
non aveva mai visto, perch abitava fuori del castello, in un
vicolo del borgo. In pose sconvenienti e provocanti, proprie di
una prostituta, sera subito fatta notare da Igino che subito
lincaggi insieme con altre. Dopo averle bendate, come il solito,
le condusse prima nella stanza per il vestimento e poi nel salone.
Il conte laveva subito notata. Si sentirono subito attratti luno
con laltro. La serata fu tutta rivolta a lei: ridevano,
giocavano, bevevano. Alla fine si trovarono nel letto senza
saperlo. Questa volta il conte non segu, come era solito, i
preliminari, e, come presi da una passione travolgente e sfrenata,
si amarono intensamente.
Donna Rachela, come per incanto, guar dalla sua insana mania. Si
diede alla preghiera e alla meditazione ed entr in convento. Non
molto tempo dopo divenne madre superiore delle Carmelitane,
lordine legato al movimento storico delle Crociate, alle cui
truppe si erano associati numerosi eremiti e pellegrini europei,
desiderosi di visitare i Luoghi Santi e magari di fissarvi la
dimora per la loro vita ascetica. Il conte Adolfo rivel il
segreto dele stanze che divennero una grande biblioteca aperta a
tutti gli studiosi. Raccolse tutte le opere di Averro che aveva
tradotto e commentato le opere di Aristotele, che in Occidente
erano state quasi completamente dimenticate. Il recupero della
traduzione aristotelica in Europa doveva moltissimo alla
traduzione in latino degli scritti di Averro. Durante l'ondata di
fanatismo religioso che attravers al-Andalus, Averro era stato
esiliato e tenuto sotto controllo fino alla morte. Molte delle sue
opere di logica e metafisica furono distrutte dalla censura. La
morte di Averro, in esilio, si consider come simbolo della fine
della cultura liberale nella Spagna islamica. Il filosofo e il
personaggio avevano colpito la fantasia di Don Adolfo che si era
fatto paladino e divulgatore delle sue opere.

9. Suicidio o omocidio?
Fu trovato morto ai piedi della torre. Suicida o era stato spinto?
Perch si era suicidato? Chi poteva volerlo morto? E perch? I
frati del convento si rivolgevano queste domande, mentre si
preparavano al suo funerale e alla sua sepoltura. Se era stato
suicida, non poteva essere portato in chiesa per la cerimonia
funebre. Nellindecisione decisero per questultima.
Il novizio Adalgiso era stato accolto nel convento per diventare
monaco. Non era il solo: ve nerano altri provenienti da tutte le
classi sociali, figli di borghesi mercanti e contadini. Proveniva
da famiglia contadina. Era stato ammesso al convento, quale
novizio, grazie alle roccomandazioni del curato del villaggio, Don
Romualdo, che aveva notato nel giovanetto una predisposizione al
canto, alla preghiera e alla recitazione dei salmi. I genitori
erano contenti della sua vocazione e lammissione al convento fu
per loro motivo di orgoglio. Finalmente uno dei loro figli poteva
diventare monaco e assicurare privilegi a s e alla sua famiglia.
Lo accompagnarono con animo lieto. Furono ricevuti dal Priore e da
uno dei monaci che sarebbe stato suo precettore e tutore, Don
Salvatore. Al precettore piacque subito il giovane non solo per il
suo aspetto fisico, ma anche, laveva subito notato, per la sua
vocazione e per il senso di rispetto che dimostrava verso
lautorit. Si recava la mattina presto in chiesa a pregare e vi
rimaneva anche oltre la regola prescritta. Si confessava spesso e
si avvicinava con frequenza e continuit ai sacramenti. Nello
studio eccelleva in tutte le discipline, tranne che in greco, il
cui professore era il suo precettore.
Don Salvatore era stato cavaliere. Aveva servito duchi e conti.
Nelle sue numerose avventure aveva conosciuto gente di ogni razza
e di ogni tipo. La sua era stata una vera vocazione. Stanco del
mondo, aveva lasciato beni e ricchezze ed era andato in convento a
farsi monaco. Qui aveva, una volta presi gli ordini, accanti i
numerosi compiti, quello di insegnare. Accanto allinsegnamento vi
erano la preghiera, la confessione, la coltivazione dellorto e,
cosa pi importante, lazione di tutoraggio nei riguardi dei
novizi. Cercava di nascondere le sue pulsioni sessuali, che ogni
tanto e specialmente di notte, lo assalivano. La cosa strana, non
erano sogni con rapporti con laltro sesso ma quelli strani e
indescrivibili con qualcuno o qualcosa di cui non riusciva a
vederne con esattezza i contorni. La presenza di Adalgiso era per
lui un vero conforto. Don Salvatore lo facilitava nelle sue
lezioni di greco, spesso il giorno prima del compito, gliene dava

