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In tale ambito si inserisce tra l'altro una polemica - finora poco indagata
ma non per questo meno significativa - intercorsa con il tranquillo Agnoldo-
menico Piea, architetto e critico formatosi a Milano, a causa di un suo breve arti-
colo apparso su "L'ingegnere" nel luglio 194270. Allievo, per un breve periodo,
dello stesso Giovannoni?', Piea aveva spesso sostenuto - in parziale dissenso con
i suoi colleghi pi intransigenti, come Pagano e Bardi - la necessit di superare
65 Sul tema della revisione della Carta del Restauro, affidata nel 1938 a una specifica com-
missione presieduta da Giovannoni, e sui contrasti insorti nel corso dei lavori, cfr. A. Bellini, Alle ori-
gini del restauro critico, "TeMa", 3-4, 1993, e I, 1994, e soprattutto P. Ncoloso, La "Carta del restauro"
di Giulio Carlo Argan, "Annali di architettura", 6, 1994, pp. 101-lI5.
66 G. Giovannoni, Restauro dei monumenti e urbanistica, ct., p. 39. Cfr. H. Millon, The Role of
History of Architecture in Fascist Italy, ct., p. 54-
67 Cfr. G. Pagano, Architettura e citt durante il fascismo, a cura di C. de Seta, Laterza, Roma-
Bari 1976, dove - oltre ad alcuni articoli apparsi su "Casabella", con brevi cenni polemici a
Giovannoni - figura anche una lettera di Pagano a Ragghianti del luglio 1942, contenente duri giudi-
zi sull'intransigenza dello studioso, definito senza mezzi termini "vecchia cornacchia", per merito del
quale "sono state regolarmente massacrate e mutilate molte delle nostre vecchie citt, ed egli pu esse-
re citato come il complice occasionale - forse disinteressato ma sempre necessario - dello sventratore
nazionale: Marcello Piacentn" (p. 442).
68 Cfr. B. Zevi, Per un' architettura organica in Italia, "Mercurio", II, 13, settembre 1945,
pp. 152-156; per un commento pi esteso a questo scritto, cfr. A. Pane, La fortuna critica di Gustavo
Giovannoni: spunti e riflessioni dagli scritti pubblicati in occasione della sua scomparsa, cito
69 Cfr. C.L. Ragghianti, Di una proposta per una Storia italiana dell'architettura italiana, "La cri-
tica d'arte", a. v, I, gennaio-marzo 1940, p. 120, dove sono espresse forti critiche al nazionalismo gio-
vannoniano in materia di storia dell'architettura. E interessante, sul tema dei rapporti con l'ambiente
degli storici dell'arte, aggiungere anche un cenno ad alcune recenti ricerche sulla ben nota polemica
del 1938 tra lo studioso ed Adolfo Venturi, che sembrano mostrare, dietro la figura dell' anziano Adolfo,
la sostanziale presenza del figlio Lionello nella redazione del breve saggio indirizzato a Giovannoni su
"L'Arte" (cfr. V. Pracchi, 'La logica degli occhi': gli storici dell'arte, la tutela e il restauro dell'architettu-
ra tra positivismo e neoidealismo, New Press, Como 2001).
70 Su Piea si vedano F. Mangone, Piea, Agnoldomenico, S.V. in Dizionario dell'architettura del
xx secolo, a cura di C. Olmo, voI. v, Allemand, Torino-London 2001, p. 88, e M.V. Capitanucci,
Agnoldomenico Piea, I907-I9'}O. La critica dell'architettura come "mestiere", Hevelus, Benevento 2002,
che accenna brevemente alla citata polemica con Giovannoni (p. 65).
71 Dopo la laurea in Architettura civile, conseguita a Milano nel 1931, Pica aveva frequentato
la Scuola superiore di architettura di Roma, per ottenere l'abilitazione all' esercizio professionale,
seguendo anche i corsi di Giovannoni (cfr. M.V. Capitanucci, Agnoldomenico Piea, ct., p. 13).
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IL VECCHIO E IL NUOVO NELLE CITTA ITAUANE
le rigide formulazioni del razionalismo d'oltralpe, contrapponendo una visione
di ideale continuit con la storia dell' architettura italiana, pur nel categorico
rifiuto di qualunque sterile riproposizione stlistica'".
Su tali posizioni si collocava il breve articolo pubblicato su "L'ingegnere",
dove Piea - dopo un breve excursus storico sulla vicenda del razionalismo italia-
no, del quale rintracciava i prodromi gi nel pensiero di Carlo Lodoli - salutava
con entusiasmo la nuova generazione di architetti italiani "moderni", che aveva-
no saputo superare i limiti del costruttivismo e del funzionalismo, per giungere
ad una sintesi in cui l'architettura era vista soprattutto come "fatto spiritualeT'.