la traduzione. Quando era lui a servire a tavola, gli dava qualche


porzione in pi di carne o di dolce. Adalgiso accettava. Lo
considerava come segno di benevolenza nei suoi riguardi.
Era usanza dei novizi, secondo un ordine stabilito di volta in
volta dal priore, assistere o per meglio dire vegliare, quando un
monaco si ammalava. In questo caso il novizio doveva soddisfare
tutte le esigenze dellammlato: dargli da bere, rimboccargli la
coperta, girarlo nel letto se ne aveva bisogno. Sedeva su una
seggiola e da qui doveva sorvegliarlo.
Quella volta capit anche ad Adalgiso. Don Salvatore era caduto
ammalato e ad Adalgiso tocc vegliarlo. Nel cuore della notte lo
sent delirare. Si avvicin per asciugarli la fronte imperlata di
sudore. Sent le mani del monaco stringerlo forte e alzargli la
sottana. Come preso da morbosa frenesia, in uno stato tra veglia e
sonno, si alz, lo fece stendere e lo possedette. Soddisfare le
necessit del malato era ordine perentorio della comunit e anche
quellatto, pur nella sua efferatezza, gli sembr dovuto. Mai lo
confess, perch lo riteneva un atto dovuto.
Don Salvatore si ammalava ogni qualvolta era di turno di veglia
Adalgiso. Nella sua ingenuit gli sembrava una cosa ordinaria.
Questa e le volte che seguirono il santo monaco non delirava, ma
sembrava pienamente cosciente. Lo faceva stendere sul letto, lo
baciava, lo accarezzava sul viso e sulle sue parti intime. Il
gioco continuava fino al suo possesso. Ad Adalgiso, piaceva? Era
una strana sensazione che oscillava fra piacere e nausea. Rimaneva
stordito e confuso, lasciandogli una sensazione strana, quasi di
amarezza. Lo accettava come suo compito di assistenza.
Adlgiso si confidava con un altro novizio, vicino di letto,
Arston, un giovane novizio proveniente dalle Fiandre. Una sera
accenn, non senza una certa ritrosia, alle richieste di Don
Salvatore e gli chiese se le richieste degli altri monaci erano le
stesse. La risposta negativa lo mise in guardia. Mai pot
verficarlo, non solo perch Don Salvatore era stato incaricato
della veglia presso altri monaci, ma anche perch il suo tutore si
era recato nei villaggi vicini per predicare la Santa Pasqua.
Al suo ritorn si finse ammalato, sapendo che il turno di
sorveglianza spettava ad Adalgiso. Allultimo momento Adalgiso si
sent male e il suo posto fu preso Arston. La penombra della cella
fu resa ancora pi netta dallo spegnimento della lucerna. Alle
richieste del monaco, Arston si stese sul tetto e il monaco
incominci ad accarezzarlo. Arston glielo permise fino al suo
possesso. A questo punto Arston pretese, minacciandolo di rivelare

la cosa al Priore, di possederlo egli stesso. Il santo monaco,


per non essere ricattato e denunciato, acconsent.
Adalgiso cap. La tresca organizzata da Don Salvatore era stata
svelata. Come dirlo al Priore? Quali sarebbero state le
conseguenze per s e per il suo protettore? Poteva essere cacciato
dal convento e finire cos la sua carriera di monaco. Tacque.
Arston gli disse che avrebbe svelato tutto al priore se non gli
permetteva di sodomizzarlo. A malincuore, acconsent. Questa volta
non era un atto di sorveglianza e di richiesta dovuta, ma un vero
e proprio peccato. Sent tutta la vergogna dellatto che aveva
permesso. Altre volte acconsent. Divenne taciturno e malinconico.
La notte era in preda a incubi. In sogno vedeva materializzarsi
lingue di fuoco, dalle quali uscivano strane figure in segno di
minacce di castigo. Non mangiava e si era smagrito. Il dolore
interiore lo perseguitava.
Sent il bisogno di confessarsi al suo tutore, al quale raccont
tutta la sua storia e i rapporti con Arston e minacci di svelarla
al Priore.
Cera chi diceva che avesse scoperto di essere gravamente ammalato
e per questo si fosse suicidato, chi sussurrava di rapporti
sordidi, chi, invece, affermava di aver intesa nel cuore della
notte la voce dei due ragazzi, parlare concitatamente, mentre si
avviavano verso la sommit della torre.
Chi poteva sapere? Nel convento tutto continu come prima. Il
dubbio sulla causa della morte di Adalgiso rimase.

10. Lintellettuale Berengario


Lintellettuale era una figura di confine e rappresentava un
termine dal significato strano per la societ dallora, mentre
comprendeva bene i termini donna mulier, cavalier miles,
cittadino urbanus, mercante mercator, povero pauper. Era
qualcosa che usciva dallo schema di societ del tempo, che era
formata soprattutto da contadini, cavalieri, borghesi e nobili. I
tipi dintellettuali avevano anche significati diversi: magister
indicava una qualit di elevatezza morale e dignit indiscussa,
mentre professor recava una traccia dironia verso la boria e la
presunzione.
Berengario era un professor. Aveva studiato nellabbazia di
Chartres che era una delle poche sedi per organizzare un qualche
tipo dinsegnamento. Anche i monasteri erano capaci di farlo, ma
erano orientati alla formazione del monaco e nulla aveva no a che
fare con la cultura laica. Erano piuttosto impegnati a
certificare et clarificare fidem. Nella citt, dove viveva,
aveva cominciato a costruire la prima universit. La struttura e
la vita della citt sincominciavano a reggere su un lavoro
specializzato; linsegnamento diventava uno di questi lavori, al
pari delle attivit artigianali e commerciali. Poche erano le
specializzazioni che erano organizzate nellanticastruttura
medioevale delle sette arti liberali del Trivio e del Quadrivio.
Berengario era oltre che ricercatore, metteva un appassionato e
continuo impegno per linsegnamento. Lo studente provava, in
generale, nel riguardo del maestro grande devozione, in quelli che
stimava, ma aveva molto ironia nei riguardi dei saccenti e dei
boriosi.
Non si fermava a testi classici, ma incominciava a ricreare e
apprezzare il valore della scienza e della filosofia musulmana. Le
Universit posero la richiesta di testi a buon prezzo per lo
studio, cosa impensabile per i preziosi e lunghi da realizzare
codici in pergamena. per questo si diffusero le peciae, ossia dei
fascicoli venduti da appositi librai (gli stationarii), dove fece
la comparsa la carta, materiale pi economico la cui tecnica fu
portata in Occidente dagli arabi, che l'avevano appresa dai
cinesi. I testi latini e greci, filtrati dal mondo arabo,
contenevano anche cognizioni provenienti da Persia, India e
perfino (in maniera mediata) Cina, soprattutto riguardo alla
medicina, all'astronomia e alla matematica. Arrivarono anche
discipline orientali che, sebbene avessero interessato in mondo
ellenistico e tardo-antico, erano ormai sconosciute in occidente,
come l'astrologia, che studiava le intelligenze spirituali che
soprintendevano agli astri e, per analogia, agli elementi
dell'essere umano, e la magia, che ebbe un pi tardo sviluppo nel
Rinascimento. La Chiesa condannava queste pseudo-scienze poich

esse investigavano le intelligenze cosmiche che erano assimilate


agli angeli ribelli, cio ai demoni.
Amava per diletto anche la paleontologia. Per questa sua passione,
non basata su criteri scientifici come le altre discipline, su
autori, testi e materiale bibliografico, era spesso preso in giro
dagli studenti. Ogni tanto nel giardino delluniversit, facevano
trovare, messi da loro stessi qualche osso o qualche coccio. La
vera natura dei fossili era riconosciuta solo da pochi studiosi.
Anche le interpretazioni popolari dei fossili erano interessanti e
folcloristiche. Le nummuliti erano considerate come monete
pietrificate. Assai diffusa era la teoria di Avicenna della vis
plastica, secondo la quale i fossili sarebbero originati da una
forza plastica che non riusciva a vivificare i suoi prodotti.
Alcuni li ritenevano come portati dal diluvio universale. Nulla,
come si vede, della moderna paleontologia. Berengario cercava e
catologava. Il resto erano tutte fandonie e di questo erano sicuri
i suoi allievi. Lo scherzo da parte degli studenti dur fino a
quando Berengario trov scritto su un coccio vivat Berengarius.
Scolor in viso per la vergogna. Per alcuni giorni non si fece
vedere in giro. Pass gran parte della sua vita a trovare i cocci
con questa scrittura. Vi riusc? Qualcuno sicuramente rimase, se
sono qui a raccontarvelo.