Alle brevi riflessioni teoriche seguivano quindi numerose fotografie, che illustra-
vano alcune delle migliori opere architettoniche degli anni Trenta, come lo stabi-
limento Olivetti ad Ivrea di Figini e Pollini o il dispensario antitubercolare di
Gardella ad Alessandria, per concludersi con un particolare della straordinaria
scala elicoidale realizzata da Pier Luigi Nervi per lo stadio di Firenze.
La reazione di Giovannon, espressa in forma di lettera alla direzione, non
si faceva attendere; pubblicata pochi mesi dopo in prima pagina, si scagliava
aspramente contro la stessa redazione della rivista - organo ufficiale del
Sindacato fascista ingegneri - che aveva consentito la pubblicazione di uno
scritto cos lontano dai "solidi contributi della tecnica", dove un architetto par-
lava della moderna architettura "portando soltanto esempi di architetti'<",
Seguivano alcune specifiche obiezioni sull'assenza di una visione rivolta all'in-
tero organismo architettonico: come la scelta di presentare gli edifici soltanto
attraverso fotografie, che ricalcavano in pieno alcuni punti salienti della pi
celebre polemica con Adolfo Venturi del 1938, ed alcune considerazioni - non
prive di qualche fondamento - sul falso tecnicismo dell' architettura razionalista.
Cos, per lo studioso, della tecnica moderna sembravano essersene "impadroniti
coloro che di essa hanno scarsa competenza", tra cui era da comprendere lo stes-
so Le Corbusier - definito da Giovannoni "un pittore mancato" - che "certo non
conosce una equazione di resistenza'P>,
All'invettiva dello studioso - piuttosto sproporzionata rispetto ai toni
misurati del breve articolo di Piea - seguiva, pochi mesi dopo, una replica di
quest'ultimo, che confutava puntualmente le accuse di Giovannoni, citando tra
l'altro la figura di Nervi come emblematica per dimostrare la profonda conoscen-
72 Un orientamento, nella sostanza, non lontano dalle future riflessioni dell'immediato dopo-
guerra, nel quale emergeva chiaramente la matrice crociana del pensiero di Piea, in particolare per l'as-
sunto relativo alla contemporaneit della storia. In proposito, appare interessante un giudizio espresso
su Piea dallo stesso Pier Maria Bardi, riportato dalla Capitanucci: "Piea non fu mai uno scalmanato,
come noi: egli fu deciso nella condanna d'un modo di costruire senza ragione e avulso dallo spirito di
coerenza con il tempo, ma dimostr pi di una volta che spezzare di colpo era pericoloso; egli propo-
neva una saldatura con il passato, una continuit" (ivi, p. 100).
7J A. Piea, L'architettura italiana moderna, "L'ingegnere", a. XVI, 7, luglio 1942, p. 707.
74 G. Giovannoni, In tema di architettura moderna in Italia, "L'ingegnere", a. XVI, IO, ottobre
1942, p. I.
7' Ibid.
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ANDREA PANE
za strutturale degli architetti moderni italian'". Rifiutando quindi l'accusa di
internazionalismo rivolta alle tendenze da lui illustrate, Piea la ribaltava proprio
nei confronti di quel ritorno "all'anonimo neoclassicismo", diffuso in Germania
e in Russia, che Giovannoni sembrava accogliere come un possibile riallaccio alla
tradizione architettonica italiana. La polemica proseguiva ancora con un'ulterio-
re lettera dello studioso, cui faceva seguito, nfne, una chiosa di Piea, pubblica-
ta col titolo Polemica caudata sul numero 187 di "Costruzioni-Casabella"?", Al di
l degli specifici contenuti di questi due ultimi scritti, non lontani dai preceden-
ti, emergeva in definitiva una radicale distanza tra Giovannoni e la produzione
architettonica italiana a lui contemporanea, che lo faceva apparire ormai real-
mente "sordo", anche nei confronti di quei pochi fermenti che segnavano un
preciso distacco rispetto al preteso internazionalismo di fine armi Venti.
Si compiva cos quel processo di cui erano ben chiare le tracce fin dal cita-
to scritto del 1918, quando Giovannoni sembrava gi intuire che la strada della
modernit appariva segnata da un contrasto insanabile con il passato. A queste
condizioni, dunque, non era possibile alcuna relazione con la citt "vecchia" e
l'architettura nuova avrebbe potuto sorgere soltanto oltre i confini degli antichi
tessuti. Si trattava, come si vede, di una constatazione che anticipava di molti
decenni alcune celebri posizioni del dibattito degli anni Cnquanta-Sessanta'":
gi nel 1918, in definitiva, Giovannoni sembrava manifestare quello sfiduciato
realismo che sarebbe affiorato tra le righe in tutti i suoi scritti successivi, anche
in quelli dove avrebbe sostenuto pi intensamente, mostrando apparente con-
vinzione, la necessit di un recupero della tradizione architettonica italiana.