11. Fra Riccardo: da fustigatore a fustigato.


Riccardo era diventato monaco non per scelta volontaria. Il padre
Don Ascanio, poich il figlio non amava la guerra, laveva
destinato al monastero. Diventare monaci era un modello di vita
che si poteva anche imparare lentamente. Era necessario imparare
a costruirsi, disporsi secondo un modello di vita che aveva, nella
conquista dellassoluto, la sua unica ragione dessere. Occorreva
poi rimanere fedele, una volta diventato monaco, al proprio stato
ed essere inflessibile nel cammino di perfezione, una volta
intrapreso, che doveva essere sua unica ragione dessere.
Era stato affidato dal Priore per la sua istruzione a Fra Agobardo
di Lione.
Fra Agobardo aveva una grande cultura. La sua insaziabile fame di
culture altre e di notizie significanti, la vastit della sua
erudizione, la capacit di manovrare una sterminata biblioteca
(che non stava tutta negli scaffali ma anche nella sua prodigiosa
memoria) gli rendevano possibile raggiungere i luoghi pi alti e
drammatici della storia umana. Ai suoi ascoltatori non elargiva
mai della retorica n la accettava da loro. Il suo dire era
solenne, fluiva in un discorso che sembrava scritto (mentre egli
non aveva davanti a s neppure una scaletta), ma allinfuori di
questa eleganza egli non concedeva sconti. Seminava cultura e
inquietudini. Infatti, raccontava strane e inquietanti storie. Si
trattava di dicerie riguardanti bambini cristiani presi in
ostaggio o addirittura rubati dagli ebrei alle loro famiglie e
spesso orrendamente seviziati, di solito in coincidenza con le
festivit pasquali. Le leggende concernenti i bambini cristiani
rapiti e massacrati erano probabilmente un orribile alibi per le
violenze che i cristiani imponevano agli ebrei. Laveva educato al
pi rigido fondamentalismo e l'integralismo, al connubbio tra la
rigida e dogmatica interpretazione dei testi sacri intollerante di
posizioni diverse e la volont di fare della derivante ideologia
religiosa l'unica ispiratrice della vita sociale e politica degli
altri.
Riccardo era diventato un rigido seguace di questi principi che
lavevano portato a un vero e proprio fanatismo che era diventato
per lui una vena di follia, accompagnata o addirittura causata
per da una credenza autentica e sincera. Riteneva che la credenza
o meglio la fede in una divinit, che fosse ispirata dalla stessa,
non potesse per sua natura essere ritenuta falsa dal credente. Il
fanatismo laveva portato a eccessi e alla pi rigida intolleranza
nei confronti di chi sosteneva idee diverse.
Erano tempi di crisi, molto duri da affrontare. In queste
condizioni le persone spesso trovavano un capro espiatorio contro

di cui scatenare le loro angosce, anziche' affrontare la realta'


della situazione. E cos avvenne anche per Fra Riccardo, diventato
nel frattempo monaco.
Era un monaco fuori dal comune. Era estremo nei suoi slanci e
nelle sue durezze. Il suo esclusivismo monastico e la sua proposta
di vita evangelica lo spinsero a lavorare, a premere e tempestare
affinch tutti i suoi, padre, zii, fratelli e cugini, zie e
sorelle lo seguissero in questa scelta di vita. Ricorse a tutto
per raggiungere questo intento: preghiere, minacce, allettamenti,
promesse. Lo Spirito Santo, da cui si sentiva ispirato, dava alla
sua voce tale impronta di virt che a mala pena vi era qualche
legame affettivo che potesse resistergli. Non tutti, per la
verit: la zia e una cugina si ribellarono. Fu proprio a queste
due che si scaten il suo fanatismo, facendolo macchiare di
delitti gravissimi.
Accus la zia di eresia e la cugina di essere posseduta dal
diavolo. Il tribunale dell'Inquisizione, davanti al quale fu
portata la zia, condusse le indagini volte ad accertare l'eresia.
Con testimonianze false dei parenti, anchessi ormai succubi dal
monaco, la fecero ritenere colpevole. Il tribunale tent con tutti
i mezzi (compresa la tortura) di convincere l'indagata ad
abiurare, cio a ritrattare. Fu sottoposta alla tortura della
corda. Legata le braccia dietro la schiena, limputata, nuda, fu
sollevata da terra dalla corda che scorreva su una carrucola
fissata al soffitto. Fu tenuta in quella condizione per non pi di
mezzora, perch una durata superiore poteva comportare gravi
conseguenze, dalle lesioni agli arti superiori fino al collasso
cardiocircolatorio. La tortura fu reiterata pi volte nel corso
del processo. Tutti i tentavivi espletati non ebbero successo. La
zia, come presa da un divino furore, non cedette e il tribunale la
condann a morte. La condannata impenitente fu prima impiccata e
il suo cadavere fu poi bruciato e le ceneri disperse.
Non fin qui. Il furor mysticus di Fra Riccardo si accan contro
la cugina. Fece credere che era posseduta dal diavolo. La
poverina, dopo la morte della madre, soffriva di forme di
ossessione o di particolari tormenti. Al monaco, quindi, fu facile
dimostrarne la fondatezza. Fu chiamato lesorcista, che esegu la
pratica in forma solenne secondo il rituale. Con lautorit della
chiesa us prima la forma invocativa quindi, quellimperativa
comandando direttamente al maligno. Intorno, parenti e servitori,
raccolti in gruppi di preghiera, invocarono laiuto di Dio
chiedendo la liberazione dal maligno. La posseduta, ormai
liberata, fin in un convento come monaca di clausura.

Ader, ormai vecchio, al movimento patarino, una forma di


Cristianesimo fondato su di una lettura dualista del Nuovo
Testamento, dove la salvezza delluomo raggiungibile mediante la
rivelazione di Cristo. Il nodo centrale su cui si fondava la
divergenza rispetto alla dottrina cristiana di matrice romana era
la teorizzazione che il creatore delluniverso non era un unico
Dio, bens due principi in eterna lotta tra loro. Si concentrava
sullidea che allorigine dei tempi il Re delle Tenebre avesse
invaso il regno del Re della Luce. Da allora in poi, il mondo,
la realt oggettiva delle cose e degli eventi, luomo stesso,
furono costituiti da una mescolanza di luce e tenebra, spirito e
materia, bene e male. La salvezza consisteva in una totale
separazione dei due principi opposti e in un sereno ritorno alla
condizione di purezza originaria. Il cammino verso il superamento
della propria debole e contradditoria condizione imponeva la
rinuncia alla carne, al vino, prescriveva la castit e imponeva
qualsiasi azione contraria al principio della luce. La ripugnante
eresia di coloro, che alcuni chiamavano Catari, altri Patarini, e
altri ancora con differenti nomi, crebbe cos forte che essi non
praticavano pi le loro malvagit in segreto, ma proclamavano il
loro errore pubblicamente. La Chiesa dichiar che loro, i loro
difensori e chiunque li avesse ricevuti, erano sotto anatema e
minacciavamo di scomunica chiunque li avesse aiutati nella propria
casa, nella propria terra, o avesse avuto a che fare con loro. A
chi moriva in questo peccato, non sarebbe stato concesso nessuna
protezione o privilegio, per nessuna ragione; nessuna messa
sarebbe stata officiata per loro e non avrebbero ricevuto
sepoltura fra i cristiani. Quelli che, accesi dalla loro fede
avranno preso su di s il compito di condurre fuori questi
eretici, rimaranno indisturbati da ogni inquietudine, sia per i
loro beni sia per la loro persona. Se qualcuno presumeva di
molestarli, incorreva nella sentenza di scomunica da parte del
vescovo del luogo. I vescovi e i sacerdoti che non contrastavano
abbastanza gli errori erano puniti con la perdita del loro ufficio
finch non avessero ottenuto il perdono della sede apostolica.

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