Alla prova dei fatti, comunque, I'intuzone giovannoniana si rivelata in
una certa misura profetica: a dispetto delle illusioni coltivate da alcuni dei pro-
tagonisti del dibattito antico-nuovo degli anni Cinquanta, segnatamente Roberto
Pane ed Ernesto Nathan Rogers
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, la tesi dell'inconciliabilit appare purtroppo
oggi vincente. In molti casi, occorre ammetterlo, sembra persino l'unica pratica-
bile, nei confronti di una produzione architettonica in larga misura globalizza-
ta, i cui artefici mostrano soltanto in rari casi interesse per il contesto urbano o
paesaggistico in cui sono chiamati ad intervenire. A poco valgono infatti le pur
76 A. Piea, Risposta all'Ecc. Gustavo Giovannoni, "L'ingegnere", a. XVII, 2, febbraio 1943, p. 223.
77 G. Giovannoni, lettera al direttore, "L'ingegnere", a. XVII, 3, marzo 1943, p. 361; A. Piea,
Polemica caudata, "Costruzon-Casabella", 187, luglio 1943, p. 39.
78 Si vedano, a titolo di esempio, le posizioni espresse all' epoca da C. Brandi (Il nuovo sul vec-
chio, "La fiera letteraria", 27 settembre 1964, ripubblicato con il titolo L'inserzione del nuovo nel vec-
chio, in C. Brandi, Struttura e architettura, Einaudi, Torino 1967, pp. 225-232) e B. Zevi (Contro ogni teo-
ria dell'ambientamento, cit.), diverse negli assunti ma analoghe nelle conclusioni, e quelle di L. Bene-
volo (L'esigenza di conservare gli ambienti antichi non significa bloccare ogni iniziativa, "L'architettura.
Cronache e storia", 21, luglio 1957, pp. 182-184), tese a considerare !'intrusione del nuovo nell'antico
esclusivamente come caso eccezionale.
79 Cfr. ad esempio R. Pane - E.N. Rogers, Dibattito sugli inserimenti nelle preesistenze ambien-
tali, "Casabella-contnut", 214, febbraio-marzo 1957. Per una sintesi sul dibattito antico-nuovo degli
anni Cinquanta e Sessanta si rimanda a E. Vassallo, Centri antichi I86I-I974, note sull'evoluzione del
dibattito, "Restauro", a. IV, 19, maggio-giugno 1975, pp. 47-71.
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IL VECCHIO E IL NUOVO NELLE CITTA ITAUANE
giuste obiezioni di natura metodologica, sollevate contro la variegata schiera dei
sostenitori della "citt bella", contrari ad ogni interferenza con ilnuovow, se una
buona parte della cultura architettonica attuale, pur facendo della distanza con
il passato la bandiera della propria poetica, finisce per realizzare le sue opere
non certo nelle periferie urbane, ma in quegli stessi contesti stratificati nei con-
fronti dei quali non ritiene n opportuno n necessario tentare di stabilire un
dalogo".
80 Si vedano ad esempio i contributi di P.L. Cervella ti, La citt bella, li Mulino, Bologna 1991,
e M. Fazio, Passato efuturo delle citt. Processo all'architettura contemporanea, Einaudi, Torino 2000. cfr.
anche il recente V. Sgarbi, Unpaese sfigurato. Viaggio attraverso gli scempi d'Italia, Rizzoli, Milano 2003.
81 Gli esempi in tal senso sono numerosi ed appaiono ricorrenti soprattutto in area tedesca ed
anglosassone. Basti citare il notissimo intervento della Haas Haus di Hans Hollen a Vienna (1990), col-
locata di fronte alla cattedrale di S. Stefano, e l'analogo inserimento della Stadtehaus sulla piazza della
cattedrale di Ulm (recentemente illustrato in B. Vlvio, Il progetto tra composizione architettonica e
restauro. Riflessioni sul restauro della chiesa di S. Giorgio in Velabro, "Arkos", n.s., a. v, 5, gennaio-
marzo 2004, pp. 27-28). Tra gli interventi recenti, si possono citare almeno due casi pi eclatanti, come
il centro commerciale Selfridges di Future Systems a Birmingham, realizzato di fronte a una chiesa vit-
toriana (D. Sudjic, Icona urbana, "Domus", 863, ottobre 2003), e la Kunsthaus di Peter Cook a Graz,
dove "il baroccheggiante tessuto storico del capoluogo stiriano piacevolmente violentato dalla forma
dirompente" di quello che lo stesso recensore defnsce un "alieno amico" (S. Casciani, Atterraggio a
Graz, "Domus", 865, dicembre 2003, p. 58).
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